Comune di Jesi Assessorato Urbanistica-Ambiente
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Piano Idea Patrizia Gabellini Alessandro AlĂŹ Matteo Bolocan Goldstein Bertrando Bonfantini Luigi Caprarella Andrea Di Giovanni Giovanni Ginocchini Marina La Palombara Francesco Latis Letizia Leoni Antonio Longo Marco Pastore Daniela Vitali Marco Zannoni Marco Galasso Maurizio Organetti Dante Presicce Roberto Ricci
Politecnico di Milano Dipartimento di Architettura e Pianificazione Via Bonardi 3 - 20133 Milano
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Relazione
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Il programma di mandato ha affidato all’Amministrazione il compito di delineare il disegno della città futura, attraverso un processo di ampia ed approfondita partecipazione, senza mai perdere di vista l’orizzonte della sostenibilità ambientale, presupposto imprescindibile per ogni sviluppo integrato e durevole nello spirito europeo delle strategie comunitarie di Lisbona. Per la prima volta si è attuata una gestione integrata delle politiche ambientali e di quelle urbanistiche, tramite l’istituzione dell’Assessorato al Territorio che riunisce le deleghe all’Urbanistica e Ambiente. L’integrazione di due strumenti volontari (Piano Strategico e Agenda21L) con quello tradizionale della variante urbanistica ha consentito di tenere insieme le diverse istanze che hanno caratterizzato l’azione politica, in linea con le direttive del mandato consiliare. La partecipazione è stata assunta come valore aggiunto per lo sviluppo della competitività del territorio; attraverso le competenze dei partecipanti si è cercato di aggregare diversi soggetti (anche di livello sovralocale) offrendo anche forme nuove di comunicazione, al fine di definire una visione condivisa di futuro e quindi di governare, attraverso l’assunzione di responsabilità collettiva, i processi di sviluppo. Si è cercato di proiettare la comunità jesina verso un equilibrio dinamico, tra la tradizionale dimensione locale e quella internazionale delle reti lunghe; a partire dalla progettazione urbanistica della città futura, infatti, hanno preso vita quasi spontaneamente una serie di politiche di governance dotate di un respiro regionale e nazionale, con lo sguardo rivolto verso gli scenari futuri dell’Europa allargata. La scelta di porre attenzione alla tutela ambientale, quale condizione primaria per garantire la salute e la sopravvivenza delle future generazioni, ha generato una stretta integrazione fra le politiche ambientali e la pianificazione urbanistica. Le soglie massime di carico ambientale e di pressione sulle risorse sono quindi state assunte come parametri di riferimento obbligati per dimensionare, qualificare, localizzare e normare gli usi del territorio. A fine 2003 si è avviato, con un apposito atto di Consiglio Comunale, il “programma per l’adeguamento del Prg vigente in una prospettiva strategica ed ecologica”. Va detto che il programma si è adeguato alla proposta di nuova legge regionale urbanistica (che doveva sostituire la vetusta 34/92) che all’epoca era in discussione; una proposta che divideva il percorso della variante generale al prg in due tappe: il Piano Idea ed il Progetto Comunale di Suolo. Il Piano Idea era descritto come “…il documento di natura programmatica che costituisce il quadro di riferimento per le politiche comunali in materie quali ambiente, trasporti, edilizia pubblica e che stabilisce obblighi per l’A.C. per la redazione del progetto del suolo e degli altri strumenti attuativi, senza per altro conferire diritti edificatori; legherà insieme strumento strategico, report ambientale e verifica urbanistica.”
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Il Progetto Comunale del Suolo, invece, era disciplinato come “…strumento obbligatorio attraverso cui l’A.C., in coerenza con le previsioni del Piano Idea, regola gli usi del suolo, ne definirà lo stato di diritto e governerà le trasformazioni dello spazio urbano e territoriale, al fine di realizzare la tutela del patrimonio territoriale / ambientale e l’efficienza dell’assetto della città, la qualità sul disegno urbano complessivo e delle singole parti della città, la qualità degli spazi e delle attrezzature pubbliche e sarà inoltre regolamentato l’uso del suolo e degli immobili alle differenti scale, permettendo approfondimenti specifici e riflessioni sugli strumenti attuativi ipotizzati” Il Piano idea è stata una tappa importante, non solo perché è riuscito a far sintesi degli stimoli forniti dal Piano Strategico, Agenda 21L e dalla lettura degli esiti del Prg Secchi ma anche perché ha fornito il quadro di riferimento delle politiche comunali sul futuro disegno della città. Grazie al suo carattere programmatorio, è stato un protoprogetto che ha trattato situazioni mature (Appennini Alta), situazioni “carsiche” (Villaggio Fontedamo), situazioni strategiche (Corridoio Esino – Zipa Verde) restituendo quadri di riferimento che hanno reso possibile l’attivazione di stralci attuativi che hanno anticipato, sottoforma di varianti, il Progetto Comunale di Suolo.
Jesi marzo 2007
Il Sindaco
Assessore al Territorio
Fabiano Belcecchi
Urbanistica – Ambiente
Daniele Olivi
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Indice
1. 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5
Eredità e processo Un’operazione articolata e innovativa Il processo che accompagna la costruzione del nuovo piano Il coordinamento con il Piano strategico e Agenda 21 Le componenti della Variante generale: Piano idea e Progetto comunale del suolo Apprendere dagli esiti del “Piano Secchi”
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2.
Profili
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2.1 2.2 2.3 2.4 2.5
Popolazione Domanda e offerta edilizia Economia e lavoro Paesaggio agrario Relazioni territoriali
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3.
Le idee del Piano idea
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3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7
Orientamenti del Piano idea Città storica Città nuova Campagna e ambiente Capacità Mobilità Spazio di dominio pubblico
39 41 45 48 49 53 57
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1. Eredità e processo
1.1 Un’operazione articolata e innovativa
Con la delibera programmatica del 15 novembre 2002 il Consiglio comunale di Jesi ha deciso di “Intraprendere insieme l’adeguamento del Prg, l’elaborazione del Piano strategico ed il processo di Agenda 21” allo scopo di “tenere unito l’insieme delle politiche urbane (ambientali, sociali, economiche, della mobilità, delle opere pubbliche) al progetto della “città degli abitanti”, lavorando congiuntamente sul capitale territoriale e sul capitale sociale”. La complessità dell’operazione decisa dall’Amministrazione comunale per produrre una Variante generale al Prg vigente si è tradotta in una serie di attività coordinate che hanno avuto lo scopo di maturare insieme assetto urbanistico, strategie di sviluppo e salvaguardia ambientale, ma anche di creare le condizioni affinché l’evento eccezionale della costruzione del nuovo strumento urbanistico cominciasse a incidere sull’attività amministrativa ordinaria introducendo elementi di graduale passaggio verso nuove regole, aprisse un confronto tra le molteplici iniziative in corso e che continuamente maturano all’interno dei differenti assessorati e uffici. La costruzione del piano urbanistico all’interno di questo articolato processo, ha fatto sì che l’operazione di descrizione e interpretazione, volta a “misurarsi con i nuovi problemi e le nuove domande della città”, avvenisse lavorando contemporaneamente: - con gli strumenti di indagine propri dell’urbanista, - con le interviste, i focus group e i tavoli di lavoro del Piano strategico, - con il report ambientale e i forum di Agenda 21, - con la sistematica attività di accompagnamento degli Uffici comunali nella verifica e valutazione delle varianti parziali e delle decisioni urbanistiche in corso, - con il contributo di consulenze specialistiche fortemente finalizzate all’attività del gruppo di progettazione1. Si è ritenuto un elemento distintivo e qualificante, coerente con le acquisizioni della riflessione urbanistica più avanzata, strutturare il lavoro in modo che la costruzione di una immagine della città avvenisse col concorso di saperi tecnici e di saperi comuni, utilizzando i procedimenti analitici tradizionali e le tecniche più nuove dell’ascolto, che essa crescesse assieme all’azione e si ridefinisse nell’azione, conferisse alle attività conoscitive un carattere esplicitamente orientato verso le scelte da fare. La costruzione dei dossier, col concorso dei diversi gruppi di lavoro e attraverso le diverse attività avviate, è sembrata il modo più consono
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per valorizzare l’articolazione delle competenze. Nati come prodotto intermedio, via via aggiustato e implementato, i dossier sono diventati parte integrante di questa relazione illustrativa del Piano idea per la Variante generale del Prg di Jesi2.
1.2 Il processo che accompagna la costruzione del nuovo piano
È noto che uno dei principali problemi coi quali deve confrontarsi la costruzione di un nuovo strumento urbanistico generale è quello di conciliare i propri tempi, inevitabilmente dilatati, con quelli brevi e ininterrotti della macchina amministrativa e, più in particolare, con le decisioni che procedono legittimamente in attuazione del piano vigente. Solo dopo l’adozione del nuovo piano è prevista, infatti, qualche forma di salvaguardia, ma di solito il tempo passato dall’avvio dell’operazione non è breve e molte novità sono intervenute nel cosidetto “stato di fatto” fotografato all’inizio. Insomma, uno scollamento inevitabile che nei casi peggiori fa apparire già vecchio il piano appena nato. Sono ormai molti anni che dal punto di vista teorico si è acquisita come necessaria l’intersezione tra formulazione e implementazione del piano; più difficile è tradurre questa consapevolezza in un diverso modo di procedere. A Jesi, già il Prg vigente, impostato nella seconda metà degli anni ‘80 in un clima di sperimentazione, coglieva e cominciava ad affrontare questo problema. Le “schede progetto”, che hanno introdotto nelle Norme tecniche di attuazione indicazioni morfologiche desunte da planovolumetrici che in molti casi traducevano progetti e proposte avanzati da soggetti pubblici e privati mentre il piano era in costruzione, sono l’esito di quel tentativo. Esito tanto rilevante, per il tipo di esigenza che coglieva, da affermarsi progressivamente e da diventare elemento distintivo di tutti i nuovi piani, pur con forme visive e normative differenti. La necessità di confrontarsi con il processo ininterrotto delle scelte che maturano nel territorio è dunque condivisa e ha trovato negli ultimi 15 anni proprie espressioni tecniche e giuridiche, appositi strumenti. Si può infatti riconoscerla come tema dominante della pratica urbanistica degli anni ‘90. Le tante, diverse esperienze, hanno anche verificato quel che pochi urbanisti attenti avevano sottolineato già a partire dagli anni ‘60: sono decisive volontà e capacità di creare condizioni favorevoli perché la costruzione del nuovo strumento generale si inserisca nel complesso e articolato sistema di produzione delle politiche urbanistiche e urbane, così che il “pianificar facendo”, reso noto alla fine dello scorso decennio dal Prg di Roma, promuova i fatti rispetto alle intenzioni. Ma, soprattutto, è apparsa evidente l’importanza del diretto coinvolgimento della macchina amministrativa, laddove autonomia e consuetudine nei comportamenti, tipiche prerogative burocratiche, si scontrano con la dinamica “invadente” di un nuovo piano e la pratica degli uffici di piano, esterni alla macchina e a tempo determinato, pur facilitando l’elaborazione dello strumento lo lasciano, poi, inevitabilmente orfano. Le prime attività avviate a Jesi, raccogliendo la richiesta dell’Amministrazione di garantire “pareri e verifica di compatibilità con gli indirizzi della nuova pianificazione su eventuali varianti da sottoporre al Consiglio comunale fino all’adozione della nuova proposta di Progetto
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del suolo comunale” (Decreto sindacale del 19 novembre 2003), considerate su questo sfondo, diventano parte integrante del lavoro di adeguamento del Prg vigente. Le varianti parziali, infatti, sono state individuate come occasione per aprire il confronto tra il gruppo incaricato della Variante generale e gli uffici competenti, non solo quelli dell’Assessorato all’Urbanistica e ambiente, in quanto tra varianti, piani e strumenti attuativi del Prg, piani di settore promossi e gestiti dai diversi settori dell’amministrazione, si stabilisce un rapporto senza soluzione di continuità3. A partire dalle varianti, dunque, si è andata progressivamente dipanando una rete di connessioni logiche e funzionali che ha trasformato il “parere” inizialmente previsto in una consulenza generale per le attività amministrative in corso, saldamente ancorata alla costruzione del nuovo piano. Le varianti parziali considerate sono relative a: - schede progetto del Prg vigente da adeguare alle nuove condizioni attuative (Fater, S. Maria del Piano 1, Pieralisi), - piani di recupero d’iniziativa privata in sottozone A7 collocate in ambiti cruciali per la trasformazione urbana (Area Freddi, Cartiera Ripanti), - articoli delle norme tecniche per aree con particolari caratteristiche (A7) o situazioni problematiche (localizzazione industrie insalubri, edificazione in zone agricole), - aree per le quali si è proposto un significativo cambiamento della destinazione d’uso vigente (via Appennini Alta, Zipa 4, Banca Marche) o da sottoporre a salvaguardia (vincolo idrogeologico per le aree di pendio lungo la provinciale in direzione di Roma), - piani di recupero di iniziativa pubblica da aggiornare per rendere economicamente sostenibile l’insieme degli interventi previsti (Foro Boario). Lo studio delle varianti alle schede progetto è stato modo per “apprendere dagli esiti del Piano Secchi” (come chiedeva la Delibera programmatica) e ha suggerito una linea di lavoro nella prospettiva della perequazione urbanistica che si è confermata con l’esperienza maturata nella ridefinizione dei piani di recupero per le sottozone A7 e nella relativa Variante normativa (si veda il dossier Varianti). Lo studio delle varianti che comportano interventi di urbanizzazione importanti, sia dal punto di vista delle quantità messe in gioco sia delle destinazioni d’uso previste, è stato decisivo per impostare il ragionamento sulla “forma” della città e del territorio e per considerare assieme il riassetto della mobilità. L’interesse dell’Amministrazione a costruire una Società di trasformazione urbana per dare seguito al piano di recupero del Foro Boario, approvato alcuni anni fa in una prospettiva “pubblicista” e da rivedere in una prospettiva “partenariale”, ha offerto l’occasione per precisare il ruolo della grande area di cerniera tra città alta e città bassa e il rapporto con la grande operazione di ristrutturazione urbana promossa dal Prg vigente e realizzata solo in parte (si veda il dossier Foro Boario). Altre occasioni di lavoro, maturate in questo processo di accompagnamento dell’attività continua di governo della città, sono state decisive per l’impostazione del Piano idea. La preparazione della delibera del Consiglio comunale sulla localizzazione a Jesi del nuovo scalo-merci, nei pressi dell’Interporto, ha reso necessari una ricostruzione della vicenda e un primo approfondimen-
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to dei problemi territoriali indotti da un insediamento di questa natura, lavoro arricchito dai due tavoli del Piano strategico dedicati al “Corridoio Esino”, radicando l’immagine di Jesi come città partecipe di relazioni territoriali di scala diversa, investita da dinamiche “metropolitane”, soggetto coinvolto in politiche urbane complesse e variamente intersecate (si veda il dossier Interporto 1). La partecipazione al bando del Contratto di quartiere II è stata occasione per studiare e progettare parti significative del centro antico e mettere a fuoco come la parte di città di impianto romano sia la componente più delicata di una “città storica” ampia e differenziata al suo interno (si veda il dossier Contratto di quartiere). I problemi connessi alla mobilità, molto sentiti nella città e dominanti nell’agenda politica, hanno posto all’attenzione del gruppo di lavoro della Variante generale una serie continua di questioni specifiche che ha suggerito una ricognizione generale sulle caratteristiche dei principali assi stradali, sulle scelte del Piano del traffico (si veda il dossier Mobilità 1), sui progetti in corso di realizzazione o per i quali è prossima la definizione esecutiva. Si sono così create le condizioni per un lavoro intensivo sul sistema di funzionamento della città e sul ruolo di alcuni fondamentali assi stradali. Questo procedere discreto, sensibile alle contingenze e all’agenda politica, ha progressivamente costruito una mappa dei temi, sollecitando l’identificazione precoce di aree e settori cruciali (per la presenza di situazioni irrisolte, per le decisioni amministrative in corso, per gli interessi economici attivi), indirizzando le indagini e gli studi di approfondimento. Questo stesso modo di procedere, qualora si ritenesse che un piano debba/possa essere un inedito assoluto, potrebbe far pensare che l’operazione per la costruzione della Variante generale sia stata di semplice ricucitura di quanto già pensato e deciso. Argomenti diversi possono convincere, invece, che è inevitabile e necessario lavorare “tra” le cose e confrontarsi con l’eredità, che “mettere insieme” comporta un progetto e genera immagini nuove. Un primo argomento attiene al carattere ampiamente incompiuto della grande trasformazione promossa dal piano urbanistico degli anni ‘80 che, se non accompagnata, adeguata, completata, rischierebbe di lasciare la città in uno stato di ampio e diffuso disagio. Il nuovo piano di Jesi, in questo senso, deve raccogliere l’eredità del Prg vigente. Un secondo argomento ha a che fare con la constatazione che, sempre, in ogni situazione, un nuovo strumento urbanistico deve stabilire un rapporto con cantieri e progetti avviati, espressioni delle dinamiche e possibilità locali, e che risulta più fertile esplicitare questo rapporto, discuterlo, palesare scelte di continuità o discontinuità.
1.3 Il coordinamento con il Piano strategico e Agenda 21
L’adeguamento del Prg vigente in una prospettiva strategica ed ecologica costituisce elemento qualificante l’intera operazione. Esso si è tradotto nell’avvio contemporaneo dei lavori per la Variante generale, per il Piano strategico e Agenda 21, ma soprattutto nel procedere combinato e consonante della costruzione dei tre strumenti. Fin dalle prime mosse i gruppi di lavoro della Variante al Prg e del Piano strategico hanno lavorato affiancati, confrontando le ipotesi ge-
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nerali, scambiandosi materiali, ragionando sulla preparazione e l’esito delle interviste, programmando e conducendo assieme alcune operazioni, condividendo la costruzione di una nuova immagine di Jesi. L’individuazione dei temi per i focus group prima e dei tavoli poi, la collaborazione nella conduzione del tavolo di lavoro sul Corridoio Esino (il tavolo con le più evidenti implicazioni territoriali), hanno segnato in maniera evidente il Piano idea, radicandolo nelle azioni e nei progetti del Piano strategico. In particolare 3 dei 4 progetti individuati dal Piano strategico - Corridoio Esino, Una politica complessa per la città storica, Governance di area vasta - stabiliscono col Piano idea un rapporto di reciprocità. Corridoio Esino. Con Corridoio Esino si indica un territorio di importanza strategica, sia con riferimento alla regione Marche, sia nel quadro dei collegamenti e delle dotazioni logistiche di livello nazionale e internazionale. Il progetto del Piano strategico si propone di favorire e strutturare le relazioni tra i soggetti coinvolti, con l’obiettivo di raggiungere un’ipotesi condivisa di sviluppo del Corridoio che integri le diverse progettualità in campo nel rispetto del patrimonio di risorse paesistiche e ambientali. Una politica complessa per la città storica. Il centro della città è oggetto di un forte investimento simbolico: esso rappresenta ancora il cuore di Jesi, il deposito dei valori culturali e identitari della città. Il progetto ha l’obiettivo di disegnare una strategia integrata e complessa di rigenerazione e rilancio delle parti antiche della città, secondo una nozione di “città storica” che ne ampli i confini valorizzandone le risorse e affrontandone le criticità. Governance di area vasta. Il rango e il sistema di relazioni territoriali in cui Jesi è inserita sono più complessi di quanto lascerebbe supporre la dimensione demografica della città. Obiettivo del progetto è creare un sistema di pilotaggio dei processi di trasformazione dell’area vasta di Jesi promuovendo modalità strutturate di concertazione tra soggetti diversi attorno ad alcuni nodi delle politiche territoriali. Con il gruppo di Agenda 21 si sono concordati tempi e modi per finalizzare esplicitamente l’attività alla costruzione del nuovo piano, si è condivisa la prima scelta degli indicatori per la Valutazione ambientale strategica della Variante, si sono scambiati informazioni e dati ora ricomposti nel Rapporto ambientale4. Le preoccupazioni sullo stato dell’ambiente e la qualità diffusa, sollevate da alcuni indicatori, costituiscono lo sfondo di molte scelte del Piano idea.
1.4 Le componenti della Variante generale: Piano idea e Progetto comunale del suolo
Il Piano idea è un documento di natura programmatica, che “a partire dalla valutazione delle qualità del patrimonio urbano, delinea, per il territorio comunale, una strategia, partecipata ed equa, di sviluppo sostenibile e indirizza gli esiti sulla morfologia del territorio”. Prevede concertazione interistituzionale, pratiche di partecipazione, valutazione degli impatti delle trasformazioni sull’ambiente quindi riduzione del rischio, analisi e valutazioni volte a favorire la trasparenza, pratiche di perequazione urbanistica. Questa individuazione dei caratteri del Piano idea si trova nella proposta per una nuova legge urbanistica regionale formalizzata nell’aprile 2003 col titolo Norme per lo sviluppo sostenibile e il governo del terri-
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Gli indicatori del Rapporto Stato Ambiente di Agenda 21
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torio, proposta sulla quale si sono basati sia la Delibera programmatica dell’Amministrazione comunale di Jesi sia l’Atto di indirizzo della Variante al Prg del 12 settembre 2003, cui fa riferimento il prodotto tecnico qui illustrato. Quella proposta di legge ha subìto modifiche successive e altre versioni sono state elaborate, senza essere ancora giunte all’approvazione. Tempi e contenuti specifici della nuova legge urbanistica regionale sono dunque incerti. Tuttavia, la consonanza della prima proposta con il dibattito in corso da anni sulla necessità di riformare lo strumento urbanistico comunale, distinguendo due principali componenti aventi l’una carattere programmatico e l’altra carattere operativo-regolamentare, e l’individuazione della natura struttural-strategica della prima componente, hanno suggerito di mantenerla come fondante dell’operazione intra-
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presa a Jesi, anche nelle denominazioni, sicché “Piano idea” resta a indicare l’orientamento del nuovo piano5. “Piano idea”, infatti, è anche una locuzione assai interessante introdotta nel dibattito urbanistico per la prima volta da Ludovico Quaroni, a metà degli anni ‘60 quando progettava il Prg di Bari, sollevando la questione della natura doppia e ambigua del piano regolatore. Nell’accezione di Quaroni, che qui più interessa, il Piano idea fissa l’idea di insieme del piano, quella che dovrà poi concretarsi in un mezzo capace di precisare i margini e le finalità entro le quali e per le quali deve operare chiunque sia chiamato a contribuire all’edificazione della città; è uno strumento programmatico, “abaco” di verifiche successive che saranno prerogativa del “Piano norma”, (altra espressione di Quaroni) il quale rappresenta la dimensione regolamentare, legata alla molteplicità degli interessi e delle azioni. In quanto documento che ha il fine di comunicare la figura della città, di rendere comprensibili le scelte anche ai cittadini affinché possano giudicarle e condividerle e di istruire il piano regolamentare nelle sue diverse declinazioni, anche in quella nuova dei progetti integrati e dei programmi complessi, il Piano idea assume una forma particolare, diventa un insieme composto di disegni di varia natura, in gran parte schematici, tesi a mostrare pesi, quantità e qualità delle relazioni territoriali, accompagnati da testi sintetici che intendono guidare alla loro lettura. Al Piano idea segue il “Progetto comunale del suolo” (altra espressione della prima proposta di legge regionale che è stata conservata) il quale, pur avendo maggiore somiglianza con il piano urbanistico che regola giuridicamente l’uso dei suoli, è stato redatto in modo da rendere evidente la relazione di coerenza col Piano idea, da accogliere la scelta di un regime dei suoli perequativo, da dare una convincente soluzione per le regole morfologiche, prendendo atto della crisi irreversibile delle zone omogenee come definite dalla legge 765 del 1967. “Apprendere dagli esiti del ‘Piano Secchi’” è rilevante anche da questo punto di vista. La storia problematica delle schede progetto, la tavola allora denominata “Progetto di suolo”, forse non abbastanza nota e poco utilizzata, sono state un riferimento imprescindibile.
1.5 Apprendere dagli esiti del “Piano Secchi”
L’Atto di indirizzo con il quale l’Amministrazione comunale ha dato avvio al lavoro per la Variante generale del Prg chiedeva di “Apprendere dagli esiti del ‘Piano Secchi’”, considerandolo “la cornice di riferimento” per il nuovo piano: questo spiega la decisione di denominare “Variante generale” un atto di pianificazione che, per le diverse condizioni territoriali e istituzionali entro le quali si redige, assume inevitabilmente i caratteri di un piano nuovo. Il Prg vigente, che in città è per tutti il “Piano Secchi” data l’autorevolezza del suo progettista e il significato importante che quella operazione urbanistica ebbe fuori dal contesto locale, costituisce un’eredità con la quale confrontarsi da diversi punti di vita: a) l’incidenza sulla struttura urbana; b) il sistema di valori introdotto; c) il quadro normativo delineato; d) le quantità messe in gioco. a. L’incidenza sulla struttura urbana. Sembra evidente che quel pia-
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no ha segnato una svolta profonda nei processi insediativi di Jesi, riuscendo a interpretare le incipienti dinamiche di riconversione produttiva che avrebbero di lì a pochi anni reso disponibili nella città ampie aree dismesse da riconvertire a nuovi usi. Un fenomeno che all’inizio degli anni ‘80 cominciava ad essere evidente nelle principali città europee e che a Jesi, piccola città industriale, andava delineandosi. La localizzazione dei vecchi opifici nella parte bassa della città portava il nuovo piano a privilegiare decisamente infrastrutture e nuovi insediamenti a sud, a frenare la dinamica espansiva sulla collina che aveva segnato gli anni ‘60 e ‘70 caratterizzandosi con interventi per ampi comparti residenziali. La trasformazione interna della città, attraverso operazioni di ristrutturazione urbanistica e cambiamento delle destinazioni (dagli impianti produttivi a nuovi insediamenti con residenza, commercio e servizi sociali), ha investito dunque in maniera massiccia questo versante urbano, spostando il baricentro e gli equilibri generali tra le parti. In particolare, il sistema della mobilità e le relazioni con il centro storico venivano radicalmente modificati. L’asse di attraversamento principale della città, la vecchia statale a nord del centro storico, doppiata dal viale della Vittoria agli inizi del secolo per sostenere lo sviluppo sulla collina a nord-ovest, lasciava il passo al cosidetto “asse sud”, una successione di tratte esistenti e nuove da mettere a sistema per raccordare il nuovo insediamento industriale della Zipa con la parte artigianale della città bassa. Il sistema infrastrutturale lineare negava quello delle circonvallazioni sbilanciate a nord, impostato dal piano degli anni ‘60 e funzionale ad un’idea della città con il centro storico come “nocciolo” eccentrico e i vecchi borghi attorno alla stazione come una sorta di riserva atrofizzata. Il centro storico, che doveva aprirsi in maniera qualificata verso questa nuova realtà insediativa, importante a sud come a nord, veniva interessato da una serie di risalite che reinterpretavano il sistema antico degli attraversamenti pedonali nord-sud e che sul viale della Vittoria aveva già trovato altre risposte nei ponti. Un Prg con queste caratteristiche ha segnato la ristrutturazione profonda dell’insediamento urbano. Ciò spiega le sue difficoltà ad essere compreso e condiviso fino in fondo. Alcuni problemi rimasti aperti per il nuovo piano sono legati a questo profondo rivolgimento non del tutto assorbito e non del tutto compiuto. b. Il sistema di valori introdotto. A una grana più fine, forse quella maggiormente considerata, il “piano Secchi” ha significato per la città l’identificazione di parti urbane e rurali con caratteristiche, valori e problemi differenti, per le quali declinare altrettanti progetti di qualità basati sulla lettura tipologica e morfologica e sulla sistemazione minuziosa degli spazi aperti (quello che fu allora chiamato per la prima volta “progetto di suolo”). Ha significato il riconoscimento e la progettazione dei sistemi del verde e dei luoghi centrali come fondamentali elementi di connessione e qualificazione. Ha affermato una logica di risparmio del suolo in una precoce attenzione per i valori ambientali e paesaggistici. Questo è il lascito più condiviso del piano, un sistema di valori portato nella società jesina al quale si richiama l’Atto di indirizzo ritenendolo ancora fertile. “Una città composta per parti”, “La città nella città”, “Progettare i margini”, “Attraversamenti” sono espressioni sintetiche di questo sistema di valori sulle quali il Piano idea ha lavorato, interpretandole rispettivamente come:
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- riconoscimento e valorizzazione dei caratteri di diversità tra le parti, piccole e grandi - riqualificazione delle parti interne alla città costruita, completando il processo di ristrutturazione - salvaguardia della distinzione tra città e campagna evitando la dispersione degli insediamenti - rafforzamento delle diverse forme di connessione, infrastrutturale e funzionale, tra le parti. c. Il quadro normativo delineato. Problemi sono sorti nella gestione quotidiana del Prg, in particolare nell’attuazione delle norme morfologiche, un’altra novità per Jesi e, agli inizi degli anni ‘80, per l’urbanistica italiana. Una trasformazione della città prevalentemente giocata al suo interno, con operazioni di ridisegno parziali che, messe insieme le une con le altre, devono garantire un miglioramento del funzionamento generale e della forma urbana, non si riescono a guidare solo con indici di edificabilità e con procedure regolamentari. Le indicazioni su alcuni aspetti d’impianto dei nuovi interventi, sui raccordi con l’intorno, ciò che si esprime con indicazioni di forma, fanno parte integrante dell’urbanistica contemporanea. È evidente che questo comporta misura, monitoraggio continuo degli effetti e capacità di aggiustamento, visione d’insieme dello scacchiere sul quale si muovono come pedine i singoli operatori, raccordo dei singoli progetti e piani attuativi, di iniziativa privata e pubblica. Qui sta la difficoltà di gestione del “piano Secchi”, condivisa con quella di molti altri piani italiani della stessa generazione. Il Prg di Jesi ho sofferto della propria precocità e del sovrapporsi di atteggiamenti di rigore astratto e di insofferenza per le limitazioni, così che un numero alto di varianti, sostanziali e non, ha investito le “schede progetto” e gli articoli delle Norme tecniche. Questo processo segnala difficoltà vere, attinenti alla regia di processi che hanno una complessità inconfrontabile con quelli della nuova urbanizzazione di aree agricole, e attinenti a una normativa risultato di aggiunte e modifiche secondo ottiche diverse. La riforma del quadro normativo è tra gli impegni principali del Progetto comunale delsuolo. d. Le quantità messe in gioco. Per quel che riguarda le quantità, un primo bilancio riguarda le schede progetto. 15 delle 28 schede del Prg vigente sono state attuate, 11 in variante rispetto al piano adottato nel 1987. Si tratta per la maggior parte di interventi di nuova edificazione a carattere residenziale, tutti localizzati a nord lungo il margine che segna l’aggregato urbano (Colle Paradiso 1, Colle Paradiso 2, Colli, Erbarella alta, Tornabrocco). Di nuova edificazione sono anche le aree industriali Zipa 2 e Zipa 3, al limite della zona produttiva. 3 schede riguardano la grande distribuzione: centro commerciale Fornace, centro commerciale Gallodoro, centro commerciale Sima. 2 schede completano nuclei urbani (Spina e Minonna). Sono arrivate tardi le operazioni di ristrutturazione, quelle che caratterizzavano il piano e che probabilmente hanno trovato condizioni economiche, politiche e culturali ancora non del tutto mature. Solo di recente si è manifestato l’interesse degli operatori per interventi in zone di recupero, anche al di fuori delle schede progetto, in sottozone A dove il Prg prevede la possibilità di interventi di ristrutturazione.
