La campagna necessaria

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QUODLIBET STUDIO CITTÀ E PAESAGGIO



Ai territori dell'Emilia colpiti dal terremoto: ai suoi centri urbani devastati, alla sua campagna ferita, alle comunitĂ che non si piegano. A questa terra che nonostante tutto continuerĂ a risplendere nella sua straordinaria bellezza



LA CAMPAGNA NECESSARIA UN’AGENDA D’INTERVENTO DOPO L’ESPLOSIONE URBANA

a cura di Matteo Agnoletto e Marco Guerzoni

QUODLIBET


CITTÀ E PAESAGGIO LA CAMPAGNA NECESSARIA prima edizione giugno 2012 ISBN 978-88-7462-451-5 © 2012 Quodlibet s.r.l. via Santa Maria della Porta, 43 Macerata www.quodlibet.it

Si ringraziano G. Guidi, V. Fossati, L. Baltz, B. Princen., O. Barbieri ed eredi Ghirri, per la gentile concessione delle immagini. Questo volume è stato realizzato nell’ambito del programma europeo Crepud-Med con il contributo di Provincia di Bologna partners del programma di ricerca Region Provence – Alpes – Cote D’Azur Generalitat de Catalunya – Departament de Territori e Sostenibilitat Provincia di Bologna – Settore Pianificazione Territoriale e Trasporti AEDA – Development Agency S.A., Municipality of Athens comitato scientifico Universitat Politecnica de Catalunya coordinatori Carles LLOP TORNE, PhD Architect, director DUOT, UPC Stéphane BOSC, PhD Architect, Bosc & Rouaud Architectes assistenti Konstantinos KOURKOUTAS, Architect Marta CARRASCO BONET, Architect traduzioni Il testo di Carles Llop è stato tradotto dallo spagnolo da Maurizio Boni, Language company

progetto grafico Franco Nicole Scitte impaginazione Emilio Antinori stampa Biemmegraf, Macerata


INDICE

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Utopie rurali Matteo Agnoletto

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Tra il dire e il fare Marco Guerzoni

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Dinamiche del territorio rurale attraverso i dati censuari: un caso di studio nell’area pedemontana bolognese Alessandra Furlani

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Città e campagna: materiali per un manifesto Filippo De Pieri

UNA NUOVA ALLEANZA TRA CITTÀ E CAMPAGNA 83

Agricoltura-architettura-città. Un percorso visivo Andrea Branzi e Annalisa Trentin

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Un cattivo Darwin Cristina Bianchetti

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Verso un’urbanistica più attenta all’ambiente: la città come mosaico territoriale Carles Llop Torné

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Natura in fabula. Conversazione tra Cino Zucchi e Angelo Sampieri

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Ordigni formali. Una prospettiva per il progetto di architettura e il disegno del territorio Giovanni La Varra

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Dieci panorami della città e della campagna baukuh, MARC, YellowOffice

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Dialoghi sulla campagna e sulla città tra Pierre Donadieu ed Egle Staiti

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La prossimità come dispositivo interscalare delle sfere di azione nelle politiche del paesaggio. Azioni e reazioni sul paesaggio in Puglia Mariavaleria Mininni

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Campagna e nuove infrastrutture in Italia. Un quadro incerto Paola Pucci

LE NARRAZIONI DELLA DISPERSIONE 23

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Tra inerzie di figure consolidate e condizioni emergenti. Un’ipotesi di lavoro nell’urbanizzazione diffusa dopo la crescita Federico Zanfi “Io sono stato qui”. L’analisi interrogata dall’esperienza Stefano Munarin La geografia della diffusione insediativa. Un dialogo sul territorio tra Giuseppe Dematteis e Francesca Governa Dispersione a sud del 40° parallelo Michelangelo Savino Verso la campagna. Alcune considerazioni sul ruolo del territorio rurale negli strumenti urbanistici Valentina Orioli

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Dialogo tra Francesco Indovina e Laura Fregolent sull’analisi territoriale e sulla situazione presente dell’urbanistica e della città diffusa

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L’evoluzione dei paesaggi rurali italiani 1990/2006: tendenze, criticità, strategie d’azione Antonio di Gennaro e Francesco P. Innamorato


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Between urban and rural. Fra il contenimento e una nuova agenda, riflessioni e approcci sul progetto delle aree urbane di frangia Giulia Fini

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La fotografia di paesaggio fra identità e globalizzazione William Guerrieri

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Prospettive per il futuro. Una conversazione tra Nicola Marzot e Winy Maas sulla densità urbana

PROGETTI 185

After Sprawl. Conversazione tra Xaveer de Geyter e Sabina Tattara

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Dal Piano di area vasta al progetto metropolitano. Esplorazioni e suggestioni nel territorio suburbano bolognese Alessandro Delpiano, Marco Guerzoni e Samantha Trombetta

