XVI Conferenza SIU | Full Papers Atelier 6 | by Planum n.27 vol.2/2013

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Atelier

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Bioregione Urbana: autosostenibilitĂ , comunitĂ locale, economie solidali Coordinatore Daniela Poli con Claudio Saragosa Discussant Gianni Scudo


Introduzione Crisi economica è crisi dell’oikos della relazione di lunga durata col territorio dell’abitare. Utilizzo indiscriminato delle risorse, il consumo di suolo, le trasformazioni non landscape sensitive hanno prodotto elevati costi gestionali con periferie senza regole, smisurate, seriali, diffuse e pervasive in cui l’urbanità ha lasciato il posto all’urbanizzazione. Mentre nelle città europee e de nord del mondo si assiste a fenomeni di decrescita, accompagnati da politiche indirizzate alla rigenerazione e riqualificazione urbana, nelle aree del sud e dell’est del mondo la crescita continua a ritmi vertiginosi, proiettando la relazione centro-periferica e gli squilibri più evidenti alla scala mondiale. Nei territori post-metotropolitani della città europea in domanda di qualità insediativa si conducono attività integrate di lavoro, di loisir, di commercio, di formazione che attraversano più livelli di spazialità in cui la prossimità del quartiere, la relazione societaria urbana, la diffusività territoriale e l’immaterialità delle rete cyber coesistono. Nel territorio di area vasta una geografia variabile e multi direzionale disegna un caleidoscopio di flussi materiali e immateriali che talvolta non trovano un inquadramento coerente. La riorganizzazione della città contemporanea deve confrontarsi con questa complessità verso la ricomposizione di una nuova urbanità che necessita della ricostruzione di legami fondativi identificativi e identitari con i luoghi dell’abitare, rigenerando la città attraverso lo sviluppo di relazioni sinergiche con il suo territorio di riferimento e moltiplicandone al temo stesso le centralità. Per l’urbanistica uscire dalla crisi significa riprogettare l’insediamento come una bioregione urbana, policentrica e reticolare, in cui le comunità locali siano implicate nella chiusura tendenziale dei cicli locali delle risorse e nell’individuazione di nuovi equilibri eco-sistemici col territorio di riferimento [sistema di valle, sistemi montani, aree collinari, entroterra costieri]. Il paradigna bioregionale è stato riportato in luce negli anni settanta del novecento in un’accezione ecologista, in particolare negli studi americani di Peter Berg, ma esso più essere fatto risalire a contributi più antichi che si inquadreano nella geografia ecologica di Vidal De la Blache, nelle esperienze della Regional Planning Association of America e in particolare alla definizione bio-antropocentrica della “sezione di valle” di Patrick Geddes, dove emerge la relazione coevolutiva fra i caratteri della struttura idrogeomorfologica dei bacini idrografici con le specifiche culture produttive e gli stili di vita [place, work folk], riprese nella “regione della comunità umana” di Lewis Mumford. La bioregione urbana appare così il riferimento concettuale appropriato per trattare in modo integrato i diversi fattori che caratterizzano l’abitare contemporaneo, passando da luoghi funzionali costruiti ignorando la storia profonda del territorio a un insieme di città e paesi che cercano di riconquistare una traiettoria coevolutiva fra insediamento e ambiente di riferimento. Per percorrere questa strada più azioni integrate sono necessarie: una rete ecologica che innerva e ridisegna forme urbane ad alta prestazione energetica con equilibri idrogeomorfologici; la definizione certa del confine urbano e la riprogettazione dei margini con l’individuazione di nuove centralità agro urbane; il potenziamento della filiera corta del cibo [patti agroalimentari territoriali, agricoltura urbana, orti periurbani, public

procurement], degli ecosystem services; la valorizzazione di economie solidali e di reciprocità. L’Atelier ha discusso in maniera intensa attorno a questa tematica l’illustrando ricerche e casi studio da cui trarre suggerimenti e piste di ricerca. Daniela Poli


Bioregione Urbana: autosostenibilità, comunità locale, economie solidali Coordinatore Daniela Poli con Claudio Saragosa Discussant Gianni Scudo

06 Valentina Alberti L’energia come catalizzatore dei processi di sviluppo locale Ottavia Aristone, Raffaella Radoccia Tra sostenibilità urbana ed economie rurali nelle regioni medio-adriatiche Francesca Bilotta Processi di salvaguardia e valorizzazione dell’identità mediterranea Giuseppe Bonavita Designing hierarchies: the role of ecological networks beyond local framework conditions Ruggero Bonisolli, Laura Colosio Bioregione-Lombardia: una nuova geografia basata sulla domanda dei prodotti agricoli all’interno del sistema della ristorazione collettiva e sull’offerta dei prodotti locali

Cristiana Mattioli, Aldo Treville Le cascine come presidi e nodi di reti relazionali: pratiche di cura del territorio periurbano milanese Paola Panuccio Il patrimonio territoriale nel piano urbanistico Andrea Marçel Pidalà, Valeria Ravì Pinto Scenari Strategici eco-territorialisti per il ri-equilibrio e la cura della bioregione dei Nebrodi Filippo Schilleci, Annalisa Giampino, Vincenzo Todaro Ripensare i territori metropolitani. Forme e processi di pressione insediativa sui sistemi di interesse naturale Daniel Screpanti, Piernicola Carlesi La ragnatela della continuità

Elisa Butelli, Matteo Massarelli La bioregione urbana: dall’ellisse urbana della Toscana al caso dell’Aquitania

Emanuele Sommariva, Christian Haid ‘Food and the City’ Rethinking Hannover food system. The potential of a regional Foodshed

Alessandro Cariello, Rossella Ferorelli Strategie di densificazione dei paesaggi intermedi nella Puglia centrale

Ilaria Vitellio Ruralità critiche

Alessandro Coppola Post neo-liberal? Sustainable and resilient? Localist? Urban policy shifts in the city of Cleveland Nicola Di Croce Montagna e avanguardia Michele Galella Luoghi della krìsis. Spazi aperti produttivi e rigenerazione urbana Giampiero Lombardini Al confine dell’urbano: il piano urbanistico ligure di fronte al tema delle aree agricole Leonardo Lutzoni ‘Territori silenziosi’ come progetto che si costruisce lentamente. Indizi di ri-conversione per il territorio dell’Alta Gallura Francesco Martinico, Luca Barbarossa, Daniele La Rosa, Riccardo Privitera L’integrazione tra nuove forme di agricoltura urbana e Greenways per la produzione di Ecosystem Services in contesti urbani



L’energia come catalizzatore dei processi di sviluppo locale

L’energia come catalizzatore dei processi di sviluppo locale Valentina Alberti Università degli studi di Roma - Sapienza Dipartimento DATA (Design, Architettura, Tecnologia e Ambiente) Email: valentina.alberti@uniroma1.it

Abstract Una delle principali sfide nella definizione di una bioregione urbana può essere considerata la messa a sistema dei nodi più periferici, o, in altre parole, la riattivazione e il potenziamento delle unità minori, al fine di articolare il territorio in una struttura il più possibile policentrica e reticolare. Il paper presenta lo studio dei possibili processi di riattivazione che possono essere promossi dall’uso delle rinnovabili in quelle aree che, a causa di limitazioni interne, come la presenza di piccole imprese o agricoltura poco redditizia, o per limitazioni di carattere morfologico del territorio, risultano’svantaggiate’ nella definizione di un assetto equilibrato e coeso di quella che si vuole pensare come bioregione urbana. Attraverso un database costruito su una serie di progetti promossi dalla Comunità Europea, la ricerca mette in luce potenzialità e limiti dell’uso dell’energia come catalizzatore dei processi di riattivazione locale. Lo studio porta quindi ad interrogarsi sul ruolo che gli strumenti della pianificazione dovrebbero/potrebbero avere nella promozione di questi processi. Parole chiave sviluppo locale, aree svantaggiate, risorse rinnovabili

1 | Introduzione 1.1 | Inquadramento del tema Nel delineare una struttura equilibrata di quella che si vuole considerare come bioregione urbana, non si può ignorare la fondamentale funzione svolta da quei territori che risultano periferici, e quindi, ‘svantaggiati’ – secondo la definizione che ne da la Comunità europea (Consiglio delle Comunità europee, 1975) – rispetto alle principali dinamiche territoriali. Le limitazioni di queste aree sono generalmente di carattere morfologico, oppure dipendono dalla scarsa redditività delle attività produttive, e, ad ogni modo, sono senz’altro responsabili di importanti processi di spopolamento e dell’abbandono del presidio sul territorio (Consiglio delle Comunità europee, 1975). La ricerca focalizza la propria attenzione sui possibili processi di riattivazione delle aree svantaggiate, valutando il tipo di contributo che potrebbe essere fornito in questo senso dalla produzione di energia da fonti rinnovabili. Considerando le criticità, ma anche le cospicue risorse – soprattutto naturali – che spesso caratterizzano le aree svantaggiate, si è cercato di valutare in che modo le rinnovabili sono in grado di influire sui processi di valorizzazione del patrimonio naturale e sociale, e di trasformare in risorsa quelli che sono i limiti propri di queste aree. I fenomeni sui quali si è misurata principalmente l’influenza delle rinnovabili sono di natura prevalentemente socio-economica e ambientale, come: la mancanza di occupazione, lo spopolamento, l’invecchiamento della popolazione, e il mancato presidio attivo nella salvaguardia del patrimonio naturale. A supporto della ricerca è stato utilizzato un database che raccoglie buone pratiche a livello europeo nella produzione energetica da fonti rinnovabili1. Quello che si intende dimostrare è che non tutte le fonti rinnovabili hanno lo stesso impatto sul territorio, e che, in particolar modo per la riattivazione dei territori svantaggiati, quello delle rinnovabili non può essere considerato un comparto a sé stante, ma è necessario integrarlo con le 1

Il database è stato costruito sui case studies raccolti da ManagEnegy e Changing Behaviour, rispettivamente i supporti tecnici dei programmi europei Energy Intelligence Europe e 7Framework Programme. (cfr. Metodologia)

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attività esistenti. Per questa esigenza in primis, e poi per le motivazioni che verranno illustrate in seguito, la biomassa sembra essere la fonte rinnovabile più adatta. Tuttavia è importante far luce sui rischi che si potrebbero correre per un’errata gestione della filiera: ad oggi l’utilizzo delle rinnovabili è spesso osteggiato proprio perché gli investitori – così come i policy makers – pubblicizzandole come la panacea dei problemi climatici a livello globale, sottovalutano quelli che sono gli impatti, talvolta anche rovinosi, che le stesse possono avere a livello locale, se non correttamente regolate e gestite.

1.2 | Stato dell’arte Dall’ultimo rapporto sulle rinnovabili dell’International Energy Agency (IEA, 2012) risulta che dal 1990 la percentuale di elettricità prodotta in Europa da fonti rinnovabili è passata dal 5,8% all’11,2%. L’incremento può sembrare non così importante, eppure per questo lento ma deciso processo di decarbonizzazione l’Europa ha investito e sta investendo gran parte delle sue risorse. Dallo studio dei documenti programmatici della Comunità Europea per la promozione delle rinnovabili risulta che questo processo è intimamente legato al fenomeno dei cambiamenti climatici. Solo in tempi relativamente recenti – si fa riferimento in particolare al riesame della Strategia per lo sviluppo sostenibile del 2005 (Commissione Europea, 2005) – le rinnovabili stanno iniziando ad essere considerate in relazione ai processi di sviluppo territoriale. In questo frangente è necessario però operare dei distinguo: il modo di rapportare le rinnovabili ai processi di sviluppo cambia radicalmente se si sta parlando di aree densamente urbanizzate piuttosto che di piccoli centri rurali. Il discriminante è innanzitutto il rapporto tra domanda e offerta energetica, e l’influsso che il settore delle rinnovabili può avere sui processi di sviluppo locale. Nel primo caso la domanda energetica è molto alta e, quindi, può essere deciso in base alle risorse disponibili un’azione puntuale e diffusa, piuttosto che centralizzata, ma in ogni caso l’intervento avrà difficilmente carattere risolutivo per il fabbisogno energetico della città. Date le molteplici attività presenti nelle aree altamente urbanizzate, inoltre, quello dell’energia rappresenterà l’ennesimo segmento del settore produttivo, quindi anche da questo punto di vista l’influenza delle rinnovabili sarà piuttosto limitata. Per gli interventi in aree rurali, nei piccoli centri e quindi anche nelle aree svantaggiate oggetto di studio, invece, il rapporto si capovolge. Generalmente questi territori hanno un’alta disponibilità di risorse da sfruttare a fini energetici, ma una ridotta domanda. Inoltre, considerando anche le limitate dimensioni delle attività produttive e il carattere delle stesse – in particolare per le aree svantaggiate si sta parlando di piccole aziende del settore primario – i benefici apportati dal settore delle rinnovabili potrebbero risultare considerevoli (OECD, 2012). Per questo motivo risulta particolarmente interessante approfondire le relazioni che intercorrono tra sviluppo locale e rinnovabili in territori non urbani.

1.3 | Obiettivi In questo documento è presentata la prima fase di un lavoro di ricerca che ha come fine ultimo quello di individuare gli aspetti su cui la pianificazione può intervenire per promuovere processi di sviluppo locale nelle aree svantaggiate, sfruttando il comparto delle rinnovabili. Gli aspetti che in questa sede sono approfonditi riguardano, pertanto, l’indagine preliminare sulle reali interconnessioni tra rinnovabili e sviluppo locale. Il primo obiettivo è quello di dimostrare che l’energia può rappresentare un elemento catalizzatore per i processi di riattivazione territoriale, in particolar modo in quelle aree cosiddette ‘svantaggiate’. Inoltre l’intento è quello di definire i termini e i limiti entro cui le rinnovabili possono rivestire effettivamente questo ruolo, e identificare quelli che sono i fattori critici, su cui poi si cercherà di ragionare nella fase successiva della ricerca.

2 | Metodologia 2.1 | Costruzione del database Per lo studio del ruolo che le rinnovabili possono avere nei processi di sviluppo locale ho condotto un’indagine diretta su un campione di pratiche locali. In questa fase le pratiche analizzate sono state individuate tra quelle promosse dalla Comunità europea2 all’interno dei suoi due principali programmi finanziatori per sviluppo delle rinnovabili: l’Intelligent Energy-Europe e il 7th Framework Programme Energy. L’intento è stato innanzitutto quello di valutare:  in che modo fossero direzionati gli interventi in materia di rinnovabili a livello locale; 2

Mentre quello che sarà presentato nel paragrafo dei risultati è un primo quadro delle pratiche promosse dall’alto, il prosieguo dell’indagine si andrà a concentrare su un database costruito da pratiche promosse da iniziative locali che non si riconoscono in progetti a livello europeo.

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 come avessero risposto i vari Paesi alle direttive comunitarie;  se il timido tentativo di promuovere il rapporto tra rinnovabili e sviluppo locale, a livello comunitario, fosse stato recepito dalle singole esperienze. Per la costruzione del database, sono state utilizzate le esperienze raccolte dai due principali supporti tecnici dei succitati programmi europei: per l’EIE si è usufruito dei case studies raccolti tra il 2010 e il 2012 da ManagEnergy, mentre per il 7th FP sono stati considerati i case studies raccolti da Changing Behaviour. Il primo passo è stato selezionare i tipi di esperienze raccolte, individuando quelle che potessero palesemente presentare un esempio di interrelazione tra produzione di energia e sviluppo locale. Quindi, ridotto il database, ho proceduto con un approfondimento dell’analisi dei caratteri rappresentativi al fine di testimoniare lo sviluppo del contesto locale sotto il profilo economico, sociale e ambientale. I casi presi in esame non si riferiscono solo alle aree svantaggiate, considerando la necessità di condurre un discorso comparativo, al fine di riuscire a valutare in che termini cambia il rapporto tra rinnovabili e sviluppo locale modificando il contesto territoriale.

2.1 | Valutazione dei dati Per le valutazioni di carattere economico ho considerato sia le ricadute a breve che a lungo termine, in termini di ritorno meramente economico e dell’impatto sul settore lavorativo. In particolare si sono rintracciati i dati relativi agli investimenti, individuandone i protagonisti, al fine di valutare le ricadute economiche sui singoli investitori piuttosto che sull’intera comunità. Inoltre, non avendo – tranne che per la municipalità di Samsø – valori numerici per la percentuale di occupazione favorita dall’intervento, si è tentato di fare delle stime in attesa di recuperare dati più precisi. Per le valutazioni di natura ambientale mi sono limitata a raccogliere i dati disponibili sulla riduzione delle emissioni di CO2. Sarebbe interessante approfondire ulteriormente il discorso prendendo in considerazione anche gli impatti collaterali – mi riferisco in particolare all’impatto dell’eventuale infrastrutturazione e all’impronta ecologica dell’intero processo – che la costruzione degli impianti ha avuto sull’ambiente locale, oltre che eventuali impatti paesaggistici. Per le valutazioni di carattere sociale, invece, l’attenzione si è posta in primis sui cambiamenti avvenuti sui soggetti, poi quelli relativi alle condizioni socio-economiche. In particolare, relativamente ai soggetti si è cercato di capire in che modo la comunità fosse stata sensibilizzata, formata, educata, e quindi coinvolta nei processi di promozione delle rinnovabili. È apparso fondamentale comprendere preliminarmente quale fosse il grado di crescita offerto alla popolazione. Il metodo di valutazione appena descritto ha ancora ampi margini di raffinamento, ma è risultato piuttosto utile per una prima, indicativa rappresentazione delle interazioni avute tra la produzione di energia da fonti rinnovabili e lo sviluppo locale.

3 | Analisi e risultati 3.1 | La promozione dello sviluppo locale dalle diverse fonti rinnovabili di energia Nella Figura 1, si può notare che la maggior parte dei progetti analizzati hanno interessato interventi sull’isolamento degli edifici o campagne di sensibilizzazione e promozione del risparmio energetico. Solo per un numero limitato di casi si sono avuti esempi di produzione energetica, e nella maggior parte ne sono state interessate solo singole utenze.

Figura 1: Campo di applicazione delle pratiche prese in esame

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Dei settantasei casi studio presi in esame tra il database di ManagEnergy – d’ora in poi ME – e Changing Behaviour – d’ora in poi CB – ne sono stati individuati solo cinque rispondenti ai criteri di scelta preliminari:  produzione di energia da fonti rinnovabili di interesse collettivo e non per singolo utente;  coinvolgimento in fase preliminare della comunità locale. Tabella I: Database ridotto delle esperienze prese in esame

Prog

Anno inizio

Nome progetto

CB ME

1997 1999

ME

2007

ME ME

2008 2009

Samsø – renewable energy island Fossil Fuel Free district heating in Kristianstad Energy efficiency in Abbey St. Ottilien Community Power Cornwall Hvidovre Offshore Wind Farm

Località

Paes e

Samsø Kristianstad

DK SE

St Ottilien

DE

St Gorran Hvidovre

UK SE

Fonte utilizzata biom bioga s • • • •

PV • •

eoli co •

• • •

Come si può vedere dalla Tabella I, le fonti utilizzate sono le più varie, ma, a parte il caso di Samsø, appare evidente che l’eolico sembra integrarsi poco con le altre fonti. La motivazione può essere rintracciata nell’input da cui parte l’iniziativa per gli investimenti. Nel caso dell’eolico, infatti, l’iniziativa è presa quasi sempre da società o cooperative private che difficilmente inseriscono l’investimento in un quadro di programmazione a più ampio respiro. Anche dove questo processo sta cercando di partire – vedi esperienza della Community Power Cornwall – è il fine che è sostanzialmente diverso da esperienze come Samsø, Kristianstad o St Ottilien, dove è esplicito l’intento prioritario di contribuire con le rinnovabili allo sviluppo dell’intera comunità. Generalmente gli investimenti sull’eolico, invece, si fanno per veloci ritorni economici, e spesso i principali investitori non sono locali. Approfondendo lo studio dei cinque casi questa considerazione è ampiamente dimostrata dalla presenza, solo per i casi di St Gorran e Hvidovre di approfonditi dati sui tempi e percentuali di ritorno degli investimenti. Per gli altri esempi, invece, le considerazioni di carattere economico si incentrano soprattutto sulle modalità di finanziamento degli interventi. L’iniziativa, in tutti i casi, è stata presa dall’ente locale, ma è interessante notare le tecniche di coinvolgimento della popolazione negli investimenti, per una partecipazione attiva al processo. Sembra, infatti, che i progetti in cui si sono manifestati i maggiori riscontri a livello di raggiungimento degli obiettivi, siano stati quelli che sono riusciti a far diventare la popolazione il principale stakeholder delle opere. In questo modo il ritorno sul territorio sarà non solo in termini ambientali, ma anche economici e sociali. Coinvolgere economicamente la comunità, infatti, porta a farla sentire responsabile delle scelte per e sul territorio. Nei tre casi in cui si è investito nelle biomasse, per esempio, vi è stato un interessante processo preliminare di informazione e sensibilizzazione della comunità locale che, anche nei casi in cui si dimostrava piuttosto restia – vedi caso di Samsø (Jørgensen, 2007) – è diventata, con il tempo, la principale promotrice dei processi di sviluppo delle rinnovabili. Nel caso in esame, in fase preliminare sono stati organizzati tavoli di lavoro, confronti, conferenze e processi di sensibilizzazione nelle scuole, e il coinvolgimento della popolazione è stato continuo e ha orientato molte delle scelte progettuali in corso d’opera. L’impatto sulla comunità locale è stato rilevato anche dal punto di vista lavorativo. Pur non parlando di grandi numeri, l’impiego nel settore energetico ha contraddistinto ancora una volta principalmente i progetti sulle biomasse. Interessante appare il lavoro che è stato portato avanti in particolare dall’isola di Samsø, dove i tecnici locali sono stati formati per interventi specifici sugli impianti di teleriscaldamento. Al pur modesto incremento – che nell’isola ha contato poche decine di impiegati in più all’anno – è corrisposto, però, il potenziamento e la specializzazione della professionalità locale. Interessante riflessione può essere fatta sugli impatti ambientali delle varie fonti. In tutti i casi sono state quantificate importanti riduzioni di emissioni di CO2. Considerando, poi, che nei primi tre esempi la produzione energetica è stata affiancata dalla promozione dell’efficienza e del risparmio energetico, i risultati ottenuti hanno superato addirittura le previsioni. Se queste sono considerazioni che vedono un beneficio percepibile soprattutto a livello globale, diverso discorso può essere fatto per la scala locale. I principali imputati sono gli impianti e l’impatto che hanno non solo localmente sull’ambiente ma anche sul paesaggio. Se per il fotovoltaico non sono stati rilevati particolari commenti – dovuto probabilmente al fatto che le istallazioni sono state puntuali e su edifici esistenti – per l’eolico il principale problema sembra essere quello dell’assicurare la silenziosità dell’impianto. Hvidovre, ha ovviato a questo inconveniente puntando sull’innovazione tecnologica e portando i nuovi investitori a visitare le silenziose pale installate proprio di fronte al centro abitato, lungo la costa. In nessuno dei rapporti si fa menzione all’impatto paesaggistico degli impianti, ma bisogna considerare il contesto: nel nord Europa quello delle pale eoliche è uno scenario piuttosto ordinario. Quanto alle biomasse va fatto un discorso a parte. Le prime ad essere incriminate sono le ceneri e le possibili Valentina Alberti

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polveri sottili, ma, per il primo caso, nel rapporto di Samsø (Jørgensen, 2007) è dimostrato che se la biomassa utilizzata è quella raccolta in sito, l’impatto è inesistente perché le ceneri possono essere utilizzate come fertilizzante per l’agricoltura ed essere poi tranquillamente assorbite dal terreno. Per le polveri sottili si fa affidamento agli impianti di ultima generazione che le riducono al minimo, aumentando allo stesso tempo il rendimento. Per ciò che riguarda il biogas l’impatto risulta nullo se ad essere utilizzati sono principalmente gli scarti di lavorazione, gli escrementi animali e i rifiuti di vario genere, mentre inizia ad avere una certa rilevanza se si fa affidamento alle colture energetiche. Il sottrarre terreno all’agricoltura porta ad un netto mutamento non solo delle attività locali ma anche degli equilibri ambientali. In conclusione si può affermare che, con le limitazioni dovute, le esperienze che hanno registrato una maggiore interazione tra sviluppo locale e rinnovabili risultano essere quelle che hanno utilizzato le biomasse come fonte per la produzione di energia. Le ragioni di tale corrispondenza sono state rintracciate nei seguenti fattori, che appaiono rilevanti nei termini di ripensamento di un’articolata bioregione urbana:  la definizione della filiera delle biomasse necessita di un completo coinvolgimento della comunità locale che è chiamata in causa sia come singolo utente fruitore di calore ed elettricità, sia come fornitore della materia prima necessaria agli impianti;  la filiera ha, inoltre, bisogno di un attento processo di programmazione, che permette non solo la condivisione da parte dell’amministrazione e della popolazione locale di un intento comune ma anche una maggiore conoscenza del territorio;  utilizzando gli scarti, la filiera delle biomasse fornisce da un lato un tornaconto economico e in termini di energia, e, dall’altro, solleva i fornitori dell’onere dello smaltimento delle materie di scarto.

3.2 | La filiera delle biomasse nei territori svantaggiati Delle pratiche prese in esame, che utilizzano come fonte energetica la biomassa, i territori di Samsø e St Ottilien possono essere considerati svantaggiati, per cui su di essi il discorso può essere approfondito per capire in che modo può aver influito l’introduzione del comparto energetico nelle dinamiche di sviluppo locale. Dal punto di vista economico, ovviamente, le ricadute non sono facilmente rintracciabili e quantificabili. A St Ottilien l’alleggerimento della spesa in bolletta è stato notevole, ma, in parte, a esso ha contribuito anche l’opera di isolamento degli edifici. A Samsø il grosso del guadagno si ha dall’energia venduta grazie alla produzione elettrica delle pale eoliche, mentre, le biomasse hanno messo in moto una serie di processi che hanno creato posti di lavoro per diverse decine di persone, aumentandone il profilo professionale. In un contesto urbano probabilmente questi numeri non sarebbero stati presi in gran considerazione, ma in un isola come Samsø, che negli anni precedenti al progetto Renewable Energy Island stava vendendo vertiginosamente diminuire il numero degli abitanti, riuscire ad offrire opportunità alla popolazione locale è significato una netta inversione di tendenza nel processo di spopolamento. Da un punto di vista sociale, l’organizzazione della filiera, la necessità di collaborare e di organizzarsi nei processi di raccolta e lavorazione dei prodotti di scarto, promuove i processi di coesione sociale, fondamentali per il raggiungimento di scopi e obiettivi comuni, e quindi per lo sviluppo sociale della comunità (Martini, 2000).

4 | Conclusioni Il nesso tra sviluppo locale e rinnovabili sembra essere particolarmente evidente se la fonte in questione risulta essere quella delle biomasse, soprattutto nel caso dei territori svantaggiati. La biomassa a cui si fa riferimento è in particolare quella proveniente dagli scarti di lavorazione e materie seconde di vario genere, per cui la sua raccolta implica necessariamente il coinvolgimento delle attività presenti a livello locale e l’organizzazione di una filiera che tenga conto delle dotazioni territoriali. Carattere fondamentale per la connessione tra rinnovabili e sviluppo locale è proprio la programmazione e la pianificazione dei processi, sia per non far degenerare un potenziale intervento di sviluppo in un investimento rischioso per l’ambiente, sia per coordinare i processi di partecipazione della comunità locale. Le rinnovabili se correttamente sfruttate, rappresentano un ottimo mezzo per il raggiungimento della sicurezza energetica delle aree svantaggiate. L’autosufficienza energetica consente alle piccole comunità di non essere soggette alle impennate dei prezzi dell’energia a livello nazionale, e consente, in particolari condizioni di abbondanza di risorse, di vendere l’energia in surplus ottenendo ulteriori guadagni.

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5 | Prospettive di lavoro Il lavoro fin qui condotto fornisce solo un primo quadro delle potenzialità e problematiche che legano le rinnovabili ai processi di sviluppo locale. La fase successiva avrà l’obiettivo di ampliare il campo di indagine per determinare quelli che dovrebbero essere gli elementi di cui la pianificazione si dovrebbe occupare per guidare i processi di sviluppo locale attraverso un più mirato e oculato utilizzo delle fonti rinnovabili con maggiori potenzialità.

Bibliografia Commissione Europea (2005), Riesame della strategia dell'UE a favore dello sviluppo sostenibile, COM(2005) 658 def, Bruxelles Consiglio delle Comunità europee (1975), Direttiva del Consiglio del 28 aprile 1975 sull’agricoltura di montagna e di talune zone svantaggiate, 75/268/CEE, Bruxelles IEA (2012), Renewable information 2012, International Energy Agency, Paris Jørgensen P. J. (2007), Samsø a Renewable Elengy Island. 10 years of development and evaluation, disponibile on line su http://energiakademiet.dk/wp-content/uploads/samso-renewable-energy-island.pdf Martini E. R. (2000), “La valutazione dei progetti di sviluppo di comunità”, in Elia P. (a cura di), Valutare la qualità dell'intervento sociale, CONEDIS, Torino OECD (2012), Linking Renewable Energy to Rural Development, OECD Puplishing, disponibile on line su http://www.iadb.org/intal/intalcdi/PE/2012/10377.pdf SVIMEZ (2011), Energie rinnovabili e territorio, Giannini Editore, Napoli

Sitografia Casi studio di Changing Behaviour, database nella sezione Project Outputs, Case Studies http://www.energychange.info/casestudies Casi studio di ManagEnergy, database nella sezione Library, Case Studies http://www.managenergy.net/casestudies.html Community Power Cornwall, caso studio su ManagEnergy, sezione Resources http://www.managenergy.net/resources/1439 Hvidovre Offshore Wind Turbine Co-operative, caso studio su ManagEnergy, sezione Resources http://www.managenergy.net/resources/1421 Parco eolico di Hvidovre, scheda tecnica del progetto disponibile sul sito di Hvidovre Vindmøllelaug http://www.hvidovrevindmollelaug.dk/Artikler/ewea_paper_poster225_hvidovre_vind_farm.pdf Kristianstad, Fossil Fuel Free Municipality, caso studio disponibile su ManagEnergy, sezione Resources http://www.managenergy.net/resources/1445 Samsø Energy Accademy http://energiakademiet.dk/en/vedvarende-energi-o/ Samsø – renewable energy island. Case study 18, disponibile su Changing Behaviour, sezione Case Studies http://www.energychange.info/casestudies/175-samso-renewable-energy-island St. Ottilien, Energy efficiency in Abbey St. Ottilien, caso studio su ManagEnergy, sezione Resources http://www.managenergy.net/resources/1420 St Gorran, caso studio sul sito della Community Power Cornwall, sezione Projects http://www.communitypowercornwall.coop/downloads/st_goran_design_&_access_statement.pdf

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Tra sostenibilità urbana ed economie rurali nelle regioni medio-adriatiche

Tra sostenibilità urbana ed economie rurali nelle regioni medio-adriatiche Ottavia Aristone Università G. d’Annunzio Chieti – Pescara Dipartimento di Architettura Email: aristone@unich.it Raffaella Radoccia Università G. d’Annunzio Chieti – Pescara Dipartimento di Architettura Email: raffaellaradoccia@gmail.com

Abstract Questa riflessione affronta la questione del rapporto tra sostenibilità urbana ed economie rurali nelle regioni medio-adriatiche, considerando le più recenti forme di organizzazione della produzione, del mercato, degli scambi di saperi e dei flussi sociali, che si svolgono all’interno di spazi aperti, nuovi o recuperati, spesso residuali, che tendono ad inserirsi nelle maglie urbane. Questa riflessione osserva, da un lato, le modalità con cui si stanno costruendo alcune reti (minori) rurali e peri-urbane, mentre dall’altro lato intende rivolgersi alla dimensione delle politiche agricole europee, in merito alla valorizzazione dei territori agricoli locali, su base identitaria, produttiva e ambientale. Parole chiave 1. economie rurali, 2. marginalità urbana, 3. immagini del territorio.

Uso e ri-uso agricolo delle fasce collinari abruzzesi E’ ormai noto come il territorio in Abruzzo si sia trasformato (e si stia ancora trasformando) anche in rapporto allo svilupparsi di una serie di processi di dismissione e riconversione produttiva, di ‘frammentazione’ abitativa e di progressiva organizzazione e ri-uso delle aree agricole. Al pari di altre regioni del centro e del sud Italia, piccole e piccolissime imprese si sono distribuite a ridosso delle aree urbane ed attraverso il loro territorio, secondo dinamiche che hanno seguito il ri-articolarsi dei più complessi e molto indagati fenomeni di dispersione e concentrazione insediativa (Clementi, Dematteis, Palermo, 1996). Da un lato il progressivo irrobustirsi del sistema delle infrastrutture viarie sembra mostrare una generale presa di distanza dalle trasformazioni recenti e di carattere più minuto, soprattutto se legate a pratiche di tipo residenziale. D’altro lato la particolare articolazione della struttura insediativa delle direttrici vallive che lascia emergere pratiche abitative nuove, legate allo svago, all’impiego del tempo libero, alla diffusione della grande distribuzione commerciale. Infine ai recenti e variegati fenomeni di frammentazione produttiva e riconversione funzionale delle aree agricole che permettono il rinnovarsi delle logiche localizzative già presenti. Proprio il rinnovarsi delle logiche localizzative segna l’ambiguità dell’organizzazione spaziale di molte attività e può essere analizzato in rapporto ai cambiamenti, che hanno coinvolto il sistema della produzione delle merci e della fornitura dei servizi nella Val Pescara. In relazione alle esigenze di riorganizzazione aziendale e di adeguamento alla nuova geografia dei mercati, regionali, nazionali ed esteri. Tra alterni processi di disarticolazione e nuove tendenze all’estroversione. Secondo una ben nota prospettiva di evoluzione post-fordista, che tende a non trascurare la specificità delle dinamiche locali, indagando sia il loro carattere, strettamente radicato nel tessuto sociale e culturale, sia la loro indiscutibile capacità di aprirsi all’esterno. Con l’idea di non esaurire la complessità dei fattori che influenzano le attuali scelte di ampliamento, ri-localizzazione o fusione industriale, ma di utilizzare uno sguardo consapevole verso le loro significative conseguenze sia sulla Ottavia Aristone, Raffaella Radoccia

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trasformazione dell’uso del suolo e delle consuetudini abitative, sia sulla loro importanza rispetto alle possibili scelte di governo. Un tale sguardo d’insieme sulle nuove aree produttive pescaresi si apre ad almeno due nuovi punti di vista, sulla scia delle interpretazioni citate. Il primo conferma il peso determinante del sistema infrastrutturale, quale struttura di uno sviluppo produttivo, in attuale trasformazione: dal Corridoio Adriatico, lungo la Val Pescara fino alla direttrice Pescara-Roma. Il secondo evidenzia una serie di aree produttive, di varia dimensione, distribuite a ridosso dei nuovi grumi insediativi, ed in particolare lungo le strade minori, in alcuni casi ancora tra le maglie deboli della produzione agricola. Per lo più si tratta di aree collocate tra le direttrici infrastrutturali e viarie, poste a ridosso di ferrovie ed aeroporti, attraversate dalle principali traiettorie del consumo di massa, deputate ad ospitare l’arena dello scambio sociale. Queste aree sono caratterizzate dalla presenza di materiali diversi villette, palazzine, orti urbani, aziende agricole, vigneti, uliveti, alberghi, ristoranti, cinema multi-sala e centri commerciali - ed esprimono modalità di organizzazione, legate a nuove forme di aggregazione, concentrazione e dispersione abitativa, che appaiono tanto persistenti da essere in grado di modificare i caratteri e le pratiche d’uso delle città e del territorio abruzzesi (Bianchetti, 2003, Viganò, 2004). In questo senso sono rappresentativi i fenomeni di riconversione produttiva e di distribuzione di piccolissime imprese, anche di tipo distrettuale, che stanno caratterizzando le colline pescaresi e le direttrici vallive trasversali alla costa, sebbene con alcune significative differenze funzionali, sia lungo la Val Pescara, sia a ridosso dell’area vestina, sia a ridosso della fascia di crinale centrale. A valle di un periodo, segnato dal generale rallentamento della produzione industriale e da significative trasformazioni amministrative ed istituzionali, la riflessione si orienta ad osservare in quali modi le nuove prospettive di crescita economica e sociale della regione, siano legate alla trasformazione del tessuto insediativo. A partire dall’osservazione dei legami tra economie esterne, diffusione dei beni collettivi, dimensione degli scambi di merci e servizi, peso delle piccole e medie imprese, distribuzione dei flussi di persone e di capitali, capacità di produrre innovazione e di creare e consolidare le relazioni internazionali. Tale territorio appare caratterizzato da un tessuto frastagliato di piccole e piccolissime imprese, di tipo artigianale, alternate a medie imprese, in particolare commerciali, segnato dal prevalere dei legami tra caratteri materiali e caratteri relazionali, secondo logiche di trasformazione ricorrenti ed ancorate alle consuetudini di vita locali. Se un tale sguardo mostra come l’articolazione territoriale della piccola e media impresa pescarese si intrecci con l’articolazione territoriale della produzione di beni e servizi, consente anche di suggerire come esista un tessuto filiforme di relazioni, meno visibili e ancora poco osservate. Relazioni sottili, che si intrecciano, per lo più, fuori dalle aree propriamente industriali, e si sviluppano piuttosto all’interno di particolari aree residenziali o commerciali. Verosimilmente secondo criteri che appartengono alle consuetudini di scambio proprie della cultura tradizionale abruzzese, prima ancora che pescarese.

Figura 1. Città Sant’Angelo (Pescara) Corso di Fondamenti di Urbanistica a.a. 2011-2012 (prof. Ottavia Aristone con Raffaella Radoccia e Silvia Romagnoli) – “Carta dell’uso del suolo agricolo”, redazione di Angela Cimini.

Il presupposto delle reti minori Nel rapporto tra aree urbane, spazio agricolo produttivo ed elementi naturali, le rimodulazioni che trattano le forme ibride di paesaggio agrario appaiono comunque orientate alla definizione prioritaria delle regole di trasformazione del territorio. In alcuni casi attraverso l’integrazione delle relazioni economiche, sociali e funzionali. In altri casi attraverso la separazione riconoscibile tra città e campagna, storicamente differenziate e comunque differenti per caratteri progettuali e governo del territorio. Ottavia Aristone, Raffaella Radoccia

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Questa tesi trova argomentazioni entro un campo ampio, che negli anni recenti è stato oggetto di dibattito internazionale e si è rivolto ad osservare le questioni legate all’auto-sostenibilità urbana, nel rapporto tra comunità locali ed economia solidale, sulla scorta dei rapidi cambiamenti territoriali e finanziari ormai in corso (Donadieu 1996, Secchi 2000, Indovina 2010). Ad esempio il tema dell'approvvigionamento urbano alimentare combina atteggiamenti di riscoperta delle produzioni locali con preoccupazioni sulla tracciabilità delle filiere e con una domanda di nuove forme di ruralità urbana sostenibile. Dal punto di vista dell'abitare in aree rurali si individuano domande a favore della organizzazione dei sistemi abitativi e domande a sostegno della produzione agricola, soprattutto nelle aree residuali. Dal punto di vista dell’approvvigionamento urbano si individuano iniziative orientate alla qualità del prodotto (GAS, Campagna amica, Terra amica) e ai servizi territoriali e al supporto dei loisirs urbani. In maniera più generale si tratta di assumere un orientamento allo sviluppo locale attraverso il recupero di una dimensione rurale, che si basava sul sostegno alle risorse locali del territorio, della società, delle pratiche quotidiane, nonché delle pratiche di produzione e consumo esistenti (Brusco, 2004). In questi anni la questione rurale dunque si rinnova e sostiene le esigenze di ripresa dei territori locali, candidandosi a costituire un punto di osservazione privilegiato sulla trasformazione del territorio urbano in aree marginali. In questo modo la questione rurale può cogliere gli snodi e i problemi, le dimensioni del mutamento e i flussi di innovazione, economica e sociale, le specificità agroalimentari e l’insieme della esperienza e del sapere a questi collegate, interpretandole come occasioni di sviluppo e quindi come strumenti di impostazione delle politiche pubbliche, a scala europea e regionale. In questo senso le diverse forme dell’agricoltura possono svolgere un ruolo rilevante per sostenere il mercato del lavoro, per ripristinare la manutenzione del territorio e della qualità delle relazioni sociali e della organizzazione del mercato. In questo senso l’agricoltura assume un ruolo multifunzionale (Magnaghi, 2007) articolandosi nelle filiere produttive, ma creando anche nuove esternalità economiche, che si caratterizzano come un sostegno al paesaggio, alla qualità delle acque, alla biodiversità, alla cultura e alle attività di ricreazione, facendo diventare il territorio un bene collettivo in sé (Donadieu, 2012) nella ricerca di un equilibrio tra produzione, ambiente, abitanti, risorse economiche e diverse dimensioni di sviluppo.

Il presupposto della nuova agricoltura tra locale e globale In generale il tema del rapporto tra sostenibilità urbana, economie rurali e marginalità appare rilevante anche per la comprensione del ruolo dell'agricoltura tra livello locale e globale. I movimenti contadini in America latina e alcune esperienze di agricoltura di sussistenza in Africa testimoniano della rinnovata ricerca di modelli di sviluppo alternativi, dove la relazione tra ambiente, produzione agricola e consumo pone insieme nuovi scenari abitativi e nuove sfide interpretative alle scienze urbane, economiche e sociali. La rinascita del modello contadino, su cui insiste ad esempio Jan Douwe Van der Ploeg (Donzelli 2009) rompe con lo schema dell’agroindustria e con la mercificazione dei prodotti agricoli, a favore di imprese auto-organizzate che massimizzano la resa del capitale ecologico, isolando così il circuito della riproduzione alimentare dalle logiche del mercato. Van der Ploeg propone che ciascun territorio si renda autonomo, cercando di mobilitare le proprie risorse all’interno di un processo produttivo che tenda a garantirsi la produzione nel tempo. Il quadro internazionale è però ricco di sfumature e aperto a esiti diversi. Anche i temi che parrebbero meno ambigui si prestano in realtà a interpretazioni distinte, che richiamano la scelta di diverse soluzioni, analitiche o di policy. In particolare alla luce dei mutamenti recenti nei consumi e negli stili di vita, che rendono sempre più attrattivi i territori, e in risposta alla domanda crescente di sviluppo, posta alle istituzioni pubbliche e rivolta anche alla ricerca e alla osservazione di buone pratiche nazionali e internazionali. La nuova agricoltura e l’impresa contadina in periodo di globalizzazione, l’analisi degli effetti di compressione dei processi di produzione agroalimentari, le forme di resistenza in atto a livello locale nel quadro della globalizzazione politiche agricole tra coesione e competitività, l’innovazione e la ricerca, le nuove tecnologie e reti a supporto delle aziende e dei prodotti, la conoscenza e la valorizzazione dei saperi e dei prodotti locali, la circolazione di informazioni tra produttori, le reti nell’agroalimentare, la filiera corta, l’agricoltura sociale e i nuovi modelli di produzione e sostenibilità. La riflessione sui contesti rurali di margine, nell’ambito della più ampia discussione europea sulle politiche agricole e sulla valorizzazione e lo sviluppo territoriale, su base identitaria, produttiva e ambientale (come testimonia - ad esempio - il progetto PURPLE “Peri-Urban Regions Platform Europe” per la programmazione 2007-2013) tendono a mostrare come il territorio aperto - e agricolo - necessiti probabilmente di uno statuto che comprenda la dimensione ambientale e biologica, a partire dalla pianificazione delle aree protette fino alla pianificazione ordinaria dei sistemi abitativi. Nei casi di dispersione insediativa delle regioni medio-adriatiche italiane, le aree agricole assumono la forma di spazi residuali, che si incuneano nell'urbanizzazione, tanto da diventare territori complessi con propria capacità produttiva, ma ancora caratterizzati da elementi naturali (boschi, vegetazione ripariale, piantate, macchie) e da relazioni tipiche dello spazio urbano (infrastrutture, insediamenti sparsi e complessi di elementi per la ricettività turistica).

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Tra Appennino e fascia costiera: la dimensione del probabile Non solo la letteratura ma anche le altre discipline ricorrono spesso a immagini più che a concetti. Al fine di fornire lo spunto per alcune riflessioni, di seguito sono state selezionate prefigurazioni o figurazioni concernenti studi e ricerche o progetti di territorio – interpretati come tali – e organizzato il discorso a partire dall’espressività ed efficacia delle elaborazioni grafiche. Quindi queste rappresentazioni si riferiscono al territorio del versante adriatico dell’Appennino centrale, che dai massicci del Gran Sasso e della Majella, raggiunge il mare in prossimità della foce del fiume Pescara. La presentazione della regione è affidata ad una raffigurazione sintetica, articolata secondo tre contesti territoriali predominanti: corpo ambientale, ambito 1 pedemontano e fascia costiera . Interpretazione estesa in cui corpi ambientali e contesti territoriali si sovrappongono. Sapere esperto, sapere comune e pratiche politiche concordano nell’individuare il contesto centrale quale sostegno utile all’efficienza funzionale della costa – il cosiddetto corridoio adriatico - e delle aree naturali appenniniche. Nelle immagini/studi di seguito, è possibile intercettare una vasta area di difficile interpretazione, la cui rappresentazione si fa grigia. Sono le terre di mezzo comprese/compresse tra storia e natura, tra le direzioni costiere e vallive e la dorsale dei parchi appenninici. Queste terre non sono più campagna e non sono più condensatrici di sviluppo locale, ma tentano di trovare uno statuto, una prospettiva di governance, secondo uno slittamento della struttura metropolitana, ovvero delle aree naturali protette, anche in considerazione di alcune importanti Direttive Comunitarie. La successione delle esperienze qui selezionate suggerisce anche alcune riflessioni circa, le modalità della loro selezione tematica e l’approccio che le contraddistingue. Il tratto distintivo della prima esperienza è l’estensibilità/ripetibilità di un metodo. Il sapere tecnico verifica e mette a punto dispositivi propri generali e verificabili, pertanto riproponibili. Nel secondo caso la completezza della interpretazione è affidata alla capacità di cogliere e organizzare il racconto delle relazioni territoriali. Il contesto in esame detta le regole e l’attitudine soggettiva alla comprensione è alla base di un sapere tecnico la cui trasmissibilità sembra affidata al merito piuttosto che al metodo. In virtù della complessità del presente, nei casi a concludere, il carattere paradigmatico è nella scelta del frammento, nella selezione del tema attraverso cui orientare la comprensione, la cui possibile reiterazione è inscritta nel contesto più ampio e nella sua pervasività nelle reti territoriali e urbane.

Figura 2. Area Chieti-Pescara: Le tipologie dell’insediamento, in IT.URB.'80 Rapporto sullo stato dell'urbanizzazione in Italia. Quaderni di Urbanistica Informazioni 8, 2 voll., Roma 1990, 2° vol., pp. 264-265 (immagine ricomposta).

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«[…] un’immagine dei flussi articolata su due livelli: il primo (connesso alla rete autostradale) che collega il sistema delle aree protette ai bacini di domanda della fruizione, il secondo (connesso alla rete stradale minore) che collega la prima rete alle porte di accesso dei parchi.», R. Mascarucci, in Appennino Parco d'Europa (2003), p. 56.

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Figura 3. Contesti di appartenenza. Le aree protette e il corpo ambientale in rapporto al contesto medio adriatico, in Dipartimento Ambiente Reti Territorio, Facoltà di Architettura di Pescara, Appennino Parco d’Europa: Studi d’area di Abruzzo, Molise e Puglia, Firenze, Alinea, 2003, p. 57.

Le immagini del territorio Nel 1982 prende avvio la ricerca universitaria IT.URB.‘802, che fornisce, per ciascuna delle aree significative regionali, due importanti rappresentazioni. La prima, Occupazione del suolo per pesi urbani, fornisce informazioni circa la quantità di suolo urbanizzato 3 secondo le differenti morfologie del territorio (tipologie insediative). La seconda, le tipologie dell’urbanizzazione4, è la figurazione delle molteplici forme dell’insediamento che riutilizzano, secondo modi differenti per tipo di aggregazione e prossimità spaziale, il capitale fisso disponibile - strade territoriali di antico e nuovo impianto, strade urbane, viabilità minore, strade rurali, strade vicinali, rete ferroviaria, asta fluviale. Consumo di suolo, morfologia dei luoghi e abitanti, agiti nell’unità di luogo, forniscono modalità interpretative interessanti. Il ricorso a metodi di indagine parzialmente quantitativi (indicatori omogenei) e l’approccio sostanzialmente sperimentale consentono di desumere eventuali gerarchie piuttosto che presumerle. Caratteri prevalenti del lavoro sono pertanto l’estendibilità del metodo - la scelta e la delimitazione dell’area significativa sono esito di necessità organizzative – e l’approccio non congetturale circa relazioni e prevalenze territoriali. Nel 1987, il Preliminare del Piano Territoriale della Provincia di Pescara5, propone una interpretazione del territorio costituita da un grande pettine costiero vallivo. L’immagine proposta è quella della π (pi greco) ritenuta in grado di restituire le grandi differenziazioni del territorio. Nel successivo Preliminare del 1994, la forma della rappresentazione non è messa in discussione. Si «spezza qualsiasi presunta unitarietà [...], sia la specificità e il carattere problematico delle diverse parti di cui il territorio è costituito, sia i sistemi di connessione che tra esse intercorrono»6. Tuttavia, «la nuova attenzione alla manutenzione della maglia viaria non è l’unico rilevante spostamento tematico introdotto [...] Le indagini paesistico ambientali hanno in questa fase del lavoro costituito uno sfondo importante di riferimento per le diverse ipotesi progettuali. Temi e problemi ambientali hanno in parte modificato la mappa strategica ridefinendone le priorità» 7. L’immagine si aggiorna e figura la complessità attraverso un ulteriore segno di chiusura dei rebbi: le direzioni longitudinali e trasversali sono rappresentate con tracce differenti alle quali si accostano e sovrappongono configurazioni areali, anch’esse differenziate. Temi, materiali e forma del piano si definiscono per successive 2

Alla ricerca coordinata da Giovanni Astengo, partecipano 12 unità regionali. Per ciascuna regione è stata predisposta la Scheda di sintesi contenente anche l’individuazione delle aree significative analizzate. 3 La monografia della regione Abruzzo, area significativa di Chieti-Pescara, è stata svolta da Giulio Tamburini, con Ottavia Aristone e Roberto Mascarucci. Le fasi dell’urbanizzazione, occupazione e consumo di suolo, superficie urbanizzata per tipologia di insediamenti (variazioni percentuali) sono relative agli anni 1951 e 1981. 4 La perimetrazione del suolo per usi urbani è conseguita secondo le differenti tipologie dell’insediamento distinte in: area centrale, periferia consolidata, frange urbane, nuclei consolidati, nuclei in formazione, case sparse perimetrabili, filamenti, e gli impianti produttivi esterni al territorio urbanizzato in aree attrezzate, raggruppamenti non strutturati, isolati, attrezzature speciali esterne al territorio urbanizzato. 5 Consulente del PTP di Pescara è Bernardo Secchi. Nei successivi Progetti Preliminari (1994 e 1996) e in quello definitivo del 1998 il gruppo si arricchisce di altre figure di riferimento. 6 Amministrazione provinciale di Pescara (1999), p.23. 7 Ivi, p. 39. Ottavia Aristone, Raffaella Radoccia

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approssimazioni. Più di ogni altra parte del lavoro, nel corso del tempo, è stata la potenza dell’immagine proposta a ridefinire la visione del territorio: un punto fermo a sistematizzazione di un ciclo di trasformazione di difficile comprensione nel suo insieme. Nell’ultimo decennio la narrazione si fa molteplice: la complessità si scompone e si delineano più immagini, ciascuna delle quali interpreta una prevalenza spaziale (territoriale) e tematica. Le infrastrutture addossate alla linea della costa pescarese8 sostengono l’immagine di “spazi selezionati”, di “sezioni complesse” - svincoli e viadotti – attraverso cui intercettare molteplicità e differenze nelle quali «la complessità è non un punto di partenza, ma un obiettivo da raggiungere nella interpretazione dei mutamenti in corso […].rifiutando una concezione dello spazio metropolitano, quale indifferente superficie pronta ad accogliere i variegati oggetti della contemporaneità»9. … si comprimono gli imbocchi vallivi… è il motto e l’immagine proposta e le numerose esplorazioni progettuali presentate, ben rappresentano la difficoltà dei luoghi trattati. Pressoché contemporaneamente, lo Schema di inquadramento strategico proposto dal Progetto APE Appennino Parco d’Europa: studi d’area di Abruzzo, Molise e Puglia (2003), propone quattro differenti raffigurazioni - in forma di scenari – che declinano contenuti, opportunità e indirizzi per l’azione relativamente ai territori della catena appenninica. «Così la strategia del rafforzamento dei corridoi ecologici e dei parchi e aree protette della […] immagine (Ape debole) si può praticare agevolmente anche all’interno della […] immagine proposta (Ape integrato) che punta invece allo sviluppo più complessivo della coesione dei territori appenninici […] allo stesso modo può inserirsi nella quarta immagine (Apitaten) che complessifica ulteriormente le relazioni di interdipendenza coinvolgendo anche i territori urbanizzati delle fasce costiere» 10. Queste esperienze possono essere considerate immagini costruite da un sapere esperto per sostenere linee d’azione adatte alle tendenze evolutive, politiche territoriali e prospettive di governance. Nella prima, IT.URB. ‘80, città e territorio non sono ipotizzati: l’immagine è tramite di una euristica che consente di accostare differenze e somiglianze secondo ritmi non presunti. L’immagine proposta dal PTP di Pescara segna il passaggio alle successive nelle quali prevale il carattere congetturale. Si configurano, piuttosto come immagini di scenario. Attualmente nuove immagini di scenari declinano quadri ambientali e sistemi funzionali - insediativi, infrastrutturali e produttivi - secondo geometrie variabili. Forme e senso delle nuove figure necessitano di approfondimenti sul campo anche in considerazione della levità dei fenomeni relativi ad alcuni settori rilevanti, quali, ad esempio, alcuni sistemi del lavoro, difficilmente rintracciabili attraverso il ricorso esclusivo ai dati quantitativi ufficiali. Si ritiene tuttavia che, a fronte di interpretazioni proposte negli scorsi decenni secondo le quali i principali sistemi urbani e infrastrutturali sussistevano quali propagatori di trasformazioni per le aree limitrofe secondo modalità e profondità direttamente proporzionali alla forza dei sistemi medesimi, nella fase attuale sono queste "aree grigie" - quadri territoriali intermedi - a proporre interessanti modalità di trasformazione. Sono territori di modeste dimensioni, di rilevante qualità ambientale e paesaggistica e diffusa imprenditorialità nel settore primario e nell'artigianato che utilizzano i sistemi funzionali contermini secondo criteri di utilità reciproca.

Le prospettive di governance I modi e le forme delle politiche territoriali, che definiscono i termini della partecipazione alla competizione dei territori e delle città, sono di fatto le linee d’azione attraverso le quali si tenta di attribuire statuto di realizzabilità alle immagini di scenari proposte dal sapere esperto nell’ultimo decennio. La Regione Abruzzo, grazie alla sua posizione geografica, rientra in due aree di cooperazione: quella balcanica che guarda all’allargamento ad est dell’Unione Europea e quella euro-mediterranea con la creazione della Zona di Libero scambio tra l’UE e i Paesi Terzi del Mediterraneo prevista per il 2010. La dimensione territoriale della politica di coesione assegna un ruolo primario alle città, quali centri di sviluppo, di crescita locale, di relazioni internazionali e integrazione territoriale. I principali attori dello sviluppo saranno quelle città che avranno la capacità di mettersi in rete allo scopo di garantire uno sviluppo equilibrato e policentrico collegando le aree urbane più importanti con i centri piccoli e medi: infrastrutture e tecnologie allo scopo di collegare le aree urbane e connetterle con le zone rurali; azioni di cooperazione tra le regioni UE utili a superare le frontiere nazionali allo scopo di promuovere la competitività dei territori. Il ruolo di leadership che può svolgere Pescara, dati i caratteri identitari della città, si sostanzia intorno ad alcune “vocazioni di fondo”: porta di accesso verso uno spazio più ampio (posizione geografica e infrastrutture); città 8

Si fa riferimento alla Ricerca In.Fra Forme insediative e infrastrutture. Procedure, criteri e metodi per il progetto, 19992001, coordinatore nazionale Aimaro Isola, l’unità di Chieti è coordinata da Pepe Barbieri. In.fra. Atlante forme insediative e infrastrutture (2002) e In.fra. Manuale forme insediative e infrastrutture (2002). In.fra. Esperienze, forme insediative ambiente e infrastrutture (2004). 9 In.fra. (2004), p. 155 10 Ibidem. Ottavia Aristone, Raffaella Radoccia

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erogatrice di servizi (università, commercio, credito, terziario avanzato); città della conoscenza aperta al nuovo (dinamismo culturale, creatività ed eterogeneità di interessi); crocevia sull’asse Tirreno - Adriatico (porta ad est di Roma); snodo intermodale nel sistema adriatico verso i Balcani. La definizione di priorità tematiche e territoriali sono chiaramente leggibili per il mosaico urbano adriatico e vallivo dell’area pescarese, non altrettanto la fattibilità delle azioni necessarie, pur tuttavia individuate. Per le aree naturali protette, la precisazione di alcune tematiche stenta a declinare le azioni secondo criteri di efficacia convincenti. Come in altre regioni, ad esempio, si sta discutendo sul sostegno alle vecchie e nuove attività turistiche, sulla differenza tra le possibilità di sviluppo turistico nelle aree montane e costiere, sugli esiti che può produrre sulle forme di governance per i quali si fatica a ragionare su ambiti più estesi secondo strategie combinate e coerenti.