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Schede progetto realizzate e residuo
Residenza Sul: 123.999 mq; V: 371.997 mc Commercio/direzionale (mq) Sul: 75.871 mq (comm.); 21.165 mq (dir.) Industria Sc: 122.897 mq
(fonte: Sit e Servizio Urbanistica Comune di Jesi, 2003) Note: 1. La necessità di valorizzare il ruolo delle consulenze specialistiche, ovvero la loro efficacia rispetto alla qualificazione del processo di costruzione del piano in tutte le sue fasi e articolazioni tematiche, ha suggerito di attivarle quando fosse maturo il problema da approfondire. Ne è conseguita la previsione di impegni limitati nel tempo, variamente scaglionati e, soprattutto, evidentemente legati all’attività del gruppo di progettazione. D’altro canto, in un’ottica di valorizzazione delle competenze già note e attive su aspetti di evidente rilevanza per il piano, si sono aperti rapporti con alcuni consulenti “storici” dell’Amministrazione, allo scopo di verificare le condizioni per una prosecuzione mirata della loro consulenza e di acquisire lavori già fatti. La centralità delle questioni connesse alla mobilità ha reso indispensabile un lavoro comune con Sintagma, la società incaricata dall’Assessorato ai Lavori pubblici per il Piano del traffico, e con il progettista delle nuove tratte dell’Asse sud, l’ingegner Maurizio Bocci. L’Amministrazione comunale, fin dalla costruzione del Prg vigente, si è avvalsa della collaborazione dello Studio Geologico Tecnico di Ricci e Stronati che ha prodotto studi e sondaggi per la realizzazione di opere rilevanti nel territorio di Jesi. Si è ritenuto importante acquisire e aggiornare questo patrimonio di dati e conoscenze producendo il quadro delle pericolosità e della fattibilità a fini edificatori. Dopo l’adozione del Prg vigente, a partire dal 1990, l’Assessorato ai Lavori pubblici ha affidato all’architetto Sergio Morgante il progetto generale dei sistemi verdi Gorgolungo-Pallavicino e Paradiso-Piccitù, quindi i progetti esecutivi e la direzione lavori per i parchi “Il Cannocchiale” e “Il Ventaglio”, la piazza e il verde dell’area ex-Saffa, il parco “Erbarella”, quello del Vallato e dell’Esedra. Dal 1999 ad oggi, in seguito alla realizzazione di alcuni interventi, si sono registrati alcuni significativi cambiamenti che hanno suggerito di chiedere all’architetto una rilettura-verifica del progetto generale del 1990. I risultati di questo lavoro hanno consentito l’individuazione di aree cruciali per la sistemazione dello spazio di dominio pubblico.
2. Una prima restituzione di alcuni dossier (Interporto, Mobilità 1, Varianti, Un contratto di quartiere nel centro storico di Jesi, Spazi di dominio pubblico, Popolazioni e forme territoriali, Relazioni territoriali e sviluppo locale) è avvenuta nel documento Jesi Variante generale al Prg. Relazione preliminare, Milano, gennaio 2004. Il dossier “Un contratto di quartiere nel centro storico di Jesi” ha avviato l’operazione di costruzione del progetto presentato per il bando di Contratto di quartiere II, presentato nell’aprile 2004 col titolo Abitare il centro antico di Jesi. Il dossier “Interporto” ha alimentato il confronto avvenuto nei due tavoli di lavoro promossi dal Piano strategico sul Corridoio Esino (29 aprile e 20 maggio 2004) e le elaborazioni cartografiche sono entrate a far parte integrante del documento Jesi Piano strategico, Milano, giugno 2004. 3. La collaborazione con l’Assessorato ai Lavori pubblici ha avuto tre momenti particolarmente significativi: la gestione comune delle risorse ottenuta attraverso una prima, sperimentale applicazione di perequazione urbanistica sulla scheda progetto Fater, intesa come “trasferimento dello standard”; la riqualificazione dello storico viale Trieste. Nel primo caso la collaborazione è iniziata col confronto preliminare sui criteri da adottare per l’esecutivo di un progetto di sistemazione dello spazio pubblico da tempo formulato, allo scopo di convogliare le risorse provenienti dalla perequazione in un’operazione di ampio respiro che proseguiva atti precedenti e apriva ad atti successivi; nel secondo caso la collaborazione ha portato ad allargare il progetto all’area della stazione, legandolo a quello del parcheggio di interscambio, al sottopasso e alla sistemazione del fondale del viale (si veda il dossier Riqualificazione viale Trieste). Lo stesso Assessorato, per la condu-
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zione del Laboratorio Prato di progettazione partecipata, si è avvalso della collaborazione di tre architetti componenti dei gruppi di lavoro del Piano idea e del Piano strategico. 4. Rapporto stato ambiente, giugno 2004 5. La proposta per la legge Norme per lo sviluppo sostenibile e il governo del territorio, del 25 maggio 2004, non mette in discussione le linee di fondo seguite dalla prima, ma diventando molto più scarna le semplifica e perde qualche ambizione, soprattutto tende a omologarsi rispetto ad altre leggi regionali già approvate e vigenti. “Piano idea” viene così sostituito da “Piano strutturale” e “Progetto comunale del suolo” da “Piano operativo comunale”. Il piano strutturale viene definito come “un documento che, a partire dalla valutazione delle qualità del patrimonio urbano e territoriale, delinea, per l’intero territorio comunale, una strategia, partecipata ed equa, di sviluppo sostenibile e ne valuta e indirizza gli esiti sulla morfologia degli insediamenti e del territorio. Il piano strutturale costituisce il quadro di riferimento per le politiche comunali in materie quali ambiente, trasporti, edilizia pubblica, servizi sociali. Non conforma lo stato di diritto dei suoli e non conferisce diritti edificatori. Stabilisce obblighi per l’amministrazione comunale per la redazione del piano operativo e degli strumenti urbanistici attuativi” (primo e secondo comma dell’art. 14).
Jesi Piano idea
2. Profili
2.1 Popolazione
Caratteristiche tipiche dei paesi a sviluppo maturo e demograficamente senili La serie storica degli andamenti demografici mostra la continuità, negli anni ‘70, della fase di crescita demografica dei due decenni precedenti; il punto di arresto della fase espansiva nel 1978; la prima ed intensa fase di regressione negli anni compresi tra il 1979 e il 1982; l’azione di una seconda e articolata fase di flessione fino al 1996; la recente fase stazionaria con una popolazione residente che si attesta attorno ai 39/40 mila abitanti. Il recupero negli ultimi due anni non può ancora interpretarsi come indicatore certo di ripresa. Popolazione residente: serie storica 1971-2002 in valori assoluti
(fonte: Istat e Uff. Anagrafe Comune Jesi)
Al 31 marzo 2004 la popolazione jesina conta 39.855 unità, di cui 20.710 femmine pari al 51,96% del totale, e 19.145 maschi corrispondenti al rimanente 48,04%. L’età media è di 45,6 anni, in particolare 47,3 per le donne e 43,7 per gli uomini, un’età più elevata di quella che i dati del Censimento 2001 riportano per la popolazione italiana: 41,7 anni; 43,1 per le donne e 40,1 anni per gli uomini. L’indice di vecchiaia, misura del rapporto tra la popolazione di 65 anni
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e più (9.892 individui) e la popolazione fino a 14 anni di età (4.556 individui), risulta essere per Jesi pari al 217,12%. Il Censimento del 2001 restituisce un indice del 127% a livello nazionale, di 168,93% per la regione Marche e di 159,52% per la provincia di Ancona. L’indice di dipendenza strutturale totale o di carico sociale esprime il numero di persone non autonome per ragioni demografiche (giovanissimi e anziani) ogni 100 persone che, si presume, debbano sostenerle con la loro attività. Tale indice è per Jesi di 56,87 a fronte di un dato regionale, al Censimento 2001, di 53,17 e provinciale di 52,84. La percentuale di popolazione jesina che non ha ancora compiuto i 6 anni di età è del 4,78% mentre il dato provinciale è di 4,99% e quello regionale di 5,04%. La popolazione con età maggiore di 64 anni risulta essere il 23,9% e quella compresa tra i 26 e i 40 anni il 22,54% del totale. Jesi possiede le caratteristiche tipiche dei paesi a sviluppo maturo e demograficamente senili: una bassa mortalità di tutte le classi di età, un basso tasso di natalità, una crescente incidenza della popolazione anziana e, all’interno di questa, della componente femminile. La piramide d’età della popolazione risulta un ibrido tra una prevalente forma a campana, dai contorni arrotondati e con base media, tipica di uno stato demografico stazionario, ed una forma a bulbo, con base più stretta, caratteristica delle popolazioni in fase di regresso demografico. I prossimi due decenni risultano rilevanti per la dinamica demografica di Jesi. L’attuale trend stazionario è destinato ad involvere rapidamente se, nel frattempo, il tasso di nascita e di immigrazione non modificheranno la struttura delle età della popolazione residente. Composizione della popolazione residente per età
(fonte: Sit Comune di Jesi, marzo 2004)
Nel 2004 risultano iscritti alla anagrafe comunale 1.672 cittadini stranieri, pari al 4,2% del totale della popolazione. La comunità immigrata più numerosa è quella albanese con 226 membri, seguita da quella tunisina con 216. Nella fascia tra le 200 e le 60 unità si posizionano le comunità rumena, nigeriana, marocchina, dominicana, cinese e bangladescia. (si veda il dossier Popolazioni e forme territoriali)
Jesi Profili
Stili di vita “metropolitani” Le famiglie (anagrafiche) dal Censimento 2001 risultano 15.450, con un numero medio di 2,52 componenti (nella provincia la media è di 2,58). La popolazione che vive in famiglie con 1 e 2 componenti costituisce il 33,26%, quella che vive in famiglie medie di 3 e 4 componenti il 55,42%. In provincia questi valori sono rispettivamente 30,94% e 55,91%. Popolazione residente per numero di componenti del nucleo familiare
(fonte: Istat 2001)
Le coppie senza figli sono 4.009 (il 34,5% dei nuclei familiari) e quelle con figli 6.310 (il 54,3%). In provincia i valori percentuali sono rispettivamente più bassi e più alti (32,7%, 56,1%). Se si considera la percentuale di coppie non coniugate come un altro degli indicatori di stili di vita “metropolitani”, si può osservare che a Jesi è di 4,05, contro il 3,37 della provincia. Geografie sensibili La distribuzione territoriale della popolazione nelle diverse parti della città non è omogenea. Anche dal punto di vista della caratterizzazione demografica, il territorio jesino può essere scomposto in quattro grandi parti: la città alta (la parte residenziale di collina), la città storica (il centro allargato di Jesi), la città della piana (la dinamica componente di valle proiettata in un sistema di relazioni regionali), la campagna e le frazioni (la parte rurale e i nuclei insediativi che vi si distribuiscono). Nei dati del Censimento 2001 la città storica e la città alta incidono ciascuna per poco più di un terzo della popolazione totale. Nella città della piana (poco meno di 6.000 abitanti), nella campagna e nelle frazioni (circa 4.500 abitanti) vive il restante 25%. Nel “centro allargato”, costituito dalle nove parti della città storica, in circa 6.000 alloggi vivono 14.000 persone. La popolazione anziana, con età superiore ai 74 anni, incide per circa il 14% e la sua distribuzione è relativamente omogenea: agli estremi si collocano la zona dell’Ospedale (con il 18%) e l’ambito di viale Cavallotti, dove la percentuale scende al 12%. La popolazione di Jesi per parti di città
(fonte: Anagrafe Comune di Jesi, marzo 2004)
Anche i circa 1.000 stranieri che vivono nella città storica costituiscono una presenza diffusa e distribuita, ma con alcuni addensamenti.
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Gli abitanti del centro allargato, la popolazione anziana, la componente straniera
(fonte: Istat 2001)
Tra gli scostamenti più rilevanti rispetto alla media del “centro allargato” (7%) sono significativi quello dell’ambito di viale Cavallotti, dove la componente straniera scende all’1,5%, così come le “punte” di San Giuseppe (11%) e Corso Matteotti (14%). Nel nucleo centrale della città e nei borghi, la concentrazione di popolazione anziana risulta coerente con l’attuale stato di conservazione del patrimonio edilizio; la consistente presenza di bambini indica piuttosto l’affezione da parte dei figli per la casa di proprietà familiare e la disponibilità di alloggi di piccolo taglio e in affitto, accessibili per le giovani coppie.
Le caratteristiche del patrimonio edilizio spiegano anche la propensione da parte dei membri delle principali comunità di immigrati a risiedere nella città storica.
2.2 Domanda e offerta edilizia
Distribuzione e composizione del patrimonio immobiliare I dati del Censimento 2001 forniscono alcune informazioni di base per l’intero territorio comunale dalle quali partire. In valori assoluti il numero delle abitazioni occupate è sostanzialmente pari a quello delle famiglie: 14.305 abitazioni e 14.328 famiglie occupanti. 10.561 abitazioni, il 73,8% del totale, sono in proprietà, usufrutto o riscatto, in media con il dato provinciale (74%). Dunque una quota non trascurabile di abitazioni - il 26% circa - è occupato con titolo di godimento in affitto. L’epoca di costruzione di questo patrimonio risale per circa il 30% al periodo precedente la seconda guerra mondiale e di questo il 20,8% è antecedente al 1919. È decisamente preponderante la quota di abitazioni occupate di dimesioni ampie: l’84% del patrimonio è costituito da 4, 5 e 6 stanze (anche questo è un dato sostanzialmente in media con quello provinciale: 85,2%). Le abitazioni non occupate e occupate occasionalmente risultano 1.533, il 9,7% dell’intero parco alloggi costituito da 15.838 abitazioni (nella provincia questo dato ammonta al 18,6%). 299 sono sul mercato per la vendita (112), per l’affitto (116), per l’una o l’altro (71). Com-
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plessivamente una quota pari all’1,9% del totale di abitazioni è in turn over. Delle restanti 1.234 abitazioni la metà circa (608) viene utilizzata per vacanza, lavoro, studio o tenuta a disposizione per altri motivi. Il resto è un patrimonio congelato, presumibilmente degradato. Il non occupato temporaneamente (i 299 alloggi sul mercato) e stabilmente (626 alloggi) ammonterebbe dunque a 925 alloggi (5,8% del totale) e di questi 391 sarebbero nella città storica. I dati raccolti col Censimento dal Comune, anche se non ancora ufficiali, consentono di disaggregare ulteriormente questo dato e di conoscere anche la distribuzione e le dimensioni delle abitazioni per parti di città. Nell’area urbana gli alloggi non occupati si concentrano lungo Viale della Vittoria, a San Giuseppe, a nord di Corso Matteotti e di via Roma, nell’area del Verziere a cavallo della linea ferroviaria. In campagna l’inoccupato interessa il settore ovest del territorio comunale. In particolare, nel centro allargato il patrimonio abitativo non occupato incide per circa il 6%. Maggiori (anche in valori assoluti) sono le quote di inoccupato negli ambiti San Giuseppe (116 alloggi, 9%), Viale della Vittoria (76 alloggi, 8%) e Corso Matteotti (31 alloggi, 12%). I valori più bassi contraddistinguono l’ambito di Viale Cavallotti (3%). Distribuzione degli alloggi non occupati nella città storica
(fonte: Istat 2001)
La distribuzione degli alloggi (al gennaio 2001) nei macroambiti esterni al centro urbano6 mostra come quella di “Colline nord-est” sia la parte di campagna maggiormente abitata con i suoi 1.178 alloggi e quella di “Colline sud-ovest” la meno abitata con 151 alloggi. Nel centro urbano, Viale Cavallotti (1.390), San Francesco (1.388), P.zza Bramante/Erbarella (1.301), San Giuseppe (1.274) e Colle Paradiso/Tabano (1.235) sono gli ambiti con maggior numero di alloggi; al contrario, Ospedale vecchio (184), Corso Matteotti (258), Mura orientali - parco del Vallato (243), Colli (243) e Santa Maria del Piano (148) quelli col minor numero. Gli alloggi di maggiori dimensioni, mediamente con più di 4 stanze, si Note: 6. Le analisi relative a distribuzione, composizione e grado di occupazione del patrimonio immobiliare sono state effettuate sulla base di 28 macroambiti, i quali raggruppano più sezioni di Censimento Istat 2001 secondo criteri di omogeneità morfologica e tipologica e/o tenendo conto del modo consueto col quale gli abitanti di Jesi sono soliti riconoscere parti della città. I macroambiti sono: 1 - Centro antico, 2 - Corso Matteotti, 3 - Ospedale vecchio, 4 - Viale della Vittoria, 5 - Viale Cavallotti, 6 - Mura orientali-Parco del Vallato, 7 - Stazione-Prato, 8 - Via Roma, 9 - San Giuseppe, 10 - S.M. Kolbe, 11 - San Francesco, 12 - P.zza Bramante/Erbarella, 13 - Piccitù, 14 - Colli, 15 - Colle Paradiso/Tabano, 16 - Ospedale, 17 - Verziere, 18 - Santa Maria del Piano, 19 - Minonna, 20 - Cascamificio, 21 - Ex Smia, 22 - ACTIG, 23 - ZIPA 1/2/3, 24 - Colline ambito nord/ovest, 25 - Colline ambito nord/est, 26 - Colline ambito sud/ovest, 27 - Colline ambito sud/est, 28 - Valle dell’Esino.
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trovano all’esterno del centro abitato dove prevalgono abitazioni unifamiliari, negli ambiti denominati Colline nord-ovest (4,53 stanze/alloggio), Colline sud-ovest (4,48) e Colline sud-est (4,23). Nel centro abitato, ovvero nella città compatta, sono ampi gli alloggi degli ambiti Ospedale vecchio (4,57), S.M. Kolbe (4,34), Colle Paradiso/Tabano (4,4), Colli (4,27), Ospedale (4,18), dove si concentrano gli interventi degli anni di grande espansione. Gli alloggi di dimensioni minori prevalgono negli insediamenti storici e a sud, dove si trovano gli interventi più recenti: Verziere (3,47), Santa Maria del Piano (3,3), Stazione-Prato (3,33), Centro antico (3,21), San Giuseppe (3,14), Mura orientali-parco del Vallato (2,93). San Francesco, con 3,93 stanze per alloggio, si colloca in posizione mediana. L’attività edilizia nel periodo 1987-2003 Lo spoglio sistematico delle pratiche edilizie che gli uffici comunali competenti hanno sbrigato dal 1987 al 20037 offre un interessante spaccato dell’offerta edilizia negli anni recenti, della sua entità e caratterizzazione in termini di destinazione d’uso, del suo andamento nel tempo e della distribuzione sul territorio. La forte attività complessiva a cavallo del 1987-88 (prima dell’introduzione della salvaguardia del Prg adottato) è seguita da una progressiva diminuzione (fino al 1993) e da una improvvisa ripresa dopo l’approvazione del Prg in Regione. L’attività, sostenuta fino al 1997, ha un nuovo picco nel 2000 poi registra un calo. Le pratiche interessano prevalentemente la città di collina, in corrispondenza dei margini con la campagna; l’area sotto il centro storico, Volumi concessionati a autorizati dal 1987 al 2003 per destinazioni d’uso, per anno
AR abitazioni rurali AU altri usi CA civile abitazione
UA uso artigianale UC uso commerciale UI uso industriale
(fonte: Sit Comune di Jesi) Note: 7. Poiché i dati dovevano essere elaborati e inseriti nel Sistema informativo, si è deciso di considerare prioritariamente il periodo che inizia dalla data di adozione del Prg vigente.
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a ridosso dell’asse sud; la Zipa; la campagna, a monte della superstrada Falconara-Fabriano. Le pratiche riferite alle operazioni più consistenti sono relative agli usi industriali, artigianali e commerciali (complessivamente il 60% della volumetria richiesta nell’intero periodo è ascrivibile ad essi). Dal 1998 in poi dominano le destinazioni commerciali. L’incremento progressivo dell’entità delle operazioni segnala un processo di “modernizzazione” dell’attività edilizia, ovvero di concentrazione degli operatori. I volumi relativi alle “Civili abitazioni” si concentrano lungo due principali direttrici (nord/sud verso il fiume Esino ed est/ovest lungo la provinciale Falconara-Fabriano), sui margini della città collinare, nella Volumi concessionati e autorizzati dal 1987 al 2003 per destinazione d’uso
(fonte: Sit Comune di Jesi)
Numero di alloggi e vani abitabili concessionati e autorizzati
(fonte: Sit Comune di Jesi)
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campagna a sud/ovest. Gli interventi artigianali più numerosi si attestano lungo la ferrovia con accentuazioni verso la Zipa. Altri interventi si sono collocati in corrispondenza della centrale elettrica, di via Roma e nel quartiere di S.M. del Piano. La localizzazione delle nuove attrezzature commerciali ricalca sostanzialmente quella dell’artigianato, privilegiando gli attestamenti sulle principali strade d’accesso. Se si esclude l’area della Zipa, si trovano nuovi insediamenti industriali nell’area del Verziere e del cascamificio, a ridosso del tracciato ferroviario. (si veda il dossier Quantità edilizie) Un sondaggio sulla domanda di casa Un sondaggio effettuato presso 7 agenzie immobiliari di Jesi restituisce un’immagine concorde sulle caratteristiche della domanda abitativa, che riflette il tipo di offerta esistente e le tendenze espresse dal mercato immobiliare negli anni recenti: - si registra una domanda decisamente preponderante di alloggi piccoli e medio-piccoli, con 2-3 locali, dai 45 ai 70 mq (la percentuale delle domande di questo tipo viene stimata tra l’80 e il 90% di quella totale che si rivolge alle agenzie); - questa domanda accomuna diverse componenti: coloro che non possono accedere ad alloggi più grandi per motivi di budget; i piccoli nuclei familiari; coloro che intendono acquistare per investimento; coloro che decidono di comperare a causa di un mercato dell’affitto scarso, con prezzi alti e anche selettivo nei confronti dell’affittuario (è il caso degli stranieri, che cominciano ad accedere al mercato della casa in proprietà); - è in declino una domanda per appartamenti ampi, oltre i 100 mq; - c’è una domanda minoritaria (alcuni la stimano attorno al 20% di quella totale) di abitazioni indipendenti, non soddisfatta dall’offerta di edifici nuovi e neppure di edifici da ristrutturare (la soluzione “casa isolata” in campagna risulta inaccessibile per i costi troppo elevati); - non viene soddisfatta la domanda di alloggi da ristrutturare, sia per i costi alti, sia per le caratteristiche degli alloggi, troppo piccoli nel “centro storico” comunemente inteso, troppo grandi in campagna; - la domanda privilegia decisamente le aree centrali o particolarmente accessibili e si “adatta” ad allontanarsi solo a causa dei prezzi.
2.3 Economia e lavoro
Il confronto delle dinamiche occupazionali del comune di Jesi con quelle della provincia di Ancona (49 comuni e 448.473 abitanti) e dello Jesino, l’area dei 20 comuni che fanno parte del Centro per l’impiego e la formazione (108.598 abitanti, 24,2% della popolazione provinciale), mostra andamenti positivi8. Note: 8. I 20 comuni dello Jesino sono: Camerata Picena, Castelbellino, Castelplanio, Chiaravalle, Cupra Montana, Filottrano, Jesi, Maiolati Spontini, Mergo, Monsano, Montecarotto, Monteroberto, Monte San Vito, Morro d’Alba, Poggio San Marcello, Rosora, San Marcello, San Paolo di Jesi, Santa Maria Nuova, Staffolo.
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Crescita occupazionale sopra la media provinciale, tiene anche l’industria I dati 1991-2001 evidenziano un’interessante dinamica di crescita occupazionale (+15,3%), risultato di un netto rafforzamento del settore terziario (+22,4%, marcatamente superiore al dato provinciale +15,0%, e dello Jesino +15,6%) e di una buona tenuta dell’industria manifatturiera (+1,5%). La dinamica comunale nella manifattura si misura con la netta crescita dello Jesino (+6,9%) e il notevole rafforzamento dell’area anconetana (+12,0%). Questi andamenti positivi sono accompaAddetti alle unità locali suddivise per macrosettore (a Jesi, nello jesino e in Provincia di Ancona)
(fonte: Istat 2001)
gnate da un rafforzamento della dimensione media delle unità locali: un dato in controtendenza rispetto a gran parte del Paese. Il peso specifico di Jesi è interessante: mentre in relazione alla provincia il suo peso in termini occupazionali rimane sostanzialmente immutato (da 9,43% nel 1991 a 9,58% nel 2001), in rapporto al contesto Jesino esso tende ad aumentare (da 43,09% a 45,20%). Un dato significativo se si pensa alla concorrenza sviluppata da alcuni comuni nell’offerta di nuove aree industriali (ad esempio Monsano e Maiolati Spontini). E’ vero che il numero degli occupati nel settore manifatturiero mostra una flessione di Jesi nei confronti degli altri centri (da 31,08% a 29,51%), ma tale dato è ampiamente compensato dall’incremento di peso nel settore terziario (da 55,12% a 58,43%). Percentuale di addetti per macrosettori (Jesi, jesino, Provincia)
(fonte: Istat 2001)
Il rafforzamento delle attività terziarie non è “post-industriale” La composizione settoriale degli addetti al 1991 e al 2001 mostra il riequilibrio tra industria e servizi, a vantaggio di questi ultimi (la cosiddetta ‘terziarizzazione’): il peso degli addetti al terziario sul totale degli addetti passa dal 64,4% del 1991, al 68,4% del 2001, ma l’indebolimento industriale di Jesi (dal 29,9% al 26,1%) ha un segno più accentuato rispetto a ciò che accade nell’intera provincia (che mantiene un 33,3% di addetti alla manifattura) e nell’area Jesina (39,1%). Jesi svolge un ruolo di riferimento territoriale, sia in relazione alle modalità
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insediative e gestionali della sua manifattura (l’area del Consorzio Zipa è un modello regionale), sia per quanto riguarda alcuni servizi tipicamente urbani nei quali la città evidenzia un primato non solo recente. É questo il segno di uno sviluppo dei servizi fortemente connesso alla base produttiva industriale. Profilo ancora multisettoriale, ma solo la meccanica segna un rafforzamento Il profilo multisettoriale che caratterizza da anni il contesto manifatturiero di Jesi esce, almeno in parte, ridimensionato. Il comparto della meccanica (rappresentato dalle sottosezioni DJ, DK, DL e DM) è tra i pochi ad avere un segno positivo. I 2.677 addetti in questo comparto al 2001 rappresentano una quota ormai maggioritaria degli addetti all’industria manifatturiera (il 59,21%, rispetto al 44,79% del 1991). Altre manifatture mostrano segni percentuali negativi e talvolta una riduzione consistente anche in valori assoluti (-298 addetti nelle industrie Percentuale di addetti attività manufatturiere per settori (Jesi, jesino, Provincia)
(fonte: Istat 2001)
alimentari, -250 nel tessile, -135 nelle industrie conciarie, -82 in quelle chimiche). Un distretto del consumo per la Bassa Vallesina Gli anni ‘90 segnano una ristrutturazione del settore commerciale caratterizzata dall’affermazione dei supermercati e dei grandi magazzini e da una relativa specializzazione merceologica del centro storico. I dati sull’occupazione del settore registrano un +3,8% (un tasso di crescita quasi triplo rispetto a quello dello Jesino e maggiore di quello provinciale) e quelli relativi alle unità locali confermano una dinamica positiva per Jesi (+5,3%) a fronte di un segno negativo dello Jesino (-3,2%). La formazione di un vero e proprio distretto del consumo, imperniato su grandi piattaforme di vendita, sembra incidere profondamente sul territorio circostante. Jesi polo bancario regionale e centro di servizi per un territorio più ampio Le varie attività di servizio mostrano interessanti segnali di rafforzamento. È il caso delle attività bancarie e finanziarie (sezione J) che segnano un +39% di addetti (360 unità) e un +94% in termini di unità locali (passando da 73 a 142 nel decennio). In città, Banca Marche ha il suo centro direzionale oltre a 7 agenzie; la Banca Popolare di Ancona è presente con il proprio direzionale, 5 agenzie e uno sportello presso l’area Zipa. Sono inoltre presenti una ventina di banche regionali e nazionali, e la sola Unicredit ha 4 sedi. Jesi si conferma quindi polo bancario regionale, in linea con la vocazione storica di una città sede originaria di molti istituti marchigiani. Le altre attività di servizio alle imprese (sezione K) mostrano un note-
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vole rafforzamento sia in termini di addetti, +157,5% (1.660 unità), sia in termini di unità locali, +120% (456 unità). In questo dato pesa certamente l’ampia gamma di servizi considerati: da quelli ‘poveri’ (servizi immobiliari, di noleggio auto e macchinari), fino ai servizi a maggior contenuto di informazioni e di saperi (le attività di ricerca e sviluppo, quelle professionali). Le dinamiche occupazionali riscontrate in queste attività sono superiori, in termini percentuali, a quelle dello Jesino e dell’intera provincia. Un’agricoltura in bilico Il censimento Istat del 2000 rileva un totale di 759 aziende agricole, inferiore di 73 unità rispetto al dato del 1990. La superficie agricola totale si è ridotta di 450 ha dal 1990 al 2000, passando da 9.136,27 ha a 8.687,12 ha. Le colture cerealicole, in particolare frumento duro, sono quelle prevalenti, rappresentano infatti l’84% dell’intera superficie coltivata. La tradizione agricola di Jesi era legata all’orticoltura, nella pianura in prossimità del fiume, grazie anche alla disponibilità di acqua per cui si ottenevano produzioni quantitativamente e qualitativamente elevate. Dal 1990 al 2000 tale attività si è notevolmente ridimensionata passando da 268 a 158 aziende. La viticoltura ha subito un netto calo sia in termini di superficie vitata, da 374,35 ha nel 1990 a 186 ha nel 2000, sia di aziende, da 530 a 300. L’olivicoltura, in controtendenza rispetto al comparto viticolo, è in crescita con un incremento della superficie dal 1990 al 2000 di circa il 50%. Altro comparto di notevole rilevanza è quello zootecnico con interessanti allevamenti di bovini da carne, da latte ed avicoli. La maggior parte delle aziende che insistono sul territorio è a conduzione diretta del coltivatore. La manodopera viene reclutata internamente alla famiglia anche se i singoli componenti di solito svolgono attività remunerativa in altri settori. Un dato sintomatico è quello derivante dall’analisi delle aziende per classe di età del capoazienda. 360 aziende, circa la metà del totale, sono condotte da persone con più di 65 anni, solo 51 hanno il capoazienda con meno di 40 anni: il rischio è quello di un “invecchiamento” del settore. L’agricoltura biologica non è molto diffusa, mentre c’è un discreto interesse nei confronti dell’agricoltura a basso impatto ambientale, grazie anche ai finanziamenti comunitari. La presenza di un solo agriturismo nel comune di Jesi, nonostante la Aziende per classe di superficie
(fonte: Istat 2000)
Superficie aziendale secondo l’utilizzazione (in ettari)
(fonte: Istat 2000)
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Aziende per forma di conduzione
(fonte: Istat 2000)
rilevanza ambientale e paesaggistica del territorio, denota scarso interesse verso tale attività da parte degli operatori del turismo rurale. In sintesi, emerge una situazione agricola caratterizzata da tante aziende di piccole dimensioni, inferiori a 5 ha, legate ad un’agricoltura convenzionale e non specializzata, che privilegia le colture a seminativo; di diverse aziende di medie dimensioni, fra i 20 e i 50 ha, con indirizzo produttivo misto, gestite da agricoltori professionali sensibili alle richieste del mercato ed agli aiuti della Comunità europea; da poche grandi aziende oltre i 100 ha, specializzate e tecnicamente avanzate. Parallelamente a questa esiste una realtà agroalimentare con aziende di prestigio nazionale nel settore vitivinicolo e zootecnico che riescono a gestire l’intera filiera produttiva, passando dalla produzione alla vendita diretta al consumatore. Le aziende più importanti sono Agrivinicola Montecappone, Umani Ronchi, Fazi Battaglia, Colonnara, Moncaro, nel comparto vitivinicolo; Fileni e Garbini (gruppo Arena) nell’allevamento di avicoli (la sede della Fileni è stata spostata da Jesi a Cingoli per varie ragioni, da alcuni viene definita come la più grande azienda agricola italiana). Queste aziende, oltre ad avere interessanti fatturati, assorbono una quota rilevante del mercato occupazionale (Garbini e Fileni occupano circa 2.000 persone). La presenza dello zuccherificio Sadam, della centrale del latte Cooperlat, del gruppo Pieralisi, leader mondiale nella produzione di macchine per frantoi, della Angelini, della New Holland, per la fabbricazione di trattori, crea un indotto che si ripercuote sulle attività e sull’economia di tutta la Vallesina. Il Comune di Jesi, pur non essendo sede fisica di alcune delle attività condotte dalle aziende citate, ha un ruolo centrale nella loro economia. La politica comunitaria prevalente, la cosiddetta Pac, non ha favorito il legame tra impresa e territorio, in quanto ha spinto lo sviluppo dell’agricoltura regionale in direzione di una omologazione e standardizzazione dei modelli produttivi, allineandoli a quelli del centro-nord Europa (agricoltura estensiva e specializzata). Questo modello si discosta sensibilmente dalla tradizione agricola regionale caratterizzata dalla diversificazione delle produzioni, provocando una diffusa destrutturazione delle aziende che si sono progressivamente specializzate nella coltivazione di seminativi a basso impiego di lavoro (occupazione part-time) e ad elevato uso di capitali (meccanizzazione). (si veda il dossier Economia e forme territoriali)
2.4 Paesaggio agrario
Competizione per l’uso del suolo Una realtà agroalimentare con poche aziende specializzate e tecnica-
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mente avanzate, di prestigio nazionale nel settore vitivinicolo e zootecnico, coesiste con un insieme di piccole aziende legate a un’agricoltura convenzionale e in sofferenza per l’invecchiamento dei conduttori. I processi di riduzione della varietà colturale, favoriti dagli incentivi al seminativo della politica agricola comunitaria, sono all’origine dei processi di impoverimento organico dei suoli, da un lato, e dell’estensione dei fenomeni erosivi e franosi, dall’altro. Alcune riconosciute “qualità di Jesi”, legate al paesaggio agricolo, alla cultura e al turismo, mostrano segni di sofferenza. La crescita scarsa dell’offerta turistica e ricettiva indica che la “scoperta” turistico-culturale delle Marche avvenuta negli anni ‘90 vede Jesi ancora debolmente attiva. La scarsa presenza di aziende agricole biologiche (nonostante l’espansione del biologico costituisca uno degli obiettivi primari dell’Unione europea) e di 1 sola azienda operante nel settore agrituristico sono segnali che vanno nella stessa direzione e che assumono un valore significativo se considerati assieme al ridimensionamento del comparto ortofrutticolo per il quale Jesi ha ricoperto un ruolo leader. Questo impasto contraddittorio mette la campagna al centro di una competizione che favorisce forme d’uso a macchia di leopardo, accostamento di usi del suolo ricchi (industrie di trasformazione, allevamenti, cave...), impoveriti (case coloniche e usi agricoli non competitivi...), innovativi (colture biologiche, agriturismo). Tre grandi partizioni Il territorio di Jesi, che si estende su una superficie di circa 10.400 ha, è per l’83% campagna. La campagna jesina è punteggiata da un consistente patrimonio edilizio le cui regole insediative e la cui tipologia conservano ancora, in gran parte, una coerenza con la forma del paesaggio agrario. Se la funzione residenziale tende a prevalere nella parte settentrionale compresa tra la valle del Granita e Monsano, nel fondovalle e nella parte meridionale del comune prevale la funzione produttiva in un quadro di maggiore rarefazione degli insediamenti. Consistente e diffusa è anche la presenza di edifici abbandonati. Il territorio è percorso da una fitta rete di strade pubbliche e da un’altrettanto fitta ramificazione di percorsi prevalentemente privati. L’insieme definisce un sistema estremamente articolato nato in funzione dell’uso agricolo e oggi disponibile a usi diversi: la viabilità di attraversamento, l’accessibilità agli spazi della residenza e del lavoro, la fruizione del paesaggio. La rete si configura quindi come un sistema a doppia velocità formato dai principali percorsi, asfaltati, e dalle strade di penetrazione, bianche. L’assetto della vegetazione arborea esistente, la differenziazione delle colture e delle associazioni vegetali mostrano come la continuità ambientale affidata alla vegetazione di fondovalle e delle vallicole secondarie venga a mancare in corrispondenza delle grandi infrastrutture di fondovalle e delle zone industriali, come la consistenza e diversificazione del patrimonio arboreo sia indebolito nelle aree dedicate all’agricoltura intensiva. Nella estrema diversificazione colturale e conseguente varietà del paesaggio agrario spicca l’assenza di consistenti colture viticole che invece connotano i comuni vicini. La variabilità geomorfologica incide fortemente sull’uso del suolo e concorre alla caratterizzazione di tre paesaggi agrari: -il paesaggio collinare a nord del centro abitato, dove emerge la ridotta dimensione aziendale con fondi frammentati dalla presenza di più colture (seminativo, vite, olivo etc.); - il paesaggio di pianura segnato dalla presenza del fiume, dove la
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maglia poderale si allarga ed i fondi sono di dimensioni più grandi. La coltura prevalente è quella cerealicola, ma sono ancora presenti le colture orticole, frutteti e vivai; - il paesaggio collinare a sud del fiume, dove, più che in pianura, l’indirizzo produttivo dominante è quello cerealicolo. - La vitalità delle attività rurali è garantita dalla distribuzione uniforme e diffusa della popolazione e delle abitazioni. I tre quadri ambientali, di secolare formazione, sono oggi sottoposti a differenti ma ugualmente profonde tendenze alla modificazione: a nord il territorio agricolo tende ad accogliere oggetti e attività che hanno relazione diretta con la città, quindi proliferazione puntiforme di insediamenti e funzioni legate alla residenza e al lavoro. Nella piana la competizione con le grandi funzioni produttive, commerciali, con gli spazi delle infrastrutture e della logistica tende ad erodere consistenti parti del territorio agricolo e a trasformare radicalmente il paesaggio con impatti significativi anche sull’equilibrio ambientale. A sud, l’impoverimento del paesaggio prodotto dall’accorpamento delle particelle e da una gestione agronomica tesa verso il massimo sfruttamento dei suoli, ha avuto come esito un indebolimento del sistema ecologico e della stabilità geologica con conseguente vulnerabilità.