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Verso Ruralcity

APPARATI 216

Città e campagna: una bibliografia a cura di Emanuele Sommariva

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Profili biografici


UTOPIE RURALI Matteo Agnoletto

Al termine del 2011 l’Accademia delle Scienze sociali ha annunciato che in Cina per la prima volta nella sua storia millenaria la maggior parte della popolazione si è concentrata nelle metropoli: oltre 700 milioni di persone contro i 600 milioni di abitanti delle zone rurali1. Questo dato eclatante richiama a sé l’altro decisivo indicatore speculare, che rileva come su scala mondiale la povertà costituisca un problema prettamente rurale. Le nazioni povere sono Paesi, la cui economia è essenzialmente agricola ed i poveri sono prevalentemente persone che vivono unicamente con le risorse ricavate dalla terra. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) ha evidenziato come nei paesi arretrati oltre il 75% della popolazione occupi le aree rurali2. Attirata dalla speranza di cibo, lavoro, servizi ed altre opportunità, una parte sempre più crescente della popolazione mondiale gravita intorno a centri urbani e città. Ne consegue che la povertà rurale alimenta la povertà urbana. Una siffatta situazione testimonia la struttura del pianeta alle soglie del terzo millennio, ponendo i governi di fronte ad una scelta evidentemente contraddittoria: investire nell’agricoltura a discapito dell’urbanizzazione, ma evitare che essa divenga causa della drammatica diseguaglianza tra paesi poveri e paesi ricchi. Lungo questa prospettiva si giustifica la necessità di indagare il rapporto tra città e campagna attraverso una prassi di intervento specifica della condizione occidentale, per ora estranea alle situazioni sopra elencate, tipiche dei Paesi in via di sviluppo, alcuni dei quali non possono più essere definiti tali, nonostante siano tuttora interessati a larghi fenomeni di povertà diffusa, esprimendo ulteriori implicazioni negative sugli equilibri dell’ecosistema globale. In tale scenario l’agricoltura diviene la seconda politica dell’Unione europea in termini di finanziamenti: per il 2012 sono stati stanziati a bilancio 40,5 miliardi di euro per il suo sostegno3. A ciò si aggiunge la costante attivazione di programmi4 perfezionati sulla puntuale situazione in cui riversa l’Europa, destinata nel volgere di pochi anni a divenire una realtà di subordine a quei Paesi di maggiori dimensioni territoriali e con

1 Francesco Sisci, Svolta in Cina: più abitanti in città che in campagna, in «ilsole24ore», 23 dicembre 2011. L’articolo dal quale è presa la notizia, citata a livello mondiale da tutte le agenzia di stampa, valuta criticamente questa urbanizzazione, che segna una svolta storica non solo per il paese asiatico, ma per l’intera politica globale, considerando l’influenza della Cina sui mercati internazionali. In questa prospettiva, il “moderato benessere” (xiao kang) concesso dalla vita metropolitana sembra testimoniare la massima aspirazione della popolazione, replicando scenari già noti nel contesto occidentale, i cui effetti negativi sono registrabili in questo preciso periodo storico. 2 Da: La povertà come problema rurale (1996), report pubblicato dall’ONU in occasione del primo decennio internazionale per l’eliminazione della povertà (1996-2007). Si tratta di un testo decisamente attuale, a dimostrazione che neppure la massima organizzazione mondiale è riuscita a fronteggiare la questione del rapporto città e campagna, registrando addirittura un peggioramento dei dati. Nel 1996 infatti si contava che quasi un miliardo dei poveri di tutto il mondo vivesse nelle zone rurali, contro il miliardo e quattrocento mila persone che continuano a vivere oggi in condizioni di povertà estrema, di cui oltre il 70% è concentrato nelle aree rurali dei paesi sottosviluppati (fonte: Rapporto sulla Povertà Rurale, pubblicato dall’IFAD nel 2001). A ciò si aggiunge la deforestazione delle foreste tropicali e dei terreni boscosi, che procede ad un tasso di 11 milioni di ettari all’anno, a causa dei disperati tentativi fatti dai poveri per aumentare l’estensione delle aree coltivabili o ottenere legna da ardere. 3 Come riportato nell’ultimo bilancio della UE, 14,6 miliardi di tale stanziamento è destinato allo sviluppo rurale, segnando un incremento del fondo maggiorato dell’1,3% rispetto al 2011.