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Processi di salvaguardia e valorizzazione dell'identità mediterranea

Processi di salvaguardia e valorizzazione dell'identità mediterranea Francesca Bilotta Università della Calabria Dipartimento di Ingegneria Civile Email: bilotta.francesca@gmail.com

Abstract Il presente contributo pone l'attenzione sulla possibilità di intervenire su sistemi costruiti e consolidati, nello specifico l'area collocata nell'alto tirreno calabrese, che hanno perso, o rischiano di perdere, la propria identità. Riscoprire i valori di un luogo, salvaguardare l'identità mediterranea, conoscere teoria e pratica del costruire, migliorare la qualità dello spazio abitabile perseguendo come obiettivo il riuso sostenibile, sono temi alla base delle nuove prospettive di crescita di un territorio e motori di innovative strategie di recupero che possono riuscire a integrare insediamenti isolati in sistemi a larga scala. Parole chiave Conoscenza, Recupero, Riuso sostenibile

E' facile pensare che i temi energetici e sostenibili siano contrapposti a quelli della tutela del patrimonio storico. Lo studio proposto per il convegno tende a dimostrare come coniugando i principi innovativi della sostenibilità con le pratiche della conservazione integrata e duratura, sia possibile superare l'ormai nota dicotomia innovazione-conservazione. L’interesse per tale tema si individua all’interno del dibattito e delle numerose sperimentazioni contemporanee inerenti i nuovi metodi di valorizzazione dei caratteri culturali originari del patrimonio storico, coniugandoli con l'innovazione tecnologica1. Lo studio, in accordo con le tesi sostenute nel panorama nazionale e internazionale, vuole mettere in evidenza che la sostenibilità applicata all'edilizia storica deve necessariamente includere concetti legati alla fruizione e alla compatibilità con il contesto e non può far solo riferimento a standard, indici e classificazioni, facilmente utilizzabili per l'edilizia più recente. E' necessario relazionarsi, conoscere e integrare i materiali costruttivi storici, con le antiche tecniche, con le tipologie edilizie che compongono l'intero tessuto, e solo alla fine proporre possibili interventi innovativi che generino processi di sviluppo sostenibile. Già nel 1994 la carta di Aalborg definiva i principi per sviluppare azioni volte alla realizzazione dello sviluppo sostenibile in ambito urbano2. Le pratiche di riqualificazione, ridestinazione e recupero sostenibile, che mirano alla salvaguardia delle risorse fisiche e materiche degli insediamenti, con attenzione al tessuto sociale, devono essere capaci di soddisfare le necessità dell'oggi senza distruggere la storia e l'identità di un luogo, rispettando 1

In ambito internazionale, progetti come SECHURBA Sustainable Energy Communities in Historic Urban Areas, finanziato dall'Unione Europea, o il movimento GBC green building council, propongono sistemi di valutazione e certificazione della salubrità ed eco-sostenibilità del patrimonio edilizio esistente, definendo compatibilità e fattibilità degli interventi. Scuole di metodo come l'Università di Bologna, con il Prof. Cesare Dell'Acqua, e l'Università dell'Aquila, stanno puntando l'attenzione su metodi compatibili di intervento che consentano di salvaguardare i procedimenti costruttivi tradizionali. Nel panorama italiano, ed in particolare per quanto riguarda l'identità mediterranea, si guardi al progetto CASE MEDITERRANEE, che vede la cooperazione di comuni liguri, toscani, sardi e di un partner francese per individuare cinque cantieri pilota per promuovere la sperimentazione del risparmio energetico degli edifici nei borghi storici mediterranei, o il progetto SUN&WIND, promosso dalla regione Sicilia, e in particolare dall'amministrazione di Palermo, per la costituzione di un sistema normativo che regoli gli interventi tecnici e metodologici per un maggior comfort ambientale degli edifici esistenti. 2 Tale carta rappresenta il primo passo per l'attuazione dell'Agenda21, programma di azione espresso nella conferenza di Rio de Janeiro del 1992. Nel 1999 il CIB, International Council for research and innovation in Building and costruction, definisce come punti strategici della sostenibilità il recupero dell'edilizia esistente, l'attenta manutenzione del costruito e la promozione della salvaguardia dei nuclei storici. Francesca Bilotta

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quindi la materia che è contenitore di antiche e numerose qualità intrinseche. In tale processo è necessario prefiggersi obiettivi di compatibilità ambientale, misurando le risorse a disposizione e valutando le alternative prestazionali che possono essere utilizzate, il tutto al fine di favorire la durabilità della costruzione, cioè quella che Philippe Samyn, architetto e ingegnere belga, definisce la piacevolezza, la capacità di un oggetto di essere amato e di continuare a rivestire nel tempo il ruolo originariamente assegnatogli o un nuovo ruolo vicino e riconoscibile da una società (Samyn, 1997). Tale concetto risulta coerente con le concezioni contemporanee sulla conservazione e il riuso dei centri storici, e incontra la definizione che vede lo sviluppo sostenibile capace di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri (Rapporto Brundtland, 1987). Estendendo il concetto possiamo quindi affermare che il restauro sostenibile consente alle generazioni future di riconoscere i valori culturali originari, integrandoli però con quelli più moderni, mediante l'utilizzo di tecnologie che innalzano standard abitativi e vivibilità. La riqualificazione degli edifici esistenti, soprattutto se appartenenti a nuclei storici, richiede quindi uno sforzo progettuale maggiore, in quanto è necessario creare un equilibrio tra istanza conservativa e sostenibilità, definendo precise interazioni tra qualità ambientale, efficienza economica e qualità sociale. Intervenendo sui centri storici si fa riferimento all’adeguamento sostenibile. Diversi sono gli aspetti che devono essere coinvolti nella progettazione rivolta all'edificato storico: l'organizzazione spaziale funzionale, le regole aggregative, le condizioni micro-climatiche interne ed esterne. Un insieme di variabili che intervengono nell'evoluzione dei caratteri tipologici e richiedono, per essere compresi ed affrontati, un inquadramento sistemico. Le scelte progettuali dovranno essere coerenti tra gli indirizzi materico-costruttivi, l'articolazione spaziale e l'assetto formale e dovranno presentare una continuità transcalare tra l'organismo edilizio e l'intera struttura urbana a cui appartiene (Dell'Acqua, 2001, 2008). La Convenzione Europea del Paesaggio, operante anche in Italia dal 2006, definisce quest'ultimo come una componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni e deve essere percepito dalle comunità come una risorsa, come parte integrante della loro storia, identità e cultura. Quindi preservare, valorizzare e recuperare i caratteri dell’ambiente e le più significative identità dei luoghi significa contribuire ad aumentare la qualità della vita e del benessere sociale della popolazione. La Conferenza generale dell'UNESCO del 2011 sposta l'attenzione direttamente al paesaggio storico, definendolo «stratificazione storica di valori culturali e naturali» che «sono stati prodotti da una successione di culture e da un'accumulazione di tradizioni» (UNESCO, 2011). E' quindi ormai opinione diffusa che sia necessario considerare il paesaggio come un insieme unico di elementi naturali e culturali, una risorsa, materiale e immateriale, da analizzare nei valori e nell'identità che inevitabilmente mutano nelle diverse realtà locali e regionali. L'ambito preso in considerazione è quello del paesaggio Mediterraneo, che «...non è un paesaggio, bensì innumerevoli paesaggi» (Braudel, 1946), e guardiamo a questo non solo nell'accezione di luogo naturale, ma considerandolo come «combinazione di aspetti naturali, culturali, storici, funzionali e visivi...segnato profondamente dall'impronta dell'uomo...prodotto di una cultura e di una vita urbana e rurale raffinata» (Carta del Paesaggio mediterraneo, 1992). Un significato dunque molto ampio che cerca di cogliere e indagare sulle vocazioni storiche e culturali dei luoghi, che cerca di comprendere i meccanismi che hanno generato e regolato l'evoluzione di questo contesto. Nei territori costieri, cioè quell'insieme «di aree e di territori che sono influenzati fisicamente, economicamente e socialmente da una forte interazione tra terra e mare» (Benoit, Comeau, 2005), è possibile leggere le risorse che racchiudono e le diverse ragioni che li hanno generati; è possibile evidenziare la varietà di situazioni espositive, le conformazioni geomorfologiche, le differenti relazioni tra terra e mare, le forme dell'uomo e del suo abitato, segni storici, culturali e architettonici. Ma questi luoghi sono da tenere oggi più che mai sotto controllo per la condizione di degrado ambientale e di perdita di identità locali che spesso li caratterizza. La forte pressione esercitata dai sistemi produttivi e dal turismo ha provocato un uso distruttivo dei valori ambientali e paesaggistici, la cancellazione di antichissimi valori culturali, la perdita dell'equilibrio tra edificato e natura, l'abbandono del patrimonio storico, l'allontanamento da materiali e tecniche legati alla tradizione e alla produzione locale. Lo studio proposto si è concentrato sul paesaggio costiero appartenente all’Italia meridionale e in particolare alla parte settentrionale della regione Calabria. L'alto tirreno calabrese, in un'area compresa tra i paesi di Cetraro, limite a sud, e Scalea3, appartenenti alla fascia anche definita come Riviera dei Cedri, occupa un'area di costa lunga circa 40 km, ricca di eccezioni quanto di elementi comuni, di una matrice originaria che permette di descrivere l'area come un insieme diversificato e multiforme, ma al contempo omogeneo (Figura 1). La costa stessa definisce un macrosistema identitario e strutturante in cui i nuclei urbani più antichi erano tradizionalmente localizzati, per motivazioni spesso di natura difensiva, a pochi chilometri dal mare, posizionati sulle prime propaggini della catena collinare che chiude ad est il territorio. Il mosaico di centri storici è caratterizzato nella formazione ed evoluzione proprio dalle caratteristiche naturali di acclività, esposizione e 3

Tale limite territoriale è inteso come ambito dello studio affrontato, ma in fasi successive potrà essere esteso all'intero sistema costiero che compone la parte settentrionale della regione.

Francesca Bilotta

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morfologia del luogo. Lo spazio ha accolto le esigenze insediative, produttive e culturali delle comunità che vi si sono insediate. Sovrapposizioni e integrazioni si leggono nei tessuti storici ormai consolidati, in cui sono presenti una varietà di tipologie edilizie distribuite secondo uno schema apparentemente casuale, ma che in realtà rispetta la natura stessa dei luoghi, la conformazione fisica; morfologia e tipo si influenzano a vicenda e definiscono un costruito compatto, concentrato e denso di pietre quanto di significati; strette e tortuose strade, piccoli slarghi al centro della vita sociale4, compongono questi borghi medioevali dalla struttura prevalentemente piramidale, in cui l'architettura difensiva, mura di cinta, castelli e torri, ne sono quasi sempre il vertice5. Agli antichi esempi di insediamenti greci e romani (es. Diamante e Cirella), si sono aggiunte e stratificate le maggiori emergenze architettoniche, risalenti ai tempi della dominazione spagnola. L'architettura, civile e religiosa, porta esempi anche dall'alto valore monumentale, essendo questi luoghi spesso nati e sviluppatisi per volere di nobili famiglie, provenienti anche dall'entroterra calabrese (es. Belvedere). La stessa vocazione agricola ed ittica delle comunità che li hanno abitati è visibile e riconoscibile nel costruito che li compone e si è andata poi integrando con la presenza successiva di elementi destinati a produzioni più industriali6.

Figura 1. Ambito costiero considerato

Dagli anni '50 uno sviluppo turistico incontrollato ha determinato un' iperemia edilizia nella fascia compresa tra la catena montuosa e il mare. I nuclei urbani di recente costruzione, a valle, a ridosso della costa, spesso destinati a residenza estiva, hanno definito una nuova città, lineare, estranea all'abitare tradizionale di questi luoghi, quasi spontanea, e talmente salda, continua e ripetibile che è difficile differenziare un centro dall'altro. Tale congestione, non solo ha avuto effetti profondi sulla risorsa suolo ma ha squilibrato definitivamente la struttura insediativa originaria. Il sistema mare-costa-entroterra risulta oggi diviso in tre fasce, longitudinali all'elemento acqua. Gli insediamenti turistici moderni fanno da porta al mare e sono divisi dai centri storici da una lingua di terra, di profondità variabile in funzione dei caratteri geomorfologici e ambientali, destinata alle infrastrutture, strada statale e ferrovia, che non permettono agevoli collegamenti con gli insediamenti antichi, che anche per tale motivo stanno perdendo la loro identità e il loro carattere di centro di vita associata (Figura 2). Vista la complessità del processo è necessario improntare un modello che abbia alla base delle chiare linee guida, efficaci strategie attuative e che riesca a coinvolgere più soggetti, produttori e fruitori, creando un sistema 4

La presenza di vuoti all'interno dei centri storici derivanti da spazi di risulta e non come vere e proprie piazze, è un carattere identitario di molti centri del territorio calabrese, non solo in riferimento ai piccoli borghi ma anche a agli ambiti storici delle città. Si veda, ad esempio, la situazione di Cosenza e di Catanzaro (Canonaco, 2007; Faeta, 1984). 5 I tracciati viari labirintici, che seguono la morfologia del territorio, convergono solitamente verso un centro ideale, costituito da un edificio religioso o dal castello. Deroga alla composizione di questo sistema difensivo il paese di Sangineto, che presenta oggi il suo castello nella parte a valle. Le indagini storiche testimoniano, però, che l'originaria fortezza era presente anche in questo caso nella parte più alta del borgo abitato. 6 Nell'ambito considerato sono ancora oggi visibili numerose fabbriche tessili, legate alla fiorente produzione di bachi da seta, e fabbriche alimentari, per la lavorazione di olio, zucchero, liquirizia e agrumi, come ad esempio il cedro caratteristico di questa area costiera. Francesca Bilotta

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interdisciplinare e multidisciplinare che riesca a fondere istanze culturali, sociali e architettoniche partendo da un'analisi qualitativa e quantitativa.

Figura 2. Studio del sistema a tre fasce per il centro di Cetraro

In particolare, nello studio qui proposto, il processo di salvaguardia e valorizzazione ha alla base numerose indagini preliminari. E' stata necessaria una conoscenza approfondita del singolo bene basata su una restituzione grafica mediante rilievo diretto e indiretto e su una puntuale ricostruzione storico-documentale. La storia infatti entra in modo determinante nello studio della genesi degli spazi urbani, in quanto le forme urbane sono il prodotto della società che nel tempo le ha generate e modificate secondo i propri bisogni e necessità. Le valutazioni si sono poi concentrate, anche se con risultati ancora parziali, su una lettura morfo-tipologica7, un'analisi dei caratteri stilistici e delle tecniche costruttive8, riconoscendo anche tutti quei sistemi tradizionali che possono essere già intesi come sostenibili. Le tecnologie costruttive tradizionali, e in questo caso quelle dell'alto tirreno calabrese, hanno già in loro principi energetico-sostenibili. E' semplice ad esempio ritrovare all'interno dei centri storici, soprattutto dove era necessaria una gestione accurata di questa risorsa, tecnologie mirate alla raccolta e alla gestione delle acque, attraverso l'utilizzo un tempo di canali di flussi di distribuzione e smaltimento, e poi di più moderni pozzi, a volte anche collegati con la copertura stessa dell'edificio. Per quanto riguarda il risparmio dell'energia, erano frequentemente utilizzati camini di ventilazione, archi e cupole per ridurre la temperatura nel periodo estivo, e al contempo materiali isolanti, come terra e argilla, per gestire la dispersione del calore nei mesi invernali. Inoltre, in generale, le soluzioni architettoniche adottate nelle costruzioni erano in stretto rapporto con l'ambiente in cui erano inserite. Orientamento, forma dell'edificio, coperture, erano determinati da una tradizione costruttiva generata dall'ambiente stesso e da soluzioni studiate per far fronte, ad esempio, agli aspetti climatici dell'ambito in cui si andava ad intervenire. Sono facilmente riscontrabili anche caratteristiche bioclimatiche tradizionali, come le significative altezze degli ambienti, che favoriscono il raffrescamento; l'utilizzo di una grande massa termica, mediante spessori di parete notevoli che favoriscono il controllo della temperatura interna; le ridotte superfici vetrate, che permettono un miglior controllo dell'irraggiamento solare. In seguito è necessario valutare i materiali utilizzati nella costruzione9 e le forme di degrado a cui questi sono sottoposti, in modo da effettuare una diagnosi sulle condizioni di conservazione del sistema ambientale e tecnologico.

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Le abitazioni-tipo sono risultato di numerose interazioni antropiche e naturali. La morfologia del luogo fa si che le unità siano spesso collegate le une alle altre per due o tre lati, con la facciata principale rivolta prevalentemente a sud. Le case sono costituite da un piano terra e da uno o due piani superiori. Le stanze, nella cellula elementare, presentano una dimensione di 4x3 mt o 5x4 mt. All’esterno si alternano cortili o piccoli spazi di risulta, mentre, nei casi più isolati, piccoli orti o giardini. 8 Analizzando ad esempio le strutture di chiusura verticale si può notare come i muri esterni, realizzati con diverse tecniche, hanno spessore tra 50 e 60 cm; mentre gli elementi di divisione interni, spesso in mattoni o canne intrecciate, sono intorno ai 30 cm. 9 La maggior parte dei materiali utilizzati nelle costruzioni di questi centri sono raramente di importazione e normalmente reperiti in loco. Le murature si differenziano per uso di elementi a secco o selci e calce, in base alla dimensione dei conci Francesca Bilotta

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L'edificio storico deve essere inteso come parte integrante di un sistema territoriale in cui è fisicamente collocato e antropologicamente stratificato, e che per tale motivo è portatore di identità sociali, di tradizioni storiche e culturali. E' necessario quindi guardare alla complessità del sistema edificato, valutando l'integrazione con il contesto urbano e territoriale e l'interazione tra edificato e ambiente fisico. In tal senso è necessario valutare fattori orografici (pendenze, dislivelli), fattori ottico-percettivi, come la posizione rispetto al mare o la struttura dei collegamenti e dei percorsi, fattori climatici, definendo le dirette relazioni tra questi e le costruzioni stesse. La conoscenza dell'ambiente deve prevedere anche la valutazione delle forme insediative, cioè quegli aspetti naturali che hanno influenzato la localizzazione e la tipologia dell'intero insediamento (aggregazione delle cortine edilizie, relazioni tra percorsi ed edificato), i caratteri organizzativi e distributivi della struttura urbana (emergenze architettoniche, relazioni tra gli spazi, pertinenze e invasi), gli aspetti evolutivi della trasformazione storico-morfologica (stratificazioni storiche, invarianti tipologiche e trasformazioni morfologiche). Ma la città ha un corpo, dato dal suo tessuto, da cioè che è materiale, ma anche un'anima, data dal carattere degli individui che vi abitano e dalle sensazioni che il luogo esprime. Quindi l'ambiente deve essere considerato anche per quanto riguarda gli aspetti economici e le dinamiche socio-culturali, evidenziando come questi siano nel tempo riusciti a generare, modellare e modificare la realtà costruita del centro storico. L'obiettivo dei processi di trasformazione e modificazione è quindi quello di valutare la reintegrazione dell'oggetto nel sistema urbano; una rigenerazione urbana che parte dal singolo intervento e, procedendo mediante processi di partecipazione, sostenibilità e integrazione, definisce un nuovo sistema di rete culturale, sociale e produttiva. Secondo questo principio di base, i processi sostenibili sui centri storici devono essere di tipo olistico, cioè esaltare il concetto secondo cui il tutto è un'entità più ampia della somma delle singole parti di cui si compone. Non si deve ricercare la modernizzazione ma un adeguamento che genera progetti articolati, creativi e profondamente responsabili, che svelano la città nel suo potenziale storico-estetico, mantenendo le memorie passate. Il problema consiste nel definire interventi tecnologici capaci di migliorare il comfort abitativo e l'efficienza funzionale ed energetica, mantenendo il pieno rispetto delle caratteristiche storiche e artistico-architettoniche dell'edificio, dell'indole delle pietre, dei materiali, della manodopera locale e di chi ha vissuto e si è identificata con quell'ambiente costruito. Il processo di salvaguardia, intesa come l'insieme degli interventi di recupero sul patrimonio edilizio, finalizzati ad un riuso quanto più possibile compatibile con l'abitare contemporaneo e che considera l'organismo edilizio come vivente e funzionale, prevede la valorizzazione dei sistemi esistenti e l'integrazione degli impianti e delle tecnologie moderne in modo compatibile con l'edificio esistente, valutando l'ammissibilità dei materiali integrati sia da un punto di vista fisico-chimico che estetico. Gli interventi comprendono il miglioramento delle prestazioni dell'involucro edilizio e la parziale riorganizzazione funzionale di questi, compatibilmente con i caratteri tipologici e costruttivi precedentemente analizzati e classificati e senza alterare il carattere storico dell'ambito di intervento. Comprendere l'identità del mediterraneo significa leggere la stratificazione degli usi e dei significati che si sedimentano nei luoghi, in stretta sintonia con l'evolversi dei modi di vita delle comunità e con i loro saperi. Per valorizzarla è quindi necessario considerare emergenze e vocazioni territoriali, valutando le risorse locali, ambientali quanto sociali, fino a definire un sistema di valutazione tecnico ed economico finanziario. L'obiettivo è quello di stabilire gerarchie nel tessuto antropizzato, in modo da individuare e privilegiare le testimonianze culturali, sociali e architettoniche che meglio lo rappresentano, e effettuare una riproposizione innovativa della logica abitativa e costruttiva tradizionale. Le valutazioni, che partono dal singolo elemento e coinvolgono poi tutto il territorio oggetto di studio, mirano a individuare una struttura fatta di invarianti e varianti, una matrice comune che può essere riprodotta e implementata in quest'area con caratteristiche e valori comuni. Il processo di valorizzazione si conclude con la definizione di nuove funzioni da assegnare all'intero sistema analizzato, ma non prima di aver generato una ricucitura delle smagliature fisiche, funzionali e simboliche, poiché solo in questo modo sarà possibile determinare processi, sociali ed economici, duraturi ed efficaci per la valorizzazione di questi centri oggi isolati. Creare una efficace rete di connessione distribuita permette non solo di innescare processi di sviluppo e riqualificazione, ma permette di ricucire il territorio lungo l'asse costiero e trasversalmente verso l'interno, unificando l'innaturale frattura tra città antica, spiaggia e collina. Stabilire una nuova rete di flussi significa creare sottili e al tempo stesso profonde relazioni, necessarie per ricostruire e ristabilire armonia, senso e misura in un territorio storicamente, architettonicamente e socialmente ricco di segni, identità e valori.

Bibliografia Braudel F. (2010), Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, Milano. Benoit G., Comeau A. (2005), Mediterranée: les perspective du Plan Bleu surl'environnement et le développement, éditions de l’Aube et Plan Bleu, diffusion Seuil, Paris. Faeta F. (a cura di, 1984), L'architettura popolare in Italia. Calabria, Laterza, Bari. da utilizzare. Fibre vegetali, terra, argilla e sabbia sono tra i materiali più impiegati. Il legno resta comunque la risorsa più diffusa e sfruttata per la realizzazione di solai intermedi e superiori. Francesca Bilotta

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Processi di salvaguardia e valorizzazione dell'identità mediterranea

Canonaco B. (2007), Cosentia. Il progetto dell'antica città calabra attraverso i documenti di archivio e le vedute storiche, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ). Samyn H., Samyn P. (1997), Samyn and partners. Architecture to de lived, L'Arca, Milano. Dell'Acqua A. C., Ferrante A. (2008), "Adeguamento energetico e riqualificazione ambientale nei borghi storici", in L'Italia si trasforma- + Qualità - Energia per costruire sostenibile, BE-MA, Milano. Dell'Acqua A. C., Ferrante A. (2001), "Evoluzione dei processi tipologici e sostenibilità ambientale", in Monti C., Roda R. (a cura di), Costruire sostenibile - Il Mediterraneo, Alinea, Firenze.

Sitografia Rapporto Brundtland, disponibile su Cedam, sezione sviluppo sostenibile, documenti http://cedam.unical.it/index.php?option=com_content&view=article&id=83&Itemid=53 Raccomandazioni dell'UNESCO sul paesaggio storico, disponibile su UNESCO, sezione attività http://whc.unesco.org/en/activities/638 Carta del Paesaggio mediterraneo, sul sito ISPRA, sezione Gelso, buone pratiche per il paesaggio, area normativa e documenti http://www.sinanet.isprambiente.it/it/gelso/buone-pratiche-paesaggio/normativa

Francesca Bilotta

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Designing hierarchies: the role of ecological networks beyond local framework conditions

Designing hierarchies: the role of ecological networks beyond local framework conditions Giuseppe Bonavita Università della Calabria DIATIC - Dipartimento di Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio e Ingegneria Chimica Email: giuseppe.bonavita@unical.it

Abstract In the future, the planner will handle scenarios mainly centred on regeneration issues. In a context of weak growth, the construction of new sustainable cities has become a wasteful practice, several studies show that convert existing town in a sustainable way is more useful in order to prevent pollution and soil consumption. Starting from the codes of sustainable urban design models as Smart Growth theory or New Urbanism movement, the study case, which is reported in this paper, attempts to define the links between several scale of intervention in the regeneration process that involves small towns. In region of Crati Valley a strong decrease of urban pressure, which is observed in last years, open the possibility to focus on new solution concernig a better quality of existing urban and also in order to solve environmental issues linked to unsustainable models and behaviours. Keywords greenways, sustainability, traditional neighbourhood.

The city after urban growth The global economic crisis, has spread throughout a wide range of regions, countries, cities and neighbourhoods assuming a variety of forms and contexts. It has penetrated rural areas and cities, has simultaneously taken over large metropolises and small urban centres and has caused devastation in neighbourhoods as well as in central districts. In short, it has spread over the most diverse geographies. It is clear that cities and local governments are on the front line of the crisis, in terms of its impact on people, businesses and places. From sheer necessity, cities have also already started to explore a wide range of responses. Several studies on the impact of the economic crisis and also the responses to address the recession developed by Universities, Governments and Associations of Urban Studies consider to be really relevant urban issues in the current economic balance. In detail, recent studies concerning the relationship between economic crisis and organization of urban space suggest that a relevance part of economic disease is generated by an unsustainable planning of functions and urban uses and also by a wrong consumers behaviour. Inside this global scenario, Cities that in the past have pursued forms of development in a low economic and energetic impact way, choosing to realize a growth model based on a strong diversification of function in settlement patterns, are now more readily implementing responses to the crisis in the fields of spontaneous urban renewal process and in support of good practice, so a lot of cities are increasing the resilience of local urban economies, in order to promote social inclusion and environmental sustainability and in general to prepare cities for a more sustainable recovery. Many experiences seek to identify long-term recovery strategies and innovative planning responses, developed at local level, that could be useful to other cities in order to overcome consequences of the current global economic situation. «This interest derives from what appears to be an important consideration, still subject to systematic and rigorous proof, that is, that the cities that have best responded to the challenge of the crisis are precisely, those that have invested the most in innovative urban projects and those that have a political‐institutional leadership with a long term outlook» (Cohen, 2011).

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Designing hierarchies: the role of ecological networks beyond local framework conditions

The effect of this phenomenon differs considerably among different territorial scale. In the case of urban locales, this study’s central theme assumes urban design as a very significant role for a community, because it represents the physical capital of a city: a real investment that should protect from deterioration of the economic and urban tissue that may occurs at this time. Good design is in fact one of the key elements that helps local governments achieve their aim of investing in houses, public space, commercial district, creating dense and functional environments. Despite the efforts of many public and private stakeholders across Europe in urban regeneration, only few project may be considered a complete success. Among these, is necessary to include: Barcelona, Lyon, Bilbao, Genoa, London and several little town in Europe. However each city, with its own characteristics, resources and limitations, should generate its own response to face the crisis and new urban phenomena that it has generated. The effects are very diverse in each field but the major impacts on the urban environment are due directly or indirectly to:  closing and bankruptcy of many companies;  slowdown in economic activity in all its branches;  decrease in investment;  decrease in the number of new startups;  store closing;  few public economic resources for welfare;  borrowing of local authorities;  increase of the poor;  increase of transportation fees. All these factors are responsible for a large number of issues related to the quality of urban space and in general to the subsistence of the city itself. Looking inside compact city we can detect these clear signs of a dissolution of the urban environment:  abandoned warehouses in large parts of industrial areas;  stores in bankruptcy;  lack of public services;  poor maintenance of public spaces;  abandoned buildings;  unsold real estate complex;  decay of inhabitants density;  loss of agglomeration economies. The list describes a framework originally (in normal conditions) typical of the fringe suburbs in large urban areas, which now, because of the strong increasing of the occurrences listed above, threatens to spread to the whole city. As concern the extent of negative externalities among different cities, the survey done by OECD (Clark, 2009) recognizes that, although there is no absolute relationship between the size of the locality and the impact of the crisis, size can influence certain outcomes. Evidence suggests that disproportionately large economies felt more recessive conditions from the beginning of the recession than small and medium-sized local economies due to the fact those larger economies are more global in nature. For these reasons large cities have greater opportunity to initiate recovery earlier, since they are capable to explore more solution which can mitigate the worst effects of the recession and position them for long term recovery. This point of view emphasizes the importance of the link between the size of the city, the diversity of its economy and the degree of its economy’s globalization:« Big cities have more probability of having a greater percentage of globalized sectors that are more vulnerable to recession but, at the same time, their economies tend to be more diversified and, because of their nature, are more capable of absorbing the shock inside their wide ranging urban economy. Small cities that are highly dependent on vulnerable sectors are in the most difficult position» (Soto, 2009). So medium sized cities must diversify their nature and change how they works. To a good measure, the immediate future of each city will depend on what each does or fails to do at this time. There are several topics that need to be treated: some of them, of theoretical and methodological nature, but the most important one is of a practical order: the crisis is still not over, and we have to find the best way of contrast it in our cities, considering that when economy will rebound in a sustained manner, in the medium term the effects of the crisis in urban environment will persist for years. This current economic background will be the “new normal” with which we will have to manage and plan cities for a near future. According to what observed for big city, is necessary to reproduce the conditions so that even the small towns may have the possibility to find out a way of urban development to reduce negative effects of the economic decline. Diversification, decentralization and sustainability seem to be principal keywords, even if it is the overlapping of a decline scenario, which has no equal in our country since the war, on old and unsolved problems internal to the Italian urban policies, that represent the most relevant unknown for management and development of the territory. Last outlooks, now disconnected from the activation of quantitative processes, are Giuseppe Bonavita

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certainly to be intended as processes aimed to improve the quality of the living space without consuming new soil, reusing buildings, changing territories and waste landscapes, able to enhance the ecological approach and to promote principles of protection of resources. So it’s necessary, looking to the categories of quality and quantity in whose appear confined the theories of environmental planning, to recognize a reconfiguration of the urban system as part of an integrated ecosystem, compliant with the basic environmental frame. In detail, our cities, characterized by a number of common problems due to the low quality of environmental standards, are suffering the negative effects produced by a model of generalized areal planning: the zoning, which in many ways has come to limit «the process of integration and synergy of coevolution between large subgroups of which the city is composed: the economic system, the social system, the physical system and the environmental system» (Camagni, 1996). The extent of the phenomenon of anti-urban migration connected to the internal population sharing is a clear evidence of the need for more heterogeneous spaces, however more similar to the expectations of the population. With specific regard to the settlements patterns, the complex interaction between urban issues, tendencies, opportunities and functions, makes it clear the operational difficulties to develop a valid and reproducible way of integration between global strategies and local practices, both in individual city and in neighbourhood. Only a wider reading through the different scales of interaction that characterize urban system can upgrade the theme of possible correctives and direct the actions of local programming to more concrete targets. If from this point of view, a variety of agents involved in local processes makes it hard to define methodologies uniquely valid, as evidenced by the constant use of a huge variety of operational tools and best practices in literature, is equally true that the heterogeneity of the environment and the consequent availability of typical elements (environmental, cultural, architectural), which are specific to each territorial entity, may result a considerable advantage in selection of adaptive strategies that guide each reality towards the detection of their own path of renewal. In short, the complex of positive and negative factors in place is the common matrix to plan transformation programs oriented to maximize the value of the local context and, in more general terms, «the role that urban planning can play in achieving places, communities and more sustainable systems» (Beatley, 2000).

Manage the degrowth in local context. The approach to the context of the Crati Valley treated here, is especially an opportunity to rethink the city, through endogenous processes of transformation that may lead to enhancing the locally unexpressed environmental potential, and to activate practices of urban regeneration. The conurbation grown in the territory of the contiguous municipalities of Cosenza, Rende and Castrolibero, strongly expanded towards north direction along the route of national road S.S.19, has taken over the years a conformation detached from the any logic of self-containment. The starting framework, which is conditioned by the tight and elongated morphology of the middle Crati Valley, has been greatly enhanced one of the consequence of the urban pressure produced by spillover dynamics: an event that continue to affect the settlement of the main city for about thirty years, generating in this way an occurrence properly due to the types of the linear city: the progressive distancing of the settlement from the centre, revealed, in this specific study case, by numerous signs of degeneration of the compact core in Cosenza. In a context of wide area where population growth recorded in the last thirty years is equal to zero, an extensive amount of urbanized land has been generated for exclusive reallocation of the population in the territory, with predictable negative consequences in terms of functioning of the urban system, caused by:  sprawl;  shrinkage;  soil consumption;  too low density for efficiency of service and city use;  unsustainability of public transport;  pollution due to private vehicles use;  decay of the public space and life.  abandonment of peripheral neighbourhoods. This strong decrease of urban pressure caused in last years by a strong economic decline of entire region, that from now has produced a good availability of unused and abandoned spaces within the city, may represent a possibility to explore new radical solution as concern recovery of existing urban and in order to solve environmental issues related to behaviours and land use models revealed unsustainable (Latouche, Harpagès, 2011). The net of river courses that crosses through the valley and the natural elements located around all peripheral area may be used as strategic components of polycentric destructuration of the urban region. This plan proposal is designed to operate first through a redistribution of the basic functions in the city and after by giving several examples of green design as greenways and greenbelts in the heart of the city. In this way we can found Giuseppe Bonavita

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inside the dense city a number of sub centre, independent of each other, divided by slim green belts but connected by green infrastructure, where the city can redensify itself and group its primary functions in a polycentric way. Aim of this process is a spontaneous creation of many different urban sub-centres reproducing at the same time, through a green-oriented kind of traditional neighbourhood, several basic sub-local agglomeration economy and more agreeable situations of life even in order to stop the flight of population from the centre. A morphological and environmental perspective that sees, in design of ecological networks located in correspondence of river beds that cross the Valley, many structural and characterizing elements through which pursue a dual process of functional and formal disarticulation of the settlement system and of the relational system, in order to redesign urban settlement as a bioregion, polycentric and interconnected, where a system of neighbourhoods is an integral part of local resources cycles and it is identified as an element of eco-system balance in the territory.

Figure 1. Masterplan of polycentric frame and scheme of ecological network in urban area of Cosenza: circles include an interaction area enclosed in a radius of 2 km.

Figure 2. Scheme of public linkage infrastructure, planned to connect the polycentric system of neighbourhoods.

The fields of priority action emerged with regard to critical issues encountered, both as part of this research and in the recent definition of the phases of preliminary study of Communal Planning in progress in the municipalities of the urban area, suggest the need to develop an operating framework rated on the neighbourhood scale, reconsidering the role that such entities may assume as basic constituent of the future architecture of the urban territory. It is well known that ÂŤthe scale of the neighbourhood is the most suitable to apply sustainable strategiesÂť (Gauzin Muller, 2003), because it allows, if properly sized, to distinguish the city according to a Giuseppe Bonavita

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Designing hierarchies: the role of ecological networks beyond local framework conditions

system of functionally independent entity, very useful to manage and assess the optimal concentration of facilities and basic services and also the composition and the quality of the spaces. In this case, the proposal of a new configuration of the settlement system based on the advantages offered by such factors as proximity, density, mixing functional and environmental, also whether limited to a wellestablished context, is the main solution to stop further expansion of linear city, but also to lay basis for a better development of the external areas: those who have suffered the negative effects of spillover. As concern the centrality of the relationship that territorial indicators assume over the instructions of the several models of sustainable planning, the present study looks, with specific reference to aspects of the Traditional Neighbourhood Development (Davis, 2002), at the structural trend of continuous urbanized to arrange, in opposite ways to the provisions of the principles and best practices of aggregation of neighbourhood units, a substantial dislocation of the urban, since, buildings, green and services are determined, especially in the large territory of Rende, as an entity formally independent apart. The example of the traditional neighbourhood defined by Unwin and recently redesigned by Anders Duany and Elizabeth Plater-Zyberk within the theoretical «lexicon of the New Urbanism», indicates as a model highly advantageous, in a perspective of sustainability and environmental protection, a spatial organization centred on the community and on the proximal mixed-use of spaces where people live, work and socialize. This model can be used to create new polarities where to focus the urban functions scattered in the territory and remained still active, in order to recreate the benefits of local agglomeration economies and to reorganize urban space in a more functional and accessible way «through the creation of green corridors network» (Farr, 2008). The design of public space at the neighbourhood level becomes the decisive factor for the redevelopment of the interstitial areas, it may activates the potential of open spaces, it may involves urban agricultural areas and places of waste and also it may transform fallow lands, parts of the waterfront, drosscapes and brownfields. In fact, where localized interventions such as the paving of pedestrian areas in down town and the redevelopment and securing of river beds have produced a better quality of space, there has been a spontaneous improvement of all urban indicators, including parameters of market value of the real estate and the number of commercial activities. In particular, in close proximity of some marginal areas, the creation of a network of river parks is gradually encouraging the reintroduction in city of the elements of a natural peri-urban areas that are still present along the river paths and in the peripheral areas, thus creating the conditions for a wider network of green net that will give identity and quality in places otherwise without any appeal.

References Beatley T. (eds. 2000), Green Urbanism. Learning from European Cities, Island Press, Washington D.C. Camagni R. (1996), “Lo sviluppo urbano sostenibile”, in Camagni R. (ed.), Economia e pianificazione della città sostenibile, Il Mulino, Bologna. Clark G. (2009), Recession, recovery and reinvestment: the role of local leadership in a global crisis, OECD. Cohen M.P. (eds. 2011), “Cities in time of Crisis”, in Berkeley iurd, Working Paper 2011-01, University of California. Davis R., Duany A., Plater-Zyberk E. (2002), The Lexicon of the New Urbanism, Duany Plater-Zyberk & Co. Farr D. (2008), Sustainable Urbanism: Urban Design with Nature, New York, John Wiley & Sons. chap. 6 Gauzin Muller D. (2003), Architettura sostenibile, Edizioni Ambiente, Milano. Latouche S., Harpagès D. (2011), Il tempo della decrescita. Introduzione alla frugalità felice, Elèuthera, Milano. Soto P. (2009), Cities and deprived neighbourhoods in the crisis. How can they contribute to the recovery, URBACT II.

Giuseppe Bonavita

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Bioregione - Lombardia: una nuova geografia basata sulla domanda dei prodotti agricoli all’interno del sistema della ristorazione collettiva e sull’offerta dei prodotti locali

Bioregione - Lombardia: una nuova geografia basata sulla domanda dei prodotti agricoli all’interno del sistema della ristorazione collettiva e sull’offerta dei prodotti locali Ruggero Bonisolli Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani) Email: ruggero.bonisolli@polimi.it Laura Colosio Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani) Email: laura.colosio@polimi.it

Abstract Il contesto di lavoro è una ricerca che coinvolge due atenei e quattro dipartimenti che sono impegnati a ricostruire il quadro delle relazioni tra la domanda alimentare del sistema della ristorazione istituzionale e l'offerta di prodotti agricoli locali che si articolano alla scala dell'intera Regione Lombardia. In questo panorama il Laboratorio di Progettazione Ecologica ha ordinato un sistema informativo complesso procedendo ad una standardizzazione dei dati che sono attualmente contenuti nelle tre principali banche dati utilizzate nella pianificazione territoriale: DUSAF (descrizione d'uso), MISURC (destinazione d'uso) e SIARL (programmazione d'uso) e testandoli con maggior dettaglio nel contesto della futura Città Metropolitana di Milano. Due obiettivi principali: sperimentare un trattamento dell'analitica territoriale che consenta di isolare e controllare gli elementi di interpretazione dei caratteri strutturali del territorio rurale; ricercare aggregazioni territoriali in cui individuare sistemi alimentari locali che puntino alla tendenziale chiusura dei cicli ambientali. Parole chiave Sistema della ristorazione collettiva pubblica – produzioni agricole locali – territorio

Introduzione Negli ultimi anni, l'attenzione per il territorio rurale è stato oggetto di particolare attenzione da parte dell'unità di ricerca del Laboratorio di Progettazione Ecologica del territorio1. Tra le esperienze condotte, alcune sono direttamente correlate alla pianificazione territoriale e sono esperienze di progetto; altre –come quella brevemente presentata in questo articolo– hanno una dimensione di ricerca. In particolare il progetto denominato Bioregione: promuovere uno sviluppo locale sostenibile mediante l’organizzazione territoriale della domanda e dell’offerta di prodotti alimentari attraverso il sistema dei consumi collettivi non ha come fuoco principale il progetto di territorio2. Lo avvicina piuttosto lateralmente avendo come ipotesi di lavoro quella di 1

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Per maggiori informaizoni relative all’unità di ricerca del Laboratorio di Progettazione Ecologica del territorio è possible consultare http://produrreterritorio.wordpress.com/ dove sono riportate le informazioni relative ai progetti, alle ricerche e alle pubblicazioni realizzate negli ultimo anni. Inoltre, relativamente al progetto Bioregione a cui fa riferimento il testo prodotto, sul sito è possible consultare ulteriori report e materiali. Progetto Bioregione: promuovere uno sviluppo locale sostenibile mediante l’organizzazione territoriale della domanda e dell’offerta di prodotti alimentari attraverso il sistema dei consumi collettivi è un progetto di ricerca finanziato da Fondazione Cariplo che coinvolge l’Università degli Studi di Milano (Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – DiSAA e Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi –DEMM) e il Politecnico di Milano (Dipartimento di Architettura e Studi Urbano –DAStU e Dipartimento Architecutre, Built Environment Construction Engineering –ABC)

Ruggero Bonisolli, Laura Colosio

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supportare azioni relative all'organizzazione del rapporto tra produzione e consumo di beni alimentari, focalizzando l'attenzione sulla ristorazione collettiva, mediante approfondimenti relativi ai caratteri strutturali dello spazio rurale e organizzando e comparando una serie di basi informative, descrittive e di progetto, alla scala regionale. Per questo motivo, durante la prima fase di ricerca sono state catalogate e ordinate le basi informative disponibili cercando di ricostruire i contesti nei quali ciascuna di esse si è formata, si è evoluta ed è utilizzata in modo da esplicitare le relazioni reciproche, gli ambiti propri di conoscenza, la strutturazione del dato e il suo utilizzo. A tal fine, è stato scelto di approfondire la conoscenza delle diverse basi dati sulla Provincia di Milano in modo da individuare, comprendere e validare in un territorio specifico l’organizzazione di ciascun dato e della loro reciproca relazione così come proposto alla scala regionale, quantificare i dati e sperimentarne la sovrapposizione attraverso il confronto nel dettaglio delle specificità dei territori di riferimento per i dati.

Il progetto di ricerca Il progetto Bioregione lavora sulla rilevanza primaria dell’agricoltura per la ricostruzione del rapporto tra città e campagna e si propone di rivalutare tale relazione attraverso il sistema della ristorazione pubblica collettiva (definita anche ristorazione istituzionale). L'attenzione a questo per questo ambito nasce dal fatto che esso interessa una quantità rilevante di prodotti il cui acquisto è pianificato con scadenze pluriennali e in presenza di un numero limitato di decisori: conoscere quindi la domanda e l’offerta in questo ambito permette quindi di fornire strumenti per intervenire in modo sistemico su aspetti dell’agricoltura che hanno effetti negativi anche in numerosi altri ambiti. Per fare ciò, da un lato sono stati raccolti e rielaborati i dati sui prodotti locali all’interno del sistema della ristorazione collettiva pubblica, dall’altro lato si è proposta una lettura specifica di quelle parti di territorio che una pianificazione territoriale concentrata su modelli di sviluppo urbano centrici ha classificato come area bianca, territorio libero pronto per essere disegnato da una futura edificazione. Come sottolinea anche la Convenzione Europea del Paesaggio3 all’art.5.d «le politiche della pianificazione devono essere lo strumento attraverso cui integrare gli aspetti urbanistici, culturali, agricoli, sociali ed economici che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio». Una risposta concreta a quanto indicato dalla CEP può essere attuata attraverso la progettazione di un’organizzazione territoriale in grado di riprodurre in modo equilibrato il proprio ciclo di vita elevando al qualità ambientale urbana e territoriale, armonizzando tra loro fattori produttivi, sociali, ambientali, culturali, estetici per la produzione di ricchezza durevole. La prospettiva è quella di un’agricoltura «come cura e coltura del territorio» (Ferraresi G.,1993): un’agricoltura sostenibile, che ritorni ad essere generatrice non solo di commodities alimentari ma anche di beni pubblici e relazionali e che possa produrre nuovo valore territoriale. Attualmente il mondo agricolo vive una fase di forte difficoltà con molte aziende agricole che chiudono per la combinazione di diversi fattori come il cambio generazionale degli agricoltori limitato, la globalizzazione dei mercati, gli impatti della logistica e della grande distribuzione, la pressione insediativa, ecc. In questo contesto si ritiene necessario un ripensamento di alcuni fattori costitutivi dell’agricoltura al fine di trovare delle soluzioni sistemiche che invertano la tendenza di questa crisi strutturale che ha effetti negativi anche essi di carattere sistemico. Queste analisi sono in relazione anche con quella parte delle prime linee strategiche per la nuova Politica Agricola Comunitaria 2014-2020 e dei nuovi Piani di Sviluppo Rurale regionali che consentono di operare nella direzione della riduzione della dipendenza produzione agricola dai fattori esogeni e dell’auto sostenibilità dell’agricoltura. La traduzione di questi segnali di mutamento in misure efficaci, di carattere sistemico e di lungo periodo passa attraverso un ripensamento dell’agricoltura stessa e delle sue filiere di produzione-distribuzione-consumo in modo da ridurne i condizionamenti esteri incorporandovi i diversi valori di qualità del prodotto (economici, ambientali, territoriali, sociali, di prevenzione, ecc.). Da anni, anche sul territorio lombardo, vi sono pratiche di filiera corta, di vendita diretta, di gruppi di acquisto solidale ma la dimensione e la rilevanza dei problemi richiede un approccio più complesso e strutturato. Esperienze condotte nel mondo hanno proposto politiche per la costituzione di sistemi agroalimentari territoriali che siano improntate verso criteri di sostenibilità e sviluppo locale. Come anticipato sopra, in questa prospettiva il sistema della ristorazione istituzionale presenta delle potenzialità interessanti legate al fatto che, tramite accordi con un numero limitato di decisori, è possibile pianificare per un adeguato numero di anni il consumo e la produzione di prodotti alimentari. Dal momento che la richiesta di prodotti locali e di qualità è in costante aumento, il sistema della ristorazione istituzionale rappresenta potenzialmente un fattore di indirizzo rilevante per la qualificazione della produzione, oltre che per altre azioni. Riuscire a relazionare domanda e offerta in maniera strutturata in un ottica di auto sostenibilità significherebbe inoltre riuscire ad individuare delle Bioregioni ovvero «insiemi di sistemi territoriali locali interrelati tra loro da relazioni ambientali volte alla 3

La Convenzione Europea del Paesaggio è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a Strasburgo il 19 luglio 2000 ed è stata aperta alla firma degli Stati membri dell’organizzazione a Firenze il 20 ottobre 2000. Si prefissa di promuovere la protezione, la gestione e la pianificazione dei paesaggi europei e di favorire la cooperazione europea.

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tendenziale chiusura dei cicli caratterizzati gli equilibri eco sistemici di un bacino idrografico, di un sistema vallivo, un nodo orografico, ecc ». (Magnaghi A., 2010: pp. 186-7).

L’analisi delle basi dati tra territorio e agricoltura La raccolta delle basi informative disponibili per il territorio della Regione Lombardia ha richiesto un'organizzazione preliminare in tre ambiti che sono stati da noi definiti come: descrizione, gestione e programmazione. Per ciascuno di questi, è stata individuata una base dati di riferimento; scegliendo quella che a fronte di una prima analisi dimostrava di avere un dato più completo e recente. Nella prima categoria la fonte informativa ormai generalmente assunta è il DUSAF 4. Nonostante la sua definizione sia Destinazione d'Uso dei Suoli Agricoli e Forestali, i contenuti di questa base dati descrivono l’attuale stato dell’uso dei suoli principalmente sulla base di una foto interpretazione. Tale interpretazione è strutturata attraverso una tassonomia derivata da Corine Land Cover 5 che viene modificata per descrivere più correttamente i caratteri strutturali regionali. Il secondo ambito riguarda la gestione del territorio: così come esso viene rappresentato negli strumenti di progettazione urbanistica, nei quali sono descritte le modalità gestionali delle differenti porzioni di territorio. Per l'interpretazione di questo ambito è stato utilizzato il MISURC (Mosaico Informatizzato degli Strumenti Urbanistici Comunali). Tale strumento raccoglie le pianificazioni alla scala comunale contenute nei Piani Regolatori Generali (PRG), riordinandone i cui contenuti informativi sono riordinati in accordo con una legenda unificata. Il MISURC ha concluso la propria attività nel 2005 con l'entrata in vigore della LR.12/05, che ha riordinato degli strumenti di progettazione urbanistica alle differenti scale. Le basi informative afferenti alla classe della programmazione si riferiscono alla raccolta dei fascicoli aziendali che dal 2005 le aziende agricole sono tenute a predisporre per accedere ai contributi della PAC e che Regione Lombardia gestisce tramite un sistema informativo denominato SIARL 6. Per la predisposizione dei fascicoli aziendali è stata realizzata a cura dell'AGEA7 una campagna di foto interpretazione basata sulle cartografie catastali dell'intero territorio nazionale. A seguito di questa organizzazione preliminare delle basi informative disponibili, sono emerse alcune problematicità che il lavoro di analisi e di interpretazione del dato ha dovuto affrontare attraverso ulteriori classificazioni.  Una prima classificazione evidenzia le differenti coperture areali delle fonti. Nel tentativo di assumere come un dato praticabile la sovrapposizione geografica delle coperture, si riscontrano tali e tante difficoltà che anche semplicemente il computo meramente quantitativo delle aree esterne all'urbanizzato sembra essere un risultato difficilmente ottenibile in modo univoco.  Una seconda classificazione riguarda lo stato di aggiornamento del dato che si rivela molto variabile e con strategie di manutenzione e aggiornamento assai diversificate tra le diverse basi informative.  Una terza classificazione si relaziona all'unità topologica di riferimento, che è strettamente dipendente dalle funzioni a cui deve rispondere il rilevamento. Nel caso del DUSAF i limiti sono dettati dalla dimensione delle unità di suolo e alla loro identificazione in rapporto all'uso. Questo produce effetti inattesi come il fatto che le infrastrutture minori "scompaiono" immerse negli usi contermini. Nelle pianificazioni l'unità minima di rilevamento è collegata all'obiettivo gestionale che, in rapporto al livello istituzionale, si differenzia in zone urbanistiche. Il SIARL si spinge ad identificare cambi colturali differenziati all'interno dei mappali catastali e quindi possiamo omologare, dal punto di vista topologico, questa banca dati a quella catastale assumendo il mappale come unità di riferimento eventualmente suddiviso in più porzioni. 4

Il DUSAF (Destinazione d’Uso dei Suoli Agricoli e Forestali) è uno strumento di analisi e monitoraggio dell’uso del suolo elaborato da ERSAF per Regione Lombardia. La base informativa si compone di dati elaborate dalla fotointerpretazione dell’intero territorio regionale. Per questa banca dati, Regione Lombardia ed Ersaf hanno messo a disposizione una serie di pubblicazioni che ne facilitano la lettura e comprensione. 5 Il programma CORINE (COoRdination of INformation on Environment) è stato definito dalla Commissione Europea nel 1985 con lo scopo di organizzare la raccolta di informazioni sull’ambiente e le risorse naturali della Comunità. Il programma ha previsto in particolare la produzione e raccolta di inventari legati al censimenti di biotopi, di valutazione della qualità dell’aria e, in particolare, di ricostruzioni dell’uso del suolo. Il progetto CORINE Land Cover ha creato una copertura d’uso del suolo estesa a tutta la Comunità Europea secondo una metodologia univoca per la prima volta nel 1990; l’organizzazione delle voci di uso del suolo, organizzate in livelli è diventata uno standard di riferimento assoluto. 6 Il SIARL è il Sistema Informativo Agricolo della Regione Lombardia. Attraverso questo sistema si possono consultare e aggiornare i dati del fascicolo aziendale delle imprese agricole lombarde, inoltrare alle amministrazioni pubbliche le domande elettroniche di contributo o autorizzazione e vedere online, da parte dei beneficiari, lo stato dei pagamenti. 7 L'AGEA è l’ Agenzia per le erogazioni in agricoltura ed è stata istituita nel 1999. Le principali funzioni di Agea sono: l'erogazione dei contributi alla produzione agricola stanziati dall'Unione Europea, il coordinamento di tutti gli altri organismi pagatori e la vigilanza su questi ultimi al fine di garantire la coerenza delle loro attività rispetto alle linee-guida comunitarie. Ruggero Bonisolli, Laura Colosio

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 Una quarta classificazione distingue i caratteri strutturali delle banche dati. Trattandosi di basi dati geografiche, esse sono composte da elementi topologici (le geometrie e le simbologie cartografate) ed elementi alfanumerici. Lo studio della semantica del dato è stato quindi descritto all’interno di schemi ad albero.  Una quinta classificazione riguarda la procedura di validazione dei dati. Le diverse base dati attualmente non hanno la medesima base cartografica di riferimento. Al fine di conseguire un maggior livello di congruenza informativa diventa quindi rilevante individuare una base cartografica unica. Inoltre date le diverse unità minime di riferimento risulta necessario individuare un’aggregazione intermedia per i poligoni. Nel caso studio, questa è stata individuata nei confini amministrativi comunali. In sintesi, per le tre basi dati emergono alcune considerazioni. I dati contenuti del DUSAF 2.0 elaborato nel 2007 coprono l’intera superficie regionale, mentre l’aggiornamento Dusaf 3.0 del 2009 è disponibile solo per le Province di Brescia, Sondrio, Cremona, Milano e Monza Brianza. Realizzato attraverso un processo di foto interpretazione non individua gli elementi con dimensioni inferiori a 1600mq. La Base dati del MISURC è stata elaborata alla scala 1:2.000, ha una copertura territoriale regionale non completa e lo stato di aggiornamento è molto variabile essendo legato all'entrata in vigore dei PRG. Il SIARL è una base dati sottoposta a una continua procedura di revisione, aggiornamento, manutenzione di autocertificazioni realizzate delle aziende agricole e verificate dagli uffici che gestiscono i pagamenti PAC di concerto con l'Agenzia del Territorio. Si tratta di una base dati geografica estremamente dettagliata composta da geometrie che hanno un dettaglio sub mappale per tipologia colturale. Su base catastale, individua le sole aree registrate all’interno dei fascicoli aziendali: per questo la copertura del dato non è completa. Gestisce una numerosi dati che diventano difficilmente gestibili se non attraverso una perfetta taratura delle procedure di verifica da parte degli Enti preposti. L’immagine allegata (Fig.1) rappresenta un estratto delle tre diverse cartografie.

Figura 1: Confronto tra estratti cartografici relativi alle tre basi informative selezionate

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Un’interpretazione delle basi dati attraverso la ricostruzione dei quadri cognitivi La conoscenza degli aspetti analitici del dato avvenuta in questa prima fase ha permesso così di poter proseguire con la ricostruzione di quadri cognitivi complessi delle tre basi informative selezionate quali casi studio. Attraverso diagrammi ad albero è stata quindi ricostruita la gerarchia di strutturazione delle singole banche dati, evidenziandone la tassonomia specifica. Le articolazioni tassonomiche aggregando e disaggregando le categorie e individuando sottoclassi di ulteriore dettaglio forniscono informazioni rispetto al differente atteggiamento progettuale che la disciplina ha depositato e metabolizzato nella propria storia affrontando il tema del progetto passando tra ambiti insediativi, l'urbano e il rurale, così distanti. Ci interessava in questa fase evidenziare le differenti strategie tassonomiche, che presiedono alla costruzione della conoscenza, tra le differenti categorie fisiche di uso e destinazione (Fig.2).

Figura 2. Diagramma ad albero che –a scopo esemplificativo– schematizza il quadro cognitivo del MISURC.

Come verifica e validazione di questa ricostruzione del dato, al fine di comprenderne nel dettaglio le modalità di costruzione del dato stesso contenuto nelle basi informative si è scelto di analizzarlo su una porzione di territorio della Regione Lombardia. Si è scelta la Provincia di Milano che è stata quindi analizzata ad una scala di maggior dettaglio, per consentire la verifica del dato e della sua costruzione ai fini di una quantificazione numerica normalizzata per ciascuna base dati. Tabella 1: Comparazione dati generali per la Provincia di Milano ISTAT DUSAF 3.0 MISURC SIARL

superficie [kmq] 1.578,9 1.575,012 1.575,013 751,697

Ruggero Bonisolli, Laura Colosio

n. poligoni 7.308 3.465 66.484

superficie media[mq] 110.225,16 30.844,19 11.306,45

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Di seguito sono riportate tabelle e grafici che riportano i dati organizzati in classi relativi alla superficie analizzata, il numero di classi, il numero di poligoni e la superficie media dei poligoni in riferimento alle basi informative Dusaf 3.0 (Tab.2 - Fig.3) e Misurc (Tab.3 – Fig.4) per la Provincia di Milano. Tabella 2: Dusaf 3.0 del 2009 per la Provincia di Milano 1_aree antropizzate 2_aree agricole 3_territori boscati e ambienti seminaturali 4_aree umide 5_corpi idrici totale

superficie [mq] 639.8836.003,03 805.525.463,50 106.875.101,12

n.classi 25 15 12

n. poligoni 14.585 7.308 3.465

superficie media[mq] 43,869,46 110.225,16 30.844,19

791.909,15 21.983.855,65 1.575.012.332,45

1 4 57

24 330 25.712

32.996,21 66.617,74 284.552,76

Figura 3: Rappresentazione grafica dei contenuti informative del Dusaf 3.0

Il Dusaf è caratterizzato da una particolare attenzione verso la stabilizzazione dell'articolazione tassonomica. Si rileva che le 5 categorie mantengono una profondità tassonomica uniforme fino alla terza sotto classe. La quarta e quinta sottoclasse coprono rispettivamente solo l'8% e l'1% del territorio provinciale. Per quanto riguarda i parametri di disaggregazione si arriva a 57 sottoclassi. Di queste, 25 appartengono alla categoria delle aree antropizzate, nelle quali vengono ricomprese anche gli edifici e relative pertinenze in ambito rurale. I circa 640 Kmq sono suddivisi in oltre 43.000 poligoni con una dimensione media pari a 1,4 ha. Per le aree agricole la disaggregazione è costituita da 15 classi con un numero di poligoni pari a 3400 con una dimensione media di 11 ha (0,1 kmq) per una superficie complessiva di poco superiore agli 800 kmq. Si mette inoltre in evidenza la questione della maggiore raffinatezza nelle classificazioni riguardanti i fenomeni urbanizzativi rispetto allo spazio rurale. In particolare si rileva che le classi consentono differenziazioni non solo funzionali e d’uso, ma anche topologiche come continuo/discontinuo. Lo spazio rurale trova solo classificazioni funzionali rispetto ad aggregati colturali –peraltro differenti rispetto alle classificazioni usate nelle discipline agronomiche e nei rilevamenti statistici.

Ruggero Bonisolli, Laura Colosio

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Tabella 3: Misurc per la Provincia di Milano 1_ aree a disciplina specifica di PRG 2_attivitĂ estrattiva 3_commerciale/direzio nale 4_infrastrutture di trasporto areali 5_polifunzionale 6_produttivo 7_residenza 8_servizi di livello sovracomunale 9_servizi di livello comunale 10_turistico/ricettivo 11_verde privato 12_agricolo 13_aree di rispetto 14_boschi 15_vincolo L.1089 16_zone golenali 17_corpi idrici 18_vuoto totale

superficie [mq] 19.277.938,17

n.classi

n. poligoni

superficie media[mq]

2 2

313 43

61.590,86 152.320,51

13

1.044

14.609,10

101.753.314,11 28.314.297,64 102.952.035,19 202.732.943,29

8 4 11 4

3.147 1.130 4.513 23.321

32.333,43 25.056,90 22.812,33 8.693,15

74.315.734,59

14

998

74.464,66

162.318.651,54 350.661,22 4.592.691,89 713.186.432,99 42.675.501,11 17.762.288,95 58.471.211,58 171.926,82 16.487.927,63 7.848.021,17 1.575.013.259,44

15 5 3 8 2 4 1 1 2 1 100

19.059 29 715 3.697 4.403 596 181 6 1.486 44 64.725

8.516,64 12.091,77 6.423,35 192.909,50 9.692,37 29.802,50 323.045,37 28.654,47 11.095,51 178.364,12 1.192.476,53

6.549.782,14 15.251.899,41

Figura 4: Rappresentazione grafica dei contenuti informative del Misurc per la Provincia di Milano Per quanto riguarda il Misurc, un primo set informativo si articola in 17 categorie tra destinazioni d'uso e vincoli, con una profonditĂ omogenea di tre livelli. Si nota come nel livello di approfondimento maggiore per quasi tutte le destinazioni d'uso viene specificata anche una categoria di trasformazione e di espansione indicando quindi una transizione di stato speculare rispetto alle altre destinazioni (espansione urbana - transizione da agricolo a urbano) per un valore di circa 60 Kmq pari al 3,7% dell'intero territorio provinciale e oltre il 13% delle funzioni insediativi urbane classificate. Le sole destinazioni d'uso che individuano funzioni sono 12 arrivando fino al terzo livello a definire 91 sotto classi. Si evidenzia una estesa articolazione per i Servizi, comunali e Ruggero Bonisolli, Laura Colosio

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sovraccomunali, per un totale di 29 sottoclassi con una definizione di quasi 21000 poligoni con una dimensione media pari a 8 Ha (0,08 Kmq). Per quanto riguarda le altre destinazioni riconducibili alla prima classe Dusaf (ambiti antropizzati), che comprende dalle aree di cava alle differenti funzioni insediative oltre alle infrastrutture, troviamo un ventaglio di 35 sottoclassi per una dimensione media dei poligoni che varia tra 1 ha e 3 ha e una maggiore definizione per le destinazioni residenziali con un numero di poligoni oltre la soglia di 23000 unità, pari a 0,8 ha di superficie media. Il territorio rurale viene classificato con 8 sottoclassi delle quali 5 dedicate ai manufatti. gli oltre 700 Kmq con destinazione d'uso agricola sono quindi classificati con solo tre classi, 3.600 poligoni con una dimensione media pari a circa 19 Ha (0,19 Kmq). Risulta assai evidente che dal punto di vista del trattamento informativo l'ambito rurale risulta molto compresso e con una definizione areale 10 volte più estesa rispetto ai corrispondenti territori urbanizzati. Per quanto riguarda il Siarl, la rielaborazione dei dati contenuti in forma di classi risulta complessa. Infatti, dato che questa base dati raccoglie i dati auto dichiarati dai singoli imprenditori agricoli all’interno dei fascicoli aziendali, scegliendo di analizzare il campo delle colture possono essere individuate oltre 100 campi diversi. Un’eventuale elaborazione necessita aggregazioni che richiedono competenze in campo agronomico. Per tale questione si rimanda questa analisi ad una successiva fase, limitandoci ora a riportare alcune prime considerazioni. Il quadro informativo Siarl gestito da Regione Lombardia per l'applicazione della Politica Agricola Comunitaria copre 750 Kmq disaggregati in oltre 66.000 poligoni con una dimensione media di 1ha, paragonabile quindi alla "grana" attualmente utilizzati per gli ambiti urbanizzati.