2.5 Relazioni territoriali
Dotazioni e prestazioni Preliminarmente si può affermare che il rango di una città ha a che fare con un determinato insieme di strutture e di attività che nel corso del tempo l’hanno dotata di un certo livello di attrezzature. Ma poi occorre considerare che le dotazioni sono un indicatore assai parziale se non viene posto in relazione con i comportamenti effettivi delle diverse attività ad esse riferite, ossia con le loro prestazioni. Ad esempio: un centro sportivo rappresenta certamente una dotazione della città, ma osservare anche le prestazioni sportive presenti a Jesi consente di esibire - per quanto riguarda discipline come il basket o la pallavolo - la significativa presenza di alcune squadre nelle maggiori serie nazionali; alcune imprese nel ramo della viticoltura sono una dotazione del patrimonio produttivo jesino, ma i risultati raggiunti da alcune qualità di Verdicchio dei Castelli a livello internazionale aprono ad una maggiore comprensione del rango internazionale di Jesi. Lo spettro di attività considerate per individuare il rango di Jesi è assai ampio e viene proposto accorpando le diverse funzioni secondo insiemi che hanno un carattere autoevidente (funzioni culturali, direzionali, produttive, distributive e sociali). Come ogni suddivisione e classificazione anche questa risponde a criteri discrezionali, ma presenta almeno il vantaggio di non limitare lo spettro di attività a quelle esclusivamente di tipo economico o ‘strategico’ (nel senso di attività e attrezzature eccellenti a supporto del sistema produttivo urbano). Una classificazione ampia di questo genere sembra più rispondente ad una concezione ricca della sviluppo, che tende a qualificarsi proprio nella possibile valorizzazione di ‘capitali’ compositi (capitale sociale, capitale fisso, capitale culturale, capitale imprenditoriale ecc.). Jesi presenta un set di dotazioni piuttosto originale e diversificato, evidenziando però sottodotazioni in campi e settori, alcuni dei quali
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rappresentano un consistente limite per un rafforzamento della città e del suo ruolo territoriale. Tale giudizio riguarda, solo per fare alcuni esempi: il campo della ricettività e delle sue possibili articolazioni (quindi non solo alberghiera in senso stretto); il campo della formazione e della ricerca; almeno parzialmente, il campo delle attrezzature sportive; le attività direzionali e dei servizi al sistema produttivo, come quelle legate al settore fieristico/espositivo o - in forma meno pronunciata - a quello connesso delle attività convegnistiche e congressuali. Jesi presenta alcune eccellenze invidiabili e peculiari che appaiono ancora poco sostenute da un sistema locale in grado di valorizzarle. Ad esempio: il paesaggio rurale e l’economia della campagna (percorsi enogastronomici, le strade del vino, un turismo di qualità); il ruolo Tipi di funzioni e livelli territoriali: dotazioni/prestazioni di Jesi
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territoriale della città storica (e non solo di un tradizionale ‘centro storico’) che può qualificarsi in un modello economico e culturale integrato a quello dei Castelli; alcune esperienze nel campo della formazione qualificata (dalla scuola di cucina, ai primi percorsi universitari). Ma, per altri versi, anche il denso tessuto civile e associativo locale non sembra ancora pienamente valorizzato all’interno delle politiche culturali e nelle nuove politiche di welfare locale. Queste note invitano a guardare al rango dimensionale e funzionale della città in termini dinamici e transcalari; ogni riduzione esclusiva dei processi in corso ad una sola delle componenti richiamate rischierebbe di essere fuorviante, incapace di misurarsi con l’articolazione e la varietà dei mutamenti in corso e difficilmente in grado di cogliere le opportunità che si possono aprire di fronte ai tanti attori della governance territoriale. Il reticolo degli attori della governance territoriale
Comune cerniera fra diversi sistemi territoriali Alcune politiche di coordinamento tra realtà locali mostrano che Jesi è un comune cerniera. È il comune capofila dei 19 che gestiscono in forma associata lo Sportello unico per le attività produttive e partecipa al CIS-Consorzio intercomunale servizi della Vallesina per l’informatizzazione; fa parte del Distretto industriale della meccanica dell’alta e media valle dell’Esino (16 comuni) e rientra in uno dei 10 Sistemi turistici locali; ha partecipato al Patto territoriale delle valli ed è tra i promotori del Patto territoriale agricoltura di qualità; è nel Prusst dell’area urbana di Ancona; è comune capofila per la media Vallesina firmatario del Protocollo d’intesa fra i comuni dell’alta, media e bassa Vallesina per la costruzione di progetti coordinati di Agenda 21. Si tratta di altrettante reti di relazione, non coincidenti l’una con l’altra, che concorrono a delineare l’identità plurima di Jesi e la sua posizione baricentrica nella regione. Progetti importanti di scala interregionale e nazionale investono il suo territorio: il progetto Quadrilatero infra-
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strutturale Marche-Umbria e, soprattutto, il progetto di spostamento da Falconara dello scalo merci all’interno del riordino del Nodo di Falconara. Il Piano di inquadramento territoriale della regione Marche (approvato nel febbraio del 2000) considera di importanza nazionale il telaio costituito dalla autostrada A14, dalla SS16 Adriatica e, trasversalmente da nord a sud, dalle direttrici Fano-Siena-Grosseto, Ancona-Perugia (tramite la SS76 Vallesina), Civitanova-Macerata-Foligno, Ascoli-RietiRoma. Proponendo il potenziamento della direttrice Ancona-Perugia, indica come strategici i collegamenti tra porto di Ancona, autostrada A14, interporti di Jesi e Orte, superstrada Cesena-Orte, aeroporto di Falconara, rete ferroviaria della dorsale costiera adriatica. Un’impostazione sovralocale del Piano idea Il rango e il sistema di relazioni territoriali in cui Jesi è inserita sono più complessi di quanto lascerebbe supporre la dimensione demografica della città. Rispetto alla Jesi di soli 10-15 anni fa, la città di oggi sembra mostrare un salto di scala nell’organizzazione territoriale che prende corpo sia nel mutamento degli assetti insediativi in fase di definizione, sia in nuove dinamiche relazionali, non più circoscrivibili all’interno della città compatta. Si possono individuare almeno tre forme di questo salto di scala: - un salto di scala - territorialmente contiguo - verso il mare. È il prender corpo di quello che è stato chiamato il Corridoio dell’Esino (a partire dal Piano territoriale regionale) e che rimanda alla tradizionale immagine del “pettine” marchigiano formato dalla dorsale Adriatica e dal sistema longitudinale delle valli. Ma solo rispetto a pochi anni fa, la Bassa Vallesina assume i tratti ancor più marcati di una piattaforma infrastrutturale e produttiva strategica per l’intero territorio regionale. Da Jesi verso il mare, la conurbazione tenderà nei prossimi anni a saldarsi, imponendo scelte calibrate sia da un punto di vista ambientale (il Pit suggerisce di affiancare biocanali di rigenerazione ambientale alla viabilità a scorrimneto veloce), sia per quanto riguarda le opportunità di riqualificazione urbana dei diversi centri; - un salto di scala - territorialmente discontinuo - verso nuovi rapporti reticolari. È il prender corpo di un reticolo urbano marchigiano (e centro italico), espressione di nuove dinamiche territoriali determinate sia dal mutamento nei rapporti reciproci tra le città (ad esempio, nel mutamento dei pesi demografici ed economici; ma anche nei profili più o meno attivi delle loro amministrazioni locali), sia dai reticoli relazionali che si formano a partire da una più spiccata territorializzazione di alcune funzioni importanti (ad esempio: l’università che attiva strategie di decentramento selettivo, ma anche agenti territoriali più tradizionali, come la Zipa che ha storicamente attivato una strategia policentrica); - un salto di scala - territorialmente proiettato - attraverso reti lunghe. Sono le forme e i modi con i quali oggi le città stanno nel mondo, si connettono ai circuiti dello scambio economico e culturale nazionale e globale. Anche qui è possibile rilevare mosse ed effetti di natura diversa. Essi possono riguardare: gli scambi e i gemellaggi tra amministrazioni e città europee (Jesi è gemellata con una città francese e una tedesca); la partecipazione di Jesi a reti associative le più diverse (culturali, economiche, sportive ecc.) e alle differenti scale: nazionali o transnazionali; le strategie di marketing di un prodotto di qualità (il Verdicchio dei Castelli viaggia nel mondo con il marchio ‘Jesi’ stampato su ogni bottiglia).
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Ma Jesi e il suo sistema locale sta nel mondo anche grazie al ruolo propulsivo di alcune aziende multiplant (si pensi ad un’azienda leader come Pieralisi e alla sua localizzazione in più continenti). Certo tali mosse transcalari riguardano innanzitutto i singoli attori economici, ma sarebbe un errore non cogliere il loro ruolo effettivo e/o potenziale di emissari di una località. Anche in questo modo Jesi si relaziona al mondo. Le proposte della Variante generale al Prg, delineate nel loro carattere programmatico attraverso il Piano idea, si collocano in questa prospettiva: intendono confrontarsi con i problemi locali e con quelli territoriali, aprendo al confronto sulle scelte inerenti alle centralità, alle dotazioni e prestazioni di infrastrutture e servizi, all’ambiente e alla campagna, all’offerta di aree per residenza e attività economiche. Se il Prg degli anni ‘80 ha segnato la ristrutturazione della città “composta” entro i confini comunali, questo nuovo intende ridisegnare le relazioni con il territorio allargato. (si vedano i dossier Relazioni territoriali e sviluppo locale; Contributi per l’Agenda strategica. Le geografie dello sviluppo).
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3. Le idee del Piano idea
3.1 Orientamenti del Piano idea
Gli orientamenti che qualificano il Piano idea, consonanti con le linee espresse nell’Atto di indirizzo dell’Amministrazione comunale e più direttamente connesse all’eredità del “Piano Secchi”, sono già stati sinteticamente accennati: - riconoscimento e valorizzazione dei caratteri di diversità tra le parti, piccole e grandi; - riqualificazione delle parti interne alla città costruita, completando il processo di ristrutturazione; - salvaguardia della distinzione tra città e campagna evitando la dispersione degli insediamenti; - rafforzamento delle diverse forme di connessione, infrastrutturale e funzionale, tra le parti. L’idea che organizza le scelte della Variante generale coerentemente con quegli orientamenti, aprendo però nuove prospettive e introducendo altri temi, è quella di un nuovo rango di Jesi, non più “piccola città composta”, ma “capoluogo del Corridoio Esino”, che riconquista una posizione di eminenza anche per la sua qualità urbana e territoriale. Questo decisivo spostamento del punto di vista si riflette su tutte le scelte che vengono di seguito riassunte e che saranno dettagliate nei capitoli successivi. Conferire un ruolo territoriale al centro storico riconoscendo una “città storica” allargata, centro della Vallesina. La valorizzazione del centro storico è una domanda che emerge con chiarezza e vigore dal lavoro del Piano strategico, l’urgenza della quale si conferma considerando che il centro di Jesi, benché interessato da un Piano particolareggiato negli anni ‘80 e recentemente da un Piano di recupero, oltre che da importanti opere di restauro e riqualificazione avvenute nel corso degli anni ‘90, non è stato ancora oggetto di una riflessione “strategica” tendente a ricomprenderlo in un disegno generale per la città e il territorio. Alcune strozzature nel funzionamento di Jesi sembrano in parte riconducibili al congelamento delle relazioni con il centro storico, dove si manifestano alcuni tipici fenomeni di degrado e valorizzazione unidirezionale. Tenere i margini e la figura urbana completando a ovest la città addensata sulla collina, separando con corridoi ecologici le addizioni nella piana a est. Jesi è una bella città di piccole dimensioni, il cui carattere di compiutezza deriva dalla persistente distinzione tra la parte urbana densa e la campagna con manufatti radi, dalla presenza di “frontiere” naturali e artificiali che ancora rendono riconoscibile l’impronta urbana. Ma la
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frontiera, per reggere, deve essere uno stato d’animo e oggi questo stato d’animo sembra vacillare. Occorre dunque radicarlo attraverso una convincente ridefinizione dei confini della città e l’individuazione di regole per nuove quote insediative. “Tenere i margini e la figura urbana” è uno dei modi per declinare il tema generale della sostenibilità dal punto di vista dell’uso del suolo e degli equilibri ambientali. Dare una prospettiva ecologica ai luoghi dell’abitare. Caratterizzare e combinare le “nicchie” residenziali dei diversi abitanti di Jesi, mettere in cantiere una nuova “Zipa verde” con attrezzature ecologiche certificate e industrie avanzate sono orientamenti che riprendono altre raccomandazioni dell’Atto di indirizzo e che concorrono alla declinazione della sostenibilità. Una partnership progettuale con il Consorzio Zipa potrebbe creare le condizioni di radicamento delle nuove pratiche d’intervento; workshop progettuali e concorsi di progettazione portare idee innovative e soluzioni di qualità delle quali promuovere la progressiva diffusione. Ridefinire l’assetto della mobilità riconoscendo alla superstrada il ruolo di vera circonvallazione di Jesi, doppiando il sistema di attraversamento urbano, creando un sistema di collegamenti interquartiere a ovest. L’aumento esponenziale degli spostamenti genera traffico in tutte le città italiane e l’aumento della dotazione pro-capite di auto private ingombra ovunque lo spazio stradale. La forma, l’economia, la storia di ogni città danno a questo problema generale una connotazione specifica. Affrontare la questione, dominante nell’agenda politica jesina, significa in primo luogo cogliere gli aspetti locali, specifici. A Jesi incide in maniera determinante il conflitto irrisolto tra due principali impianti stradali e di funzionamento della città: quello per anelli di circonvallazione del piano regolatore degli anni ‘60 e quello per assi di attraversamento longitudinali del Prg vigente. Il secondo è subentrato al primo interrompendolo e non è ancora diventato una compiuta alternativa. L’attivazione dell’Interporto, l’ampliamento della Zipa, il nuovo insediamento di Fontedamo, i completamenti residenziali previsti a ovest e a sud hanno implicato un ridisegno complessivo della rete, della sua gerarchia e dei suoi nodi. Riqualificare lo spazio di dominio pubblico raccordando, ripermeabilizzando, diversificando, decidendo le priorità per valorizzare la dotazione di aree a standard e rendere riconoscibile il sistema delle centralità locali. La progettazione dello spazio pubblico e collettivo costituisce motivo generale dell’urbanistica contemporanea e specifico dell’urbanistica jesina. Il Prg vigente, infatti, aveva “inventato” una tavola apposita denominata “Progetto di suolo” che non è riuscita ad esercitare il ruolo propulsore che intendeva avere. L’attuazione di molte previsioni del Prg ha semmai reso più forte la necessità di un progetto del suolo, il quale dovrà essere aggiornato e trovare strumenti adeguati di realizzazione. Molte condizioni sono cambiate e non in modo favorevole. Tuttavia è stata approfondita la riflessione sul welfare locale, adatto al contesto e alle risorse economiche, politiche e sociali mobilitabili, e molte esperienze si sono fatte o sono in corso. Ci si potrà riferire a questo patrimonio, accumulatosi negli ultimi anni, per ricostruire un progetto dello spazio pubblico jesino.
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3.2 Città storica
Il “centro storico” è stato a lungo identificato con la città premoderna e, tipicamente, con la città murata, parte riservata al restauro, al museo, alla contemplazione, talora alla “messa in scena” dell’identità della comunità insediata. Uno spazio sottratto e protetto. Nei piani urbanistici più recenti la nozione di centro storico è stata sottoposta ad una progressiva revisione, per cui la “storicità” si configura sempre più come concetto convenzionale e relativo, non tanto legato alla natura intrinseca dei beni territoriali quanto all’attribuzione di senso di cui tali beni sono oggetto. La storicità diviene una chiave interpretativa attraverso la quale si riconoscono parti del territorio urbano con qualità differenziali, per le quali si chiede al progetto urbanistico un atteggiamento di particolare attenzione. Parlare di storicità diventa un modo per richiamare sinteticamente un sistema di valori riconosciuti e condivisi, per sottolineare la presenza di fattori qualitativi che sta al piano interpretare e valorizzare. Introdurre l’idea di “città storica” diventa uno dei modi per poter trattare il tema della qualità urbana. Già con il Contratto di quartiere, scegliendo di usare il termine “centro antico”, si èvoluto aprire un discorso sulle diverse componenti di un territorio urbano al quale siriconoscono qualità e valori particolari, non omogenei, candidati ad assumere ruolidiversi. Benché sia considerata fondamentale la presenza di manufatti storici, singolio aggregati, le parti della città storica di Jesi vengono individuate a partire dalle qualità che le contraddistinguono e dalle sollecitazioni specifiche che essi rivolgono al progetto, alimentandosi dei processi di riconoscimento e nominazione attivati dal Piano strategico attraverso le pratiche d’ascolto della società insediata.Le parti, riconosciute come componenti la città storica di Jesi, sono 9 e solo le primedue hanno a che fare con la tradizionale nozione di centro storico: 1. Centro antico;2. Corso Matteotti; 3. Ospedale; 4. Viale della Vittoria; 5. Viale Cavallotti; 6. Mura orientali-Parco del Vallato; 7. Prato-Stazione-S. Maria del Piano; 8. Via Roma; 9. S. Giuseppe. Questo centro allargato è l’ambito strategico nel quale arricchire e qualificare la relazione tra la città stabilizzata di collina (espressiva della sfera locale) e la città dinamica di valle (proiettata alla scala regionale). Un articolato insieme di interventi, in parte avviati o già decisi durante il processo di costruzione del Piano idea, viene messo a sistema per valorizzare i caratteri distintivi di ciascuna parte e per offrire una gamma di opportunità, come si conviene al nodo forte della Vallesina. Ciascuna parte si definisce per un peculiare spettro di azioni e interventi, molti dei quali costituiscono “anticipazioni” rispetto alla Variante generale: strumenti di programmazione complessa (il Contratto di quartiere II, finanziato), schede residue del piano vigente e altri strumenti di pianificazione attuativa (il piano di recupero Campus Boario), opere pubbliche e interventi di settore (manufatti stradali, parcheggi, risalite; proposte di pedonalizzazione di Corso Matteotti e di regolazione del traffico). Di essi il Piano idea governa il senso complessivo e guida la messa a sistema. Punti essenziali del programma per il nuovo centro di Jesi sono un’adeguata dotazione di parcheggi di attestamento, la moltiplicazione dei punti di risalita meccanizzati, la facile praticabilità e la valorizzazione dei relativi percorsi come elementi costitutivi dello spazio pubblico urbano. L’infittimento delle relazioni trasversali è condizione per favorire l’integrazione delle attività commerciali attestate su corso Matteotti, su viale della Vittoria e sulle vie Gallodoro-del Prato-XXIV maggio, dando continuità a situazioni che oggi appaiono separate e parzialmente in competizione.
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1. Centro antico. Un contratto di quartiere Nel nucleo di origine romana edifici, lotti, tracciati e spazi urbani si presentano come un insieme unico fortemente integrato. Il programma urbanistico è volto alla valorizzazione e al riuso delle numerose eccellenze architettoniche; al recupero di una residenzialità diffusa che tragga vantaggio e si diversifichi socialmente anche per l’inserimento di residenza destinata agli studenti universitari; alla riqualificazione e valorizzazione dello straordinario patrimonio di spazi aperti. La proposta di Contratto di quartiere denominata “Abitare il centro antico di Jesi” ha costituito l’occasione per anticipare i temi della riqualificazione nel nucleo antico e ha inteso innescarla. Essa interessa il complesso edilizio e i chiostri di Sant’Agostino, palazzo Pianetti vecchio (ex carceri), palazzo Santoni e un edificio su largo Saponari,con l’obiettivo di realizzare 38 alloggi pubblici, una quota significativa di spazi per associazioni con finalità sociali e di promozione del lavoro e dell’economia locale, nuove botteghe, un centro per anziani, opere diffuse di riqualificazione dello spazio aperto, con un’attenzione specifica per le prestazioni ambientali (si veda il Dossier Contratto di quartiere). 2. Corso Matteotti Insieme al nucleo di origine romana, corso Matteotti è tradizionalmente inteso come il centro storico di Jesi. L’appropriata valorizzazione di importanti contenitori storici e la riqualificazione dellospazio aperto urbano contraddistinguono il progetto per questa parte, che pone al centro della propria attenzione il commercio, l’accessibilità, la permeabilità trasversale e una estesa pedonalizzazione. 3. Ospedale La parte innervata dal tratto finale di corso Matteotti costituisce la “naturale” conclusione morfologica del centro storico. I progetti e le azioni che sollecita sono legati auna riattribuzione di ruolo che ne riscatti l’attuale carattere “minore” e debole. In questo senso viene interpretata la ristrutturazione urbanistica dell’area dell’Ospedale proposta la valorizzazione del terminale come piazza allungata sull’Arco Clementino. 4. Viale della Vittoria Elemento distintivo di questa parte della città storica è il viale stesso, eccezionale emergenza dello spazio pubblico jesino. La sua riqualificazione e valorizzazione quale grande boulevard di attraversamento urbano costituisce il tema dominante per il progetto urbanistico. Riprogettazione della sezione, rimozione della sosta lungo le carreggiate, ridefinizione degli innesti da nord sono i principali interventi sulla strada. A questi si accompagna una serie di trasformazioni urbanistiche appoggiate sui lati del viale. 5. Viale Cavallotti Gli elementi di pregio sono il sistema delle ville di inizio ‘900, il manufatto stradale sucui esso si organizza (viale Cavallotti), una sequenza continua e articolata di spazi e attrezzature collettivi, secondo la trasversale di via Grecia-viale Verdi. I temi del progetto si legano al presidio delle qualità generali d’impianto, anche evitando l’attraversamento a raso di viale della Vittoria, e alle possibilità di valorizzare il rapporto con la dorsale di spazi pubblici che attraversa la parte.
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6. Mura orientali-Parco del Vallato Questa parte, dominata dal grande spazio aperto del vallato Pallavicino, gioca un ruolo fondamentale per il rafforzamento delle relazioni urbane trasversali. Margine della città alta e nuovo bordo interno della città bassa (con le trasformazioni delle aree ex Sima, Saffa e Fater), la parte già si caratterizza per un’interessante dotazione di servizi e attrezzature (circolo cittadino, piscina e impianti sportivi), attestamenti e percorsi. Nella piena valorizzazione del parcheggio di via Zannoni, della torre-ascensore Mura orientali e della complementare risalita di via Castelfidardo-via delle Conce risiedono le possibilità di integrazione tra corso Matteotti e il sistema di valle. 7. Prato-Stazione-S. Maria del Piano. Un laboratorio di progettazione partecipata Il Piano idea guarda soprattutto al pregiato sistema di manufatti stradali che caratterizza questa parte distesa e aperta della città storica otto-novecentesca. Agire sullo spazio pubblico costituisce occasione di riqualificazione del quartiere (con modalità da precisare attivando un laboratorio di progettazione partecipata), ma anche di sviluppo di progetti che hanno rilevanza generale. La riqualificazione di via XXIV maggio si colloca all’interno del progetto strategico di riorganizzazione della mobilità (Asse sud); il progetto per viale Trieste costituisce elemento essenziale nella valorizzazione delle relazioni trasversali tra parti di città (dal centro antico alla città nuova oltre la ferrovia) (si veda il Dossier Riqualificazione viale Trieste). 8. Via Roma Il recupero di una migliore abitabilità di questo borgo lineare con segni manifesti di degrado diffuso si lega alle trasformazioni delle aree Pieralisi e Cartiera Ripanti, e al riassetto complessivo della mobilità (depotenziamento di via Roma come strada interquartiere). Il progetto sull’area Pieralisi offre la possibilità di una rivitalizzazione della parte alta di via Roma, con nuove botteghe sul fronte stradale. La trasformazione del complesso dell’ex Cartiera può migliorare la relazione del quartiere con il parco del Ventaglio, le scuole e il parcheggio, da un lato, via Zara e la chiesa che vi si affaccia, sul lato opposto. 9. San Giuseppe Questa parte comprende i borghi storici con sviluppo lineare lungo via Garibaldi e del Setificio e il quartiere di edilizia operaia realizzatosi a partire dagli anni ‘30 del ‘900, organizzato intorno alla via San Giuseppe. Quest’ultimo è delimitato a sud dell’articolato complesso del Foro Boario. Il progetto si volge al recupero minuto e diffuso, maanche alla ristrutturazione urbanistica. La promozione di una Stu (società di trasformazione urbana) nell’ambito del Foro Boario costituisce l’innesco di un incisivo processo di riqualificazione, capace di riverberare i suoi effetti sull’intera parte. 10. Foro Boario. Una società di trasformazione urbana Foro Boario è un ampio settore centrale della città (oltre 20 ettari abitati da circa 2300 abitanti), con una forte accessibilità (è compreso tra i due assi di attraversamentourbano, è servito dalla stazione delle corriere ed è vicino a quella ferroviaria), carico di memorie di un passato remoto e recente, dotato di un articolato sistema di spazi aperti e di attrezzature di uso pubblico diffusamente frequentate da abitanti di diverse età. Un quartiere caro agli Jesini e una cerniera tra la città alta e la città bassa. Foro Boario è anche l’ultima ampia porzione di
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Jesi dove si sommano edifici da risanare e ristrutturare, aree sotto o male utilizzate da riusare e valorizzare, collegamenti da riconnettere e riqualificare, usi diversi da rendere compatibili, differenze fisiche e sociali da conciliare. Il Piano di recupero d’iniziativa pubblica, che l’Amministrazione comunale ha approvato alcuni anni fa, coglieva il ruolo cruciale del Foro e metteva al centro la sistemazione dello spazio pubblico. Il Piano idea riprende e rielabora quella indicazione ampliando il significato e le relazioni territoriali dell’intervento, rivede alcune destinazioni d’uso e le quantità, include l’area dismessa del Cascamificio posta oltre l’asse sud, individua un collegamento stradale diretto con la superstrada per l’area artigianale e commerciale cresciuta lì attorno senza dotarsi di adeguati spazi di manovra e di parcheggio. Le scelte di fondo sono il rafforzamento della residenza e la continuità degli spazi di relazione, due condizioni per tenere insieme componenti tanto diverse. La nuova residenza ha differenti caratteristiche tipologiche per aprire il ventaglio dei costi e intercettare differenti domande abitative. Anche il sistema degli spazi e delle attrezzature pubblici e d’uso pubblico non avrà eguali a Jesi per la sua varietà e articolazione: dal verde di arredo sotto le mura al parco con orti del Granita; dal nuovo percorso pedonale che sovrapassa via del Setificio al viale alberato con pini ormai secolari, alla passeggiata lungo viale Trieste; dai parcheggi in superficie per la sosta breve a quelli interrati per la sosta prolungata, alla fermata del trasporto pubblico extraurbano; dal campo di calcio a quello di bocce sotto la copertura del vecchio foro; dalla scuola alla chiesa… Foro Baorio è il grande progetto di ristrutturazione urbana del Piano idea, quello che eredita e completa il disegno del Prg vigente di spostare l’attenzione a sud, operandola trasformazione del territorio segnato dalla prima industrializzazione di Jesi. Data la complessità dell’opeLa trasformazione del Foro Boario secondo le ipotesi del Piano Idea e nel Piano di Recupero vigente Volume residenza Volume edifici pubblici Parcheggi pubblici Parcheggi privati Verdi e parchi
61.100 mc 65.200 mc 705 posti auto 450 posti auto 75.600 mq
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Volume residenza Volume edifici pubblici Parcheggi pubblici Parcheggi privati Verdi e parchi
21.941 mc 32.000 mc 455 posti auto 488 posti auto 82.430 mq
razione, che comporta un programma coordinato di opere nuove e di interventi su edilizia e spazi esistenti con costi rilevanti, si prevede la creazione di una Società di trasformazione urbana, strumento “ordinario” tra quelli recentemente concepiti che, coinvolgendo in consorzio i soggetti interessati, può convogliare le risorse e le competenze pubbliche e private necessarie. Attraverso un processo di valutazione e aggiustamento dell’idea progettuale potrà essere precisamente individuata l’area interessata dalla Stu, anticipando e dando certezza alla traduzione operativa delle strategie territoriali espresse nel Piano idea.