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LE NARRAZIONI DELLA DISPERSIONE

LA GEOGRAFIA DELLA DIFFUSIONE INSEDIATIVA. UN DIALOGO SUL TERRITORIO TRA GIUSEPPE DEMATTEIS E FRANCESCA GOVERNA

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FG. Quali sono i caratteri che assume attualmente la dispersione insediativa? Sono cambiati i processi che stanno dietro il fenomeno rispetto a quello che capitava nelle prime fasi della dispersione? In che modo? GD. Benché di recente me ne sia occupato poco, penso che il principale cambiamento, di non piccola rilevanza, sia il passaggio da un processo prevalentemente molecolare e incrementale a un processo caratterizzato e trainato da grandi interventi progettuali ampiamente assecondati e promossi dagli enti pubblici territoriali. Ad esempio gli spazi peri-urbani dei maggiori sistemi metropolitani italiani negli ultimi decenni si sono andati ristrutturando secondo quelle che nei documenti ufficiali si chiamano “nuove polarità”, “reti multipolari”. Si tratta della localizzazione decentrata di funzioni “rare” o “superiori” che un tempo si trovavano quasi esclusivamente nelle zone centrali. Ce ne sono di tutti tipi: da quelle commerciali, a quelle fieristiche, culturali, sportive e turistiche, fin a comprendere i centri direzionali, le sedi universitarie, i grandi ospedali, i parchi tecnologici e così via. Nell’ottica delle amministrazioni pubbliche l’organizzazione multipolare dello spazio metropolitano non obbedisce più, come nel passato, all’esigenza di offrire agli abitanti pari opportunità di accesso ai servizi, ma a quella di trasformare l’intero spazio urbano in una macchina per lo sviluppo più efficace e competitiva di quella monopolare. L’organizzazione dello spazio metropolitano viene quindi affidata soprattutto al mercato e in particolare a quegli attori privati (o anche pubblici e partecipati,

ma obbedienti a logiche settorial-privatistiche), che hanno i mezzi e soprattutto l’interesse a realizzarli. I grandi interventi sulle infrastrutture della mobilità (autostrade urbane, stazioni TAV, passanti ferroviari, aeroporti, centri logistici) si realizzano sempre più in funzione di questi interessi, che a loro volta si intrecciano con quelli dei grandi operatori immobiliari. Nel peri-urbano che conta –quello delle metropoli e dei maggiori sistemi urbani– i piccoli interessi che fin verso gli anni ’90 avevano guidato la formazione della città diffusa, risultano ormai marginalizzati e ridotti ad operare negli interstizi. Il loro ruolo rimane importante soprattutto negli spazi rurali, con un impatto sui consumi di suolo non trascurabile. FG. Con il concetto di controurbanizzazione e l’attenzione alla formazione di modelli spaziali di tipo reticolare con Petros Petsimeris e Cesare Emanuel, hai descritto la diffusione insediativa tra gli anni ’70 e ’90. In che modo credi che tali concetti e tali modelli riescano ancora a “catturare” i fenomeni in atto? Quanto e come i modelli di organizzazione spaziale di stampo reticolare si configurano come modelli descrittivi dei fenomeni attuali? GD. Di nuovo sono in difficoltà a rispondere perché mi mancano verifiche empiriche recenti. Non credo tuttavia che la forte mutazione subita nel processo di peri-urbanizzazione sopra indicato, comporti una altrettanto radicale mutazione nel modello reticolare che anni fa abbiamo proposto per descrivere le strutture e per tentare un’interpretazione

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molto generale del processo. Il motivo è che questo modello reticolare non era stato studiato per descrivere la dispersione insediativa, quanto per render conto del fenomeno più generale dell’organizzazione capitalistica del territorio nel passaggio dal fordismo al post-fordismo. La nostra era perciò una sorta di “radiografia” funzionale del territorio, qualcosa – per continuare nella metafora – che oltre alle ossa riguardava i muscoli, i vasi sanguigni, i nervi, i gangli. Quello che ci aveva colpito era il fatto che, quasi improvvisamente, a cavallo degli anni ’70 e ’80, un processo di forte concentrazione urbana e suburbana, che da noi durava ormai da quasi un secolo (con una fase parossistica tra la metà degli anni ‘50 e i primi anni ‘70), aveva lasciato il posto a una ridistribuzione molto decentrata della crescita (anche modesta) di popolazione, di attività industriali e terziarie appartenenti a piccole, medie e grandi imprese. L’avevamo interpretato come una risposta del capitale e delle famiglie alle nuove opportunità offerte in quegli anni da due ordini di fenomeni. Uno era la messa a regime delle politiche di welfare degli anni ’60’70, che sul territorio aveva significato diffusione di infrastrutture e di servizi. Ciò aveva favorito la vita civile in aree periferiche e aveva offerto localizzazioni alternative a molte imprese che prima erano in un certo senso prigioniere delle esternalità presenti solo nelle grandi agglomerazioni urbane. L’altro fenomeno che concorreva al decentramento era la diffusione delle ICT (informatica e telecomunicazioni), che anch’esso liberava le imprese dalla prigionia delle grandi agglo-