Conclusioni Possiamo concludere dicendo che la riorganizzazione delle fonti informative e una maggiore consapevolezza nelle componenti che influenzano la costruzione del dato e la sua organizzazione e classificazione dovrebbero consentire in una successiva fase un maggiore controllo nelle procedure di sovrapposizione geografica (layer overlay) e accostamento tassonomico. Solo attraverso un’ analisi approfondita e dettagliata è infatti stato possibile proporre una riaggregazione dei dati considerando la complessità intrinseca delle basi informative. Questi passaggi sono necessari anche al fine di poter proseguire nel lavoro di raccolta dati da altre basi informative al fine di qualificare maggiormente il territorio in analisi. Sono previste infatti ulteriori integrazioni con ulteriori basi dati di tipo analitico, progettuale e amministrativo/gestionale. Ad esempio, sarà rilevante confrontarsi con gli studi contenuti nel Piano Paesaggistico Regionale che si sta orientando verso la definizione di ambiti di progetto riferiti, in particolare, al sistema delle acque. Inoltre saranno presi in considerazione i processi di distrettualizzazione del settore agricolo che intercettano politiche territoriali di competenza dei diversi livelli amministrativi. La specificità del tema di partenza della ricerca ovvero la relazione tra la domanda e l’offerta di prodotti agricoli all’interno del sistema della ristorazione collettiva pubblica richiede infine una messa in relazione della distrettualizzazione scolastica e sanitaria con l'insieme delle altre informazioni relative alla produzione agricola e ai caratteri territoriali.

Bibliografia Ferraresi G., Rossi A. (a cura di, 1990), Il parco come cura e coltura del territorio. Una ricerca sull'ipotesi del parco agricolo, Ed. Grafo, Brescia. Ferraresi G. (a cura di, 2009), Produrre e scambiare valore territoriale: dalla città diffusa allo scenario di forma urbis et agri, Alinea, Firenze Magnaghi A. (2000), Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollate Boringhieri, Torino

Riconoscimenti Il costante dialogo con Andrea Calori è stato fondamentale per la realizzazione di questo lavoro, aiutandoci nel dare senso ai dati analizzati. L’elaborazione dei dati riportati in questo paper ha visto la collaborazione del Laboratorio di Analisi Dati e Cartografia LaDEC/DAStU del Politecnico di Milano grazie al contributo di Paolo Dilda e Carmelo Di Rosa.

Copyright I dati Siarl contenuti all’interno di questo testo sono stati utilizzati dal nostro gruppo di ricerca in quanto partner del Progetto Bioregione.

Ruggero Bonisolli, Laura Colosio

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La bioregione urbana: dall’ellisse urbana della Toscana al caso dell’Aquitania

La bioregione urbana: dall’ellisse urbana della Toscana al caso dell’Aquitania Elisa Butelli Università degli studi di Firenze DIDA Dipartimento di Architettura Email: elisa.butelli@gmail.com Matteo Massarelli Università degli studi di Firenze DIDA Dipartimento di Architettura Email: Email: matteo.massarelli@me.com

Abstract La bioregione urbana, composta da reti multipolari non gerarchiche di piccole e medie città in equilibrio ecologico, sociale e produttivo tra loro e con il proprio territorio, ridefinisce l'organizzazione territoriale tramite un bilanciamento ambientale fra spazi urbani e spazi aperti. Le condizioni di funzionamento della bioregione sono legate all’equilibrio del bacino idrografico, alla connettività della rete ecologica regionale, alla qualità del paesaggio, alla multifunzionalità dell’agricoltura, con chiusura tendenziale dei cicli delle acque, dei rifiuti, dell’alimentazione, dell’energia. Linee di intervento in sintonia con questi scenari sono state sviluppate recentemente in Toscana, dove è prevista un’ellisse di piccole e medie città con proprie peculiarità e funzioni. In Francia si colloca invece l’esperienza bioregionalistica dell’Aquitania, nella quale il territorio è chiamato a mantenere la sua identità paesaggistica e a fornire cibo alla città. L’agricoltura deve allora diventare multifunzionale: finalizzata all’alimentazione, ma anche paesaggistica. Parole chiave Bioregione, margini urbano-rurali, Aquitania

Bioregione-bioregionalismo-bioregione urbana Il concetto di bioregione e bioregionalismo si è trasformato nel corso del tempo, incorporando progressivamente varie sfumature e interpretazioni. Inizialmente, era privilegiata un’accezione geografico-ecologica, che portò all’individuazione del concetto di milieu, che riconosce la relazione e l’adattamento di un gruppo sociale all’ambiente naturale in rapporto alle peculiarità del contesto specifico (Vidal De la Blache, 2008). Da qui deriva il concetto di regione: «L’ambiente, generatore di vincoli e di possibilità, plasmato da un genere di vita, dà luogo a veri e propri organismi: territori che assumono una loro personalità geografica perché sono un prodotto irripetibile» (Vallega, 1989: 42). Successivamente, fu sviluppata una definizione bio-antropocentrica, con particolare riferimento alla “sezione di valle” (Geddes, 1970) e al concetto di ecosistema territoriale, vale a dire un «insieme di relazioni fra un sistema ambientale ed una società umana, che, organizzata anche con strutture urbane evolute, trova in quel sistema ambientale la gran parte delle risorse per la vita, sviluppandosi culturalmente e producendo un sistema di relazioni, simboli, conoscenze» (Saragosa, 2001: 55). Seguì quindi un approccio essenzialmente ecologista (bios-regere) (Berg, 1978; Sale, 1985; Todd, 1989). Più recentemente, il dibattito internazionale ha posto l’accento sul concetto di “bioregione urbana”, costituita da una molteplicità di sistemi territoriali locali organizzati in grappoli di città piccole e medie, ognuna in equilibrio ecologico, produttivo e sociale con il proprio territorio. Si tratta di un modello che evita congestioni, inquinamenti, diseconomie esterne riducendo i costi energetici e da emergenze ambientali, riduce la mobilità inutile, costruisce equilibri ecologici locali atti a ridurre l’impronta ecologica e l’insostenibilità da prelievo di risorse in regioni distanti (Magnaghi, 2010). Elisa Butelli, Matteo Massarelli

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Il bioregionalismo propone quindi una ridefinizione dell'organizzazione territoriale, con obiettivi di benessere per tutta la biosfera, ridefinendone identità e confini a partire dai principi di autodeterminazione e autosostenibilità, sviluppando autonomie e interconnessioni fra sistemi ambientali e identità culturali degli insediamenti antropici a scala locale. La bioregione urbana è dunque formata da un insieme di sistemi territoriali locali antropizzati, interrelati fra loro da relazioni ambientali volte alla tendenziale chiusura dei cicli caratterizzanti gli equilibri ecosistemici di un bacino idrografico, un sistema vallivo, un nodo orografico, un sistema collinare o costiero, ecc. Infatti, è fondamentale per la bioregione la chiusura locale dei cicli ambientali: dell’alimentazione (reti corte fra produzione e consumo); dei rifiuti (relazione sinergica allevamentocoltivazione), delle acque (colture poco energivore; uso di cultivar tradizionali legate ai caratteri climatici locali); produzioni tipiche in paesaggi tipici; ecc. In questo senso, essenziale per lo sviluppo della bioregione è il ripopolamento rurale così da garantire la cura dei patrimoni della tradizione. Infatti, nei caratteri costitutivi dell’agricoltura tradizionale (Cevasco, 2007) si trovano molti elementi necessari al progetto di bioregione: la produzione in proprio e indipendente dal mercato delle risorse riproduttive del sistema; la produzione di complessità ecologica, a partire dalla policoltura; la valorizzazione delle risorse ambientali locali, essenziale all’autoriproduzione delle risorse; la salvaguardia idrogeologica: cura del bosco, del terrazzamento, di torrenti e canali, della vegetazione ripariale, ecc. Questo tipo di struttura risulta più efficace di una metropoli dal punto di vista del funzionamento delle reti e garantisce migliore qualità dell’ambiente di vita.

La bioregione dell’ellisse urbana in Toscana Varie esperienze internazionali sono indirizzate nella direzione del bioregionalismo. Significativo è il caso delle Transition town, diffuse soprattutto in Inghilterra, le cui comunità tendono all’autonomia energetica e alimentare, secondo le quantità fornite dai territori circostanti. Un altro caso emblematico è costituito dai piani del cibo, volti a garantire alla popolazione locale un’alimentazione salutare che non comprometta il benessere collettivo, delle future generazioni e dell’ambiente. Tra i piani del cibo, si segnala quello approvato nel 2010 dalla Provincia di Pisa, basato sul coordinamento tra politiche pubbliche, iniziative private e input provenienti dalla società civile. Obiettivo del Piano è garantire un’alimentazione salutare e sostenibile per la popolazione, con particolare riferimento a riduzione degli sprechi, cosciente valorizzazione e diffusione delle risorse locali e riduzione dell’impatto ambientale. È allora favorito il cibo di produzione locale, i cui costi di spostamento sono ovviamente ridotti. Tra le iniziative implementate dalla Provincia di Pisa, si segnalano quelle rivolte alla popolazione in età scolare, tramite una serie di incontri volti a sensibilizzare i più giovani sulle tematiche del cibo, del consumo consapevole, della corretta valorizzazione delle risorse locali. L’interazione tra gli attori coinvolti si basa in particolare su un costante aggiornamento della piattaforma web del Piano, nella quale sono promosse le iniziative delle singole aziende e delle istituzioni, sono evidenziati gli eventi promozionali e di diffusione degli obiettivi del piano, sono sviluppati forum pubblici con discussioni intersettoriali su temi cruciali con il coinvolgimento di ricercatori, operatori della salute, soggetti economici, del mondo della scuola, della società civile, ecc. La piattaforma internet, inoltre, permette di scambiare informazioni e risultati con realtà di tutto il mondo impegnate in iniziative analoghe. Rimanendo in Toscana, particolarmente significativa è l’esperienza bioregionalistica dell’ellisse urbana della Toscana Centrale. Nel Piano di Indirizzo Territoriale della Regione Toscana (Titolo II, Statuto del territorio, artt.4-16) “La città policentrica toscana” è interpretata come sistema a rete di “città di città” che “contrasta con nettezza i processi di conurbazione”. La struttura territoriale della Toscana contemporanea è però distante da questa configurazione, mostrando evidenti saldature insediative, in contrasto con il modello bioregionalistico. Anche in Toscana, come altrove nel mondo, la congestione dei poli urbani porta gli abitanti a ricercare una migliore qualità della vita nelle aree periurbane, conformando il territorio al modello gerarchico centro-periferia, all’origine di disequilibri sociali, ambientali ed economici. Lo scenario strategico verso cui si orienta il progetto toscano nell’ambito del Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale “Il parco agricolo: un nuovo strumento per la pianificazione territoriale degli spazio aperti”, viceversa, è un modello di reti di città, ognuna facente riferimento a un sistema territoriale locale e collegate tra loro in un’unica rete regionale di servizi. La ricerca ha coinvolto le sedi universitarie di Firenze, Milano, Genova e Palermo e in Toscana, sotto il coordinamento di Alberto Magnaghi, si è estrinsecata nel progetto “Il parco agricolo come strumento per la gestione multifunzionale degli spazi periurbani della Toscana centrale”. Declinato sul doppio livello della scala vasta e di quella locale (il caso di Prato), il progetto ha individuato scenari strategici condivisi con attori locali e istituzioni; attraverso tali scenari nella Toscana centrale prende forma un’ellisse urbana (che si articola come sistema metropolitano intorno alle città di Firenze, Prato, Pistoia, Montecatini Terme, Lucca, Pisa, Pontedera, San Miniato, Empoli) strutturata come rete polarizzata di piccoli e medi centri in equilibrio tra loro e con lo spazio aperto in cui si collocano e col quale hanno relazioni di interscambio di beni e servizi. In questo progetto di bioregione policentrica il parco agricolo rappresenta uno strumento innovativo e centrale per un progetto di territorio multiscalare, multidisciplinare e dove possano Elisa Butelli, Matteo Massarelli

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operare diversi attori. Contestualmente al parco è infatti possibile avviare un dialogo fra progetto territoriale, piani settoriali, politiche urbane e agricole, buone pratiche di costruzione sostenibile del territorio in cui gli spazi aperti e quelli costruiti possano ritrovare nuovi, stabili equilibri. L’ellisse attualmente è strutturata secondo un modello disarmonico che vede i poli come epicentri di sviluppo, le aree periferiche e le aree marginali come luoghi di abbandono e degrado (Magnaghi, 2010: 43). Si tratta quindi di recuperare una corrispondenza tra urbano e contesto circostante: «ogni città è il prodotto storico dell’interazione fra una società insediata e un territorio più o meno vasto e sulla ridefinizione di relazioni virtuose di reciprocità fra città e territorio si misura il progetto di sostenibilità forte» (Magnaghi, 2010: 161). Questa nuova condizione virtuosa, definita patto città-campagna, è sperimentata nel territorio del bacino idrografico della media e bassa valle dell'Arno, con un approccio che oltrepassa quello vincolistico. Infatti, non è la tutela a formare il parco, ma l'agricoltura multifunzionale, capace di riunire le parti di territorio in una bioregione urbana policentrica e reticolare. La multifunzionalità agricola assume un ruolo decisivo per lo sviluppo locale: proprio nei contesti agrourbani si generano infatti nuove forme di economie multisettoriali, legate a ruralità e mercati di prossimità. Nel progetto strategico di bioregione toscana risulta quindi determinante una pianificazione sensibile degli spazi aperti attraverso la quale conservare e riprodurre le regole di funzionamento ambientale. Le aree agricole limitrofe alla città devono quindi diventare sede di funzioni differenziate: fruitive, economiche, ecologiche, paesistiche, didattiche. Il tema dell’agricoltura periurbana diventa quindi centrale nello scenario di bioregione. E’ ormai parere condiviso che le città dovrebbero recuperare le aree urbanizzate esistenti: la crescita dovrebbe essere limitata a rare situazioni che possano «innalzare il livello di qualità urbana» (Poli, 2010: 115). La tendenza auspicabile è dunque quella di una diminuzione drastica del consumo di suolo, a favore di una riqualificazione e ristrutturazione delle aree urbane esistenti, con un’attenzione particolare a quelle di margine. Nel progetto di territorio, queste ultime non saranno più un “retro”, ma un nuovo fronte urbano che affaccia sugli spazi aperti del parco agricolo. In quest’ottica risulta essenziale definire il limite città-campagna evitando l’espansione di aree urbanizzate nel territorio agricolo. In questo scenario, lo spazio pubblico, inteso come bene comune, assume funzione strategica. La riqualificazione dello spazio pubblico deve infatti trasformare le periferie da spazi senza qualità in luoghi a misura d’uomo, dove si concentrino luoghi e servizi. Le reti connettive e di scambio e la strutturazione funzionale delle città vanno allora a servizio della fruizione complessiva della bioregione, assicurando relazioni efficaci fra sistemi urbani e agroforestali. Il progetto di parco agricolo per l’ellisse della Toscana centrale vuole dunque assumere un ruolo multifunzionale e multisettoriale, per offrire ai cittadini quei servizi e momenti di qualità di vita che la città non riesce più a offrire, attraverso la valorizzazione delle peculiarità locali, urbane, paesistiche e culturali.

Elementi di contesto territoriale e culturale in Aquitania Un’altra rilevante esperienza sul tema della bioregione riguarda l’Aquitania. In Francia, l’approccio alla campagna è stato generalmente orientato a tutela e vincolo. In anni recenti, viceversa, nuovi approcci legislativi hanno portato a una revisione di questo approccio, favorendo tentativi ed esperienze di tipo bioregionalistico. In particolare, la legge Grenelle II (Legge sull’impegno nazionale per l’ambiente, fr. Loi portant engagement national pour l'environnement, 12/07/2010) completa, applica e territorializza la Grenelle I (2009) la quale a sua volta traduceva in programma gli impegni presi durante la cosiddetta “Grenelle Environnement”, un insieme di incontri politici tenutisi nel 2007 atti a intraprendere decisioni a lungo termine in materia di ambiente e sviluppo sostenibile, con attenzione particolare alla salvaguardia della biodiversità e all’istituzione degli Schemi Regionali di Coerenza Ecologica (fr. Schémas Régionaux de Cohérence Écologique). La nuova legge ha obiettivi di sviluppo sostenibile e tutela delle risorse in conformità con alcuni strumenti urbanistici (SCoT, Schemi di Coerenza territoriale con cui si indicano le modalità di trasformazione del territorio in conformità con i principi dello sviluppo sostenibile). Inoltre, la legge Grenelle II ripristina la possibilità di superare del 20% i limiti di dimensione e densità di occupazione di suolo nelle aree protette per gli edifici che soddisfano determinati criteri di rendimento energetico o impianti di energia rinnovabile. È in questo contesto legislativo che si colloca il caso dell’Aquitania, regione dalla densità demografica relativamente bassa e il cui territorio si presenta particolarmente ricco di aree non urbanizzate. Aspirazione dell’Aquitania è diventare una bioregione nella quale l’urbano e il territorio aperto dialoghino in modo paritario, nel rispetto delle caratteristiche peculiari della regione stessa. L’Aquitania occupa una superficie di 41.000 km quadrati con una popolazione di 3.250.000 abitanti (la densità risulta bassa se confrontata per esempio con quella della Toscana in Italia, la cui superficie è pari a circa 23.000 km quadrati e la popolazione è pari a 3.677.054 abitanti1). Nonostante la sua densità demografica relativamente scarsa, l’Aquitania è investita da crescenti fenomeni di urbanizzazione. Infatti, la fascia costiera della regione, negli ultimi anni, ha conosciuto una diffusione urbana ed edilizia sempre più massiccia. La problematica appare particolarmente acuta nel dipartimento Gironde, dove si 1

Data di riferimento: 31 settembre 2012, dati Istat, http://demo.istat.it/bilmens2012gen/index.html

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trova il capoluogo Bordeaux, una delle città più popolose e attrattive della Francia, ampliatasi enormemente nel secondo dopoguerra. Per evitare una prospettiva di macrocefalia metropolitana, lo scenario voluto e ricercato sin dagli anni Settanta del novecento è quello di uno sviluppo per poli inframmezzati da varchi di spazio aperto: in tale progetto la regola fondamentale era creare strutture inserite e ben mimetizzate nel contesto. Con questo approccio, sono stati costruiti corridoi verdi a collegamento di grandi parchi, spazi verdi, orti, parchi naturali, aziende agricole riconvertite ad uso pubblico. All’interno della regione dell’Aquitania, Il Médoc - penisola del nord della Biscaglia, nel dipartimento francese della Gironda - rappresenta, per le sue caratteristiche geografiche e le sue risorse naturali, un territorio particolarmente sensibile alle trasformazioni causate dall’urbanizzazione della costa. L’identità del Medoc, composto a sua volta da Alto Médoc (famoso a livello internazionale per la produzione di vini pregiati), Basso Médoc (caratterizzato da aree umide) e Lande (caratterizzate da ampie foreste), è costruita nel tempo attraverso l’interazione di acqua e spazio agricolo. Per arrivare allo stato attuale il territorio è passato attraverso due azioni principali: anzitutto la bonifica. Nel sec. XVI il re Enrico IV avviò un grande progetto di risistemazione del territorio, con la “conquista” di una striscia di terra al mare, per il quale furono ingaggiati anche ingegneri olandesi, durante l’arco di due secoli. Oggi il territorio si presenta come un’area pianeggiante e collinare: sulle colline si trovano vigneti mentre le pianure alluvionali sono utilizzate per coltivare cereali e per l’allevamento bovino. Si tratta di territori fragili, la cui artificialità va continuamente rinnovata per garantirne la produttività. In queste lande, si trova il pilastro economico della regione. Basti dire che se non ci fosse stata la politica della bonifica non ci sarebbero stati quei canali e quei ristagni d’acqua relativamente caldi che creano un microclima favorevole alle vigne: la viticoltura e il commercio del vino costituiscono oggi l’attività principale della regione. Anche dal punto di vista ambientale, la politica della bonifica ha creato situazioni di pregio, soprattutto nei 40.000 ettari di aree umide. Secondariamente, nella zona interna all’area di bonifica è stata impiantata una foresta quasi interamente a monocoltura di pino marittimo. L’aggressione da parte delle aree edificate costituisce una forte minaccia al mantenimento delle aree naturali presenti in questa regione, elemento fondamentale del modello di bioregione. Il destino di questo territorio è sicuramente legato al rapporto con la metropoli: ma la metropoli non deve essere un luogo di vorace consumo di territorio e risorse, dato che anch’essa ha bisogno del suo territorio. È necessario allora partire dal presupposto che questo territorio vuole e deve mantenere la sua identità paesaggistica e un ruolo di “serbatoio di cibo” per la città. Per cercare di coniugare entrambi gli aspetti, e al contempo proporre un progetto di territorio che sia competitivo e ponga l’Aquitania in una posizione di rilievo nel panorama europeo, è opportuno che l’agricoltura assuma un ruolo multifunzionale: finalizzata all’alimentazione, ma anche paesaggistica, al fine di indirizzare il turismo verso l’eco-turismo. Il progetto di territorio del Medoc si sta strutturando soprattutto dal basso: parte della popolazione stessa, infatti, richiede che l’intera area sia organizzato in un Parco Regionale che possa offrire ai cittadini una fruibilità allargata del territorio. Lo scenario di Progetto a cui ambisce il Medoc è quello di una struttura regionale di tipo reticolare e policentrico per quanto riguarda servizi e funzioni. L’obiettivo è infatti quello di discostarsi dal tipico monocentrismo della realtà urbana francese, con tutte le problematiche che tale modello comporta (basti pensare all’enorme mole di traffico che ogni giorno si sposta tra centro e periferie). A tale fine, all’interno del dipartimento della Gironde è stato avviato un progetto che prevede 50.000 abitazioni intorno ad assi di trasporto pubblico e 55.000 ettari di spazi verdi. Questo progetto limita lo sprawl urbano, implementa la costruzione di alloggi innovativi e di insediamenti economicamente accessibili, a distanza ragionevole del posto di lavoro; unisce città e campagna, in modo da ripensare il modello insediativo della regione. Questo porterebbe alla riattivazione delle economie locali e dei loro valori depositati nel tempo, messi da parte in favore dello sviluppo della metropoli urbana bordolese. Il progetto a cui aspira l’Aquitania è quindi di natura multiscalare, in cui i tre territori del dipartimento della Gironda, del Medòc e della città di Bordeaux diventano parte di un progetto comune: la bioregione.

Bibliografia Berg P. (1978), Reinhabiting A Separate Country: A Bioregional Anthology of Northern California, Planet Drum Foundation, San Francisco. Cevasco R. (2007), Memoria verde. Nuovi spazi per la geografia, Diabasis, Reggio Emilia. Geddes P. (1970; ed. Orig. 1915), Città in evoluzione, Il Saggiatore, Milano. Magnaghi A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringhieri, Torino. Poli D. (2010), Caratteri e forme insediative dell’ellisse urbana della Toscana centrale, in Magnaghi A., Fanfani D. (a cura di), Patto città campagna. Un progetto di bioregione urbana per la Toscana centrale, Alinea, Firenze. Sale K. (1985), Dwellers in the Land: The Bioregional Vision, Random House, San Francisco. Saragosa C. (2001), L’Ecosistema Territoriale e la sua base ambientale, in Magnaghi A. (a cura di), Rappresentare i luoghi, Alinea, Firenze. Todd J. (1989), Progettare secondo natura, Eléuthera, Milano. Vallega A. (1989), Geografia umana, Mursia, Milano. Vidal de la Blanche P. (2008), Principes de géographie humaine, L’Harmattan, Parigi. Elisa Butelli, Matteo Massarelli

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Strategie di densificazione dei paesaggi intermedi nella Puglia centrale

Strategie di densificazione dei paesaggi intermedi nella Puglia centrale Alessandro Cariello Politecnico di Bari DICAR - Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura Email: a.cariello@poliba.it Tel: + 39 338 5423793 Rossella Ferorelli Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: rossellaferorelli@gmail.com Tel: + 39 333 4977417

Abstract I dati sul consumo di suolo evidenziano molteplici modalità di impiego delle risorse territoriali delle espansioni insediative recenti, in relazione a modelli storicizzati di insediamento. Per affrontare i temi connessi al progetto della città contemporanea è utile interrogarsi sulle posture cognitivo-interpretative che guardano i sistemi urbani come parti inscindibili dal proprio territorio rurale, e legate da un ‘paesaggio intermedio’. La riqualificazione delle frange urbane si fonda su tale prospettiva bidirezionale, misurando le strategie di densificazione del paesaggio di confine in contesti urbani con una morfologia compatta e tassi contenuti di dispersione insediativa. Il caso preso in esame è quello della Puglia centrale anche alla luce degli approfondimenti del nuovo Piano Paesaggistico Territoriale Regionale. Parole chiave Consumo di suolo, paesaggio intermedio, densificazione. Il presente lavoro contiene le prime esplorazioni in merito alle strategie di riqualificazione dei contesti periurbani per la Puglia centrale coordinate alla ricerca PRIN 2009 ‘Architettura come patrimonio. Strumenti innovativi per la tutela e la valorizzazione dei sistemi insediativi’

I dati sul consumo di suolo I tentativi di reagire alla crisi economica e finanziaria dell’ultimo quinquennio puntando sulla ripresa pur debole del mercato immobiliare1 dopo un periodo di caduta dei prezzi e delle vendite delle abitazioni2, aprirebbe al rischio di rendere rinegoziabili le politiche di contenimento del consumo di suolo che faticosamente si sono fatte spazio, negli ultimi venti anni, nelle agende di sviluppo locale. In termini quantitativi, i dati sul consumo di suolo3 presentano un fenomeno diffuso su tutto il territorio nazionale4, e rilevano una crescita del 333% del suolo edificato a partire dal dopoguerra, con picchi registrati in Sardegna (1154%) e in Emilia Romagna (512%), in relazione ad un incremento demografico che porta il tasso di 1

Standard & Poor's Rating Services (2013.01.17) Europe's Recession Is Still Dragging Down House Prices In Most Markets, Standard & Poor's Rating Services. Accessed 2013.04.02, from: <http://www.standardandpoors.com/spf/upload/Ratings_EMEA/2013-0117_EuropesRecessionIsStillDraggingDownHousePrices.pdf>. 2 (2013_01_12) “Home truths”. The Economist. Accessed 2013.04.02, from: <http://www.economist.com/news/finance-andeconomics/21569396-our-latest-round-up-shows-many-housing-markets-are-still-dumps-home. 3 Dati tratti dal Dossier sul Consumo di Suolo, elaborato dal FAI e WWF Italia “Terra rubata. Viaggio nell’Italia che scompare” (gennaio 2012). 4 Le regioni analizzate sono 11: l’Umbria, l’Abruzzo, il Molise, la Puglia, la Valle d’Aosta, il Lazio, la Liguria e le Marche. Alessandro Cariello, Rossella Ferorelli

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Strategie di densificazione dei paesaggi intermedi nella Puglia centrale

urbanizzazione pro-capite odierna, rispettivamente di 491 e 541 mq/ab, su una media nazionale di 366 mq/ab. Ma il dato che fornisce la qualità delle trasformazioni insediative territoriali, in riferimento ai rapporti di artificializzazione dei suoli, evidenzia come, in alcuni contesti regionali, i tassi di urbanizzazione interessino vaste porzioni di territorio: in Lombardia e in Veneto infatti, i dati elaborati su base Corineland Cover, riportano una diffusione dell’artificializzazione superiore rispettivamente del 10% e del 7% del territorio regionale, in confronto ad una media nazionale del 5%5. I dati del dossier rendono comparabili, a livello numerico, i trend di incremento edilizio che strutturano, però, fenomeni di trasformazione insediativa immersi in contesti territoriali profondamenti diversi, alcuni dei quali connotati da modelli storicizzati di dispersione abitativa, tali da presupporre delle strategie ad-hoc per il contenimento del consumo di suolo. In questo lavoro infatti si intende formulare delle proposte che riguardano ambiti insediativi connotati da morfologie urbane di tipo compatto e da limitati fenomeni di dispersione abitativa. La Puglia, e nello specifico l’area del capoluogo e del nordbarese, è individuabile come un’area che ha visto uno sviluppo insediativo consistente, soprattutto nell’ultimo quarantennio, ma che ha parzialmente conservato un’identificazione chiara tra spazio agricolo e spazio urbano. Su scala regionale, il tasso di incremento dell’urbanizzazione recente si attesta al 475%, ben al di sopra della media nazionale (333%), a fronte di livelli contenuti di urbanizzazione pro-capite (332 mq/ab) e di artificializzazione del suolo (inferiore al 4%). Su scala provinciale l’incremento scende al 414%6 mentre, pur con lo stesso livello di artificializzazione, si rileva il minor impatto del costruito a fronte dell’incremento demografico (solo 146 mq/ab). Ciò avviene nonostante la provincia di Bari sia la prima nella regione quanto a valore aggiunto pro capite7 e per popolazione insediata8. Tali valori acquisiscono rilevanza soprattutto se si considera che i ritmi di consumo più elevati registrati in Italia si sono misurati nelle pianure aperte e costiere9: la provincia presenta per il 90% del territorio pendenze inferiori al 10%10.

Il paesaggio intermedio Il presente lavoro cerca di adottare una metodologia cognitiva di lettura della città attraverso tre pratiche − descrizione, interpretazione e progetto11 − strutturandole in forma ricorsiva e non consequenziale12, per produrre un’azione esplorativa temporanea di conoscenza (Viganò, 2010). Tale postura cognitiva si fonda sull’ipotesi che la città sia un sistema saldamente connesso con il proprio territorio circostante, agricolo, naturale ed infrastrutturale, con il quale intesse relazioni fondate sulle pratiche e sui significati. In questo modo la città può essere interpretata secondo una logica bidirezionale: non solo per le sue caratteristiche endogene, fondate sulla prossimità, ma anche a partire dal suo esterno, la campagna, adottando un’angolazione paesaggistica (Mininni, 2012). Questa postura non introduce innovazione in merito alla descrizione dei fenomeni recenti di trasformazione insediativa13, ma tenta di inquadrare la condizione urbana in una logica attualizzata di continuum tra l’insediamento ed il territorio rurale: «il concetto di paesaggio ci può aiutare in questa operazione di liberazione dello sguardo e della mente. Parlare di paesaggio non significa ingrandire il nostro campo di osservazione fino ad abbracciare porzioni di territorio sempre più vaste: è solo un modo diverso di guardare alle stesse cose» (Zardini, 1999: 22). La crescente sensibilità per i temi ambientali e paesaggistici14 è assieme causa e conseguenza della presa di coscienza di quanto la città contemporanea sia «sdraiata» al suolo (Ingersoll, 2006), e di quanto troppo spesso 5

Significativo è il caso del Friuli Venezia Giulia. Il raffronto tra la situazione odierna e il dopoguerra, della relazione tra urbanizzazione territoriale (6-7%, la terza in Italia), e incremento edilizio (solo del 105%), sulla base di un numero di abitanti rimasto invariato nell’ultimo cinquantennio, tale da determinare un tasso di urbanizzazione pro-capite odierna di 576 mq/ab. 6 Fonte: PTCP Bari (aggiornamento dati: 2005), elaborazione degli autori. 7 Fonte: Unioncamere, Scenari di sviluppo delle economie locali italiane (dicembre 2011). 8 Con 1.246.742 abitanti possiede il 30,78% della popolazione a fronte del 19,77% del territorio regionale. Fonte: ISTAT (dicembre 2011). 9 Il ritmo di urbanizzazione passa da un valore superiore agli 80.000 mq/giorno per le pianure aperte ai 40.000 mq/giorno per le pianure costiere. Fonte: Dossier sul Consumo di Suolo, cit. 10 Fonte: PTCP Bari, cit. 11 Il progetto viene qui inteso non come una pratica conclusiva, ma come una forma ulteriore di produzione di conoscenza (Viganò, 2010). In relazione al suo potenziale intuitivo, assieme alla descrizione ed all’interpretazione, può avere la capacità di porre ulteriori interrogativi alla base dell’avanzamento della ricerca 12 Secchi (1996) interpreta le tre pratiche come connesse da una relazione orizzontale e non verticale, quindi indifferentemente sovrapponibili e contaminabili, non governate da una successione di operazioni 13 Quali ad esempio la diffusione o la metropolizzazione del territorio (Indovina, 2005a, 2005b, 2009a) 14 Con la Convenzione Europea del Paesaggio (2000) e il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs 42/2004 e s.m.i.), vi è un ampliamento del concetto di paesaggio ai territori costruiti, interpretati come parte integrante di unità paesaggistiche che compongono il patrimonio umano. Il paesaggio, e la relativa salvaguardia, pertanto diventa un’entità Alessandro Cariello, Rossella Ferorelli

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abitare nella città contemporanea significhi abitare i paesaggi della dispersione insediativa. Negli ultimi vent’anni molti sono stati gli studi condotti per comprendere le declinazioni di questo fenomeno insediativo sul territorio italiano, tali da costruire famiglie interpretative riconoscibili a seconda delle tecniche di descrizione, delle posizioni interpretative e delle formule progettuali proposte (Bianchetti, 2003); l’inscindibilità tra il territorio rurale e quello abitato, però, ricorre sempre in termini spaziali, ma raramente riguarda le pratiche di utilizzo che intercorrono tra il vuoto e lo spazio costruito: approfittando della redditività decrescente dell’agricoltura, la campagna viene sfruttata come un serbatoio di suolo in continua erosione per la localizzazione di attività legate alla piccola o alla media impresa spesso slegate dal settore primario, oppure per esigenze abitative o servizi per la distribuzione e il commercio di grandi dimensioni (Indovina, 2009b). Il riposizionamento verso un’ipotesi fondata su un concetto ‘allargato’ di territorio insediato pone le condizioni per la riconsiderazione di alcuni temi ricorrenti nella disciplina urbanistica. Le categorie di urbanità-ruralità, nel frame di gradiente insediativo, perdono il loro potenziale descrittivo; i termini di peri-feria e peri-urbanità, nella sempre più frequente organizzazione multipolare dello spazio metropolitano (Indovina, 2009a; Agnoletto & Guerzoni, 2012), non riescono più a rappresentare la piena marginalità geografica rispetto al centro della città. Ecco quindi che il neologismo Edge City, coniato da Joel Garreau con il libro omonimo nel 1991, precursore di una stagione narrativa sulla condizione della perifericità urbana negli USA, può ritenersi superato rispetto al profetico Middle Landscape di Peter G. Rowe, che identifica quel paesaggio di transizione dei suburbs nordamericani (nei pressi di Los Angeles e di Passaic in New Jersey) sorti con il boom immobiliare antecedente alla crisi petrolifera del ‘73, che possiedono un carattere ibrido tra la nostalgia pastorale e forte avanzamento tecnologico. Se le edge cities hanno come carattere distintivo principale la distanza dal centro urbano (oltre alla monofunzionalità, la dilatazione dello spazio e la conseguente imprescindibilità dell’automobile come mezzo di spostamento), Rowe individua paradossalmente i ‘paesaggi intermedi’ come porzioni di territorio centrali, strette tra la campagna agricola e la città consolidata. La vicinanza di Robert Smithson e del mondo della Land Art consentì un approccio più marcatamente percettivo ed estetico, permettendo l’introduzione del concetto di paesaggio abitato e della sua sensibilità alla trasformazione, che nel caso di Pessaic, ha assunto anche i toni della caducità, per la coesistenza di rovine e nuove costruzioni. Invece delle gated communities e dei villages, rifiniti ma deserti, dove anche la natura artificializzata ha un senso di forte addomesticamento, i middle landscapes provano a raccontare un ordine differente da quello eminentemente architettonico poiché è un ordine ibrido, che alterna i segni visibili dell’antropizzazione umana negli edifici e nell’agricoltura, ai tratti del territorio naturale ed ai frammenti del terzo paesaggio (Clément, 2005).

I paesaggi intermedi della Puglia Centrale L’adozione di una prospettiva bidirezionale si compone quindi di due sguardi simultanei. Un primo, che osservi la città dall’interno verso l’esterno, come un sistema concentrico a gradiente insediativo di densità decrescente, e che declini le strategie per il contenimento dell’uso di suolo nell’urban infill e nella riqualificazione del patrimonio edilizio soprattutto nei territori di frangia dove si intensificano gli stati di degrado. Un secondo, che guardi la città dall’esterno verso l’interno, a partire dal territorio aperto, adottando una prospettiva paesaggista e agrourbanista (Viljoen et al., 2005; Donadieu, 2006; Mininni, 2012). Quest’ultimo immagina una campagna post-produttivistica capace, attraverso la multifunzionalizzazione del territorio (orientate al leisure, alla cultura, al consumo e al turismo o alla localizzazione di funzioni di rango superiore), di costituire uno strumento di riqualificazione sia dello spazio aperto, sia delle frange urbane. Cosa accade se si prova ad utilizzare tale prospettiva interpretativa bidirezionale in contesti insediativi dove la compenetrazione tra città e campagna si esaurisce in uno spazio ridotto e i fenomeni di dispersione insediativa sono molto contenuti? Come è stato illustrato precedentemente con i dati sul consumo di suolo, la Puglia − ed in particolare l’ambito della Puglia centrale − ha registrato tassi di incremento notevoli delle superfici coperte, ma che possono considerarsi contenuti se riferiti all’incremento demografico o alla percentuale di artificializzazione del suolo. Ciò determina che i fenomeni di dispersione insediativa nel territorio aperto sono limitati. Il carattere distintivo del sistema insediativo urbano è la prevalenza di centri di dimensioni medio-grandi, tale da assimilare la provincia alle aree più densamente abitate dell’Italia centrale e settentrionale15, dalle quali però si distingue per la peculiarità di interporre tra i centri urbani brani di territorio agricolo privi di qualsiasi forma di che insiste su uno spazio continuo e a ‘densità patrimoniale variabile’. Difatti posso essere considerati elementi integranti del paesaggio anche i paesaggi quotidiani ordinari o i luoghi del degrado, spazi che sono molto ricorrenti nelle aree di frangia urbana. 15 Il riferimento è sia ai centri integrati con il sistema metropolitano del capoluogo attraverso i comuni di prima e seconda corona, sia appartenenti al sistema dei centri corrispondenti del nordbarese. Ciò pone la provincia ai primi posti, assieme a Milano, Napoli e Roma per numero di comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti e prima per incidenza di quelli con dimensione superiore ai 15.000 abitanti, sull’intero territorio nazionale Alessandro Cariello, Rossella Ferorelli

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insediamento. Questo sistema insediativo urbano, composto da grandi centri compatti, è l’eredità di un rapporto storicizzato tra città e campagna. Sino al secondo dopoguerra, il territorio in oggetto era una efficiente macchina per lo sfruttamento delle risorse agricole, che aveva nei centri urbani il fulcro organizzativo ed istituzionale, e soprattutto di mercato. Le agrotowns erano quindi attrezzate sia come un’enorme struttura al servizio della produzione agricola (ospitando al loro interno servizi utili allo stoccaggio ed alla trasformazione delle derrate) sia come il luogo che accoglieva le abitazioni dei contadini, costruendo un modello molto diverso da quello generalmente diffuso in Europa, ovvero un insediamento con pochi oggetti sparsi nel territorio rurale (Salvemini, 1989, 2006). Questo modello è riconoscibile sino alla metà degli anni ’70, quando le città si sono sviluppate in continuità con gli impianti di matrice ottocentesca o dei primi del Novecento (Calace, 2007); successivamente i fenomeni insediativi hanno assunto morfologie e processi di accrescimento edilizio in forte discontinuità con modello storico antitetico città (risiedere)/campagna (produrre), soprattutto nelle aree attorno al capoluogo. Pertanto oggi è possibile individuare, nell’ambito della Puglia centrale, due modelli di sviluppo insediativo. Il primo, quello della città di Bari, connotato da una forte frammentazione morfologica composta da: elementi indipendenti espulsi nel territorio rurale; diramazioni lungo le direttrici infrastrutturali principali che in alcuni casi generano saldature con i comuni della prima corona o ingente pressione insediativa lungo le coste; oppure da dispersione insediativa di aree miste residenzial-produttive. Il secondo, quello dei comuni di seconda corona e del sistema dei centri corrispondenti della costa e dell’interno nel nord-est barese, che replicano alcuni dei fenomeni del capoluogo solo in maniera localizzata e con dimensioni contenute, ma che complessivamente non hanno alterato il carattere di compattezza del centro urbano e contemporaneamente hanno conservato una pressione insediativa rurale molto bassa.

Il paesaggio intermedio nel PPTR Puglia Il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale per la Puglia (PPTR), di recente formazione, parte dal riconoscimento di questa relazione storica tra gli insediamenti ed il territorio rurale e in particolare con la fascia immediatamente circostante il centro abitato destinata a colture orticole o arboricolo/arbustive intensive per l’autosussistenza degli agricoltori, che viene richiamata con il nome di ‘ristretto’. Il presente lavoro intende ripercorrere l’impianto interpretativo e progettuale che il piano fornisce ad una scala regionale e adottando una prospettiva prevalentemente paesaggistico/ambientale, per misurarla alla scala locale, e ibridando le prospettive interpretative sia riguardo le tematiche sviluppate dal piano, sia rispetto alle questioni di riqualificazione del patrimonio edilizio dei paesaggi intermedi. L’obiettivo è delineare strategie di intervento per lo sviluppo e la rigenerazione urbana perseguendo un approccio sostenibile rispetto a tutti i sistemi di risorse considerati, ed in particolare puntando alla limitazione del consumo di suolo. Il PPTR Puglia destina uno dei cinque progetti strategici territoriali, il ‘patto città-campagna’, alle strategie di intervento sul periurbano, proponendo tre scenari di sviluppo, che possono essere in questa sede rielaborati come segue: 1) il completamento del paesaggio intermedio, attraverso la localizzazione dello stock edilizio residuo delle previsioni di piano e delle quote di servizi tuttora in attesa di realizzazione; 2) l’integrazione del paesaggio intermedio senza incrementi edilizi a scopo residenziale ma con l’inserimento di sole dotazioni urbane o di infrastrutture; 3) l’avanzamento del territorio rurale nelle maglie larghe della frangia. I tre scenari perseguono obiettivi generali su tutti i sistemi di risorse16 − ambientali, rurali, insediativi, infrastrutturali e paesaggistici17 −, e tuttavia alcuni di essi focalizzano le proprie azioni al miglioramento delle risorse naturali o di quelle più propriamente insediative. Sebbene l’attuazione di uno dei tre scenari sia connessa direttamente all’indirizzo impresso dalle politiche locali – in merito tanto ai tassi di sviluppo insediativo quanto alla scelta dei settori di investimento –, essa può essere condizionata dai caratteri del paesaggio intermedio. Al concetto di paesaggio intermedio, nel PPTR, è possibile corrispondere la nozione di confine: esso infatti è percepibile come un unico paesaggio che ha il carattere di essere «posto a cavallo tra un territorio costruito ed uno spazio aperto coltivato». La topologia del confine è quella di uno spazio anisotropo che include l’estensione di due margini che si fronteggiano (Treu, 2006), rispetto ad una linea di separazione rappresentata dal bordo, più direttamente collegata al concetto di limite, quale soglia che divide o circoscrive due entità differenti (Treu, 2006).

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Legge Regionale 27 luglio 2001, n. 20, art. 4, comma 3, lett. b e art. 5, comma 10 bis: “Documento Regionale di Assetto Generale (DRAG) Indirizzi, criteri e orientamenti per la formazione, il dimensionamento e il contenuto dei piani urbanistici generali (PUG)” 17 Il presente lavoro li sistematizza in: innalzamento della qualità ambientale del paesaggio intermedio, aumento della resilienza del territorio rurale appartenente nel paesaggio intermedio, valorizzazione delle risorse del patrimonio insediativo rurale storico, valorizzazione della struttura estetico-percettiva del paesaggio intermedio, limitare il consumo di suolo, potenziamento e integrare reti infrastrutturali Alessandro Cariello, Rossella Ferorelli

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L’utilizzo della tassonomia interpretativa che relaziona bordo/margine/confine, viene in questa sede ripresa e rielaborata poiché coerente con le qualità spaziali degli insediamenti a bassa dispersione abitativa, con frange urbane di estensione ridotta, mentre assume significati differenti lì dove il paesaggio intermedio comprende vaste porzioni di territorio. L’individuazione del bordo è, pertanto, il primo step procedurale per identificare i rispettivi margini che caratterizzano il paesaggio di confine (Figura 1). L’analisi del margine urbano parte dal riconoscimento dei materiali urbani in esso presenti18. Essi possono definirsi «unità minime della composizione urbana» (Boeri, Lanzani, Marini, 1993) e si sviluppano su una dimensione intermedia dello spazio fisico tra quella più ampia dei pattern insediativi e quella disegnata dai singoli oggetti edilizi. Studiati come elementi di un sistema aperto (Secchi, 2000), date le relazioni deboli tra i vari materiali della città contemporanea, sono unità spazialmente omogenee (Lynch, 1960) che identificano una forma ricorrente di configurazione dello spazio (costruito, vuoto, infrastrutture, o pubblico-privato) (Viganò, 1999) quale ‘tracce di deposito’ delle pratiche abitative del quotidiano (Munarin, Tosi, 2002).

Note su progetto del paesaggio intermedio I paesaggi ‘corti’ intermedi, ricorrenti nella Puglia Centrale, in opposizione allo spazio antropizzato presentano immediatamente oltre il costruito distese densissime di uliveto, fitti mosaici di seminativi o di orti, che costituiscono una green-belt spontanea attorno ai centri urbani e contengono una quantità limitatissima di edilizia rurale. Sono le aree dove la campagna urbanizzata è praticamente assente, e il progetto diventa possibile solo in uno spazio liminare, lungo una recinzione o su una sezione stradale, o trova spazio unicamente in ridotti campi vuoti all’interno degli edificati discontinui e/o a maglie larghe. La grana fine dello spazio aperto interstiziale non consente pertanto la piena attuazione di politiche agrourbaniste, ma permette di esplorare, in questi paesaggi, gli scenari orientati alla densificazione o all’integrazione del costruito con il territorio rurale. Poiché queste sono parte di una ricerca in corso, a scopo esemplificativo, si indagano le strategie di intervento sul paesaggio intermedio in occasione di margini urbani caratterizzati da ensemble di edilizia residenziale pubblica. Essi sono unità insediative che incarnano compiutamente il concetto di città pubblica (Di Biagi, 2008) quali unità che derivano da un progetto unitario e che quindi detengono una forte coerenza interna quanto a rete viaria e a disegno degli spazi aperti. Rispetto all’intorno sono chiaramente riconoscibili ed individuabili, sia quando sono interventi di completamento, sia per le addizioni urbane, poiché differiscono generalmente per la grana del costruito e del vuoto, apparendo così giustapposti ai tessuti esistenti. Questa condizione si itera per le unità collocate ai limiti o all’interno del centro urbano. La morfologia isotropa della ripetizione e la diversità rispetto alla città ‘esterna’ costituiscono delle varianti-soglia non fisiche ma identificabili a livello percettivo (Figura 1)19. Nonostante la localizzazione degli ensemble nel paesaggio intermedio, l’impianto si ispira a modelli con densità, grana e tipologie edilizie tipiche della città consolidata, ritagliando aree intensamente antropizzate immediatamente a ridosso della campagna, con una ingente dilatazione dello spazio aperto entro cui frequentemente si incontrano aree di incompiuto urbanistico20: zone destinate a servizi mai realizzati o rimasti in attesa di completamento (Bellicini, Ingersoll, 2001). Nell’ultimo decennio, in Italia ma soprattutto in Europa, le strategie di densificazione della città pubblica sono state lo strumento preferenziale per innescare fenomeni di rigenerazione di questi contesti urbani (Reale, 2008; Fernández-Per, Mozas, 2007). Per densificazione si intende una strategia diversificata che si serve di politiche hardware e software, strutturate su tre azioni principali: la densificazione fisica, l’urban infill, attraverso un incremento volumetrico che intervenga nell’umanizzazione dello spazio dilatato e consenta l’inserimento di nuove classi sociali nell’ensemble; la densificazione funzionale, orientata al superamento della monofunzionalità, con l’inserimento di programmi legati al commercio, alla produzione ed ai servizi collettivi; l’integrazione degli ensemble nelle reti della mobilità (garantendo più alti tassi di accessibilità), della cooperazione sociale (favorendo l’inclusione delle classi meno integrate), dell’ecologia (attraverso il risanamento ambientale o la creazione di infrastrutture naturali). In Puglia la rigenerazione dei contesti periferici ha interessato in prevalenza gli ensemble di edilizia pubblica, che iconicamente presentano condizioni di forte degrado urbano (Martinelli, 2009). La promozione degli interventi di riqualificazione è stata affidata a strumenti come i Programmi Integrati di Riqualificazione delle Periferie21, a cui sono seguiti i Programmi Integrati di Rigenerazione Urbana. Soprattutto per i PIRP la 18

Per una più ampia trattazione della tassonomia vedasi: Cariello, 2012 Per un approfondimento riguardo i materiali del territorio della Puglia centrale vedasi: Cariello, 2012. 20 Da distinguersi con il famigerato ‘Incompiuto Siciliano’ coniato nell’omonima ricerca di tutto il patrimonio edilizio di interesse pubblico italiano rimasto incompiuto, quindi mai utilizzato ed abbandonato. Cfr <http://www.incompiutosiciliano.org/> 21 I primi, sono stati banditi con la legge regionale n. 20/2005 e alla deliberazione di Giunta n. 1585/2005, sono finalizzati alla rigenerazione delle periferie urbane colpite da degrado fisico, sociale ed economico, attraverso azioni mirate al miglioramento della qualità ambientale, alla promozione dell'occupazione e all'impiego dell'imprenditoria locale. I secondi 19

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densificazione volumetrica e funzionale, tranne che in alcuni casi22, non è stata utilizzata per l’infill di aree già insediate (si è preferito intervenire su aree libere e non ancora urbanizzate); per queste ultime invece è stato previsto l’inserimento di programmi a bassa mixitè funzionale, colmando sostanzialmente il deficit di servizi elementari per la residenza. Tali programmi, nonostante contemplino interventi coerenti con la sostenibilità ambientale, hanno perseguito l’obiettivo di rigenerazione guardando alla città pubblica dal suo interno, focalizzandosi soprattutto su problemi di degrado, prevalentemente a scala architettonica. Un assetto complementare oggi carente, che conferirebbe allo sviluppo di una nuova stagione di questi programmi maggiore efficacia − non solo contro il disagio abitativo, ma anche per assegnare alla città pubblica un ruolo nella multipolarità urbana (Palazzo, 2006) − sarebbe quello di puntare sulla prospettiva paesaggistica, data l’appartenenza al margine urbano di molti ensemble di ERP. La proposta qui elaborata punta a risolvere la condizione di indifferenza del bordo tra città e campagna, destinando gli spazi ‘indecisi’ (Clément, 2005) collocati nella parte interna delle maglie a densificazioni prevalentemente residenziali e ad alcuni servizi elementari alla residenza, per centrifugare al bordo oggetti urbani che hanno la capacità di essere dei condensatori funzionali. Utilizzando meccanismi perequativi (Figure 2 e 3) che consentirebbero di acquisire aree sul perimetro esterno degli ensemble, il bordo diverrebbe un luogo di esplorazione progettuale per l’insediamento di funzioni superiori a carattere territoriale, soprattutto se direttamente connesse con i temi dell’ambiente naturale o della produzione agricola, come, ad esempio, strutture mercatali, alta formazione e servizi avanzati. La collocazione nel paesaggio intermedio di condensatori territoriali impone riflessioni anche sul carattere stesso dell’architettura, che in questo caso deve sublimare l’ordine dell’’architettura della città’ di stampo rossiano, con quello del paesaggio rurale, entrando così nel dominio della landscape urbanism (Waldheim, 2006), che si fonda soprattutto sulla ricerca di ibridazione e continuità dei due sistemi, in relazione alla configurazione morfologica, alle pratiche di uso e ai materiali impiegati (Corner, 2006)23. Il progetto di landscape urbanism nelle condizioni di bordo, nella sua natura ibrida, può quindi massimizzare le attitudini del confine di possedere una capacità sinaptica, ovvero di collegare, mettere in relazione due realtà spaziali distinte (Valentini, 2006). Oltre alle componenti sopra descritte, gli obiettivi prestazionali per dei cluster di bordo agli ensemble di ERP, partendo dall’analisi degli esempi ricorrenti nell’ambito della Puglia centrale, si potrebbero orientare sulle seguenti azioni: • l’integrazione delle reti della mobilità esistenti, da quella urbana − su gomma o su ferro − con la tramatura di percorsi agricoli o storici della campagna (questi ultimi quali potenziale risorsa per la mobilità dolce che attraversa il territorio e ne potenzi la sua struttura percettiva); • la creazione di un dispositivo spaziale e architettonico di connessione tra il paesaggio urbano e le emergenze ambientali e/o paesaggistiche al di fuori dei centri abitati, o il patrimonio edilizio storico diffuso nel territorio rurale; • l’intensificazione dell’uso del paesaggio intermedio, per fomentare fenomeni di autocontrollo diretto del territorio, che consideri la campagna come parte su cui espandere gli ‘occhi del vicinato’ (Jacobs, 1961), soprattutto in difesa dall’abbandono o dalle forme di edilizia abusiva che proprio nel territorio suburbano si nascondono all’ombra della densità vegetazionale (Zanfi, 2008). Il modello del cluster di bordo pertanto, declinabile in maniera opportuna anche per altri materiali urbani diversi dagli ensemble di ERP, è ipotizzabile come un dispositivo architettonico e paesaggistico che integri strategie molteplici e contemporanee (Palazzo, 2006) di soglia e connessione tra lo spazio rurale e quello urbano; che densifichi nelle forme e negli usi i margini periferici, puntando alla loro rigenerazione; che costruisca, attraverso i principi di design della landscape urbanism, elementi che arginino l’avanzamento dell’edificato nel territorio rurale.

sono legati alla legge regionale n. 21 del 29 luglio 2008, e sono focalizzati non soltanto su contesti marginali, ma anche su quelli storici o sulle aree della dismissione. 22 Si vedano i programmi dei quartieri Japigia e San Marcello a Bari, e quello che interessa il quartiere PEEP di via Piccinato a Monopoli. Cfr: <http://orca.regione.puglia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=79&Itemid=85> 23 Questi temi sono declinabili, sinteticamente: nella continuità del ‘suolo’ ovvero del piano terra che determina la prevalenza di oggetti orizzontali, che massimizzano la percorrenza pubblica a tutti i piani del costruito; nell’integrazione tra spazio abitabile ed infrastrutture per la mobilità; nell’utilizzo di materiali di progetto (costruito e spazio aperto) e architettonici (sistemi edilizi) che si fondono con i ‘materiali’ dell’ecosistema naturale, sebbene in una forma artificializzata. Alessandro Cariello, Rossella Ferorelli

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Figura 1. Determinazione delle aree edificate e dei relativi bordi attraverso l’aggregazione dei poligoni con classe 1 di UDS, ovvero i suoli artificializzati (in azzurro gli aggregati con estensione minore si 5ha,) e classificazione secondo i materiali urbani

Figura 2. Esempio di un ensemble di edilizia residenziale pubblica in un comune della Puglia centrale. A sud è presente un’emergenza ambientale costituita da una lama.

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Figura 3. In verde le aree incompiute nella maglia dell’ensemble di edilizia residenziale pubblica e possibile oggetto di perequazione al fine di destinare il margine a sud-ovest ad un intervento per la definizione del bordo. Le direttrici indicano la potenziale riconnessione con il paesaggio rurale e con l’emergenza ambientale da destinare a parco urbano.

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Post-neoliberal? Sustainable and resilient? Localist? Urban policy shifts in the city of Cleveland

Post-neoliberal? Sustainable and resilient? Localist? Urban policy shifts in the city of Cleveland Alessandro Coppola Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: coppola_alessandro@libero.it

Abstract Most inner-cities in the Midwest and Northeast of the United States have been declining for over 50 years: longterm demographic contraction, collapse of the real estate market, extensive abandonment, poverty concentration, decline in income and economic activity are some of the fundamental problems faced by these cities. After decades of neoliberal hegemony, the failure of traditional urban regeneration policies - deeply enrooted in an “urban competitiveness” framework - has created a new policy environment increasingly dominated by “smart-shrinkage” ideas and practices. One of the key components of this new strategy is the making of a new approach to the issue of land. Falling real-estate values and spreading abandonment have led to the availability of large amounts of land that have lost exchange value. In this context, traditionally weak uses of urban land such as gardening and other ecological functions have gained a significant edge very often with the active support of city governments and influential philanthropic foundations. Are we experiencing in these cities a real turn from previous neo-liberal and growth oriented urban regimes and policies? Do these cities embody a new kind of urbanity based on rising values and goals such as resilience, localism and sustainability? Do these innovative policies represent a truly new model shaped throughout successive waves of structural crisis? Following research on the field conducted in 2012 and 2013, the paper presents the case of the city of Cleveland, Ohio discussing some of the innovative policies implemented by the city government, local foundation and community organizations. More specifically, the paper discusses three urban policy cases: 1) the creation of the Cuyanoga County Land Bank aimed at acquiring abandoned and foreclosed assets and land making them available for new uses; 2) the Reimagining Cleveland program aimed at reusing vacant land for ecological and agricultural purposes and 3) the Evergreen Cooperatives program aimed at employing under-privileged individuals in workers’ owned businesses serving local needs. Thesis - The paper argues that this innovative nexus of actors, policies and practice, even if among significant contradictions, may represent a significant shift form previous urban development. Field – The paper is grounded in literature regarding urban neoliberalism, urban shrinkage, resilience and localism. Work perspectives – To further assess the initial hypothesis testing its eventual theoretical and practical significance in other contexts. Parole chiavi localism, post-neoliberalism, shrinkage

A new course in the hard-core of urban shrinkage? The phenomenon of so-called urban shrinkage has attracted worldwide attention starting with the years 2000 (Oswalt, 2005 e 2006). In the United States, shrinkage is peculiar for its persistence, concentration and severity. Following Beauregard’s and Frey’s arguments and data, we can assess the existence of a group of “hard-core shrinking–cities” characterized by the persistence, over the decades, of population loss within the borders of their urban cores – Beauregard (2009) lists large cities that Alessandro Coppola

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have been losing population with no interruption since 1950 - and the more recent spread of demographic decline or extremely slow growth in their metropolitan areas documented by Frey (2005). Cities like Pittsburgh, Buffalo, Cleveland, Youngstown (urban core and metropolitan areas declining since 1950) and Detroit (persistent decline in the urban core and extremely slow growth in the metropolitan region) are part of this group. In the context of US Rustbelt cities, urban shrinkage is the outcome of multiple and reciprocally reinforcing factors ultimately leading to an enduring and self-filling cycle of urban decline, that can be seen as the outcome of changing patterns of uneven development across the space of contemporary capitalistic economies (Harvey, 1982; Smith, 1984). In the economic realm, extensive processes of deindustrialization linked to spreading delocalization first in the Sunbelt and later at a global scale favoured by specific government policies and international agreements have been among the most influential drivers of regional decline. In the area of urban policy, government investments in infrastructures favouring suburban locations, entrenched housing and credit policies favouring suburban homeownership while discriminating cities and urban populations, reduction in federal aid to cities and “New Federalism” local powers’ restructuring have been equally influential the concentration of decline and disinvestment (Coppola, 2012). All these factors have been exacerbated and justified by a deeply rooted cultural preference for “exit” over “voice” in American ideology (Hirshman, 1970), fully in display in the high rates of residential mobility, in the strong patterns of class and racial spatial clustering and in the resulting processes of stark devaluation involving large segments of the housing stock. In the Rustbelt, these self-filling cycles of decline have led over the decades to the creation of dystopian post-urban spaces characterized by the collapse of fundamental structures in the economic and social reproduction spheres governing contemporary capitalism. Many Rust-belt inner-cities have faced the long-term decline of their economic base, the faltering of their real-estate market, the spread of vacancies and abandonment, the decimation of their redistributive systems leading to the emergence of “food deserts”, the expansion of epidemics and other health problems, the collapse of their tax basis with the long-term entrenchment of austerity government practices, the concentration and racialization of poverty (Coppola, 2012). In the context of this dystopian condition, for many years “Hard-core Shrinking-Cities” have largely applied urban development models and tools offered by the neo-liberal repertoire. Competition with booming suburbs, edge cities and raising Sunbelt metropolitan regions on residential, retail and offices markets, have pushed city governments to aggressively pursue private reinvestments in the Inner City, often embracing imaginary visions of entertainment and tourist developments (Coppola, 2012; Harvey, 1991; Levine, 2000). Business-friendly fiscal and planning policies throughout the Midwest and the Northeast have been accompanied by the spread of often massive downtown redevelopment programs, aimed at re-branding declining Inner-cities in a perceived battle with competing locations (Hachworth, 2006). Following a path of a double-faced development model (Coppola, 2010), the Community Development Industry– from philanthropic institutions to community development corporations - has pursued regeneration policies aimed at the consolidation and promotion of competitive residential neighbourhoods through real-estate valorization programs, community building and collaborative planning activities. But more and more, this model has revealed its congenital limits: both neo-liberal urban regeneration plans and community development schemes have never succeeded in reversing the historical decline of these cities, somehow contributing to the entrenchment of socio-spatial polarization patterns within urban cores and metropolitan areas (Coppola, 2010). In search of a new paradigm, a discourse more based on the acceptance of decline as a structural condition of these cities and on a renewed emphasis on bold physical planning visions in the treatment of urban shrinkage has emerged within academic, policy-making and community development circles. The themes of this emerging narrative are 1) the need to come to terms with the definitive loss of the urban civilization created by the industrial era, 2) the acceptance of shrinkage and slow growth as a long-term scenario for urban cores and metropolitan regions in the Rustbelt and 3) the idea of ‘right-sizing’ cities and their governments to these new realities implementing a vast array of innovative policy and planning tools (Coppola, 2012; Hollander, Pallangst, Schwarz and Popper, 2009; Iurd, 2007; Shilling and Logan, 2008).