3.3 Città nuova
Completamento 1: Margine Appennini alta. Un concorso di bioarchitettura Il carattere di compiutezza della città sulla collina deriva dalla persistente distinzione tra la parte urbana densa e la campagna, dalla presenza di “frontiere” naturali e artificiali che ancora rendono riconoscibile l’impronta urbana. Mentre a est gli interventi realizzati in attuazione del Prg vigente hanno sostanzialmente esaurito la possibilità di aggiungere quote insediative (per il raggiungimento della scarpata, la presenza di un’area archeologica, la fascia di tutela del torrente Granita), a ovest la proposta di urbanizzare Appennini alta, valorizzando le aree diproprietà comunale, viene interpretata dal Piano idea come intervento di completamento del margine, anche perché esistono le condizioni per un adeguamento dell’infrastruttura stradale che metterà in relazione diretta con l’Asse sud. Da questa parte della città di collina non esiste un bordo costruito continuo, mentre importanti pe-
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netranti verdi garantiscono un rapporto visivo città-campagna. Appeninialta, la zona degli impianti sportivi, il Parco del Ventaglio più a sud, sono varchi dove il paesaggio agrario collinare si avvicina con le sue forme e le sue pratiche d’uso, riuscendo in alcuni tratti ad entrare nello spessore della città. La “penetrazione” del verde assume forme diverse nelle tre situazioni: avviene con due grandi attrezzature pubbliche che la città in questi anni ha saputo darsi; può avvenire con l’affaccio sulle colline dei giardini delle case di Appennini alta. La qualità del paesaggio e i caratteri del sistema insediativo collinare suggeriscono un’edilizia rada e di pregio, un nuovo ambiente urbano che si configuri come un ”grande giardino” che non chiuda la vista verso la valle e che raccordi la scuola e la piccola chiesa in un sistema di spazi pubblici di riferimento per tutti gli abitanti di colle Paradiso. A sottolineare l’eccezionalità dell’intervento contribuisce la proposta di costruire architetture bio-ecologiche, delineate attraverso un concorso internazionale orientato a studiare i caratteri delle opere di urbanizzazione e degli impianti, sia comuni sia propri di ciascuna unità edilizia. Il concorso verrà preparato con uno schema di lottizzazione del quale il Piano idea fornisce già i principali requisiti. Capacità Superficie territoriale 44.000 mq Indice di utilizzazione territoriale 0.3 mq/mq Superficie utile lorda max 13.200 mq Volume max 39.600 mc
Completamento 2: Quartiere Verziere. Un laboratorio di progettazione partecipata Via del Verziere sopporta un traffico pesante e di attraversamento inadatto alla sezione ridotta e pericoloso per l’insediamento residenziale addossato ai lati. Le caratteristiche diverse delle due tratte, artigianale ad ovest verso il cavalcavia ferroviario, residenziale a est, verso via Marconi, suggeriscono un diverso tipo di intervento. Nella prima tratta il Piano idea propone l’allargamento della carreggiata in sede, così da dare continuità al cavalcavia e servire adeguatamente gli impianti produttivi presenti; nella seconda tratta propone, invece, la realizzazione di una nuova strada di sezione adatta per un traffico interquartiere, senza raccordi con quella esistente e disimpegnata da rotonde ai due estremi, in modo da consentire il declassamento di via del Verziere e la sua riqualificazione come strada locale al servizio delle sole abitazioni che vi si affacciano. L’asola che si crea a seguito dell’adeguamento infrastrutturale si presta a un intervento di completamento residenziale con caratteristiche ambientali adatte al delicatobordo urbano. La bassa densità consente il mantenimento di ampi varchi di campagna e la costruzione di case con orti e giardini, riprendendo i caratteri di alcune situazioni esistenti e offrendo soluzioni di alta qualità abitativa, disponibili ad assecondare una domanda di “casa in campagna”, ma non isolata. Si tratta di un modo di abitare già chiaramente emerso in altri contesti e che anche a Jesi si va delinenando, infatti la domanda di casa indipendente isolata in campagna riguarda piuttosto gli stranieri. La particolarità dell’intervento potrà essere precisata con gli abitanti del quartiere attraverso il lavoro di un Laboratorio di progettazione partecipata, lo stesso al quale si affida la messa a punto della sistemazione delle strade di Prato, dove si concentrano negozi e spazi sociali per gli abitanti del Verziere.
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Capacità Superficie territoriale 58.500 Indice di utilizzazione territoriale 0,2 mq/mq Superficie utile lorda max 11.700 mq Volume max 35.100 mc
Completamento 3: Frazioni L’idea di legare strettamente le nuove previsioni insediative con il sistema della mobilità e l’infrastrutturazione in generale, diventa anche criterio per valutare le possibilità di nuove aggiunte nelle frazioni. La presenza delle frazioni è un altro aspetto caratteristico dell’insediamento jesino, che vede la grande figura compatta del centro capoluogo spiccare nella nuvola degli edifici rurali e distanziarsi dai piccoli nuclei delle frazioni. Le dimensioni contenute di questi ultimi e il valore paesaggistico che quasi sempre li contraddistingue comportaestrema cautela. La disponibilità dei servizi di base e la buona accessibilità indicano possibilità di completamento a Minonna (sul raccordo della superstrada Jesi centro), Pantiere e Ponte Pio (sul raccordo di Cingoli), Castelrosino (sulla strada per Macerata). Sarà compito del Progetto comunale del suolo approfondire le singole situazioni verificando l’ipotesi del Piano idea. Addizione 1: Villaggio Fontedamo. Un concorso di urbanistica L’orientamento a non appesantire con altri insediamenti la città compatta suggerisce di considerare la proposta di variante del piano di lottizzazione di Banca Marche in una prospettiva generale, come addizione sufficientemente distante dal nucleo urbano, però altamente accessibile. Un intervento in questa parte del territorio comunale, servita dalla superstrada, prossima alla Zipa e a Monsano, potrebbe assumere i caratteri di “villaggio”, dotato di alcuni servizi sociali e commerciali di base, abitato da diverse componenti sociali (non solo i dipendenti della Banca), organizzato in modo da garantire il mantenimento del corridoio ecologico lungo il Fosso Fonte Albino e da offrire differenti tipi di case e di alloggi, anche per il concorso di differenti operatori. Il tema del villaggio, da rivisitare nella prospettiva dell’abitare contemporaneo, la qualità paesaggistica e ambientale del territorio, il prestigio del principale operatore interessato suggeriscono la promozione di un concorso internazionale di urbanistica. Il Piano idea ha per questo già dimensionato e delimitato l’area di intervento, individuando, attraverso uno studio di massima, i principali temi che dovranno essereaffrontati per garantire un insediamento di qualità. I temi possono essere così riassunti: - un villaggio contemporaneo, requisiti e forma - un villaggio metropolitano, rapporto con l’area vasta - un villaggio sulla collina, rapporto con il panorama e il paesaggio agrario - un villaggio sostenibile, rapporto con il corridoio ecologico e bioarchitettura - un villaggio raggiungibile, rapporto con pendolarismo e mobilità - un villaggio “autonomo”, rapporto con la rete dei servizi - il villaggio e Banca Marche, rapporto con l’insediamento terziario. Capacità Piano idea Completamento insediamento terziario Volume totale 135.763 mc
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Nuovo insediamento residenziale Superficie territoriale 60.000 mq Indice di utilizzazione territoriale 0.3 mq/mq Superficie utile lorda max 18.000 mq Volume max 54.000 mc Capacità Variante Piano particolareggiato vigente Completamento insediamento terziario Volume totale 135.763 mc Volume residenziale Volume totale 58.397 mc Volume commerciale Volume totale 15.066 mc
Addizione 2: Zipa verde. Un tavolo di progettazione La Zipa non è solo un agglomerato industriale, è parte di una grande città lineare che si estende da Jesi a Falconara, addossata alla ferrovia e prossima alla superstrada,arginata dal fiume. Già ora questa città presenta una caratteristica figura “a piastre” che diventerà ancorpiù evidente quando l’interporto e lo scalo merci andranno ad aggiungersi alla Zipa stessa, all’area industriale di Monsano, all’agglomerato urbano di Chiaravalle, all’aeroporto. Questa figura discontinua segnala la resistenza che un’agricoltura ricca e un sistema ambientale delicato e pregiato oppongono alla saldatura degli insediamenti. La sequenza di urbano, campagna, ambiente naturale costituisce un punto di partenza per organizzare l’ampliamento della Zipa e innescare un processo di riqualificazioneche possa progressivamente estendersi alle altre parti della zona industriale. La prima scelta qualificante riguarda il mantenimento del corridoio ecologico che chiude l’insediamento attuale, evitando la saldatura. Questo suggerisce anche una progettazione del prolungamento dell’asse sud attenta a non rompere la continuità ecologica nell’attraversamento del fosso. “Zipa verde” è denominazione scelta anche per suggerire criteri di progettazione ecologica interni alla nuova lottizzazione che garantiscano l’alta permeabilità delle aree scoperte, il trattamento dei rifiuti, il risparmio energetico, in generale una infrastrutturazione e metodi di costruzione ecocompatibili.Un progetto urbanistico ed edilizio con queste caratteristiche innovative dovrà essere elaborato col concorso di figure e competenze diverse e un “tavolo di progettazione” sembra essere la formula adatta per dare seguito al Piano idea. Capacità Superficie territoriale 455.000 mq Sc/St: 0,3 mq/mq Superficie coperta: 136.500 mq
3.4 Campagna e ambiente
La figura dominante nella pianificazione del paesaggio extraurbano è spesso quelladisegnata dai limiti e dai vincoli prodotti dalla sommatoria degli strumenti di pianificazione e di tutela che hanno cercato, di
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volta in volta, di inibire o contenere i fenomeni più aggressivi. Si tratta di un paesaggio in negativo che a Jesi ha una forma estesa e ramificata che occupa gran parte della piana, al centro della quale si colloca l’oasi naturalistica di Ripa bianca e le cui diramazioni seguono il corso dei principali fossi e torrenti. L’inserimento del lembo orientale del territorio comunale (18% della superficie totale del Comune), che comprende la zona industriale, nell’area ad elevato rischio di crisi ambientale per la quale la Regione Marche prevede un Piano di risanamento, se da un lato conferisce a questo quadro un carattere di emergenza, dall’altro apre una stagione di programmi e di azioni. La figura astratta della salvaguardia e del rischio acquista senso se agli spazi che delimita viene attribuito un ruolo, se essa si trasforma in un sistema infrastrutturalefinalizzato alla creazione o alla restituzione della continuità ecologica. A Jesi questa continuità deve attraversare il territorio da un versante all’altro della valle. Il reticolo delle acque, dove è possibile ricostruirne la continuità e la permeabilità delle sponde, costituisce l’elemento portante del sistema al quale potranno collaborare ampie isole e ambiti di naturalità (come è già l’oasi di Ripabianca), oltre che il diffuso miglioramento delle reti minute (formate da fossi, filari, siepi e boscaglie) edelle isole minori (i laghetti di accumulo). L’agricoltura costituisce un “cuscinetto” importante in un quadro generale di risanamento ambientale. All’efficienza e alla qualità del sistema possono contribuire in modo sostanziale la progettazione secondo criteri di compatibilità ambientale dei nuovi insediamenti produttivi nella piana e dei completamenti edilizi collinari, oltre che una attenta progettazione di strade, ferrovia e Interporto. Le domande di trasformazione che investono le diverse parti, domande di residenza edi impianti produttivi, entrano spesso in conflitto tra loro, con la qualità del paesaggio e con gli equilibri ecologici. Affinché le risposte non siano suggerite dalla sola preoccupazione del contenimento dei danni, deve diffondersi la consapevolezza sociale dei valori minacciati, aiutata dalla individuazione di alternative interessanti di uso delsuolo e di abitabilità dei differenti ambienti. Il problema delle trasformazioni in senso residenziale di edifici abbandonati, ancorprima di porsi in termini volumetrici si pone in termini infrastrutturali e tipologici. Considerando le inevitabili trasformazioni indotte dai nuovi modi “urbani” di abitare la campagna, gli interventi dovranno essere valutati in relazione alla presenza di un’accessibilità stradale adeguata, alle condizioni ambientali dell’intorno, alle soluzioni tipologiche proposte, alla sistemazione degli spazi aperti che si pongono in continuità coni campi coltivati. La decisione recente dell’Amministrazione di vietare nuovi insediamenti di industrie insalubri in zone agricole può considerarsi il primo passo verso una attenta valutazione degli impatti determinati da edifici e impianti connessi alle attività agricole e di trasformazione.
3.5 Capacità
Una quantificazione dell’offerta insediativa del Piano idea deve partire dalla verifica di quella ancora disponibile del Prg vigente, che viene confermata. Oltre alle schede progetto ancora da realizzare o completare (con cir-
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ca 214.700 mc di residenza, 24.900 mq di commercio e direzionale, 34.300 mq. di industria), vanno considerate altre quote rilevanti della capacità residua del Prg vigente. Le sottozone nelle quali si prevedono interventi di recupero e ristrutturazione (A) o di completamento (B), nonostante le stime prudenziali, costituiscono un serbatoio importante con una potenzialità complessiva pari a circa 296.800 mc per quel che riguarda la residenza e 16.600 mc per il commercio e le attività direzionali. Si tratta di un’offerta che si renderà disponibile nell’arco di 3-4 anni e che per la sua dimensione mostra come il nuovo piano intervenga in un grande cantiere aperto. Alla capacità residua si aggiungono le previsioni del Piano idea che, con le grandi operazioni di completamento, addizione e ristrutturazione, aggiunge circa 190.000 mc diresidenza, 136.000 mc di terziario, 455.000 mq di industria.
*Fonte: Sit e Servizio Urbanistica Comune di Jesi. Data di aggiornamento: marzo 2004. Dei cantieri avviati si considerano le quantità ancora da realizzare.
In totale si avrà una disponibilità di circa 700.000 mc per residenza (escludendo la quota determinata dagli interventi puntuali che il Progetto comunale del suolo potrà attentamente prevedere e stimare), 266.500 mc (86.800 mq) di terziario, 800.000 mq per attività produttive. Ciò significa che nei prossimi 15 anni, un ragionevole arco temporale di riferimento,la produzione media annua potrebbe essere di 46.600 mc di residenza, 17.700 mc diterziario, 53.300 mq di industria.
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Il dato sull’industria, confrontato con il trend passato (1987-2003), mostra un’offerta più consistente, anche quando del passato si considerino assieme la produzione di edifici ad uso industriale e artigianale. Tuttavia si auspica che Zipa verde, dove si concentra l’offerta industriale, diventi un insediamento “misto”, incrociando la domanda sempre più diffusa di un’articolazione funzionale delle aree produttive. A questi valori andrebbe aggiunta almeno una parte dei circa 100.000 mq di superficie previsti col progetto di ampliamento dell’Interporto, per il quale si va progressivamente delineando un carattere logistico, con un mix di attività che sempre più difficilmente sono distinguibili da quelle che caratterizzano le aree industriali. Il giudizio su questi valori non può evidentemente prescindere dalle considerazioni sul ruolo sovralocale giocato dall’economia jesina. L’offerta di terziario, decisamente alta rispetto al passato, è determinata dal residuo (incidono fortemente il progetto di ristrutturazione del vecchio ospedale e le previsioni delle schede progetto Asse sud-Gallodoro 2 e Asse sud-Consorzio agrario) e dall’ampliamento del centro direzionale di Banca Marche, che assorbe quasi interamente la quota messa in gioco dal Piano idea. Benché valgano anche in questo caso le considerazioni fatte a proposito dell’offerta per usi produttivi (il ruolo dell’economia jesina), potrà essere opportuno verificare isingoli progetti nella fase di traduzione operativa del Piano idea. Un confronto relativo alla residenza con l’andamento dei 17 anni trascorsi dimostra che l’offerta del Piano idea è “probabilmente”9 più bassa, se misurata in termini volumetrici. Tuttavia, confronti più utili possono essere fatti considerando il numero degli alloggi. Nel periodo 1987-2003 la produzione media è stata di 146 alloggi all’anno, con andamenti molto variabili: dai 318 del 1988 ai 71 del 1996. Benché non sia facile commutare in alloggi un dato astratto come quello derivante dall’applicazione degli indici volumetrici alle superfici territoriali (la sola operazione possibile in assenza di una elaborazione progettuale), si ritiene utile operare una stima grossolana allo scopo di favorire una riflessione e un confronto. Con gli ampi margini di errore che tutto ciò comporta, considerando una volumetria media per alloggio di 250 mc si otterrebb euna offerta teorica di 186 nuovi alloggi all’anno, superiore alla media del passato10. Il calcolo sommario degli alloggi nuovi che potranno essere messi sul mercato, considerando la media del nucleo familiare di Jesi registrata dal censimento del 2001 (2,52 componenti per famiglia) dà una capacità del Piano idea pari a 7.047 abitanti intotale. Un diverso calcolo, più rozzo, può essere fatto considerando una cubaturamedia per abitante di 100 mc. Anche in questo caso si avrebbe un valore comunquealto, 6.991 nuovi abitanti teorici. Considerare gli abitanti teorici non significa stabilire una relazione diretta con l’andamento demografico. É diffusa, e in parte verificata, l’idea che l’offerta abitativa sia ampiamenNote: 9. Si ricorda che sono stati elaborati i dati a disposizione del Sistema informativo comprensivi, però, dell’attività di ampliamento di immobili esistenti (si sono infatti conteggiati tutti gli interventi superiori ai100 mc). Questo deve rendere il confronto necessariamente prudente, soprattutto per la residenza. 10. Anche in questo caso è necessario avvertire che differenze sensibili si determinano considerando lavolumetria media per alloggio. 250 mc, ad esempio, è un valore che si riferisce all’ipotesi di una decisaprevalenza di tagli medio-piccoli, coerentemente con i tipi di domanda oggi prevalenti.
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te influente sulle scelte localizzative, quindi sulla popolazione residente. Anche a Jesi è diffusa la convinzione che il costo alto e il tipo di alloggio medio offerto abbia indotto a cercare casa nei comuni limitrofi e che il trend demografico negativo degli anni passati sia dovuto a questo. Con la conseguente propensione a credere che sia sufficiente metter mano all’offerta per cambiare segno all’andamento demografico. Si può innanzitutto osservare che nel 2003 l’anagrafe ha registrato un saldo demografico positivo (circa 400 abitanti in più rispetto a quelli Capacità residenziale complessiva
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censiti nel 2001, 39.625 contro 39.224)11, quindi qualcosa è evidentemente cambiato. L’aumento dei prezzi degli alloggi nei comuni contermini, a fronte di una dotazione urbana decisamente non competitiva con quella di Jesi, potrebbe frenare l’interesse a “emigrare”. Se questa dinamica e queste propensioni venissero verificate, sarebbe un altro segnale che la qualità urbana è un fattore altrettanto se non più importante dei prezzi per decidere le sorti demografiche di un comune, oltre che per rendere il suo territorio appetibile agli investimenti immobiliari. Naturalmente in condizioni di benessere diffuso, come si riscontrano a Jesi. Si potrebbe dunque concludere che, se è importante ricalibrare l’offerta sulla diversificazione della domanda, è arbitrario pensare che ciò si rifletta automaticamente in un sensibile aumento della popolazione stanziale di Jesi. Circa l’importanza di diversificare l’offerta residenziale allo scopo di favorire la permanenza, il ritorno o l’arrivo a Jesi di popolazione giovane (condizione per contrastareil processo di involuzione demografica), è importante considerare assieme alle caratteristiche degli alloggi prodotti anche il titolo di godimento. Il rafforzamento del comparto di edilizia economica e popolare, in particolare della quota in affitto, appare in questo senso decisivo. É ormai acquisito l’orientamento a favorire la diffusione di queste abitazioni, sostituendo ai grandi comparti unitari una distribuzione nelle diverse aree residenziali. La collaborazione con lo Iacp per il Contratto di quartiere è stata significativa e anticipatrice; anche le cooperative di abitazione potrebbero muoversi in questa nuova prospettiva. In tutte le aree di ristrutturazione, completamento e addizione residenziale previste dal Piano idea si possono comprendere quote di edilizia economica e popolare.
3.6 Mobilità Le indagini predisposte per il Piano generale del traffico urbano hanno messo a fuocoil problema dei nodi rafforzando l’idea che a Jesi incida in maniera determinante il conflitto irrisolto tra due principali impianti stradali e di funzionamento della città: quello per anelli di circonvallazione del piano regolatore degli anni ‘60 e quello per assi di attraversamento longitudinali del Prg vigente. Il secondo è subentrato al primo interrompendolo e non è ancora diventato una compiuta alternativa. L’insieme degli interventi già programmati e quelli previsti da Piano idea sottoporranno ad ulteriore pressione questo sistema “confuso” rendendo necessaria una sua riorganizzazione complessiva. La riorganizzazione proposta dal Piano idea poggia su alcune scelte fondamentali: - l’assunzione della superstrada come circonvallazione di Jesi: i nuovi svincoli di Cingoli e Monsano, il potenziamento in parte previsto per motivi di sicurezza e in parteda concordare anche per far fronte al carico indotto dall’attivazione dell’Interporto, vanno in questa direzione; - il raddoppio dell’attraversamento urbano, ora di fatto inesistente perché discontinuo, recuperando al ruolo originario viale della Vittoria, così da creare con l’Asse sud completato una doppia opportunità per gli spostamenti da una parte all’altra della città; - il completamento e adeguamento, attraverso nodi e raccordi, delle strade di penetrazione nella città collinare: 1) via XX luglio-via
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Fausto Coppi-via degli Appennini-via Paradiso; 2) via Giovanni XXIII-via Aldo Moro; 3) via Erbarella-via Puccini-via Gramsci-via dei Colli, conferendo al primo di questi un ruolo decisivo per la redistribuzione dei traffici sulla rete; - la riprogettazione dei nodi di intersezione e dei raccordi delle strade di collegamento interquartiere e delle strade di quartiere con i due assi di attraversamento urbano, sia a nord sia a sud: a nord via Cupramontana-viale della Vittoria-viale del Lavoro; a sud via Zara-via Gallodoro-via del Prato-via XXIV maggio-viale Don Minzoni-via Pasquinelli-viale dell’Industria. La rete creata dall’insieme degli interventi previsti, anche sottoposta al nuovo carico insediativo previsto dal Piano idea, sembra dare risposta ai principali problemi sul tappeto. Le simulazioni dei flussi al 2020, infatti, “mettono in evidenza una buona efficacia degli interventi di progetto; in particolare, il potenziamento o la realizzazione delle nuove viabilità “di cintura” contribuisce ad una redistribuzione dei flussi veicolari supiù assi viari, oggi non possibile per la mancanza di alternative infrastrutturali, e contribuisce in modo deciso al contenimento degli incrementi di traffico veicolare nellearee più urbanizzate. L’attraversamento di via della Vittoria su via Cavallotti è interessato da flussi orari di 740 veicoli eq in direzione di via della Vittoria e 480 veicoli eq in direzione inversa; il sottoattraversamento contribuisce alla decongestione del nodo di via Cavallotti-via Vittorio Veneto-corso Matteotti, con riduzioni dei flussi veicolari rispetto allo scenario di invarianza infrastrutturale12 fino a 1400 veicoli eq/h. L’asse di via della Vittoria, per effetto della ridistribuzione dei flussi verso il sistema degli insediamenti collinari ad opera delle nuove viabilità di progetto e della regolazione delle intersezioni con rotatorie, […] mantiene livelli di flusso poco dissimili dagli attuali, con incrementi massimi contenuti entro 200-300 veicoli/h per direzione, e compatibili con la capacità dell’asse stesso a seguito degli interventi di riqualificazione; rispetto allo scenario 0, si registrano riduzioni di flusso consistenti, fino a 700 veicoli eq/h all’altezza dell’intersezione con via Giovanni XXIII. L’adeguamento delle viabilità esistenti ad ovest, verso l’area di via Appennini ed il nuovo accesso all’Ospedale Murri contribuiscono a decongestionare gli assi di via Cavallotti e via Giovanni XXIII, producendo una efficace ridistribuzione dei flussi veicolari sugli archi che si dipartono a pettine da via della Vittoria, ed allontanandoalcune componenti dagli ambiti a massima valenza urbana; i flussi massimi evidenziati dalle simulazioni, pari a circa 1100 veicoli eq/h totali nei due sensi di marcia risultano compatibili con le caratteristiche previste per gli assi viari. […] Il collegamento di progetto fra la S.S. 76 della val d’Esino e la S.S. 362 iesina risultaefficace per l’allontanamento dagli assi urbani di un flusso complessivo di circa 900 veicoli eq/h totali; si tratta prevalentemente di relazioni da e verso la superstrada, attestate all’area collinare a sud della città, che oggi percorrono l’itinerario per via del Prato-via XXIV maggio, attraversando la ferrovia in corrispondenza del sottopassocarrabile a nord della stazione ferroviaria. L’effetto principale della nuova bretella sulla rete attuale consiste pertanto in una riduzione dei flussi veicolari sull’asse sud, con massimi di circa 550 veicoli eq/h in corrispondenza di via Gallodoro”13. Note: 12. Con “Scenario 0” si intende la proiezione al 2020, sulle strade esistenti, della situazione di trafficodeterminata dal carico insediativo previsto dal Piano idea e dall’incremento presumibile della mobilità.Dunque, una proiezione “al netto” del progetto proposto sulla rete stradale.
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La relazione di Sintagma prosegue valutando gli effetti positivi del raccordo viale del Lavoro-via dei Fiori al fine di decongestionare il tratto finale di via Erbarella. Come si può vedere nella tavola denominata Una rete per la mobilità, la soluzione scelta dal Piano idea per risolvere il problema di via Erbarella non è questa, bensì quella che ipotizza la creazione di un’unica ampia rotatoria che raccorda anche via del Setificio (risparmiando una rotatoria rispetto alla soluzione via dei Fiori). Questa soluzione, più efficace dal punto di vista dell’organizzazione degli spazi e della qualificazione dell’area, oggi caratterizzata da un disordinato accostamento di edifici che ospitano attività non pienamente compatibili le une con le altre, comporta un’operazione di ristrutturazione dell’intorno, si lega a un progetto urbano che potrebbe rendere conveniente, per i proprietari delle aree e degli immobili coinvolti, aderire allaproposta. Dal punto di vista degli effetti indotti sui flussi di traffico, i consulenti di Sintagma considerano la soluzione equivalente a quella della bretella di via dei Fiori. Anche in questo caso l’ultimo tratto di via Erbarella dovrebbe essere a senso unico. Alcuni aspetti sono particolarmente nuovi rispetto al dibattito che da anni investe la questione mobilità: il progetto per il viale della Vittoria; l’individuazione di un’asta a ovest per il collegamento diretto della città di collina con l’Asse sud e per l’accesso al nuovo ospedale; la riqualificazione dell’Asse sud con la realizzazione di una nuova strada interquartiere. Viale della Vittoria Il Piano idea restituisce al viale della Vittoria il ruolo originario di strada di attraversamento urbano con una serie di interventi volti a rendere compatibili le esigenze di una città contemporanea con la valorizzazione dell’immagine del boulevard novecentesco. Si gerarchizzano e separano le 4 corsie carrabili ricavando 2 corsie di marcia centrali e 2 laterali per autobus e ingresso ai parcheggi coperti; si sostituisce la disordinata fascia laterale dei parcheggi con una lunga promenade pedonale e ciclabile che, in determinate fasce orarie, può ospitare la sosta per il carico e scarico delle merci; si opera un ridisegno complessivo semplice ed elegante. Esistono già e possono essere potenziate le alternative alla sosta in superficie con un sistema di parcheggi coperti distribuiti lungo i due fronti del viale e nell’immediatoretro. 450 sono i posti auto attualmente disponibili con accesso diretto e indiretto dal viale (garage Mariani, parcheggio Franchetti); 566 sono i posti auto che si avranno con la realizzazione dei parcheggi coperti previsti e approvati o in corso di realizzazione (Mercantini, Freddi, vecchio Ospedale); 371 sono i posti auto che si aggiungerebbero con la realizzazione di parcheggi in tre aree individuate come adatte alloscopo (prossime a via Gramsci, Costa San Marco e Fonte Mastella). Il collegamento a ovest Un insieme di opere leggere, di agevole realizzazione, può trasformare l’attuale successione disomogenea di tratte stradali (Paradiso-via degli Appennini-via FaustoCoppi-via XX luglio) in una strada di collegamento fluido che trova nel cavalcavia e nella nuova sistemazione dell’Asse sud (con rotatoria e canalizzazione del traffico per evitare la svolta su Note: 13. Società Sintagma, Mobilità e infrastrutture nella pianificazione urbanistica della città di Jesi: il con-tributo dei modelli di simulazione, giugno 2004.
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via Roma) un facile sbocco e un facile accesso, raccogliendo il traffico generato dagli insediamenti residenziali esistenti e previsti in questa parte ovest della città e offrendo un nuovo collegamento all’Ospedale, dalla parte dove si allarga maggiormente il suo bacino di utenza. Questa proposta costituisce una alternativa a quella che per anni si è valutata e discussa sul margine opposto della città di collina (con una serie numerosa di declinazioni) senza trovare un consenso unanime. Le difficoltà incontrate dalla soluzione a est sono ben riassunte nella relazione diaccompagnamento dello studio redatto da Social design14. Lo studio considerando “né tanto facile né tanto funzionale la “bretellina” viale del Lavoro-via Puccini perché darebbe forma ad una “circonvallazione con dimensioni, caratteristiche delle strade e incroci non idonei a sopportare questo cambiamento”,propone “un altro ‘dente del pettine… con ruoli e funzioni simili a quelli già esistenti(come via XX luglio-via Fausto Coppi, viale Cavallotti, via San Francesco, viale Giovanni XXIII, via dei Colli)”. I passaggi salienti della relazione riguardano: - le caratteristiche dell’area coinvolta “un ambiente di grande interesse paesistico… [dove] Molte sono le interferenze con la viabilità rurale ed i possibili conflitti (intesi come passaggi ravvicinati) con ville, giardini, edifici esistenti; nella zona è segnalata la presenza di un’area archeologica”; - i costi dell’opera “l’area è posta in prevalenza su pendio e ciò potrebbe richiedere consistenti sbancamenti”15; - la delicatezza delle soluzioni necessarie “senza opportune cautele e compensazioni, potrebbe avere un impatto ambientale piuttosto forte e aumentare in particolare l’inquinamento acustico; i punti di accesso e recapito sulle princiapli connessioni con la viabilità non sono ottimali e d’altra partenon esistono alternative migliori. Data l’esiguità degli spazi rimasti disponibili e la volontà di non procedere a demolizioni di edifici esistenti”; - la necessità di considerare l’opera entro una prospettiva più ampia: “che prenda in esame la riprogettazione di un’intera parte della città e ne affronti isuoi molteplici aspetti: tornando a ragionare quindi sulla forma complessiva della città, sul concetto di limite…”. L’Asse sud L’attraversamento della città bassa poggia sulla continuità di differenti tratte stradali esistenti, recentemente realizzate e da realizzare, denominate dal Prg vigente e ormai note come “Asse sud”. Il funzionamento e la riconoscibilità dell’asse dipendono dalla fluidità dell’intero percorso e da una sistemazione delle differenti sezioni stradali adatta ai contesti urbani attraversati: industriali, artigianali, residenziali, commerciali. Infatti, l’Asse sud attraversa parti di città con caratteristiche insediative e pratiche d’uso differenti e la sua sezione variabile è sottoposta a diversi gradi di pressione. Il tratto difficile, perché stretto da insediamenti in gran parte residenziali, è quello che attraversa il quartiere Prato e Grammercato, tra via Ricci e la rotatoria di via Gallodoro. La fluidificazione e riqualificazione dell’Asse sud in questo tratto dipende da un alleggerimento del traffico, dal completamento del sistema di rotatorie, da una sistemazione della sezione Note: 14. Socialdesign Pasquale Barone, Goffredo Serrini, Claudio Zagaglia Architetti, Jesi. Collegamentostradale viale del Lavoro-via dei Colli. Studio del tracciato, ottobre 2000.
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volta a mantenere la stessa dimensione delle corsie carrabili e a differenziare le fasce laterali, salvaguardando gli spazi pedonali e l’alberatura, mantenendo i parcheggi solo dove non creano problemi al traffico. La nuova strada prevista dal Piano idea per doppiare via del Verziere, assieme al progetto di riordino complessivo della mobilità nel quartiere Prato, finalizzato alla creazione di un’isola ambientale, alleggeriscono il traffico sulla tratta centrale dell’Asse sud e ne consentono la riqualificazione.