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14a Il consumo del suolo in Italia e in Emilia Romagna. Elaborazione grafica a cura di Federico Pelloni e Nicola Ragazzini, da: AA.VV., Osservatorio Nazionale sui Consumi di Suolo – Primo rapporto 2009. Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, collana “Politecnica”, Maggioli, Rimini 2009 (pubblicata in Flash Forward: Faenza 2032. Uno sviluppo urbano senza consumo di territorio) 14b La crescita della popolazione e l'area urbana. Elaborazione grafica a cura di Federico Pelloni e Nicola Ragazzini, da: D. Ludlow, European Environment Agency, Urban sprawl in Europe - The ignored challenge, Office for Official Publications of the European Communities, 2006 (pubblicata in Flash Forward: Faenza 2032. Uno sviluppo urbano senza consumo di territorio)

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LE NARRAZIONI DELLA DISPERSIONE

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31 Esempio di prato stabile, per la produzione foraggera propedeutica all’allevamento. Si tratta di una modalità gestionale con effetti positivi della stabilità dei versanti, della biodiversità colturale e della variabilità paesaggistica. Purtroppo è l’uso del suolo in maggior declino 32 Esempio di principio di franosità in prato abbandonato 33 Esempio di bosco, nell’accezione rurale del termine. Si tratta di un castagneto recuperato e sottoposto ad interventi colturali regolari, con cura e pulizia del sottobosco. Il bosco gestito produce quale effetto connesso e visibile la possibilità di fruibilità diretta collettiva; al contrario le aree oggetto di rinaturalizzazione spontanea risultano difficilmente accessibili alle persone

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Quindi, risulta corretto distinguere questo territorio rurale in due componenti: – territorio rurale agricolo, gestito da aziende o proprietà di natura agricola; – territorio rurale ex agricolo, gestito da altri soggetti, titolari della proprietà fondiaria. La quota di territorio rurale ex agricolo, ancora teoricamente coltivabile e coltivata, a sua volta, si compone di: – fondi gestiti in forma estensiva da confinanti agricoltori o tramite contoterzisti; – suoli in abbandono; – ambiti periurbani e di frangia, in attesa di altra destinazione urbanistica. Nel territorio rurale ancora agricolo, invece, si riconoscono almeno tre tendenze nella forma di conduzione, ciascuna associabile ad elementi di maggior o minor criticità per quanto concerne le potenzialità di permanenza dell’assetto attuale, e precisamente: – forme agricole tradizionali, contraddistinte da fragilità economica-strutturale; – forme agricole di transizione contraddistinte da instabilità nel medio periodo; – forme agricole innovative e specializzate, contraddistinte da esigenza di maggiore sostenibilità. Tornando alla dinamica nell’utilizzo agricolo dei suoli, si rileva che, nel periodo analizzato, ben 5.000 ettari mancano all’appello nel totale della superficie agricola utilizzata (SAU). Nel dettaglio, complessivamente per l’area del Psc associato, si rileva che, dal 1970 al 2010, sono venuti meno 5.491 ettari di Sau (-32%), di cui 4.881 ettari di seminativi (-42%) e 2.224 ettari di colture arboree (-47%). Nel 1970, oltre il 68% della superficie agricola territoriale era oggetto di coltivazione (quindi era SAU) e il restante 32% – pur non economicamente produttivo – veniva anch’esso gestito dalle stesse aziende agricole (calanchi, capezzagne, scoline e rii, siepi, tare ed altre aree fragili). Oggi, solo il 46% della superficie agricole del 1970 è ancora coltivato. Gran parte degli ex seminativi sono classificati attualmente come pascoli o incolti, cioè suoli non più in produzioni e quindi privi di cure colturali. Si tratta dello stadio precedente alla rinaturalizzazione diffusa e crescente, preordinata alla chiusura di ogni spazio colturale aperto. È questa una dinamica in forte aumento: nell’area indagata, la tipologia