The Cleveland case Alessandro Coppola

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The city of Cleveland is among the ones belonging to what we have defined as the “hard core of urban shrinkage”. It has lost over 50% of its population since its demographic peak reached in the 1950 while the overall regional demographic dynamic has stayed very weak in recent decades. The city has suffered all the “symptoms” of shrinkage discussed above, coming to experience a new phase of violent decline in the year 2000s. The spread of predatory lending has played a major role in creating the conditions of this new “shrinkage wave” that has impacted the city before the actual national collapse of the housing market in 2008. Starting with the late 1990s, foreclosure rate has increased significantly creating alarm among community activists and city officials. In the case of Cuyaoga County – the county comprising both Cleveland and its inner-ring suburbs – residential loan foreclosures more than quadrupled between 1995 and 2007. Along with the soaring number of foreclosures, the number of vacant, abandoned housing units also rose. In the 2000 Census, circa 25.000 housing units on Cleveland were counted as vacant, this number rose to 40.000 by 2010 (Lind and Keating, 2012). Overall, the demographic decline of the city and of its suburban counties – most likely also due to the effects of the foreclosures crisis – has accelerated in the same years. By 2010 the city population had returned to approximately the population it had around 1900, 396.000 inhabitants, a 17% drop from the 478.000 inhabitants of the 2000 Census. As a result of these successive “shrinkage waves”, the management of extremely large inventories of vacant land and structures has become a key policy issue in the city. Building on this urgent need, a local policy community whose main actors are some government agencies, philanthropic organizations, community development corporations and research institutions have been effective in recent years in designing a wide set of policy tools aimed at treating in innovative ways this issue. I argue that, even among many significant contradictions, these policies represent a significant shift in the management and mobilization of the land as a key resource for local development and urban policies. In the following sections I present three of these policies and discuss their implications.

Innovative policies The Cuyaoga County Land Bank Since 1976 the city of Cleveland has a land-bank aimed at acquiring disposable vacant land making it available to development projects. With the foreclosures crisis, the city has supported a countywide solution with the foundation of the Cuyahoga County Land Re-utilization Corporation that is in operation since 2009. Its mission is to “strategically acquire properties, return them to productive use, reduce blight, increase property values, support community goals, and improve the quality of life for county residents” (Cuyahoga Land Bank, 2009). Its powers, that are significantly larger if compared to once in the hands of the City Land Bank, include the acquisition, management and transfer of real property and land, the implementation of code enforcement and nuisance abatement including demolition, the purchase of delinquent property tax lien certificates and the issue of bonds and the involvement in financial activities coherent with the goals of the agency (Lind and Keating, 2012). Since its foundations, the agency has been aggressively acquiring REO and other vacant properties, has renovated vacant houses making them available on the market again and implemented large demolition programs. The decision to proceed to housing demolition is based on the evaluation of structural conditions but also on the market potential of the area in which the unit is located. Over its first three years of operation, the Land Bank has acquired about 1700 properties and demolished about 1000 of them (Keating, 2012). Once vacated, the land is transferred to the city land bank that makes it available to new uses that very often are different from development to include community projects such as urban gardens and farms and ecological remediation areas (see the section of this paper presenting the “Reimagining Cleveland” initiative). The agency secures the funding for its operations through different channels ranging from federal government grants – in particular from the Neighborhood Stabilization Program (NSP) – to funding provided by the Environmental Protection Agency (EPA) and by the issue of its own bonds sale. However, its primary and steadiest source of funding comes from interests and penalties on unpaid or delinquent property taxes and assessments collected by the Cuyahoga County Auditor (Keating, 2012).

The Reimagining Cleveland Program If the Land Bank has the duty to make the land available for new uses, the Reimagining Cleveland Program has the duty to make these uses actually happening through the mobilization of community grassroots efforts, “building a community stewardship movement in Cleveland by providing ideas and resources to residents to repurpose vacant land” (Richtell, 2012). The programme is the outcome of a study of vacant-land reuse strategies promoted by a partnership between the city administration, a local Community Development Alessandro Coppola

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Intermediary named Neighborhood Progress and the Urban Design Center at Kent State University. Through this study, the city’s Planning Department developed a land-use decision matrix for evaluating appropriate reuses of vacant land on light of economic variables, sustainability goals, and local quality-of-life factors. The proposed and actually realized uses fall in three broad categories: 1) holding strategies implementing low-cost and temporary greening treatments of vacant areas that are still suitable for development; 2) green infrastructure strategies implementing uses of vacant land aimed at the restoration of natural systems such as wetlands and waterways and at the sustainable treatment of urban metabolism elements such as in the case of run-off waters; 3) productive landscapes strategies implementing uses aimed at the extraction of an economic return from vacant sites through projects in the fields of food production and energy generation (Scwartz, 2012). An Idea Book for Vacant Land Strategies was developed by the partnership with the provision of designs, budgets, resources and guidance to possible grass-root projects. Following a pilot programme funded by Neighborhood Progress, the City Administration has granted 500.000$ of Neighborhood Stabilization Program’s funds to a new round of projects ranging from urban agriculture to sideyard expansion, from water management to phytoremediation of polluted sites (Reichtell, 2012)

The Evergreen Coooperative Initiative As in other Rustbelt cities, the philanthropic sector has played a central role in the delivery of urban development agendas and coalitions. The Evergreen Cooperative Initiative is the outcome of a joint partnership between some “anchor institutions” – mainly, following a common pattern in Rustbelt cities, universities and hospitals – located in the “University Circle” area, the long-standing and highly influential Cleveland Foundation and the city administration. In 2007, the Cleveland Foundations asked the Democratic Collaborative – a research institution of progressive orientation located in Maryland – to assist key stake-holders in the envisioning of innovative strategies in the field of economic and community development. The outcome of that work has been a “three-legged stool strategy” based on 1) the leveraging of the purchasing needs of anchor institutions, 2) the development of a network of community- based and worker-owned cooperatives geared towards meeting those procurement needs and 3) and the exploitation of strategic opportunities emerging in the green economy space, given the sustainability commitments of the educational and medical institutions of Cleveland’s University circle, i.e. the anchor institutions (2011). Since its injection, the project has led to the creation of three different cooperatives: the Evergreen Cooperative Laundry that offers laundry services to a wide range of local institutions starting with University Circle anchors, the Ohio Solar Cooperative that leases, installs and maintains photovoltaic arrays on institutional, government and commercial buildings and the Green City Growers Cooperative that runs a four acre greenhouse with a production capacity of four million heads of lettuce and 300.000 pounds of herbs year-round though hydroponic agriculture. All these productions put great emphasis on environmental sustainability moving from the basic idea of promoting a more sustainable use of resources through the reduction of energy and water consumption – a goal that is evident in the laundry project – the development of alternative systems of energy production – as in the case of the Solar Cooperative - and to relocalize cycles of production and consumption, as in the case of the agricultural project that will substitute produce imports from California and Hawaii with local productions. Emphasis is also put on the alternative governance that characterize these businesses and on their strong links to communities and local institutions. The cooperatives are in fact designed to be owned and managed by workers who must be residents of University Circle’s surrounding communities. After a probationary period, workers are invited to become members of the coop joining a corporate governance based on the rule of “one member-one vote” with some influence granted to other Evergreen partners and representative of local institutions. The final state of the project should include the creation of an umbrella organization grouping all cooperatives and some subsidiary organizations such a land trust aimed at ensuring “the availability of strategically located property both for future business expansion and to maintain affordable housing and protect against gentrification” (Evergreen Cooperatives Initiatives, 2012). In the start-up phase the three cooperatives have relied on foundation grants and on government guaranteed innovative financial tools and they now employ over sixty residents of University Circle’s surrounding communities.

Conclusion: neoliberal orthodoxy or post-neoliberal experiment? The role of the county land bank is pivotal in the shaping of the policy shift that I argue is happening in the city of Cleveland. On one hand, it is true that the land bank pursues goals that are coherent with the market rhetoric that has informed urban policy in Rustbelt cities over the last decades. Acquisition of vacant land and properties are aimed at stabilizing the market preventing still “valuable assets” from an even deeper devaluation that would endure the cycle of neighbourhood and city decline. In order to achieve this goal, the county land bank proceeds Alessandro Coppola

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to the destruction of parts of the housing stock that are vacant because of foreclosures driving to the eviction of families that, in many cases, have been victims of predatory lending and of wider “accumulation by dispossession” valorisation strategies (Albers, 2012). In this sense, land bank activities can be seen as the last segment of a long chain of government policies that have pursued – in the treatment of the foreclosures crisis – the preservation of (a quasi) market orthodoxy in the management of the financial crisis’ effects. It can seem a paradox that many residents have been evicted for their inability to pay back inflated loans for the purchase of homes that, having lost virtually all exchange value on the ravaged post-crisis market, are now being released from financial institutions to the County Land Bank and soon demolished. But such an outcome is fully consistent with a market logic that values the enforceability of contracts over other possible competing values such as the recognition and preservation of some sort of “right to housing” on the part of the evictees. In fact, many housing units currently under demolitions but still in viable conditions could have been saved and made available to former and new residents through specific government and not-for-profit programs: a portion of them are actually being saved, thank to the initiative of the County Land Bank itself through a wide range of federal programs and with the direct participation of locally-based not-for-profit organizations. On the other hand, it needs also to be underscored how the preservation of market values in the context of a deprived Inner-city assumes a very different meaning in respect to other market oriented policies implemented in different contexts: they probably have to be understood in defensive terms, as the last line of resistance in front of forces of decline that are the outcome of a wide set of policies that have undermined Rustbelt Inner-cities and their populations for many decades. Furthermore, it needs also to be stressed how the land-bank is pivotal in the de facto decommodification of some of the vacant land that is now available in the city, in the containment of highly predatory market practices focussing on distressed assets (such as so-called “flipping”), in the actual implementation of urban policies that accept a more realistic horizon of no-growth, “smart-shrinkage” and “right-sizing” and, finally, in the reutilization of the land in those community projects pursuing goals of ecological remediation, recreation and food production re-localization that have come to be among the practices that are most visibly changing the traditional pro-growth agenda of Rustbelt cities. In this context, the Reimagining Cleveland Programme perfectly embodies both the governance logic and the thematic repertoire of this shift, coming to represent the operational device that is supposed to connect available assets – vacant land - to community efforts aimed at containing blight and decline through the implementation of an agenda of often “radical” environmental sustainability and resilience. In this context, practices mobilized by the Reimagining Cleveland Initiative and other programs are a good example of the transformative potential that is embedded in this new urban landscape (Harvey, 2000). The social and community ri-appropriation of spaces rooting themselves in the actual urban environment become signs and prefigurations of a different urbanity able to go beyond materialities and sociabilities of both Keynesian and neo-liberal urban regimes and development models. The issue of distributed agency is key here: in the vacuum left by government and institutionalized market mechanisms, a wide area of “positive indeterminism” is left to the mobilization of residents – even if assisted by philanthropy and government officials - that involve the spheres of production and social reproduction: the spread of urban farming projects is a very evident sign of this phenomenon. This transformative potential is also connected to the powerful rediscovery of the physicality of cities (Batty e Marshall, 2009) and, more in particular, of its conduciveness to broad visions of alternative if not utopian forms of social and economic organization (Harvey, 2000). In this sense, this rediscovery of urban morphology and form connects the present debate to the origins of the planning profession, when flourishing utopian if not naïve representations and modelling of the future of cities was key in the social reception and diffusion of the new discipline. In Cleveland, as in other Rustbelt cities, the issue of urban morphology and form has come back in the collective conversation following the violent change to which the previous urban form and morphology, mainly constructed in the industrial era, have been subjected by successive waves of shrinkage. As we have seen, this comeback is surely motivated by arguments of market-value preservation and government austerity – coherently with more traditional “triage” approaches, the need to change the foot-print of the city in order to retain and develop the residual exchange-value embedded in its housing stock and in order to cut services and government expenditures - but has also opened a broad field of experimental practices and policies that relate to other, very different, narratives. In this field of policies and practices, the re-visitation of urban morphology and form moves from arguments of environmental sustainability and wider resilience of socio-ecological systems. A conscious even if distributed and incremental intervention in the conditions of shrinkage – as in the model suggested by the Reimagining Cleveland Initiative - is called upon as an opportunity to establish innovative, sustainable and resilient spatial (and more specifically urban) morphologies of socio-ecological systems. Lastly, the impressive cultural turn in the approach to urban development experienced by philanthropic institutions in Cleveland and witnessed by the Evergreen Cooperative experiment is related to the powerful rediscovery of the “local” as a suitable policy framework for the treatment of the shrinkage phenomenology. After decades in which emphasis was put on the attraction of external capitals and on making Rust Belt cities a levelled ground for the interception of global investment fluxes, the investment of significant capitals in locally rooted cooperatives aimed at offering services to local institutions in the attempt “to keep city resources in the city” seems to make the hypothesis of a policy shift even more credible. Again, this kind of initiatives is justified by the “rational” goal of anchor institutions to protect their activity from the spread of decline and disinvestment, Alessandro Coppola

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but it’s particularly significant that this traditional goal is being reframed and retooled through narratives of environmental sustainability and of new locally-based social and economic agency: in this case too, the key seems to be a focus on new forms of socio-ecological resilience that are the peculiar offspring of dystopian conditions of urban shrinkage.

References Albers, Manuel (2011), Subprime Cities Manuel B. Aalbers (editor), “Subprime Cities. The Political Economy of Mortgage Markets”, Blackwell; Batty, Micheal e Marshall, Stephen (2009), The evolution of cities: Geddes, Abercrombie and the new physicalism, Town Planning Review, n.6; Beauregard, Robert (2009), “Urban population loss in historical perspective: United States, 18202000”, Environment and Planning, vol 41, n.3; Coppola, Alessandro (2010), “Miraggi dello Sviluppo nel deserto urbano. Community development e weak market cities: i casi di Detroit e Pittsburgh”, in Archivio di Studi Urbani e Regionali, n.96; Coppola, Alessandro (2011), “Youngstown: i limiti della decrescita”, in Urbanistica Informazioni, n.236, Coppola, Alessandro (2011), “Urban Shrinkage nella Rustbelt”, in Urbanistica Informazioni, n.236; Coppola, Alessandro (2012), “Apocalypse Town: cronache dalla fine della civiltà urbana”, Laterza; Coppola, Alessandro (2012b), “Urban Farming nei Food Desert. Giustizia alimentare e alternative food culture nelle città americane”, Territorio, n. 60; Cleveland City Planning Commission (2008), Re-imaging a more sustainable Cleveland. Citywide Strategies for Reuse of Vacant Land, Cleveland OH; Frey, W. (2005), Metro America in the New Century: Metropolitan and Central Cities Demographic Shifts since 2000, Washington DC, The Brookings Institutions; Harvey, David (1982), Limits to capital, University of Chicago Press; Harvey, David (2000), Spaces of Hope, University of California Press; Hackworth, Jason (2006), The Neoliberal City. Governance, Ideology and Development in American Urbanism, Ithaca NY, Cornell University Press; Hirshman, Albert (1970), Exit, Voice, and Loyalty: Responses to Decline in Firms, Organizations, and States. Cambridge, MA: Harvard University Press; Hollander, J.B, Pallangst, K., Schwarz, T. and Popper, F. J. (2009),”Planning Shrinking Cities”, Progress in Planning, vol. 72, n.4; Lind, Kermit e Keating, Dennis (2012) Responding to the Mortgage Crisis: Three Cleveland Examples, in “Urban Lawyer”, n.44; Oswalt, Philippe (2005), Shrinking cities. Volume 1: International research, Ostfildern-Ruit, Hatje Cantz Verlag; Oswalt, Philippe (2006), Shrinking cities. Volume 2: Interventions, Ostfildern-Ruit Hatje Cantz Verlag; Keating, Dennis (2010), “Redevelopment of vacant land in the blighted neighborhoods of Cleveland, Ohio, resulting from the housing foreclosure crisis”, Journal of Regeneration and Renewal, no. 1; Richtell, Bobbie (2012), Case Study: Re-Imagining Cleveland: Pilot Land Reuse Projects, in Mallach, Allan, Rebuilding America's Legacy Cities: New Directions for the Industrial Heartland, The American Assembly; Shrinking Cities International Research Network (2009), The Future of Shrinking Cities - Problems, Patterns and Strategies of Urban Transformation in a Global Context, Berkley CA, University of California, Center for Global Metropolitan Studies, Institute of Urban and Regional Development, Monograph Series; Schilling, J. and Logan, J. (2008) “Greening the Rust Belt: A Green Infrastructure Model for Right Sizing America's Shrinking Cities”, Journal of the American Planning Association, vol. 74, n.4; Schwartz, Terry (2012 ), Re-thinking the Places in Between inMallach, Allan, Rebuilding America's Legacy Cities: New Directions for the Industrial Heartland, The American Assembly; Wang, Elaine e Agosto Filión, Nathaly (2011), Case Study: Cleveland, OH: The Cleveland Evergreen Cooperatives, Institute for Sustainable Communities; Smith, Neil (1984), Uneven Development: Nature, Capital and the Production of Space, Basil Blackwell. Alessandro Coppola

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Montagna e avanguardia Nicola Di Croce IUAV Venezia Email: nicoladicroce@yahoo.it

Abstract Le metropoli e le nebulose urbane in continua crescita si portano dietro, come diretta e quanto mai sottovalutata conseguenza, lo spopolamento e il graduale impoverimento economico e culturale delle aree rurali distanti dallo sviluppo urbano. È proprio in momenti di crisi e recessione economica come quello attuale che queste aree rurali, e quindi i sistemi di piccoli borghi che le presiedono, hanno l'opportunità di svolgere un ruolo avanguardista nell'attivazione di processi qualitativi per il territorio, proprio perché sono le uniche a contatto diretto con le risorse locali e con i custodi delle tradizioni indigene. L’entroterra italiano è l’ideale punto di partenza per un ripensamento economico, sociale e culturale, che si sintetizza perfettamente nel principio di ‘prosperità senza crescita’.

Figura 1. Monte Subasio

Senso comune e sviluppo Che idea si è fatta la gente dello sviluppo? Un certo senso comune – «se il senso comune è un’interpretazione delle conseguenze immediate dell’esperienza» (Geertz, 2001) - associa (giustamente) l’idea di sviluppo biologico a quella di crescita, in un rapporto indissolubile di causa-effetto che non può prescindere dal dato temporale.

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Ma se si parla di sviluppo in termini economici, allora un certo senso comune -lo stesso, si direbbe- tende a non considerare il dato temporale, a dimenticarsene: forse abituato, o forse assuefatto all’idea che sviluppo e crescita, non solo siano senza fine, ma esprimano un’idea precisa, un valore sociale cui aspirare. Se il senso comune è in definitiva un sistema culturale, assume in questo caso il carattere acritico di un sistema di rassicurazione: «gli uomini tappano i buchi delle loro credenze più necessarie con qualunque fango riescano a trovare» (Geertz, 2001). E allora che tipo di socialità, e quindi che modello d’abitare ha proposto quello stesso senso comune che ha identificato lo sviluppo con la crescita economica? Siamo di fronte ad «uno spostamento dai resoconti funzionalisti dei meccanismi su cui poggiano le società a quelli interpretativi dei tipi di vita che le società propongono» (Geertz, 2001): si tratta in sintesi di uno spostamento che corrisponde alla stessa sovversione del valore temporale, cui si lega parallelamente la sovversione della logica qualitativa verso –e in favore di- una logica quantitativa. Credo che lo stesso senso comune che ha identificato il suo sviluppo in termini economici, sia stato intrappolato in una scelta (direzione?) quantitativa, di profitto, che ha tralasciato l’idea di sviluppo come miglioramento qualitativo delle proprie condizioni; e soprattutto credo che queste due nozioni di sviluppo non siano sempre funzionali l’una dell’altra, anzi spesso esprimano e propongano modelli fortemente contrastanti.

Montagna e disattenzione Guardando ai modelli di evoluzione del modo di abitare, e nel farlo, guardando agli esempi offerti dalla situazione italiana, appare evidente un taglio netto tra agglomerati urbani (e relativi sistemi periferici periurbani diffusi), che per logica di sviluppo economico sono in continua crescita; e sistemi di piccoli borghi, (la maggior parte dei quali collinari o montuosi), che attraversano invece una contemporaneità di contrazione, spopolamento, e abbandono. Un calo d’attenzione, si direbbe. È allora lecito chiedersi se si sta esprimendo una volontà. Cioè vale a dire: l’abitare contemporaneo è l’espressione di una volontà più o meno precisa -che sceglie più o meno criticamente di crescere economicamente e demograficamente, e che di conseguenza ha bisogno di grandi distribuzioni per regolare quantitativamente i suoi parametri produttivi - è espressione in sintesi di un’evoluzione critica? O esprime piuttosto un calo d’attenzione verso quello che sembrerebbe un modello di perfetta integrazione tra ambiente, socialità e produzione? Una disattenzione, forse, a quella che de Martino definirebbe «l’affermazione della coscienza di sé» (de Martino, 2008)? Aporia dello sviluppo è quindi quel senso di incertezza che si prova nel definire la nozione stessa di sviluppo: è una difficoltà intrinseca al senso comune, eliminabile almeno in parte attraverso un ripensamento radicale dell’abitare contemporaneo, se s’intende l’abitare come l’espressione critica di un modello qualitativo.

Distanza e lettura Ecco che di quel particolare tipo di qualità - che intanto scompare per calo d’attenzione- unici custodi restano i borghi ed i suoi abitanti, i quali si sono relazionati - nel tempo e per forza di cose - a una distanza impermeabile a quella modernità che si è sviluppata esclusivamente in termini economici; distanza che ha protetto il legame tra territorio e abitante, e ne ha conservato intatto il saper fare. La prospettiva reale per ripensare l’abitare contemporaneo - che diventa in questo modo una rilettura critica della distanza - deve quindi partire necessariamente dall’interno, evitando di accettare l’articolazione di proposte estranee alla natura del luogo, perché derivanti da un programma calato dall’alto: partire quindi dalla scelta di vivere in un borgo come chiara espressione della tensione verso uno sviluppo qualitativo. Una scelta di questo tipo esprime una volontà chiara: il progetto del territorio contemporaneo non può evitare di partire dall’affermazione di questa volontà che è anche, e soprattutto, riaffermazione del sistema culturale indigeno. Ma se quella stessa distanza, che ha evitato la scomparsa di un certo modello d’abitare, ha testimoniato per secoli il «naufragio della stessa presenza individuale» (de Martino, 2008), e ha facilitato l’immobilità, l’impossibilità decisionale e il riscatto culturale dei suoi abitanti (quell’inspiegabile ‘essere agito da’) ecco che diventa ora distanza avanguardista, perché capace di intuire la sua direzione e il valore che la muove: «Questa intuizione non è che il senso vivo e completo, la scoperta, della forza dei piccoli: dell’immensa energia che si libera e si crea nel momento stesso in cui l’esistenza si realizza per la prima volta e prende, per la prima volta, coscienza di sé. Nel nostro mondo completamente strutturato, organizzato, storicizzato, politicizzato, superbo di cultura e di tecnica, esiste tuttavia, dappertutto, un immenso sottomondo rimasto, o costretto, fuori della cultura, della direzione, della storia, della stessa esistenza personale: un mondo subalterno e inesistente, che può e deve tuttavia raggiungere l’esistenza e la libertà, che si muove in questo senso, superando gli ostacoli interni ed esterni che lo

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trattengono e impediscono, e che questo processo di liberazione esprime valori nuovi, e rende manifesta una illimitata forza creatrice» (Levi, 2008).

Spopolamento, abbandono e politiche La nozione di distanza, per come si è definita nel caso italiano, coincide con la distanza geografica tra il sistema di piccoli borghi collinari e montuosi, e il sistema di valle e di costa delle città e delle sue espansioni più o meno diffuse: sottovalutare il peso e il ruolo che svolge l’entroterra italiano, e in particolare il territorio montuoso centro meridionale, alimenterebbe quella stessa disattenzione che ha giustificato lo spopolamento e favorito l’abbandono degli insediamenti della fascia appenninica. Nel valutare gli indicatori che guidano i discorsi, e nel riflettere sulla scelta delle politiche e delle linee strategiche della pianificazione del territorio, bisogna leggere con estrema attenzione le informazioni a disposizione attraverso parametri qualitativi, spesso difficili da elaborare, e farlo senza dimenticare che spesso sono state le politiche stesse a condizionare il ruolo degli ambiti montani e rurali centro meridionali, declassandoli - attraverso scelte precise di convenienza puramente economica - ad aree cosiddette sottosviluppate o in via di sviluppo. In Italia sono montani il 43,7% dei comuni, percentuale che supera l’80% in regioni come il Molise o la Basilicata; si tratta di comuni di piccole dimensioni, il 64,5% dei quali con meno di 2000 abitanti. La montagna italiana conta circa 9 milioni di abitanti, che corrispondono al 17,6% della popolazione complessiva, ma la distribuzione e la crescita demografica sono estremamente eterogenee: escludendo da questi stessi dati l’arco alpino appare subito evidente quanto l’incidenza demografica riassuma l’estrema rarefazione dell’appennino centro meridionale. Ecco che le regioni e in particolare le aree che esprimono quel senso di distanza (che si traduce in rarefazione) sono le stesse che segnano oggi i margini di crescita minori, ed hanno subìto negli anni i tassi migratori più elevati; quei territori che in sintesi coincidono con le aree rurali specializzate quasi unicamente nel settore primario: settore dimenticato e sottostimato forse proprio perché «i progetti agricoli sono limitati dal modo immediato ed esplicito con cui dimostrano le difficoltà della loro realizzazione» (Hirschman, 1975). È quindi la difficoltà d’intervento ad aver favorito questa disattenzione, l’insicurezza verso la riuscita delle imprese e i bassi indici di guadagno degli investimenti. Un esempio di progetto di sviluppo finanziato nel dopoguerra dalla Banca Mondiale sottolinea questa logica: «La cassa del mezzogiorno era stata incaricata di realizzare un ampio complesso di programmi e le sue attività raggiungevano virtualmente ogni angolo del vasto territorio di sua competenza. Nel corso dell’attuazione dei suoi programmi di lavori pubblici, tuttavia, alla cassa compresero presto che alcuni di questi erano più efficaci nel promuovere lo sviluppo di altri. Nel 1958, un illustre meridionalista, distinguendo tra l’osso (inservibile) e la polpa (di valore effettivo) dell’agricoltura meridionale, sottolineò il fatto che la polpa –quella parte del territorio nella quale gli investimenti della cassa potevano risultare più redditizi- comprendeva solamente un mezzo milione di ettari irrigui o irrigabili. Il resto delle terre sulle quali la cassa aveva operato –cioè circa undici milioni di ettari- furono allora classificati come osso e quindi non recuperabili. La proposta fatta dalla cassa di concentrare gli sforzi sul territorio irrigabile, divenne in effetti il suo nuovo programma agricolo quando la sua attività venne prorogata ulteriormente, per altri quindici anni, nel 1965; con una grossa differenza, quindi, rispetto al programma globale per il quale la cassa era stata a suo tempo creata: […] così in capo a quindici anni di ‘attuazione’ del suo piano onnicomprensivo, la cassa aveva scoperto che per rendere redditizi i suoi programmi agricoli, la cosa da fare era concentrare le proprie attività sulle poche, fertili pianure che punteggiano le coste del mezzogiorno» (Hirschman, 1975). Evidente come uno stesso progetto di sviluppo nato per migliorare le condizioni di un vasto territorio ricalchi, invece, una logica puramente quantitativa a vantaggio di comparti limitati; logica che investendo solo lì dove i margini di guadagno sono affidabili, continua a dimenticare il valore potenziale della distanza, - che in questo caso non ha altre risorse oltre a quelle rurali – e abbandona le aree marginali proprio perché non redditizie. Allora il primo obiettivo per uno sviluppo qualitativo del territorio italiano dovrà - per evitare errori di disattenzione - partire dall’insieme di politiche che consentano di scegliere, oggi, di vivere la montagna: scegliere cioè di vivere criticamente all’interno di un contesto marginale che guarda alla distanza come a un valore da custodire, e che sia in grado di individuare nuovi, o spesso dimenticati, equilibri ecologici, che sappia quindi riappropriarsi del saper fare locale.

La montagna e la scelta Cosa si guadagna e cosa si perde? Vivere o rivivere la montagna può innescare quel processo rivoluzionario nell’abitare - o forse nell’affermazione sensibile della “stessa presenza individuale” - che parte dalla terra e dall’archiviazione del sistema culturale delle Nicola Di Croce

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Montagna e avanguardia

conoscenze indigene per riaffermare il naturale sentimento (quasi autarchico, si direbbe) di avvicinamento ai cicli di produzione e distribuzione - siano essi agricoli o artigianali - che coincide poi col naturale contatto, con la relazione, che un abitante esprime nel vivere criticamente il suo territorio. Questa possibilità si fa reale oggi perché alla distanza si affianca la possibilità parallela di vivere una prossimità creata dalle reti di comunicazione: prossimità in grado di accogliere e articolare un insieme di azioni integrate per favorire le esigenze individuali, e stimolare contemporaneamente quella serie di attività sviluppate a partire dall’interpretazione delle conoscenze indigene.

Bioregioni, mappatura e cicli chiusi Un reale sviluppo qualitativo della montagna italiana coincide quindi con l’interpretazione delle condizioni necessarie a favorire la scelta di vivere in un borgo come chiara espressione della relazione tra abitante e territorio: per favorire questa scelta risulta determinante superare tutti gli impedimenti creati dalle strutture amministrative che, di fatto, immobilizzano le scelte personali. L’articolazione comunale, provinciale, montana e statale - nella complessità dei suoi intenti - fa spesso perdere di vista le esigenze reali di un’area, che tanto meglio si esprimerebbero quanto più omogenei fossero i confini entro cui le esigenze stesse operano. Appare quindi necessario agevolare la creazione degli strumenti per un cambiamento coerente a partire dalla mappatura del campo d’azione di questo cambiamento; mappatura che non potrà seguire i confini regionali - dove appare difficile una sintesi costruttiva tra i diversi programmi in atto - ma dovrà riferirsi a bioregioni, che condividano gli stessi profili topografici, culturali ed economici. Solo una completa revisione della struttura organizzativa sarebbe in grado - attraverso l’introduzione di bioregioni omogenee - di fornire strumenti nuovi alla pianificazione, e in particolare riaffermare il peso e il ruolo che l’agricoltura deve svolgere al loro interno: una nuova mappatura capace di ribaltare la visione latifondista e monocolturale dell’appennino centro meridionale da terra d’uso estensivo a principale fonte di sussistenza dei suoi abitanti (obiettivo peraltro auspicato, ma ampiamente disatteso, dalla riforma agraria del 1950). Riaffermare la centralità del settore primario nell’economia locale vuol dire intanto porre le basi per una coltura intensiva che sappia investire nella qualità dei suoi prodotti e ne curi la distribuzione attraverso cicli chiusi; cicli che oltre a preservare la produzione locale - evitando le logiche perverse della grande distribuzione - siano in grado di coinvolgere ed attivare gli attori locali esistenti.

Conclusioni e direzioni «Il tema fondamentale della bassa magia cerimoniale lucana è la fascinazione. Con questo termine si indica una condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un ‘essere agito da’ una forza altrettanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l’autonomia delle persone, la sua capacità di decisione e di scelta» (de Martino, 2008). Ecco che il passaggio da ‘essere agito da’ alla ‘capacità di decisione e di scelta’ esprime quindi quel particolare grado di sensibilità verso la realtà che corrisponde al passaggio da disattenzione ad attenzione verso la distanza, al passaggio da criteri di sviluppo quantitativo a criteri qualitativi, da bene di consumo a saper fare, da un sistema colturale estensivo ad uno intensivo, così come da grande distribuzione a ciclo chiuso: il passaggio dall’abbandono alla riscoperta del ruolo d’avanguardia della montagna (che è esercizio di riflessione impermeabile). La coscienza del proprio ruolo rispetta un sostanziale equilibrio tra forze e risorse in gioco: diventa direzione precisa delle proprie azioni.

Bibliografia

De Martino E. (2008), Sud e magia, Feltrinelli, Milano. Geertz C. (2001), Antropologia interpretativa, Il mulino, Bologna. Hirschman A. (1975), I progetti di sviluppo. Un’analisi critica dei progetti realizzati nel Meridione e in Paesi del Terzo Mondo, Franco Angeli, Milano. iFEL, Fondazione ANCI, Comuni montani 2012, Istituto per la Finanza e l’Economia Locale, Roma. Levi C. (2008), Le ragioni di Danilo Dolci. Introduzione a Racconti siciliani, Sellerio, Palermo.

Sitografia

Rapporto sui comuni montani, disponibile su Fondazione ANCI nella sezione Studi & Ricerche iFEL http://www.fondazioneifel.it/Studi-Ricerche-IFEL/Volumi/Comuni-montani-2012

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Luoghi della krìsis. Spazi produttivi e rigenerazione urbana.

Luoghi della krìsis. Spazi aperti produttivi e rigenerazione urbana Michele Galella Università G. d'Annunzio - Facoltà di Architettura Scuola Superiore G. d'Annunzio, Email: lucagalella@gmail.com Tel. +39 320 9726221

Abstract Così come la problematica ambientale sta trasformando il progetto di città, la crisi economica avrà un riscontro anche sulla fisicità del territorio. Non tutte le parti del territorio saranno coinvolte egualmente, ci saranno territori più sensibili di altri al cambiamento: i luoghi della krìsis. Il progetto degli spazi aperti urbani come luogo consapevole per il cambio del modello di produzione (sempre più decentrato e individuale), è strategico per la rigenerazione e l'aumento della resilienza (allo stato di crisi che viviamo) del sistema città. La pianificazione e il progetto della città della crisi può lavorare sulla città esistente riconfigurando gli equilibri locali e attivando i contesti attraverso il progetto del vuoto. Parole chiave Spazi aperti, rigenerazione urbana, abitante-produttore.

Crisi ambientale e crisi economica nella città contemporanea Grandi parti delle nostre città sono costruite o sono state rimodellate in stretta connessione con il funzionamento del modello di sviluppo economico in atto; nuove residenze, trasferimenti industriali, recupero di vecchie aree: le città seguono tempi, tendenze e luoghi dell'economia. L'attuale condizione di crisi e recessione economica ci indirizza verso necessari cambiamenti strutturali. Si rende indispensabile una rilettura delle risorse naturali (ed urbane) ancora disponibili al fine di preservarle o di utilizzarle in nuovi e migliori modi. La crisi economica e la gestione delle risorse hanno e avranno una forte influenza sulla forma, il funzionamento e la gestione della città contemporanea. L'aumento della popolazione (7 miliardi di abitanti al mondo nel novembre 2011) e la relativa concentrazione di attività antropiche nelle città (il 50% dell'uomo vive in città), hanno accelerato i cambiamenti climatici e minacciano la salute ambientale. Quando ci approssimiamo ai limiti dello sviluppo sostenibile, le criticità tendono ad accavallarsi e moltiplicarsi l'un l'altra. Ma i fattori determinanti restano principalmente due: «La popolazione e il capitale produttivo sono i motori della crescita esponenziale nella società umana. Altre grandezze, come la produzione di alimenti, l'uso di risorse e l'inquinamento, tendono ad aumentare esponenzialmente, ma non perché si moltiplichino per forza propria, benché sono spinte dalla popolazione e dal capitale.» (Meadows Donatella e Dennis & Randers, 2002). Nel 1997 l'United Nations all'interno del Comprehensive Assessment of the Freshwater Resources of the World sosteneva che: «dal 2025, i due terzi della popolazione mondiale vivranno tempi difficili. La penuria d'acqua e l'inquinamento causeranno problemi di salute pubblica su larga scala, limitano lo sviluppo economico e agricolo e minacciano un'ampia varietà di ecosistemi. Possono mettere a repentaglio le scorte alimentari mondiali, e condannare molte aree del mondo alla stagnazione economica.» (Kjellén, Mcgranahan, 1997). Già in tempi non eccezionali si sottolineava lo stretto collegamento tra danno ambientale e declino economico. Nelle battute finali de I nuovi limiti dello Sviluppo si legge: «Un sistema popolazione-economia-ambiente che abbia ritardi di retroazione e risposte fisiche lente, soglie e meccanismi di erosione, e una certa crescita rapida, è letteralmente ingovernabile. Non importa quanto siano mirabolanti le tecnologie, efficiente l'economia, saggi i Michele Galella

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Luoghi della krìsis. Spazi produttivi e rigenerazione urbana.

leader: il sistema non riuscirà a manovrare per allontanarsi dal pericolo. Se cerca ostinatamente di accelerare, finirà per superare i limiti.» (Meadows et al., 2002). La rincorsa alla crescita del PIL e l'aumento esponenziale della popolazione sono fattori chiaramente acceleranti. Subito dopo continua chiarendo «Un periodo di superamento non sfocia necessariamente nel collasso, (come la maggior parte dei scenari raccolti nel libro e verificati a computer dal simulatore World3) ma, se si vuole evitare questo esito, occorre agire con rapidità e determinazione... Non è detto che sia necessario ridurre la popolazione, il capitale o il tenore di vita. Sono i flussi di materiale e di energia che devono scendere rapidamente.» (Meadows et al., 2002). E' in quest'ultimo enunciato che emerge la responsabilità e il nuovo compito dell'urbanistica e dell'architetto, e la necessità di un rovesciamento di pensiero. Potenzialmente la Green Economy potrebbe anche riscattarci dalla crisi ambientale ed economica. E' tra i mercati più promettenti e tra quelli più vantaggiosi per la salvaguardia dell'ambiente. Ma non si esce dalla trappola climatica semplicemente liberando le tecnologie "verdi" dagli ostacoli della corsa al profitto del capitalismo (Bradford, 2008; Tanuro, 2010). Per salvare il clima, globalmente, occorre produrre meno e più vicino agli utenti. La condivisione di prodotti, servizi e risorse può essere estesa alla formazione di spazi/luoghi condivisi per innescare nuove forme di socializzazione e partecipazione tipiche dell'era 2.0. E' in corso una silenziosa ma importantissima rivoluzione per l'atomizzazione e la diffusione di più tipi di produzioni energetica, alimentare, culturale, informatica, ecc.. La produzione in proprio di energia rinnovabile, la diffusione degli orti urbani, la condivisione in reti di informazioni e prodotti (dal conto energia ai social network e reti wiki), cambiano le strutture fino ad ora considerate inalterabili. Le città in quanto organismo complesso di concentrazione degli individui, degli "atomi" del sistema, sono luogo della produzione e dei consumi, sono il Luogo per la decisione e il cambiamento. Questo nuovo paradigma cambia radicalmente il pensiero di territorio e la sua struttura stessa: la concretizzazione di una produzione decentrata e diffusa insieme alla condivisione di recenti reti sono capaci di introdurre nuovi ruoli ed usi del luogo accettando il progetto di incertezza complessità funzionale e il carattere mutevole che i tempi presenti richiedono. Come è già accaduto negli anni '30 con la grande depressione, la crisi economica attua innanzitutto una ridefinizione dei consumi e una apertura a nuove attività di risparmio. E' tipico di queste crisi storiche il repentino ribaltamento dei valori capace di produrre nuove tendenze e parziali modifiche: nuove trasformazioni e corrispondenti nuove spazialità urbane. E' possibile riconosce degli "strumenti anti-crisi" introdotti in precedenti periodi (grande depressione del '29, crisi petrolifera anni 70, conflitti vari) e sopravvissuti alla recessione: è il caso degli orti urbani, della riscoperta della bici come mezzo di trasporto alternativo all'auto, la tendenza "all'abitare con meno", all'auto-sostentamento, al riuso di materiali e spazi abbandonati, infine la riscoperta della campagna. Oggi si affiancano nuovi e originali strumenti di cambiamento o risparmio appropriati agli odierni stili di vita e spesso originati dal web: il p2p e l'eco-hacking, la produzione energetica individuale e il vivere/abitare collettivo. Tutte queste azioni sembrano rinnovarsi utilmente in tempi opachi tornando a rinnovare suggestioni e stati di benessere abbandonati, evidenziano il valore del singolo e la capacità della collettività. Questa apertura logica avviata da una condizione di stallo globale trova rilancio in contesti locali, nello spazio dell'individuo, in reti sociali e della condivisione, nell'intelligenza e nell'identità del luogo e nelle sue capacità/potenzialità di risparmio e di produzione. Gli stessi enti locali e cittadini tornano a riacquistare un senso strategico nella programmazione/pianificazione, svincolandosi dalle decisioni dall'alto, anzi influenzandone le scelte, governando e indirizzando fenomeni nuovi (ad esempio i paesaggi dell'energia o del riciclo). «Il concetto di autosostenibilità si fonda sull'assunto che solo una relazione co-evolutiva fra abitanti-produttori e territorio è in grado, attraverso la sua cura, di determinare equilibri durevoli fra insediamento umano e ambiente, riconnettendo nuovi usi, nuovi saperi, nuove tecnologie alla sapienza ambientale storica.» (Magnaghi, 2000). In questo particolare momento di crisi bisogna costruire e riscoprire la capacità di utilizzo di un luogo, occorre attivare i contesti. La relazione tra territorio e sviluppo economico è più complessa di quanto sia emerso dalla discussione condotta in Italia fino a oggi. «Il territorio non è affatto un dato, rappresentabile come una costellazione di fattori di sviluppo ereditati dalla storia. Al contrario è costruito e de-costruito attraverso l'accumulazione di capitale fisico (e relazionale), ovvero, attraverso l'investimento per unità di tempo effettuato dal settore privato e pubblico. Il territorio è, quindi, in costante evoluzione in un'economia non-stazionaria e, di conseguenza, la domanda sulla congruenza della traiettoria di sviluppo territoriale non può essere evitata.» (Calafati, 2009). In conclusione: la violenta situazione di crisi economica-ambientale modificherà tanto le geografie politicoeconomico del mercato globale quanto la struttura fisica stessa dei nostri territori e delle nostre città. In questo senso è necessario esplorare il potenziale della trasformazione e individuare best-practices per la progettazione dei luoghi della krìsis. I luoghi in cui si produce poco ma vicino all'utente e si consuma meno perché molto si condivide o lo si risparmia.

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Luoghi della krìsis. Spazi produttivi e rigenerazione urbana.

Occorre indagare il ruolo e le opportunità che gli spazi aperti della produzione (sociale-alimentare-energetica) hanno all'interno della rigenerazione delle periferie esistenti e come questi luoghi possono avere un compito di riequilibrio all'interno della città contemporanea. «Quando si vive una crisi, nessun ritorno indietro è credibile. Bisogna inventare qualcosa di nuovo, avere il coraggio di voltare pagina.» (Serres, 2009) scrive il filosofo francese Michel Serres in "Tempo di Crisi".

Il vuoto come occasione di produzione La città consuma territorio, è palese. Meno chiaro e visibile è che le città consumano territori, paesaggi. Il sapere tecnologico e una mobilità facile ed economica, hanno liberato le città dai vincoli territoriali rendendo possibile edificare liberamente dovunque, tutto e sempre. Questa liberazione dal territorio ha prodotto dipendenza e fragilità; le città devono sempre più la loro capacità di funzionare a risorse importate da lontano, ad altri territori. (Magnaghi, 2000). La "periferia urbana", l'altro territorio, come luogo di ricetto di rifiuti, saccheggio delle risorse, elemento di alimentazione e supporto (umano, alimentare, energetico ecc..) per la città, è distante decine o migliaia di chilometri dal centro cittadino; la città ha instaurato una gerarchia territoriale e funzionale tale da dilatare enormemente la distanza dei territori di sostegno al suo stesso funzionamento. Questo meccanismo di "recisione" di territorio ha sottratto alle città la possibilità di creare paesaggi d'identità locale, paesaggi per la sua stessa riproducibilità e le ha esposte al rischio delle crisi globali. La città, negli ultimi decenni, è stata pianificata e progettata pensando ai pieni, anzi pensando a come riempila; oggi abbiamo bisogno di ribaltare completamente la prospettiva, di ripartire da quello che era considerato spazio libero e insignificante. Ciò che chiamiamo vuoto, non è privo di contenuto, è un deposito di biodiversità, uno spazio potenziale per la rigenerazione urbana. Occorre risignificarlo attribuendo nuovi funzioni, ruoli e spazialità in grado di fare del vuoto un enzima per la trasformazione. Le parti molli, sono delle grandi opportunità per la rigenerazione, soprattutto delle periferie o di questo spazio "nutritivo" per la città, l'altro territorio. La recente crisi economica e il prolungarsi della crisi ambientale sono questioni che richiedono una risposta immediata da parte degli architetti e degli urbanisti. Come attestano numerose ricerche e rapporti (IPCC, NWF, NLS) il limite ambientale è stato superato, il picco del petrolio è stato valicato, l'autosufficienza globale è negativa: siamo in condizioni di emergenza. Questa situazione è stata prodotta da un errato modello di sviluppo (che non ha tenuto conto dei limiti delle risorse) e da una disponibilità energetica a basso costo. La rifunzionalizzazione dello spazio aperto deve partire dalla situazione di emergenza e dalla consapevolezza del fallimento del modello capitalistico. La rigenerazione urbana deve mirare a costruire territori senza necessità di "sostenere", che si autosostengano (dove e come possibile), ricostruendo le sinergie interrotte fra territorio, ambiente e produzione. Una rigenerazione di autosufficienza, autonomia e indipendenza. Non per nostalgia storica, non come deliberata "decrescita" o come rinuncia al progresso, non come ricovero in una economia verde, ma per intraprendere un cammino verso una crescita più responsabile e uno sviluppo adeguato ai tempi e ai luoghi contemporanei; un percorso verso un'autosufficienza che abbia ancora la forza di creare paesaggi e possa trasformare e modellare le città come è successo nel passato. Una rigenerazione in cui il cittadino sia ancora un abitante e non solo un consumatore, in una visione in cui il residente-consumatore possa divenire un "abitante-produttore" (Magnaghi, 2000). «Se si riflette sul ruolo determinante di questa rete di tecnologie ed energie che fa da supporto ad una società avanzata, ci si rende conto che è difficilissimo ormai produrre le cose per proprio conto, e rendersi indipendenti dal sistema tecno-energetico.» (Angela, Pinna, 2006). Uno spazio aperto produttivo ed individuale, corrisponde ad una ripresa del potere sulla cosa pubblica, sui luoghi e i paesaggi da parte della comunità locale; la costruzione di resilienza, e dunque la resistenza agli schock esterni, fornisce una possibilità per costruire con consapevolezza il sé e l'altro da sé: gli spazi della città. Vi è un'emergente richiesta di spazio aperto da destinare a nuove forme della produzione e servizi (individuali e decentrate), la produzione energetica da fonti rinnovabili, la produzione alimentare a km0, la produzione di nuovi servizi per il cittadino, la produzione di una nuova organizzazione della mobilità. Questa richiesta di spazi per la produzione non è vissuta come occasione ma è affrontata con il consueto fondamento commerciale-economico, perdendo l'opportunità di restauro e recupero degli spazi aperti. Un evidente esempio sono i territori dell'energia: i progetti di parchi eolici, di campi fotovoltaici, di raccolta delle biomasse, rispondendo a logiche esclusivamente impiantistiche e settoriali rinunciano ad una sfida architettonica-paesaggistica, alla possibilità di creare un progetto produttivo con una qualità spaziale-ambientale più ampia. Questo rifiuto etico ed economico trasforma frequentemente progetti ecologici in realizzazioni dannose per l'ambiente, per le economie agricole, per la qualità ambientale e paesaggistica (basti pensare ai campi fotovoltaici). I "parchi" eolici tornano ad essere "impianti" eolici spogliandosi di tutte le funzioni non settoriali. All'opposto questi spazi per la produzione energetica potrebbero costruire nuove centralità sociali, ricreative o urbane. Potrebbero essere progettati concretamente come parchi ammettendo una commistione di usi e funzioni ed abbandonando il tecnicismo e settorialismo della produzione. I territori dell'energia hanno un potenziale inespresso di mettere in discussione il contesto esistente, fornendone nuove possibilità di lettura, nuove interpretazioni, nuove configurazioni: possono creare paesaggi carichi di nuovi sensi, spetta al Michele Galella

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Luoghi della krìsis. Spazi produttivi e rigenerazione urbana.

progettista/amministratore la scelta di accettare la sfida. Lo ha fatto all'amministrazione di Barcellona trasformando una pergola fotovoltaica in uno dei principali landmark della città; è successo a Madrid dove la declinazione ecologica e contemporanea dei boulevard parigini ha dimostrato la capacità innovative delle tematiche ambientali-sociali e di disegno urbano. La produzione individuale e decentrata può essere il tema di rilancio per la progettazione degli spazi aperti.

I luoghi della krìsis - Verso una nuova scelta La rifunzionalizzazione degli spazi abbandonati, i nuovi ruoli dello spazio aperto post-crisi rientrano all'interno del progetto delle multiple reti della sostenibilità divenendo l'ossatura tecno-bio-logica per la rigenerazione del territorio. Il progetto dei luoghi della krìsis coinvolge il landscape design, la green economy e la frontiera tecnologica, al fine di produrre spazialità inedite e artistiche, spazi iperfunzionali e opportuni alla città del futuro (paesaggi commestibili, territori dell'energia e paesaggi della condivisione). In questo senso tuttora gli spazi pubblici "energeticamente e bioclimaticamente attivi" sono inconsueti: la Placa fotovoltaica di Barcellona, l'Ecoboulevard di Madrid rappresentano un raro caso di declinazione ecologica di spazio aperto con qualità non esclusivamente tecniche ma urbano-architettoniche. La crisi ambientale-energetica e quella economica ci forniscono la possibilità e la necessità di ripensare gli spazi aperti della città/periferia caricando di nuovo senso e importanza questi luoghi. Il ripensamento e adeguamento delle periferie consolidate attraverso il progetto dello spazio aperto, partendo dai nuovi modelli per la produzione decentrata ed individuale, può portare a quel ribaltamento concettuale descritto in precedenza e ad una nuova visione territoriale. «La cultura che ha interpretato lo spazio aperto e il territorio storico come vuoto residuale (senza valore né vincoli) ha contribuito ai principali disastri ambientali.. La ricostruzione delle città (autosostenibile) procede da un ribaltamento concettuale (nell'analisi e nel progetto): i "vuoti", gli spazi aperti residuali e relitti, divengono le figure generatrici del nuovo ordine territoriale e urbano. Reinterpretati come sistemi di ecosistemi ordinano e restituiscono forma e proporzioni virtuose.» (Magnaghi, 2000). E' quanto emerge da due ricerche/workshop internazionali: Foreclosed: Rehousing the American Dream e da Land Art Generator Initiative: Renewable energy can be beatiful. La mostra del MoMA rileva che il ripensamento della periferia passa inevitabilmente attraverso una nuova concezione di spazio aperto, di nuovi rapporti tra natura-artificio, di evoluzione del sistema consumo-produzione e quindi di sperimentazione progettuale. Il vuoto, nello stesso senso con cui Venturi interpretava le piante di Giambattista Nolli, si declina in modo diverso, assorbe nuovi usi, ruoli e forme, ad esempio è utilizzato come: spazio pubblico, rete connettiva, luogo della produzione, impianto di sicurezza ambientale, agropaesaggio. E' elemento (ri)-fondante il nuovo sistema di disegno dell'urbanizzato. Gli spazi aperti sono chiamati a svolgere i ruoli contenuti in queste macro-categorie mutando le regole progettuali degli interventi. Il concorso LAGI, aperto ad architetti, artisti, scienziati ed ingegneri, mostra, in maniera convincente, che il ruolo della nuova produzione energetica-alimentare può reinventare il disegno dello spazio aperto coinvolgendo il landscape design e dando origine a paesaggi della produzione affascinanti, aprendo tematiche architettoniche ed urbane inesplorate. Attraverso i nuovi ruoli e le inesplorate forme che gli spazi aperti assumono, la città può ricostruire un rapporto con l'ecosistema, integrare i sistemi ambientali e mirare alla chiusura dei cicli naturali e dei prodotti avviando nuovi rapporti con l'ambiente e l'economia. Può decidere il proprio sviluppo e scegliere come vivere la crisi.

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Luoghi della krĂŹsis. Spazi produttivi e rigenerazione urbana.

Figura 1. The garden in the machine, Studio Gang Architects, in Fore-closed: Rehouse the American Dream, MoMA.

Figura 2. Nature-City, WORKac, in Fore-closed: Rehouse the American Dream, MoMA. Michele Galella

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Luoghi della krĂŹsis. Spazi produttivi e rigenerazione urbana.

Figura 3. Scene-Sensor // Crossing Social and Ecological Flows, Murray J., Vashakmadze S., vincitore del LAGI 2012.

Figura 4. Freshkills Biofill, Hur Y., Baird M., Otten M., Yen R., Matthew Bair Architects, in LAGI 2012.

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Luoghi della krìsis. Spazi produttivi e rigenerazione urbana.

Bibliografia Angela P., Pinna L. (2006), La sfida del secolo. Energia. 200 domande sul futuro dei nostri figli, Mondadori Editore, Milano. Bergdoll B., Reinhold M. (2012), Fore-closed: Rehousing the American Dream, The Museum of Moderm Art, New York. Bradford T. (2008), La rivoluzione solare. Perché l'energia del futuro viene dal sole, Brioschi Editore, Milano. Calafati A. G. (2009), Economie in cerca di città. La questione urbana in Italia, Donzelli Editore, Roma. Kjellén M., Mcgranahan G. (1997), Comprehensive assessment of the freshwater resources of the world. Urban water - towards health and sustainability, Stockholm Environment Istitute, Stockholm. Magnaghi A. (2000), Il progetto locale, Bollati Boringhieri Editore, Torino. Meadows Donatella, Meadows Dennis, Randers J. (2002), I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio, Mondadori Editore, Milano. Rifkin J. (2011), La terza rivoluzione industriale. Come il "potere laterale" sta trasformando l'energia, l'economia e il mondo, Mondadori Editore, Milano. Serres M. (2010), Tempo di crisi, Bollati Boringhieri Editore, Torino. Tanuro D. (2010), L'impossibile capitalismo verde, Edizioni Alegre, Roma.

Sitografia Foreclosed: Rehousing the american dream, disponibile su MoMA, Mostre, sezione 2012 http://www.moma.org/interactives/exhibitions/2012/foreclosed/ LAGI, land art generator initiative competition 2012, renewable energy can be beatiful, disponibile su landartgenerator, sezione competition 2012 http://landartgenerator.org/competition.html

Copyright Figura 1 e 2 sono tratte dalla pubblicazione Foreclosed: Rehousing the american dream, 2012. Figura 3 e 4 sono tratte dal sito http://landartgenerator.org/competition.html, 2012.

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Al confine dell'urbano: il piano urbanistico ligure di fronte al tema delle aree agricole

Al confine dell'urbano: il piano urbanistico ligure di fronte al tema delle aree agricole Giampiero Lombardini Scuola Politenica di Genova Dipartimento di Scienze per l'Architettura Email: g.lombardini@arch.unige.it Tel: 010.377.93.77

Abstract Negli ultimi anni diversi Comuni della Liguria costiera come anche della Liguria interna hanno adottato strumenti di revisione della disciplina urbanistica delle zone agricole, col chiaro intento di introdurre degli elementi di innovazione e controllo delle trasformazioni territoriali nel campo del periurbano. Ne scaturisce una sorta di revisione in progress degli ordinari strumenti previsti dalla legislazione regionale che non sembrano in grado di coordinare un diverso concetto di "sviluppo" per i territori di cornice, interessati invece da un intreccio complesso di azioni e intenzioni, spesso conflittuali tra loro. Se da un lato la spinta a consumare ulteriore territorio è forte, dall'altra sempre più segnali e iniziative indicano una diversa prospettiva per le "aree agricole" urbane e periurbane. Così, se da un parte i contenuti della legge urbanistica regionale sembrano registrare un ritardo nell'interpretare prima e nel controllare poi le molecolari spinte all'erosione di territorio da parte di funzioni urbane, dall'altra si evidenzia la necessità di introdurre elementi di innovazione anche nei confronti degli strumenti di pianificazione ordinaria. Parole chiave Aree extra-urbane, presidio ambientale, pianificazione urbanistica locale.

Caratteristiche strutturali del territorio rurale ligure La situazione geografica e demografica della Liguria, come ben noto, vede una spiccata concentrazione residenziale e di attività produttive di ogni genere nella stretta fascia costiera. Meno scontato è forse rilevare come in tale contesto territoriale vi si siano storicamente localizzate anche le attività agricole di maggior pregio. Anzi storicamente, la situazione più comune è stata quella che ha visto prima l'insediarsi dell'agricoltura, essendosi localizzatosi gli insediamenti di primo impianto territoriale sui promontori vallivi e lungo le mezzecoste, piuttosto che nelle piane, solo successivamente invase dall'urbanizzazione più o meno densa dell'epoca industriale e post-industriale. A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso si sono andate così consolidando e polarizzando due realtà geografiche diverse e per molti aspetti separate: la Liguria delle piane e dei balconi costieri, dove la dispersione insediativa va progressivamente cancellando le tracce delle preesistenti strutturazioni agrarie e la Liguria interna, quella dei piccoli comuni in costante spopolamento.

La Liguria costiera e la collina litoranea Nelle piane e nei balconi costieri, agricoltura e usi urbani hanno sempre vissuto nell'ultimo secolo una forte competizione per localizzarsi sui suoli ritenuti, in ambedue i casi, migliori. Tale peculiare concentrazione e sovrapposizione competitiva tra usi urbani ed attività agrciole è riconsociuta, per diversi contesti territoriali italiani, anche dal Piano Strategico Nazionale del 2007 che evidenzia come in alcune Giampiero Lombardini

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aree del Paese la particolare situazione orografica e demografica porti alla concentrazione nelle stesse aree sia degli insediamenti abitativi e turistico/commerciali sia di attività agricole fortemente specializzate e intensive, che occupano superfici relativamente modeste ma che rappresentano realtà economiche importanti in termini sia economici che occupazionali. Il risultato è che nei territori della periurbanizzazione ligure si concentrano sia usi urbani, legati sempre più spesso alla residenza secondaria, sia anche allo stesso tempo aree agricole di pregio, che si vedono però sempre più minacciate dall'erosione della rendita fondiaria urbana e dalla conseguente competizione asimmetrica per la "conquista" dello spazio. Tale competizione dell'uso edilizio del territorio in tali aree nei confronti di una pur economicamente sostenibile attività agricola, porta di fatto ad una posizione di attesa dei proprietari, che piuttosto che investire in operazioni di impresa di incerta attuazione, preferiscono congelare il territorio nella prospettiva di ricavarvi nel tempo una rendita più sicura. Peraltro, come rilevato da diversi studi, tali posizioni attendistiche, è una delle cause dell'abbandono o quanto meno dell'incuria in cui sono lasciati molti terreni. E se tali preferenze attendistiche sono incentivate, come spesso avviene, dalle scelte dei piani urbanistici locali che continuano a prevedere da una "generazione" all'altra di piani continue opportunità edificatorie1, è opportuno interrogarsi se la disciplina urbanistica delle cosiddette "zone agricole" non debba essere profondamente rivisitata se ci si vuole porre obbietivi di salvaguardia paesitica, presidio reale del territorio (inteso come bene comune: Settis, 2012) e promozione di tutte quelle attività legate alla conduzione agricola dei fondi che possono innestare significativi azioni di innovazione territoriale.