3.7 Spazio di dominio pubblico
La domanda dei giovani Dal Piano strategico sono emersi chiaramente alcuni modi, tempi e luoghi caratteristici secondo i quali i giovani jesini trascorrono insieme o da soli il proprio tempo libero. La domanda giovanile, rispetto alla progettazione dello spazio pubblico, è particolarmente significativa e il suo approfondimento è sembrato necessario. É emerso che consuete pratiche sociali, come le attività sportive, lo shopping, la musica e le feste, ma anche il semplice ritrovarsi, non sempre possono essere svolte in maniera completamente soddisfacente: a volte a causa di un deficit delle dotazioni esistenti, in altri casi per una carenza nelle prestazioni degli spazi utilizzati, in altri ancora a causa della difficile accessibilità non veicolare. I parchi sono tra i luoghi più frequentati, soprattutto per la molteplicità di attività che in essi sono possibili data la versatilità degli spazi e l’estensione dell’arco temporale in cui è possibile fruirli. Non sempre si registra una analoga soddisfazione per le prestazioni fornite dalle piccole aree verdi di quartiere, scarsamente progettate e curate. Le attrezzature sportive sono utilizzate piuttosto intensamente e con assiduità. Spesso però i giovani ricorrono alle strutture sportive delle scuole o degli oratori, lamentando la scarsa disponibilità di attrezzature utilizzabili liberamente ed aperte ad un uso non specializzato per la pratica degli sport più comuni. Le scuole, distribuite sul territorio in maniera relativamente omogenea, tendono ad assumere un importante ruolo di riferimento al di là della funzione istituzionale per la quale sono concepite. Come recapiti del tempo libero sono sede di attività organizzate o spontanee, sportive o culturali. Gli oratori ed i centri sociali conservano nella situazione jesina la funzione ludico formativa che è loro propria. Sono concentrati principalmente nella parte mediana e bassa della città, dove rappresentano una dotazione pubblica complementare ad altre più scarse nella città storica. Centri commerciali e cinema costituiscono spazi relativamente nuovi all’interno dei quali trascorrere una parte del tempo libero in maniera prevalentemente orientata alconsumo di beni e servizi. Tuttavia, la localizzazione nella parte meridionale della città, lungo la viabilità principale, ne limita le possibilità di accesso pedonale contribuendo ad alimentare la percezione di luoghi alternativi rispetto a quelli tradizionalmente riconosciuti e frequentati. I locali pubblici conservano per i giovani di Jesi un ruolo importante rispetto alle possibilità di incontrarsi informalmente e socializzare. Concentrati soprattutto nel centro e a nord, mantengono in molti casi i caratteri più tradizionali del pubblico esercizio e raramente sembrano Note: 15. Le delicate caratteristiche geomorfologiche dell’area sono messe in evidenza anche dallo studio geo-logico predisposto per il Piano idea dallo Studio Geologico Tecnico di Ricci e Stronati, in particolare nellatavola geomorfologica e in quella della pericolosità.
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incontrare le molteplici esigenze di svago. Confronto fra le dotazioni standard previste e realizzate
Lo standard urbanistico Se si considera lo spazio pubblico di Jesi attraverso la dotazione di aree a standard,in particolare facendo un confronto tra le previsioni del Prg vigente, da un lato, e la quota prevista per legge, dall’altro, ci si accorge che il Prg vigente ha virtuosamenteinterpretato le normative di riferimento prevedendo una dotazione generalmente sovradimensionata (non sempre nella stessa misura però, avendo privilegiato lospazio aperto) rispetto ai minimi previsti, con l’obiettivo di un verosimile miglioramento delle condizioni abitative nella città. L’attuazione di quelle previsioni è difforme. All’impegno sulle attrezzature sociosanitarie, di culto e ricreazione, per il gioco organizzato e lo sport (attuazioni che oscillano dal 78% al 96% del previsto), non corrisponde quello per verde attrezzato, parcheggi, piazze e giardini, il che produce una scarsa articolazione dell’offerta di spazi pubblici. Per le attrezzature di livello superiore, importanti per il ruolo di recapito territoriale svolto da Jesi, emerge il ritardo sul versante dei parchi urbani: a pesare, in questo caso, è la lenta realizzazione del Parco dell’Esino. Il patrimonio di aree di cui sono stati previsti proprietà ed usi pubblici, non realizzato, costituisce l’eredità con la quale confrontarsi ripensando l’assetto fisico e funzionale della città pubblica in relazione alle mutate condizioni insediative ed alla evoluzione della domanda sociale.
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Il progetto di suolo del Prg La necessità di leggere la città nel suo insieme, particolarmente quella di dominio pubblico, è propria di chi la vive che, riconoscendo luoghi e percorsi, orientandosi facilmente, può costruirsi una mappa mentale che è elemento fondamentale della sua identità di abitante e della sua affezione. Il Prg vigente, per esprimere la necessità di progettare gli elementi e soprattutto le relazioni interne dello spazio aperto e permeabile della città, aveva costruito un”Progetto di suolo”. Oggi, quel progetto è un disegno virtuoso di spazi e connessioni solo in parte realizzati ma in molti casi ancora possibili. L’impegno economico e gestionale richiesto impone di scegliere e di decidere circa le priorità della sua attuazione. Il Piano idea, organizzando la struttura della città pubblica attraverso un numero limitato di sistemi, individua le situazioni in cui è necessario completare o reinterpretare un disegno interrotto definendo le priorità di realizzazione rispetto al nuovo assetto proposto. In alcune situazioni dense, dove il rapporto fra lo spazio pubblico costruito ed aperto si risolve a favore dei primi, il Piano propone di privilegiare l’inserimento di un connettivo di spazi pavimentati: è il caso di viale della Vittoria e del Lavoro, via Papa Giovanni XXIII, via del Prato e via XXIV maggio. In situazioni al margine della città o intercluse, dove prevalgono i materiali verdi epermeabili, il Piano interviene rafforzando relazioni in parte già organizzate e creandone di nuove, come nel sistema Foro Boario-Porta Valle-Vallato Pallavicino che, senza soluzione di continuità, può prolungarsi attraverso il Parco del Ventaglio fino ai quartieri Monte Tabor e Kolbe, oppure nel sistema che si sviluppa a cavallo di via del Lavoro lungo via dell’Erbarella ed il Torrente Granita. La città lenta Il Piano idea intende dare risposta ad una domanda di città “abitabile” rispetto ai modi peculiari con i quali la società jesina vive e vorrebbe vivere la propria città ed il proprio territorio. Si tratta di una domanda che il Piano strategico ha contribuito a precisare nei termini di “città lenta”, in cui i percorsi ed i recapiti sono progettati unitariamente e connessi in una rete funzionale che consente di utilizzare la città anche senza l’automobile, spostandosi a piedi, in bicicletta o con mezzi pubblici più efficienti. Si tratta di ricomprendere l’insieme delle aree pubbliche a standard in un progetto unitario e integrato con quello della “città veloce”, quindi legare i parcheggi e le residenze alla rete di percorsi pedonali e ciclabili che in maniera sicura consentano di raggiungere i principali recapiti: spazi aperti e costruiti di proprietà pubblica quali sono ad esempio i parchi e le scuole, ma anche spazi aperti ad uso pubblico di proprietà privata, come sono, ad esempio, i centri commerciali e i grandi contenitori per il tempo libero. Gli spazi della sosta dei veicoli dovranno essere progettati in maniera soddisfacente dal punto di vista delle prestazioni fornite, ma anche rispetto alla localizzazione congruente con la possibilità reale di raggiungere pedonalmente il centro storico attraverso un sistema completo ed efficiente di risalite, e da questo le altre parti della città a sud e a nord. I servizi e le attrezzature di interesse collettivo costituiscono i recapiti di soggetti appartenenti a diverse fasce di età: compiere i piccoli spostamenti quotidiani perrecarsi a scuola, in posta e al supermercato, alla sede della circoscrizione o della associazione dovrà essere possibile senza ricorrere necessariamente all’uso dell’automobile, utilizzan-
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do la rete di percorsi della città lenta. Lo spazio aperto verde e pavimentato dovrà rappresentare il tessuto connettivo della città. Dalla cura del progetto e della manutenzione dipenderà gran parte della qualitàurbana, la quale potrà costruirsi solo con il contributo attivo della cittadinanza, coinvolta nella gestione degli spazi pubblici sui quali più direttamente esercita il proprio dominio. La rete non è solo un progetto di connessioni fisiche, ma anche di relazioni funzionali diverse e complementari per lo svolgimento delle attività quotidiane. Per questo richiede politiche orientate all’inserimento ed al coordinamento di attività economichee di servizio, fino alla definizione del funzionamento temporale. Centralità locali In molti casi, a Jesi, i recapiti della “città lenta” si configurano come “centralità locali”, ovvero particolari addensamenti di luoghi in grado di rispondere alle esigenze di un quartiere e della gente che lo abita. Materiali dello spazio aperto e dello spazio costruito presentano nei diversi quartieri un assortimento ricorrente: la sede della circoscrizione, la chiesa e il sagrato, la piazza ed i parcheggi, la scuola, il circolo, l’oratorio, i negozi ed i supermercati, le attrezzature sportive ed il campo giochi, i bar, le aree su cui si svolgono settimanalmente i mercati. Le differenze riguardano la sequenza e le proporzioni dei singoli materiali, dovute alle pratiche di uso collettive che li investono e ai significati sociali che vengono loro attribuiti. Progettare l’assetto fisico e funzionale dei singoli centri richiede di prestare attenzioneal modo caratteristico con il quale gli spazi, le funzioni e i valori simbolici si combinano nelle singole parti di città. Progetto della città pubblica e trasferimento dello standard urbanistico Il Piano idea si confronta con la sostenibilità economica e finanziaria del progetto perlo spazio di dominio pubblico. La realizzazione e la manutenzione di un sistema tanto esteso di spazi pubblici richiede risorse ingenti ed una gestione finalizzata degli oneridi urbanizzazione maturati dai maggiori interventi di nuova urbanizzazione come anche da quelli più minuti e diffusi sul territorio. Le pratiche ordinarie di gestione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e la conseguente traduzione in opere previste dallo standard urbanistico indicato per legge non possono risolversi in maniera automatica, al di fuori di una valutazione critica e contestuale sulle priorità individuate dal disegno strutturale della città pubblica. Obiettivi di medio e lungo periodo si possono perseguire attraverso la realizzazionedelle opere a cui si riconosce carattere prioritario e sulle quali far convergere le risorse finanziarie che si renderanno disponibili. In questi ultimi anni è stata approfondita la riflessione sul welfare locale, adatto al contesto e alle risorse economiche, politiche e sociali mobilitabili, e molte esperienze si sono fatte o sono in corso. Ci si potrà riferire a questo patrimonio per ricostruire un progetto del suolo jesino in un orizzonte temporale ed economico definito. Le prime esperienze fatte nella gestione delle varianti parziali al Prg vigente, concomitante con la costruzione del Piano idea, hanno consentito di verificare la fattibilità di un procedimento perequativo e hanno suggerito alcuni criteri per rendere certoe trasparente il processo: - censimento delle aree destinate a spazio pubblico e loro caratterizzazione; - costruzione di una tabella dei costi equivalenti agli standard dovuti riferita a valoridi aree e immobili;
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- trasferimento delle risorse, acquisite attraverso operazioni immobiliari, sulle areeselezionate per l’intervento. È questo il processo che si è cominciato a chiamare: “trasferimento dello standard”. Un possibile traguardo è quello di realizzare un monitoraggio dello stato di attuazionedel sistema di spazio pubblico mettendolo in relazione con le operazioni che concor rono al suo finanziamento.
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Dossier
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I Dossier del Piano idea I dossier costituiscono il supporto conoscitivo del Piano idea. La costruzione del Piano è avvenuta assieme all’attività di valutazione delle varianti parziali al Prg vigente, alla preparazione del Piano strategico e di Agenda 21, alla predisposizione di piani settoriali, ereditando studi e decisioni variamente istruite. Questo processo coordinato ha fatto sì che l’operazione di descrizione e interpretazione, volta a «misurarsi con i nuovi problemi e le nuove domande della città», avvenisse utilizzando procedimenti analitici diretti e indiretti, collaudati e non, più o meno strutturati, comunque decisamente orientati verso le scelte da fare, sia per verificare quelle che sembravano già mature o si ponevano come alternative, sia per maturarle considerando le condizioni al contorno. La costruzione di dossier è sembrata il modo più consono per valorizzare l’articolazione delle competenze e degli approcci ed è avvenuta col concorso dei diversi gruppi di lavoro e attraverso l’insieme delle attività avviate. Nati come prodotto intermedio, via via aggiustato e implementato, i dossier hanno progressivamente coperto l’area dello “studio”, configurandosi come insieme di differenti pratiche conoscitive aperto a successivi approfondimenti e ampliamenti. Benché siano evidenti le intersezioni, si possono distinguere alcuni insiemi: il gruppo dei dossier che indaga i nuovi fenomeni (Popolazioni e forme territoriali, Economia e forme territoriali, Relazioni territoriali e sviluppo locale, Quantità edilizie); quello che legge piani e strumenti (Interporto, Piani per la mobilità e rilievo); quello che affronta questioni settoriali rilevanti (Simulazioni su mobilità e infrastrutture, Carte geologiche); quello che restituisce le anticipazioni del Piano idea (Varianti, Contratto di quartiere); infine il gruppo di dossier che organizza le informazioni e/o il processo attorno ad alcuni rilevanti temi di progettazione (Zipa, Foro Boario, Riqualificazione di viale Trieste).
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Indice
1. 1.1 1.2
Popolazioni e forme territoriali Popolazioni e forme territoriali La costruzione di geografie “sensibili“
2.
Economia e forme territoriali
2.1 2.2 2.3
Un profilo economico in chiave territoriale La mappatura di alcuni ambiti di attività economica Il teritorio agrario
69 69 73 80 80 100 102
3.
Relazioni territoriali e sviluppo locale
116
3.1 3.2 3.3 3.4 3.5
Note introduttive e obiettivi conoscitivi Riconoscere le geografie e documentarli in modo finalizzato Immagini influenti e posizionamenti geografici Relazioni territoriali e implicazioni per lo sviluppo locale Fonti e bibliografie
116 118 142 155 168
4.
Quantità edilizia
171
4.1 4.2 4.3
L’attività edilizia a Jesi Quantità Quantità per parti di città
171 172 181
5.
Interporto
192
5.1 5.2 5.3 5.4 5.5
Cronologia degli eventi Strumenti di pianificazione e programmazione Lettura mirata dei documenti Raffronto fra alcuni interporti Contributo alla formulazione del parere richiesto dalla regione
192 198 199 210 218
6.
Piani per la mobilità e rilievo
221
6.1 6.2
I piani di settore Una ricognizione
221 235
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7.
Simulazioni su mobilità e infrastrutture
240
7.1 7.2 7.3
Mobilità e infrastrutture nella pianificazione urbanistica della città di Jesi: il contributo dei modelli di simulazione Assegnazione della matrice di domanda alla rete viaria attuale Simulazione degli scenari di progetto
240 240 241
8.
Carte geologiche
245
8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6
Carta geolitologica Carta geomorfologica Carta litotecnica Carta idrogeologica Carta dele pericolosità geologiche Vocazionalità edificatoria
245 245 246 246 247 248 255
9.
Varianti
9.1 9.2 9.3 9.4 9.5 9.6 9.7
La valutazione delle varianti 255 Contributo alla formulazionedel parere sul Quartiere residenziale 256 Costruzione di un sistema perequativo a partire dall’esperienza relativa alla variante Fater, 3 dicembre 2003 259 Contributo alla formulazione del parere sul Piano di recupero S. Maria del Piano 1 (scheda progetto), 28 ottobre 2003 263 Contributo alla formulazione del parere sulla variante della scheda progetto Pieralisi, 7 novembre 2003 268 Contributo alla formulazione del parere sul Piano di recupero di viale della Vittoria (area Freddi), febbraio-aprile 2004 273 Orientamenti per l’esame delle varianti al Prg vigente 277
10.
Contratto di quartiere
10.1 10.2 10.3
Abitare il centro antico di Jesi: la proposta di contratto di quartiere 280 Le caratteristiche del degrado 282 Gli obiettivi del programma 284
280
11.
Zipa
11.1 11.2 11.3
Scenario di sviluppo per la valle Esina e sostenibilità ambientale: il progetto per la nuova Zipa La nuova zipa nel Piano idea Linee guida per la progettazione di un’area industriale a basso impatto ambientale: l’esperienza di Envipark a Torino
291
12.
Foro Boario
304
12.1 12.2 12.3 12.4
Una lettura dei documenti ufficiali Il processo che ha portato alla proposta del Piano idea per il Foro Boario La proposta del Piano idea L’ex Cascamificio: un complesso industriale dismesso da recuperare
304
13.
Riqualificazione di Viale Trieste
320
13.1
Dalla città antica alla città contemporanea
320
291 294 296
312 314 319
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1. Popolazione e forme territoriali
1.1 Popolazioni e forme territoriali
I cambiamenti che si producono nella popolazione rappresentano degli indicatori per la lettura e l’interpretazione dei fenomeni e dei processi che agiscono in un territorio. Ogni variazione demografica è il prodotto dell’azione contemporanea di dinamiche locali e tendenze complessive, di fattori caratterizzanti la complessità del sociale e la molteplicità delle forme territoriali. Jesi: l’attuale fase stazionaria è momento di transizione verso nuove dimensioni demografiche e nuovi ruoli territoriali La Tabella 1 mostra i saldi demografici complessivi della popolazione residente nel Comune di Jesi dal 1972 al 2002. Sono riportati, come ulteriori dati di riferimento, i saldi dei censimenti del 1951, 1961 e 1971. Tab. 1. Serie storica dei saldi demografici complessivi della popolazione residente nel Comune di Jesi (fonte: elaborazione su dati ISTAT e Uff. Anagrafe, Comune di Jesi 2004)
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In Figura 1 la curva della dinamica demografica rende riconoscibili i vari stadi che hanno caratterizzato lo sviluppo di Jesi dal 1972 in poi: la continuità, negli anni ’70, della fase di crescita demografica tipica dei decenni precedenti; il punto di arresto della fase espansiva nel 1978; la prima intensa fase di regressione demografica negli anni compresi tra il 1979 e il 1982; l’azione di una seconda articolata fase di regressione fino al 1996; la recente fase stazionaria che, nell’arco di poco meno di un decennio, fissa nei 39mila abitanti la sua dimensione demografica naturale. Fig. 1. Popolazione residente nel Comune di Jesi dal 1972 al 2002
(fonte: elaborazione su dati Uff. Anagrafe, Comune di Jesi 2004)
La Figura 2 mostra la piramide delle età della popolazione jesina al 31.12.2003. Questo grafico pone sull’asse delle ordinate le classi di età, graduate anno per anno in ordine crescente, e sull’asse delle ascisse il numero complessivo degli appartenenti a ciascuna classe di età. La piramide risultante evidenzia alcune caratteristiche complessive dell’insieme demografico considerato: le anomalie di forma, rispetto ad una piramide ideale, indicano puntualmente le variazioni nella frequenza delle nascite, le modifiche del rischio di morte per età e i movimenti migratori. La piramide della popolazione jesina risulta essere un ibrido tra una prevalente forma a campana, dai contorni arrotondati e con base media, tipica di uno stato demografico stazionario, ed una forma a bulbo1, con base più stretta, tipica delle popolazioni in fase di regresso demografico. Jesi possiede le caratteristiche tipiche dei paesi a sviluppo maturo e demograficamente senili: una bassa mortalità a tutte le classi di età, un basso tasso di natalità, una crescente incidenza della popolazione anziana e, all’interno di questa, della componente femminile. Al 31.03.2004 la popolazione jesina conta 39.855 unità, di cui 20.710 femmine pari al 51,96% del totale, e 19.145 maschi corrispondenti al Note: 1. La piramide a bulbo corrisponde alla tappa successiva nell’evoluzione della piramide a campana e, conseguentemente, al passaggio da una fase demografica stazionaria a quella di regresso demografico.
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rimanente 48,04%. Nella Tabella 2, tra gli indicatori di struttura della popolazione, l’età media è di 45,6 anni, in particolare 47,3 anni per le donne e 43,7 anni per gli uomini. Fig. 2. Piramide delle età della popolazione residente nel Comune di Jesi al 31.12.2003
(fonte: elaborazione su dati Uff. SIT, Comune di Jesi 2003)
Tab. 2. Indicatori di struttura della popolazione jesina al 31.03.2004
(fonte: elaborazione su dati Uff. SIT, Comune di Jesi 2004)
I dati del Censimento 2001 riportano quale età media della popolazione italiana 41,7 anni, 43,1 per le donne e 40,1 anni per gli uomini. L’indice di vecchiaia, misura del rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e oltre e la popolazione fino a 14 anni di età, costituisce un indicatore dello stato “reattività” demografica di una popolazione: un maggiore valore dell’indice segnala il peggioramento del rapporto demografico tra giovani ed anziani. I dati del Censimento del 2001 restituiscono un indice del 127% a livello nazionale, di 168,93% per la regione Marche e di 159,52% per la provincia di Ancona. Per Jesi l’indice di vecchiaia nel 2001 risultava essere pari al 206,2%3, oggi il suo valore è del 217,12%, con un incremento del 10,92% in meno di tre anni. L’Indice di dipendenza strutturale totale o di carico sociale indica, in via presuntiva, il numero di persone non autonome per ragioni demografiche (giovanissimi e anziani) ogni 100 persone che, si presume, debbano sostenerle con la loro attività.
Note: 2. Indice di vecchiaia sulla classe di età 0-14 anni. 3. Comune di Jesi, Piano di Zona 2003 dell’Ambito Territoriale Sociale IX, Tab. 6.
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Tale indice è per Jesi di 56,87 a fronte di un dato regionale, al Censimento 2001, di 53,17 e provinciale di 52,84. Per Jesi, nel confronto in serie storica dell’indice di dipendenza, si individua un incremento del 5,6% tra il valore del 1995 (46,5%) e quello del 2001 (52.1%) 4 ed un incremento del 4,77% tra il valore del 2001 e quello del 2004. L’indice di dipendenza giovanile, calcolato in riferimento alla popolazione non attiva con fascia di età compresa tra 0 e 14 anni, è per Jesi è pari a 17,93. L’indice di dipendenza anziani, calcolato in riferimento alla popolazione non attiva con età maggiore di 65 anni, è per Jesi è pari a 38,93. Fig. 3. Suddivisione per classi di età della popolazione residente nel Comune di Jesi al 31.03.2004
(fonte: elaborazione su dati Uff. SIT, Comune di Jesi 2004)
La Figura 3 illustra la ripartizione della popolazione residente in 8 classi di età aggregate. La percentuale di popolazione jesina che non ha ancora compiuto i 6 anni di età è del 4,78% mentre il dato provinciale è di 4,99% e quello regionale di 5,04% al Censimento 2001. La percentuale di popolazione jesina che non ha ancora compiuto gli 8 anni di età è del 4,9% mentre il dato al 2001 era del 5% con un decremento dello 0,1% in meno di tre anni. Nel 2001 la popolazione con età maggiore di 64 anni costituiva il 23% del totale; oggi è il 23,9% con un incremento dello 0,9%. La popolazione compresa tra i 26 e i 64 anni costituiva, nel 2001, il 53,6% del totale; oggi è il 53,91 % con un incremento dello 0,31%5. L’insieme dei dati conferma lo stato stazionario della dinamica demografica jesina, iniziato nel 1996 e visto in Figura 1. Tuttavia la natura dinamica dei processi demografici e il peso crescente dei valori regressivi all’interno degli indici considerati, devono far considerare l’attuale fase stazionaria in esaurimento. Nel prossimo decennio il trend stazionario è progressivamente destinato a mutare verso una fase di regresso demografico se, nel contempo, il tasso di nascite e di immigrazione non modificheranno in manieNote: 4. Comune di Jesi, Piano di Zona 2003 dell’Ambito Territoriale Sociale IX, Tab. 7. 5. Comune di Jesi, Piano di Zona 2003 dell’Ambito Territoriale Sociale IX, Tab. 1.
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ra consistente la struttura delle età della popolazione residente. Un indicatore socio-demografico in grado di fornire informazioni di tipo qualitativo sulla dinamica demografica jesina è l’analisi in serie storica del numero delle famiglie e dei componenti. In Tabella 3 la fase di stazionarietà demografica è accompagnata da un complessivo incremento del numero di nuclei familiari e da un consistente decremento nel numero di componenti degli stessi. Nel decennio 1991 – 2001 la media di componenti per famiglia passa da 2,8 a 2,5 confermando non solo il trend tipico dei paesi a sviluppo maturo ma anche la diffusione di stili di vita caratteristici delle aree metropolitane. Tab. 3. Numero di famiglie, numero di componenti e numero medio di componenti per famiglia ai Censimenti 1961 – 2001
(fonte: elaborazione su dati ISTAT e Uff. Anagrafe, Comune di Jesi 2004)
1.2 La costruzione di geografie “sensibili”
L’individuazione di classi demografiche “sensibili” e la georeferenziazione dei dati relativi permette la costruzione di geografie statistiche, in termini di addensamenti o rarefazioni, strettamente connesse con la struttura fisica del territorio. Le mappe nelle Figure 4 e 5 rappresentano le vocazioni localizzative delle classi di popolazione residente di età inferiore ai 6 anni e superiore ai 74 anni e delle principali comunità di popolazione immigrata. Tali mappe restituiscono delle geografie “sensibili” del territorio jesino; in esse l’attenzione si sposta dal dato quantitativo alla qualità delle relazioni che gli elementi rappresentati hanno con il territorio reale, alle caratteristiche degli ambiti fisici e sociali di localizzazione degli stessi. In Figura 4 per le classi di popolazione residente di età inferiore ai 6 anni (in colore rosso) e superiori ai 74 anni (in colore blu) si notano addensamenti non omogenei. Nel nucleo centrale della città e nei borghi, sviluppatisi sulle principali direttrici storiche di collegamento, la concentrazione di popolazione della fascia di età superiore ai 74 anni risulta coerente con l’attuale stato di conservazione del patrimonio edilizio; per la classe d’età inferiore ai 6 anni, una consistente presenza in queste parti della città, indica una propensione al non abbandono del tessuto storico urbano. Il fenomeno può essere messo in relazione sia con una “continuità” nella vocazione localizzativa della popolazione residente, la propensione da parte dei figli all’uso e mantenimento della casa di proprietà
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familiare, sia con l’effetto deterrente che gli alti costi di ristrutturazione e manutenzione hanno sui processi di rinnovo edilizio, e conseguente aumento degli affitti, nel tessuto storico cittadino. Questo fenomeno spiega ugualmente la propensione da parte dei membri delle principali comunità di immigrati a risiedere nei nuclei storici della città. La prevalente presenza di popolazione di età inferiore ai 6 anni e l’assenza di membri delle princitali comunità di immigrati nella zona collinare ad ovest, segnala della vocazione residenziale di questo ambito cittadino. In Figura 5 vengono rappresentate le vocazioni localizzative delle principali comunità di immigrati: albanese (in colore grigio), tunisina (in colore rosso scuro), rumena (in colore ocra), nigeriana (in colore azzurro), marocchina (in colore viola), dominicana (in colore arancione), cinese (in colore celeste), bangladese (in colore lilla).
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2.1.2 Il volto plurale della società jesina Nel 2004 risultano essere iscritti alla anagrafe comunale 1672 cittadini stranieri, pari al 4,2% del totale della popolazione di Jesi. Il Censimento 2001 indica a livello nazionale un’incidenza di 2,34 cittadini stranieri ogni 100 abitanti, per la regione Marche di 3,11 e per la provincia di Ancona di 3,05. Il dato comunale, al 2001, era di 3,39 stranieri ogni 100 cittadini, evidenziando un incremento percentuale dello 0,8 in poco più di due due anni. Fig. 6. Percentuale della popolazione residente immigrata sul totale della popolazione comunale
(fonte: elaborazione su dati Uff. SIT, Comune di Jesi 2004)
Tab. 4. Principali comunità nazionali componenti il totale della popolazione residente immigrata
(fonte: elaborazione su dati Uff. SIT, Comune di Jesi 2004)
La comunità immigrata più numerosa, come illustrato nella Tabella 3 e in Figura 7, risulta essere quella albanese con 226 membri, seguita da quella tunisina con 216. Nella fascia tra le 200 e le 60 unità si posizionano la comunità rumena con 143 residenti, la comunità nigeriana con 141, la marocchina con 126, la dominicana con 90, la cinese con 73 e la bangladese con 66 residenti. Le restanti 66 nazionalità, per un totale di 591 residenti, costituiscono il 35,35% della popolazione non italiana presente sul territorio comunale.
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Fig. 7. Principali nazioni di origine della popolazione residente immigrata in valori assoluti e percentuali
(fonte: elaborazione su dati Uff. SIT, Comune di Jesi 2004)
La componente Rom, con 64 elementi, è pari al 3,82 della popolazione non italiana residente. L’apporto di tale comunità non è stato incluso nei conteggi relativi agli immigrati, per la difficile determinazione di relazioni territoriali statisticamente utilizzabili (domicilio, sezione ISTAT, ecc.). La disaggregazione dei dati fornisce ulteriori elementi sul volto plurale e sul futuro della società jesina. Gli stranieri minori risultano essere 399, pari all’ 1% della popolazione totale e al 7,3% della popolazione residente con meno di 18 anni. La comunità albanese conta 71 minori che, sul proprio totale, rappresentano il 31,41%, la comunità tunisina conta 72 minori ovvero il 33,33% dei suoi elementi. Le Figure 8 e 9 mostrano la propensione insediativa delle due comunità di immigrati; la tendenza alla concentrazione spaziale, segno del mantenimento dei legami comunitari e della difficoltà di integrazione, risulta solo parzialmente confermata. Le rilevate situazioni di disagio abitativo, caratteristiche delle dinamiche di inserimento urbano della componente immigrata, non sembrano produrre specifici episodi di esclusione abitativa. La tendenza alla diffusività della presenza immigrata nel tessuto urbano jesino, se confermata, potrebbe indicare una crescita del numero di famiglie immigrate (per ricongiungimento o nuova formazione) e, conseguentemente, l’affacciarsi di una nuova domanda nel mercato dell’affitto.
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Fig. 8. Popolazione immigrata di nazionalitĂ albanese
(fonte: elaborazione su dati Uff. SIT, Comune di Jesi 2004)
Fig. 9. Popolazione immigrata di nazionalitĂ tunisina
(fonte: elaborazione su dati Uff. SIT, Comune di Jesi 2004)
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2. Economia e forme territoriali
2.1 Un profilo economico in chiave territoriale
Le note riportate in questo materiale mirano a fornire un primo profilo dell’economia jesina alla luce dell’VIII° Censimento Industria e Servizi 2001, i cui dati definitivi sono stati resi disponibili soltanto il 16 marzo 2004. Scelte operate nella lettura dei dati: • Il confronto intertemporale delle variabili considerate è stato svolto nell’intervallo intercensuario 1991-2001. Si è quindi operato con dati di stock per restituire i mutamenti dinamici intercorsi durante gli anni novanta (decennio 1991-2001). Rispetto alla classificazione delle attività economiche adottata dall’ISTAT (classificazione ATECO 2002), si ritiene per il momento sufficiente avanzare una lettura che consideri l’articolazione delle varie sezioni dell’economia alle due lettere (15 sezioni e 16 sottosezioni). Le prime tabelle restituiscono una fotografia per macrosettori, riguardanti: ‘agricoltura e pesca’, ‘industria’ (con la specificazione dell’industria manifatturiera), ‘costruzioni’, ‘terziario’. • Il profilo e il comportamento economico del comune di Jesi è stato confrontato con quelli riferiti a due dimensioni geografiche di ordine superiore: 1) lo Jesino (corrispondente all’area intermedia rappresentata dai 20 comuni del Centro per l’impiego e la formazione, compreso Jesi, cfr. mappa); 2) la Provincia di Ancona nel suo complesso (448.473 abitanti e una densità media di 231 ab/Kmq). • Lo Jesino rappresenta una parte significativa della provincia di Ancona (20 comuni su 49; 108.598 abitanti, pari al 24,2% della popolazione provinciale); e oltre a Jesi comune riguarda una parte importante della Vallesina (la cosiddetta Bassa Vallesina). • La dimensione della Provincia è un riferimento obbligato per poter confrontare i comportamenti di una certa località con quelli di un’area macro di riferimento; nel caso specifico il confronto avviene tra un comune economicamente forte dell’area anconetana (un ‘distretto multisettoriale’, come viene richiamato da più parti) e la principale realtà economica provinciale delle Marche.
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Fig 1. Mappa Jesino e provincia
I 20 comuni dello Jesino sono: Camerata Picena, Castelbellino, Castelplanio, Chiaravalle, Cupra Montana, Filottrano, Jesi, Maiolati Spontini, Mergo, Monsano, Montecarotto, Monteroberto, Monte San Vito, Morro d’Alba, Poggio San Marcello, Rosora, San Marcello, San Paolo di Jesi, Santa Maria Nuova, Staffolo.