catastale pascoli o incolti ha subito un aumento pari a ben 3.290 ha, in soli tre decenni (+410%). Riguardo ai prati e agli erbai permanenti, la loro presenza è sempre ed ovunque direttamente connessa alla presenza di allevamenti bovini da latte che ne utilizzano il prodotto foraggero. La zootecnia però sta estinguendosi ormai del tutto nell’Appennino bolognese: –10.745 i capi allevati (-68%) e -5.075 gli ettari di prati stabili (-68%) ben rappresentano questa tendenza nell’area indagata. Fino agli anni ’80, anche il bosco era una componente importante per la vitalità economica delle aziende agricole di collina e montagna e come tale veniva puntualmente gestito. Il termine bosco, in assenza di coltura forestale continuativa o di potenziale fruizione umana, appare improprio ed è più corretto utilizzare la definizione di area rinaturalizzata per gli assetti vegetazionali successivi all’abbandono di cedui e di incolti. La quota di superficie rinaturalizzata nei comuni esaminati è in grande aumento, e contemporaneamente risulta ormai uscita in gran parte dalla competenza e dalla gestione diretta delle aziende agricole ancora vitali. Altra superficie, secondo la terminologia dei censimenti, è la quota di suolo che viene gestita (alias accudita) dall’azienda agricola, ma non sottoposta a coltura e che quindi non produce reddito agricolo, pur richiedendo una puntuale manutenzione. Si tratta, in genere, delle aree più impervie e più fragili, sotto il profilo geologico, un tempo presidiate dalle realtà agricole presenti; le aziende agricole delle aree marginali (in primis quelle di più alta quota) ne avevano ciascuna una quota considerevole (almeno 1 ettaro improduttivo o franoso ogni 2 di seminativo produttivo). Queste aziende “povere” di dotazione territoriale, però sono state anche le prime a chiudere i battenti, in quanto meno efficienti sotto il profilo economico. Quindi è oggi considerevole la quota di suolo improduttivo e fragile uscita con loro dalla tutela puntuale della presenza agricola: nell’ultimo trentennio, si tratta di ben 3.847 ettari (-77%) di altra superficie, non produttiva non più affidata alle aziende. I 7.150 ettari – in totale fuoriusciti dalla gestione delle aziende agricole, un’area pari alla superficie territoriale di Zola Predosa e Crespellano insieme – come premesso, si possono definire sì territorio rurale, ma non più agricolo. È l’area che ha maggior bisogno di progetti e di proposte gestionali per il futuro. Complessivamente, nell’intero territorio analizzato si rileva che solo la coltura della vite rappresenta un andamento in controtendenza: si tratta, infatti, di una destinazione produttiva ormai

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UNA NUOVA ALLEANZA TRA CITTÀ E CAMPAGNA


AGRICOLTURA-ARCHITETTURA-CITTÀ. UN PERCORSO VISIVO Andrea Branzi e Annalisa Trentin

È il 1970 quando Andrea Branzi presenta il diagramma abitativo di No-Stop city sviluppato con Archizoom Associati: un sistema omogeneo, una ipotesi di linguaggio non figurativo. Una immagine della città intesa come un campo neutro all’interno del quale le divisioni tra città e campagna, tra artificio e natura, tra industria e residenza sembrano lasciare spazio ad un sistema aperto e flessibile. Nel saggio città catena di montaggio del sociale. Ideologia e teoria della metropoli pubblicato da Archizoom Associati sulla rivista «Casabella» nel numero di luglio agosto del 1970, viene chiaramente delineato il concetto di “non discontinuità” sia della città, come della natura: “dentro tale tessuto, senza soluzione di continuità, si collocano i servizi sociali ed i consumi, come piccole piastre fisse all’interno di un campo magnetico in continua rivoluzione. Il piano di affioramento di tale sistema, cioè il suo livello massimo, è costituito dalla natura, cioè dalla superficie di contatto diretto con il sole e con la luce”*. Le forze della natura, partecipano alla costruzione dell’ambiente antropico, l’agricoltura trasforma la natura che diviene essa stessa artificio, architettura; così il campo magnetico, l’istallazione del 1977 The Lightning Field di Walter De Maria, in modo emblematico apre la sequenza di immagini, selezionate da Andrea Branzi per costruire un breve percorso visuale tra architettura e agricoltura; è questa doppia matrice dell’architettura a guidare questo racconto per immagini sul necessario e inevitabile rapporto di reciprocità tra agricoltura e città, tra architettura e natura. Un percorso visuale che esprime l’avanguardia permanente di Andrea Branzi, la coerenza costante che lo ha condotto dalla ricerca radicale degli anni Settanta fino alla stesura dei dieci punti per una nuova Carta di Atene che va intesa come il contributo attuale per una diversa interpretazione della città postindustriale. Immagini che ci parlano di un idea di urbanizzazione debole, di una architettura del “bradisismo” che cresce dalle eruzioni sottomarine, lente e impercettibili, dove le rivoluzioni e i cambiamenti si attuano in modo diffuso e molecolare, senza i grandi sovvertimenti ricon-

ducibili al «vulcanismo» e alla formazione della crosta terrestre grazie all’azione violenta e improvvisa delle forze vulcaniche. Le teorie proposte da Andrea Branzi tendono ad escludere tutte quelle azioni che comprometterebbero l’assetto e la qualità del territorio e dell’ambiente, la natura e il pianeta. La città, secondo il primo punto della nuova Carta d’Atene, dovrà evitare soluzioni rigide e definitive e favorire dispositivi reversibili, incompleti, imperfetti, che permettano di adeguare continuamente lo spazio urbano a nuove attività, non previste e non programmate. Così l’idea di Broadacre city di Frank Lloyd Wright, la pianificazione di Ludwig Hilberseimer, le immagini della natura, i diagrammi satellitari delle favelas diventano immagini a cui fare continuamente riferimento, sono i presupposti per costruire un modello mentale, che superi il livello architettonico e permetta di costruire lo scenario evolutivo di una città intelligente.