Il consumo di suolo e altre questioni Rispetto al tema sollevato ormai in molteplici occasioni del consumo di suolo2, occorre prendere in considerazione diversi fattori al fine di metterne in evidenza le dinamiche in corso e considerare quelli che potrebbero essere gli scenari futuri. Se si prendono in esame i dati dei Censimenti dell'agricoltura, si osserva come il decremento della SAU3 sia stato in Liguria, negli ultimi decenni, addirittura esponenziale, configurando quello che appare come un vero e proprio crollo. Tabella I: Liguria: Superficie Agricola Utilizzata (ha)

Censimento Agricoltura 1990

Censimento Agricoltura 2000

Annuario statistico regionale 2007

92.482,67

62.605,33

49.080,00

Censimento Agricoltura 1990

Censimento Agricoltura 2000

Annuario statistico regionale 2007

72.479

44.266(-57%)

23.120 (-52%)

Tabella II: Liguria: Aziende (ha)

Su un altro versante, altri dati sembrano configurare una situazione almeno in parte diversa: la recente restituzione cartografica regionale della carta degli usi del suolo, elaboarta a partire da voli areogrammetrici recenti ad alta risoluzione, mostra, in termini anche solo meramente quantitativi, come di fatto, al suolo, la superficie a destinazione agricola sia pari a quasi il doppio di quella censita come SAU. Una così evidente discrepanza informativa è da imputare ai due diversi sistemi di rilevamento: l'uno strattamente statistico (e peraltro non georiferito) e l'altro cartografico. La superficie agricola è di molto superiore nel secondo caso in quanto semplicemente rileva che ampie estensioni di terreno sono ancora di tipo rurale, pur non insistendovi (più) in realtà materialmente una vera e propria attività di conduzione agricola, essendo invece presente una seppur debole azione di manutenzione territoriale "a bassa intensità". E' il caso della maggior parte dei manti 1

Soprattutto in assenza di strumenti di aggiornamento informatico degli asservimenti fondiari (operabile attraverso tecnologie GIS, di fatto poco diffuse). 2 Si fa riferimento a questo proposito a: INU 2012, Di Simine, Ronchi, 2012, Bianchi, Zandini, 2011. 3 Le dinamiche e le ralazioni tra SAU e consumo di suolo sono state analizzate con diverse, osservandone anche gli elementi di contradditorietà per esempio da S. Settis 2010 sotto un profilo paesistico, da G. Campos Venuti (2010) sotto il profilo urbanistico e da C. Barberis (2009) per gli aspetti legati alla sociologia rurale. Giampiero Lombardini

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olivetati della collina costiera dove, a causa della crisi economica del settore olivicolo legata agli alti costi di produzione, le aziende realmente operanti nel settore sono poche e circoscritte in relativamente angusti perimetri territoriali, mentre negli altri estesissimi casi operano situazioni ibride, nelle quali l'attività di presidio si lega ad una manutenzione del territorio connessa alla sola produzione familiare per auto-consumo, quando non esclusivamente ad opere di mera tenuta in ordine dei fondi (magari per mantenerli appetibili in vista delle auspicate future edificazioni di cui sopra).

Figura 1. Incidenza percentuale della SAU sulla superficie territoriale complessiva (anno di riferimento 2005)

I tre fenomeni che appaiono più incidenti sulle possibili azioni di inversione di tendenza in questi territori sono perciò in prospettiva futura, più che il consumo quantitativo di suolo, sono:  la dispersione disorganica dell'insediamento, che limita fortemente le possibilità di insediamento ed espansione di aziende agricole vitali,  il frazionamento fondiario,  l'estraneità delle nuove forme di urbanizzazione diffusa rispetto all'organico intreccio di relazioni tra insediamento e campagna che pure è stato alla base della formazione storica di questi paesaggi e che oggi sopravvive come residuo o ancora in moltissimi altri casi come traccia riutilizzata per scopi e utilità nuove e spesso estranee ed incongrue rispetto al codice genetico originario (Lanzani, Pasqui, 2011).

Figura 2. Liguria: uso del suolo 2010

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L'insieme di queste problematiche interroga, punto per punto, l'urbanistica, i suoi strumenti e la sua capacità di dare un senso di tutela e al contempo di innovazione perchè si diffondano pratiche non più distruttive ma anzi ricostruttive dei rapporti tra insediamento, natura e produttività (Perrone, Zetti, 2010). Il consumo di suolo deve essere per quanto possibile arrestato in questi territori e questo lo si può fare partendo proprio dalla disciplina urbanistica, che dovrebbe ripensare su basi totalmente diverse lo statuto delle cosiddette zone agricole, pensate fino in tempi recenti come aree di riserva edificatoria in una prospettiva urbano-centrica (Avarello, 2008). La questione non può risolversi semplicisticamente in una pur necessaria riduzione degli indici edificatori. Le trasformazioni edilizie dovrebbero conformarsi all'obiettivo di prefigurare forme insediative per quanto possibile accentrate e attestate sulle urbanizzazioni già esistenti, evitando dannosi fenomeni di dispersione (Erba, et al., 2010). Il frazionamento fondiario potrebbe essere contrastato attraverso l'adozione di dimensioni minime di lotto insediativo quanto più ampie possibili; in modo che ad uno stesso intervento edilizio si associ l'obbligo di accorpare quanti più fondi possibili, ritentando per questa via una qualche forma di riaccorpamento fondiario. Ed infine la reciproca estraneità che oggi risulta alquanto diffusa tra residenza (urbana, anche se diffusa in ambito rurale) e campagna potrebbe essere almeno in parte superata introducendo un nuovo concetto di presidio (Merlo, 2006), che anzichè costituire il pretesto per realizzare ulteriori nuove edificazioni, dovrebbe invece legarsi all'esistente e tentare di recuperare quel legame vitale tra insediamento e conduzione del fondo che appare indispensabile se si ragiona in termini di sostenibilità e auto-sostenibilità (Magnaghi, 2010).

La pianificazione urbanistica di livello locale nei territori "agricoli" della Liguria costiera Se si esaminano alcune recenti esperienze di piani urbanistici di scala locale, si possono osservare interessanti tentativi di innovazione che affrontano le questioni sopra richiamate. La proposta di Variante per le zone collinari di Spezia e la recente adozione del piano urbanistico preliminare di Santa Margherita Ligure costituiscono due casi di studio in tale prospettiva. Entrambi i piani, partono dalla comune considerazione della dobolezza (quando non della "pericolosità") del concetto di ambito di presidio ambientale, entrato a far parte dello strumentario urbanistico ligure a partire dalla Legge Regionale 36/97. Gli ambiti di presidio ambientale, pensati originariamente per frenare l'abbandono della popolazione dalle zone rurali, nei contesti extra-urbani dei comuni costieri) sono diventanti il grimaldello attraverso il quale i processi di dispersione insediativa continuassero a compromettere sempre maggiori estensioni di territorio. La potenzialità edificatoria nei territori di presidio, normalmente, nelle norme dei piani urbanistici è legata ad una forma convenzionale nella quale il soggetto attuatore si impegna a manutenere per un certo periodo (normalmente dieci anni) una certa porzione di terreno. La convenzione, nella prassi, non è diventata altro che un mero elenco di prescrizioni formali, di fatto poco incidenti e assai poco verificabili ex post sulla reale capacità di innescare virtuosi processi di manutenzione del territorio, se non di riconversione. Col risultato che, una volta ottenuta l'autorizzazione ad edificare, l'attività di presidio è stata spesso disattesa. Nel periodo medio lungo poi le due situazioni tendono sempre più a divaricarsi, dal momento che l'edificazione è caratterizzata da una lunga durata mentre l'attività di presidio è confinata entro ben precisi limiti temporali: è evidente che l'interesse del residente si concentri sempre più sulla manutenzione edilizia che non su quella del territorio. Inoltre l'esiguità dei lotti di presidio (spesso ben inferiori ai 10.000 mq) non riesce nel tempo ad innescare fenomeni di riutilizzo almeno parzialmente agricolo del territorio. Nel caso della Spezia (Virgilio, 2011), dall’approfondimento compiuto nell'ambito della stesura della variante urbanistica per le zone collinari è stato possibile evidenziare alcuni elementi chiave di questo processo:  la massiccia crescita delle costruzioni in area collinare, raddoppiate nell’arco degli ultimi trentacinque anni ed aumentate del 25% negli ultimi quindici anni;  l’espansione oltre il limite della città compatta, di circa un milione di metri quadri in trentacinque anni e di 250.000 mq negli ultimi quindici.  il drastico decremento di territorio coltivato e in condizioni di equilibrio manutentivo, praticamente dimezzato dal 1975 ad oggi e ridotto del 30% negli ultimi quindici anni. Una lettura più approfondita del fenomeno insediativo di tipo sparso in area collinare, quello realizzato in base alle varie norme delle “zone agricole”, ha messo inoltre in luce altri aspetti importanti:  la densità rilevante di edificazione sparsa (il doppio dell’indice agricolo della legge nazionale);  la bassa incidenza della funzione residenziale primaria (densità territoriale pari a due residenti per ettaro) e la conseguente prevalenza delle seconde case nella composizione dell’edilizia collinare. La conclusione evidente è che la normativa delle zone agricole dei piani che si sono avvicendati ha prodotto e produce in realtà territori urbanizzati a bassa densità, senza garantire la spesso evocata “presenza dell’uomo sul territorio”. La proposta di variante urbanistica prevede l’eliminazione pressoché totale della nuova edificazione di nuovi edifici nei tessuti collinari di consolidamento e in quelli sparsi, che pertanto vengono riconosciuti come saturi agli effetti della realizzazione di nuovi edifici. Analogamente, viene eliminata pressoché totalmente la possibilità Giampiero Lombardini

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di realizzare edifici indipendenti nelle zone di produzione agricola e nei territori di presidio ambientale, nei quali permane solo la possibilità di realizzare manufatti agricoli a servizio di effettive attività agricole a carattere aziendale. Sia nei tessuti sparsi che nelle zone agricole e di presidio le potenzialità edificatorie vengono ricondotte all’ampliamento degli edifici esistenti. Considerazioni analoghe si stanno svolgendo attualmente sul territorio collinare di Santa Margherita, attraverso l'adozione del preliminare del nuovo Piano Urbanistico Comunale. Qui il piano, considerando che l'insediamento venuto consolidandosi nella fascia collinare ha raggiunti livelli di equilibrio generali non più modificabili, non consente ulteriori edificazioni autonome di tipo residenziale, ma solo l'intervento sui manufatti esistenti, con l'intento comunque di legarne la trasformazione e l'ampliamento (laddove consentito) a funzioni di presidio, regolate anche in questo caso da convenzione. La diversificata stratificazione edilizia che si è venuta configurando soprattutto negli ultimi decenni, comporta la necessità di costruire un abaco delle situazioni costruttive e tipologiche meritevoli di tutela, al fine di legare a principi di congruità tipologica gli interventi trasformativi sull'esistente che rischierebbe diversamente di venire notevolmente alterato, con impatti negativi sotto il profilo paesistico. Non si tratta quindi solo di bloccare ulteriori consumi di suolo, ma di impostare strategie per un recupero attento dei valori testimoniali dell'edilizia rurale. Le tracce ancora leggibili dell'edilizia rurale storica vengono qui intesi come gli elementi da cui far partire un'operazione di riqualificazione paesistica complessiva.

La Liguria interna ovvero la Liguria del bosco L'altra Liguria rurale è quella del bosco, quella dove la retorica corrente è quella dell'abbandono (Quaini, 2011). In realtà la situazione è molto più articolata di quanto certe rappresentazioni lascerebbero intendere. Innanzi tutto, appaiono di un certo interesse i casi di confine tra le due ligurie: i Comuni di seconda fascia, immediatamente a ridosso dei centri costieri, vivono spesso situazioni di forte vitalità. Laddove infatti i valori immobiliari sono molto alti (nella liguria costiera ppunto), una consistente quota di popolazione si è nel tempo rilocalizzata in questi ambiti di primo entroterra, trovandovi prezzi più accessibili (non solo rispetto al mercato della casa, ma anche a quello dei servizi) e innescando processi non raramente virtuosi di cooperazione con le popolazioni rurali qui radicate. Il carattere meno pervasivo della dispersione insediativa unita ad una rivalutazione dell'attività agricola part-time, danno luogo ad un rapporto meno conflittuale e anzi spesso positivo tra residenza e fondo agricolo. In questa dinamica gioca un ruolo fondamentale la residenzialità: mentre infatti nei territori (ex) rurali dei Comuni costieri si è diffusa la residenza secondaria, il ricettivo diffuso e comunque una concezione dell'abitare di tipo strettamente urbano (intendendo con ciò una scissione tra residenzialità e cura della terra), in questo secondo caso la residenza primaria, nettamente prevalente, induce comportamenti più attenti alla manutenzione del territorio. La dimensione più domestica, socialmente meno conflittuale e anonima di quella urbana, facilitano inoltre forme di cooperazione mutualistica che sono alla base di interessanti fenomeni di ritorno di interesse per la terra (Basile, Cecchi, 2001). Dall'altro lato vanno peraltro evidenziati i sempre più stringenti problemi legati al venir meno dell'urbanizzazione primaria e della messa in sicurezza e manutenzione dei suoli che portano ad un'erosrione progressiva delle porzioni di territorio presidiate, finendo col determinare fenomeni di accentramento selettivo della popolazione attorno agli insediamenti dove ancora l'azione pubblica riesce in qualche modo a garantire un minimo di funzionalità e a manutere almeno in parte il capitale fisso sociale incorporato nelle urbanizzazioni primarie e secondarie. Queste problematiche si radicalizzano nei territori della Liguria più interna4. Di queste problematiche sembra darsi carico il Piano Territoriale Regionale, in corso di redazione. Nella suddivisione del territorio regionale in macro contesti (scelta sotto diversi aspetti comunque discutibile, data l'eccessiva semplificazione della lettura del territorio regionale che porta con sè) un ruolo importante viene assegnato alla macro area "Liguria Natura", che corrisponde precisamente alla Liguria interna, quella dell'abbandono e quella caratterizzata in maniera pervasiva dalla presenza del bosco. Il bosco copre il 75% del territorio regionale (con tendenza ad un costante aumento negli anni, causa ed effetto al contempo dei processi di abbandono della popolazioni dai territori alti verso i fondovalle e la costa), ma non è mai stato pensato fin qui come "risorsa". Negli anni si sono succedute politiche tese alla conservazione degli ambienti naturali, che sono la dominante di gran lunga prevalente della Liguria interna (soprattutto attraverso il Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico e i Piani di Parco5), ma non si sono mai avviate azioni strutturali di promozione attiva delle economie montane. Il PTR in corso di redazione prevede per tali aree l'implementazione, accanto alle consolidate azioni di tutela ambientale, di una serie di azioni nei settori della filiera del legno e delle energie 4

Sulle dinamiche demografiche, economiche e ambientali si fa riferimento all'Atlante del Piccoli Comuni di Cittalia (Ifel, Fondazione ANCI, 2012). In Liguria oltre il 60% dei piccoli comuni si trova in una situazione di crisi demografica. Il 40% restante riguarda i Comuni di cerniera tra costa ed entroterra cui si accennava sopra. 5 Dei 9 parchi regionali liguri, 6 riguardano aree montane per oltre il 70% della superficie regionale complessiva destinata a riserva naturale. Giampiero Lombardini

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rinnovabili. Attraverso il nuovo PTR, il bosco diventa tema di interesse regionale e con la regia regionale dovranno essere organizzate gli interventi, che vanno coordinati a livello sovra locale, riconoscendo per la prima volta un uso potenzialmente produttivo del bosco (Borghi, 2009). Ancora in fase di studio è il coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione settoriale di livello regionale: in particolare il Piano Energetico Regionale (Pearl) e il Piano Regionale di Assestamento Forestale.

La pianificazione urbanistica di livello locale nella Liguria interna Nei piccoli comuni interni la disciplina urbanistica si concentra prevalentemente sulla regolamentazione delle aree extra-urbane, dove, in genere, si rileva la progressiva scomparsa dell'agricoltura (almeno nella forma della conduzione aziendale) e dove quindi si pone principalmente il problema di organizzare le funzioni di quello che viene ancora (impropriamente, a questo punto) definito presidio. In tali realtà, dove la rendita fondiaria non gioca un ruolo così importante come nelle aree costiere, la difficoltà che si deve superare è quella di trovare un equilibrio tra le possibilità edificatorie di volta in volta ammesse e i limiti strutturali derivanti dal frazionamento fondiario, dalla scarsa infrastrutturazione primaria di ampie porzioni di territorio (quelle dove le milgiorie fondiarie legate alla conduzione agricola sono venute meno ormai da diversi anni), dal generale processo di abbandono che investe complessivamente le piccole realtà comunali. Emerge, in sostaza, ancora il limite di un'impostazione troppo incentrata sulla mera regolamentazione dell'attività edilizia, che sconta il mancato coordinamento con altre politiche (per esempio quelle legate ai finanziamenti del Piano di Sviluppo Rurale o ai vari programmi di finanziamento legati ai programmi di Coesione, che più incisivamente potrebbero configurare politiche attive di riorganizzazione non solo (e non tanto) edilizia, quanto piuttosto di sviluppo territoriale. In altri casi si è cercato di introdurre, sempre partendo dalla consueta disciplina dell'attività edilizia, alcune innovazioni legate al trasferimento di indici edificatori verso aree di concentrazione volumetrica, con l'intento di conferire una maggiore compattezza complessiva all'insediamento. Tale strategia si associa spesso alla determinazione di un tetto massimo ammissibile che definisce in termini complessivi il peso insediativo dell'intero piano, prevedendo localmente concentrazioni volumetriche anche consistenti, ma tutelando in questo modo (nella strategia pensata) il resto del territorio, lasciato alle attività agricole vere e proprie. A questo proposito si possono citare i casi dei Comuni di Bormida, di Stella e di Vendone, nel savonese.

Conclusioni Le esperienze portate ad esempio come tentativi di innovazione nella pratica disciplinare dell'urbanistica "corrente", testimoniano gli elementi di debolezza e di incertezza ancora presenti in quest'ambito a fronte di un quadro territoriale in forte cambiamento stretto da un lato da una pervasiva forma di dispersione insediativa che sembra non ancora del tutto esaurita e dall'altro da forme sempre più diffuse di abbandono. La disciplina delle zone extra-urbane (che non si possono più definire, se non in minima parte "agricole" e sulle quali si giocherà buona parte delle prospettive poer costruire forme diverse di sviluppo) deve essere ampiamente rivista, scontando la normativa regionale un certo ritardo rispetto all'evolversi dei fenomeni. Il concetto di ambito di presidio, pur innovativamente introdotto ai tempi dalla Legge Urbanistica Regionale nel 1997, deve essere rivisitato di fronte al cambiamenti in atto. Inoltre, alla tradizionale apparato disciplinare, occorre urgentemente affiancare una dimensione più strategica e programmatica (istanza che il PTR sembra almeno in parte voelr indicare) per tenere insieme controllo quantitativo e qualitativo dell'insediamento e promozione dello sviluppo territoriale.

Bibliografia

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INU, CRCS, Rapporto 2012 sul consumo di suolo, Roma, INU ed. Lanzani A., Pasqui G., 2011, L'Italia al futuro. Città e paesaggi, economie e società, Milano, Franco Angeli. Magnaghi A., 2010, Il progetto locale, Torino, Bollati Boringhieri (II ed.). Merlo V., 2006, Voglia di campagna. Neoruralismo e città, Troina, Città Aperta Edizioni. Perrone C., Zetti I., 2010, Il valore della terra. Teoria e applicazioni per il dimensionamento della pianificazione territoriale, Milano, Franco Angeli. Quaini M, 2011, "Crescita, decrescita e territorio. Dal laboratorio ligure una riflessione sui modi dello sviluppo", in Muscarà C. et al., Tante Italie Una Italia. Dinamiche territoriali e identitarie, Milano, Franco Angeli. Settis S., 2010, Paesaggio Costituzione cemento, Torino, Einaudi. Settis S., Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi. Virgilio D., 2011, Ritorno ai paesaggi disabitati. Appunti sulla disciplina degli spazi aperti nel Piano comunale, Atti della XVI Conferenza SIU. Volpe S., 2007, "Il progetto Extramet e il caso di studio della Campania", in: Urbanistica n.132.

Giampiero Lombardini

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'Territori silenziosi' come progetto che si costruisce lentamente. Indizi di ri-conversione per il territorio dell’Alta Gallura

'Territori silenziosi' come progetto che si costruisce lentamente. Indizi di ri-conversione per il territorio dell’Alta Gallura Leonardo Lutzoni Università 'La Sapienza' di Roma Facoltà di Ingegneria, DICEA – Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale Email: leonardolutzoni@gmail.com Tel: 3293172060

Abstract Rispetto alle dinamiche veloci dei sistemi urbani e delle aree metropolitane contemporanee, vi sono territori lenti, silenziosi e apparentemente marginali, come la regione ambientale dell’Alta Gallura, che al di fuori delle logiche capitalistiche, stanno cercando di affrontare strade di sviluppo differenti, sostenibili, legate al territorio, che si affermano quasi come forma di ribellione rispetto ai sistemi globali omologanti. Sono territori nei quali si stanno verificando fenomeni emergenti, indizi di progetto, che disegnano le traiettorie per una prospettiva di cammino differente e ormai necessario. Questi indizi, che rappresentano la molteplicità dei sistemi territoriali locali, necessitano però di essere organizzati attraverso una rete, una 'regia', che nel manifestarsi progetto, mette in equilibrio la componente insediativa con quella ambientale nel ripensare una nuova idea di città-territorio. Parole chiave Territorio, progetto, sviluppo

Geografie contemporanee: il silenzio dell’Alta Gallura Il paesaggio urbano contemporaneo è in continua trasformazione. L’instabilità della città contemporanea, il suo essere territorio dei flussi, spazio governato dal movimento, dalla trasformazione, dalla transitorietà, dalla compresenza e sovrapposizione di differenti situazioni, crea una continua distruzione e ricostruzione dei valori e produce disorientamento. Oggi la velocità delle reti divora, ricopre, ostruisce, soffoca, assorda la città. Lacera, spezza, segmenta la campagna. La distinzione territoriale tra città e campagna non sussiste più: lascia il posto all’urbano. Di fianco a una miniera, attorno ai porti, lungo le strade ferrate, l’urbano cresce e va in metastasi. Attraversato da strade e autostrade, scavato dai metrò, solcato da linee di autobus e tram, sorvolato da aerei, nodo di strade, canali circuiti, deposito abbandonato a tutti i flussi, l’urbano è una città veloce il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo (Lévy, 1996; p. 178). In diverse aree del nostro paese, tuttavia, in particolare lì, dove la rete dei flussi e delle infrastrutture, del mercato e dell’economia globale, che alterano la fisionomia locale della città e del territorio, si dirada, si nascondono dei territori meno illuminati, spazi aperti, di rallentamento, di silenzio, di penombra, di sopravvivenza di natura e agricoltura, di resistenza alla crescita lineare e senza senso dell’urbanizzazione (Lanzani, 2011; p. 20). Territori 'vuoti' e silenziosi all’apparenza, come quello della Sardegna, descritta sempre in diversi modi, per farne risaltare i caratteri, le diversità e le differenze, che possono così diventare elementi per il progetto di territorio. Ilario Principe sostiene che la Sardegna è un’isola perché la sua storia è un’isola; perché la sua realtà geografica è strutturalmente diversa da tutto quello che si può riscontrare altrove; perché la sua evoluzione sociale segue sentieri totalmente differenti dai soliti; perché i vari tentativi di 'unificazione', dall’introduzione del sistema metrico decimale alla legislazione spaziale per il Mezzogiorno, hanno avuto esiti peculiari ed imprevedibili. Una regione silenziosa che non rivestì mai quella funzione di crocevia del Mediterraneo così spontanea nella vicina Sicilia (Principe, 1985; p. 563). Se, quindi, il processo di costruzione dell’identità, della storia, della cultura e dell’economia della regione, non possono essere scissi da una lettura delle relazioni che questo territorio ha intrattenuto con il mondo, è altrettanto vero che i caratteri stessi della sua fisicità hanno avuto un ruolo determinante nel definire il carattere 'diverso' di questa terra. Nonostante il suo essere isola e quindi avere una Leonardo Lutzoni

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stretta relazione con il mare, la Sardegna, è una regione occupata da diversi rilievi, e su questa doppia appartenenza ha costruito la storia del suo territorio e del suo ambiente. Mare e montagna hanno rappresentato le due polarità attorno a cui hanno preso forma profili e strutture dell’organizzazione territoriale: insediamenti, economie, forme dell’abitare, saperi, mestieri, musiche, storie e leggende, mondi immaginari e simbolici, figure di territori vuoti e silenti. All’interno di questo quadro, infatti, osservando una carta della Sardegna, e in particolare della regione ambientale dell’Alta Gallura, la prima impressione che si manifesta ai nostri occhi è l’immagine di un territorio lento, dominato da una condizione di sostanziale marginalità, e frammentazione rispetto alle dinamiche veloci che caratterizzano il territorio complesso dell’urbano. Affinando lo sguardo, e immaginando di osservare il territorio con una lente, ci si rende conto che il vuoto è solo apparente e che l’elemento determinante che ha contribuito e contribuisce a strutturare il territorio è la dimensione ambientale. La natura in questi luoghi si presenta in forme diverse, la struttura morfologica dà origine a paesaggi di enorme suggestione e di grande solitudine: vaste distese di territorio vuoto, forme granitiche bucate e lavorate dal vento, grandi valli segnate dallo scorrere di corsi d’acqua che arrivano fino al mare articolando profonde insenature costiere dette rias1, il massiccio del Monte Limbara, che con i suoi aspri rilievi ne costituisce l’elemento dominante, il perno della struttura territoriale. È con questi elementi che l’uomo ha dovuto fare i conti per costruire, nel tempo, la propria struttura d’insediamento. Il contesto ambientale, formato da realtà estremamente diversificate, è stato interpretato, infatti, in maniera originale dalle società che hanno abitato questa terra in una storia di complicità quasi totale; le popolazioni che qui hanno vissuto hanno intessuto con esso un rapporto di coesione indissolubile. Un rapporto che tuttavia non si è mai espresso in termini univoci, in forme deterministiche, ma ha visto succedersi, in momenti diversi, differenti fasi di organizzazione e di assetto del territorio, spesso con non pochi conflitti. Infatti, il territorio della Gallura nella seconda metà dell’ottocento si presentava 'vuoto' verso la costa, vissuto e molteplice verso l’interno, dove il perno di questa imponente struttura era il massiccio del Monte Limbara, attorno al quale si articolava una fitta rete di piccoli nuclei abitati collegati da una ragnatela di strade. Il territorio esterno ai nuclei urbani era invece caratterizzato dalla presenza degli stazzi, connessi da una viabilità minuta e capillare. Gli stazzi strutturavano il territorio degli spazi aperti, degli spazi esterni all’urbano consolidato, dialogavano con la dimensione ambientale del paesaggio, dando origine ad un modello abitativo e produttivo diffuso nel territorio, con un’economia di sussistenza basata sull’autoproduzione legata alla terra. Questa struttura territoriale è rimasta tale fino alla metà degli anni sessanta, quando è avvenuto un ribaltamento delle dinamiche. Il territorio costiero, prima vuoto, descritto in maniera efficace da Marcello Fois 2, è diventato il polo attrattore di persone, attività ed economie legate ad una dimensione sovra-locale e globale, trasformandosi in una vera e propria 'città lineare' con la nascita della Costa Smeralda e del turismo costiero nell’Isola. Il territorio interno si è 'svuotato', soprattutto nelle campagne, perdendo quella dinamicità e quella complessità che lo caratterizzava. Oggi, questo processo di densificazione del territorio costiero sembra non avere interruzione: è in corso, infatti, un importante fenomeno di spopolamento e l’abbandono dei centri storici dei nuclei urbani dell’interno, un flusso di spostamento continuo di attività economiche verso i nuclei della costa a causa degli effetti della crisi e delle spinte esogene della globalizzazione, che ancora una volta, fanno di questo territorio meta di conquista e di colonizzazione da parte di principi e sultani, che ne fanno, o cercano di immaginarlo, come un eden, come un parco giochi per il divertimento, come un foglio bianco da riempire, calando dall’alto progetti e modelli di città avulsi alla dimensione locale del territorio. Nonostante ciò, il territorio silenzioso dell’Alta Gallura, non è un territorio completamente vuoto, marginale, poco illuminato, in ombra come potrebbe sembrare oggi, rispetto ai bagliori della città costiera. Sono in atto, infatti, piccoli segni, elementi di diversità, indizi, che narrano di un territorio in movimento attraverso l’incontro tra uomo, ambiente e paesaggio, che nel riscoprire i luoghi in chiave contemporanea, lo fa in una duplice veste: rifugio, al cospetto di una vita urbana veloce e frastornante; luogo di sviluppo di nuove economie territoriali, ancora deboli da quantificare, piccole ‘lucciole 3’, come direbbe Didi-Huberman, che vanno scoperte e sostenute, e che potrebbero indicare la strada per il progetto e per uno sviluppo alternativo e sostenibile. 1

La coste a rias sono forme particolari di litorale costiero che si formano per sommersione di antiche valli fluviali a seguito di un innalzamento del livello relativo del mare (Ginesu, 2004; p. 189). 2 L’autore scrive: «visto oggi, quel territorio non racconta nemmeno un millesimo di quel passato di magnificenza. Le spiagge intatte, il mare incredibilmente limpido, le mandrie a riva, i gigli di mare che fiorivano sulla sabbia. Erano territ ori femminili, le proprietarie erano tutte figlie femmine a cui venivano assegnati in eredità i poderi a mare perché improduttivi. […] La gente della costa era timida e gentile, non ancora imbarbarita dal turismo di massa e dalla sindrome del mattone » (Fois, 2010; p. 19). 3 L’autore parafrasando alcuni scritti di Pasolini e ragionando sull’attuale ‘disagio della civiltà’ scrive: «il mondo è davvero come lo hanno sognato – come lo progettano, lo programmano o vogliono imporcelo – i nostri attuali ‘consiglieri fraudolenti’? Postulare una cosa del genere significa, appunto, dar credito a ciò che la loro macchina vuol farci credere. Significa vedere solo il buio fitto o la luce accecante dei riflettori. Significa agire da sconfitti: ossia essere convinti che la macchina svolga il suo compito senza sosta né resistenza. Significa vedere solo il tutto. Non vedere dunque lo spazio – magari interstiziale, intermittente, nomade, collocato in maniera improbabile – delle aperture, dei possibili, dei bagliori, dei malgrado tutto. […] Per conoscere le lucciole, bisogna vederle nel presente della loro sopravvivenza: bisogna vederle Leonardo Lutzoni

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'Territori silenziosi' come progetto che si costruisce lentamente. Indizi di ri-conversione per il territorio dell’Alta Gallura

Nel 'vuoto' il movimento: indizi per innescare uno sviluppo alternativo Scoprire gli indizi, i piccoli segnali che descrivono il movimento dei territori apparentemente marginali non sempre è facile. In un percorso di ricerca e di progetto, avere a che fare con questi luoghi ci obbliga, pertanto, allo «scavalcamento sistematico dei confini consolidati tra ambiti disciplinari differenti e allo stesso tempo ad un affinamento dello sguardo. Un ‘guardare-ascoltando’, che ha messo in crisi la possibilità di restituirli utilizzando i consolidati strumenti delle letture territoriali; le carte del rosso e del nero o la restituzione attraverso indagini stratigrafiche ad esempio, non sono fertili nell’osservare-ascoltare miscele, intrecci, improvvisi scarti e continuità, assenze, trasformazioni silenziose e lenti processi di metamorfosi e risignificazioni interne» (Lancerini, 2005; p. 11). Indagando nel mondo delle diversità territoriali dell’Alta Gallura, è emerso, come questo territorio non sia vuoto e silenzioso, bensì un contenitore d’indizi e fenomeni emergenti che ne evidenziano tutta la sua dinamicità. Si stanno verificando, infatti, l’insediamento di nuovi abitanti, nuove progettualità e nuovi usi: i comuni di Luras, Luogosanto, Sant’Antonio di Gallura e Telti, hanno attivato una filiera a Km0 dei prodotti agricoli; molte persone, impiegate prevalentemente nel settore dell’edilizia, ormai in crisi, hanno iniziato a riscoprire i mestieri legati all’attività agricola, infatti, oltre a produrre per il proprio fabbisogno personale, hanno deciso di mettersi in rete e vendere i prodotti in esubero che normalmente riescono a produrre. È un modo di produrre economia, con il sostegno delle amministrazioni, di far riemergere una ‘coscienza territoriale’ scomparsa. Anche il settore della viticoltura, sta diventando un’economia importante in questo territorio. Ne sono esempio le cantine ‘Tondini’ e ‘Castiglia’ nel comune di Calangianus e la cantina ‘Ruinas’ a Luras: la prima nata grazie all’intuizione e volontà del Sig. Tondini, che da sempre aveva lavorato come agricoltore e allevatore, infatti, facendo leva sulla sua profonda conoscenza del territorio e deciso a sviluppare una nuova economia legata alla terra, con fatica e risorse proprie, ha realizzato il progetto della cantina insieme a figli, dei quali uno è l’enologo. Il progetto della cantina Castiglia, si è sviluppato da pochi anni. Da produttori di tappi da sughero, a causa della crisi, che ha impoverito e determinato problemi consistenti per tutto il comparto, ne sono diventati ‘consumatori’; infatti, per superare la crisi del settore e far fronte alle problematiche economiche hanno portato avanti un progetto di economia territoriale legato alla coltura della vite che oggi sta dando i suoi frutti. Anche la cantina Ruinas è una realtà interessante; da produttori e venditori di salumi, hanno inizialmente diversificato la loro attività economica anche nel settore viti-vinicolo, che con il passare del tempo è diventato il settore principale, sviluppando un attenzione e una cultura territoriale che gli hanno permesso di eccellere. Nel territorio dell’Alta Gallura, oltre ad attività legate al settore agricolo, si stanno sviluppando settori come l’allevamento di bovini pregiati, e in questo i comuni di Luogosanto e Calangianus si stanno distinguendo come poli importanti. Il primo, ha strutturato il settore attraverso l’incremento del numero di capi bovini, incentivando la nascita di ‘nuovi allevatori’, attraverso la costruzione di un centro di trasformazione delle carni, riqualificando l’ex mattatoio comunale, e un accordo territoriale con il polo caseario di Arborea per l’ingrasso delle carni. Questo ha permesso la definizione di una filiera chiusa e locale di carni bovina e suina, che consente la produzione e consumo di carni totalmente allevate e macellate in Sardegna. Calangianus, invece sta puntando sull’allevamento di bovini pregiati come i capi Limousine. La crisi insistente del sughero, infatti, ha spinto molte persone a reinventarsi allevatori, a sviluppare un’economia territoriale di settore, che nonostante il suo continuo incremento, fatica a strutturarsi in maniera adeguata. Anche dal punto di vista culturale, si sta riscoprendo il territorio, infatti, nel territorio gallurese, tra gli eventi annuali di maggiore importanza, vi è il festival del Time in Jazz: si svolge ormai da un ventennio a Berchidda, e ha innescato grazie ad una sapientissima regia, un processo di contaminazione non banale fra la tradizione rurale e contadina ancora forte e un’accoglienza mediata dall’interesse per la musica e la ricerca che le ruota attorno; dall’interesse suscitato dai visitatori attratti da un contesto capace di reinventarsi contenitore di innovazione che non perde mai la coscienza precisa delle proprie radici. Dall’esibizione di artisti jazz si è passati ad un progetto ben più complesso, che coinvolge molte sfere dell’arte (dalla pittura alle installazioni video, ai workshop di architettura), che è dilagato sempre più nell’intorno territoriale del paese, esplicitando quel legame indissolubile nel contesto Gallurese tra le manifestazioni dell’abitare urbano e la dimensione del territorio aperto. Il territorio dell’Alta Gallura, si presenta quindi come un territorio lento, caratterizzato da diverse dinamiche, trasformazioni e frammentazioni, mescolanza tra usi urbani e rurali, fenomeni nuovi emergenti dai quali è necessario ripartire per ripensare uno sviluppo alternativo e una nuova dimensione progettuale.

Costruire il progetto: un percorso-processo che si delinea passo dopo passo Costruire un progetto per i territori lenti, non significa limitarsi ad una conservazione passiva degli elementi territoriali e ambientali che strutturano il loro essere, né esporre questi elementi alla velocità delle trasformazioni danzare vive nel cuore della notte, anche se quella notte viene spazzata via da qualche feroce riflettore» (Didi-Huberman, 2010; p. 28-33. Leonardo Lutzoni

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globali che le rendono piatte e invisibili. Significa avviare semmai un più complesso processo di rivitalizzazione capace di ricostruire tessuti di relazioni fra le diverse parti di territorio, indurre nuove forme di territorialità, avviare cicli di produzione delle risorse, attivare circuiti economici nuovi in grado di coinvolgere un’ampia e diffusa partecipazione sociale, necessarie affinché il progetto sia condiviso, creare forme di gestione e appropriazione che sappiano farsi carico di continuare a produrre natura e paesaggio capaci di innescare nuovi indizi da cui ripartire. Un progetto di ri-conversione che sappia ricomporre la frammentarietà del territorio a partire dalle diversità e le differenze che lo caratterizzano. Uno sviluppo nuovo e alternativo dei territori, però, è molto più complesso e difficile di quanto si creda. Nei territori in declino o in ritardo di sviluppo, non esiste un dato insieme di pre-requisiti per lo sviluppo economico, come pure è impossibile delimitare un certo numero di configurazioni dell'arretratezza. Ciò che ostacola il progresso in un dato ambiente ed in un dato stadio dello sviluppo economico può essere vantaggioso in altre circostanze. Insomma è un processo-progetto che va costruito lentamente, passo dopo passo e in maniera accurata, dove tutti i nuovi indizi presenti nel territorio vanno scoperti, individuati e messi in rete. I territori ‘vuoti’ sono espressione di una progettualità diversa da quella di piano, ma anche dalla cultura di nicchia e da quella omologante della rete; una dimensione progettuale mai sovra determinata, propria ed implicita, non definita dall’alto e a tavolino, anche se molto spesso incapace di intercettare le diversità e gli indizi territoriali perché in qualche modo contaminata dalle esigenze globali. È arrivata quindi l’ora, come progettisti del territorio, come pianificatori, di muoversi e operare ai margini dei sistemi forti e consolidati delle nostre città aspirando ad essere come il macellaio del principe Wen-hui che non deve mai rifare il filo al coltello, perché spiega «conosco la conformazione naturale del bue e attacco solo gli interstizi. Non scalfisco mai né le vene né le arterie, né i muscoli né i nervi, né a maggior ragione le ossa!» (Dematteis in Lancerini, 2005; p. 15). È necessario mettere in pratica un’urbanistica lenta, capace di mettere in risalto le potenzialità dei territori, la rilevanza che le aree vuote stanno assumendo nella città contemporanea, poiché l’urbanità futura come afferma Maciocco non può solamente essere costruita attraverso processi semplificanti di confinamento, di rimozione delle aree di margine dalla nostra coscienza urbana (Maciocco, 2007; p. 155). Si tratta, come sostiene Corzani (in Decandia, 2008; p. 171), di realizzare un nuovo tappeto compositivo, in cui le vecchie città, i nodi costruiti diventano le componenti di un sistema molto più ampio. Simile ad una vera e propria ‘partitura musicale’, in cui sia proprio la contrazione e la dilatazione degli spazi, l’alternarsi di pieni e di vuoti, di addensamenti e di pause, di fughe e di ritornelli, di adagi e di veloci, di luoghi deserti e di nodi a forte densità, a creare l’andamento ritmico. Una partitura in cui anche gli spazi del silenzio assumano i «contorni di un tassello […] fino a perdere alcuni connotati e ad assumerne altri sorprendentemente nuovi (compresa l’urgenza di essere ascoltati)». E in cui, come afferma Decandia, proprio per questo le aree a più densa naturalità, i paesaggi svuotati dalla modernità, possono diventare risorse preziose, contro-spazi di una nuova geografia urbana (Decandia, 2008; p. 171). Come afferma Dematteis, «progettare il territorio significa quindi innanzi tutto rappresentare delle diversità, in termini di possibili risposte locali a mutamenti globali e significa forzare i limiti dei linguaggi universali in modo da renderli capaci di accogliere (comprendere) e veicolare ragioni e valori locali» (Dematteis, 1995; p. 42). Dunque una lettura in positivo che mette al centro il territorio, le sue specificità, le sue energie di trasformazione, i movimenti soggetti e/o collettivi che ne definiscono il suo carattere. Utilizzando questo criterio di lettura, si può affermare pertanto che i territori ‘vuoti’, dotati di risorse territoriali specifiche che ne definiscono i caratteri, possono diventare anch’essi, grazie alla loro forza progettuale implicita, nodi di attività avanzate, nodi di relazioni, inseriti in reti transnazionali e globali legandosi con esse e facendo leva sui caratteri specifici dell’ambiente, del paesaggio e delle territorialità che li rendono diversi, differenti. In tal modo si favorisce un processo di modernizzazione del territorio stesso attraverso le relazioni tra la storia e la memoria, il presente e il futuro, il globale e il locale. Per costruire il progetto di territorio, cercando di definire un’inedita nova forma di città-territorio, è necessario ripartire dall’esplorazione dei bisogni, dalle attese, dai segnali latenti e invisibili che è possibile cogliere solamente con un’indagine lenta e accurata. Come sostiene Decandia lo sguardo profondo del territorio può aiutarci a scorgere barlumi a cui dare forma. Può indicarci che esso contiene già in sé virtualità latenti, potenzialità inespresse a cui occorre dare espressione; che esistono serbatoi in cui immergere radici e dai cui farsi alimentare, brusii sommessi a cui prestare ascolto per poter crescere e andare lontano, lati oscuri, ombre, conflitti e contraddizioni di cui occorre prendersi cura (Decandia, 2008; p. 166). Come afferma Dematteis, poiché i luoghi non vanno intesi come aree geograficamente definite, né definibili e neppure come supporti passivi di rapporti tra soggetti, ma come insiemi specifici e diversificati, il progetto territoriale non deve rappresentare oggetti, ma soggetti, mettere insieme punti di vista diversi, perciò non escludendo contraddizioni e conflitti, ma ponendoli al centro. Il suo punto di forza è la conservazione della complessità (Dematteis, 1995; p. 41). Ciò richiede di tener presenti sia le ‘necessità’ insite nelle dinamiche globali, sia quelle che regolano la riproduzione delle territorialità locali, reintroducendo le persone al centro del progetto, con loro differenti punti di vista, le loro convergenze e i loro conflitti.

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'Territori silenziosi' come progetto che si costruisce lentamente. Indizi di ri-conversione per il territorio dell’Alta Gallura

Bibliografia AA.VV. (2004), Italia - Atlante dei tipi geografici, Editore Istituto Geografico Militare, Firenze. Decandia L. (2008), Polifonie urbane. Oltre i confini della visone prospettica, Meltemi, Roma. Decandia L. (2011), L’apprendimento come esperienza estetica. Una comunità di pratiche in azione, Franco Angeli, Milano. Dematteis G. (1995), Progetto implicito. Il contributo della geografia umana alle scienze del territorio, Franco Angeli, Milano. Didi-Huberman G. (2010), Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze, Bollati Boringhieri, Torino. Fois M. (2010), In Sardegna non c’è il mare, Editori Laterza, Roma - Bari. Lancerini E. (2005), “Territori lenti: contributi per una nuova geografia dei paesaggi abitati italiani”, Territorio, 34, pp. 9-15. Lanzani A. (2011), In cammino nel paesaggio. Questioni di geografia e urbanistica, Carocci editore, Roma. Lévy Pierre, (1994). L’ intelligence collective: pour une anthropologie du cyberspace, La Decouvert, Paris. Maciocco G. (2007), Fundamental trends in city development, Heidelberg, Berlin, New York, Springer Verlag. Maciocco G., Sanna G., Serreli S. (2011), The Urban Potential of External Territories, Franco Angeli, Milano. Magnaghi A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringhieri, Torino. Principe I. (1985), “Storia, ambiente e società nell’organizzazione del territorio in Sardegna”, in A.A.V.V., Storia d’Italia. Insediamenti e territorio, Giulio Einaudi Editore, Torino, pp. 561 - 625.

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L’integrazione tra nuove forme di agricoltura urbana e Greenways per la produzione di Ecosystem Services in contesti urbani

L’integrazione tra nuove forme di agricoltura urbana e Greenways per la produzione di Ecosystem Services in contesti urbani Francesco Martinico Università di Catania DARC - Dipartimento di Architettura Email: fmartinico2@gmail.com Luca Barbarossa Università di Catania DARC - Dipartimento di Architettura Email: luca.barbarossa@darc.unict.it Daniele La Rosa Università di Catania DARC - Dipartimento di Architettura Email: dlarosa@darc.unict.it Riccardo Privitera Università di Catania DARC - Dipartimento di Architettura Email: Riccardo.privitera@virgilio.it

Abstract Le greenways sono considerate soluzioni progettuali efficaci per promuovere trasformazioni urbane sostenibili, e per rallentare i processi erosivi e di frammentazione delle aree non urbanizzate in contesti urbani. Tali aree costituiscono infatti una risorsa ambientale che necessita di essere inserita all’interno di un nuovo progetto territoriale complessivo. In particolar modo le aree agricole abbandonate, possono essere ripensate alla luce di nuove forme di utilizzazione dei suoli che possano coniugare la produzione agricola periurbana con le istanze della fruizione, del tempo libero e della protezione ambientale orientate ed alla produzione di ecosystem services. A tal fine la pianificazione delle aree non urbanizzate urbane e peri-urbane potrebbe integrare diverse tipologie di usi del suolo in un network di aree agricole ed altre forme di spazi verdi attraverso greenways agricole in grado di incrementare l’accessibilità complessiva agli spazi verdi e la relativa produzione di servizi ecosistemici. Parole chiave 1. Greenway Agricola, 2. Agricoltura urbana, 3.Aree Non Urbanizzate

Introduzione I processi di urbanizzazione, oggi in atto in gran parte dei contesti metropolitani contemporanei, costituiscono una minaccia per il territorio rurale e per le aree naturali e seminaturali, la cui qualità ambientale è in costante diminuzione. Questo fenomeno è particolarmente evidente in corrispondenza delle aree periferiche delle città metropolitane, dove i processi di diffusione urbana incontrollata provocano, più che in altri ambiti, effetti indesiderabili di consumo di suolo e frammentazione delle aree agricole. Risultato di tale modello di crescita, le cui dinamiche raramente tengono conto di aspetti ambientali, è un paesaggio urbano caratterizzato da carenze diffuse di aree verdi e da un alto livello di frammentazione ecologica (EEA, 2006). Francesco Martinico, Luca Barbarossa, Daniele La Rosa, Riccardo Privitera

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L’integrazione tra nuove forme di agricoltura urbana e Greenways per la produzione di Ecosystem Services in contesti urbani

Tra gli strumenti progettuali utilizzati, per porre un freno a tali processi indesiderabili dal punto di vista ambientale, le greenways sono componenti del progetto ambientale ampiamente diffuse per mitigare la frammentazione ecologica e integrare lo sviluppo urbano con la conservazione degli ambienti naturali e del paesaggio. (Ahern, 1995; Fabos & Ryan, 2006). In qualità di ambiti verdi lineari, esse sono inoltre in grado di garantire le connessioni tra spazi urbani e ambiente rurale. (Walmsley, 2006). Inoltre sono elementi utilizzati anche per assolvere a precise funzioni ecologiche e fornire servizi ecosistemici di primaria importanza come la purificazione di aria e acqua, la mitigazione del rischio idraulico, la regolazione e il controllo del clima, la creazione e la rigenerazione di suolo fertile, l’accessibilità agli spazi aperti e, in qualità di elementi di rilevanza paesaggistica, il benessere fisico e psichico dei fruitori. I contesti urbani possono presentare particolari difficoltà per lo sviluppo delle greenways a causa delle generale complessità delle componenti del sistema urbano. In particolare, l’alto grado di frammentazione degli spazi aperti, l’eterogeneità delle funzioni in esse presenti, generano un numero elevato di categorie coperture di suolo con caratteri e dimensioni molto diversificate. Per tale ragione le numerose aree non urbanizzate1 presenti all’interno dei contesti urbani e periurbani, necessitano di una classificazione al fine di evidenziarne le loro caratteristiche fisiche e le loro funzioni ecologiche. In particolare, tali aree possono rappresentare una grande opportunità per la definizione di politiche urbane che favoriscano lo sviluppo di nuove forme di agricoltura urbana (La Greca et al., 2011a). Si ritiene inoltre che la relazione tra nuove forme di agricoltura urbana e greenways possa contribuire all’aumento della qualità urbana e la conservazione degli spazi aperti e assumere un ruolo centrale per le politiche di sostenibilità urbana (Zasada, 2011). Proporre una greenway che integri diverse NUA in una rete di aree agricole e spazi verdi, può significativamente migliorare l’accessibilità complessiva di tali aree, ridefinendo i margini tra ambiti urbani e territorio agricolo, ed aumentando significativamente la dotazione complessiva dei servizi ecosistemici. A partire dalle precedenti considerazioni, il presente studio propone un metodo per caratterizzare e connettere le NUA attraverso una greenway. A tal fine, l'esistente sistema di NUA periurbane è stato analizzato per comprendere quali nuovi usi agricoli possano essere ipotizzati e quindi collegati con gli altri spazi verdi attraverso una Greenway Agricola (GA). Il metodo verifica quindi l’idoneità delle trasformazioni delle esistenti NUA verso nuove forme di agricoltura, al fine di aumentare la loro funzione sociale ed ecologica nonché l’accessibilità e la connettività complessiva. Il metodo proposto è stato applicato a un caso reale di pianificazione urbanistica: la revisione del Piano Regolatore della città di Catania.

L’area studio – Il comune di Catania Catania è al centro di una grande conurbazione che costituisce la più vasta area metropolitana in Sicilia. Un sistema insediativo, caratterizzato da un consistente fenomeno di sprawl, cresciuto a dismisura nel corso degli ultimi 50 anni, che ha superato i confini amministrativi della città, inglobando in un’unica grande area metropolitana i centri suburbani2. (La Greca et al. 2011b). Alla fine del 2009, l’Amministrazione Comunale ha avviato il processo di revisione del PRG, con la finalità di fornire risposte concrete ai macrofenomeni negativi che caratterizzano l'intero spazio urbano, prefigurando scenari futuri di sostenibilità urbana. Il nuovo strumento urbanistico affronta diverse questioni cruciali (l’alto livello di congestione del sistema della mobilità, la concentrazione di usi residenziali nelle aree periferiche) mirando ad incrementare la quantità di spazi pubblici, e in particolare delle aree verdi. Ad un alto numero di NUA, localizzate nelle parti periferiche della città, la nuova zonizzazione del Piano Regolatore assegna una destinazione di spazi verdi pubblici, definendo per essi una serie di funzioni possibili, tra cui l'agricoltura urbana. Molte delle nuove aree verdi sono comunque state pianificate senza tener conto di criteri specifici che possano determinare la loro idoneità ad ospitare funzioni riconducibili a varie forme di agricoltura urbana. Partendo da tali considerazioni, e con la volontà di fornire un valido supporto decisionale per le scelte localizzative future, il presente studio propone un metodo per caratterizzare la trasformabilità delle esistenti NUA verso nuove forme di agricoltura e di collegarle attraverso un progetto di greenway urbana.

Metodo Il metodo proposto si basa su un modello multicriteriale di suscettività d'uso, che mira a definire alcuni scenari di nuovi usi del suolo (denominati PLU3) delle NUA. I criteri utilizzati nel modello sono da intendersi come 1

Non Urbanized Area (NUA) (La Greca et al., 2011a) L'attuale sistema metropolitano, presenta fenomeni di congestione insediativa e si distingue per una marcata carenza di spazi pubblici e in particolare di aree verdi. 3 Prospected Land-Use (PLU) (La Greca et al., 2011a) 2

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prerequisiti che ogni singola NUA deve rispettare affinché essa possa accogliere nuova forme di agricoltura urbana4. Nel dettaglio sono state considerate le seguenti nuove forme di agricoltura urbana: • Fattorie urbane. Rappresentano la forma primaria di agricoltura urbana multifunzionale (Aubry et al., 2010). Esse sono in grado di riciclare alcuni rifiuti di provenienza urbana (Mougeot, 2005), mantengono inalterati i caratteri paesaggistici dell’area, offrono funzioni socio-formative (Ba and Moustier, 2010) oltre a rappresentare una nuova fonte occupazionale5 (Dubbeling et al., 2010). • Orti Urbani. Sono luoghi per il tempo libero e l’integrazione tra gruppi socialmente svantaggiati (Rubino, 2007), dove l’attività principale è il giardinaggio. La dimensione minima del lotto può variare da 50 a 400 m2 6 (Rubino, 2007). • Parchi Agricoli. Sono grandi aree agricole dove vengono previsti usi produttivi (in genere agricoltura biologica), tutela del paesaggio rurale e attività di svago. Le dimensioni possono variare da 10 a 10.000 Ha (Donadieu, 1998). I criteri utilizzati nel metodo sono stati descritti da alcuni indicatori, calcolati in GIS a partire dai dati di uso del suolo disponibili, secondo due fasi principali. Nel corso della prima fase sono stati analizzati i tessuti delle NUA esistenti, al fine di caratterizzare quali di queste potessero essere indirizzate verso nuove forme di agricoltura. In questa fase è stato considerato come criterio principale la compatibilità della transizione da un uso del suolo attuale verso un nuovo uso agricolo (PLU). Sono stati studiati i casi seguenti: • Aree agricole o aree agricole abbandonate, considerate sempre compatibili per la transizione, in quanto i suoli e le loro caratteristiche fisiche rimangono inalterati anche a seguito dei nuovi uso agricoli previsti; • Suoli nudi o con assenza di vegetazione considerati compatibili a condizione che esista contiguità con un attuale uso agricolo. Questa condizione presuppone che un terreno privo di vegetazione possa esser trasformato in una nuova area agricola se contiguo ad altre aree agricole. In tal caso la trasformazione si configura come economicamente sostenibile, dal momento che il nuovo uso agricolo entrerebbe a far parte di un pre-esistente sistema rurale produttivo. • Aree con alberi e arbusti, considerate compatibili a condizione che ci sia una percentuale di copertura arborea inferiore al 20% dell'intera area. Tale condizione è ipotizzata perché in caso di bassa percentuale di copertura vegetale la trasformazione di un NUA sia più compatibile in quanto non stravolge l’esistente natura dell’area stessa. Al contrario, in caso di percentuali maggiori di copertura arborea, la NUA sarebbe più adatta ad altre forme di verde che tendano a conservare tale struttura vegetale. • I suoli lavici non sono stati considerati compatibili in quanto nessun uso agricolo risulterebbe praticabile. • Le aree verdi urbane non sono state considerate compatibili in quanto una trasformazione di queste aree verso nuove forme di agricoltura altererebbe fortemente le loro caratteristiche naturali o semi-naturali. Per i criteri appena descritti, in questa fase sono stati usati due indicatori, di seguito dettagliati, per verificare la compatibilità della trasformazione dei suoli nudi o con assenza di vegetazione e delle aree con alberi e arbusti. L’indicatore Contiguità alle aree agricole (CO_F) verifica l’esistenza di contiguità tra NUA ed aree agricole. L’indicatore Copertura arborea (TLC) valuta la percentuale di copertura arborea nelle aree con alberi e arbusti. Tale copertura è stata ricavata a partire da ortofoto ad alta risoluzione (0,25 m). TLC è stato calcolato come rapporto percentuale tra superficie arborea ed area delle singole NUA. Utilizzando i due indicatori calcolati, una query in GIS consente di identificare il primo insieme di NUA adatte ad essere destinate a nuove forme di agricoltura, da includere all’interno della GA. La seconda fase mira a una successiva e più completa caratterizzazione delle NUA, per definire quali aree possono essere più idonee ad accogliere nuove forme di agricoltura tra quelle già selezionate nella fase precedente. I nuovi PLU sono definiti secondo criteri dimensionali, di accessibilità, di percentuale di copertura arborea e di contiguità con aree agricole. Ogni PLU è definito da una serie di criteri, a loro volta rappresentati da indicatori. Di seguito si dettagliano le PLU previste e i corrispondenti indicatori: • Parchi agricoli: dimensione minima di 20.000 m2, per permettere usi produttivi e altre funzioni (protezione del paesaggio e svago). Inoltre, la contiguità con le aree agricole esistenti, viene scelta come condizione per favorire la fattibilità economica e migliorare l’accessibilità alle aree destinate a parco. • Fattorie urbane: dimensioni variabili tra 5.000 e 20.000 m2, accessibilità di 20.000 abitanti per ogni ha di area in un intorno di 500 m percorribili a piedi. Considerato che un’area di 1 ha può produrre cibo per 200 persone (Van En, 1995), la condizione di 2.000 abitanti per ettaro può assicurare la fattibilità economica delle fattorie urbane anche nel caso in cui solo il 10% della popolazione fosse interessato all’acquisto dei 4

I criteri sono stati selezionati a seguito di ricognizione su letteratura esistente, nonché dall’analisi delle caratteristiche fisiche delle NUA. 5 Le fattorie urbane sono spesso gestite tenendo conto del modello di Community Supported Agriculture (CSA) (Wells and Gradwell, 2001) e possono avere dimensioni diverse (a partire da meno di un ettaro) (Van En, 1995). 6 Secondo la National Society of Allotment Gardens and Leisure Gardeners Limited (NSALG, senza data) un singolo lotto di circa 250 m2 può offrire prodotti agricoli per il fabbisogno di 4 persone ogni anno. Francesco Martinico, Luca Barbarossa, Daniele La Rosa, Riccardo Privitera

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prodotti agricoli. Inoltre, le attuali aree agricole devono avere una percentuale minima di copertura arborea (legnose agrarie) come indicatore di un potenziale produttivo agricolo. • Orti Urbani: dimensione massima di 5.000 m2 e accessibilità di 100 abitanti per ogni 1.000 m2 di area in un intorno di 250 m percorribili a piedi. Considerando che un’area di 1.000 m2 può soddisfare le esigenze di 20 persone – un lotto di 50 m2 per persona - (NSALG) - la condizione di 100 abitanti per 1000 m2 assicura la fattibilità degli orti urbani, dal momento che sono principalmente destinati a persone anziane e gruppi socialmente disagiati. Inoltre, è richiesto che siano rispettati anche i criteri di contiguità ai lotti agricoli e di percentuale di copertura arborea già menzionati. La tabella 1 mostra tutti i possibili casi di transizione dall’uso corrente (agricolo, agricolo abbandonato, aree con alberi e arbusti, Suoli nudi o con assenza di vegetazione) al nuovo uso agricolo (fattorie urbane, orti urbani, parchi agricoli). Ogni transizione è considerata idonea per particolari valori degli indicatori utilizzati. La stessa tabella contiene inoltre una prima indicazione dei valori di indicatori per le transizioni idonee. Ad esempio, per poter essere trasformata in fattoria urbana, un’area agricola deve avere i seguenti valori di indicatori: dimensione tra 2000 m2 e 5000 m2; più di 2000 persone in un intorno di 500 m. Tabella 1. Possibili transizioni da usi correnti a PLU con i relativi criteri e indicatori Usi correnti Aree agricole

Aree agricole abbandona te

Aree con alberi e arbusti

Suoli nudi o con assenza di vegetazione

Nuovi usi agricoli Fattorie Urbane Orti Urbani Parchi Agricoli Fattorie Urbane Orti Urbani Parchi Agricoli Fattorie Urbane Parchi Agricoli Orti Urbani Fattorie Urbane Orti Urbani Parchi Agricoli

A

PR_Res

CO_F

TLC

Min 5000 m2, Max 20000 m2

Min 2000 ab. in un intorno di 500 m per ogni ettaro di Area Non idoneo

/

/

Min 20000 m2

/

Si

/

Min 5000 m2, Max 20000 m2

Min 2000 ab. in un intorno di 500 m per ogni ettaro di Area Min 100 ab in un intorno di 250 m per ogni 1.000 m2 di Area /

Max 5000 m2 Min 20000 m2 Min 5000 m2, Max 20000 m2

Min 2000 ab. in un intorno di 500 m per ogni ettaro di Area Non idoneo

Max 5000 m2

Min 100 ab in un intorno di 250 m per ogni 1.000 m2 di Area Min 2000 ab. in un intorno di 500 m per ogni ettaro di Area Non idoneo

Min 5000 m2, Max 20000 m2

Min 20000 m2

/

Min 30% / Si

Min 50% /

/ /

/

/

Tutte i criteri sopra elencati sono rappresentati da uno o più indicatori calcolati in GIS così come riportati: • Dimensione (A): quantifica l’area del singolo lotto. • Prossimità alle aree residenziali (PR_Res,): valuta il numero totale delle persone che possono accedere ad ogni NUA. L’indicatore è pesato con la dimensione dell’area, dal momento che l’influenza di un’area ad attrarre persone cresca con la sua dimensione. Sono state fissati due intorni: 500 m per le Fattorie Urbane e 250 m per gli Orti Urbani. Il numero di persone in ciascun intorno è calcolato a partire dai dati sulla popolazione per sezione censuaria. L’indicatore viene calcolato come rapporto tra la popolazione compresa nell’intorno e le dimensioni della NUA. • Contiguità alle aree agricole (CO_F): è calcolato per i suoli nudi o con assenza di vegetazione come già descritto nella prima fase della metodologia. • Copertura arborea (TLC), viene calcolato per gli attuali usi del suolo ad alberi e arbusti e per le aree agricole abbandonate, come descritto in precedenza. L’indicatore calcola la superficie coperta da alberi che rappresenta rispettivamente la vegetazione naturale o semi-naturale per gli usi del suolo ad alberi e arbusti e le ultime rimanenze di legnose agrarie per le aree agricole abbandonate.