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Indice tabella
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Jesi: dinamica occupazionale in crescita sopra la media provinciale, tenuta anche nel comparto industriale manifatturiero Osservando i dati aggregati intercensuari 1991-2001 (Tab. 1) si osserva un’interessante dinamica di crescita occupazionale (+15,3%), risultato di un netto rafforzamento del settore terziario (+22,4%, nettamente superiore al dato dell’intera provincia +15,0%, e a quello dello Jesino +15,6%) e di una buona tenuta del comparto dell’industria manifatturiera (+1,5%). Tale dinamica comunale riguardante il settore industriale manifatturiero è da confrontare alla netta crescita dello Jesino (+6,9%) e alla notevole dinamica provinciale anconetana (+12,0%). Da notare anche un altro dato in controtendenza rispetto a gran parte del Paese: tutti questi segni positivi nelle dinamiche dell’occupazione industriale sono accompagnati da un rafforzamento della dimensione media delle unità locali (cfr. Tab. 5). Il comportamento delle industrie manifatturiere è una componente importante dei dati positivi sull’occupazione complessiva che si registrano, anche se in termini minori rispetto al comune di Jesi, sia nella Provincia di Ancona (+13,5%) e in dimensioni minori nell’area Jesina (+9,9%). Tab. 1. Addetti alle unità locali suddivise per macrosettore a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona. 1991 - 2001
(valori assoluti e variazioni percentuali)
• Indicativo è il dato del settore delle costruzioni, che nel decennio si attesta su un notevole +19,8%, superiore al dato provinciale (19 %) e a quello dello Jesino (18,1%). Nessuna flessione occupazionale, dunque, nel settore più in grado di rappresentare gli andamenti del ciclo edilizio e delle infrastrutture. • Di un certo interesse è valutare il peso di Jesi nei riguardi della Provincia di Ancona e dello Jesino: mentre per quanto riguarda la Provincia il suo peso in termini occupazionali rimane sostanzialmente immutato (da 9,43% nel 1991 a 9,58% nel 2001); in rapporto al contesto Jesino il peso specifico di Jesi tende nel decennio 1991-2001 ad aumentare (da 43,09% a 45,20%). • Anche il peso dello Jesino sul contesto provinciale non subisce modifiche sostanziali (da 21,89% a 21,20%). Mentre è di particolare rilievo il rapporto tra Jesi e lo Jesino, soprattutto se si pensa alla concorrenza sviluppata da alcuni centri dell’area verso la città principale nell’offerta di nuove aree industriali (ad esempio Monsano o Maiolati Spontini). Il dato riguardante gli occupati all’industria manifatturiera mostra, infatti, una flessione del peso occupazionale di Jesi nei confronti degli altri centri (da 31,08% a 29,51%), ma esso è ampiamente compensato dall’incremento di peso nel settore terziario (da 55,12% a 58,43%).
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Conferma di un’importante presenza manifatturiera: il rafforzamento dei servizi non è post-industriale • Se osserviamo la Tab. 2 possiamo valutare la composizione settoriale degli addetti del comune di Jesi al 1991 e al 2001. Il riequilibrio tra industria e servizi a vantaggio di questi ultimi (la cosiddetta ‘terziarizzazione’), è un processo generale che investe le economie urbane mature e che riguarda anche Jesi: il peso degli addetti al terziario sul totale degli addetti passa dal 64,4% del 1991, al 68,4% del 2001; la dinamica di indebolimento industriale di Jesi (dal 28,5% al 25,1%) ha un segno più accentuato rispetto a ciò che accade nell’intera Provincia (che mantiene un 32,6% di addetti all’industria manifatturiera) e nell’area Jesina (che segna il 38,4% di addetti all’industria manifatturiera). L’area anconetana e jesina mantengono una presenza industriale più spiccata di Jesi che invece svolge un ruolo di riferimento territoriale. E questo ruolo vale, sia in relazione alle modalità insediative e gestionali della sua manifattura (l’area della Consorzio Zipa è per certi versi un modello regionale), sia per quanto riguarda alcuni servizi tipicamente urbani nei quali Jesi evidenzia un primato non solo recente. Tab. 2. Addetti alle unità locali suddivise per macrosettore a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona. 1991 - 2001
(valori assoluti e peso percentuale)
• Il profilo terziario del capoluogo dell’area Jesina non è infatti un dato nuovo. Certamente esiste un ulteriore rafforzamento terziario negli anni novanta, ma un’osservazione più attenta degli indici di specializzazione al 1991 (Tab. 4A) ci indica che Jesi è già città terziaria di riferimento, sia in termini di servizi alle imprese (sezioni J e K), sia in termini di servizi alla persona (sezioni M e N). • Si noti la conferma di un’importante presenza industriale manifatturiera. Malgrado una netta flessione, il peso degli addetti all’industria manifatturiera al 2001 rappresenta ancora un quarto del peso degli addetti complessivi della città. Tale riduzione di peso investe, in minore misura, anche lo Jesino e la realtà provinciale che tuttavia esprimono una più marcata vocazione industriale rispetto a Jesi comune.
Profilo multisettoriale indebolito, solo la meccanica segna un rafforzamento Le annotazioni riportate fino ad ora possono essere ulteriormente affinate osservando da vicino il comportamento dei singoli comparti produttivi, sia per quanto riguarda gli addetti (Tab. 3A), sia per ciò che
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riguarda le unità locali (Tab. 3B) e le loro dimensioni medie (Tab. 5). • Il profilo multisettoriale che caratterizza da anni il contesto manifatturiero di Jesi esce ridimensionato. I comparti della meccanica (sottosezioni DJ, DK, DL, DM) sono praticamente gli unici (con l’aggiunta del settore DH della Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche) ad avere un segno inequivocabilmente positivo. • I 2677 addetti nei settori della meccanica al 2001 (sottosezioni DJ, DK, DL, DM), rappresentano una quota ormai largamente maggioritaria degli addetti all’industria manifatturiera (il 59,21%, rispetto al 44,79% del 1991). Le altre sottosezioni del manifatturiero mostrano segni percentuali negativi e talvolta una riduzione consistente anche in valori assoluti (la tabella mostra una consistente perdita di addetti nelle industrie alimentari, 298 unità, 250 unità nel tessile e abbigliamento, 135 nelle industrie conciarie, 82 in quelle chimiche). • Ma si notino i pesi specifici in termini occupazionali: pur crescendo meno degli altre sezioni, quella DK (fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici) rappresenta con i suoi 1710 addetti la vera specializzazione di Jesi (cfr. Tab 3C e 4B), insieme alle industrie alimentari (sezione DA) che, sebbene perdano addetti, mantengono una presenza caratterizzante la specializzazione di Jesi e dello Jesino nei confronti della provincia (cfr. Tab. 3E e 4B). • La tendenza appena richiamata per Jesi comune è confermata per lo Jesino. Anche qui la meccanica ha un sensibile rafforzamento, in linea con i comportamenti del comune capofila: i 7038 addetti ai settori della meccanica rappresentano il 45,93% degli addetti complessivi alla manifattura (erano 4540 nel 1991, pari al 31,68% del totale manifatturiero). Ma in riferimento agli indici di specializzazione (Tab. 4B) notiamo che la meccanica non caratterizza lo Jesino che sembra invece manifestare specializzazioni nelle sezioni DA (industrie alimentari) e DB (industrie tessili). Questi dati sono da rapportare ad un contesto provinciale fortemente connotato sul fronte manifatturiero e, in particolare, su quello della meccanica (al 2001 i 31011 addetti alle attività meccaniche rappresentano il 50,51% degli addetti all’industria manifatturiera). • Si noti che a fronte di una dinamica delle UL nel complesso dell’industria manifatturiera (D) che evidenzia una leggera flessione (-1%; cfr. Tab. 3B), emergono le dinamiche positive dei due settori di specializzazione di Jesi: quello dell’industria alimentare (+19,6%, da 51 a 61 unità) e dell’industria delle macchine e degli apparecchi meccanici, DK (+41,2%, da 34 a 48 unità). Tale dinamica sembra incidere sulle dimensioni medie delle unità locali che si riducono sensibilmente proprio in questi due settori in crescita, mentre a livello dell’intera industria manifatturiera mostrano un interessante rafforzamento: da 10,9 add/ul a 11,2 add/ul (Tab. 5). Un segnale, questo del rafforzamento della dimensione media delle unità locali, certamente positivo e in controtendenza rispetto ai comportamenti nazionali; e tra l’altro confermato anche nello Jesino (da 10,8 add/ ul a 11,8 add/ul) e nell’intera provincia anconetana (da 10,1 add/ul a 11,3 add/ul). La dinamica di nata-mortalità delle imprese (fonte: Anagrafe imprese della Camera di commercio di Ancona, 2004), fa emergere una certa vitalità del tessuto imprenditoriale di Jesi; con un tasso di natalità la cui dinamica rimane - dal 2000 al 2003 - superiore a quella dell’area Jesina e dell’intera provincia di Ancona (Grafico 1A), accompagnata ad
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un tasso di mortalità che nel 2003 risulta inferiore a quello registrato nello Jesino e nell’intera provincia (Grafico 1B). In termini assoluti, il dato riguardante l’universo delle imprese attive a Jesi al 2000 è di 3.264 unità (pari a 8,04% del totale provinciale), esso sale a 3.382 nel 2003 (pari a 8,27% del totale provinciale). Nei grafici che seguono, è possibile osservare la composizione dei diversi tassi per macrosettori (industria e terziario). Si nota con evidenza l’importanza del tasso di natalità delle imprese industriali nel determinare il risultato aggregato che abbiamo appena commentato.
Grafico 1A. Tasso di natalità delle imprese a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona 2000-2003
(fonte: CCIAA, 2004)
Grafico 1B. Tasso di mortalità delle imprese a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona 2000-2003
(fonte: CCIAA, 2004)
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Grafico 2A. Composizione del tasso di natalità e del tasso di mortalità nell’industria del Comune di Jesi, dello Jesino e della Provincia di Ancona
Industria. Tasso di natalità a Jesi nello Jesino e in provincia di Ancona 2000-2003
Industria. Tasso di mortalità a Jesi nello Jesino e in provincia di Ancona 2000-2003
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Grafico 2B. Composizione del tasso di natalità e del tasso di mortalità nel terziario del Comune di Jesi, dello Jesino e della Provincia di Ancona
Terziario. Tasso di natalità a Jesi nello Jesino e in provincia di Ancona 2000-2003
Terziario. Tasso di mortalità a Jesi nello Jesino e in provincia di Ancona 2000-2003
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Jesi accentua il suo profilo di polo bancario regionale, sembra rafforzarsi il tessuto di servizi alle imprese • Per quanto riguarda le attività di servizio alle imprese, una lettura ancora eccessivamente aggregata mostra tuttavia interessanti segnali di crescita e rafforzamento. È il caso delle sottosezioni J (Intermediazione monetaria e finanziaria) e K (attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca e sviluppo, servizi alle imprese) che mostrano un notevole rafforzamento sia in termini di addetti, sia in termini di unità locali. • Le prime attività (J), mostrano un +39% di addetti (360 addetti) e un importante +94% in termini di unità locali (passando da 73 a 142 unità locali nel decennio). Dati questi superiori a quelli dello Jesino e della Provincia. A Jesi, Banca Marche ha il suo centro direzionale, oltre a ben 7 agenzie; la Banca Popolare di Ancona è presente, oltre che con il proprio direzionale, con 5 agenzie e uno sportello presso la New Holland. Nella città sono inoltre presenti una ventina di banche regionali e nazionali, e la sola Unicredit ha quattro sedi. • Le seconda sottosezione (K) mostra una sorprendente crescita: +157,5% in termini di addetti (pari a 1660 nuovi addetti) e +120% di unità locali (pari a 456 nuove unità locali). Evidentemente in questo dato giocano diversi fattori, a partire dalla ampia gamma dei servizi compresi in questa sottosezione (da servizi ‘poveri’, come quelli di pulizia o di noleggio di auto o macchinari, fino ai servizi a maggior ‘contenuto’ di informazione e di saperi, come quelli della ricerca e sviluppo, della pubblicità o quelli legati al mondo delle professioni). Le dinamiche occupazionali riscontrate in questo comparto sono assai interessanti e superiori, in termini percentuali, a quelle mostrate dall’area dello Jesino e dalla Provincia di Ancona nel suo insieme. • I dati mostrati rendono evidente, da un lato, l’affermazione di Jesi come polo bancario di valenza regionale (Jesi è storicamente sede originaria di molti istituti bancari marchigiani); dall’altro lato, mostrano un processo di rafforzamento terziario consolidatosi negli anni novanta a conferma di una dominanza terziaria di Jesi sul contesto territoriale di riferimento. Una debolezza nei servizi dell’accoglienza, per Jesi città della cultura e dell’ospitalità • L’indubbia caratterizzazione di Jesi come città d’arte e cultura, posizionata negli itinerari turistici marchigiani, domanda una qualificazione (e differenziazione) dell’offerta turistica e ricettiva. Osservando i dati censuari per quanto riguarda gli addetti e le unità locali si riscontra una crescita ancora del tutto sproporzionata rispetto alle potenzialità di Jesi. Tra il 1991 e il 2001 gli addetti alla sottosezione H (Alberghi e ristoranti) crescono solo del 12,2% (in termini assoluti da 410 a 460 unità), mentre l’area Jesina mostra un +17,1% e l’area anconetana un significativo +28,6%. La ‘scoperta’ turistico-culturale delle Marche avvenuta negli anni novanta vede quindi Jesi ancora debolmente attiva. Questo dato è confermato, anzi assume un segno più marcato, sul versante delle unità locali; esse infatti crescono solo del +3,4% a Jesi (da 119 a 123 unità), nei confronti del +10,9% dello Jesino e del +18,3% rilevabile sull’intera Provincia di Ancona. Un distretto del consumo per la Bassa Vallesina • Se sul fronte dei servizi qualificati, ai cittadini e alle imprese, i
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dati mostrano diversi segnali interessanti (dalla rafforzata specializzazione del polo bancario alla crescita di un tessuto più ampio di servizi alla produzione), sul fronte del commercio, gli anni novanta, segnalano una ristrutturazione del settore caratterizzata dall’affermazione dei supermercati e dei grandi magazzini. I dati sull’occupazione della sottosezione G (che comprende il commercio all’ingrosso e al dettaglio) segnano un +3,8% (un tasso di crescita quasi triplo a quello dello Jesino e più che doppio rispetto a quello dell’intera provincia); e quelli relativi alle unità locali segnalano una dinamica positiva (+5,3%) per Jesi, a fronte di un segno negativo della stessa per quanto riguarda lo Jesino (-3,2%). Come se le dinamiche di Jesi, con la formazione di un vero e proprio distretto del consumo imperniato su grandi piattaforme di vendita, nella parte occidentale della città, abbia inciso profondamente sul decremento di unità locali del commercio verificatosi nei territori circostanti.
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Tab. 3A. Addetti nelle unitĂ locali suddivise per sottosezione economica a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona. 1991 - 2001
(valori assoluti e variazioni percentuali)
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Tab. 3B. UnitĂ locali suddivise per sottosezione economica a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona. 1991 - 2001
(valori assoluti e variazioni percentuali )
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Addetti complessivi suddivisi per macrosettore Agricoltura e pesca 0,26%
Industria 26,15%
Costruzioni 5,17% Terziario 68,42%
Agricoltura e pesca 0,72% Industria 39,11%
Terziario 52,94% Costruzioni
Agricoltura e pesca 0,75%
Terziario 59,48%
Industria 33,26%
Costruzioni 6,51%
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Addetti settore Industria manifatturiera suddivisi per sezione Industrie alimentari 16,79%
Altre industrie manifatturiere 24,04%
Industrie alimentari 11,95%
Industrie meccaniche 59,17%
Industrie meccaniche 45,94%
Altre industrie manifatturiere 42,11%
Industrie alimentari 6,53%
Altre industrie manifatturiere 42,88%
Industrie meccaniche 50,58%
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Addetti settore terziario suddivisi per sezione
Servizi alle imprese 22,00% Servizi finanziari 10,39%
Terziario pubblico 28,37%
Commercio e altro terziario 39,24%
Servizi alle imprese 17,51% Terziario pubblico 27,21%
Servizi finanziari 7,63%
Commercio e altro terziario 47,65%
Servizi alle imprese 15,78% Terziario pubblico 32,01%
Servizi finanziari 4,74%
Commercio e altro terziario 47,47%
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Tab. 3C. Peso specifico degli addetti nelle unità locali suddivise per sottosezione economica a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona. 1991 – 2001
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Tab. 3D. Peso specifico delle unitĂ locali suddivise per sottosezione economica a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona. 1991 - 2001
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Tab. 4A. Indice di specializzazione per sezione economica a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona (1991-2001)
Tab. 4B. Indice di specializzazione per sottosezione economica nel comparto manifatturiero a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona. 1991 - 2001
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Tab. 5. Dimensione media delle unità locali suddivise per sottosezione economica a Jesi, nello Jesino e in provincia di Ancona. 1991 – 2001
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2.2 La mappatura di alcuni ambienti di attivitĂ econimica
Fig. 2. Mappa delle unitĂ del commercio
(fonte: Uff. SIT, Comune di Jesi 2004)
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Fig. 3. Mappa delle unità dei servizi all’economia locale
(fonte: Uff. SIT, Comune di Jesi 2004)
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2.3 Il territorio agrario
L’importanza che il paesaggio agrario possiede è generalmente legata alla vastità del territorio occupato, alla forma di occupazione del suolo e, soprattutto, alla sua collocazione spaziale a cavallo, in genere, tra i paesaggi naturali e i paesaggi completamente artificiali. Poichè rappresenta una delle componenti fondamentali dell’ambiente non può essere considerato un semplice supporto delle attività produttive urbane; esso può diventare invece protagonista della tutela della natura e della qualità della vita dell’uomo, risorsa economica primaria, testimonianza storica e paesistica, elemento di salvaguardia e rigenerazione ecologica. Il territorio di Jesi, che si estende su una superficie di circa 10.400 ha, è per l’83% ad utilizzo agricolo pari ad una superficie di 8.687 ha. In un simile contesto è fondamentale elaborare una strategia di utilizzazione articolata. La notevole variabilità geomorfologica incide fortemente sull’uso del suolo, è infatti possibile individuare almeno 3 ambienti differenti tra loro: • La zona a nord del centro abitato, in cui emerge la ridotta dimensione aziendale con fondi frammentati dalla presenza di più colture ed in cui sono ancora visibili gli elementi tipici del paesaggio agrario di un tempo (filari di vite maritata, alberi isolati, vegetazione ripariale, etc.), è molto ricca e gradevole da un punto di vista paesaggistico. La coltura prevalente è quella cerealicola, in particolare frumento duro; di notevole interesse in termini qualitativi è la produzione del carciofo di Jesi, limitata alla frazione Santa Lucia; seppur in dimensioni ridotte si trovano produzioni orticole, vite e olivo. • La zona di pianura, tra i due versanti collinari, caratterizzata dalla presenza del fiume che ne disegna il paesaggio, dove la maglia poderale si allarga ed i fondi sono di dimensioni più grandi. La coltura prevalente è quella cerealicola, ma sono ancora presenti le colture orticole ed alcuni frutteti. L’agricoltura è stata per molti anni la fonte di reddito principale, dovuta essenzialmente all’elevata vocazione dei luoghi ed alla disponibilità di acqua; oggi l’espansione della zona industriale e l’attività estrattiva hanno convogliato le risorse verso altre attività probabilmente più redditizie. Anche se in questa zona a prevalere sono le aziende di grandi dimensioni, ad indirizzo produttivo cerealicolo - zootecnico, sono ancora presenti importanti realtà orticole e frutticole di dimensioni assai più ridotte. • La zona a sud del territorio comunale, a causa dell’instabilità dei suoli (estesa formazione di calanchi), è sicuramente la parte del territorio più degradata e meno ricca in termini di paesaggio agrario, con eccezione di alcune località. I fenomeni erosivi e di ruscellamento superficiale sono in parte conseguenza di un utilizzo finalizzato a massimizzare la produttività che tralascia alcuni fondamentali aspetti di carattere ambientale. In questa zona, più che nelle altre, l’indirizzo produttivo prevalente è quello cerealicolo; sono inoltre presenti colture foraggere ed industriali. Le aziende sono di dimensioni medio-grandi, superiori ai 25 ha. L’agricoltura in cifre La realtà agricola del Comune di Jesi è fatta per lo più di aziende di piccole dimensioni: nel 2000, su un totale di 759 aziende ben 480 sono inferiori a 5 ha, le aziende più grandi, quelle con più di 50 ha, sono solamente 24. Un dato comunque significativo è quello delle aziende con superficie compresa fra i 5 ed i 50 ha: 255. Di fatto dal
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1990 la situazione non è cambiata molto per quanto concerne le classi di superficie mentre si è avuta una ragguardevole riduzione (-8,8%) del totale delle aziende. L’andamento del dato jesino e provinciale è simile ed ancor più accentuato rispetto a quello di Jesi: le aziende con superficie inferiore a 5 Ha rappresentano oltre il 60% del totale, e dal 1990 al 2000 le riduzioni del numero di aziende registrate per lo jesino e per l’intera provincia sono rispettivamente del 15% e del 18,9%. Del 1990 il dato regionale al 2000 evidenzia un calo nel numero di aziende di 14.549 unità (-18%).
Aziende per classe di superficie totale (superficie in ettari)
La superficie agricola totale dal 1990 al 2000 si è ridotta di 450 ha (-4,9%). Dalla tabella che segue si evince che mentre le superfici delle classi 5-10 e 50-100 sono diminuite, quelle delle classi 2050 e >100 sono aumentate: è possibile ipotizzare che le piccole aziende siano state acquisite dalle grandi, tenendo anche conto del fatto che il numero complessivo delle attività agricole si è ridotto. Tale andamento è comune sia alla situazione dello jesino che della provincia. Inoltre la riduzione in termini di superficie totale, riscontrata per Jesi, è amplificata a livello provinciale (-9%) e regionale (-10,9%), mentre notevolmente inferiore è la diminuzione dello jesino (-0,4%). Di fatto il consistente calo rilevato nel numero di aziende si è riflesso solo in parte sulla superficie totale con conseguente incremento della superficie media aziendale.
Superficie totale per classe di superficie (superficie in ettari)
L’incidenza della SAU (Superficie Agricola Utilizzata) sulla superficie agricola totale si è di poco ridotta sia per il comune di Jesi, passando dal 90% del 1990 al 89% del 2000, che per lo jesino da (88,6% a 87,6%), in controtendenza sia rispetto al dato provinciale, da 78% a 82%, che al dato regionale, da 69,2% a 71,2%, dove, per lo stesso periodo, l’incidenza della SAU è crescente.
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Superficie agricola utilizzata per classe di superficie (superficie in ettari)
Come già accennato, le colture cerealicole a seminativo occupano una posizione di eccellenza nell’agricoltura del comune, rappresentano infatti l’84% della superficie agricola totale. Ciò è senza dubbio legato alle Politiche di sostegno del mercato che garantiscono un discreto reddito, specie per il frumento duro. Il dato aggregato per lo jesino e quello provinciale sono analoghi: le colture a seminativo ricoprono la maggior parte della superficie totale.
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Azienda per classi di superficie totale, Jesi
Azienda per classi di superficie totale, Jesino
Azienda per classi di superficie totale, Provincia di Ancona
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Jesi
Jesino
Provincia di Ancona
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Superficie aziendale secondo l’utilizzazione (superficie in ettari)
Superficie aziendale secondo l’utilizzazione, Jesi 1990
Superficie aziendale secondo l’utilizzazione, Jesi 2000
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Significativo è il confronto fra il numero di aziende che producono ortaggi nel 1990 e nel 2000: ben 268 aziende contro 158. L’orticoltura è stata per Jesi una delle principali attività agricole negli anni passati, le zone di pianura in prossimità del fiume permettevano di ottenere produzioni quantitativamente e qualitativamente elevate. Oggi, nonostante la situazione sia mutata, i prodotti della Vallesina continuano ad essere convogliati alla CIPO, Cooperativa Jesina Produttori Ortofrutticoli, sede del mercato ortofrutticolo. La Cipo rappresenta di fatto una importante risorsa per la città; nata nel 1974, grazie ai 34 soci fondatori che insistevano esclusivamente lungo la vallata del fiume Esino, ha raggiunto il ragguardevole numero di 210 soci provenienti da tre delle quattro province marchigiane, per un totale di circa venti comuni rappresentati. È interessante l’analisi del dato disaggregato a livello comunale per la provincia di Ancona, dove emerge che Jesi, nel 1990, era seconda solo ad Ancona per il numero di aziende orticole, mentre risultava leader in termini di superficie a coltivazioni ortive; nel 2000 è invece Jesi ad avere il maggior numero di aziende orticole, ed è seconda solo a Loreto per le relative superfici. Inoltre nel 2000 la superficie delle coltivazioni ortive di Jesi rappresenta il 50% dell’intera superficie orticola dello jesino, ciò a conferma dell’importanza del comparto ortofrutticolo nell’economia agraria del comune. La netta riduzione in termini di aziende orticole e relativa superficie, riscontrata per Jesi, è evidente anche per la valle di Jesi e per la provincia, dove il numero di aziende è diminuito del 40,8%. Anche le colture foraggere vedono ridimensionata la loro superficie ad ognuno dei livelli analizzati: comunale, aggregato jesino e provinciale, di pari passo con il cambiamento che ha interessato la zootecnia. Aziende con seminativi e relativa superficie per le principali coltivazioni praticate
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Coltivazioni ortive superficie in ha
Per quanto concerne le colture arboree si è verificata una drastica diminuzione per la vite sia in termini di superficie vitata (-50%) sia di aziende. Ciò potrebbe essere legato all’esclusione di Jesi dalla DOC del Verdicchio dei Castelli di Jesi, fatto che non incentiva l’impianto di nuovi vigneti. Contrariamente a Jesi, la zona dello jesino è per la maggior parte ricompresa nella DOC del Verdicchio e la superficie vitata si è solo lievemente ridotta dal 1990 al 2000 (-0,4%). A livello provinciale il numero delle aziende viticole si è quasi dimezzato, mentre la superficie vitata si è ridotta di 1.450 ha (-20,8%).La superficie ad oliveto, dal 1990 al 2000, è invece raddoppiata; la presenza a Jesi del Gruppo Pieralisi, leader nella produzione di macchine per frantoi, ha probabilmente agevolato e favorito tale crescita, nonostante a Jesi sia presente un solo frantoio per la molitura delle olive. Altra significativa riduzione è quella dei fruttiferi che, come per le produzioni orticole, è probabilmente riconducibile alla variazione di destinazione d’uso delle zone di pianura più fertili: da rurali ad industriali. Se per Jesi la superficie a fruttiferi si è dimezzata, per lo jesino e per la provincia la riduzione è esigua.
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Aziende con coltivazioni legnose agrarie e relativa superficie per le principali coltivazioni praticate
Vite superficie in ha
Olivo superficie in ha
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Gli allevamenti zootecnici presenti sul territorio sono quelli di: bovini da carne, vacche da latte, suini ed avicoli. La Cooperativa Valdicesola e l’Azienda Agraria del Comune di Jesi allevano bovini da carne (in parte bovini di razza marchigiana) con vendita diretta del prodotto. L’Azienda Triofi Honorati alleva vacche da latte, il cui prodotto viene in parte conferito alla vicina centrale del latte, la Coperlat. L’allevamento di suini si è notevolmente ridimensionato dopo la chiusura di alcuni stabilimenti di notevole entità. Una delle realtà più significative da un punto di vista economico, per Jesi e per tutta la Vallesina, è stata ed è l’allevamento di avicoli, legato alla presenza sul territorio delle due grandi aziende operanti nel settore agroalimentare: la Fileni e la Garbini (Gruppo Arena). Nonostante il numero delle aziende che allevano avicoli si sia ridotto dal 1990 al 2000, il numero dei capi allevati è quasi raddoppiato, probabile segnale di un comparto ancora in crescita. Il dato, purtroppo comune alle tre realtà considerate, delinea un settore zootecnico in calo in ogni sua tipologia produttiva, sia in termini di aziende che di capi allevati. La regione Marche, che in passato era specializzata nelle produzioni zootecnico-cerealicole con alta intensità di lavoro e riforniva di carne di razza marchigiana soprattutto i mercati di Roma e Napoli, ha perso quella sua specializzazione ed ora è importatrice netta di carne. Aziende con allevamenti con bovini, bufali, suini e relativo numero di capi
Aziende con ovini, caprini, equini, allevamenti avicoli e relativo numero di capi
La maggior parte delle aziende che insistono sul territorio è a conduzione diretta del coltivatore. La manodopera viene reclutata internamente alla famiglia anche se i singoli componenti di solito svolgono attività remunerativa in altri settori. Dal 1990 al 2000 è scomparsa la conduzione a colonia parziaria appoderata, e sempre meno si fa ricorso a manodopera extrafamiliare nel caso di conduzione diretta del coltivatore. È significativo l’incremento delle aziende con salariati, legato probabilmente all’aumento delle aziende con SAU maggiori di
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100 ha. L’andamento jesino e provinciale sono simili a quello comunale; con un discreto incremento delle aziende con salariati. Aziende per forma di conduzione
Un dato “sintomatico” è quello derivante dall’analisi delle aziende per classe di età del capoazienda. 360 aziende, circa la metà del totale, sono condotte da persone con più di 65 anni, solo 51 hanno il capoazienda con meno di 40 anni: il rischio è quello di un “invecchiamento” del settore. Il cambiamento nella demografia dei protagonisti in agricoltura è di rilevante importanza: l’Italia ha in Europa, dopo il Portogallo, il record dell’invecchiamento; le Marche hanno il primato dell’invecchiamento in Italia. Aziende agricole per classe di età del capoazienda
L’espansione dell’agricoltura biologica, con sicuri effetti positivi sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti, è diventato uno degli obiettivi prioritari, che sia il Ministero che l’Unione Europea, stanno perseguendo con diverse iniziative. Purtroppo nella realtà agricola jesina l’agricoltura biologica non è molto diffusa, nonostante gli incentivi stanziati per questo settore. Dall’Elenco Regionale Operatori Agricoltura Biologica, aggiornato al 2002, risultano soltanto 2 aziende biologiche nel Comune di Jesi. Un bell’esempio è senza dubbio quello dell’Azienda Agraria del Comune di Jesi da qualche anno convertita al biologico per l’intera superficie aziendale.
Jesi Popolazione e forme territoriali 113
Aziende agricole che praticano agricoltura biologica per tipo di produzione
Aziende agricole per classi di età del capoazienda
Una delle opportunità di sviluppo dell’agricoltura nell’entroterra è rappresentata dall’attività agrituristica, attraverso la quale gli agricoltori possono incrementare il loro reddito mediante la vendita “diretta” dei propri prodotti e nel contempo valorizzare il patrimonio edificato e non più utilizzato nelle attività agricole tradizionali. Nelle Marche l’agriturismo sta diventando una componente essenziale dello sviluppo dell’agricoltura con un ruolo importante nella valorizzazione dell’architettura e della tipicità del patrimonio agricolo esistente. Nel comune di Jesi soltanto una azienda è già operante nel settore agrituristico con possibilità di ristorazione ed ospitalità; mentre risultano iscritte all’EROA, Elenco Regionale Operatori Agrituristici, 9 aziende agricole che non hanno ancora avviato tale attività. Per quanto concerne i fabbricati rurali, è interessante notare che il numero delle abitazioni non occupate è di 218, circa il 27% del totale. Aziende agricole che svolgono attività di agriturismo
Non conoscendo lo stato in cui versano tali edifici e la loro ubicazione è difficile fare ipotesi a riguardo, tuttavia sembra possibile un turismo rurale.