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* Archizoom Associati, Città catena di montaggio del sociale. Ideologia e teoria della metropoli, in «Casabella» n. 350-351, luglio agosto 1970, pp. 43-52.


UNA NUOVA ALLEANZA TRA CITTÀ E CAMPAGNA

DIECI PANORAMI DELLA CITTÀ E DELLA CAMPAGNA baukuh, MARC, YellowOffice

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baukuh, MARC, YellowOffice, Concorso internazionale di idee "La Metamorfosi" per i quadranti nord e nord-est di Torino, 2010. La città e il suo paesaggio Modi di abitare molto diversi tra loro, ma allo stesso tempo condivisione di un progetto collettivo: lo strumento che può consentire di raggiungere questo obiettivo è la città. La città del futuro dovrà affrontare i suoi problemi da un punto di vista consapevolmente globale, tenendo conto delle complesse

influenze reciproche che produce la vita urbana. La città del futuro dovrà saper leggere il territorio in cui si colloca, decifrando la geografia dei luoghi e costruendo costellazioni che possano avere senso all’interno di un più ampio sistema territoriale. Le città sono un dispositivo di osservazione del territorio straordinariamente sensibile: sanno tradurre nella ridottissima lingua resa possibile dal loro reticolo le particolarità geografiche dei luoghi che questo incontra.


baukuh, MARC, YellowOffice, Concorso internazionale di idee "La Metamorfosi" per i quadranti nord e nord-est di Torino, 2010. Masterplan dell'ambito Vanchiglia La città del futuro non sarà molto diversa dalla città tradizionale: densa e compatta. Asseconderà l'inevitabile riduzione dei nostri bisogni individuali. Vivremo con meno: meno spazio, meno energia, meno comfort, meno edifici, meno spostamenti, meno

lavoro, meno ricchezza. La città sarà lo specchio del cambiamento dei nostri stili di vita: sostenibile solo se scarna e compatta, non più ricca e diffusa. Gli spazi verdi avranno un ruolo complesso e fondamentale, stabilendo relazioni molteplici con il territorio, scoprendo reti sottili di nuove possibili relazioni. Il sistema del verde, alle differenti scale, si misurerà con il paesaggio intrecciandosi con il progetto urbano.

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PROGETTI


AFTER SPRAWL. CONVERSAZIONE TRA XAVEER DE GEYTER E SABINA TATTARA

ST. In questi ultimi tempi, la diffusione insediativa che caratterizza il territorio della North Western Metropolitan Area (NWMA) viene vista come ‘modello’ da paesi tradizionalmente caratterizzati da una pianificazione territoriale molto più controllata e rigida, come ad esempio l’Olanda. Cosa si può imparare dalla dispersione territoriale delle Fiandre? XdG. Il lavoro pubblicato nel libro AfterSprawl (NAI Publishers 2002, n.d.r.) ci ha aiutato a definire un nostro modo di porci di fronte a tali condizioni non-urbane. Stranamente però – o logicamente se preferisci – ha fatto altrettanto per i nostri progetti architettonici e urbanistici più tradizionali: ci ha aiutato a comprendere meglio la condizione urbana. In questo senso il lavoro di ricerca del libro é solo l’inizio di un ragionamento che include il modo più generale con cui affrontiamo il progetto. In studio ci rifiutiamo di lavorare a partire da dogmi, ci piace mettere tutto in discussione, e i progetti sono costruiti da zero. L’interesse per la condizione urbana, la densitá, i limiti, e come questi si ripercuotono sulla progettazione si può trovare nella maggior parte dei nostri progetti, a prescindere da scala e destinazione. D’altronde, anche se progetti alla scala extralarge come quelli trattati in After-Sprawl sono davvero rari, oggi finalmente siamo impegnati con alcuni di essi. Per esempio ora stiamo lavorando su di un’area di circa 25 chilometri di lunghezza che si estende dal sud di Versailles fin quasi all’aereoporto di Orly, un’area rurale grande quanto la stessa città di Parigi. E la grande differenza con i