Analisi di sensitività e Scenari progettuali Dal momento che i criteri vengono descritti da indicatori, i valori assunti da quest’ultimi possono definire scenari diversi in termini di numero di PLU risultanti: modificando infatti le soglie di valore degli indicatori, varierà il numero di occorrenze di ogni categoria di PLU. Per capire come variano numero e tipologie di PLU è stata Francesco Martinico, Luca Barbarossa, Daniele La Rosa, Riccardo Privitera

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quindi condotta un’analisi di sensitività: simulando una variazione dei valori degli indicatori e fissando diverse soglie, è possibile esplorare il cambiamento nel numero e nel tipo di PLU risultanti, così come nella loro configurazione spaziale. Per ogni transazione dall’uso corrente a quello previsto, è stato testato un numero finito di combinazioni di valori degli indicatori per comprendere se un indicatore possa essere più o meno influente di un altro, o per stabilire entro quale range di valori il numero di PLU risultanti rimanga stabile. Operativamente, le simulazioni hanno prodotti tre scenari, definiti attraverso una serie di queries multi-attributo calcolate tramite GIS. Lo Scenario di Usi Misti (S1) mira a minimizzare la differenza tra le occorrenze dei tre PLU e a produrre quindi la configurazione spaziale più differenziata. Il secondo scenario è quello di Agricoltura Urbana (S2), che massimizza il numero delle aree appartenenti ad Orti Urbani, o altri usi legati all' agricoltura urbana. Il terzo scenario è quello dell’Agricoltura (S3), che mira a massimizzare il numero complessivo degli usi agricoli.

Proposta per una Greenway Agricola Nell’ultima fase del metodo, tra le aree identificate nel secondo scenario (S2) sono state individuate alcune connessioni ciclo-pedonali di progetto che definiscono una Greenway Agricola (GA) che comprende le aree destinate alle nuove forme di agricoltura, le aree agricole esistenti e le altre NUA La proposta progettuale segue l’approccio multifunzionale di greenway per i contesti urbani (Walmsley, 1995; Ahern, 1995), che mira ad accrescere il ruolo dell’agricoltura nei contesti urbani (Thornton, 2008), incrementando l’accessibilità alle aree verdi, la sicurezza e l’attrattività della città nei contesti periurbani. La definizione della GA segue 6 fasi distinte. 1. Selezione delle aree di maggiori dimensioni e accessibili dei PLU, come primi elementi per la GA. 2. Selezione degli elementi secondari della GA, includendo altre NUA e spazi verdi. 3. Selezione degli elementi di connessione lineare, tenendo conto delle caratteristiche geometriche delle strade, delle tratte ferroviarie dismesse e degli altri spazi lineari. 4. Verifica dei possibili limiti nelle connessioni (barriere fisiche, salti di quota, caratteristiche stradali). 5. Disegno di una greenway principale e di alcune tratte secondarie. 6. Verifica dell’attrattività e sicurezza della greenway, considerando le intersezioni e altri punti di conflitto con la viabilità, percorsi pedonali e piste ciclabili non protetti e altre caratteristiche ambientali.

Risultati All’interno dell’area studio sono state censite 201 NUA (fig. 1). La prima fase della metodologia ha permesso di valutare la compatibilità tra gli usi del suolo attuali e i PLU. Sono stati considerati compatibili 127 NUA: 43 aree agricole, 57 aree agricole abbandonate, 23 aree con alberi e arbusti e 4 aree con assenza di vegetazione.7 Come precedentemente descritto, nella seconda fase vengono proposte alcune configurazioni spaziali di PLU, derivanti dai 3 scenari ipotizzati. Ogni configurazione spaziale dipende dai criteri applicati, dagli indicatori usati per descrivere i criteri e conseguentemente dai valori di tali indicatori. Complessivamente gli indicatori che hanno avuto una maggiore influenza nel determinare il numero di PLU sono stati A e TLC, mentre il meno significativo è stato PR_RES. La condizione di contiguità descritta dall’indicatore CO_F non è risultata particolarmente significativa in quanto quasi sempre verificata. Tuttavia, l’influenza dei singoli indicatori sui PLU varia a seconda delle transizioni di uso riportate in tabella 1: a esempio, una variazione dell’indicatore A è risultato rilevante per la transizione tra aree agricole ad aree agricole abbandonate a fattorie urbane, ma poco significativo per la transizione da suoli nudi o con assenza di vegetazione a parchi agricoli. I tre scenari proposti producono inoltre tre configurazioni diverse nel numero di PLU e nella relativa localizzazione. Tabella 2 . Numero di lotti per ogni PLU nei tre scenari proposti.

PLUS UF AG AP F TOT

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Scenario 1 26 7 23 11 67

Scenario 2 36 7 23 4 70

Scenario 3 17 3 32 13 65

Anche se l’elemento più caratterizzante è la grande diversità di dimensioni, si può notare come siano presenti aree di grande dimensione (più di 5 ha), nonostante esse siano generalmente localizzate vicino al centro urbano o nella prima periferia.

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Figura 1. Uso del suolo corrente e Uso del suolo previsto per lo Scenario2.

Figura 2. La proposta di Greenway Agricola

La figura 2 presenta infine l’ipotesi di Greenway Agricola come un network di PLU, NUA e altri spazi verdi. E’ composta da un percorso principale di 20 km e da 4 tratte secondarie di lunghezza complessiva pari a 11,7 km. La maggior parte del percorso principale è localizzato all’interno dei PLU (44%) e di altre aree verdi (42%), mentre solo il 14% della GA si trova lungo strade esistenti. I tratti secondari sono invece collocati principalmente lungo strade esistenti (55%) e ferrovie (14%), mentre solo il 25% e il 6% sono localizzati rispettivamente in PLU e in altri spazi verdi. Il confronto tra percorsi principali e secondari mostra come i primi sono collocati lungo il margine urbano e coinvolgano principalmente i PLU, mentre i secondi sono localizzati internamente al centro urbano, utilizzando in gran parte strade esistenti. Mediamente, la maggior parte dei tratti di GA (65%) è comunque basata su corridoi verdi esistenti o ipotizzati.

Francesco Martinico, Luca Barbarossa, Daniele La Rosa, Riccardo Privitera

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Conclusioni I risultati ottenuti offrono diversi spunti di riflessione. Nonostante non siano numerose, le esistenti NUA presentano in media dimensioni medio-grandi: ciò è parzialmente dovuto alla loro localizzazione prevalentemente periurbana, e implica che che soltanto un numero ridotto di esse abbia una dimensione opportuna per poter esser destinato ad orti urbani. I PLU più frequenti risultano invece essere le fattorie urbane, a causa delle numerose aree con dimensioni medio-grandi (all’incirca comprese tra 1 e 2 ettari). I risultati mostrano inoltre che lo Scenario 2 (Agricoltura Urbana) è quello che comprende il numero più elevato di NUA, proprio come conseguenza dell’elevato numero di fattorie urbane (più di metà dei PLU di questo scenario). Il metodo proposto è in grado di definire scenari diversificati in termini di numero di PLU: ciò può risultare utile per amministrazioni locali che abbiano risorse finanziarie ridotte per sviluppare progetti per aree verdi, e che sono quindi messe nella condizione di potere scegliere tra diverse possibilità di configurazioni della greenway. Un’altra importante considerazione riguarda alcuni aspetti di pianificazione della GA: non tutte le aree proposte incluse nella greenway sono risultate collegabili, principalmente a causa delle caratteristiche morfologiche del contesto urbano di Catania. In questo caso potrebbe allora essere preferibile assegnare a tali aree non collegabili funzioni diverse, più legate al tempo libero e per le quali dove l’accessibilità complessiva risulti più importante rispetto al loro potenziale connettivo.8 La GA proposta è in grado di integrare diverse aree agricole, agricole abbandonate ed altri spazi verdi in una nuova configurazione spaziale capace grado di incrementare significativamente alcuni servizi ecosistemici urbani quali come l’accessibilità ad aree verdi (cultural services) e la produzione di alimenti in contesti urbani (provisioning services). Inoltre creando una nuova rete ciclo-pedonale, l’accessibilità complessiva degli spazi verdi urbani aumenterebbe drasticamente. Oltre a ciò, lo scenario proposto di nuovi usi agricoli urbani e periurbani potrebbe essere in grado di proteggere le esistenti aree agricole produttive dai processi di consumo di suolo, favorire la diffusione di nuove attività agricole (legate alla filiere corta ed alle produzioni biologiche), incrementare la fruizione del paesaggio rurale e supportare politiche urbane di adattamento ai cambiamenti climatici.

Bibliografia Ahern, J., 1995. Greenways as a planning strategy. Landscape and Urban Planning 33, 131-155. Aubry, C., Ramamonjisoab, J., Dabatc, M.-H., Rakotoarisoad, J., Rakotondraibee, J., Rabeharisoaf L., 2012. Urban agriculture and land use in cities: An approach with the multi-functionality and sustainability concepts in the case of Antananarlivo (Madagascar), Land Use Policy 29, pp. 429– 439. Ba, A., Moustier, P., 2010. La perception de l’agriculture de proximité par les residents de Dakar. Revue d’Economie Régionale et Urbaine 5, pp. 913–936. Donadieu, 1998. Le Campagnes Urbaines. Actes Sud, Arles. Dubbeling, M., de Zeeuw, H., van Veenhuizen, R., 2010. Cities, poverty and food: multi-stakeholder policy and planning in urban agriculture. Practical Action 192. European Environmental Agency (EEA), 2006. Urban sprawl in Europe The ignored challenge. Report N. 10. EEA, Copenhagen. Fábos, J. G., Ryan, R. L., 2006. An introduction to greenway planning around the world. Landscape and Urban Planning 76, pp.1-6. La Greca, P., La Rosa, D., Martinico, F., Privitera, R., 2011. Agricultural And Green Infrastructures: The Role of Non-Urbanised Areas For Eco-Sustainable Planning In A Metropolitan Region. Environmental Pollution 159, pp. 2193-2202. La Greca, P., Barbarossa, L., Ignaccolo, M., Inturri, G., Martinico, F., 2011. The density dilemma. A proposal for introducing smart growth principles in a sprawling settlements within Catania Metropolitan Area. Cities, 28, 527-535. La Rosa, D., Privitera, R., 2013. Characterization of non-urbanized areas for land-use planning of agricultural and green infrastructure in urban context. Landscape and Urban Planning 109, pp. 94-106. Mougeot, L.J.A., 2005. Agropolis: The Social, Political and Environmental Dimensions of Urban Agriculture. IDRC, Earthscan, London, 286 pp Opdam, P., 2006. Ecological networks: a spatial concept for multi-actor planning of sustainable landscapes. Landscape and Urban Planning 75, pp.322-332 National Society of Allotment Gardens and Leisure Gardeners Limited (NSALG), senza data. Creating a new allotment site. Available at http://www.nsalg.org.uk/. Last access: 02/21/2013.

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Perfezionamenti della metodologia possono comprendere l’inclusione di altri criteri/indicatori da utilizzare per una più completa caratterizzazione delle NUA, quali ad esempio: morfologia del terreno, dati catastali, frammentazione dei lotti. Inoltre anche una valutazione dei servizi ecosistemici forniti delle NUA nella valutazione potrebbe essere in grado di meglio specificare la natura delle NUA e le trasformazioni più idonee (La Rosa and Privitera, 2013).

Francesco Martinico, Luca Barbarossa, Daniele La Rosa, Riccardo Privitera

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L’integrazione tra nuove forme di agricoltura urbana e Greenways per la produzione di Ecosystem Services in contesti urbani

Rubino, A., 2007. The allotment gardens of the Ile de France: a tool for social development. Journal of Mediterranean Ecology 8, pp.67-75. Thornton, A., 2008. Beyond the Metropolis: Small Town Case Studies of Urban and Peri-urban Agriculture in South Africa. Urban Forum 19, pp. 243–262. Van En, R., 1995. Eating for your community: towards agriculture supported community. In Context (Fall) 42, pp.29-31. Walmsley, A., 2006. Greenways: multiplying and diversifying in the 21st century. Landscape and Urban Planning 76, pp. 252-290. Wells, B.L., Gradwell, S., 2001. Gender and resource management: community supported agriculture as caringpractice. Agriculture and Human Values 18, pp. 107-119. Zasada, I., 2011. Multifunctional peri-urban agriculture—A review of societal demands and the provision of goods and services by farming. Land-Use Policy 28, pp. 639– 648

Francesco Martinico, Luca Barbarossa, Daniele La Rosa, Riccardo Privitera

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Le cascine come presidi e nodi di reti relazionali: pratiche di cura del territorio periurbano milanese.

Le cascine come presidi e nodi di reti relazionali: pratiche di cura del territorio periurbano milanese Cristiana Mattioli*1 Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: cristiana.mattioli@mail.polimi.it Tel: 393-1743030 Aldo Treville* Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: aldo.treville@gmail.com Tel: 328-8738673

Abstract Il paper indaga alcune dinamiche in atto nei territori periurbani, con riferimento all’area milanese, particolarmente interessante grazie alla presenza del Parco Agricolo Sud, uno dei più estesi parchi agricoli urbani d’Europa. Una realtà provinciale che coniuga le esigenze di salvaguardia e tutela del territorio non urbanizzato con la promozione dell’agricoltura; un Parco che tiene conto, inoltre, di una domanda sociale sempre più ampia di spazi aperti fruibili e ricchi di significativi valori culturali. Il paper vuole rileggere questa doppia accezione degli spazi aperti periurbani – parchi per la fruizione cittadina e aree agricole per la produzione – concentrandosi sui processi di risignificazione e cura del territorio promossi, dal basso, da diversi attori; processi che coinvolgono soprattutto le cascine, veri e propri luoghi di intermediazione fra città e campagna, che di volta in volta assumono il ruolo di presidio territoriale e/o di nodo all’interno di reti relazionali attivate fra produttori locali e consumatori. Parole chiave Parchi periurbani, agricoltura di qualità, reti e filiere locali.

Introduzione Il contributo proposto è lo sviluppo di una ricerca condotta all’interno del Workshop di Ricerca e Progettazione dal titolo “Percorsi di ricerca per i Territori Intermedi”, coordinato dal prof. Infussi, nell’ambito del Dottorato in “Governo e Progettazione del Territorio” del Politecnico di Milano (frequentato dai due autori).

Metodologia utilizzata La ricerca condotta, realizzata in un tempo piuttosto breve, ha seguito un approccio di tipo empirico. Infatti, oltre alle più tradizionali analisi cartografiche e bibliografiche, si è cercato, attraverso sopralluoghi e interviste semistrutturate ad attori privilegiati, di costruire alcune “microstorie” capaci di leggere il territorio attraverso le popolazioni che lo abitano, le loro pratiche e le istanze/domande di cui si fanno portatrici. Le esperienze hanno evidenziato la dinamicità dei territori periurbani milanesi e le loro potenzialità di sviluppo nell’ottica della * La redazione dei paragrafi “Le cascine” e “Sistemi parco-cascine” è di Cristiana Mattioli; la redazione dei paragrafi “Introduzione” e “Conversione al biologico” è di Aldo Treville. Le conclusioni sono frutto di riflessioni comuni e condivise. Cristiana Mattioli, Treville Aldo

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creazione di luoghi di socializzazione e di filiere alimentari locali e sostenibili. Il presente paper partirà proprio dal racconto di queste “buone pratiche”, già in atto, per ricostruire un quadro di insieme in continua evoluzione.

Il contesto: il territorio periurbano milanese e il Parco Agricolo Sud Milano Le dinamiche delle aree agricole e verdi dei territori periurbani milanesi sono profondamente legate alla presenza del Parco Agricolo Sud. Istituito dalla Regione nel 1990, il Parco – 47 mila ettari divisi fra 61 comuni nella semiluna a sud di Milano – alla provincia di Milano con lo scopo di tutelare e valorizzare l’economia agricola, l’ambiente e il paesaggio a servizio dei cittadini dell’area metropolitana. Benché gli obiettivi siano stati a volte disattesi e demandati a fasi successive e strumenti attuativi, il Parco rappresenta un’eccellenza territoriale e una risorsa fondamentale per Milano, ospitando numerosi spazi aperti ad uso pubblico ed infrastrutture agricole di estremo interesse, come i fontanili, le marcite, le cascine.

Le cascine: esperienze in corso Le cascine – pubbliche e private – presenti nel territorio del Comune di Milano e dei comuni limitrofi (prima e seconda cintura) sono circa 250. Su un’area di 56.000 ettari, ciò significa 1 cascina ogni 0,5 kmq. Si tratta di esempi di architettura agricola lombarda di grande valore storico, culturale e ambientale. La condizione di conservazione delle cascine dipende dalla loro localizzazione e dagli usi che si sono succeduti nel tempo. Nonostante alcuni casi di degrado, abbandono e sottoutilizzo delle cascine comunali (60), la maggior parte di esse ospita servizi di interesse pubblico (servizi comunali; strutture di accoglienza, cura e integrazione sociale; attività culturali), mentre le restanti, affidate a privati, sono sede di aziende agricole o vengono utilizzate a residenza (anche abusivamente). Gli esempi di maggior successo sono relativi a processi volti a «rifondare questi territori sulla base di una multifunzionalità dello spazio: produzione, confezionamento, vendita, loisir di prossimità, qualità della vita degli ambienti circostanti, etc.» (Donadieu, 1998).

Fruizione e riattivazione del territorio La ricerca ha evidenziato alcune realtà di particolare interesse (“microstorie”) che consentono di documentare esperienze di riattivazione del territorio, espressione dell’esigenza di fruizione pubblica delle aree periurbane. Cascina Sella Nuova, Associazione “In Sella Nuova” Complesso rurale di tipo nobiliare, risalente al ‘400, la cascina, abbandonata e inglobata nel tessuto residenziale urbano (Figura 1), è stata oggetto di varie proposte di intervento – per lo più di tipo residenziale, non attuate. Oggi l’associazione “In Sella Nuova”, istituita da due laureate in restauro, si occupa della sua tutela e ne promuove il riuso, organizzando eventi e manifestazioni ecologiche in collaborazione con altre realtà locali. Inoltre, il network degli attori locali ha proposto un progetto di riuso a fini sociali dell’edificio (residenza per disabili mentali con annesse attività produttive). Cascina Campazzo, Parco del Ticinello, “Comitato Parco Ticinello” La cascina Campazzo, di proprietà privata, è affittata da anni ad una famiglia di agricoltori che, nonostante la vicinanza con la città, continua ad allevare mucche per la produzione di latte. Intorno a questa cascina si è formato un comitato locale, istituito 25 anni fa, che si è fatto promotore della realizzazione del Parco del Ticinello, la cui tutela potrebbe permettere l’implementazione della fruizione del territorio periurbano da parte degli abitanti dei quartieri limitrofi (quartieri ERP).

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Figura 1. Inurbata dai quartieri periferici della città, la cascina Sella Nuova ha oggi perso la sua funzione rurale ed è inserita in un parco urbano. (Foto concessaci dall’Associazione “In Sella Nuova”)

Produzione e Distretti Agricoli Contestualmente all’esigenza di fruizione pubblica, la ricerca ha individuato esperienze di salvaguardia e promozione della produzione agricola all’interno del Parco Agricolo Sud, “buone pratiche” messe in campo da singoli proprietari, realtà associative e/o Distretti Agricoli. Il Distretto Agricolo Milanese (DAM) Nel 2009 la Regione Lombardia ha istituito i “Distretti agricoli” al fine di promuovere nuovi fattori di competitività nel settore ed incentivare strategie integrate e condivise a livello di filiera o di territorio. I M, Distretto Agricolo Milanese. Il Piano di Distretto, approvato nel 2012, prevede la mobilitazione di risorse pubblico-private per il miglioramento fondiario, la riqualificazione paesaggistico-ambientale dei fondi, il recupero/risanamento del patrimonio edilizio (le cascine) per favorirne la multifunzionalità. Non sono, invece, esplicitamente presenti obiettivi di tipo ambientale nella direzione della conversione al biologico. Distretto Economico Solidale Rurale (DESR) A supporto degli imprenditori agricoli orientati alla sostenibilità ambientale della produzione agro-alimentare si colloca l’attività del Distretto di Economia Solidale Rurale del Parco Agricolo Sud Milano (DESR). Il Distretto si pone l’obiettivo, a lungo termine, di realizzare la sovranità alimentare (“Nutrire Milano”), ricostruendo anche il rapporto fra citt industriale post-bellica ha progressivamente compromesso. La connotazione di fondo del Distretto si integra con gli obiettivi più generali delle reti solidali, capaci di testimoniare, con la concretezza delle pratiche, la possibilità di un’economia “altra” che rivalorizzi le relazioni non monetarie. Il percorso raccoglie le esigenze/aspettative di diversi attori: i GAS, le aziende agricole, la finanza etica, le associazioni ed i comitati locali. Cascina Santa Brera Grande (San Giuliano Milanese) La Cascina Santa Brera Grande rappresenta un esempio di “buona pratica” nel campo della multifunzionalità e della conversione agricola (biologico, permacoltura). La cascina ospita un punto vendita, un ristorante ed un agriturismo; organizza periodicamente corsi e attività aperte ai cittadini (Scuola di pratiche sostenibili). Inoltre, l’imprenditrice ha destinato un’area di 1,5 ettari Cristiana Mattioli, Treville Aldo

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all’orticoltura (Figura 2) e propone “l’adozione” di un orto secondo una duplice modalità: la coltivazione diretta da parte dei partecipanti, collegata anche al GAS interno, o la sola raccolta dei prodotti.

Figura 2. Immagine della Cascina Santa Brera Grande. In primo piano, i terreni destinati alle coltivazioni orticole; dietro, i fabbricati dell’azienda e la parte destinata all’allevamento. (foto di Cristiana Mattioli)

Territorio periurbano: tra fruizione e agricoltura «Lo spazio agricolo periurbano ha caratteri propri ed innovativi che […] elaborano modelli economici e sociali più creativi che provengono dalla trasformazione del mondo rurale, ma soprattutto dalla prossimità della città, ispirandosi al bisogno di natura e tempo libero per i cittadini. Per alcuni versi si potrebbe parlare di una nuova forma di perifericità […] che costruisce un “terzo territorio”, posto a metà fra urbanità e ruralità» (Mininni, 2005: 7).

Sistemi parco-cascine Numerosi parchi di cintura, promossi – come si è visto – da gruppi di cittadini e agricoltori, combinano oggi la crescente esigenza di fruizione pubblica delle aree periurbane e la salvaguardia dell’attività agricola, ancora presente. Le cascine localizzate all’interno dei parchi rappresentano il fulcro di questa integrazione, ospitando servizi pubblici o aziende agricole multifunzionali che si occupano della gestione degli spazi aperti e offrono attività ai cittadini (Figura 3). Boscoincittà e Parco delle Cave | Cascina San Romano, Cascina Linterno, Cascina Caldera (privata) Il sistema di parchi suburbani Parco delle Cave e Boscoincittà è costituito da aree recuperate negli anni ’80 grazie all’attività volontaria di Italia Nostra e di numerosi cittadini. Oggi le aree sono gestite dal Centro di Forestazione Urbana, con sede nella Cascina San Romano, che ospita eventi e feste e costituisce un punto di riferimento sia per i visitatori del parco che per i numerosi cittadini assegnatari di un orto comunale. Una realtà molto attiva nel parco è l’associazione “Amici della Linterno”, ospitata nell’omonima cascina, che ha proposto, in collaborazione con ricercatori e realtà locali, di realizzare un “laboratorio agricolo” comprendente un museo contadino e una biblioteca, da realizzarsi nell’edificio rurale, e le marcite, ancora attive, all’ingresso sud del Parco delle Cave. La Cascina Caldera, infine, azienda agricola privata, si occupa della gestione degli spazi agricoli. Parco delle Risaie | Cascina Battivacco, Basmetto, Cantalupa e altre (private) A sud-ovest di Milano, nell’area compresa fra il Naviglio Grande e il Naviglio Pavese, sopravvive una zona di campagna coltivata a riso (650 ettari); al fine di promuoverne la salvaguardia, la riqualificazione e la conoscenza, nel 2008 viene instituita un’associazione formata da agricoltori e attori socio-culturali del territorio, la quale si fa promotrice del progetto di un parco agricolo urbano. Nel 2009 gli agricoltori hanno firmato un patto per aprire i loro terreni ai cittadini, proponendo numerose iniziative all’interno delle cascine. Il progetto, in

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corso di implementazione, prevede una diversificazione degli spazi agricoli, connessi alla città e integrati con aree dedicate allo sport e alla sosta.

Figura 3. I sistemi parco-cascine nel territorio periurbano. Legenda: cerchio nero=cascine pubbliche attive; cerchio grigio=cascine pubbliche inutilizzate; cerchio vuoto=cascine private. Le cascine identificate sulla carta sono quelle trattate dal paper. (immagine realizzata dagli autori)

Parco della Valle della Vettabbia | Cascina San Bernardo, Chiaravalle e Nosedo Nell’estremità sud-est di Milano, lungo la strada che conduce al borgo di Chiaravalle, è stata realizzata la prima parte del Parco della Valle della Vettabbia. Nato come opera di mitigazione e compensazione del depuratore più grande d’Europa (Prusicki, 2001), l’intervento interessa un’area di 100 ettari e ha già permesso la rigenerazione e il recupero delle acque; restano da completare, invece, le previsioni di riforestazione, di creazione di ambienti umidi, le piste ciclabili e i parchi ad uso pubblico. Intorno a questo importante progetto, premiato in più occasioni, ruotano diverse esperienze associative: l’Associazione “Borgo di Chiaravalle”, promotrice del recupero della Cascina San Bernardo (di proprietà pubblica), oggi abbandonata ed utilizzata in modo improprio; e la comunità Nocetum che organizza attività culturali nella Cascina San Giacomo. Parco Lambro | Cascina San Gregorio Il Parco Lambro, posto sul confine comunale est, è ormai un parco di tipo urbano. Nonostante alcuni spazi siano ancora destinati alla coltivazione di foraggio, infatti, 4 delle 5 cascine presenti al suo interno hanno completamente perso la loro funzione agricola e ospitano attività sociali (recupero di tossicodipendenti, comunità per disabili, attività di accoglienza per nomadi, ecc.) che, purtroppo, dialogano poco col contesto. Proprio gli attori del terzo settore, già presenti nel parco, hanno promosso il recupero di Cascina San Gregorio tramite la creazione di spazi destinati a residenze temporanee, attività culturali, mercato agricolo, orti e frutteti.

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Le cascine come presidi e nodi di reti relazionali: pratiche di cura del territorio periurbano milanese.

Nonostante le numerose proposte progettuali e gestionali, le indagini effettuate hanno consentito di mettere in luce l’attuale difficoltà degli agricoltori e delle associazioni locali nel promuovere reti all’interno del singolo sistema parco-cascine. Queste sinergie faciliterebbero, invece, l’organizzazione delle attività secondo una logica di complementarietà (e non di ripetizione o sovrapposizione) e l’integrazione con i servizi del singolo parco e, più in generale, del Parco Agricolo Sud, sviluppandone appieno le qualità ambientali e le funzioni pubbliche. Da una prima analisi delle dinamiche in atto nel territorio emergono, quindi, i seguenti elementi, indizi di potenzialità da implementare: - esistenza di numerose cascine in disuso ed esigenza di un loro recupero e riutilizzo2; - compresenza cascine pubbliche e private (sinergia-collaborazione-complementarietà); - riorganizzazione delle cascine secondo l’ottica della multifunzionalità; - possibilità di fornire servizi di welfare e di prossimità all’interno di cascine pubbliche; - esistenza di un’attiva rete di associazioni dedite alla tutela del patrimonio di interesse collettivo; -campagna con l’introduzione del concetto di “parco agricolo”.

Conversione al biologico, filiera corta e produzione a “km zero”: limiti e prospettive Nel territorio periurbano milanese l’agricoltura è prevalentemente di tipo intensivo, con forti specializzazioni monocolturali destinate all’esportazione (ad es., riso). Nel tempo, «si è generata un’antitesi tra quell’agricoltura, che produceva contestualmente beni primari e territorio, cibo e paesaggio, e la riduzione del territorio a piattaforma […], “industria agricola” che produce prodotti omologati e a basso contenuto territoriale, a bassa redditività unitaria, […] misconoscendone il valore sociale» (Ferraresi & Coviello, 2007: 54) e che, esponendosi alle fluttuazioni dei prezzi della grande distribuzione e del mercato internazionale, fatica a rimanere competitiva. Il DAM ha cercato proprio di rispondere a queste problematiche, costituendo una “massa critica” e decidendo di scegliere la scala comunale per poter più facilmente dialogare con l’amministrazione pubblica e reperire fondi a sostegno dell’agricoltura (di tipo regionale e comunitario). Inoltre, gli agricoltori inseriti nella rete sono accomunati dal fatto di essere affittuari del terreno; fatto, questo, che limita fortemente gli investimenti. Viceversa, le aziende più distanti dalla città, in regime di proprietà, sono quelle che maggiormente esprimono la volontà di svincolarsi dal mercato globale, sfruttando la crisi come opportunità per innescare processi virtuosi di cambiamento. Numerose sono quindi le esperienze di conversione agricola di aziende, insediate nel territorio da anni, che puntano sulla qualità, la certificazione biologica e la filiera corta e che hanno deciso di aderire al DESR, costituendo una rete e un bacino di produzione/distribuzione diretta. I territori periurbani diventano quindi luoghi di scambio, e non solo di attraversamento, di prodotti fra la città e la campagna. La loro vivacità è testimoniata dalla complessità delle reti che collegano le aziende agricole e i GAS, localizzati tanto nella città centrale quanto nei centri urbani dei comuni limitrofi (Figura 4).

Figura 4. Rete di distribuzione produttori-consumatori del DESR. Le aree campite col retino rappresentano i tre poli di produzione; i cerchi indicano le aziende agricole, mentre i quadratini identificano i GAS. (immagine realizzata da Cristiana Mattioli; dati forniti nel 2012 dal DESR)

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Numerose sono le iniziative, spesso collegate al prossimo Expo 2015 – incentrato sul tema della nutrizione –, che promuovono il recupero e il riuso delle cascine abbandonate; ad esempio, il progetto “100 cascine”, il “Comitato Cascine Milano 2015” e l’evento annuale “Cascine Aperte”. Il progetto di restauro e riattivazione che ha interessato la Cascina Cuccagna, localizzata nel tessuto urbano, è stato il primo intervento di questo tipo.

Cristiana Mattioli, Treville Aldo

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Le cascine come presidi e nodi di reti relazionali: pratiche di cura del territorio periurbano milanese.

Conclusioni Il ruolo delle cascine: presidi territoriali e nodi di reti Le esperienze esaminate sembrano essere in grado di combinare e dare risposta a nuovi stili di vita e a nuove domande emergenti nella città che si legano ad una maggiore abitabilità del territorio e alla creazione di spazi pubblici e beni condivisi (Lanzani, 2005). Parallelamente, esse rappresentano degli indizi, dei movimenti verso nuovi scenari di una “via alta” allo sviluppo economico (Lanzani, Pasqui, 2011). Il recupero creativo delle cascine inserite nel periurbano e la promozione di una conversione agricola orientata a nicchie di mercato di “qualità” sono tattiche individuali e collettive che sfruttano le risorse materiali (porosità, varietà, flessibilità) e immateriali (conoscenze, reti, relazioni) presenti sul territorio e le ricombinano in modo virtuoso ed innovativo. La ricerca condotta ha documentato e raccontato le esperienze in atto, sia di tipo agricolo che socio-culturale, mettendo in luce la grande potenzialità di riuso e rifunzionalizzazione delle cascine come luoghi di socializzazione e integrazione di pratiche urbane e rurali. Sono queste, “pratiche attive” dell’abitare che hanno un valore territoriale poiché immettono nello spazio desideri individuali e ricerca di nuove forme di socialità (Granata, 2005). Sono azioni che possono radicarsi al territorio, diventando “politiche di fatto” (Cognetti, Cottino, Rabaiotti, 2004), produttrici di beni pubblici e di trasformazioni, attraverso processi relazionali che legano insieme persone e luoghi. Il sistema delle cascine costituisce in questo contesto un insieme di presidi attivi di tutela degli spazi aperti e di riattivazione del territorio periurbano. La città e le associazioni locali si fanno carico di tutelare la campagna, assicurando la permanenza del vuoto e proponendo attività agricole (Mininni, 2007). All’agricoltura viene, quindi, riconosciuta la capacità di contribuire in maniera sostanziale al mantenimento e alla (ri-)generazione del “valore territoriale”, un valore contrapponibile alle rendite dell’urbanizzazione, soprattutto se attivato da processi sostenibili e corroborato da comportamenti sociali consapevoli (Ferraresi, 2009). La vivacità di queste esperienze, spesso autorganizzate e promosse da “comunità di pratiche” (Pasqui, 2008) e cittadini, ha sollecitato un più deciso, e fattibile, intervento pubblico, anche nell’ottica di un ritorno verso un continente rurale nel quale l’agricoltura (diversificata) e la vita rurale in tutte le sue forme riguadagnano rilevanza economica (Kunzmann, 2010). Un intervento pubblico che il Comune di Milano sembra aver interpretato in chiave di “capacitazione” degli attori (Cottino, 2009) e “messa a sistema” delle singole esperienze per promuoverne il radicamento e incrementarne le potenzialità3. Poiché «le campagne intorno alle città sono i luoghi più instabili del territorio e quelli maggiormente investiti da processi di trasformazione […]; esse oppongono una debole resistenza al cambiamento» (Mininni, 2005: 9), soprattutto nelle situazioni più marcatamente urbane. E’ bene, dunque, segnalare il rischio della possibile perdita di spazi agricoli a favore della fruizione pubblica dei parchi, come nel caso del Parco Lambro o, in misura più limitata, del Parco delle Cave. E’ necessario, quindi, valutare attentamente l’integrazione delle due componenti al fine di tutelare l’attività produttiva, rendendola al contempo attrattiva per i cittadini. In quest’ottica, il ruolo delle cascine quali nodi ed epicentri di reti di produzione agricola esterne ed interne ai territori periurbani potrebbe essere enfatizzato maggiormente, promuovendo la sinergia e la collaborazione fra aziende agricole private – che si fanno portatrici di esperienze colturali innovative – ed esperienze socio-culturali prevalentemente ospitate dalle strutture pubbliche, che possono diventare anche “terminali” delle filiere agricole locali in città.

Bibliografia Cognetti F., Cottino P., Rabaiotti G., (2004), “Milano. Un’altra città”, in Urbanistica, n. 123, pp. 16-21. Cottino P. (2009), Competenze possibili. Sfera pubblica e potenziali sociali nella città, Jaca Book, Milano DAM (2012), Piano Strategico del Distretto Agricolo Milanese, Milano. Donadieu P. (1998; ed. italiana 2006), Campagne Urbane, Donzelli editore, Roma Ferraresi G. (a cura di, 2009), Produrre e scambiare valore territoriale: dalla città diffusa allo scenario di forma urbis et agri, Genesi, Città di Castello (PG). Ferraresi G., & Coviello F. (2007), “Neoagricoltura e nuovi stili di vita: scenari di ricostruzione territoriale”, in Urbanistica, n. 132, pp. 54-61. Granata E. (2005), “Abitare: mestiere difficile”, in Territorio, n. 34, pp. 40-49. Kunzmann K. (2010), “Dopo la crisi economica globale: implicazioni sulle politiche per il futuro del territorio europeo”, in Territorio, n. 58, pp. 7-15. 3

Recentemente, infatti, l’amministrazione ha raccolto le manifestazioni di interesse di associazioni, comitati e reti di soggetti locali inerenti il recupero e la gestione di 16 cascine pubbliche presenti sul territorio comunale, al fine di orientare i successivi bandi di concessione in comodato d’uso delle strutture. Le funzioni d’uso previste dal bando sono sia di tipo agricolo, sia legate ad attività sociali e culturali, artigianali o imprenditoriali (incubatori).

Cristiana Mattioli, Treville Aldo

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Le cascine come presidi e nodi di reti relazionali: pratiche di cura del territorio periurbano milanese.

Lanzani A. (2005), “Geografie, paesaggi, pratiche dell’abitare e progetti di sviluppo, in Territorio, n. 34, pp. 1936. Lanzani A., & Pasqui G. (2011), L’Italia al futuro. Città, paesaggi, economie e società, Franco Angeli, Milano. Mininni M. (a cura di, 2007), “Le sfide del progetto urbanistico nelle campagne urbane”, in Urbanistica, n. 132, pp. 23- 25. Mininni M. (2005), “Dallo spazio agricolo alla campagna urbana”, in Urbanistica, n. 128, pp. 7-14. Multiplicity.lab (2009), Le cascine di Milano verso e oltre Expo 2012, AGF, Milano. Pasqui G. (2008), Città, popolazioni, politiche, Jaca Book, Milano. Provincia di Milano (2011), La conversione al biologico nella realtà metropolitana, Il Melograno, Milano. Prusicki M. (2001), “Il Parco della Valle della Vettabbia”, in Dedalo, n. 24, pp. 36-39.

Sitografia www.100cascine.it www.agricoltura.regione.lombardia.it www.borgodichiaravalle.it www.cascinalinterno.it www.cascinasantabrera.it www.cascinemilano2015.it www.cfu.it www.cuccagna.org www.consorziodam.com www.desrparcosudmilano.it www.gasmilano.org www.insellanuova.it http://molinosangregorio.tumblr.com http://molinosangregorio.wpevery.com www.parcodellerisaie.it http://parcoticinello.altervista.org www.provincia.mi.it/parcosud/

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Il Patrimonio Territoriale nel Piano Urbanistico

Il patrimonio territoriale nel piano urbanistico Paola Panuccio Università Mediterranea di Reggio Calabria DIIES - Dipartimento di Ingegneria dell’informazione, delle Infrastrutture e dell’Energia Sostenibile Email: paola.panuccio@unirc.it

Abstract Gli elementi materiali e immateriali costitutivi dei luoghi, compartecipano in modo determinante all’accrescimento del potenziale di sviluppo di ogni contesto, determinando occasioni per la produzione della ricchezza durevole. Ogni contesto si esprime attraverso le tipologie qualificanti di paesaggi territoriali. Il capitale sociale è una delle risorse di riferimento su cui lavorare per riqualificare territori degradati e annientati da interventi a forte impatto, decisi in assenza di pianificazione. Scelte progettuali hanno determinato fratture nei processi evolutivi dei sistemi territoriali, destabilizzando contesti a forte valenza. Il sistema integrato tra risorse naturali, paesistiche, culturali ed insediative compone il patrimonio territoriale: attivatore per la determinazione del plusvalore per lo sviluppo endogeno ed auto sostenibile. Lo strumento urbanistico, da atto amministrativo obbligatorio, ri-troverà il suo ruolo se si proporrà come raccordo tra le politiche per il governo del territorio e le strategie progettuali per lo sviluppo dei luoghi. Parole chiave Capitale sociale, patrimonio territoriale, processo di piano.

Il patrimonio disperso L’urbanistica ha il proprio motivo di origine, nell’essere fondamento tecnico regolamentativo, di rimedio alle varie problematiche, innescate, già a partire dal periodo industriale fino all’attualità, dai vari processi economico e sociali che si sono susseguiti nelle varie epoche, scatenando occasioni di rottura rispetto il procedere ordinario ed abituale, delle consuete dinamiche territoriali. L’irruzione di fenomeni nuovi che in modo repentino interrompono i processi evolutivi, prevedibili a causa del ritmo scandito dalla ripetitività, determinano fratture di cambiamento, rispetto cui lo strumento urbanistico non era preparato (ma sempre meno lo è) ad anticipare idonee scelte pianificatorie. Il piano si propone come strumento indispensabile per la definizione di norme, destinazioni d’uso, regolamentazione delle trasformazioni della città e dei relativi sistemi territoriali. Le analisi che da sempre hanno determinato il primo atto di elaborazione dello strumento urbanistico, da analisi stereotipate di elenchi degli elementi presenti, organizzati per tipologia e quantità, nel tempo hanno modificato i loro criteri di attenzione e gli oggetti di osservazione, trasformando il dato quantitativo, derivato dal rilievo del numero delle presenze, in valutazione delle valenze e delle criticità. Gli elementi costitutivi dei luoghi da oggetti numerati, sono stati interpretati e catalogati in risorse caratterizzanti, costitutive dei patrimoni territoriali. Da tempo, però, si assiste quasi inermi, ad una crisi del territorio sempre più sopraffatto da scelte trasformative impattanti che stravolgono assetti ed equilibri, senza riuscire a proporre qualità, o prospettare occasioni di sviluppo. Territori dissestati che non hanno più la capacità di rivelare e sostenere la natura costitutiva che li ha caratterizzati e resi valore patrimoniale; privi di capacità risolutiva rispetto le variegate problematiche che subiscono, si appellano al valore dichiarato delle risorse paesaggistiche tipizzanti. I patrimoni costitutivi sono dispersi, sopraffatti ed annientati da scelte, o meglio da non-scelte, attuate in seguito ad interventi trasformativi decisi in modo autonomo, scardinati rispetto qualsiasi indirizzo pianificatorio o programmazione progettuale.

Paola Panuccio

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Il Patrimonio Territoriale nel Piano Urbanistico

Lo strumento urbanistico ricerca modalità, adatta procedure, condiziona i regolari processi pianificatori accettando scelte e decisioni in deroga, per rincorrere sperate occasioni riequilibranti e prospettare opportune trasformazioni riqualificanti; ma, questi tentativi si rivelano inadeguati a sostenere ed attuare interventi tesi alla tutela e valorizzazione delle risorse costitutive dei luoghi per lo sviluppo dei territori. I differenziali territoriali costituiscono ricchezza se guidati da processi pianificatori e se opportunamente incardinati negli strumenti urbanistici. Ri-assegnare il giusto ruolo allo strumento urbanistico, evita il rischio che la diversità diventi elemento di divaricazione e motivo irreparabile di crisi: le risorse ambientali, i patrimoni culturali, le dinamiche economiche, le morfologie sociali, gli assetti istituzionali, procedono con velocità diverse, con modalità disgiunte e in direzioni sempre più separate. Il patrimonio territoriale diventa prospettiva di sviluppo se si opera in modo da implementare le risorse fondative dei luoghi, con la forza del valore del capitale umano, radicato nei contesti di appartenenza a pari delle risorse paesaggistiche. Ritengo sia fondamentale integrare le pratiche abituali di elaborazione degli strumenti urbanistici, a partire da analisi orientate alla definizione di obiettivi guida di qualità, in cui, oltre il bene culturale e paesaggistico entra in piena resa sinergica, l’alto valore, non facilmente individuabile, del bene persona umana che contribuisce alla determinazione di quel specifico luogo e continua, in modo più o meno discreto, a mantenerlo in vita, o a prospettare indirizzi ed azioni per lo sviluppo reale. La sfida attuale è quella di ricostruire la comunità, con processi pianificatori di coordinamento e prospettive di visioni progettuali collettive e individuali. Le relazioni sociali intrecciate nelle dinamiche urbane e territoriali, contano per il nostro benessere a pari del paesaggio, delle infrastrutture, dei servizi, delle attrezzature. Costituiscono la struttura vitale ed energetica dell’armatura urbana. Le reti di relazione e scambio tra persone, ed ancora tra persone ed elementi o sistemi appartenenti al territorio, sono un capitale sociale insostituibile del sistema urbano e territoriale. Lo sviluppo del luogo, oggi, può superare l’impasse della crisi globale, facendo leva sul tessuto sociale; l’auspicata crescita non regge se basata esclusivamente su fattori di carattere economico, piuttosto che rifondati sul capitale ambientale, paesaggistico, umano, che reclamano l’intervento di regolazione agli usi, invocano occasioni di fiducia, progettazione di motivazioni, modalità per instaurare relazioni. Coleman (1988) definisce il capitale sociale come insieme di relazioni che un individuo o un gruppo può usare per i propri interessi. Il capitale sociale è definito dalla sua funzione. Non è una singola entità, ma una varietà di differenti entità che hanno due caratteristiche in comune: consistono tutte di qualche aspetto della struttura sociale e facilitano le azioni degli individui che si trovano dentro quella struttura. Il capitale sociale è il valore di quegli aspetti della struttura sociale che sono risorse per gli attori in quanto possono usarli per realizzare i loro interessi.

Opportunità di sviluppo «Organizzare un territorio significa progettare paesaggi. Si ritiene che un qualsiasi strumento di organizzazione urbanistica del territorio debba essere strutturato su un piano componente per la tutela e valorizzazione delle risorse ambientali di area, per la progettazione di territori di valori, cioè di paesaggi di qualità. » (P.Panuccio, 2007). I paesaggi personalizzano i territori; essi esternalizzano le caratteristiche costitutive, sia naturali che culturali, che nel tempo si sono stratificate e impetrate a tal punto nel sistema, da divenire gli elementi tipizzanti. Intervenire con singole progettazioni, slegate dalle decisioni pianificatorie, riduce il valore dei contesti, mortificandoli al ruolo di semplici e modesti contenitori; tale condizione contribuirà a definire aspetti di paesaggi imposti dall’esterno, privi di relazioni e contaminazioni con il contorno, carenti di consenso e qualità globale. Lo strumento integrato urbanistico territoriale, predisposto per compiere il coordinamento generale di massima organizzazione, ma anche per selezionare e proporre gli indirizzi strategici progettuali più appropriati e coerenti rispetto i contesti, potrebbe essere la chiave di lettura, che la disciplina urbanistica pone a buon fine I progetti di qualità che alla fine strutturano il paesaggio e consentono la sua rivelazione, diventano occasioni per governare nel miglior modo, il territorio. Essi sono vagliati e scanditi da fasi processuali, che a partire da una posizione di organizzazione generale conducono a quella di maggior dettaglio, fino ad affidare il tutto alla progettazione esecutiva, che mantiene la sua indipendenza e creatività, ma si esprime entro intervalli di compatibilità e di coerenza, già predisposti dal piano generale. Tutto questo si discosta dalla pratica della risoluzione delle emergenze e conduce alla realizzazione di interventi programmati e pilotati da indicazioni che, strutturate su sistemi, categorie, classi di appartenenza e livelli di valore, hanno la capacità di predeterminare la migliore collocazione di un’opera per il buon governo dell’intero sistema territoriale. Lo strumento identifica i sistemi del territorio, assegna valori, individua risorse speciali, eccezionali, potenziali da valorizzare; organizza gli usi e dispone le possibilità alla fruizione; contemporaneamente il territorio parla ed esprime carenze, problemi, degradi, rischi, su cui il piano propone ed indica cosa fare e come intervenire.

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Il Patrimonio Territoriale nel Piano Urbanistico

Qualità territoriale e Bene comune Il territorio è un integratore naturale di politiche; lo strumento urbanistico da atto amministrativo obbligatorio troverà il suo senso se diventa raccordo delle politiche per il governo e lo sviluppo del territorio. Dotare gli strumenti urbanistici di nuovi contenuti; maggior impegno creativo per prospettare le linee di sviluppo reale; assegnare valori per determinare patrimoni territoriali e capitali sociali, vere occasioni di sviluppo se coordinati e guidati da strumenti urbanistici. Processi di piano; strategie e scelte per la tutela, valorizzazione progettazione di qualità; valutazione e gestione per l’attuazione delle politiche. Qualità è l’insieme di tutto quel complesso di cose che rende possibile il vivere bene. Il benessere sociale, costituito dalla condivisione, relazione, solidarietà, era conseguenza diretta del far bene. Il costruire occasioni, il mantenere in equilibrio presenze, aspettative, sviluppo, erano modalità comportamentali talmente ovvie, da essere praticate da ogni uomo che viveva la sua individualità nella collettività di un territorio, patrimonio di tutti. I luoghi si costruivano così: essi si autodeterminavano ed autoproclamavano sulla base dei propri motivi ispiratori, sul riconoscimento dei valori e delle qualità implicite; attorno a questo ruotava tutto il senso della pianificazione ed attuazione di progetti. È questa la condizione essenziale che costruisce il vero capitale cui una società deve aspirare per la determinazione di uno sviluppo reale; risultato affidabile costruito da individui responsabili che vivono quotidianamente le fatiche sociali di un territorio che man mano si autodetermina. In questa piena consapevolezza, diventa indispensabile pensare alla progettazione del territorio, all’insegna di attività costruite per perseguire forme di benessere, esse stesse garanzia di qualità. Predisporre modalità organizzative per il coordinamento e guida alla progettazione, indica il percorso da intraprendere per raggiungere obiettivi supremi, ai quali la disciplina è chiamata. Il territorio dei valori, (valori identificati attraverso il processo delle conoscenze, valori assegnati attraverso la progettazione idonea e coerente) risulta soluzione vincente e si prospetta come un valido risultato etico che, un atteggiamento disciplinare innovato ed adeguato ai tempi, deve pienamente riconoscere all’interno delle normali attività di esecuzione progettuale. Progettare spaccati territoriali dotati di qualità e di valore, per la migliore fruizione, il pieno soddisfacimento dei desideri collettivi, la migliore risoluzione dei problemi, significa fare interagire le indicazioni derivate dall’ascolto delle comunità locali, con le proposte progettuali adeguatamente pensate dagli esperti. Le attività pianificatorie e progettuali, finalizzate alla costruzione di contesti che esprimono, sia qualità estetiche che qualità funzionali, conducono al benessere sociale e soddisfano le esigenze della collettività, cui sono rivolte: «In funzione degli scopi e delle caratteristiche del contesto si costruisce un sistema di pianificazione che possa essere quadro di coordinamento per le informazioni e quadro di controllo per le scelte che alimentano i progetti urbanistici» (G.Albanese 1999). Il bene comune è il prodotto delle politiche ed al contempo, è l’obiettivo cui devono tendere le politiche; è composto da beni plurali e costituisce il patrimonio collettivo con valore universale. L’individuazione dei patrimoni invisibili di ogni contesto locale, e la loro organizzazione attraverso opportune azioni di tutela, di uso, di valorizzazione, definite dal piano urbanistico, trasformano i patrimoni invisibili, in patrimoni universali e trasformano il territorio da sistema complesso, forziere di valori, a sistema vivibile e godibile in ogni suo miglior aspetto, perchè espressione organizzata ed attrezzata di qualità che soddisfa esigenze, bisogni e desideri della collettività. Ogni territorio possiede un capitale composto dalla complessità di elementi materiali e immateriali; le componenti che lo costituiscono ne determinano la sua ricchezza ed al contempo istituiscono l’identità caratterizzante dei contesti. Ogni contesto ha la capacità di esprimersi in tipologie qualificanti di paesaggi territoriali, se mantiene in equilibrio le proprie componenti costitutive, sia rispetto alle diverse dimensioni che ai livelli di importanza. Si individuano sotto otto punti le componenti costitutive del capitale territoriale: 1. risorse naturalistico ambientali; 2. cultura e identità; 3. risorse umane; 4. immagine e percezione; 5. risorse finanziarie e affari pubblici; 6. attività economiche ed imprese; 7. mercati e relazioni produttive; 8. know-how e competenze. In correlazione diretta con ogni componente, è possibile prevedere azioni specifiche di sviluppo del patrimonio. Le scelte pianificatorie, per mezzo della capacità di accumulazione delle otto componenti del capitale, hanno la possibilità di determinare l’evoluzione delle risorse in patrimonio territoriale, attento alla gestione delle risorse naturali; allo sviluppo delle capacità imprenditoriali; all’incremento dei beni e servizi pubblici; alla ottimizzazione delle strutture di governance; al miglioramento della qualità delle offerte istituzionali; alla implementazione dei processi di innovazione e sviluppo tecnologico; allo sviluppo delle infrastrutture di

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Il Patrimonio Territoriale nel Piano Urbanistico

trasporto e di servizi. Pertanto, il progetto urbanistico dovrà indirizzare verso azioni che possano incrementare l’accumulazione delle categorie fondamentali del patrimonio territoriale individuando strategie appropriate:  capitale ecosistemico-paesaggistico: strategie integrate per la valorizzazione delle tipologie di paesaggio, comprensive delle unità di paesaggio caratterizzanti e delle connesse relazioni con la rete dei sistemi territoriali contermini, basate sul progetto della diversità dei mosaici di paesaggi e della valutazione ambientale strategica per la commisurazione di ambienti trasformabili , riqualificabili e funzionalmente adeguabili.  capitale umano: strategie integrate per la promozione di una società solidale, cooperativa e responsabile in cui rafforzare il rapporto fiduciale e propositivo, per elaborare ed attuare proposte sostenibili, stabilite avvalendosi delle pratiche di partecipazione proattiva in processi decisionali.  capitale cognitivo: strategie integrate per la conoscenza, ovvero la diffusione di processi di apprendimento fondati sull’integrazione tra attori appartenenti al sistema educativo e formativo in scambio dialogico con il sistema economico, di ricerca e innovazione.  capitale insediativo-infrastrutturale: strategie integrate per lo sviluppo di un sistema insediativo competitivo efficiente nell’uso delle risorse, capace di assicurare qualità di vita, attivando relazioni propositive correlando città e territori, tra offerte economiche, sociali e culturali.

Bibliografia

Campos Venuti G. (2011), Un bolognese con accento trasteverino. Autobiografia di un urbanista, Pendragon, Bologna. Albanese G. (1999), Il territorio dell’urbanistica, Gangemi Editore, Roma. Caravaggi L.(2002), Paesaggi di paesaggi, Meltemi, Roma. Castells M. (2003), La città delle reti, Reset, Milano. Clementi A. (2002), Interpretazioni di paesaggio, Meltemi, Roma. Magnaghi A. (a cura di) (2007), Scenari strategici. Visioni identitarie per il progetto del territorio, Alinea, Firenze. Putnam R. D. (2000), Bowling alone, Simon & Schuster, New York. Sachs I.(1984), I nuovi campi della pianificazione, Edizioni lavoro, Roma. Suchman L.(1987), Plans and situated actions, Cambridge University Press, Cambridge.

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Scenari Strategici eco-territorialisti per il ri-equilibrio e la cura della bioregione dei Nebrodi.

Scenari strategici eco-territorialisti per il ri-equilibrio e la cura della bioregione dei Nebrodi Andrea Marçel Pidalà* Università degli Studi di Palermo Email: dott_ampidala@libero.it Tel: +39.338.3006803 Valeria Ravì Pinto* Email: arch.valeravi@alice.it Tel: +39.333.7824918

Abstract Oggi, più che mai, occorre un grande sforzo per rifondare il ‘territorio dell’abitare’ (le dinamiche e gli eventi sociali e territoriali individuati già, più di un decennio fa, da Alberto Magnaghi e dalla scuola territorialista fiorentina), un approccio che dovrà ricominciare ad essere preventivamente valutato dagli urbanisti 1 (che principalmente svolgono per ruolo e funzioni una grande attività di sensibilizzazione culturale e di potenziale cambiamento dell’assetto reale dei luoghi), dalle pubbliche amministrazioni e non di meno dalla società civile per un corretto indirizzo delle azioni dei piani urbanistici da integrarsi con gli obiettivi di sostenibilità ambientale, economica, sociale e politica sui luoghi, al fine di ricostruire un patrimonio (culturale e territoriale) che attualmente è in progressiva erosione. La valutazione ecologica degli insediamenti dei Nebrodi, prospettata nelle pagine che seguono, si colloca come analisi filtro per la comprensione delle relazioni territoriali al fine di poter individuare opportuni Scenari di strategie e di progetto (fondati sulla messa in valore di tutti i sistemi presenti ed orientati alla valorizzazione ecologica di tutte le risorse) e di orientare in modo equilibrato i processi di trasformazione, volti a realizzare un sistema di crescita alternativo all’attuale, più equilibrato ed intelligente del territorio e della comunità. Parole chiave Scenario, territorio, bioregione.

Il quadro territoriale dei Nebrodi L’area geografica dei Nebrodi (figura 1) si prospetta, da sempre, come una ‘macro-bioregione’ all’interno di un territorio vasto che ricade tra le ex Provincie2 di Messina, Catania ed Enna ed in posizione panoramica e paesaggistica significativa, di fronte le Isole Eolie patrimonio dell’umanità. Il territorio dei Nebrodi risulta molto complesso sotto diversi profili in particolare per la sua struttura ecologica, paesaggistica e urbanistica, un unicum costituito dalla presenza del Parco Regionale Naturale3; di un mosaico colturale di rilevante bellezza * La redazione del paragrafo 1 e 2 è da attribuire a Valeria Ravì Pinto, l’abstract ed i paragrafi 3 e 4 sono attribuiti ad Andrea Marçel Pidalà. Le figure 1 e 2 relative alle geografie dei Nebrodi sono state analizzate e rappresentate graficamente da Valeria Ravì Pinto, mentre lo schema metodologico (figura 3) dello Scenario Strategico per i Nebrodi ed i concept d’autore (figura 4 e 5) sono di Andrea Marçel Pidalà. 1 Un’interessante spiraglio è fornito dal dibattito disciplinare in atto nella comunità scientifica degli urbanisti. Per un approfondimento cfr. Scandurra E. e Attili G., Il Pianeta degli Urbanisti e dintorni, Derive e Approdi, Roma, 2013. 2 È ampiamente nota la decisione dell’Assemblea Regionale Siciliana (ARS) di abrogare le Province e dare invece corpo nei prossimi mesi all’istituzione dei Liberi Consorzi così come prevede l’articolo 15 dello Statuto Speciale della Regione Siciliana. 3 il Parco Regionale dei Nebrodi (istituito con Decreto dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente n.560 del 9.11.1993). I Monti Nebrodi, con i Peloritani ad est e le Madonie ad ovest, costituiscono l’Appennino siculo. Essi si affacciano, a nord, direttamente sul Mar Tirreno di fronte le Isole Eolie, mentre il loro limite meridionale è segnato Andrea Marçel Pidalà, Valeria Ravì Pinto

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Scenari Strategici eco-territorialisti per il ri-equilibrio e la cura della bioregione dei Nebrodi.

composto dalle fasce dell’agrumeto, dell’uliveto, del noccioleto e del castagneto; l’articolata presenza di centri costieri, collinari e montani (43 in totale- considerando anche quelli non appartenenti al Parco Regionale dei Nebrodi- con una popolazione di 170,000 abitanti circa), con rilevanti presenze di beni etno-antropologici ricchi di bellezza e suggestione4; la presenza di centri urbani polarizzanti, per beni e servizi materiali, d’interesse per l’area anche più vasta. Oggi nel territorio dei Nebrodi si è, evidentemente, creata una sorta di auto-sostenibilità locale, economica e ambientale, con diverse facce della stessa realtà da un lato: ‘I mari’ che consistono nelle aree costiere con una certa continuità geografica, culturale e sociale evidenziata da centri urbani che possiedono una comune struttura insediativa, spesso dotati di porti turistici (frequentemente non completati), numerose rilevanti attrezzature commerciali ed industriali; dall’altro ‘I Monti’ quasi del tutto intonsi nelle proprie vette più alte ove è possibile scorgere i boschi dei Nebrodi e dei Peloritani che contengono centri storici minori ricchi di cultura, paesaggio e tradizione (masserie, mulini ad acqua, opifici), ma che soffrono, oggi, del progressivo abbandono da parte delle comunità locali insediate. Il quadro territoriale è, infine, scandito dalla presenza di numerose ‘fiumare’ (figura 2) con disposizione a pettine provenienti dai Monti, perpendicolari al Mar Tirreno, che incidono fortemente il paesaggio.