114 Jesi Popolazione e forme territoriali
Abitazioni situate nell’azienda agricola
Conclusioni Il concorso di fattori diversi ha determinato l’affermarsi di una agricoltura attiva e ben radicata nel territorio. La vitalità delle attività rurali esistenti è garantita dalla distribuzione uniforme e diffusa della popolazione e delle relative abitazioni su tutto il territorio comunale. Ciò che emerge da questa breve analisi è una situazione caratterizzata da tante aziende di piccole dimensioni, inferiori a 5 ha, legate ad un’agricoltura convenzionale e non specializzata, che privilegia le colture a seminativo; di diverse aziende di medie dimensioni, fra i 20 e i 50 ha, con specifico indirizzo produttivo (cerealicolo, zootecnico, viticolo, ecc.) gestite da agricoltori professionali, sensibili alle richieste del mercato ed ai finanziamenti della Comunità Europea; da poche grandi aziende oltre i 100 ha, specializzate e tecnicamente avanzate. Parallelamente a questa esiste una realtà agroalimentare con aziende di prestigio nazionale nel settore vitivinicolo e zootecnico che riescono a gestire l’intera filiera produttiva, passando dalla produzione alla vendita diretta al consumatore: Agrivinicola Montecappone, Fazi Battaglia, Colonnara, Moncaro, ecc. nel comparto vitivinicolo, Fileni e Garbini (gruppo Arena) nell’allevamento di avicoli (la sede della Fileni, viene definita come la più grande Azienda Agricola italiana, è stata trasferita da Jesi a Cingoli). Queste aziende, oltre ad avere interessanti fatturati, ricoprono una notevole fetta del mercato occupazionale (Garbini e Fileni occupano circa 2000 persone). La presenza dello zuccherificio Sadam, della centrale del latte Coperlat, del gruppo Pieralisi leader mondiale nella produzione di macchine per frantoi, della Angelini, della New Holland per la fabbricazione di trattori, crea un indotto che si ripercuote sulle attività e sull’economia di tutta la Vallesina. Il Comune di Jesi pur non essendo sede fisica di alcune delle attività sopra citate, ha un ruolo centrale nell’economia della Vallesina e nelle attività che in essa si svolgono. La politica comunitaria prevalente, la cosiddetta PAC, che ha ancora in gran parte determina lo sviluppo dell’agricoltura regionale, non ha favorito il legame tra impresa e territorio, in quanto ha operato una notevole pressione in direzione di una omologazione e standardizzazione dei modelli produttivi allineandoli a quelli del centro-nord Europa (agricoltura estensiva e specializzata). Questo modello si discosta dalla tradizione agricola regionale, caratterizzata dalla diversificazione delle produzioni, provocando una diffusa destrutturazione delle aziende che si sono progressivamente specializzate nella coltivazione di seminativi a basso impiego di lavoro (occupazione part-time) e ad elevato uso di capitali (meccanizzazione). Linee di sviluppo L’agricoltura sta vivendo una fase di grandi trasformazioni indotte dalle logiche del mercato globalizzato: la caduta degli allevamenti, l’intensificazione colturale con la prevalenza di monocoltura, la scomparsa delle rotazioni poliennali, l’incremento elevato della
Jesi Popolazione e forme territoriali 115
meccanizzazione porta ad un impoverimento in termini ambientali, paesaggistici, idrogeologici nonché storico-colturali. Tuttavia, lo spostamento delle risorse economiche della Pac, dal sostegno alle produzioni al finanziamento di progetti che puntano allo sviluppo del territorio, segna un passaggio fondamentale verso il miglioramento delle qualità della vita delle popolazioni agricole e del territorio stesso. L’importanza dell’agricoltura è dovuta al fatto che si tratta di un settore che produce non solo beni, ma valore aggiunto per una serie di funzioni che svolge, di carattere sociale e ambientale, alimentare, culturale, storico ecc., che interessano non solo le comunità rurali ma l’intera società. L’evoluzione possibile è, dunque, verso un’agricoltura multifunzionale che rinnova ed ammoderna le funzioni tradizionali, realizzando prodotti di qualità, rinnovando i processi e le tecniche di trasformazione agro-alimentare e la commercializzazione dei prodotti. L’agricoltore professionale potrà/dovrà svolgere attività in favore della tutela e valorizzazione dell’ambiente, della manutenzione del paesaggio e del territorio riscoprendo tradizioni e valori antichi ed offrendo servizi diversi rivolti allo svago ed al relax.
116 Jesi Piano idea
3. Relazioni territoriali e sviluppo locale
3.1 Note introduttive e obiettivi conoscitivi
Il territorio è stato storicamente sottoposto a processi e modalità continue di istituzionalizzazione. Quello che in gergo geografico viene chiamato processo di regionalizzazione (inteso come l’esercizio di pratiche composite di suddivisione e partizione di un certo territorio finalizzato ad un trattamento conoscitivo e/o politico-operativo) ha mostrato, e mostra di continuo, una molteplicità di ricadute sul modo di intendere e nominare una certa porzione di territorio, con effetti non trascurabili sui comportamenti degli attori. Nella fase che per i paesi ad economia industriale avanzata ha corrisposto grosso modo con la costruzione del welfare state e con la definizione delle sue politiche pubbliche, tale fenomeno di istituzionalizzazione del territorio ha raggiunto intensità sconosciute nelle fasi precedenti. Infatti, sia gli attori politico-istituzionali, sia quelli sociali ed economici, possono essere considerati-a seconda della situazione - come fautori e/o fruitori delle diverse articolazioni territoriali: si pensi solo, per fare esempi noti, alle territorialità sottese alle aziende sanitarie locali, ai distretti scolastici, alle circoscrizioni amministrative o - su altri fronti - a quelle che delineano i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro o quelli turistici. Tutte modalità specifiche di partizione di un territorio in ambiti più o meno estesi, spesso rispondenti a logiche decisionali tra loro poco coerenti e produttrici di geografie spesso interferenti e sovrapposte l’una con l’altra. Possiamo affermare che i numerosi ambiti territoriali definiti in modo talvolta contingente e transitorio (un’associazione intercomunale di pianificazione, ad esempio), più spesso in modo strutturato e duraturo (come la gran parte degli esempi prima richiamati), per risolvere - o per lo meno trattare-problemi di rilevanza pubblica, pongono sul piatto la questione delle forme di costruzione e di rappresentazione del territorio e i loro riflessi su una certa società locale. Infatti, sia quando tali partizioni vengono avanzate con finalità primariamente conoscitive, ma con più evidenza quando esse hanno implicazioni gestionali (relative, ad esempio, alla territorializzazione di servizi essenziali per una certa popolazione), o quando avanzano criteri geografici per l’allocazione della spesa pubblica in specifiche politiche, ebbene - in tutti questi casi - tali partizioni implicano una molteplicità di effetti possibili sul comportamento dei cittadini, delle imprese e delle organizzazioni sociali. Inoltre, una certa rappresentazione del territorio può di volta in volta essere considerata sia come effetto di specifiche mosse strategiche, intenzionalmente condotte da alcuni attori (singoli o associati), sia come esito combinato di mosse, non tutte intenzionali, che vengono incorporate in una certa immagine o configurazione territoriale più o meno influente nel tempo. A questo proposito, risulta
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evidente che non sempre la distinzione tra effetti voluti, progettati, e quelli non intenzionali, esito di processi di adattamento e interazione più ampi, sono chiaramente distinguibili. In altre parole, possiamo sostenere che le pratiche di trattamento del territorio che comportano una suddivisione in ambiti, piuttosto che una proiezione dei vari tematismi nella dimensione territoriale (dalla scuola, alla sanità, ai servizi sociali e assistenziali), mobilitano tutte un uso costruttivo e progettuale della geografia di un certo luogo. E tali geografie-solo apparentemente inerti e prive di potere-esercitano invece un ruolo di vincolo e/o risorsa all’azione collettiva e progettuale più di quanto si sia soliti pensare. Proprio questa ambivalenza delle rappresentazioni geografiche, il loro carattere di condizionamento all’azione, ma anche di risorsa potenziale per l’azione, invita a scandagliare le immagini e le rappresentazioni territoriali di Jesi, per coglierne anche la loro valenza performativa. Obiettivo di questo Dossier è quello di considerare, in un certo senso inventariare, le diverse configurazioni territoriali del territorio jesino: da un lato, per evidenziarne il carattere di costrutto strategico in grado di strutturare immagini e comportamenti sociali nello spazio; dall’altro lato, per evidenziare e discutere le relazioni territoriali nelle quali Jesi è implicata e per cogliere eventuali linee evolutive che possano essere intenzionalmente praticate dalla classe dirigente locale e pilotate verso un rafforzamento dello sviluppo del contesto territoriale. Le schede che raccogliamo in questo dossier rispondono dunque alla propensione a valorizzare il sapere geografico e i suoi costrutti come strumento e veicolo (almeno potenziale) di azione territoriale strategica. Per questa ragione il dossier è costruito in progress. Partendo da alcuni elementi di base, nell’intento di fornire le coordinate minime per avvicinarsi al contesto e per prenderne confidenza, avanzando passo dopo passo verso immagini e rappresentazioni geografiche in grado di evidenziare temi e problematiche più complesse. Nella sezione 2 (Riconoscere le geografie, documentarle in modo finalizzato): si descrivono le diverse articolazioni e appartenenze geografiche del territorio jesino così come possono risultare ad una prima ricognizione conoscitiva fatta sul campo, piuttosto che con l’ausilio di vari materiali e documenti di piano che trattano aspetti diversi del territorio. In questo modo si è proceduto considerando i “luoghi jesini”, intesi come parti che compongono il territorio del comune di Jesi; i “territori delle istituzioni politiche e di welfare”, intesi sia come i domini spaziali delle diverse istituzioni, sia intesi come i territori prodotti e costruiti nel corso di alcune tra le principali politiche pubbliche che riguardano e coinvolgono Jesi. Nella sezione 3 (Immagini influenti e posizionamenti geostrategici): si considerano alcune tra le principali immagini territoriali alla scala regionale e macro-territoriale che possono essere considerate rilevanti anche per gli effetti prodotti sullo specifico contesto locale di Jesi. Tale operazione viene condotta ponendo particolare attenzione, da un lato, ai principali studi condotti sulla realtà locale e regionale nel corso del secondo dopoguerra e sulle immagini territoriali impiegate per interpretare lo sviluppo marchigiano; dall’altro lato, considerando i principali programmi e piani territoriali che – in anni recenti – hanno reinterpretato il contesto locale e regionale introducendo nuove configurazioni e nuove immagini territoriali del cambiamento. La sezione si chiude con un accenno ad alcune immagini più recenti che
118 Jesi Relazioni territoriali e sviluppo locale
aprono in modo più esplicito ai temi della governance territoriale. Nella sezione 4 (Relazioni territoriali e implicazioni per lo sviluppo locale): si tenta un’ulteriore evoluzione del tema attraverso un salto di complessità che porta a considerare le relazioni di complementarietà e integrazione che Jesi intrattiene alle diverse scale, la sua capacità di scambiare risorse su reti corte e su quelle più lunghe; i rapporti di vicinato e il profilo delle alleanze territoriali, quelle in essere e quelle auspicabili e perseguibili. L’interesse è quello di provare a mettere a fuoco un possibile posizionamento geo-strategico della città e la partecipazione effettiva di Jesi e della sua classe dirigente nei reticoli decisionali delle politiche pubbliche territoriali considerando i molteplici ‘capitali’ di cui già oggi Jesi dispone. Questo è il senso delle considerazioni conclusive attorno al rango della città e alle risorse già mobilitate da Jesi all’interno dei reticoli funzionali in azione alle diverse scale: dalla scala urbana, con relazioni di prossimità, fino alle scale macro, continentali e globali, le cosiddette reti lunghe che proiettano Jesi in una dimensione mondiale.
3.2 Riconoscere le geografie e documentarle in modo finalizzato
Un modo semplice di accostarci al contesto della città di Jesi, e del territorio jesino più in generale, è quello di descrivere le sue diverse articolazioni e appartenenze geografiche in modo da restituire i differenti ambiti e le differenti ‘sezioni’ territoriali rintracciabili su più versanti. Un’operazione di questo genere può apparire per certi versi banale, in particolare quando si evidenziano elementi che sembrano fornire informazioni rituali e apparentemente ‘naturali’. Ma proprio per questa ragione è importante rapportarci alle informazioni che presentiamo tenendo sempre presente che anche quelli che appaiono scontate e sedimentate nel tempo (l’estensione e i confini territoriali del comune di Jesi, piuttosto che l’appartenenza alla provincia di Ancona o ad una certa azienda sanitaria locale, per esempio) sono sempre il frutto di scelte e di processi che, sebbene compiuti in tempi dei quali si è persa memoria, è opportuno considerare sotto una diversa prospettiva: quella di costrutti territoriali strategici. Luoghi jesini Prima di tutto, osserviamo i luoghi e le parti che compongono il territorio jesino. In questa operazione manteniamo come riferimento l’intero territorio comunale di Jesi, quindi comprensivo sia del centro urbano (l’agglomerato urbano compatto formato da almeno tre parti distinte: la città storica, la città alta e la città della piana), sia del suo intorno territoriale (la campagna e le frazioni), per una superficie complessiva di 107,72 Km quadrati ed una popolazione, al 2003, di 39.220 abitanti (364 abitanti/Kmq), pari al 8,7% della popolazione provinciale di Ancona. I riferimenti che seguono restituiscono in forma sintetica e descrittiva alcune tra le modalità di nominare e riconoscere il territorio jesino. Risulta evidente che le varie nominazioni hanno a che fare con un sapere contestuale depositato in processi assai compositi, alcuni dei quali recenti (si pensi alle ‘parti’ individuate dal piano Secchi), nei quali attori differenti hanno scomposto e ricomposto la realtà jesina a partire da alcune unità di riferimento territoriale.
Jesi Relazioni territoriali e sviluppo locale 119
Borghi: possono essere riconosciuti almeno cinque borghi storici in relazione ai tracciati viari d’uscita dal centro storico. La loro nominazione è quindi riferita agli attuali assetti della viabilità cittadina: il borgo corrispondente a via Roma, verso sud-est; i due borghi a sud, quello in prossimità delle vie Castelfidardo-Gallodoro e il borgo di via Marconi; i borghi verso nord-est e corrispondenti, l’uno all’asse via Garibaldi - via Ancona, e l’altro a via del Setificio. In alcuni studi recenti (cfr. Socialdesign, 2001), questi borghi sono considerati per evidenziare il tema di un loro eventuale recupero e rinnovo. I borghi rappresentano insediamenti con un nucleo antico (ovvero le parti storiche o consolidate della città) e sono costituiti prevalentemente da edifici a schiera, con unità edilizie a più piani e spesso appartenenti ad un unico proprietario, a formare un tessuto edilizio compatto, in parte modificato rispetto all’originario, seppur mantenendo un certo grado di omogeneità tipologica (con la presenza di alcuni manufatti industriali e artigianali, molti dei quali dismessi e/o sottoutilizzati). Quartieri: l’identificazione e il riconoscimento da parte della popolazione di veri e propri quartieri nella città, è aspetto assai controverso. Ad esempio, quando si parla di centro storico si può avanzare una distinzione tra parte entro le mura trecentesche e l’addizione successiva corrispondente a corso Matteotti e alle vie circostanti, che presenta caratteri differenti. Ma anche all’interno della città murata un tempo si distingueva tra zona del Duomo e zona di San Pietro. Nel suo complesso il centro storico, comunque inteso, ha rappresentato nei decenni più recenti uno sbarramento alla circolazione e alla comunicazione tra i quartieri esterni, quelli della jesi moderna cresciuta tra otto e novecento. Il Piano regolatore del dopoguerra, della fine degli anni cinquanta (1959), tentava di dare risposta alla pressione dello sviluppo edilizio di quegli anni prefigurando una crescita della città imperniata su tre quartieri di nuova espansione, a corona intono al centro storico, collegati per mezzo di una circonvallazione: a nordovest, il quartiere Colli (con una urbanizzazione prevalentemente estensiva, con addensamenti volumetrici intorno alle strutture dei servizi); a sud, il quartiere Prato con la conferma di una vocazione economico-artigianale dell’area; nella parte nord-est, il quartiere San Giuseppe, con il rafforzamento della presenza di edilizia residenziale popolare destinata ai lavoratori dei complessi industriali localizzati in quella parte della città. Frazioni e località esterne al centro urbano di Jesi: Mazzangrugno, Minonna, Pantiere, Ponte Pio, Castelrosino.
I territori delle istituzioni politiche e di welfare In questa sezione ci riferiamo ai principali aspetti che descrivono il rapporto tra istituzioni e territorio. In altre parole, osserveremo i domini territoriali delle diverse istituzioni politico-amministrative che hanno raggiunto una certa stabilità nel tempo (come i confini amministrativi di Jesi e dei vari comuni contermini, o alcuni bacini di particolari servizi che connotano il welfare a livello territoriale) e che - per ragioni diverse - non possono variare frequentemente, pena la difficoltà a definire su di esse l’organizzazione amministrativa del territorio e la gestione dei differenti servizi. Le seguenti schede considerano le territorialità che entrano in gioco con le istituzioni. In primo luogo con quelle politiche, tutte quelle autonomie locali che esercitano attraverso le loro assemblee e i loro
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esecutivi l’azione di rappresentanza e di governo delle comunità territoriali (dai municipi alle comunità montane, alla provincia). Le schede combineranno alcune informazioni di base descrizioni territoriali ed esemplificazione dei temi e dei problemi di governo anche in rapporto specifico con Jesi. In secondo luogo, verranno considerate le istituzioni del welfare, intese come quelle organizzazioni e quelle modalità istituzionali di trattare temi pubblici in relazione ai bisogni della popolazione sul territorio: dalle istituzioni sanitarie a quelle relative ai servizi socio-assistenziali o della mobilità, solo per fare alcuni esempi. Fig. 1. Confini amministrativi (fonte: Anselmi, a cura di, 1987)
Comune di Jesi e comuni contermini: il comune di Jesi ha recentemente ridisegnato le 5 vecchie circoscrizioni nel quale era suddiviso, attualmente sono 3, una delle quali corrisponde all’intero centro storico. I comuni contermini sono 15. Partendo da quelli collinari a nord e proseguendo verso est: San Marcello: comune di collina a nord; Monsano: comune di collina a nord che presenta una cospicua area industriale attrezzata a poche centinaia di metri dalla ZIPA, lungo via Ancona; Monte San Vito; Chiaravalle; Camerata Picena; Agugliano; Polverigi; Santa Maria Nuova, comune di collina verso sud; Filottrano, comune di collina verso sud; Cingoli (MC); Staffolo; San Paolo di Jesi; Monte Roberto; Castelbellino; Maiolati Spontini.
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La dimensione dell’intercomunalità non è riducibile ai soli comuni confinanti, come segnalato nella Tabella 1 qui riportata. Ma essa può coinvolgere su certi aspetti l’insieme dei 49 comuni della Provincia di Ancona, piuttosto che mettere in relazione Jesi con comuni della Valle o di altre province.
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Nella Tabella 2 sono indicati alcuni esempi significativi di bacini riferiti a servizi decisivi come quelli scolastici o della sanitĂ , ma evidentemente la lista potrebbe allungarsi molto, comprendendo altri importanti bacini riferiti ad una molteplicitĂ di servizi. Si pensi solo ai vari ambiti territoriali omogenei per la fornitura e gestione delle risorse idriche, dei rifiuti urbani, dei trasporti e della mobilitĂ , dei bacini commerciali o dei servizi ambientali, solo per fare alcuni esempi. Tab. 2. Alcuni bacini territoriali di servizi fondamentali
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Azienda sanitaria locale (ex Usl n. 10): nascita e sviluppo del distretti sanitari (per le ASL della Provincia di Ancona: il PSR 1998-2000 ha ipotizzato 10 distretti (Allegato 4.2.1. del PSR). Tali distretti sanitari assumeranno il ruolo sempre più strategico per il contesto di riferimento e dovrà diventare un interlocutore fondamentale per il governo di quel territorio. “Il distretto è il luogo elettivo per l’integrazione, sia interna alla sanità, sia fra le problematiche sanitarie, ambientali, sociali e formative, ecc.; con immediato riferimento al Programma regionale dis viluppo 2000, al distretto si dovrà progressivamente riconoscere il ruolo di coagulo del welfare locale, come concretizzazione attuatoria del welfare regionale, con l’obiettivo dell’ottimizzazione della qualità della vita. Il regime per il welfare locale si realizza e diventa comunitario con l’istituzione della Conferenza di Distretto cui partecipano i sindaci, il responsabile del distretto, nonché tutti i rappresentanti istituzionali e non della società civile (istituzioni, fondazioni, volontariato, sindacati, ecc.)” (PSR 1998-2000, p. 97). Tra la dimensione delle ASL (e dei distretti) e quella della Regione Marche esiste uno spazio per un livello di concertazione d’area vasta (con ruolo della Provincia in ordine ai processi di concertazione amministrativa-istituzionale). PTCP: “Il concetto di ‘area vasta’ può assumere contorni particolari ed originali in relazione ai problemi: fasce costiere, aree montane, aree di confine, ecc. … Risulta chiaro, allora, che, anche nel campo sanitario si possono aprire spazi importanti di intervento della Provincia in chiave concertativa, allo scopo di fornire ai distretti ed alle azione USL, così come ai comuni ed alla stessa regione, l’apporto delle proprie competenze e conoscenze, in particolare per quanto riguarda il territorio: ciò appare anche più interessante se si considera la necessità di un approccio integrato al welfare regionale”. I territori delle politiche Consideriamo ora il rapporto tra politiche pubbliche e territorio. In questa parte si evidenzieranno le territorialità di alcune tra le più rilevanti politiche che possono essere distinte in almeno due tipologie: la prima, riguarda politiche pubbliche in un certo senso più istituzionalizzate e quindi maggiormente stabili nel tempo, ad esempio politiche dettate dalla legislazione nazionale e/o regionale che utilizza la suddivisione o la selezione di ambiti geografici specifici per motivare alcune scelte e alcune politiche di spesa; la seconda tipologia di politiche riguarda invece quelle frutto di un qualche processo di concertazione sociale caratterizzato dall’interazione di una pluralità di attori (non solo istituzionali). Queste politiche hanno livelli di istituzionalizzazione variabili ma tendenzialmente più bassi delle prime, e sono tra l’altro soggette a tutte le modifiche connesse al mutarsi d’orientamento degli attori nel corso dei processi decisionali.
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Orientamenti che possono avere significativi riflessi sulle dimensioni geografiche e sui confini delle diverse iniziative (paragrafo 2.3.2). • Politiche pubbliche connesse a normative settoriali (nazionali e/o regionali) Sistemi locali del lavoro (SSL): l’Istat ha suddiviso l’intero territorio nazionale in SLL-Sistemi locali del lavoro (cfr. Istat, 1997). Il carattere che consente il riconoscimento del SLL è quello di essere un’area con una concentrazione di posti di lavoro tale che i residenti possono trovare occupazione senza dover cambiare luogo di residenza. Quindi occorre verificare l’esistenza di un SSL in relazione stretta con l’esistenza di un adeguato livello di autocontenimento, espresso dalla capacità di ogni ‘sistema’ territoriale di comprendere al suo interno il massimo di interazioni tra località residenziali e produttive. L’orientamento seguito dall’Istat per individuare i SLL è basato sulla configurazione spaziale del pendolarismo per motivi di lavoro in una giornata tipica lavorativa. (SLL) D.M. 21 aprile 1993. 54 sono i SLL individuati dal D.M. per la regione Marche, il SLL nr. 427 è quello corrispondente a Jesi (comune capofila) e comprendente altri 11 comuni. SLL di Jesi (427): Belvedere Ostrense, Castelbellino, Castelplanio, Jesi, Maiolati Spontini, Mergo, Monsano, Monte Roberto, Morro d’Alba, Rosora, San Marcello, Serra San Quirico.
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Fig. 3. Sistemi Locali del Lavoro, 1991 (fonte: Regione Marche 1999)
Distretti industriali: il percorso di individuazione dei distretti industriali marchigiani è stato piuttosto difficoltoso. Dopo il decreto ministeriale del 21 aprile 1993 (Decreto Guarino) che istituzionalizza i distretti e precisa i parametri quantitativi necessari per una loro identificazione spaziale, nel marzo del 1995, abbiamo una prima mappatura basata sui dati del censimento 1981 e approvata dal consiglio regionale, con l’individuazione di 9 distretti. Tre anni dopo (del. Cons reg. 30 luglio 1998) i distretti vengono riconfigurati sulla base dei dati del censimento 1991 (sempre utilizzando i parametri nazionali del 1993) con il riconoscimento di ben 22 aree distrettuali. Una terza mappa dei distretti (del. Cons. reg. 29 luglio 1999) incrementa ulteriormente il numero dei distretti l’identificazione di 26 “aree a valenza distrettuale”. Per perimetrare le aree distrettuali in modo più coerente ai reali processi economico-territoriali la Regione Marche, ricorrendo all’autonomia derivante dalle leggi Bassanini (cfr. D.Lgs 112/99), modifica alcuni criteri del Decreto Guarino del 1993 e anticipa, in questo, la legge 140/99 che delegherà alle regioni l’intera disciplina in materia di distretti. Nel 1999, la regione ha promosso in via sperimentale, cinque progetti in altrettante aree dove sono stati insediati i COICO (acronimo di Comitati di indirizzo e coordinamento, alias Comitati di distretto;
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cfr. D.G.R. 3260/1999) composti da rappresentanti dei soggetti istituzionali (province, comuni, comunità montane) e da associazioni di categoria, imprese, organizzazioni sindacali e agenzie. I distretti non sono dunque una nuova entità politico-amministrativa, ma un tavolo permanente di coordinamento e di programmazione interprovinciali degli enti funzionali e dei portatori di interessi locali. Le cinque aree sperimentali promosse dalla Regione Marche sono: • l’area calzaturiera del Fermano-Maceratese; • l’area del mobile del Pescarese; • l’area plurisettoriale di Recanati-Osimo-Castelfidardo; • l’area agricolo-industriale di San Benedetto del Tronto; • l’area della meccanica di Fabriano-Jesi. L’insieme di questi COICO hanno già avuto l’approvazione da parte della Regione dei relativi programmi di sviluppo. Per quanto riguarda l’area distrettuale di Fabriano-Jesi essa comprende 14 comuni della provincia di Ancona (6 dei quali danneggiati dagli eventi sismici del settembre 1997 e successivi) e 2 comuni della provincia di Macerata, il COICO, utilizzando i fondi stanziati con l’Intesa Istituzionale di Programma Regione-Governo nazionale siglata dopo il sisma del 1997, ha individuato le priorità di un progetto di ottimizzazione delle economie esterne del sistema locale della meccanica lungo tre filoni di intervento: infrastrutture viarie, reti telematiche e reti energetiche. Stralcio dal “Piano delle attività produttive 2002-2005”: “Mutamenti nell’ambiente competitivo e innovazioni tecnologiche hanno fatto “cambiare faccia” anche al distretto meccanico dell’alta e media valle dell’Esino. Originato dalle produzioni di elettrodomestici e di cappe di Fabriano (le Marche producono la maggior parte delle cappe aspiranti da cucina vendute in Italia e in Europa), e di macchine per l’agricoltura e olearie di Jesi, il distretto è stato interessato da processi evolutivi intensi, che hanno determinato una diffusa specializzazione provinciale e interprovinciale nelle attività metalmeccaniche. Nella maggior parte dei comuni della provincia d’Ancona (..) sono oggi localizzati poli produttivi delle lavorazioni meccaniche, della componentistica, degli stampi, della componentistica auto, delle cappe, degli elettrodomestici, delle macchine per l’edilizia e per la movimentazione dei materiali, delle macchine per l’agricoltura, delle macchine olearie. Più recentemente, inoltre, le nuove strategie competitive di alcune imprese guida hanno determinato l’allargamento dei confini d’azione delle imprese e, quindi, dell’ampiezza dei sistemi produttivi locali di riferimento (si pensi, ad esempio, all’elettronica nel settore degli elettrodomestici, e alle applicazioni in settori diversi da quello originario delle centrifughe progettate e industrializzate per le macchine olearie). Gli stampi ad esempio - tipica produzione in cui le sempre più scarse competenze di mestiere costituiscono un’imprescindibile fonte di vantaggio competitivo - contribuiscono a produzioni non meccaniche dell’anconetano: gli articoli in plastica e i prodotti dell’illuminotecnica, gli articoli da regalo in argento. La gamma delle specializzazioni marchigiane dell’industria meccanica si è, quindi, progressivamente ampliata rispetto a quella tipica distrettuale, comparativamente con il settore. Il settore meccanico, poi, è quello che ha riscosso il maggiore successo tra gli investitori esteri, che hanno scelto frequentemente di acquisire imprese, non solo distrettuali, del settore (nove casi sui quattordici rilevati nel 1998 relativi all’acquisizione di imprese di produzioni “distrettuali”). Questa evidenza empirica, però, non ha solo connotazioni positive. Infatti, spesso nasconde l’incapacità delle imprese acquisite (a volte “eccellenti” per la qualità dei prodotti e per
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il loro posizionamento sul mercato) di affrontare la crescita.” (…) Sistemi turistici locali: la Regione Marche con la deliberazione di Giunta regionale n. 578 del 19 marzo 2002 ha fornito le indicazioni per costituire il Sistemi turistici locali introdotti dalla legge di “Riforma della legislazione nazionale del turismo” (L.135 del 29 marzo 2001). La legge nazionale definisce i Stl come “contesti turistici omogenei o integrati, comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a regioni diverse, caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale” (art. 5, c. 1). La scelta delle Marche considera i Stl uno strumento funzionale “non più solo per singole località, ma per ambiti idonei a sviluppare politiche di prodotto”, individuando quattro requisiti per la loro delimitazione: significatività turistica, presenza di un sistema rete, presenza o possibilità di sviluppo per più tipi di offerta, dimensione dell’offerta ricettiva (un numero minimo di 1500 posti letto ufficiali). Attualmente i Stl riconosciuti sono 10: tre in provincia di Pesaro-Urbino, due in provincia di Ancona, tre in provincia di Macerata e due in provincia di Ascoli Piceno. Il Piano promozionale 2003 punta sui Stl nel processo di valorizzazione delle risorse regionali. Essi infatti rappresentano organismi associativi (promossi da enti locali e soggetti privati attraverso forme concertative con le autonomie funzionali, con le associazioni di categoria che concorrono alla formazione dell’offerta turistica) che possono formulare e attivare progetti di sviluppo, in particolare per quanto riguarda gli standard dei servizi, l’innovazione tecnologica degli uffici di informazione e l’accoglienza dei turisti. Il Sistema turistico locale Misa Esino Frasassi è stato costituito nel maggio 2002 per mezzo di un protocollo di intesa siglato tra i soggetti promotori. Nel protocollo sono evidenziate le linee programmatiche di indirizzo e le modalità di funzionamento previste dalle normative nazionali e regionali. Il STL Misa Esino Frasassi ha ricevuto il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Marche e ha visto un aderire un ampio numero di soggetti di varia natura, interessati a valorizzare e rafforzare il profilo dell’offerta turistica dell’area. Oltre ai 27 comuni e alla Provincia di Ancona, gli attori attualmente aderenti al STL sono: la CCIAA di Ancona, la Comunità montana EsinoFrasassi, , Parco Gola della Rossa, Consorzio Grotte di Frasassi, A.S.T. club Fabriano, Confcooperative Ancona, CIA provinciale Ancona, Confcommercio Senigallia, Confcommercio Fabriano, Associazione Giovani Albergatori, Associazione Giovani Albergatori Senigallia, Unione Provinciale Albergatori, CNA Senigallia, ASSIB CNA, Ass. Pro-Pesca Misa, Lega Coop Marche, Confartigianato Senigallia, Confesercenti Provinciale, Consorzio Agrituristico Esino-Frasassi, Federazione Provinciale Coltivatori Diretti, Hesis srl, Country club S. Settimio-Arcevia.