casi accademici di After-Sprawl consiste ovviamente nella complessità aggiunta da un denso strato politico, dal livello nazionale fino a quello ultra-locale. ST. Nel suo libro la città sembra aver perso il suo significato tradizionale e rimanere come il luogo della rappresentazione di una idea di urbanità. L’area oggetto di studio del workshop 2011 relativamente alla città del Savena di Bologna (di cui si dà conto nelle prossime pagine di questo volume) è stata descritta come una porzione di città diffusa, la cui origine è in realtà molto diversa da quella della dispersione del Belgio, che ha radici più antiche e legate alla densissima rete infrastrutturale del paese. Nel caso di Bologna, questi nuovi insediamenti nascono dalla espulsione di alcuni servizi dalla città che poi si trasformano in veri e propri insediamenti residenziali mantenendo tuttavia un forte legame con la città. XdG. Il nostro libro non era una celebrazione dello sprawl, della suburbanizzazione. Era un libro sulla sua accettazione e su come affrontare il problema, su come usarlo come base di partenza per sviluppi ulteriori, considerando che è stato fatalmente negletto per molto tempo. Lo sprawl è considerato da alcuni come una forma di urbanismo, vivace, diverso, dal basso, consumistica nel senso che si è adattata ai bisogni di oggi, e infine democratica. Tutto questo però avviene a costo di una infrastrutturazione eccessiva, di un sistema di trasporto pubblico inefficiente e finanche impossibile, e della perdita del paesaggio, della campagna e dello spazio pubblico. Nel-

le Fiandre ci sono basi storiche diverse per la dispersione, e in generale c’è una certa ineluttabilitá, ma non concordiamo con colleghi come Bernardo Secchi sul fatto che dovrebbe essere considerato come un modello, la nuova ed inevitabile forma urbana. ST. Si può parlare dello stesso fenomeno che ha solo origine in modo differente? XdG. Anche a Bologna il tessuto urbano organizzato non è in grado di assorbire tutti i bisogni di oggi. Sviluppi urbani fuori dalla città a volte avvengono in maniera strutturata (per esempio il quartiere Nord di Kenzo Tange), ma generalmente no. Però io non conosco abbastanza la campagna attorno a Bologna per compararla con la situazione nelle Fiandre, dove una notevole intensità di germi storici ha prodotto la situazioni di oggi. Questa densità produce uno spazio ‘non costruito’ che non è esattamente vuoto, ma dove agricoltura, ricreazione, lavoro e abitare diffuso si sovrappongono. Tuttavia il libro non è un appello contro la città, piuttosto rivendichiamo che altre idee di urbanità possono esistere al di fuori di essa. ST. Nel caso di Bologna si registra un fenomeno di migrazione dal centro della città verso la periferia. A supporto di questa tendenza vi è la presenza di una buona rete infrastrutturale, la vicinanza a servizi essenziali e le condizioni abitative migliori. È chiaro tuttavia che questi centri non sono ancora delle vere e proprie centralità autosufficienti. Quali dovrebbero essere le priorità di un progetto a grande-scala di questi insedia-

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PROGETTI

VERSO RURALCITY

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Il tema e le questioni affrontate nel secondo workshop sono parse di tale importanza da meritare un’attenzione diffusa, in particolare da parte dell’Ordine degli Architetti di Bologna, che assieme alla Provincia e all’Università di Bologna, ha deciso di dar vita in contemporanea ad un concorso di idee, aperto a tutti i progettisti europei, per raccogliere suggestioni, alimentando idee per il lavoro di ricerca che con il programma CrepudMed stava affrontando. Ci si interroga preoccupati circa il futuro del territorio e delle città, chiedendo come azione necessaria e urgente l’interruzione del consumo di nuovo suolo agricolo, arginando quindi lo sviluppo urbano a favore di pratiche di riqualificazione degli insediamenti esistenti. Il bando di concorso “verso Ruralcity” (http://concorsi.archibo.it/ruralcity), pubblicato il 30 maggio e conclusosi il 15 luglio 2011, ha promosso idee e suggestioni sui nuovi rapporti tra città e campagna. La strada che sembra necessaria a molti, e che negli ultimi tempi sembra permeare anche un certo dibattito disciplinare, implica lavorare in due direzioni. Da un lato trovare la giusta misura per una ragionevole politica di densificazione urbana, in particolare delle aree periurbane, delle periferie a bassa e bassissima densità. Dall’atro lato è necessario sperimentare progetti per rivalorizzare le aree agricole e rurali periurbane; progetti che sappiano attribuire nuovi valori etici, economici e sociali a questi territori. Bisogna, in altre parole, riuscire a dimostrare che gli spazi agricoli prossimi alle nostre città possano essere attivi e vivibili. Per raggiungere questi obiettivi è necessario offrire un’alternativa valida dentro la città compatta, che sappia generare condizioni di abitabilità, di comfort e di costo collettivo migliori di quelle offerte dalla città diffusa, tramite una politica di densificazione governata e selettiva, riferita solo ad alcuni punti sensibili delle città. Una densificazione ragionevole, alleata con un sistema agricolo rivalorizzato, che sappia dare risposte progredite alle esigenze contemporanee. Una neourbanità ecologicamente orientata, non organizzata attorno al conflitto con la campagna e ai suoi valori, ma social-