Figura 1. Schema interpretativo della Bioregione dei Nebrodi. All’interno dello Schema vengono riconosciuti le fasce costiere, i centri urbani (per dimensione geografica e polarità) il Parco Regionale dei Nebrodi, le relazioni sistemiche reali e potenziali tra i vari centri urbani ed il territorio vasto.

dall’Etna, in particolare dal fiume Alcantara e dall’alto corso del Simeto. Originariamente erano 24 i Comuni il cui territorio ricadeva all’interno dell’area protetta: nella ex provincia di Messina; all’interno della ex provincia di Enna; nella ex Provincia di Catania. Di recente con Decreto dell'Assessore Regionale del Territorio e dell'Ambiente n.67/GAB del 08.03.05 sono entrati a far parte del territorio del Parco i Comuni di Troina (Enna) ed Acquedolci (Messina) e con un successivo Decreto è stato altresì ampliato il territorio del Comune di Cerami ricadente all'interno dell'area protetta. Un ulteriore ampliamento si è avuto con decreto n.13/GAB del 3 marzo 2010 dell’Assessore Regionale Territorio e Ambiente, con l’entrata del Comune di Raccuja (ex provincia di Messina). 4 Numerose sono le presenze di centri storici di rilievo e di beni culturali isolati. Per fare qualche esempio si pensi a Tindari (il parco archeologico, le terme e il teatro greco), Gioiosa Marea (l’antico impianto di Gioiosa Guardia), Patti (cattedrale, portale svevo e la villa romana), Capo d’Orlando (le terme di bagnoli, il Monte della Madonna e il parco letterario di Villa Piccolo), Naso (chiesa madre e palazzi nobiliari) San Marco d’Alunzio (la chiesa madre, la chiesa di San Basilio...), solo per fare alcuni esempi dell’immenso patrimonio e giacimento culturale dei Nebrodi. Andrea Marçel Pidalà, Valeria Ravì Pinto

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Scenari Strategici eco-territorialisti per il ri-equilibrio e la cura della bioregione dei Nebrodi.

Figura 2. Il sistema delle fiumare della Bioregione dei Nebrodi. Mediante il sistema interpretativo della bioregione dei Nebrodi è possibile riconoscere il sistema delle Fiumare che incidono tutto il versante, creando una nervatura ecologica tra Mari e Monti.

Il sistema dei valori: i Nebrodi dai Mari ai Monti L’insediamento dei centri costieri dei Nebrodi ha subito, negli ultimi decenni, una crescita intensa, dovuta dapprima alla domanda di antropizzazione, conseguente al declino del settore primario (e al flusso migratorio dai centri collinari verso la costa), che si è intrecciata e incrementata nel tempo per le dinamiche del settore turistico (la costa tirrenica appetibile per il turismo sole/mare). Va rilevato che le due fasce costiere, tindarita/nebroidea e calactina, corrispondenti alle parti orientale e occidentale della costa (posta di fronte alle Isole Eolie), hanno subito, ambedue, notevoli incrementi dell’urbanizzazione mediante la crescita di un patrimonio immobiliare costituito perlopiù da seconde case. Tuttavia, l’arco litoraneo che va da Caronia a Tusa non ha registrato i ‘clamorosi’ tassi di espansione edilizia subiti, invece, dalla fascia che va da Patti a S.Agata di Militello (passando per Capo d’Orlando), i caratteri e anche la presenza dei beni storico-culturali, tendenti all’imporsi del sistema sociale e produttivo (Santo Stefano di Camastra, Castel di Tusa), hanno, in qualche modo, costituito nella costa calactina altrettante ‘permanenze’ con cui la tendenza alla pervasività edilizia ha dovuto fare i conti. Ciò non è avvenuto nella fascia orientale, dove l’insediamento ha teso ad occupare per intero la fascia litoranea, creando anche delle conurbazioni tra i diversi centri, come ad esempio il tratto che va da Milazzo a Villafranca Tirrena5. È palese che le aree costiere hanno subito un notevole sovraccarico dell’urbanizzazione, partecipando con co-responsabilità agli ultimi eventi ‘ambientali6’. Tali effetti si riversano, non solo attraverso emergenze ambientali, ma anche attraverso ricadute socio-economiche su intere comunità. Gli habitat, le aree di pregio ambientale, gli ecosistemi di rilievo, le unità ed i mosaici di paesaggio costituiscono elementi decisivi per i progetti di riqualificazione della fascia costiera e per lo stesso recupero dei centri urbani. Oltre all’arco litoraneo nella sua interezza, alcuni esempi di risorse da tutelare e valorizzare fino a renderle nodali per il processo di riterritorializzazione sono i panorami, nell’entroterra, dei Nebrodi come i rilievi di Librizzi, Gioiosa Marea (Capo Calavà), il Monte della Madonna che denomina Capo d’Orlando, gli agrumeti di pianura di Torrenova sino a S. Agata di Militello, i boschi delle Caronie, le cascate del Catafurco di Galati Mamertino (la faggeta Mangalaviti), i laghi del Maulazzo e Urio Quattrocchi, gli Aceri di Montesoro, la Rocca di S. Stefano di Camastra. Costituiscono, tuttora, elementi di assoluto rilievo le spiagge ed i boschi, nonostante siano penalizzate dal degrado conseguente e frequente e dalla diffusa pressione edilizia. Le emergenze ambientali dell’area sono molto più numerose e vaste rispetto alle esemplificazioni citate. Va sottolineata, tuttavia, la loro involuzione, da elementi forti ed emergenti, di sistemi paesaggistici ampi appartenenti ad apparati paesistici integri, a permanenze, sempre più ridotte, talora isolate dall’urbanizzazione. Esse costituiscono le risorse chiave per il recupero ambientale e al contempo ‘memoria ed identità’ del paesaggio naturalistico passato. Forse, oggi, bisognerebbe riguardare le immagini del passato 7 per tendere a tornare a simili 5

L’area costiera tirrenica della Provincia di Messina è oramai pluricitata in diverse ricerche e pubblicazioni, nonché strumenti di pianificazione territoriale d’area come ‘conurbazione dello stretto’ (si veda a tal proposito il Piano Territoriale Provinciale di Messina visitando l’apposito website http://www.provincia.messina.sitr.it/ptp/ html ). 6 Andrebbero definiti più opportunamente come ‘Criticità Complesse’ frutto della combinazione tra l’azione antropica e le azioni naturali provenienti dagli eventi naturali ciclici (alluvioni, sismi, frane…). 7 Cfr. Ziparo A., 2011, Dall’ Eden a Gomorra, il Manifesto, 26 giugno. Andrea Marçel Pidalà, Valeria Ravì Pinto

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livelli di qualità estetica. Tali elementi necessiterebbero di una tutela, mediante una rilettura delle caratteristiche e rimodulandone, ove necessario, i criteri di fruizione e di accessibilità, come per le spiagge e, più in generale, per la fascia costiera. Le fiumare dei Nebrodi hanno costituito storicamente l’elemento di relazione tra le pianure costiere e gli ambiti interni e montani. Spesso ciascuna di esse ha assunto un ruolo di sub-sistema ‘integrale e organico’ che andava molto oltre la funzione di collegamento vallivo. Attorno alla fiumara si costituivano contesti territoriali, sociali, ambientali, economici, spesso autonomi. I centri principali, quasi sempre, erano localizzati alla foce, all’attacco con la pianura litoranea; i centri mediani, collinari svolgevano funzione di collegamento intervallivo. I poli montani, più grandi, erano sede di attività più vaste di quelle strettamente legate all’attività rurale (fiere, feste, culti) e spesso divenivano momento di aggregazione per l’intera area (Ingrillì, 2004).

Il sistema delle criticità: scenari attuali e tendenziali di crescita Il quadro territoriale, appena affrescato, non è sufficiente, però, a frenare le tendenze in atto, comuni oramai quasi in tutto il ‘Belpaese’. Ben presto si passerà, da una Sicilia ‘Terra di Città8’ importanti ed eclettiche e ben organizzate (riferendoci all’età ellenica), ad un paesaggio molto più ibrido che rischia di consolidare un ‘ritmo urbano’ (Boeri, 2011) costituito da una moltitudine di edifici solitari o ammassati che puntellano, senza cura, tutto il territorio e omologando una rete infinita (senza limiti e confini) di urbanizzazione diffusa lungo costa che costituirà una ‘metropoli’ senza cultura 9. La costa tirrenica siciliana appare assolutamente aderente al quadro sopra descritto, si va da Rometta sino a Milazzo e da Capo d’Orlando sino ad Acquedolci (centri urbani costieri che rappresentano la fascia dei Nebrodi), assistendo ad una distesa di insediamenti edilizi privi di forma e colore10. Oggi sorprende il contrasto stridente tra un paesaggio tuttora di eccellente qualità ed un insediamento tanto pervasivo quanto scadente, spesso per aspetti anche diversi: la poca funzionalità, la tipologia dell’edificato, l’estetica complessiva e del singolo episodio. La crescita urbana delle città italiane, meridionali e segnatamente siciliane (centri urbani minori dei Nebrodi), oggi, appare disordinata, confusa, e perlopiù gestita dai singoli comuni, esclusivamente localmente ed in modo arbitrario attraverso un modello di sviluppo ancora troppo classico, sbilanciato sul favoritismo della rendita fondiaria, insistendo in quella disuguaglianza dei diritti edificatori tra pubblico e privato che cresce a dismisura e che negli anni ha segnato uno sviluppo privo di qualsiasi regola della pianificazione, dimostrando sfrontatamente la tendenza verso un pieno sistema di ‘un-planning’. Le grandi piane fluvio-alluvionali, che catturavano gli occhi di Joahnn Wolfgang Goethe nei suoi viaggi in Italia (che descriveva nei suoi testi come: I giardini dove fiorivano i limoni11), sono state da tempo fagocitate dal processo di urbanizzazione incontrollata, caratterizzato dal sistema insediativo residenziale e misto, rapido e tumultuoso che nei vari decenni ha assunto espressioni variegate e che si configura oggi come un’immensa ‘Linearcity-soft’ e dominante tutta la costa tirrenica della provincia di Messina e con brani consistenti anche nei Nebrodi (figura 4) ma che esprime i suoi effetti più esasperati nell’area da Milazzo a Villafranca (quest’ultimo centro urbano collocato ai margini della propaggine estrema dell’area metropolitana di Messina). Sebbene attualmente la condizione italiana (e non solo), risulta in bilico: da un lato la rete di ‘Lilliput’, composta dai centri urbani di piccole e medie dimensioni posti in aree pede-collinari, collinari e montane che esaltano le loro tradizioni locali ed i loro saperi materiali ed immateriali soprattutto mediante quell’affermazione dell’identità locale; dall’altro il gigante ‘Gulliver’ (metropoli e grandi città che si impongono nell’immaginario collettivo mediante tecnologie avveniristiche e/o nuovi eccessi di produzione tecnologica, economica, industriale alla ricerca del ruolo di protagoniste al fine di innescare grandi eventi come opportunità per attrarre investimenti e sviluppare il territorio). In entrambi i casi vi è sempre più la necessità di confrontarsi con i grandi temi ambientali che emergono dai territori, sia a livello globale, che a livello locale 12. Innanzitutto

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Il carattere urbano dell’insediamento in Sicilia risulta tutt’oggi, anche se alcune situazione si sono del tutto stravolte, costruito su una rete di grossi centri, sulle coste e nella Sicilia collinare del grano e dell’allevamento. Per un approfondimento sulla Terra di Città si veda Benigno F.e Giarrizzo G, Storia della Sicilia, Vol. 1. Dalle origini al Seicento, GFL, Editori La Terza, Bari. 9 Interessante a tal proposito appare la riflessione condotta da Vittorio Gregotti nel suo saggio Architettura e Postmetropoli, Mondadori, Milano,2011, a cui si rimanda per opportuni approfondimenti. 10 La Sicilia ‘Terra di Città’ in questo brano di territorio è divenuta un mono-spazio antropizzato, che raccoglie insediamenti industriali, commerciali, residenze e servizi lungo un nastro stradale che connette, storicamente, le varie centralità di grande, media e piccolo rango lungo la costa mediterranea, ed è delimitato dalle infrastrutture di grande connessione come la A20, la linea ferroviaria Messina – Palermo, la Strada Statale 113, e quel confine naturale che è il Mediterraneo. 11 Cfr. Joahnn Wolfgang Goethe, Wilhelm Meister, a cura di Silvio Benco, Milano 1950. 12 Di fronte a fenomeni di impatto notevole che vanno dai cambiamenti climatici (prospettati dagli effetti serra, con lo scioglimento dei ghiacciai, le cicliche alluvioni, i fenomeni di desertificazione, i terremoti…), alla produzione energetica sfrenata (estrazione del petrolio che innesca guerre e mantiene sul filo del rasoio le relazioni tra le superpotenze mondiali), al disordine edilizio (il consumo inarrestabile di suolo e sottosuolo), sino alla complessa visione ‘macchinistica’ degli organismi urbani, la terra sta, nell’ultimo decennio, mostrando tutta la sua carryng capacity (la sua capacità di carico) con Andrea Marçel Pidalà, Valeria Ravì Pinto

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andrebbe compresa l’attuale assoluta esuberanza della produzione edilizia, che vuol dire frenare la crescita dei centri, tranne che per eventuali nuove eccezionali funzioni che palesemente necessitino di una nuova tipologia edilizia. L’insediamento dei centri costieri ha subito una crescita molto intensa nelle ultime fasi, dovuta alla domanda di edificazione (conseguente al declino dell’attività primaria) e si è intrecciata, incrementata nei vari periodi storici, in relazione alle dinamiche del settore industriale e turistico 13.Oggi siamo al paradosso, per cui, mentre diversi comuni presentano ulteriori programmi di ampliamento di volumi residenziali e turistici, un numero crescente di vani resta vuoto, anche nei periodi di ‘massima punta’. Si rende necessario il disegno di uno Scenario Strategico eco-territorialista rifondato su regole, piani, progetti e pratiche di buon governo dei beni comuni e dell’area vasta. Questa è, forse, l’unica strada per salvare i nostri centri urbani e mantenere storia, tradizione, e conoscenza che altrimenti verranno depauperate in favore di un illusorio sviluppo urbano lineare volto alla costruzione di una ‘City costiera’, nell’ambito dei Peloritani e dei Nebrodi, ibrida e senza identità. Tali effetti ed impatti danno luogo ad un paesaggio non più solo indicatore di valore estetico, ma anche indicatore sociale, economico e culturale di un luogo.

Il sistema delle valutazioni: Scenari eco-territorialisti di riequilibrio come cura e proposta di governo del territorio Oggi la riterritorializzazione delle cittadine costiere nebroidee richiede, per ciascuna di esse, uno scenario strategico nuovo. ‘Conoscere per pianificare’(Geddes, 1915) è stato l’assunto che ha guidato la disciplina a cavallo tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900, oggi è inutile sottolineare che tale definizione è stata successivamente divenuta pilastro fondativo e identificativo dell’approccio più completo alla pianificazione del territorio. Secondo la teoria aristotelica ‘l’empirismo’, generalmente è visto come il fulcro del moderno metodo scientifico, le nostre teorie devono essere basate sull’osservazione, quindi i ‘dati ambientali’ divengono conoscenze utili a legittimare l’apparato cognitivo reale e orientativo, regolativo, strategico e di valutazione delle scelte operate per la comprensione ed eventuale trasformazione del territorio. Occorre, oggi più che mai, uno sguardo sinottico, nella redazione piani e programmi per il territorio che potrebbe pervenire dall’ausilio originale dei recenti Rapporti Preliminari e Ambientali in ambito dei procedimenti di Valutazione Ambientale Strategica14 (figura 3), che attraverso la completezza delle informazioni e dei dati provenienti dal territorio permetterebbe di cogliere le singole situazioni spesso sottovalutate, mediante un’approfondita conoscenza per comprendere pienamente la bioregione dei Nebrodi e fungere da filtro per la strutturazione di uno Scenario Strategico a valenza ecologica.

effetti significativi frutto dell’addizione di ‘Criticità Complesse’ (indotte come precedentemente chiarito dalla somma di eventi naturali ciclici e l’addizione dell’azione antropica). 13 Puntuale è la riflessione condotta da Giuseppe Trombino :.. ‘Così come in molte altre regioni italiane, anche in Sicilia i processi di diffusione e dispersione urbana, verificatisi a partire dagli anni settanta, ma con maggiore intensità negli ultimi venti anni, hanno determinato un radicale cambiamento dei modi d'uso del territorio, modificando profondamente la geografia degli insediamenti e la loro articolazione territoriale. Spesso agevolata dal ricorso a pratiche di edificazione abusiva, ma non di rado anche assecondata dalla pianificazione urbanistica ufficiale, la realizzazione di insediamenti a bassa densità ha riguardato con caratteri diversi sia le aree periurbane, configurando vaste aree di non città attorno ai grandi e medi centri urbani, ma anche le aree agricole, configurando più o meno vasti ambiti di non campagna disseminati nello spazio agricolo’…per un approfondimento si veda anche Trombino G. le coste: urbanizzazione e abusivismo in Savino M., Pianificazione alla prova nel Mezzogiorno, Franco Angeli, Milano, 2006. 14 In linea con la Direttiva Europea 42/2001 ed in attuazione del D.Lgs. 152/2006 ed ss.mm.i che prevede i Rapporti Preliminari ed Ambientali (segnatamente dell’art.12 e 13 del D.Lgs. 152/2006 ed ss.mm.i) dei piani e dei programmi, tali tecniche valutative costituiscono documenti determinanti di un più vasto percorso scientifico, culturale ed istituzionale. In tal senso la direttiva in materia di VAS ha consentito di chiarire la necessità di introdurre, all’interno delle procedure di pianificazione e di programmazione, strumenti di partecipazione all’iter decisionale, in modo tale da garantire la reale considerazione degli effetti ambientali dei piani e programmi sull’ambiente. In molte Regioni le procedure di valutazione di piani e programmi, rese obbligatorie dal D.lgs. n. 152/2006 e ssm.m.ii, stanno dimostrando di poter diventare, una volta superata una fase di complessa sperimentazione metodologica, strumenti efficaci al fine di garantire una piena compatibilità ambientale delle scelte urbanistiche. Per un approfondimento dell’applicazione della VAS in Sicilia cfr. Trombino G., (2013) Spiragli di Luce sull’applicazione della VAS in Sicilia in Urbanistica Informazioni, n.245-246, Settembre-Dicembre 2012, Inu Edizioni, Roma. Andrea Marçel Pidalà, Valeria Ravì Pinto

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Scenari Strategici eco-territorialisti per il ri-equilibrio e la cura della bioregione dei Nebrodi.

Figura 3. Schema sintetico di valutazione ecologica degli insediamenti urbani, delle risorse territoriali e degli indicatori ambientali, delle pressioni semplici e complesse. Lo schema preconizza un quadro metodologico per definire giudizi volti alla stesura di uno Scenario Strategico Eco-territorialista per la bioregione dei Nebrodi.

Per avviare un livello di conoscenza compiuta e il più possibile integrabile con le trasformazioni degli insediamenti urbani e l’area vasta occorre acquisire e raccogliere tutte le informazioni definite per la descrizione ed analisi di tutto il palinsesto territoriale. Da più parti viene annunciato che Il territorio dell’abitare15 sarà preventivamente valutato, corretto e perfezionato per coerentizzare le azioni dei piani urbanistici con gli obiettivi di sostenibilità ambientale, economica, sociale e politica sui luoghi. Per i Nebrodi, quindi, è necessaria una vision16 che declini più azioni integrate volte alla strutturazione di uno Scenario Strategico di riequilibrio territoriale generale (figura 5): una ‘rete ecologica’ (che diparta da una compiuta analisi, conoscenza e valutazione di tutti i sistemi ecologici presenti) che innervi e ridisegni forme urbane ad alta prestazione energetica con equilibri idrogeomorfologici partendo da alcune fondamenta: La definizione di un nuovo Quadro Conoscitivo del Territorio, attraverso la costruzione di una visione olistica e densa di strategie (non retorica17) per il territorio. La struttura cognitiva potrebbe costituire un unico dominio, ovvero lo spazio complesso da gestire e controllare, nella forte componente ecologica, (tenendo conto della densità abitativa nei suoli), della componente morfologica (delle disposizioni dell’organismo urbano architettonico ed edilizio), delle tecniche costruttive in edilizia, (dei materiali inerenti la bioedilizia), del giusto rapporto di copertura tra gli edifici ed il suolo (stabilendo parametri precisi al fine di consentire opportuni spazi e vie di fuga in caso di calamità naturali), delle nuove forme di riuso e di risparmio energetico mediante le fonti rinnovabili, dei modelli di trasporto efficienti (a circuito corto) e del basso consumo di suolo, la zonizzazione acustica, la realizzazione di impianti energetici alternativi. La definizione del sistema interpretativo dello sviluppo economico sociale diverso da + edilizia = alta economia. È indiscutibile che l’approccio culturale legato allo sfruttamento del suolo 18 per la rendita 15

Cfr. Magnaghi A., Il territorio dell’Abitare, Lo sviluppo locale come alternativa strategica, Franco Angeli, Milano, 1990. Interessante appare la considerazione fatta da Bernardo Secchi nel suo recente saggio La città dei ricchi e la città dei poveri, (pag-78), LaTerza, Bari, 2013. 17 Cfr. Avarello P., Strategie o retoriche?, In Vinci I., Pianificazione Strategica in contesti fragili, Alinea, Firenze, 2010. 18 Il Consumo di suolo è una tendenza dominante come viene reclamato da più parti in tutta Italia che raccoglie sempre più allarmi per il paese. Le tragedie di Messina del 2009 (Giampilieri e San Fratello) e di Genova del 2011 non consentirebbero ulteriori ripensamenti sulle stolte logiche di sviluppo del territorio. Oggi, nonostante da un lato continuino i processi di urbanizzazione (sottoprocesso), dall’altro lato si fa sempre più avanti un’esigenza di ‘limite’ richiamata da più parti. 16

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individuale ha mostrato delle ricadute negative e in molti casi è stato complice di criticità complesse di cui tutt’oggi le comunità pagano alte conseguenze. Occorre trovare nei luoghi dei Nebrodi nuove forme di sviluppo alternativo e auto-sostenibile che consentano di rigenerare realmente i tessuti urbani, sociali ed economici, offrendo assetti e prospettive di sviluppo differenti. Il recupero sostenibile dei centri urbani costieri, da Patti a Capo d’Orlando, passando per Sant’Agata di Militello, fino a Caronia e Tusa, necessita di progetti urbani complessivi e di progetti mirati per i diversi paesaggi urbani, le diverse parti di città, che possono essere ricucite e legate a singole funzioni specifiche, piuttosto che a pluralità di compiti e destinazioni d’uso. Il rinnovo dei centri urbani necessita forse di un nuovo strumento urbanistico, diverso dal tradizionale piano regolatore, che si occupi anche di dare una nuova struttura, nuove strategie e fornire risposte allo sviluppo locale. La rivalutazione e tutela delle emergenze ambientali, spesso rileggendone le caratteristiche e rimodulandone, ove necessario, i criteri di fruizione e di accessibilità, come per le spiagge e, più in generale, per la fascia costiera, i versanti montuosi e collinari. Molti ambienti di pregio, tuttora riscontrabili nella fascia costiera e di pianura del comprensorio, necessitano di azioni di recupero specifiche che, oltre a riconsiderarne, anche da un punto di vista normativo, gli usi, ne favoriscano la ristrutturazione, fino al pieno restauro e recupero ambientale; anche con operazioni di rinaturalizzazione, pulitura e rimozione dei detrattori. La riqualificazione ecologica delle fiumare le quali hanno costituito storicamente l’elemento di relazione tra le pianure costiere e gli ambiti interni e montani. Spesso ciascuna di esse ha assunto un ruolo di sub-sistema ‘integrale e organico’ che andava molto oltre la funzione di collegamento vallivo. I contesti fluviali vanno ricomposti tramite l’individuazione e il riprestino dei diversi ‘paesaggi di fiumare’, che comprendono, oltre gli ecosistemi naturali, il patrimonio forestale e agricolo, ex produttivo, che quando smette di produrre ‘merci naturali’, può essere fruito in termini culturali e ambientali. Rapportandolo con i temi storico-culturali e, soprattutto, etnoantropologici esistenti nelle adiacenze. Molti ambienti di pregio, tuttora riscontrabili nella fascia costiera e di pianura del comprensorio e ovviamente necessitano di azioni di recupero specifiche che, oltre a riconsiderarne, anche da un punto di vista normativo, gli usi, ne favoriscano la ristrutturazione, fino al restauro del tessuto ambientale; anche con operazioni di rinaturalizzazione, pulitura e rimozione dei detrattori presenti. Occorre dunque intervenire anche attraverso la realizzazione di appositi ‘parchi a tema’ e tramite una rete di ‘percorsi di sostenibilità’ socio-ecologico-culturali che integrino e valorizzino, interrelandolo, il patrimonio paesaggistico esteso e in connessione al Parco Regionale dei Nebrodi. La creazione di nuove ‘armature’ per ricalibrare il futuro dell’area. I temi sopra detti vanno calati sul territorio con ‘progetti’ che incontrino le professionalità e le energie specifiche già presenti o potenzialmente generabili. Che coinvolgano ampie sezioni della società attiva in termini di prospettiva di lavoro e di investimento sul proprio futuro, e nel tentativo di ricreare una migliore compattezza, vicinanza e riconoscibilità culturale di una nuova idea di città e territorio19. Per la strutturazione di un nuovo Scenario Strategico per la bioregione dei Nebrodi occorre assolutamente potenziare la ricerca sul territorio e comporre banche dati complete e attendibili. È necessario re-investire sia sui centri storici (costieri, collinari e montani), ma anche sull’edilizia rurale con un grande piano di ristrutturazione e riqualificazione complessiva dei tessuti urbanizzati storicizzati, ma anche di quelli più recenti. Si dovrà lavorare molto sulla creazione di nuove armature urbane, attraverso il potenziamento dei centri minori e puntando alla rimodulazione di filiere produttive alternative. Ricalibrare il flusso di tutte le energie smistate sull’asse costiero potenziando il ruolo della ferrovia20, con coraggiose opere di ristrutturazione intermodale, probabilmente meno diffuse e impattanti rispetto alle disastrose strade sulle aree ecologicamente deboli (come i fiumi, torrenti e fiumare). Una rete potenziata di scali tra quelli già presenti, che facciano da sistema e che possono dar luogo alle ‘autostrade del mare21’. Occorre una maggiore consapevolezza e responsabilità per la creazione di un nuovo grande processo economico/culturale, di supporto al nuovo affresco di Scenario Strategico Eco-territorialista per i Nebrodi, che tenga conto delle peculiarità del territorio e delle risorse/energie ancora oggi e troppo spesso latenti e non opportunamente utilizzate.

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Cfr. Salzano E., 2002, A proposito di città dispersa , in SR-Rivista di Scienze Regionali, n.2., Franco Angeli, Milano. Attualmente invece in fase di depotenziamento con politiche dei trasporti (da parte dei soggetti gestori privati della mobilità su ferro) che tendono a ridurre la fruizione del trasporto ferroviario con significative riduzioni delle tratte. 21 Ma anche i porti si dovranno rigenerare senza ulteriori opere faraoniche di sfregio costiero ma con consapevolezza e maturità nella riqualificazione, completamento e accessibilità piena a quelli già presenti in un’ottica di piena funzionalità che non preveda la ulteriore edificazione di nuove opere. 20

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Scenari Strategici eco-territorialisti per il ri-equilibrio e la cura della bioregione dei Nebrodi.

Figura 4. ‘Concept’ delle criticità ambientali, del raggio di gravitazione territoriale. Il ‘concept’ mostra i grandi segni del territorio mediante un metodo figurativo di conoscenza che consiste in un’interpretazione oggettiva e soggettiva allo stesso tempo, sintetizzabile in una rappresentazione che compie lo sforzo di comprendere l’identità dei luoghi.

Figura 5. ‘Concept’ delle potenziali relazioni e quindi di Scenario Strategico fondato sul riequilibrio ecologico per la Bioregione dei Nebrodi. Il territorio studiato nel disegno mostra la proposta di ricalibrare le strutture e gli apparati territoriali, ecologici e paesaggistici al fine di fornire un nuovo quadro per le azioni di riqualificazione di un’area in progressiva compromissione.

Bibliografia Boeri S., 2011, L’Anticittà. Bari: LaTerza. Benco S., 1950, (a cura di) Joahnn Wolfgang Goethe, Wilhelm Meister, Milano. Benigno F.e Giarrizzo G, 2000, Storia della Sicilia, Vol. 1. Dalle origini al Seicento, GFL, Editori La Terza, Bari. Gregotti V., 2011, Architettura e Postmetropoli, Mondadori, Milano. Ingrillì F.P., 2004, Paesi e Paesaggi dei Nebrodi, Ermes dei Parchi, Patti. Lega per l’Ambiente, I Nebrodi. Lo stato dell’ambiente, Capo d’Orlando, 1990 Nebrodi Magnaghi A, 1990, (a cura di), Il territorio dell’abitare, FrancoAngeli, Milano. Salzano E., 2002, A proposito di città dispersa , in SR-Rivista di Scienze Regionali, n.2., Franco Angeli, Milano. Savino M., 2006, Pianificazione alla prova nel Mezzogiorno, Franco Angeli, Milano. Scandurra E., Attili G., 2013, Il Pianeta degli Urbanisti e dintorni, Derive e Approdi, Roma. Secchi B., 2013, La città dei ricchi e la città dei poveri, (pag-78), LaTerza, Bari. Trombino G., 2006, Le coste: urbanizzazione e abusivismo, in Michelangelo Savino, La pianificazione alla prova nel Mezzogiorno, FrancoAngeli, Milano. Trombino G., 2013, Spiragli di Luce sull’applicazione della VAS in Sicilia, in Urbanistica Informazioni, n.245246, Settembre-Dicembre 2012, INU Edizioni, Roma. Vinci I., 2010, (a cura di) Pianificazione Strategica in contesti fragili, Alinea Editrice, Firenze. Ziparo A., 2011, Dall’Eden a Gomorra, il Manifesto, 26 giugno.

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Ripensare i territori metropolitani

Ripensare i territori metropolitani Forme e processi di pressione insediativa sui sistemi di interesse naturale Filippo Schilleci* Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: filippo.schilleci@unipa.it Tel: 091 23865440 Annalisa Giampino* Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: annalisa.giampino@unipa.it Tel: 091 23865440 Vincenzo Todaro* Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: vincenzo.todaro@unipa.it Tel: 091 23865440

Abstract Nei contesti metropolitani siciliani le recenti forme di urbanizzazione hanno raggiunto livelli di consumo di suolo libero e di pregio, e conseguentemente forme di frammentazione ambientale e territoriale, che rischiano di compromettere non soltanto il valore paesaggistico-ambientale dei territori interessati, ma la loro stessa identità. A partire da questo dato il contributo si pone il duplice obiettivo di verificare da un lato il nesso esistente fra forma dell’urbanizzato e impatto sul sistema ambientale; dall’altro di identificare possibili strategie di governo dei processi di trasformazione del territorio riferite ai reciproci rapporti spaziali tra ambiente costruito e territori aperti. Parole chiave Forme di urbanizzazione, frammentazione ambientale, aree metropolitane.

1 | Frammentazione come esito dell'interazione tra processi di urbanizzazione e contesto ambientale Gli attuali modelli di dispersione insediativa, che caratterizzano i fenomeni di urbanizzazione, hanno determinato un assetto del territorio connotato da forme di pressione antropica che, in riferimento ai contesti metropolitani, gravano principalmente sulle aree periurbane di transizione, sugli spazi aperti extraurbani, sui sistemi agricoli e sui sistemi naturali e seminaturali. Tali fenomeni hanno portato alla significativa alterazione del mosaico paesaggistico tradizionale non soltanto in corrispondenza di aree 'speciali' di interesse naturale ma, in generale, su tutte le componenti che caratterizzano la matrice paesaggistico-ambientale, con la sostituzione dei sistemi naturali con ecomosaici artificiali. Nel 2003 l’APAT (oggi ISPRA), ha definito le principali cause di alterazioni della struttura ecologica e del paesaggio come: a) fenomeni insediativi che riguardano in particolare i modelli di crescita degli insediamenti antropici con una specifica attenzione rivolta al rapporto di copertura tra spazi edificati e spazi non edificati; b) fenomeni infrastrutturali della mobilità che riguardano le modalità attraverso le quali le infrastrutture si articolano sul territorio interagendo con il sistema insediativo; Filippo Schilleci, Annalisa Giampino, Vincenzo Todaro

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c) fenomeni infrastrutturali tecnologici che riguardano gli impianti a rete aerei, terrestri o presenti nel sottosuolo; d) fenomeni produttivi che riguardano le attività incompatibili con la natura dei luoghi, che sono spesso causa dei più significativi impatti sull’ambiente. L’esito dei processi di frammentazione è la costituzione di 'ecomosaici' (Forman, 1995), al cui interno è possibile individuare una diffusa matrice antropica che ha sostituito progressivamente gli ambienti naturali ridotti a semplici e spesso isolati frammenti (patches), e di un sistema più o meno articolato di ambienti di margine (edge habitats) che aumentano con il progredire della pressione antropica e con l’intensificarsi dei fenomeni di frammentazione (Farina, 2001; Battisti, 2004). Da un punto di vista disciplinare, lo studio trova le proprie basi fondative nella linea di ricerca che si concentra sull’analisi e identificazione delle nuove morfologie di urbanizzato in relazione ai potenziali impatti sul sistema naturale, intesi prioritariamente in termini di frammentazione ambientale. Infatti sotto il profilo morfologico i recenti processi di urbanizzazione generano, nella loro versione idealtipica, uno spazio in cui convivono aree naturali, ambienti costruiti rarefatti e aree agricole intercluse. È evidente, alla luce di quanto esposto, la necessità di comprendere il rapporto esistente fra forme di urbanizzazione e impatti sul sistema ambientale al fine di indirizzare efficacemente l’azione di governo verso la mitigazione degli effetti che il sistema insediativo genera su quello ambientale. In relazione a quanto sopradetto, il contesto siciliano costituisce un interessante caso di studio tanto in relazione ai fenomeni di dispersione insediativa presenti, in particolare nelle aree metropolitane, quanto in relazione alle forme di impatto e frammentazione generate sui delicati ecosistemi naturali e seminaturali. Inoltre, ad aggravare ulteriormente la situazione contribuisce la debolezza degli strumenti di pianificazione, sia relativi alla regolamentazione del sistema insediativo sia alla tutela delle aree di interesse naturale, e l’assenza di qualsivoglia forma di coordinamento tra le politiche territoriali. Con riferimento a tale quadro di riferimento, lo studio propone l’analisi delle principali forme di pressione insediativa sui sistemi naturali in relazione ai reciproci rapporti spaziali tra ambiente costruito e territori aperti e l’identificazione di possibili strategie di governo dei fenomeni di dispersione insediativa nei contesti metropolitani.

2 | Approcci e modelli interpretativi I primi tentativi di codifica delle nuove forme di urbanizzazione maturano nell’immediato dopoguerra negli Stati Uniti a seguito degli evidenti fenomeni di crescita anarchica ed illimitata delle aree periurbane. In un clima di profondo mutamento, dove il problema dell’esplosione urbana aveva raggiunto livelli allarmanti, le elaborazioni teoriche definirono 'immagini interpretative' divenute idiomatiche come megalopolis (Gottmann, 1970) e sprawl urbano (Stanganelli, 2006). In Europa il problema dello scollamento tra categorie tradizionali di analisi e dimensione territoriale della fenomenologia urbana emerge a partire dagli anni ’60. Gli anni ’50 e ’60 hanno segnato, pertanto, un cambiamento epocale in termini di trasformazione delle geografie urbane e territoriali affermando, in meno di un decennio, una nuova forma urbana, la città metropolitana appunto, le cui dinamiche di crescita registrano una velocità di modificazione che non trova alcun precedente nella storia urbana. Sono gli anni dell’affermazione del primato e della pervasività dell’elemento urbano che si traduce in ambito disciplinare nella formulazione di neologismi volti ad identificare le nuove tipologie urbane. Espressioni quale città regione (De Carlo, 1962), diffusione urbana (Ardigò, 1967), città-lineare (Soria y Mata, 1968), città diffusa (Indovina et alii, 1990) o edge city (Garreau, 1991), campagna urbanizzata (Becattini, 2001), ecopolis (Magnaghi, 1980), bioregione urbana (Magnaghi, 2010) rappresentano un tentativo di cogliere la profonda modificazione degli assetti territoriali, tradizionalmente dualistici e la maggiore integrazione tra aree urbane e territorio aperto. In Italia, gli studi sui processi di urbanizzazione transitano da un approccio quantitativo − basato sul parametro suolo in termini di 'misurabilità' e 'oggettività' empirica (Borachia, Moretti, Paolillo e Tosi, 1988; Astengo e Nucci, 1990) − ad un approccio in grado di tradurre il dato quantitativo (la forma) in elemento di conoscenza qualitativa dei processi di urbanizzazione (Indovina et alii, 1990; Secchi, 1995; Clementi et alii, 1996). Attraverso questo cambio radicale di prospettiva la forma fisica diventa riferimento trasversale che sottende tutte le componenti territoriali e, pertanto, variabile esplicativa dei fenomeni di urbanizzazione quali esito di fattori multipli e trasversali (Socco, 1998). Se dal punto di vista interpretativo è notevole lo sforzo di aggiornare le categorie analitiche quantitative, ritenute inadeguate a restituire la complessità ed eterogeneità dei processi, tuttavia, al di là del valore fondativo di queste ricerche, è forse possibile concordare con Bianchetti (2000) nell’affermare che il tema può considerarsi dal punto di vista interpretativo concluso senza però essere entrati nelle questioni più dense, se non marginalmente. Infatti, solo in tempi relativamente recenti, in Italia è stata affrontata in maniera sistematica la natura delle relazioni che intercorrono tra processi di urbanizzazione e sistema ambientale (Magnaghi, 1980, 2000; Gambino, 1997; Battisti e Romano, 2007). Per le caratteristiche e le modalità attraverso le quali queste relazioni si configurano, esse tendono a generare pressioni sulla componente naturale: i modelli di crescita insediativa interconnessi alle reti infrastrutturali hanno determinato la progressiva frammentazione ecologico-ambientale degli ecosistemi naturali e seminaturali. Filippo Schilleci, Annalisa Giampino, Vincenzo Todaro

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Nel dibattito internazionale, questa lettura interpretativa approfondisce in particolare le forme di pressione relazionate al rischio di perdita di biodiversità, che rappresenta il più grave effetto dei fenomeni di frammentazione (Stanners e Bourdeau, 1995; Romano, 2002; Battisti, 2004; Hanski, 2005; EEA, 2006; Didham, 2010; Milder e Clark, 2011). Più nello specifico, la letteratura scientifica tende a distinguere e articolare il processo di frammentazione degli ecosistemi naturali e seminaturali nella riduzione dell’estensione e insularizzazione degli ambienti fino alla loro riduzione ad aree residue e nell’alterazione delle relazioni ecologico-funzionali tra le specie interne ad una comunità. Tuttavia, oltre che sulla componente bio-ecologica (habitat e specie), i fenomeni di frammentazione generano ricadute sui più ampi processi spaziali e territoriali e sul paesaggio la cui matrice di riferimento registra l’alterazione degli habitat in relazione prevalentemente alla riduzione e scomparsa della copertura di vegetazione naturale. In ambito disciplinare nazionale alcuni studi hanno approfondito gli impatti sulla struttura e sulla funzionalità degli ecosistemi, proponendo indirizzi per la pianificazione e il governo del territorio (Romano e Tamburini, 2006). Tra le iniziative che assumono maggiore respiro, il progetto PLANECO (Planning in Ecological Network)1 ha analizzato le dinamiche evolutive degli assetti ecologici all’interno degli strumenti di governo del territorio. A partire dalle esigenze di conservazione degli ecosistemi e attraverso la ridefinizione di contenuti e metodi della pianificazione, il progetto ha proposto un sistema di indici di frammentazione ambientale che hanno portato alla individuazione di differenti forme di frammentazione (attuale, potenziale, tendenziale) in relazione alle dinamiche di trasformazione del territorio di matrice antropica. Nel 2003 l’APAT, in un documento di indirizzo per gli strumenti di pianificazione, ha messo a sistema le prime riflessioni propositive sulle reti ecologiche a scala locale come 'strumento' per il superamento delle condizioni di frammentazione degli ambienti naturali. Lo stesso istituto nel 2011 pubblica uno studio sulla frammentazione territoriale da infrastrutture lineari finalizzato alla proposizione di indirizzi e buone pratiche per la prevenzione e mitigazione degli impatti (ISPRA-INU, 2011). Infine, sul rapporto di reciprocità tra fenomeni di frammentazione e connettività ecologica del territorio, Battisti (2004) e Battisti e Romano (2007), attraverso un approccio multidisciplinare che tenta di pervenire ad una sintesi nei linguaggi, negli approcci e nei metodi, offrono uno spettro significativo dei profili teorico-concettuali e operativi che hanno portato alla diffusione delle più recenti esperienze di regolamentazione delle reti ecologiche negli strumenti di pianificazione.

3 | Aree metropolitane a confronto: Palermo e Catania I modelli di crescita insediativa che caratterizzano i fenomeni di urbanizzazione in atto in Sicilia hanno determinato forme di pressione antropica (demografica, insediativa, infrastrutturale, produttiva) che, in particolare nei contesti metropolitani, gravano in primo luogo sui sistemi naturali e seminaturali, tutelati e non. Rispetto a questi, in particolare, i fenomeni di pressione antropica e le relative forme di frammentazione insistono su una già critica distribuzione territoriale delle aree protette a 'macchia di leopardo' (5 parchi regionali, 89 riserve naturali, 235 SIC e ZPS, pari a circa il 23% del territorio regionale) il cui livello di frammentazione e isolamento rischia di essere ulteriormente aggravato (Schilleci, 2008). Queste condizioni raggiungono particolari livelli di criticità lungo la fascia costiera in cui si concentra la maggior parte del carico antropico connesso agli usi insediativi (cinque delle nove città capoluogo di provincia, di cui tre sede di area metropolitana si trovano lungo la costa), con evidenti casi di occupazione illecita del suolo (Trombino, 2005). L’Area metropolitana di Palermo. In relazione al quadro delineato, l’Area metropolitana di Palermo presenta un patrimonio di aree naturali, di siti archeologici, di biotopi di grande rilevanza che inducono a leggere il suo territorio non tanto attraverso la delimitazione amministrativa, ma come parte di quel sistema ambientale più vasto che interessa l’intera regione. A tal proposito la consistenza delle aree ad alto valore ambientale è rappresentata da dodici riserve naturali, istituite con legge regionale n.98 del 1981, e successive relative modifiche, da quarantasei Siti di Importanza Comunitaria (SIC), da tre Zone di Protezione Speciale (ZPS) e da quattro SIC-ZPS, individuati in attuazione delle Direttive comunitarie Habitat 92/43/CE e Uccelli 79/409/CEE. * Il lavoro è frutto delle riflessioni e degli studi condotti congiuntamente dagli autori, tuttavia la redazione dei paragrafi 1 e 4 è di Filippo Schilleci, la redazione del paragrafo 2 è di Annalisa Giampino e la redazione del paragrafo 3 è di Vincenzo Todaro. 1 Ricerca MURST 1998/2000 (Coordinatore nazionale P. Bellagamba, Coordinatore Unità Operativa Università dell’Aquila: G. Tamburini) – “Progetto PLANECO, pianificazione nelle reti ecologiche”. Cfr. Dip. Progettazione e Costruzione dell’Ambiente (Univ. di Camerino), Dip. Architettura e Urbanistica (Univ. dell’Aquila), Dip. Architettura, Reti e Territorio (Univ. di Chieti) (2003), Pianificazione e reti ecologiche. PLANECO - Planning in Ecological Network, Gangemi Editore, Roma. Filippo Schilleci, Annalisa Giampino, Vincenzo Todaro

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Inoltre, ricadono al suo interno due aree marine protette: l’area marina di Ustica istituita con DI del 12.11.1986 e quella di Capo Gallo-Isola delle Femmine istituita con DM del 24.07.2002. Oltre alla presenza di aree di interesse naturale, sottoposte a differente regime di protezione, è possibile rintracciare un interessante sistema di aree agricole di pregio (interesse ambientale e paesaggistico) che contribuiscono a delineare il valore identitario di questo territorio. Si tratta in particolare di due paesaggi agricoli prevalenti, l’agrumeto e l’oliveto, che si estendono, rispettivamente, il primo lungo la fascia costiera compresa tra Palermo e Trabia, il secondo dalle zone interne di Altofonte fino alle ultime propaggini costiere di Termini Imerese. A questi va aggiunto il sistema agricolo del vigneto che dai margini occidentali dell’Area metropolitana si estende in direzione dell’alcamese (in provincia di Trapani).

Fig. 1 La piana di Carini nel 1970 e oggi.

In relazione al sistema insediativo è possibile individuare tre sub-sistemi che gravitano rispettivamente attorno ai tre poli urbani dell’area metropolitana: Palermo, Carini e Termini Imerese. L’area di Palermo è maggiormente interessata dalla presenza della tipica nebulosa residenziale che nega qualsivoglia forma di relazione con la viabilità. L’ambito carinese si caratterizza per la presenza diffusa di lottizzazioni di tipo ramificato, compatto e a nebulosa che, senza soluzioni di continuità, si estendono dall’estrema periferia nord di Palermo sino ai comuni di Partinico e Balestrate. Quest’ambito presenta un elevato grado di complessità, in relazione alla compresenza di un distretto produttivo/commerciale che corre lungo la SS113 generando l’idealtipica forma lineare. Infine nell’ambito di Termini Imerese possiamo rilevare, a differenza di Carini, una maggiore presenza di insediamenti di tipo ramificato che si attestano sui tracciati storici della viabilità di collegamento fra i centri. Sempre nello stesso contesto territoriale – analogamente a quanto avviene nel lato carinese – nel tratto compreso tra la SS113 e la costa le urbanizzazioni residenziali assumono una configurazione lineare così come è rilevabile la presenza del blocco produttivo/commerciale parallelo, in questo caso, alla costa e delimitato dal fascio infrastrutturale costituito dall'autostrada, la strada statale e la linea ferrata. Tale localizzazione determina una frammentazione areale di grande impatto ambientale che ha di fatto stravolto il paesaggio costiero di questa area producendo elevati livelli di cesura tra la costa e il sistema naturale interessato dalla RNO di Monte San Calogero. Nella parte occidentale del medesimo sub-ambito – nel tratto compreso tra i centri di Altavilla Milicia e Trabia – l’insediamento residenziale a pettine a bassa densità (originariamente compreso nella fascia tra la linea ferrataSS113 e l’autostrada e successivamente estesosi oltre il tracciato autostradale) ha generato forme via via più rarefatte che determinano livelli di frammentazione complessi rispetto sia all'intorno agricolo-pedemontano che al sistema naturale in cui ricade il SIC (ITA020039) Monte Cane, Pizzo Selva a Mare, Monte Trigna. Nell'ambito carinese, la presenza delle diverse forme di urbanizzato – associate al blocco produttivo/commerciale e alle infrastrutture parallele alla linea di costa e interne alla piana di Carini – determina un unico macro sistema che genera fattispecie multiple di frammentazione. Infatti è possibile riscontrare tanto forme di pressione sui sistemi agricoli, ormai residuali, quanto sui sistemi ambientali a più alta naturalità (SIC ITA020021 Montagna Longa, Pizzo Montanello, ZPS ITA020049 Monte Pecoraro, Pizzo Cirina e SIC ITA020023 Raffo Rosso, Monte Cuccio e Vallone Sagana). L’Area metropolitana di Catania. La consistenza delle aree di interesse naturale presenti nel territorio provinciale è costituita da tre parchi regionali (Parco dell’Etna, Parco dei Nebrodi che ricade in parte anche nelle province di Messina ed Enna, Parco dell'Alcantara che ricade parzialmente anche nella Provincia di Messina), sette riserve naturali, istituite con legge regionale n.98 del 1981, e successive relative modifiche, da trenta Siti di Importanza Comunitaria (SIC), da due Zone di Protezione Speciale (ZPS) e cinque SIC-ZPS, individuati in attuazione delle Direttive comunitarie Habitat 92/43/CE e Uccelli 79/409/CEE. Inoltre ricade al suo interno la Riserva naturale marina Isole Ciclopi istituita con DM del 09.11.2004.

Filippo Schilleci, Annalisa Giampino, Vincenzo Todaro

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L’Area metropolitana presenta inoltre un sistema di aree agricole di pregio che contribuisce ancora oggi a definire le caratteristiche culturali di questo territorio. Si tratta in particolare di due sistemi agricoli prevalenti, l’agrumeto (lungo le pendici dell’Etna e verso la Piana fino al territorio di Paternò) e il vigneto (lungo i versanti collinari settentrionali dell’Etna e nell'area del Calatino).

Fig. 2 L’oasi del Simeto

Dal punto di vista della struttura territoriale l’Area metropolitana di Catania comprende un sistema urbanizzato che si articola attorno al vulcano Etna e risulta suddiviso in quattro sub-sistemi che seguono le principali direttrici di sviluppo che si irradiano dal centro di Catania (Dato, 1991). Nei comuni della fascia costiera, che da Catania si estendono in direzione di Acireale, l’urbanizzazione residenziale assume le tipiche forme lineari, o a pettine direttamente a ridosso della costa. Nelle aree più interne, invece, lo sviluppo residenziale ha seguito differenti traiettorie: attestandosi direttamente sulla viabilità, sia principale che secondaria come a Paternò e Trecastagni; negando il rapporto con la viabilità, e assumendo di conseguenza la tipica configurazione a nebulosa come nel comune di Misterbianco; o ancora seguendo i tracciati della viabilità di collegamento tra i diversi centri urbani, quali ad esempio Pedara, Nicolosi, Mascalucia, determinando la tipica forma ramificata. Oltre a forme di urbanizzazione di tipo residenziale è possibile trovare alcuni ambiti fortemente specializzati a carattere produttivo/commerciale che assumono la forma a blocco (come nel caso dell’area sud di Catania) o andamento di tipo lineare come nei casi di Gravina o San Giovanni La Punta. In particolare il blocco produttivo/commerciale a sud di Catania offre un interessante campo di osservazione in quanto si sviluppa in un'area tradizionalmente agricola in cui l'attività industriale è stata progressivamente sostituita da strutture commerciali. Inoltre dal punto di vista morfologico, la forma a blocco dell’agglomerato presenta caratteristiche di bassa densità mostrando ancora aree agricole residuali attualmente in abbandono. In termini di impatti sul sistema ambientale va rilevata nell'area la presenza della RNO Oasi del Simeto, del SIC (ITA070001) Foce del fiume Simeto, Lago Gornalunga e della ZPS (ITA070029) Biviere di Lentini, tratto del Fiume Simeto e area antistante la foce. Ciò determina forme di frammentazione areale tanto sull'intorno agricolo quanto sulle aree di interesse naturale che, come nel caso del SIC Foce del fiume Simeto, Lago Gornalunga e della ZPS Biviere di Lentini, tratto del Fiume Simeto e area antistante la foce, sulle quali grava un ulteriore blocco residenziale a bassa densità che si attesta lungo la linea di costa.

4 | Dalle criticità agli indirizzi di progetto Malgrado abbia risentito moltissimo delle pressioni antropiche esercitate prevalentemente dalla crescita del sistema insediativo, il patrimonio delle aree di interesse naturale riferito tanto al contesto palermitano quanto a quello catanese, mantiene ancora significativi livelli di identità e riconoscibilità il cui valore è affidato, tuttavia, ai singoli strumenti urbanistici e, pertanto, ad oggi non risulta adeguatamente e organicamente tutelato. In entrambe le realtà territoriali, infatti, non sono stati mai approvati strumenti di pianificazione d’area vasta (Schilleci, 2005), e in particolare di livello metropolitano, né tanto meno risultano vigenti strumenti di tutela 2 riferiti alle aree di interesse naturale. La stretta relazione tra sistema naturale e antropico, soprattutto se riferita a contesti metropolitani, impone una pianificazione del territorio slegata dagli approcci settoriali tradizionali, per indirizzarsi verso forme di programmazione e progettazione integrate e di ampio respiro in grado di governare le complesse dinamiche territoriali che relazionano le forme degli insediamenti e gli spazi aperti. Infatti una possibile strategia di 2

Escludendo i piani paesaggistici e i piani di parchi e riserve che, per differenti cause, ad oggi sono quasi del tutto assenti, gli unici strumenti di pianificazione ambientale attualmente vigenti sono i piani di gestione dei siti Natura 2000 redatti sui residui fondi del POR 2000-2006 e approvati tra il 2009 e il 2011, i cui effetti rimangono tuttavia distanti dalle dinamiche territoriali che interessano ambiti più vasti e pertanto necessitano di più adeguati strumenti di governo.

Filippo Schilleci, Annalisa Giampino, Vincenzo Todaro

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contenimento della pressione urbana può essere attuata attraverso la definizione di un sistema di connessioni ambientali che metta in relazione le aree verdi di livello urbano con quelle extraurbane di livello territoriale in modo tale da proiettare i contesti metropolitani verso modelli sostenibili di pianificazione del territorio (Schilleci, 2008). Tale strategia sottende un doppio valore funzionale: ecologico, in quanto mettendo a sistema le aree di interesse naturale rende possibili i naturali scambi biologici tra queste e le specie presenti; antropico, in quanto potenzia il sistema di fruizione di tali aree a fini sociali e ricreativi. A partire da tali considerazioni, in relazione agli indirizzi per la pianificazione urbanistica, è possibile individuare alcuni elementi per la definizione di un progetto di territorio sui contesti metropolitani che non possa prescindere dal:  riconoscimento, all’interno dei singoli settori di espansione urbana, delle 'regole' insediative che rispettino e rafforzino la matrice territoriale di riferimento (nel caso specifico costituita dai potenziali elementi di collegamento ecologico-ambientale presenti e dalle aree agricole di pregio) attribuendole valore strutturante;  perseguimento di un modello di città 'compatta' e la concentrazione della sua crescita futura lungo i nodi e le direttrici infrastrutturali presenti che finiranno per attrarre la futura domanda insediativa, con effetti di ordine strutturale nella organizzazione complessiva del territorio e in grado di ridurne la crescita disordinata;  perseguimento di un modello di sviluppo territoriale in equilibrio ecologico, produttivo e sociale con il relativo territorio, fondato sulla messa in valore delle specificità dei singoli nodi locali (Magnaghi, 2010).

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Filippo Schilleci, Annalisa Giampino, Vincenzo Todaro

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La ragnatela della continuità

La ragnatela della continuità Daniel Screpanti Università degli Studi dell’Aquila Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile-Architettura, Ambientale Email: danielscrepanti@gmail.com Tel +39 339 8674576 /fax +39 0734 654000 Piernicola Carlesi Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio Email: piernicolacarlesi@yahoo.it Tel +39 347 8760200 /fax +39 0873 368099

Abstract Dispersione e precarietà dell'odierna vita umana sono messe in luce più nitidamente dalla crisi economica. Per capire la causa del problema, ed impostare una strategia di intervento sulle condizioni di abitabilità dei luoghi, ci siamo riferiti a sistemi urbani contemporanei dotati di piccoli centri storici. Qui lo studio del rapporto tra "correnti economiche" globali e territorio risulta più evidente che altrove, soprattutto dove le intersezioni con lo spazio fisico dei "tralicci di produzione" esistenti, talvolta a supporto di circuiti produttivi di attraversamento globale, generano una semplice griglia di punti. Tale configurazione di “passaggi produttivi" isolati non è in grado di assorbire l'alternanza casuale delle catene di produzione e le variazioni nei singoli cicli senza rendere incerto il lavoro. Forse, con il progetto di "paesaggio tra i passaggi" sarebbe utile tessere dei "filamenti produttivi", legittimati come "vettori durevoli di valori comuni contemporanei - la tecnologia, la mobilità e l'ecologia", che in caso di cedimenti consentirebbero alla "tela produttiva" di comportarsi come una ragnatela. "Individuare soluzioni" di crescita per un territorio è stato troppo a lungo il compito dell’urbanistica. Oggi, l'inefficacia delle sue previsioni e l'impotenza delle sue pratiche, spesso autoreferenziali, contribuiscono a mettere la disciplina di fronte ad una finalità diversa: "intercettare le condizioni" affinché, attraverso la libertà di scelta dei singoli individui, la crescita possa avvenire, o non avvenire. L'urbanistica contemporanea dovrebbe pertanto concentrarsi sullo studio dei fattori per la prosperità presente dei luoghi piuttosto che stabilire, come troppo spesso ha fatto in passato, se sia preferibile crescere o decrescere e come farlo. La crisi della crescita, o meglio le incertezze sulla crescita e le sue modalità rappresentano tuttavia un’occasione. Consentono infatti alla lente disciplinare di ri-focalizzarsi su quella che oggi appare come la principale questione da cui dipende la prosperità dei luoghi e, conseguentemente, la loro eguale e sostenibile abitabilità come forma di giustizia sociale. Stiamo parlando della certezza del lavoro. La certezza del lavoro è senza dubbio un tema urbanistico in quanto rappresenta una delle condizioni basilari affinché ci possa essere vita umana in un territorio. Per meglio comprendere l’attuale precarietà di questo fattore, e capire come il nostro mestiere possa contribuire in maniera decisiva ad un suo sviluppo positivo, ci siamo riferiti a situazioni in cui il sistema urbano contemporaneo, caratterizzato da morfologie estensive sensibili all’azione delle "correnti economiche" globali, presenta dei piccoli centri storici tra i suoi elementi territoriali. Una tipologia contestuale piuttosto frequente in Europa occidentale e che di sicuro caratterizza tutta l’Italia. Questi contesti sono stati investiti dalle moderne trasformazioni territoriali ed economiche più tardi rispetto ad altre realtà più mature, sebbene in taluni casi, i cambiamenti abbiano avuto una velocità ed una intensità persino superiori. L'aspetto che ci ha motivato nella loro scelta è stato la migliore comprensibilità, al loro interno, del rapporto tra circuiti di produzione, cicli produttivi e strutture spaziali.

Daniel Screpanti, Piernicola Carlesi

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Un ulteriore motivo di interesse è derivato dalle condizioni di abbandono e di degrado sociale presenti in buona parte degli agglomerati storici presenti, oltre che negli insediamenti e nei territori situati nelle loro immediate vicinanze. Caratteristiche che abbiamo riscontrato con maggiore evidenza quando le aree considerate sono state coinvolte da eventi catastrofici come i sismi che hanno interessato l’Italia negli ultimi anni. Nei sistemi urbani analizzati, il recente mutamento dei modelli economici che ha interessato l'occidente, proprio come è avvenuto in quelli dotati di grandi centralità, ha innescato dei processi di dismissione delle filiere di produzione fisica di materie ed oggetti a vantaggio di un sistema, talvolta costituito da catene, di cicli isolati per la produzione immateriale di idee o servizi. Osservando il fenomeno, abbiamo notato come nello spazio abbiano agito progressivamente due dinamiche distinte. Da un lato, un processo di allungamento nel territorio di circuiti produttivi spesso esterni alla realtà geografica di riferimento e, dall'altro lato, un crescente accorciamento delle sequenze di produzione dell’economia preindustriale1 di tipo agricolo ed artigianale. Filiere produttive, queste ultime, che per secoli avevano retto l'economia locale e consentito, in alcune regioni, forme particolari di “industrializzazione senza fratture” (Fuà, Zacchia, 1983). Se la prima dinamica che abbiamo individuato è riconducibile all'innovazione esercitata dai sistemi economici globali contemporanei sui circuiti di produzione per superare gli ambiti ristretti della sequenza produttiva dell’impresa di tipo tradizionale e ricercare nuovi mercati, la seconda tendenza va intesa come tentativo di ricercare una nuova vocazione di impresa, che trova mission aziendali nuove nel turismo e nello sfruttamento sistematico del patrimonio culturale. Al di là delle differenze, le due dinamiche condividono tuttavia l’inclinazione al restringimento del campo di azione spaziale dei singoli cicli di produzione con la simultanea ricerca di una vasta area di mercato da coprire sia a livello di influenza territoriale che culturale (Figura 1).

Figura 1. Descrizione di un sistema urbano contemporaneo dotato di piccoli centri storici, della sua capacità lavorativa altezza dei "tralicci di produzione", e della durata dei cicli e dei circuiti di produzione esistenti nel territorio - estensione bidimensionale dei "passaggi produttivi".

1 “L'aggettivo preindustriale è entrato nell'uso della storiografia economica a partire dagli anni Cinquanta. Con esso naturalmente non si indicano i sistemi economici esistiti prima della nascita dell'industria. Sarebbe inesatto, dal momento che l'industria, pur in forme diverse, è sempre esistita perché sempre si è avuta la necessità di trasformare i materiali (in questo consiste l'industria). Il termine si riferisce di solito alle economie che precedono l'industrializzazione contemporanea iniziata con la rivoluzione industriale. Cronologicamente l'aggettivo preindustriale, inteso alla lettera, dovrebbe abbracciare ogni epoca prima dell'industrializzazione, e quindi comprendere le economie più remote” (Malanima, 1995; p.246). Daniel Screpanti, Piernicola Carlesi

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Dal punto di vista spaziale, gli effetti delle tendenze che abbiamo rilevato sono indubbiamente estremi quanto inediti. Infatti, osservando i contesti colpiti con maggiore forza dalla rapidità e dalla intensità delle trasformazioni, abbiamo notato come le nuove situazioni di abbandono e di degrado siano molto diverse rispetto a quelle rintracciabili nella storia passata degli stessi territori. In particolare, in maniera differente rispetto a quanto accaduto con il progressivo svuotamento dei centri minori e delle loro campagne negli anni del dopoguerra, possiamo notare come nella condizione attuale i mezzi territoriali interessati dalla dismissione delle sequenze produttive preindustriali di cui erano meccanismo non si trovino mai isolati. Essi al contrario presentano sempre situazioni di prossimità, tangenza o intersezione con altri dispositivi attivi che permettono la progressione di cicli e circuiti di "correnti produttive" contemporanee in fase di assestamento, di consolidamento o a loro volta di dismissione. Lo stato di fatto che abbiamo riscontrato presenta delle differenze anche rispetto alle situazioni di dismissione produttiva nei sistemi urbani che presentano tra le componenti territoriali centri di dimensione media o grande. Nei contesti considerati, infatti, le potenzialità di sfruttamento immediato e di riconversione economica delle aree su cui insistono i mezzi produttivi dismessi non sono e non possono essere le stesse. Al loro interno, inoltre, le meccaniche della rendita fondiaria si sviluppano a fatica a meno che non vi siano nuove condizioni di prossimità con le estensioni dei centri maggiori esistenti in sistemi urbani limitrofi e che godono della presenza di sistemi economici più solidi, diversificati ed attrattivi. Dalle verifiche che abbiamo effettuato nei sistemi urbani esaminati ci siamo resi conto che le recenti trasformazioni economiche non hanno quasi mai attivato nuove dinamiche produttive nell’intorno spaziale dei loro cicli e circuiti. Lo scambio tra le "correnti produttive" contemporanee ed i contesti è pertanto risultato quasi sempre unilaterale. Le catene di produzione hanno una estensione molto vasta nel territorio ma solo in termini di dimensione complessiva della loro profondità e della loro ampiezza. Infatti i circuiti produttivi, quasi sempre di attraversamento ed appartenenti a sistemi economici in gran parte esterni ai territori su cui transitano, nella maggior parte dei casi realizzano solo intersezioni puntuali con lo spazio contribuendo a formare semplici griglie di "passaggi produttivi puntiformi". Tali configurazioni spaziali consentono sicuramente un soddisfacimento immediato delle esigenze di flessibilità ed elasticità delle meccaniche economiche globali contemporanee, aperte per definizioni a molteplici e variabili relazioni produttive e di mercato. Allo stesso tempo, tuttavia, non contribuiscono affatto a sviluppare diffusioni spaziali e permanenze temporali significative dei "passaggi produttivi" esistenti. Condizioni che favorirebbero la diminuzione dell'incertezza lavorativa nei sistemi urbani considerati. In conclusione, possiamo affermare che dagli studi condotti le nuove dimensioni di impresa ed i circuiti produttivi contemporanei presenti non sono quasi mai dei reali fattori di sviluppo territoriale, dunque di prosperità collettiva. E come se non bastasse favoriscono l’incertezza dei processi lavorativi presenti. Questi problemi sono stati indubbiamente aggravati da una serie di debolezze della disciplina urbanistica. Si pensi all'eccessiva lentezza nel riconoscere il lavoro come fattore centrale per l'abitabilità dei luoghi contemporanea o al trattamento insicuro del problema della sua precarietà e dispersione territoriale anche in contesti diversi e più favorevoli rispetto a quelli considerati. Nei territori dei piccoli centri, infatti, ulteriori problematiche hanno sviato il percorso progettuale dal raggiungimento di un obiettivo ambizioso quanto necessario come la certezza del lavoro. Basti pensare all’impossibilità di mutare assetti morfologici già definiti e con densità da mantenere, o all’oggettiva difficoltà di ipotizzare mix articolati di attività economiche senza poterli dotare dei sostegni infrastrutturali tecnologici e per la mobilità necessari al loro funzionamento. A tutto questo si è poi aggiunta, soprattutto nei centri minori, la tendenza dei progettisti a trattare gli spazi collettivi come luoghi da destinare al tempo libero degli abitanti o ad intercettare la fruizione turistica. In questo modo, lo spazio tra le strutture e di uso comune ha progressivamente smarrito le funzioni che aveva sempre avuto di articolazione delle pratiche produttive e di legame tra queste ultime e quelle abitative. Nei sistemi urbani considerati, un più recente contributo all’indeterminatezza dei progetti dal punto di vista della costruzione di condizioni lavorative certe è infine giunto dal paesaggio. Da risorsa produttiva, esso si è trasformato in un ostacolo insormontabile per l’avvio di nuove filiere produttive nel territorio o per la stabilizzazione e la diffusione dei cicli esistenti. Le sue caratteristiche socialmente significative, unite all'ampliamento sia in termini culturali che ecologici della sua attuale dimensione produttiva, lo avrebbero dovuto rendere un mezzo strategico importante per trasformare gli spazi in mutamento2 con particolare attenzione all'affinamento delle condizioni per l’abitare contemporaneo. Così non è stato in quanto, a dispetto delle premesse, il progetto di paesaggio si è ridotto, nella maggior parte dei casi, all’inserimento di nuove geometrie funzionali nel territorio. 2

Un recente incontro tenutosi presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze ed intitolato “Paesaggi in mutamento. L’approccio paesaggistico alla trasformazione della città europea” (coordinatori: Annick Magnier, Maurizio Morandi) ha contribuito ad evidenziare come il paesaggio sia uno strumento analitico utile a trasformare degli spazi in mutamento nel rispetto di caratteristiche socialmente significative.

Daniel Screpanti, Piernicola Carlesi

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Composizioni spaziali, o più frequentemente apposizioni di limiti d'uso, che in realtà, per quanto abbiano tentato di rapportarsi alle varie scale con le reti territoriali per migliorare le performances complessive dei sistemi, hanno più che altro quasi sempre esaurito le potenzialità di trasformazione dei contesti, sia in termini spaziali che per quanto concerne le pratiche sociali ed economiche. Le esigenze di tutela e quelle di mimesi dell’immagine consolidata dei luoghi, frequentemente confusa con un'equivoca quanto fuorviante identità da difendere, hanno poi schiacciato definitivamente anche le intenzioni progettuali più radicali, per non parlare di quelle più modeste e solo riformatrici, impedendo qualsiasi azione volta a creare nuove relazioni territoriali tra i “passaggi produttivi” presenti. Questi nuovi legami, agendo prevalentemente sui "vuoti produttivi" tra i cicli di produzione esistenti, avrebbero potuto mantenere la flessibilità produttiva consentita dall'attuale configurazione territoriale dei "passaggi". Si sarebbe così perseguita una strategia di stabilizzazione e di diffusione del lavoro, la quale nei sistemi urbani contemporanei con presenza di piccoli centri avrebbe sicuramente richiesto un diverso approccio al progetto di paesaggio. Rispetto a quanto è stato fatto finora si dovranno probabilmente creare nel territorio dei “filamenti produttivi durevoli” a formare una tela tra i "passaggi produttivi" isolati esistenti (Figura 2). Una sorta di rete analoga alla tela del ragno anche in termini di concezione strutturale del suo comportamento meccanico. Infatti, come risulta dalle simulazioni effettuate da Cranford e Buehler del Massachussetts Institute of Tecnology, la ragnatela è concepita per reagire in modo complessivo quando viene perturbata. I filamenti costituenti hanno ruoli diversi nell’attenuazione del movimento ed in presenza di sollecitazioni molto forti solo dei tratti vengono sacrificati. Questo permette alla rete nel suo complesso di continuare ad esercitare la sua funzione anche dopo un uragano. Il ragno, quindi, anche dopo una catastrofe naturale, continuerà ad essere avvertito della presenza di un insetto in trappola e conseguentemente potrà sopravvivere. La capacità della ragnatela di resistere ai cedimenti locali fa sì che essa rappresenti un modello interessante per la creazione di continuità produttive durature tra i "passaggi produttivi" presenti. Nei sistemi urbani considerati, infatti, come abbiamo detto, le variazioni nei cicli di produzione o le alternanze più o meno casuali delle catene produttive sono all’ordine del giorno e si producono incessantemente considerata l’incertezza dei sistemi economici globali contemporanei a cui appartengono. Il comportamento non lineare della “rete produttiva durevole” da realizzare tra i "passaggi" esistenti, analogamente a quanto avviene in una ragnatela, in presenza di perturbazioni, permetterebbe di sacrificare aree locali della "tela di produzione" eccessivamente stressate senza però pregiudicare la certezza del lavoro. La "rete" infatti potrebbe sopravvivere deformandosi o cedendo dei "filamenti" quando alcuni “passaggi produttivi” vengono dismessi, de-localizzati o semplicemente sollecitati da imprevedibili crisi delle economie a cui appartengono. Il senso profondo della “tela produttiva durevole”, infatti, è proprio quello di non smettere di funzionare anche in situazioni critiche e di mantenersi comunque attiva anche se con una capacità ridotta (Figura 3). Per essere meno astratti, quando una sollecitazione puntuale molto forte colpisce una ragnatela i filamenti radiali si deformano maggiormente rispetto agli altri finché, nel momento in cui la tensione diventa massima, cede solo uno dei diversi fili colpiti dall'azione stressante. La strategia che il ragno persegue nella costruzione della sua ragnatela coincide con la sua finalità – il suo istinto gli evita, in caso di problemi e di situazioni critiche ed imprevedibili, di dover rifare l’intera rete spendendo un’enorme quantità di energie e di tempo. La “rete produttiva durevole” che dovremo realizzare richiederà pertanto un’impostazione simile volta a far coincidere la modalità di intervento con gli obiettivi da raggiungere. Per questo la continuità spaziale e temporale dei “passaggi produttivi” esistenti andrà stabilita individuando tra i cicli di produzione dei "filamenti" che siano produttivi e durevoli allo stesso tempo. La tipologia di produttività richiesta alle sequenze territoriali che costituiranno la "rete" condizionerà la scelta dei "mezzi" spaziali già disponibili per la loro generazione. Questi dovranno infatti garantire allo stesso tempo un legame produttivo di supporto ai cicli di produzione presenti ed essere "vettori di valori comuni contemporanei - la tecnologia, la mobilità e l'ecologia". Solo così si potrà perseguire una legittimazione dei “filamenti produttivi" che sarà necessaria per poterli prevedere, a livello politico, su un piano legislativo e programmatico, e per poterli progettare, a livello urbanistico, creando le condizioni per l’abitabilità dei luoghi nei sistemi urbani contemporanei. Un ulteriore requisito che i “filamenti produttivi” dovranno avere come già detto sarà quello della durata. È evidente che si tratta di una scommessa che può essere affidata alle garanzie dell'esperienza passata oppure alla speranza di riuscire a controllare il futuro. Per questo motivo la diffusione e la stabilizzazione del lavoro nei sistemi urbani considerati potrebbe essenzialmente avvenire proponendo due tipologie di sequenze durevoli: i "filamenti produttivi preindustriali" o, in alternativa, quelli "di sostenibilità". Nel primo caso, parti della “rete produttiva durevole” verrebbero realizzate con “filamenti produttivi di energia e riciclo" mentre, nel secondo caso, le filiere sarebbero costituite con sequenze territoriali produttive "di materie ed oggetti", di diversa natura, origine e consistenza. Daniel Screpanti, Piernicola Carlesi

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La scelta della tipologia di continuità temporale da ricercare con i “filamenti produttivi” ed il calcolo delle incertezze non potranno che dipendere dal mestiere e dalla sensibilità dei singoli progettisti. Dall'uso abile ed artistico degli strumenti disciplinari a disposizione dipenderà anche la capacità di unire ed integrare quanto più possibile i “valori comuni contemporanei” nelle sequenze territoriali produttive della ragnatela tra i “passaggi produttivi” esistenti.

Figura 2. I "filamenti produttivi durevoli", legittimati come "vettori durevoli di valori comuni contemporanei - la tecnologia, la mobilità e l'ecologia", tessono la "tela" tra i "passaggi produttivi puntiformi" esistenti per diffondere e stabilizzare il lavoro.

Figura 3. La "tela produttiva durevole" reagisce complessivamente alle perturbazioni dei circuiti e dei cicli di produzione esistenti riducendo l'incertezza del lavoro in funzione dell'andamento delle "correnti economiche". Daniel Screpanti, Piernicola Carlesi

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Bibliografia Francesco Alberti, (2003). Il paesaggio come alternativa, geometrie essenziali nella progettazione urbana contemporanea in Francia, Firenze, Alinea. Marc Augé, (2003). Le Temps en ruines, Paris, Éditions Galilée. Marc Augé, (1997). L’Impossible voyage. Le tourisme et ses images, Paris, Éditions Payot & Rivages. Paolo Baldeschi, (2011). Paesaggio e territorio, Firenze, Le Lettere. Zygmunt Bauman, (1999). La società dell’incertezza, Bologna, Il Mulino. Berque A., (1999). All’origine del Paesaggio. Lotus International, 101, 42-49. Carlesi P., (2008). Industria in città. I materiali del progetto urbano per attribuire senso all’industria come città. Eda - Esempi Di Architettura, 5, 78-83. Cranford S.W., Tarakanova A., Pugno N., Buehler M.J., (2012), Nonlinear material behaviour of spider silk yields robust webs. Nature, 482, 72-76. Giancarlo De Carlo, (1989). Lastra a Signa Progetto Guida per il Centro Storico, Milano, Electa. Giorgio Fuà, Carlo Zacchia, a cura di (1983). Industrializzazione senza fratture, Bologna, Il Mulino. Martin Heidegger, (1976). Saggi e discorsi, Milano, Mursia. Rem Koolhaas, (1978). Delirious New York: a retroactive manifesto for Manhattan, London, Thames & Hudson. Paolo Malanima, (1995). Economia preindustriale: mille anni, dal XI al XVIII secolo, Milano, Bruno Mondadori. Sebastien Marot, (1996). Il ritorno del paesaggio, Milano, Federico Motta. Maurizio Morandi, Francesca Bai, Daniel Screpanti, (2012). La città diffusa nella piana Firenze-Prato-Pistoia, in «La città fuori dalla città», a cura di Marisa Fantin, Maurizio Morandi, Maurizio Piazzini, Lorenzo Ranzato, Roma, INU Edizioni. Pinon P., (1986). Le voyage d’Italie. Cahiers du CCI - Centre de Creatione Industrielle du Centre Georges Pompidou, 1, 65-68. Nuno Portas, (2005). Una strategia per la città ampia, la città esplosa e la città estensiva, in «Questioni della città contemporanea», a cura di Maurizio Marcelloni, Milano, Franco Angeli. Daniel Screpanti, Piernicola Carlesi, (2012). Preindustriale e prospettive di ricomposizione del rapporto territoriale, in «Architettura, città, società. Il progetto degli spazi del lavoro», a cura di Sara Marini, Alberto Bertagna, Francesco Gastaldi, Venezia, Università IUAV. Manfredo Tafuri, (1973). Progetto e utopia: architettura e sviluppo capitalistico, Bari, Laterza.

Daniel Screpanti, Piernicola Carlesi

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‘Food and the City’. Rethinking Hannover food system. The potential of a regional Foodshed.

‘Food and the City’ Rethinking Hannover food system. The potential of a regional Foodshed Emanuele Sommariva* Leibniz Universität Hanover, Department of Urban Design and Planning, Researcher and Lecturer Università degli Studi di Genova, DSA, Ph.D. Candidate Urban Design, XXV cycle Email: sommariva@staedtebau.uni-hannover.de Christian Haid* Leibniz Universität Hanover, Department of Urban Design and Planning, Researcher and Lecturer Technical University Berlin DFG Fellow and Ph.D. Candidate at the Center For Metropolitan Studies International Graduate Research Programme Berlin - New York - Toronto Email: haid@staedtebau.uni-hannover.de

Abstract After more than two centuries of industrial process' centrality, today urban development programmes and social organization systems resulted in the marginalization of agriculture and rural areas. In people’s preception urban development and agriculture, and therefore also food production, are decoupled. This paper deals with food as a device of planning in Hannover metropolitan region, home to a high-performing and innovative agroindustry whose products are demanded all over the world. For this reason 'Food and the City' was initiated as a research platform with the intention to suggest a new vision for the future urban development of Hannover as a Rural Metropolis. Moreover it aims to investigate the theoretical positions and some applied strategies (landmarks, urban fringe, land reclamation) related to open spaces and peri-urban areas, considered as potential resource for Hannover's sustainable development. Keywords city-countryside duality, Hungry City, food chains.

Rediscovering regional - city resilience In the early 1990s, landscape architecture aspired to be the premier design discipline in the vast territories that were neither landscape nor city, the semi-urban conditions whose rapid proliferation resulted in numerous neologisms such as Zwischenstadt, the Rurban or Drosscapes, congregated as fields of interest under the definition of landscape urbanism, coined by Charles Waldheim1. Despite this, while the urban sprawl model continues to be adopted globally, the ecological role of peri-urban countrysides is drawn apart from people's perception. So, the term reintegration represents the main point of this paper, dealing with agriculture and food production as future themes for urban design in order to redefine the role of open spaces within contemporary cities; both a strategic and structural theme.

* Emanuele Sommariva is the author of ‘Rediscovering regional - city resilience’, Christian Haid is the author of ‘Hannover as a Rural Metropolis ?’. 1 Charles Waldheim claims to have started thinking about the Landscape Urbanism after Koolhaas' vision described in Koolhaas R. (1978) Delirious New York. A Retroactive Manifesto for Manhattan, Monacelli Press, New York, as a necessity to question himself about the role and the future problems due to the global development of the metropolitan model. Similarly can be read Venturi R., Scott Brown D., Izenour S. (1972) Learning from Las Vegas, MIT University Press, Boston, or Banham R. (1971) Los Angeles. The Architecture of Four Ecologies, University of California Press, L.A. Emanuele Sommariva, Christian Haid

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‘Food and the City’. Rethinking Hannover food system. The potential of a regional Foodshed.

Since 1826 Johann Heinrich von Thünen2 has defined a model of urbanity which locates inside, enclosed in the urban tissue, as well as between the peripherical zones, places for agricultural production, according to territorial systems that will be used later by the early theorists of modern urbanism. Studies about the food supply/production system were also led by Patrick Geddes and in particular Ebenezer Howard, whose theories perhaps still related to a typical feudal economy, as described in 'Garden Cities of To-Morrow' (1898), however influenced the urban planning discipline to a more comprehensive and territorial oriented conception. A decade later, partly in response to the Great Depression, urban planners saw this relationship with the periurban regions as a sort of bridge between the practice of subsistence agriculture in rural regions and of the social vulnerability of the working classes in suburban areas. In this sense, Frank Lloyd Wright's 'Broadacre City', as represented in the book 'The Living City' (1932), or Hilberseimer's theories on regional planning, as described his books 'The City in the Landscape' (1944) and 'New Regional Pattern' (1945-49), can be read as large-scale views to reconnect territorial uses and urban spaces. If any of these models could aspire to build different visions of modern urban planning remains controversial, but in the matter of an ongoing disciplinary realignment, significant are Rem Koohlaas' words «If there is to be a 'new urbanism' […] it will no longer be concerned with the arrangement of more or less permanent objects but with the irrigation of territories with potential; it will no longer aim for stable configurations but for the creation of enabling fields that accommodate processes that refuse to be crystallized into definitive form» (Koohlaas, 1995: 958-971). Moreover, if the food systems have organized the territories for centuries - in particular the countryside - not so much until now has been written about how food production can affect directly urban contexts in terms of spatial transformations. As Serge Bonnefoy reminds us «the relationship between cities and agriculture are as old as the city itself» (Bonnefoy, 2005: 24) and these networks concern both the extensive agricultural regions, and the so called peri-urban areas, more directly influenced by the dynamics and the evolution process between space and society. In particular this work investigates Hannover's territory because of an agricultural predominant character well depicted both in German's and visitors' common imaginary. «Hannover is said to be an agricultural country; which merely means, that people still remain in that first state of improvement in which men, after having wandered with their flocks, erect fixed habitations, and cultivated the ground, but have neither capital nor ingenuity to establish extensive manufactories, and to carry on commerce...» (Hodgskin, 1820: 12-15). With these words the social and economical English journalist Thomas Hodgskin3 describes , in his journey through Europe at the beginning of XIX century, the rural character of Lower Saxony and in particular Hannover Region, as well as its inhabitants. If he was here, maybe would be totally surprised by the level of innovation and the shift to a high-tech agro-business activities, well represented during AGRITECHNICA Fair4.Today, Lower Saxony is one of Germany’s most intensive agricultural state - second only to Bayern in terms of croplands and numbers of farms, home to a high-performing and innovative food brands, such as Bahlsen and Wiesenhof, whose products are demanded all over the world5. According to the data collected by Lower Saxony's Chamber of Agriculture6, today more than 60% (2.9 Mil ha) of the total land area (4.8 Mil ha) is used for agricultural production. Moreover, the Region produces far more 2

Johann Heinrich Von Thünen was a prominent XIX century German economist and botanist. He has been one pioneer on urban/rural development theories connected with agricultural activities, with the essay Der isolierte Staat: Beziehung auf Landwirthschaft und National- őkonomie (The isolated city). The importance lies less in the pattern of land use predicted than in its analytical approach. Von Thünen developed the basics of the theory of marginal productivity in a mathematically rigorous way, starting from Adam Smith's idea of economic man, deals with agricultural economical relationship within the territories and in particular on farming activities. 3 Thomas Hodgskin was an XIX century English journalist and writer on political economy, critic of capitalism and defender of free trade and early trade unions. Finished his studies at Edinburgh University and travelling around Europe he joined forces with Joseph Clinton Robinson in founding the Mechanics Magazine, writing a manifesto for a new technical school: the Mechanics Institute. His main works are Travels in North Germany (1820), Labour Defended against the Claims of Capital (1825), Popular Political Economy (1827) and Natural and Artificial Right of Property Contrasted (1832). 4 AGRITECHNICA Fair is one of the leading international exhibition for agricultural machinery and equipment exhibitors. The numbers are impressive and give a clear perception of the dimensions: 420.000 visitors from 83 countries, including 38.000 international experts, covering an exhibition area of 388.000 m², for more than 2.700 exhibitors. For more detailed information see also (www.agritechnica.com). 5 Lower Saxony's food industry, with a turnover of more than 20 billion € and well over 100,000 employees, is the state’s second most important economic sector after automotive and tractor industries. Internationally successful companies combine their long tradition in the production of high-quality foodstuffs with new production processes and perfected marketing strategies, one of the leading food industries network in Northern Europe. For more detailed information see also (www.nglobal.com). 6 Crop and greenland for selected foodstuff with supposed regional production of all animal feed and all vegetables and fresh fruit. Based on land required for harvest data for 2004/05, lowered 10% for increased productivity since then. Harvest data for vegetables 295 kg/ha 2007 in Germany, assumption for biologial land use 150%. Harvest data of fresh fruit averaged (stone and pomaceous fruit and berries) and projected for Lower Saxony, assumption for biologial land use 150%. Consumption of milk and mild products for 2004/05. For a more exhaustive and detailed description about the calculation Emanuele Sommariva, Christian Haid

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food than what is usually consumed by its 8 million inhabitants. If food can still be considered as an important "material" on which built up territorial strategies and city development programs, will be crucial for the future sustainability, defining the local food supply within a territory. With the term Foodshed, coined by W.P. Hedden in the book 'How great cities are fed' (1929), we refers to a geographic entity in which food is produced/transformed and distributed for a particular population7. In this way, as a preliminary step, Food and the City research aims to study the Lower Saxony's regional food capacity and compare with other territories. The following table outlines Munich's annual yearly food demand calculation, used as a methodological reference for this study. Table I. Agricultural land required per person/year for food supply in Germany, source: Schröder J., Baldauf T., Deerenberg M., Otto F., Weigert K (2009) Metro Food – A metropolitan vision of food autarchy based on rural-urban reconfiguration

Food consumption

Conventional integrated agriculture

[Kg/person/year]

Biological agriculture

c/i land use

[m2/Kg]

1,7 2,3 2,7

2,9 3,1 4,0

104,7 20,5 43,5

178,6 27,6 64,4

2,8 0,3 1,4 1,1 2,2

3,5 0,5 1,4 1,7 3,3

1,7 20,6 44,9 98,6 170,0

2,1 34,3 44,9 147,8 255,1

504,5

754,8

2

[m /Kg] crop and vegetables foods wheat flour rye flour other flours rice pulces potatoes and starch sugar vegetables fresh fruit citrus fruit edible oil

61,6 8,9 16,1 4,5 0,6 68,5 32,1 89,6 77,3 41,5 11,2

animal food (slaughterweight) pork 55,6 beef and veal 12,6 poultry 18,0 bowels and giblets 0,9 sheep and goat meat 0,8 venision and rabbit 2,0 fish 1,1 milk and milk products 355,8 eggs and egg products 13,1

eco landuse

person/year [m2]

person/year [m2]

9,2 10,3 6,3

12,2 13,8 9,2

511,5 129,8 113,4

645,3 172,9 165,6

27,2

30,6

21,8

24,5

2,0 3,6

2,5 5,2

711,6 47,2

839,5 68,1

1535,3

1915,7

2

2755 m2

2040 m

0,20 ha

0,28 ha

Considering the individual diet and calculating the equivalent agricultural land required per person/year for food supply around 0.20 to 0.28 ha, Lower Saxony's agricultural land can provide food for 12 to 14 million people. According to these factors the role of agriculture and food supply has to be reevaluated within the development of Hannover Region. This has to do not only with economic and social aspects, but of course with the urban structure and its spatial organization. But How much these factors affect the urban context in terms of spatial transformations? The main goal of the Food and the City research platform and the related design studio class is to suggest possible alternative ways to set up new visions for the future urban development of Hannover as a Rural Metropolis. On a larger scale

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on Munich Region, see also Schröder J., Baldauf T., Deerenberg M., Otto F., Weigert K. (2009) Metro Food – A metropolitan vision of food autarchy based on rural-urban reconfiguration, in De Meulder B., Ryckewaert M., Shannon K. (2009) Transcending the Discipline. Urbanism&Urbanization as receptors of multiple practices, discourses and realities, Katholieke Universiteit Leuven, pp. 223–230 Walter Hedden describes the economic forces that influence where foods are produced/consumed and how they are transported with the term ‘foodshed’ as the «dikes and dams controlling the flows of food from the producer to consumer». His vision contrasts foodsheds with watersheds by noting that «the barriers which deflect raindrops into one river basin rather than into another natural land elevations […] while the barriers which guide and control movements of foodstuffs are more often economic than physical...». In order to provide a more detailed image how food systems work and must be protected see also Getz A. (1991) “Urban Foodsheds”, in Permaculture Activist Journal , vol.1

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Hannover should provide food not only for its territory, but also for Berlin, Hamburg and the Rhein/Ruhr region. The following diagram show the capacity (radius) of Hannover Regional Foodshed.

Hannover Regional Foodshed

Radius 30 km Area 2,435 Mrd m2 provides food for 1, 2 Mil inhabitants Land use of 2040 m2/person Image 1. Hannover Regional Foodshed diagram ‘Food and the City’, 2012/13, Leibniz Universität Hanover.

Hannover as a Rural Metropolis ? The research project addresses the question of how a new green infrastructure can be integrated into an existing and complex city. Urban agriculture8 is one emerging integrative factor for city resilience and is used as a key theme to re-think new potentials of open space systems. In this sense the principle of multifunctionality applied to urban landscapes can become a tactic to react the specific challenges of demands of the contemporary city, in terms of living space, services, food.

Challenge 1: size and shape For a start, one of the challenges is the size of Hannover city and the extent of its surface area. Nowadays, the classic approach of providing open space in the form of parks – if space or financial support still exists – reveals its limitations when confronted with modern urban agglomerations and the city sprawl. On a larger scale, the European open space model of green belts of forests, pastures and grasslands that surround cities in different radial ring systems, is today reconsidered in the urban planning debate not only for its environmental function but also for being an organising landscape infrastructure. The more network-oriented regional parks (especially the agricultural ones) developed in many metropolitan peri-urban areas, and still predominant in Hannover Region, are a contemporary extension of this concept. Of the concepts presently being discussed, few of them – for example the Continuous Productive Urban Landscapes 8

For a more extensive definition of Urban and Periurban Agriculture see Nasr J., Komisar J., Gorgolewski M. (2009) Designing for Food and Agriculture: Recent Explorations at Ryerson University, Open House International, Toronto; Nasr J. (2006) “L’émergence des réseaux d’agriculture urbaine hors de l’Europe, la Multifonctionnalité de l’agriculture périurbaine: vers une agriculture du projet urbain ” (ed.) Fleury A., Cahiers de la multifonctionalité

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(CPULs) represented by Andre Viljoen, Katrin Bohn and Joe Howe – include the idea of productive open space, in order to reconsider all urban left overs as well as vacant lots or other portion of lands potential area in which is possible to grow food within an urban rather than exclusively rural environment. However, the development of irrigated agricultural belts around cities in many case, as such in Hannover Region, is an old tradition. These current and historic approaches may serve as references to show how agricultural land can still shape the city and become part of its iconic body in the future.

Challenge 2: informal space production and flexibility The process of urban spatial production in Hannover Region is characterised by a certain amount of volatility, disintegration, and fragmentation. As in other contexts, in the future the range of spatial patterns will be more and more dependent on the speed of growth and the degree to which it can be controlled through planning. The uncontrolled size of the cities and their mechanisms of land occupation, lead to more heterogeneous structures and a multiscaled interweaving of urban/rural structures, so that hierarchical concepts based on zoning models will no longer give satisfying answers how to integrate with the existing or potential open space systems. In many places these processes lead to the cessation of agricultural practices in peri-urban areas due to speculation. This certainly does not affect all agricultural uses, however. It raises the question of whether, through its ability to modularly add units, agriculture has the flexibility to adapt, in a positive sense, to such spatial volatility. Taking this one step further, such an approach requires the development of attractive business models as an incentive for the continuation of agriculture.

Challenge 3: dual-track-urbanism for the city and its landscape With regard to contemporary Hannover metropolitan area's structure, agriculture or more general the periurban/rural contexts will become a significant component of the city; within the sense of dual-track urbanism both components could be developed parallel to one another as they will co-exist for a fairly long time. Urban agriculture as an open space concept is fundamentally different from parks in two ways: it is productive and it is inhabited, which means that it is both a business entity and a public asset. This relationship and interplay of individual and urban social forces are to be investigated and then supported. Two questions must therefore always be asked planning with urban agriculture: What makes it attractive to an operator and what effect does it have on the city? What is the possible additional value for the city and its residents? How can agriculture profit by being part to the city, by its proximity to producers, consumers, and urban resources such as waste and wastewater? This kind of approach generates many questions about suitable open space, planning tools, and economic concepts, on both a management and urban economics level.

Challenge 4: sustainable and climate-optimised urban development The demands placed on sustainable oriented urban development make today’s green requirements more complex. If, agricultural land use is to remain more than a relict that is constantly under threat of being absorbed in speculative land use processes and a qualitative element in urban development is to be created from this, then new synergies between urban and rural contexts should be created. In order to contribute to sustainable and climate-optimised urban development an open-space system should be as multifunctional as possible. To do so, in Hannover Region it has been considered concept of encompasses a number of different subsidiary concepts related to urban agriculture, such as: • contributing to the supply of urban food, especially if combined with necessary precautions (in term of soil, water and site control) with organic productions • providing recreational leisure opportunities • implementing resource efficiency and urban recycling management (especially biomass associated) • defining ecosystem services, as well as land use preservation or reactivation • integrating private residential functions with public open space for social inclusivity • enhancing urban quality, regenerating neglected, underused or vacant lands. According to a parallel development of these challenges, some applied solutions was developed during the design studio work in fall 2012. With its three thematic focus areas, which address some of the possible synergies in completely different ways – Food Lines, Food Osmotics, Food Streaming – the project has created a common background knowledge as a result of reflexive research action. Each of the proposed entries reacts to a basic questions: How can micro-actors/interventions be empowered to help build a macro landscape? What is their profit and what are their responsibilities? The students work was organised in a multi-scalar approach (from urban to architectural scale) in order to aim at the same target of sustainable development. The structure of every interventions, in particular, tries to provide a Emanuele Sommariva, Christian Haid

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set of design tools and prototypical solutions related to urban agricultural production, re-thinking also the public space organization from the cell of a specifically laid-out individual plot. Thus, bottom-up development and economy are recognised and integrated into a top-down planning scheme. In all of these proposals, for instance, the role of the existing farms, their symbiosis with the urban economy, and the partaking within the organization of urban governance are redefined. The design studio’s approach was to offer three different focus areas, where three scenarios/strategies are applied to different parts of the city and the territory – outside, at the border of and within the city of Hannover. The students’ design proposals, focused on those areas, translated the main concept into real urban systems which are able to generate a new food dynamics, according to the utopian vision of Hannover as the centre of a regional foodshed.

A. Food Lines

Image 2. Food Lines concept and focus area ‘Food and the City’, 2012/13, Leibniz Universität Hanover.

The first context is represented by the former abandoned Raiffeisen areas, located near the S-bahn lines of Hannover. Those areas are characterized by the presence of grain stocking silos, where the Raiffeisen cooperative collected the products coming from the countryside, in order to distribute them inside the city. The link with the main infrastructural system (the S-bahn) was necessary to ensure a quick and efficient service. In these spots, located along the railway lines, the envisaged scenario is to create new rural-urban catalysts where citizens and farmers could meet and exchange their food experience. The projects’ main topic should be the distribution, but it was also possible to integrate consumption and production (such as restaurants, farms etc.). The former silos and warehouses already on site can be recycled for new uses, or kept for storage.

Image 3. ‘Food retail’. A silo genesis, students: Giacalone C., Gerth T., 5th semester Urban design studio ‘Food and the City’, 2012/13, with the Chair for Regional Building and Urban Planning, Leibniz Universität Hanover.

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B. Food Osmotics

Image 4. Food Osmotics concept and focus area ‘Food and the City’, 2012/13, Leibniz Universität Hanover.

The city borders represent the second context. In these areas, especially in the western part of Hannover, the transition from the urban settlement towards the countryside is a very precise and clear limit that occurs abruptly. The fracture is so strong that there’s no relationship between the city and its landscape, also from a productive point of view. In these marginal areas, there are several small farms located, which produce mainly organic products. They are generally run by families or cooperatives. The design studio’s envisaged scenario about those areas is to reconvert them in rural-urban borders that become interfaces of these two realities, the city and the countryside. The main topic is production, but it would be also possible to integrate distribution and consumption (such as restaurants, bars, possible connections to Hannover Grossmarkt, etc). The farms and the warehouses already on site can be integrated in the project. Some additions to the existing volumes must be also provided.

Image 5. ‘Between the scapes’. Interconnecting city and countryside, students: Heine R., Kell J., 5th semester Urban design studio ‘Food and the City’, 2012/13, with the Chair for Regional Building and Urban Planning, Leibniz Universitä

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C. Food Streaming

Image 6. Food Streming concept and focus area ‘Food and the City’, 2012/13, Leibniz Universität Hanover.

The Hannover's water system was radically transformed in the second half of XX century, to mitigate the Ihme river’s flood problems, and restoring urban landscape after the destructions due to the heavy bombing in World War II (in this sense the excavation of the Maschsee lake represented a huge intervention). The lakes and rivers’ system is one of the most important city’s attraction, not only for tourists but also for the residents, as it offers a vast range of different leisure and sport related activities (sailing, biking and walking around the perimeter of the Maschsee lake). The design studio’s main idea about this third context is to transform the water system in a new urban element that can become a sort of food-theatre. The envisaged scenario is therefore to design a new moving water structure, destined mainly to food consumption, which could be capable of attracting people and make them closer to regional food issues. The main topic is thus consumption, but it would be also possible to integrate distribution and production (for example, how about the possibility to integrate in the water structure a fish farm or similar?) The project could have a touristic/leisure goal as well, by promoting activities along the rivers and the lake.

Image 7. ‘Based on water’. New potential for Limmer, students: Will R., Schander V., Goetz J., 5th semester Urban design studio ‘Food and the City’, 2012/13, with the Chair for Regional Building and Urban Planning, Leibniz Universität Hanover.

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Ruralità critiche

Ruralità critiche Ilaria Vitellio Università di Napoli Federico II Email: vitellio@unina.it

Abstract Negli ultimi anni si assiste ad una sorta di ritorno alla terra che appare assumere contorni di un vero e proprio “fenomeno urbano”. Un ritorno che pare caratterizzarsi per un doppio movimento di pratiche e persone. Da un lato l’agricoltura prende sempre più piede in città, dall’altro pratiche agricole in aree rurali appaiono caratterizzarsi come rinnovate declinazioni di culture prettamente urbane. E’ una doppia urbanità infatti quella che emerge, una riferita ai luoghi, la città, dove l’agricoltura viene praticata (gli orti, giardini comunitari, di quartiere, etc.), l’altra riferita alle popolazioni che, prettamente urbane, si trasferiscono altrove, in aree prossime alla città oppure in campagna, adottando processi innovativi appresi in città. A partire dalle diverse interpretazioni di questo ritorno alla terra il contributo si propone di esplorare le nuove ruralità emergenti, dove ruralità contemporanea appare promuovere criticamente una metamorfosi dall’interno delle pratiche “tradizionali”, sperimenta innovazioni utili alla costruzione di politiche nelle “aree interne”.

Contadini urbani Il ritorno alla terra a cui si assiste appare caratterizzarsi per un doppio movimento di pratiche e persone. Da un lato l’agricoltura prende sempre più piede in città, dall’altro pratiche agricole in aree rurali si caratterizzano come rinnovate declinazioni di culture prettamente urbane. E’ una doppia urbanità infatti quella che emerge, una riferita ai luoghi, la città, dove l’agricoltura viene praticata (gli orti, giardini comunitari, di quartiere, etc.), l’altra riferita alle popolazioni che, prettamente urbane, si trasferiscono altrove, in aree prossime alla città oppure in campagna, adottando processi innovativi appresi in città. Se dunque da un lato l’ingresso della campagna in città si presenta come una inondazione verde che tende a occupare gli spazi liberi, dall’altro una parte della popolazione tracima in campagna coltivando più o meno vasti territori. Infatti si può sostenere che, pur non essendosi arrestato l’esodo da alcuni territori verso i centri urbani per motivi di studio o di lavoro, assistiamo a un movimento contrario con una migrazione verso quelle aree rurali dove i costi della vita sono più bassi e accessibili, luoghi a dimensione più umana, ricercata nell’ambiente e nella natura, con una maggiore vivibilità e possibilità di reinventare un lavoro. Ad un primo sguardo, in Italia, il fenomeno dell’agricoltura urbana sembra ricostruibile principalmente attraverso la composizione di fatti isolati o alla pratica più consolidata degli orti urbani. Negli ultimi anni, però, la diffusione e soprattutto la differenziazione delle pratiche di agricoltura urbana stanno assumendo proporzioni che lasciano intravedere il potenziale passaggio da un campo punteggiato di episodi alla maglia più fitta di un fenomeno urbano in grado di reinterpretare in chiave contemporanea l’infrastruttura del verde cittadino, prima relegata alle aiuole, ai giardini e ai parchi pubblici, perseguendo contemporaneamente differenti strategie di sostenibilità. Attraverso “nuovi contadini urbani” l’agricoltura in città investe sia all’occupazione di spazi interstiziali nelle cinture metropolitane, tra grande città e centri minori, sia le aree residuali o abbandonate dei centri urbani. Le esperienze che raccontano di progetti dedicati all’agricoltura urbana vanno infatti dagli orti di quartiere gestiti dagli abitanti o da associazioni di promozione sociale, a orti didattici coltivati nelle scuole da gruppi di genitori e alunni, a quelli di carattere “sociale” perchè affidati ad anziani, ai giardini terapeutici o riabilitativi degli ospedali, delle case di cura e delle carceri, alle aiuole e spazi abbandonati trasformati da gruppi di giardinieri occasionali, ai piccoli orti per l’auto-produzione fino ad aree orticole integrate in numerosi parchi urbani, nazionali o regionali, esito di quella “burocratizzazione della natura” ampiamente diffusa in Italia. Ilaria Vitellio

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Ruralità critiche

Pur nella varietà di iniziative, che descrivono una eterogeneità di approcci e di modalità di gestione (Falletti, 2012; Cognetti, Conti, 2011; Pasquali, 2009, 2011; Uttaro, 2011) e indipendentemente se tali pratiche sono promosse dalla pubblica amministrazione o auto‐promosse da gruppi organizzati (sopratutto via web 2.0 come i Guerrilla gardens), queste iniziative appaiono perseguire diverse strategie attraverso azioni che intercettano la dimensione sociale, ambientale, culturale ed economica di un territorio. In particolare, la coltivazione si presenta come strumento attivabile per diverse azioni variamente intrecciate, fra le quali: Raffonzamento delle reti sociali. La coltivazione diventa strumento di aggregazione e integrazione sociale presentandosi come opportunità di tessere nuovi legami tra gli abitanti di un quartiere offrendo loro un luogo aperto a tutti, sede di attività conviviali che favoriscono l’incontro e l’interazione sociale. Le esperienze, come gli orti urbani o i giardini di quartiere, qui si caratterizzano per la costruzione di un luogo aperto, simbolico e di riconoscimento, un “posto” in cui tessere legami sociali attraverso una pratica di cura in grado di stimolare il senso di appartenenza e di responsabilità di chi vi partecipa. Scoperta e riappropriazione di spazi abbandonati. La coltivazione, spesso improvvisata, è strumento per la reimmaginare e valorizzare - anche solo temporaneamente - parti trascurate dall’esperienza quotidiana della città, presentandosi come iniziativa di carattere rivendicativo e dimostrativo. Le esperienze, come quelle dei Guerrilla o di gruppi organizzati di quartiere, si caratterizzano per un dissenso verso l’abbandono degli spazi pubblici con azioni che cercano di impedirne il degrado e di contribuire alla lotta contro la desertificazione urbana. Si tratta di iniziative promosse attraverso azioni dimostrative in cui la cura di uno spazio diventa il traino immaginario verso una direzione di cambiamento, una possibile via per la trasformazione di quel luogo da parte di chi vi partecipa e assiste. Promozione di processi di apprendimento. La coltivazione qui viene utilizzata come strumento didatticoeducativo e/o dispositivo di attivazione di percorsi diversi rispetto alla semplice attività di coltura. Le esperienze, come gli agrinidi e le fattorie e gli orti didattici, si caratterizzano per essere dedicate al coinvolgimento e all’interazione dei bambini in pratiche colturali, mentre altre, strettamente connesse a luoghi di disagio sociale o psichico, sono volte all’integrazione di persone provenienti da situazioni di disagio e di esclusione. Le iniziative si presentano come un campo di sperimentazione attraverso cui apprende (educazione ambientale) o rompere l’isolamento, incentivando momenti di socializzazione ed incontro. Si affiancano a queste, iniziative di carattere terapeutico e riabilitativo, dove l’attività di ortoterapia - stimolando processi di apprendimento - diventa una pratica abilitante e strumento di inclusione (anche lavorativa) e interazione con popolazioni locali svantaggiate, quali persone con disabilità, giovani con difficoltà nell’apprendimento, ex tossicodipendenti, ex detenuti, extracomunitari, etc. Riproposizione di antichi saperi e recupero di culture tradizionali. La coltivazione qui è strumento per la diffusione di antiche tecniche agricole, reinterpretate spesso in chiave biologica, e per la salvaguardia e la reintroduzione di colture locali. Le esperienze, spesso legate agli orti sociali per gli anziani ma non solo, si caratterizzano per il recupero di aree storicamente coltivate e la reitroduzione di antiche essenze tradizionali, vengono ricostruiti qui ambienti naturali a cui si affiancano iniziative di promozione e commercializzazione dei prodotti tipici locali. Rivitalizzazione imprenditoriale. La coltivazione diventa strumento per incentivare una nuova economia urbana in aree ad elevato degrado ambientale e sociale. Le esperienze, spesso in aree periferiche o in beni confiscati, si caratterizzano per promuove l’uso agricolo di spazi degradati creando spazi di incubazione virtuale di operatori ed imprenditori del verde. Incentivare e creare microimprese qui diventa funzionale sia allo sviluppo di nuove e rinnovate competenze professionali, incrementando l’occupazione per giovani in condizioni di disagio e rischio di esclusione sociale, sia allo sviluppo delle qualità ambientali di un’area con particolare attenzione al benessere complessivo della comunità residente. Queste modalità evidenziano una diversificazione di strumenti e obiettivi attraverso cui l’agricoltura entra in città, ma anche che la coltivazione di aree urbane e periurbane riformula, in chiave contemporanea, sia il rapporto città-campagna sia quello produzione-consumo. Dal un primo punto di vista nel rapporto città-campagna la coltivazione - con le sue funzioni conservative in riferimento all’uso delle risorse naturali (suolo, aria e acqua) - si presenta come strumento in grado di mitigare l’effetto negativo delle altre attività antropiche, di costruire una infrastruttura che restituisce naturalità al territorio e realizzare brani di corridoi ecologici urbani dove preservare habitat naturali e semi-naturali con un elevato valore in termini di biodiversità. Ma, come si vedrà nelle pratiche dei neo rurali, le esperienze che riformulano tale rapporto non si declinano tutte alla stessa maniera. Luci ed ombre sollecitano a investigarne le innovazioni possibili cercando di ricercare quali di quelle fertilizzano territori piuttosto che “consumarli”. Sul lato del rapporto consumo-produzione, la coltivazione diventa strumento per la riorganizzazione di un sistema infrastrutturale verde fortemente interconnesso al sistema alimentare, rivisto in relazione all’ambiente urbano, in grado di contribuire al risparmio energetico nella produzione alimentare e alla promozione di una cultura alimentazione sana delle popolazioni. Da quest’ultimo punto di vista, si evidenzia come nel contesto euromediterraneo gli orti urbani consentono di recuperare, attraverso l’agricoltura di prossimità, l’idea di chilometro zero e di produzione a filiera corta che permette di rinnovare il concetto di sostenibilità delle produzioni agricole e contemporaneamente di presentarsi come un possibile integratore al reddito (di salario o di Ilaria Vitellio

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pensione). Mentre sul lato opposto del mediterraneo, invece, l’agricoltura urbana e gli orti metropolitani si presentano come diretta e principale strada di approvvigionamento alimentare e opportunità stabile di occupazione lavorativa, contro il problema della povertà.

Neorurali Alle pratiche dei nuovi contadini urbani si affiancano quelle dei nuovi rurali, che appaiono sperimentare in maniera inversa il ritorno alla terra. Non si tratta infatti di pratiche agricole che ritornano in città, ma piuttosto di pratiche urbane che si diffondono nel rurale. Negli ultimi anni, pur non essendosi arrestato l’esodo da alcuni territori verso i centri urbani per motivi di studio o di lavoro, assistiamo a un movimento contrario con una migrazione verso quelle aree rurali dove i costi della vita sono più bassi e accessibili, luoghi a dimensione più umana, ricercata nell’ambiente e nella natura, con una maggiore vivibilità e possibilità di reinventare un lavoro. Un lento processo di rururbanizzazione, di ritorno alla campagna, sostenuto da buoni collegamenti con centri urbani, appare oggi accelerato dalla complicità delle nuove tecnologie e delle nuove modalità d’uso di comunicazione attraverso l’utilizzo del web, le quali permettono di modificare i processi di mobilità legati al vivere in città trasponendo luoghi di lavoro e di socializzazione nel virtuale. Questa migrazione in genere è composta da una popolazione urbana che dopo aver vissuto per molto tempo in città ora ricerca un ambiente diverso in cui realizzare una “nuova fase” della propria vita e che in nuove attività agricole e rurali vede presentarsi una seconda chance per dare un senso alla propria esistenza. Si tratta infatti in genere di giovani famiglie (i cui componenti non sono per forza giovani) e di pensionati che, per motivi etici ed economici i primi e di tempo i secondi, sfrutta l’opportunità di un evento (i figli per i primi, la pensione per i secondi) per dare nuovo corso alla propria vita. Spesso, muove questo popolo di gentlmen farmers l’obiettivo di ricercare nella “natura” un nuovo stile di vita, in cui spesso la produzione e il consumo di beni “tipici locali” (in quel territorio e attraverso gli eventi legati ad esso, come le sagre) diventa scelta di carattere “politico”, dichiarare appartenenza e momento di condivisione e autorappresentazione di se, strumento di riconoscimento di appartenenza a una determinata comunità. In tal senso mentre nelle esperienze di agricoltura urbana è spesso la coltivazione a fare da collante, facendo emergere nuove figure sociali come i nuovi contadini, in questi casi è la condivisione di uno stretto legame tra produzione e consumo a generare comunità territoriali stabili o “a tempo” (si pensi ad esempio alla condivisione alimentare e alla vasta “comunità” di foodtrotter che investe periodicamente i territori). Ma i nuovi rurali non sono solo cittadini in fuga, anzi. Spesso sono persone legate alla realtà rurale da esperienze familiari che ritornano nei luoghi di origine o approdano in altri luoghi rurali, dopo periodi di studio e lavoro in città e in settori diversi da quelli legati all’agricoltura o all’artigianato, riaprendo aziende familiari o impegnandosi in nuove attività legate al mondo rurale. Così una popolazione di ex-urbani si trasforma in neorurale. Si tratta di una richiesta di ruralità che risponde anche a quelle esigenze “politiche” in cui si caricano di connotati etici e sociali i beni che si producono e si consumano e si riscoprono antichi saperi come antichi sapori. La coltivazione diventa qui strumento di riproposizione di competenze prettamente rurali spesso attraverso il recupero di culture tradizionali. Come avviane anche nelle agricolture urbane, si diffondono così antiche tecniche agricole, reinterpretate spesso in chiave biologica, e si reintroducono colture locali. Le esperienze, che vanno dalle nuove iniziative imprenditoriali, agli agriturismi (ma anche gli orti sociali per gli anziani), si caratterizzano per il recupero di aree storicamente coltivate e la reintroduzione di antiche essenze tradizionali. In questi casi, spesso, vengono ricostruiti ambienti colturali e si affiancano iniziative di promozione e commercializzazione dei prodotti tipici locali. Si recuperano in questo modo quei valori tradizionalmente riconosciuti al mondo contadino secondo un processo che non è del tutto aconflittuale. La riproposizione e il recupero di questi valori appare avvenire sempre più per il concorso dei “nuovi rurali” che per l’impegno dei contadini tradizionali. Questi ultimi, che risiedono da sempre in aree agricole e rurali, vivono, secondo alcuni, ancora una certa attrazione verso il “mito urbano”, con una tensione sempre presente che porta a modificare i comportamenti per uniformarsi al modello di sviluppo dominante. Mentre i neorurali, cioè coloro che sono andati a stabilirsi in campagna dopo percorsi diversi di vita e di lavoro urbani, attratti dai valori tradizionali, protendono verso “mito contadino” e, incantati dalle vecchie tecniche portatrici di antichi saperi, tendono a riproporle con pratiche che i contadini stessi hanno da tempo abbandonato (Barberis, 2009). Il mito dell’agricoltura di un tempo finisce per essere il collante dei nuovi arrivati che si dedicano sempre più ad attività legate al recupero delle colture tradizionali, all’ospitalità agrituristica, alla vendita diretta di prodotti aziendali e alle attività educative, terapeutiche e riabilitative. Emerge così un conflitto in cui la presenza dei cosiddetti neorurali si rivela ai più (spesso urbani) provvidenziale per “salvare” e reinterpretare la cultura contadina e le tradizioni proprie del mondo rurale. Si ribaltano i rapporti tra città e campagna come quelli tra consumo e produzione. La stessa esperienza delle filiere corte, consente - anche solo a livello cognitivo - di ricucire il rapporto tra produzione e mercato separato dal consolidarsi dell’economia cittadina in contrapposizione con Ilaria Vitellio

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quella rurale contribuendo a quel dibattito sullo sviluppo locale (Magnaghi, 2001), sulle nuove forme di “altra economia”, sull’agro-ecologia e che sostengono la diffusione di pratiche alternative ai modelli di produzione e consumo imposti dal mercato. Spesso tale riformulazione dei rapporti viene vista con una declinazione che vede nelle produzioni di qualità e in quell’universo ambiguo delle “produzioni tipiche” settori di specializzazione dell’agricoltura neoborghese (Merlo, 2006). Qui nuove figure sociali, colti contadini biologici, configurano aziende complesse costruire su relazioni dense ed estese attivate su finalità sociali, culturali, formative, etc. Questa interpretazione appare riportare in qualche modo lo spazio rurale a ricettore passivo di valori esogeni gentilmente distribuiti dalla società urbana che lo abita e ignorare che, dietro e dentro la produzione rurale, non ci sono non solo questi nuovi protagonisti ma e un insieme variegato di neorurali che promuove una metamorfosi dall’interno delle pratiche.

Ruralità critiche Molte delle attività che ripopolano questi territori, infatti, vedono pratiche ispirate alla limitazione o riduzione della scala produttiva, all’adozione di tecniche meno costose, la riduzione degli input dall’esterno, l’assunzione di tecniche low cost, la coproduzione attiva di prodotti in filiera, la capacità di determinazione delle condizioni di mercato (Van der Ploeg, 2009). Le attività tradizionali legate al mondo rurale vengono così attualizzate a partire dal presente. In tal senso, l’interpretazione della presenza di solo un neo ruralesimo borghese appare sottovalutare il fatto che i nuovi produttori rurali si inseriscono in modo tutt’altro che passivo, sviluppando forme innovative e creative con i contesti rurali, creando fertili e reciproci rapporti, e generando una domanda di consumo che sollecita a nuove opportunità proprio per quei produttori radicati nei contesti tradizionali di produzione. Come è stato osservato (Corti, 2007) più che di un neururalesimo edonistico ed estetico - legato al rurale come esperienza estetica (del paesaggio, del cibo) e risorsa residenziale e fruizionale (idillio rurale, spazio rurale come giardino) - appare emergere un ruralismo cotadino con la ridefinizione della centralità della produzione agricola che ricompone, con forme innovative, reti di alleanze geografiche, vocazionali e cognitive distrettualizzando, così, non solo risorse territoriali, ma sistemi di conoscenze incorporate nelle culture locali. Le esperienze in questo campo, raccontano di un ritorno alla terra in cui le aziende intrecciano relazioni con gli operatori degli altri settori economici (servizi, artigianato, turismo), ma anche con le istituzioni culturali e le amministrazioni locali nel quadro delle attività di promozione territoriale in cui l’immagine e la funzione di volano del paesaggio, delle produzioni di eccellenza, delle razze autoctone assumono un ruolo di centralità. Ad esempio, il recupero di alcune varietà di grano presenti in Irpinia ha portato al recupero di forni antichi e di vecchi mulini, recuperando e valorizzando quel circuito che alimenta l’arte bianca qualificandone prodotti e processi che territorializzanti le pratiche. Questo insieme ampiamente diversificato di pratiche “critche” fa emergere nuove figure contemporanee - come coltivatori urbani e i neorurali, nuovi contadini (Van der Ploeg, 2009) - e ridisegna i rapporti tra tradizione/modernità, città/campagna, urbano/rurale, fino a riarticolare, come si è accennato, quelli tra produzione e consumo. Emergono così anche nuovi territori fortemente esperenziali e scarsamente dotati di un progetto, ancora poco compresi dalla cultura urbanistica e raramente messi a fuoco da quella agricola, ma molto interpretati dalle pratiche che, mettendo a fuoco modelli economici e sociali più creativi e attraverso un processo di sovversione delle attuali criticità della città e dei suoi rapporti con la campagna, appaiono partecipare attivamente ad una complessa riarticolazione dell’esperienza dell’abitare (Mininni in Donadieu, 2006). Si tratta di campagne urbane (Donadieu, 2006) in cui la campagna è posta come sostantivo e la città come attributo, in cui si capovolge la tradizionale accezione di area agricola periurbana con l’intento programmatico di mutare la percezione culturale della campagna da entità passiva a risorsa attiva. Ciò che emerge, infatti, all’interno di queste pratiche non è una campagna urbana prossima alla città e senza progetto, ma una campagna esito di una cultura urbana innovativa, con caratteri propri diversi da quelli della campagna rurale che, invece, appare inseguire maggiormente le logiche di mercato. Una campagna che partecipa al una forma autoprodotta di restauro condiviso del paesaggio e che diventa infrastruttura attraverso cui elaborare modelli economici e sociali più creativi, derivanti non solo dalla trasformazione del mondo rurale tradizionale ma soprattutto dalla “prossimità”, non sempre fisica, con la città. Da questa prossimità emerge “l’anima critica del rurale”, cioè quella capace di proporre delle modalità di programmazione del territorio e dello spazio nel suo complesso alternative al modello dominante e di reinventare i processi di costruzione di paesaggio. Un paesaggio che sempre più si presenta come l’esito di relazioni e pratiche, orizzonte per l'immaginazione collettiva (Romani, 2008; Quaini 2006, 2009) e veicolo per la riproduzione dei valori che danno forma alle reti sociali, in grado di generare nuovi percorsi di territorializzazione (Magnaghi 2001). In tal senso tali pratiche, partecipano attivamente alla definizione del territorio della città, portando con sé i suoi simboli e il suo patrimonio territoriale basato sui suoi campi, orti, spazi aperti e sul suo patrimonio socioculturale rappresentato da un nuovo ruralismo. In questi territori emergenti possiamo così cogliere una “ruralità critica” che, nella moltitudine di linguaggi, di piccole narrazioni (Lyotard, 2001; Sassatelli e Leonini, 2008) e nei mescolamenti che produce, fa delle tradizioni Ilaria Vitellio

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Ruralità critiche

luoghi di trasformazione continua, presentandosi come parte attiva e integrante della contemporaneità «proponendo una modernità diversa, eterogenea, multipla e multilaterale» (Chambers, 2011) su cui provare a lavorare anche nella prospettiva aperta dal DPS con la costruzione di politiche nelle “aree interne”.

Bibliografia Barberis C. (2009, a cura di), Ruritalia. La rivincita delle campagne, Donzelli, Roma, Chambers I. (2011), “Irpinia blues: verso una ruralità critica” 2011 in http://comunitaprovvisoria.wordpress.com/2010/07/03/irpinia-blues-verso-una-ruralita-critica/ Cognetti F., Conti S. (2011), “Oggetti verdi come dispositivi Milano, note da una ricerca sull’agricoltura urbana” in Urbanistica Informazioni, n. 239/240, 2011 Atti della prima Biennale dello Spazio Pubblico, CD-Rom Corti M (2007), “Quale neoruralesimo?” in L’Ecologist n. 7, Libreria editrice fiorentina, Firenze AA.VV (1982), Orti urbani una risorsa, a cura di Italia Nostra, Milano, Angeli, Donadieu P. (2006), Campagne Urbane, Donzelli, Roma Falletti M. (2012), “Agricoltura urbana: un dibattito indisciplinato”, in Territorio n.60 Magnaghi A. (2000), Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino Merlo V.(2006), Voglia di campagna. Neoruralismo e città, Città Aperta Ed., Torino Mininni M.V. (2006) “Abitare il territorio e costruire paesaggi” in P. Donadieu, Campagne Urbane, Donzelli, Roma Pasquali M.(2008), I giardini di Manhattan. Storie di guerrilla gardens, Bollati Boringhieri, Torino Pasquali M. (2011), “Giardingiro. Giardini temporanei a Torino” in UrbanisticaInformazioni n. 239/240, Atti della prima Biennale dello Spazio Pubblico, CD-Rom, 2011 Quaini M. (2006), L'ombra del paesaggio. L'orizzonte di un'utopia conviviale, Diabasis, Reggio Emilia Quaini M. (2009, a cura di), I paesaggi italiani. Fra nostalgia e trasformazione, Società Geografica Italiana, Roma Romani V. (2008), Il paesaggio. Percorsi di studio, Franco Angeli, Milano Sampieri A. (2008), Nel paesaggio. Il progetto per la città negli ultimi venti anni, Donzelli, Roma Sassatelli R., Leonini L.(2008), Il consumo critico: significati, pratiche, reti, Laterza, Bari Uttaro A. (2011) “Green guerrillas vs spazi pubblici. Quando la “lotta” si tinge di verde in Urbanistica Informazioni n. 239/240, Atti della prima Biennale dello Spazio Pubblico, CD-Rom, 2011 Van der Ploeg J.D. (2009) I nuovi contadini. Le campagne e le risposte alla globalizzazione, Donzelli, Roma Vitellio I. (2012), “Permanenza/Trasformazione. Ripensando alla tradizione attraverso una ruralità critica” in G. Bonini, A. Brusa, R. Cervi (a cura di), La costruzione del paesaggio agrario nell’età moderna, Quaderni 8, Edizione Istituto Alcide Cervi,

Ilaria Vitellio

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by Planum. The Journal of Urbanism ISSN 1723 - 0993 | no. 27, vol. II [2013] www.planum.net Proceedings published in October 2013


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