mente matura per esserne parte attiva e determinante. Il concorso ha raccolto proposte liberamente articolate attraverso disegni, fotografie, collage, visualizzazioni grafiche, promuovendo nuove idee di integrazione tra città e campagna, specificando una possibile visione di una Ruralcity. Le proposte progettuali hanno indagato i paradigmi di questa alleanza, per immaginare la configurazione di una Ruralcity, sviluppando nuove formule possibili per il progetto d’architettura. Tra gli 85 progetti presentati nei termini previsti dal bando di concorso sono stati selezionati tre progetti vincitori e due menzioni speciali, premiati durante il Salone Internazionale dell’Edilizia (SAIE), svoltosi a Bologna dal 4 all’8 ottobre 2011.

Primo Premio Aleksandra Blazhevska (Macedonia) Secondo Premio Jaime Corral Madrigal; Alicia Montiel Bustos, Gema Montiel Bustos; Clara Villarejo Nieto (Spagna) Terzo Premio Agostino Di Tommaso; Filena Di Tommaso; Matteo Buldrini; Alberto Danielli Federico Scagliarini; Cristina Tartari (Italia) Menzione speciale Azzurra Muzzanigro; Serena Muccitelli Daniela Patti; Livia Valentini (Italia) Menzione speciale Alessandro Gaiani; Tomas Ghisellini (Italia) Promosso da Ordine degli architetti pianificatori, paesaggisti, e conservatori di Bologna Con il patrocinio di Consiglio Nazionale architetti pianificatori, paesaggisti, e conservatori; Facoltà di Architettura di Cesena; Provincia di Bologna; Salone Internazionale dell’Edilizia Saie e Saie Energia; Urban Center Bologna


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33 Aleksandra Blazhevska (Macedonia). Progetto vincitore


QUODLIBET STUDIO CITTÀ E PAESAGGIO

Giorgio Piccinato (a cura di) Fermoimmagine. Studio sulla felicità urbana

Alberto Bertagna Il controllo dell’indeterminato. Potëmkin villages e altri nonluoghi

Giorgio Piccinato (a cura di) Città del mondo, Quaderni del Dipartimento di Studi Urbani 1

Corrado Olmi (a cura di) Il parco dell’Ariosto e del Boiardo. Progetti di luoghi come esercizi di fantasia

Paola Pellegrini (a cura di) La periferia interiore. Visioni e racconti del territorio nord della città di Mantova

Alberto Bertagna (a cura di) Paesaggi fatti ad arte

Pino Brugellis (a cura di) L'invisibile linea rossa. Osservatorio sull'Architettura Anna Laura Palazzo, Lucio Giecillo (a cura di) Territori dell'urbano. Storie e linguaggi dello spazio comune Nicola Flora, Gennaro Postiglione (a cura di) Norwegian talks. Architetture di Knut Hjeltnes, Carl-Viggo Holmebakk e Jensen&Skodvin Alberto Bologna, Michele Bonino, Marco Bruno (a cura di) Seoul Steel Life. Case a catalogo e stanze a noleggio Paolo Mazzoleni (a cura di) Abitare la densità. La città delle cooperative di abitanti Andrea Bulleri Tirana. Contemporaneità sospesa In preparazione Andrea Bocco Quì è ora. Lo spaizo e il tempo pubblici come leve della qualità della vita e della cittadinanza attiva Formato piccolo (21,5x14) Costantino Dardi Architetture in forma di parole, a cura di M. Costanzo Michele Costanzo Leonardo Ricci e l’idea di spazio comunitario Antonio di Campli La ricostruzione del Crystal Palace. Per un ripensamento del progetto urbano Michele Costanzo Il tempo del disimpegno. Riflessioni sull’architettura contemporanea

Sara Marini e Cristina Barbiani (a cura di) Il palinsesto paesaggio e la cultura progettuale Daniele Pisani L’architettura è un gesto. Wittgenstein architetto Sara Marini Nuove terre. Architetture e paesaggi dello scarto Paola Nicolin Castelli di carte. La XIV Triennale di Milano, 1968 Livio de Santoli Le comunità dell’energia Carlo Tosco Petrarca: paesaggi, città, architetture In preparazione Ernesto Ramon Rispoli Italia-America anni Settanta. Intorno all’IUAS di New York (1967-1985) Filippe De Pieri, Edoardo Piccoli (a cura di) Architettura e città negli stati sabaudi Milena Farina Spazi e figure dell’abitare. Il progetto della residenza contemporanea In Olanda




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