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• Politiche pubbliche concertate e costruite nel territorio Sportello unico per le attività produttive (Suap): Lo Sportello Unico è lo strumento operativo attraverso il quale i Comuni esercitano le funzioni amministrative in materia di insediamenti produttivi attribuite dalle leggi Bassanini (in particolare dal D.lgs. 112/98) e relative alla realizzazione di nuovi impianti produttivi, ma anche alla ristrutturazione, all’ampliamento, alla cessazione o riattivazione, piuttosto che alla riconversione ed esecuzione di opere interne, incluso il rilascio delle concessioni o delle autorizzazioni edilizie. Attraverso lo Sportello si ha quindi un’unica struttura responsabile dell’intero procedimento ma pure dell’informazione e dell’assistenza alle imprese e all’utenza in genere (per quanto riguarda la documentazione necessaria all’attivazione di un determinato procedimento); contribuendo inoltre alla creazione di un archivio informatico di tutte le procedure di autorizzazione in corso consultabile nelle diverse fasi del processo. Nel contesto jesino la costruzione dello Sportello Unico per le attività produttive ha visto i diversi comuni scegliere la gestione associata (secondo il modello associato-decentrato) con il comune di Jesi come ente capofila. Ognuno dei 20 Comuni associati dispone di un proprio Ufficio “Sportello Unico per le Attività Produttive”. L’ufficio del Comune di Jesi funge da sportello comprensoriale. Ogni imprenditore o potenziale imprenditore potrà rivolgersi indistintamente ad ogni singolo Sportello comunale o allo Sportello Comprensoriale per avere tutte le informazioni relative al procedimento unico. La gestione del procedimento unico è esercitata, con uniformità di procedure all’interno dei comuni aderenti all’Associazione. Il procedimento unico per interventi relativi ad insediamenti produttivi può essere intrapreso attraverso la procedura “semplificata” o la procedura “mediante autocertificazione”. In ambedue i casi il procedimento verrà attivato con la presentazione della domanda da parte dell’interessato allo SUAP che, verificate preliminarmente le condizioni di ricevibilità e la completezza della documentazione, darà avvio al procedimento non oltre 5 giorni lavorativi dalla presentazione della domanda. Lo SUAP rappresenta quindi una decisiva sperimentazione di riforma e di riorganizzazione delle pubblica amministrazione locale con importanti effetti di collaborazione territoriale e di ricerca di più elevati livelli di efficienza ed efficacia operativa tra gli uffici dei diversi comuni. Inoltre, la gestione in forma associata dello Sportello può costituire l’occasione per avanzare una politica di sviluppo integrato del tessuto produttivo anche attraverso mirate azioni di promozione del territorio. Questo aspetto richiede uno sforzo inusuale e per molti versi nuovo rispetto ai comportamenti tradizionali della pubblica amministrazione, ma come appare evidente sembra essere l’orizzonte più interessante per un’evoluzione auspicabile nell’azione dello Sportello. Patto territoriale: il “patto territoriale delle valli”, così denominato in relazione al territorio di riferimento che coinvolge i fiumi Aspio, Esino, Misa, Musone, Nevola e Cesano ha rappresentato un momento importante di concertazione progettuale tra attori pubblici e privati, istituzionali e sociali a partire dall’azione dell’amministrazione provinciale di Ancona. Tale strumento fa parte della stagione dei patti ‘generalisti’, inizialmente sostenuta dal Cnel e - successivamente -dall’azione continua del Dipartimento Politiche di Sviluppo del Ministero del Tesoro in relazione alla programmazione del CIPE (con un sostegno finanziario, qualora il patto fosse stato approvato, di 100 Mld di vecchie lire destinate per il 70% ad attività produttive e per
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il restante 30% ad infrastrutture). La promozione di patti territoriali come strumento di promozione concertata dello sviluppo locale è stata auspicata nel Programma regionale di sviluppo 2000 che individua questi strumenti della programmazione negoziata per valorizzare le risorse endogene presenti nel territorio. I diversi soggetti pubblici e privati sottoscrittori del patto (tra i quali 29 comuni della provincia, varie associazioni sindacali e di categoria, alcune banche, la CCIAA di Ancona, la società Interporto Marche Spa) si sono avvalsi del Consorzio Zipa come struttura di supporto operativo e di segreteria del patto. Il documento sottoscritto da numerosi soggetti e le analisi condotte a supporto della concertazione hanno consentito di precisare obiettivi di sviluppo comuni e integrati per le diverse aree coinvolte dal patto: la zona Ancona Falconara, l’area dello jesino, l’area delle valli dei fiumi Aspio e Musone, quella di Senigallia e delle valli del Misa e del Cesano. Le principali linee di indirizzo del patto mirano ad un riequilibrio complessivo del territorio e ad un potenziamento di tutto il tessuto imprenditoriale. Tra gli obiettivi messi a fuoco: la messa in rete di aree industriali attrezzate; miglioramenti nel sistema delle infrastrutture viarie e dei trasporti anche attraverso una più elevata integrazione tra porto, aeroporto e interporto; una particolare attenzione allo sviluppo delle risorse umane e all’incontro tra domanda e offerta di lavoro; uno sviluppo dei servizi avanzati anche a supporto dell’internazionalizzazi one delle imprese e dei servizi alla persona; lo sviluppo del comparto agro industriale. Benché il patto non sia stato approvato a livello nazionale e quindi non abbia ricevuto i finanziamenti previsti dal CIPE, è importante sottolineare sia l’importanza di una concertazione orientata ad una progettualità d’area che può comunque rappresentare un punto di riferimento per l’azione, anche singola, dei diversi attori; sia la vicinanza di contenuti tra alcuni tra i principali obiettivi del patto e quelli avanzati nel Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Ancona. Patto territoriale dell’agricoltura di qualità: Con la stipula dei documenti preliminari di concertazione dei patti ‘generalisti’ (Patto territoriale dell’Appennino Marchigiano e Patto Territoriale per le Valli Aspio, Esino, Misa, Musone, Nevola e Cesano) si sono individuati obiettivi di sviluppo territoriale rispettivamente nei comuni ex Obiettivo 5b e nei comuni Obiettivo 2 e fuori Obiettivo. Tali Obiettivi mirano al riequilibrio territoriale tra aree deboli ed aree forti, ad intervenire a favore dell’occupazione, a valorizzare le potenzialità endogene del territorio. In relazione ai nuovi orientamenti del Cipe – Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (del. 15/03/2000) che ha ritenuto prioritario il fiannziamneto dei Patti territoriali in materia di agricoltura e pesca (fissando il termine di presentazione dei Patti medesimi nel 15/05/2000), l’amministrazione provinciale di Ancona ha ritenuto opportuno individuare, nell’ambito della concertazione avviata nei due Patti richiamati, specifiche linee operative di sviluppo locale riguardanti i temi dell’agricoltura, della zootecnia, dell’agriturismo e dell’agroindustria. Attraverso l’individuazione di elementi endogeni che caratterizzano lo sviluppo del territorio anconetano, il Patto tematico punta sulla valorizzazione economica e ambientale delle attività locali quali le produzioni tipiche e l’allevamento, mirando ad elevare le possibili sinergie tra il settore agricolo e le attività turistiche e di valorizzazione del patrimonio forestale. In particolare, con il patto Territoriale Tematico per l’Agricoltura di Qualità della Provincia di Ancona, si incentivano e sostengono gli
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interventi che: • valorizzino l’innovazione dei processi produttivi e gestionali delle imprese, favorendo l’integrazione tra le produzioni agricole, nonché i processi di lavorazione, trasformazione e commercializzazione, in un’ottica di miglioramento e sviluppo continuo; • valorizzino le risorse materiali e immateriali esistenti nel territorio del patto per lo sviluppo economico locale, con particolare riferimento alle infrastrutture e ai servizi necessari alla produzione e commercializzazione dei prodotti; • mirino alla creazione e allo sviluppo anche di nuove attività produttive finalizzate alla valorizzazione e trasformazione delle produzioni tipiche locali a riconoscimento DOP, IGP, DOC, IGT e di altri prodotti tipici locali, attraverso interventi di innovazione tecnologica, con particolare riferimento ai prodotti dell’agricoltura; • sviluppino integrazione tra diversi settori produttivi, attraverso la definizione di programmi integrati di sviluppo economico allo scopo di valorizzare le produzioni tipiche locali e la promozione di prodotti agro-alimentari di qualità e l’agriturismo; • contribuiscano alla tutela dell’ambiente ed alla conservazione e alla valorizzazione delle risorse naturali del territorio; • valorizzino e sviluppino le capacità di associazione imprenditoriale e di relazione con soggetti pubblici locali. Con delibera di giunta Provinciale nr. 30 del 16/03/2000 è stato emanato il bando per la selezione dei progetti di investimento relativi ad iniziative imprenditoriali con scadenza 10/04/2000. In data 10/04/2000 è stato altresì sottoposto all’Assemblea dei Promotori ed approvato il Documento di concertazione definitivo. Il Patto Agricoltura di Qualità, superata la fase istruttoria, è stato presentato al Ministero del Tesoro, Bilancio e Programmazione Economica ed è stato approvato, con decreto n. 2459 dell’11/04/2001 per l’importo complessivo di £ 19.029.930.000. Il medesimo decreto ha disposto di finanziare gli oneri derivanti dalle sole iniziative produttive per £ 13.029.930.000, rinviando il finanziamento relativo agli interventi infrastrutturali per £ 6.000.000.000 ad eventuali ulteriori risorse messe a disposizione della finanza di patto dalla Regione Marche e/o dagli organismii pubblici incaricati dell’attuazione degli interventi stessi. Il 31 maggio 2001 ha avuto luogo, presso l’hotel Federico II di Jesi, la stipula formale del Patto Territoriale Tematico Agricoltura di Qualità da parte di tutti i soggetti coinvolti; la sottoscrizione vincola i diversi soggetti al rispetto degli specifici impegni e degli obblighi assunti per la realizzazione degli interventi di rispettiva competenza ed è condizione indispensabile per l’erogazione dei finanziamenti. Nella stessa giornata è stato attivato uno sportello tecnico-informativo per le imprese i cui progetti sono stati ammessi al finanziamento. Sebbene tra i promotori del Patto vi siano tutti i 49 comuni della Provincia di Ancona, la localizzazione degli interventi ammessi a valere sulla finanza del Patto Tematico è riferita ai territori dei comuni di: Agugliano, Ancona, Arcevia, Belvedere Ostrense, Camerino, Castefidardo, Castelplanio, Chiaravalle, Fabriano, Maiolati Spontini, Monte San Vito, Morro d’Alba, Numana, Offagna, Osimo, Ostra Vetere, Poggio San Marcello, Polverii, San Marcello, San Paolo di Jesi, Santa Maria Nuova, Sassoferrato, Senigallia, Serra San Quirico, Staffolo. Sono stati ammessi a partecipare le imprese agricole, gli imprenditori a titolo principale anche in forma di società di persona o di capitale, le cooperative di produttori agricoli, le imprese manifatturiere operati nell’ambito della filiera agroalimentare, le imprese operanti nel settore e le imprese agrituristiche che hanno inteso presentare la richiesta
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di agevolazione per usufruire dei contributi, sia per la realizzazione di nuovi insediamenti, sia per la ristrutturazione, ampliamento, ammodernamento, riconversione, riattivazione e tarsferiemento di aziende esistenti aventi la finalità di incrementare l’occupazione e la redditività con una propria unità produttiva localizzata all’interno del territorio del Patto. Prusst dell’area urbana di Ancona: il Programma di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio (strumento definito dal D.M. 8 ottobre 1998) si configura come strumento di programmazione delle scelte di pianificazione territoriale e delle politiche di finanziamento su un’area urbana sovracomunale, nella quale si tratta di coniugare le esigenze dei nodi infrastrutturali e produttivi con quelle di gestione e rafforzamento di risorse paesistico-ambientali fondamentali per la valorizzazione del modello turistico locale. I PRUSST, infatti, possono riguardare ambiti territoriali provinciali, intercomunali e comunali, individuati sulla base di caratteristiche fisiche, morfologiche, culturali e produttive e che si propongono di favorire sia la realizzazione, l’adeguamento ed il completamento di attrezzature a rete o puntuali, in grado di promuovere e di orientare occasioni di sviluppo sostenibile, avendo riguardo dei valori di tutela paesistico-ambientale; sia la realizzazione di un sistema integrato di attività finalizzate all’ampliamento e alla realizzazione di insediamenti industriali, commerciali e artigianali, alla promozione turistico ricettiva e alla riqualificazione di aree urbane degradate. Il bando di gara per la selezione dei PRUSST ha come premio un finanziamento per la progettazione degli interventi pubblici, ma l’importanza del PRUSST sta nel poter accedere ai finanziamenti comunitari che potranno provenire dal Quadro Comunitario di Sostegno QCS 2000-2006. É infatti attraverso questo iter che sarà possibile ottenere finanziamenti comunitari necessari per la realizzazione degli interventi. A seguito della emanazione del D.M. 8 ottobre 1998 “promozione di programmi innovativi in ambito urbano denominati Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio” (PRUSST) e del relativo bando, la Provincia come primo atto ha redatto un “Documento di indirizzo per la redazione del PRUSST – AREA URBANA DI ANCONA”, presentato ai Comuni interessati. I Comuni del territorio oggetto del PRUSST sono: Ancona, Agugliano, Camerano, Camerata Picena, Castelfidardo, Chiaravalle, Falconara M., Jesi, Loreto, Montemarciano, Numana, Offagna, Osimo, Polverigi, Sirolo e cioè il territorio costiero e della prima fascia collinare tra i bacini dell’Esino e del Musone. Dalla data della delibera provinciale sono iniziate una serie di consultazioni non solo con i comuni ma con tutti i soggetti operanti sul territorio, ed in particolare: l’Autorità portuale di Ancona, l’Enel, la società Aereoporto di Falconara, la Società Interporto, il Consorzio ZIPA, la Società Autostrade, l’Anas, la Società Api di Falconara, le FF.SS Spa, vari uffici della Regione Marche, l’Ams di Ancona e il Consorzio Cigad. É questo allargamento di campo che ha permesso di proporre un PRUSST su un’area che si identifica come città diffusa, nel senso che in questo ambito territoriale, seppure in uno spazio dilatato, si ripresentano gli stessi rapporti e problematiche, tra urbanizzazione ed ambiente, esistenti nelle città metropolitane. Il PRUSST della Provincia di Ancona diviene quindi strumento di programmazione delle scelte di pianificazione territoriale e delle politiche di finanziamento su un’area urbana sovracomunale ove i nodi infrastrutturali e produttivi necessitano di una rete strutturale efficiente, idonea a promuovere lo sviluppo ed ove le consistenti risorse paesistico-ambientali
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vengano adeguatamente valorizzate ai fini turistico ricettivi. Il sistema infrastrutturale dovrà formare una rete viabilistica gerarchizzata, funzionale al trasporto internazionale, nazionale e locale attraverso la realizzazione del raddoppio della SS 16 necessario a soddisfare i flussi di traffico interurbani, il completamento dell’asse attrezzato di Ancona per dare fluidità al trasporto da e verso il porto di Ancona, alcune opere puntuali ma strategiche all’interno del porto di Ancona, un collegamento efficiente tra le zone industriali di Jesi e la grande viabilità (asse Sud), così pure la realizzazione di un raccordo efficiente tra le previste nuove aree produttive dell’Aspio SS 16, nonché la riqualificazione ed adeguamento della strada della Val Musone con funzione di alleggerimento del traffico sulle dorsali che corrono lungo i crinali ed i centri collinari. La Provincia con gli obiettivi di programma che si è data ha puntato allo sviluppo del sistema produttivo ed è in questo settore che ha ricercato gli investimenti privati. e lo ha fatto contando sulla capacità di investimento del “Consorzio Zone Imprenditoriali Provincia di Ancona” - ZIPA che ha già accumulato una serie di esperienze positive ed oggi ha acquisito sufficiente competenza e rappresentatività per fungere da soggetto tecnico/attuatore alla realizzazione di insediamenti produttivi su tutta l’area interessata dal PRUSST e cioè l’area urbana di Ancona. É da tenere presente che la ZIPA agisce essenzialmente con finanziamenti propri che derivano preminentemente dalla sua capacità di marketing nell’individuare le aree produttive e dalla sua capacità gestionale degli interventi. Il 18 marzo del corrente anno, presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, è stato firmato l’Accordo Quadro del Programma di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio (PRUSST) promosso dal Comune di Ancona, un programma innovativo nel settore della Pianificazione Urbanistica Strategica. Il piano di azione coinvolge l’intero tessuto della città che gravita attorno al porto. Partendo dall’area portuale il PRUSST denominato “Città, Porto e Territorio” individua ambiti unitari di intervento, omogenei per tipologie e funzioni, all’interno dei quali sono localizzati gli interventi sia pubblici che privati. Si agisce sul sistema urbano sia attraverso interventi infrastrutturali che di tipo produttivo, la cui concentrazione in ambiti unitari rende possibile un efficace controllo del sistema degli interventi. Ai fini della definizione degli obiettivi e delle strategie del programma, mirati alla riqualificazione ed allo sviluppo sostenibile della città di Ancona, è stata decisiva la collaborazione con i vari soggetti coinvolti, tra cui gli Enti territoriali sovraordinati. In particolare con la Regione Marche si è provveduto a verificare la coerenza degli interventi con gli obiettivi della programmazione regionale. Il territorio oggetto del Prusst è costituito dai comuni di Ancona, Agugliano, Camerano, Camerata Picena, Castelfidardo, Chiaravalle, Falconara Marittima, Jesi, Loreto, Montemarciano, Numana, Offagna, Osimo, Polverigi e Sirolo. L’area considerata viene identificata come ‘città diffusa’, in grado quindi di mostrare in termini territoriali estesi e dilatati problemi e temi di politiche simili a quelli presenti in configurazioni urbane compatte.
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3.3 Immagini influenti e posizionamenti geostrategici
In questa sezione del Dossier ci proponiamo di recuperare e discutere alcune immagini territoriali rilevanti per Jesi e per il suo posizionamento politico-territoriale. Tale operazione viene condotta ponendo particolare attenzione, da un lato, ai principali studi condotti sulla realtà locale e regionale nel corso del secondo dopoguerra e sulle immagini territoriali impiegate per interpretare lo sviluppo marchigiano; dall’altro lato, considerando i principali programmi e piani territoriali che – in anni recenti – hanno reinterpretato il contesto locale e regionale introducendo nuove configurazioni e nuove immagini territoriali del cambiamento. Laddove possibile, si è tentato di evidenziare gli effetti di alcune immagini macro territoriali sullo specifico contesto urbano e territoriale di Jesi. Immagini e configurazioni territoriali emersi da studi e ricerche In una recente ricerca nazionale relativa alle forme del territorio italiano denominata Itaten (cfr. Clementi, Dematteis, Palermo a cura di, 1996), il contributo relativo alla Marche ha selezionato in modo efficace alcune fasi e alcune immagini dello sviluppo regionale del secondo dopoguerra (cfr. Pavia, 1996) per provare ad avanzare, in ultimo, nuove immagini del mutamento sociale e territoriale che ha investito il contesto marchigiano in tempi più recenti. Reinterpretando con un certa libertà l’articolazione proposta nella ricerca Itaten, possiamo porre in evidenzia le seguenti fasi: Anni cinquanta: una regione agricola prima del decollo industriale. Con riferimento allo studio Il volto agricolo delle Marche (Ciaffi, 1951) che presenta la specificità del rapporto città-campagna marchigiano e individua ciò che oggi chiameremmo la campagna urbanizzata come tratto originario e duraturo del contesto. Tale immagine agricola rimarrà un tratto costitutivo del profilo regionale sia in relazione all’evoluzione insediativa e del paesaggio, sia con riferimento alle radici sociali dell’industrializzazione marchigiana. Anni cinquanta-sessanta: una regione che presenta fattori di squilibrio il cui tentativo di soluzione informerà tutte le prime esperienze programmatorie e pianificatorie d’area vasta. Sono infatti gli anni nei quali una forte cultura urbana/metropolitana pervade l’ideologia della modernizzazione italiana e tale prospettiva influirà ampiamente no solo sulle politiche di riequilibrio territoriale, ma anche sull’affermarsi del tema della città regione, sull’esperienza dei primi piani di coordinamento territoriale e dei Comitati regionali per la programmazione economica e – a livello nazionale – nell’elaborazione del Progetto ’80. E’ in questa fase che emerge l’immagine del pettine per descrivere la struttura insediativa regionale, il cui dorso è rappresentati dalla direttrice adriatica, mentre i denti sono rappresentati dalle brevi penetrazioni vallive. Questa configurazione ‘a pettine’ manterrà una sua indubbia forza fino ai giorni nostri. Anni settanta-ottanta: una regione che assume consapevolezza dei tratti peculiari della modernizzazione economica e civile intrapresa nel dopoguerra. L’immagine di un’industrializzazione senza fratture che diventerà il titolo di una nota raccolta di saggi curata da G. Fuà e C. Zacchia (Fuà, Zacchia, a cura di, 1983), esprime sinteticamente questo processo di modernizzazione tipico delle regioni del cosiddetto NEC (Nord-Est e Centrali) nelle quali l’industrializzazione, prevalentemente distrettuale, avanzerà appunto “senza fratture” profonde e laceranti del tessuto sociale ed economico preesistente e in modo largamente
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spontaneo. Tali processi sociali segneranno profondamente il territorio marchigiano, avendo per lungo tempo traiettorie di crescita in gran parte non accompagnate da politiche infrastrutturali. Non mancheranno letture critiche di questi processi come nel caso dei lavori di Massimo Paci che avanza l’interpretazione di una modernizzazione dimezzata (Paci, 1971, 1983). Anni otttanta: all’immagine dell’industrializzazione diffusa e distrettuale “senza fratture” si sovrappone l’immagine di una ristrutturazione economica e territoriale che investe anche l’area marchigiana. Produzione flessibile, ciclo di vita dei distretti e distretti multilocalizzati saranno i temi sviluppati in diversi studi, a partire da quelli di Valeriano Balloni (Balloni, 1995) e dai principali centri di ricerca (ad esempio l’ISTAO). Anni novanta: emergono nuove immagini sull’assetto territoriale alle diverse scale e sulle forme contemporanee dell’urbanizzazione. La ricerca Itaten mette a fuoco gli ambienti insediativi locali (la contiguità degli ambienti insediativi delle aree interne, la dinamica di alcuni sistemi infraregionali) e precisa ulteriormente alcune figure della città diffusa marchigiana che erano emerse negli anni precedenti (cfr. Pavia, 1995 e 1996). Ma anche alcune politiche europee contribuiscono a ridisegnare le identità delle regioni adriatiche e a concettualizzare lo stesso Adriatico come macroregione transfrontaliera (l’orientamento ad est). Immagini territoriali strategiche in alcuni documenti di piano Nella seconda metà degli anni ottanta Bernardo Secchi lavorando al piano regolatore di Jesi affermava che “è proprio lungo la valle dell’Esino (..) che si ha la direttrice trasversale più rilevante a scala regionale, costituita dalle infrastrutture di collegamento tra Roma e Ancona” (Prg, Relazione Generale, p. 67). E tale affermazione vale sia per la posizione significativa di Jesi in relazione alla mobilità delle merci e delle persone, sia alla particolare posizione della città, partecipe di diversi ambiti insediativi. In riferimento agli Ambiti territoriali omogenei individuati dalla Provincia all’interno della costruzione del Ptcp, Jesi è caratterizzata da diverse situazioni: la media (C) e la bassa collina (B), sia a nord che a sud del territorio comunale, e la pianura alluvionale (V) nella parte centrale del suo territorio.
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Fig. 11. Ambiti Territoriali Omogenei – Ptcp (fonte: Provincia di Ancona, 2002)
In riferimento alle condizioni socio economiche dell’urbanizzazione, il Ptcp della Provincia di Ancona sottolinea l’emergere di una “certa differenziazione territoriale, anche se non drammatica, come risulta invece in altre zone della regione: il fatto di localizzare il principale ‘motore’ dello sviluppo socio-economico in una sorte di ‘triangolo immaginario’ formato dai principali comuni costieri (Ancona e Senigallia) e da Jesi, nella prima fascia collinare e, nel contempo, di poter annoverare nella fascia montana un notevole centro industriale come Fabriano, ha determinato una certa ‘diffusione’ di sviluppo. Tale sviluppo diffuso ha frenato i processi di spopolamento nelle zone più svantaggiate ed ha disseminato sull’intero territorio provinciale un ‘continuum’ di insediamenti artigiani e di piccole imprese che costituiscono lo scenario da affrontare con strumenti di governo del territorio innovativi, se si intende impedire un ulteriore deterioramento delle condizioni ambientali complessive e promuovere condizioni di vita migliori” (Ptcp, par. 2.4.2).
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Il Piano d’Inquadramento Territoriale della Regione Marche sembra far tesoro della ricchezza di riflessioni e di immagini territoriali emerse nel corso degli ultimi decenni per interpretare la realtà marchigiana e le diverse situazioni locali. La tavola che alleghiamo, insieme a quella riferita al Progetto Ancona Nord del Ptcp, tenta di restituire sinteticamente il profilo di un PIT che assume il mutamento delle immagini e delle rappresentazioni territoriali come perno di un rinnovato governo regionale dei processi territoriali.
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Immagini territoriali più recenti e temi di governance In questa sezione ci sembra utile riportare alcune immagini emerse in anni recenti che in qualche modo entrano in tensione, o per lo meno tendono a ridefinire, immagini più consolidate, come ad esempio l’ormai classica figura della dorsale adriatica o del ‘pettine’. Come si noterà sono immagini emergenti da attori e processi non unitari, talvolta patrimonio e d espressione di singoli testimoni o di singoli attori/investitori territoriali. Le appuntiamo in modo sintetico, come promemoria esemplificativo. Oltre la dorsale, spunti per uno sviluppo multiregionale est-ovest In un articolo del 1988 Giuseppe De Rita avanza una prospettiva di sviluppo multiregionale umbro-marchigiano che tenta di rispondere al tendenziale indebolimento del modello di crescita territoriale diffusa degli anni settanta/ottanta e di porvi rimedio su diversi fronti (culturale, di riproduzione dell’imprenditorialità, organizzativo, finanziario e infrastrutturale). Fare sistema territoriale unitario è l’orizzonte di fondo del ragionamento che non penda ad un processo di sommatoria di due localismi, quanto di vera e propria integrazione progettuale, di “sommatoria delle aperture delle due regioni verso l’esterno” (De Rita, 1988, p. 89), e di un’evoluzione di quel tratto tipico della loro armatura urbana, il policentrismo, verso un’organizzazione “a rete”. Un’organizzazione, quest’ultima, che consentirebbe di “legare le cento città entro una trama di relazioni più strette; moltiplicare flussi di interscambio in termini di servizi, di informazione; attuare una ricerca sistematica di rapporti di complementarietà tra le città sulla base di una crescente specializzazione delle funzione produttive e terziarie” (p. 90). Gli schemi che qui riportiamo sono presi proprio dal saggio di de Rita e indicano alcune possibili direttrici d’azione in relazione al tema della mobilità trans-appeninica (che richiama, in un certo senso, il tema avanzato di recente dal progetto Quadrilatero) e a quello dei servizi avanzati alla produzione. Fig. 14. Immagini dello sviluppo regionale (fonte: De Rita, 1988)
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In anni più recenti, le intuizioni di De Rita sembrano informare fertilmente altre ipotesi e approfondimenti sulla realtà dell’Italia Centrale e sulle élites territoriali in essa radicate. Ci riferiamo, ad esempio, al I° Colloquio di Assisi del gennaio 2001 all’interno del Progetto Nemetria, sostenuto da alcune tra le principali fondazioni bancarie delle regioni centro italiche (cfr. Nemetria, 2001). Sul versante degli operatori/investitori segnaliamo, per rimanere sul terreno dei servizi avanzati alla produzione citati da De Rita, il recente progetto di “valorizzazione del radicamento territoriale” avanzato da Unicredito Italiano all’indomani della nascita delle tre banche di segmento a seguito della precedente fusione delle sette banche federate (Credito Italiano, Rolo 1473, Cariverona, CRT, Caritro, Cassamarca, Crtrieste). Tale processo ha dato vita a dei comitati locali che hanno sviluppato indagini territoriali di un certo rilievo per prospettare il futuro radicamento della presenza e dell’ofefrta di unicredit. In particolare, si veda l’analisi del Censis relativa a “La Città Adriatica: dal ponte alla piattaforma” (cfr. www.uniterritori.vivacity.it). Non abbiamo qui spazio per considerare nel merito il progetto, ma lo segnaliamo perché indicativo delle nuove strategie di territorializzazione degli attori e degli investitori economici non solo tradizionali.
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Cooperazione transfrontaliera adriatica Interreg IIIA Il tema dei vecchi e nuovi confini continentali anche in relazione al futuro allargamento dell’Unione Europea e al quadro dinamico dei rapporti tra Bruxelles e i diversi paesi dell’Europa Orientale e del bacino del Mediterraneo si è imposto con particolare evidenza all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi locali e nazionali. Tra le politiche a scala continentale e macroregionale cresciute anche grazie all’impulso dell’Unione Europea va segnalata la cooperazione delle regioni adriatiche nella prospettiva del programma transfrontaliero Interreg III A che riguarda le regioni adriatiche italiane (oltre le Marche, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Abruzzo, Molise e Puglia) e i paesi della sponda adriatica orientale (Croazia, Bosnia-Erzegovina, federazione ex Jugoslavia ed Albania). Tale programma operativo Interreg III Transfrontaliero Italia - Paesi Adriatico Orientali viene cofinanziato dall’Unione Europea per il 50% (il restante 35% è la quota statale e il 15% quella regionale) e raggiunge uno stanziamento complessivo di 101,017 Meuro. Dal punto di vista degli obiettivi, il programma riguarda quattro assi prioritari (a loro volta suddivisi in diverse misure): 1) la tutela e la valorizzazione ambientale, culturale e infrastrutturale del territorio transfrontaliero; 2) l’integrazione economica dei sistemi produttivi transfrontalieri; 3) le azioni mirate al rafforzamento della cooperazione a partire dal rafforzamento istituzionale e della sicurezza e promozione sociale; 4) le attività di assistenza tecnica per le diffusione e implementazione del programma, oltre che per le attività di valutazione e monitoraggio. Obiettivo generale del programma Interreg III A è quello di contribuire alla formazione di un’euroregione adriatica. Non si tratta di mobilitare consistenti risorse finanziarie aggiuntive, ma di indirizzare i cofinanziamenti comunitari e nazionali 2000-2006 verso un programma ad hoc per aree e filiere tematiche concordate tra le due sponde adriatiche, sperimentando in questo modo una cooperazione di bacino: lo spazio adriatico si sta già tramutando da frontiera dell’Unione Europea in vero e proprio mare europeo.
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3.4 Relazioni territoriali e implicazioni per lo sviluppo locale
In quest’ultima sezione ci proponiamo di mettere a fuoco questioni che hanno, o possono avere, una rilevanza strategica per Jesi e per il suo territorio. È, infatti ormai comunemente riconosciuta la possibilità, ma anche la necessità, per ogni territorio di dotarsi di una strategia di sviluppo locale in grado di interpretare al meglio alcune vocazioni storiche e di valorizzare le diverse risorse presenti nel contesto (risorse non solo economico-produttive, ma culturali e sociali in senso ampio). Questa dimensione locale, nel senso proprio della massima valorizzazione della dimensione endogena, quindi radicata nel contesto materiale e sociale di una specifica società insediata, non è però da intendersi in termini ideologici e quindi alternativi ad una dimensione relazionale ampia. Anzi, sono proprio le risorse endogene alla base dei processi di sviluppo che ci indicano quanto, nella specifica conformazione dei diversi capitali a disposizione di una società locale (dal capitale fisico-territoriale, al capitale sociale e culturale), abbiano pesato e pesino le variabili esogene. Infatti, il processo storico di adattamento e rafforzamento di alcuni tratti a scapito di altri, mostra una combinazione continua di risorse endogene ed esogene che formano i fattori (materiali e culturali) caratterizzanti il profilo di una certa società locale nello spazio e che possono essere giocati, più o meno consapevolmente, nel modellare lo sviluppo di una città e di un territorio. Solo in questa chiave interpretativa sembra possibile porre il problema di una traiettoria locale di crescita e di un modello riconoscibile per lo sviluppo di Jesi e della Vallesina. Assumendo che vicende locali e territoriali implicano sempre il riconoscimento di dinamiche di segno diverso, talora del tutto esterne al controllo del sistema locale, ma che da esso possono essere percepite e comprese e - in una certa misura - governate. Questa consapevolezza ispira valutazioni e prese di posizione del tipo di quelle avanzate in relazione ad una tipica azione sovralocale (di portata territoriale difficilmente controllabile da un singolo comune del peso di Jesi) come nel caso della recente decisione di localizzare un nuovo interporto su aree situate nella parte orientale del comune di Jesi. Nell’ordine del giorno votato in consiglio comunale si accenna al problema di come la localizzazione scelta occupi “un’importante area agricola che interrompe la diffusione e continuità dell’insediamento, consentendo di distinguere l’aggregato jesino da quello costiero e contribuendo a formare un’immagine di Jesi come città della cultura, della gastronomia, del tempo libero… immagine sulla quale si sono recentemente costruite molte iniziative cittadine” (Consiglio comunale, 2003, ottobre). In questa presa di posizione sono contenuti ed espressi in modo chiaro alcuni elementi del discorso al quale abbiamo accennato, legando in modo emblematico dimensione insediativa e profilo economico e culturale di Jesi. Senza che il discorso venga ulteriormente esplicitato, risulta evidente che siamo al cuore dei temi ai quali abbiamo accennato in riferimento al modello locale di sviluppo e alla combinazione tra fattori endogeni ed esogeni che abbiamo sinteticamente richiamato. Nel caso specifico, una politica largamente esogena al contesto locale può essere percepita e considerata da Jesi sia come un rischio, ma anche come un’opportunità per definire una propria linea di azione e di proposta territoriale. In questa sezione conclusiva del dossier ci proponiamo di considerare alcune relazioni territoriali di Jesi nell’ottica dello sviluppo locale. Il tentativo è quello, da un lato, di documentare la partecipazione più o meno attiva di Jesi a diversi reticoli decisionali che descrivono molte
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delle politiche pubbliche alle quali abbiamo accennato nel corso di queste pagine; dall’altro lato, di mettere a fuoco e valutare le molteplici risorse ‘in azione’ a Jesi, espressione composita della società locale e dei suoi operatori sociali, culturali ed economici e indicative del rango complessivo della città. Nelle ultime pagine, evidenzieremo il profilo di Jesi proprio a partire dalla presenza attiva di molte ‘funzioni urbane’ e di molteplici reti d’azione alle diverse scale (dalle reti di prossimità interne alla città, a quelle lunghe che metono in relazione Jesi con il mondo). Jesi nel reticolo decisionale delle politiche pubbliche territoriali Jesi è già oggi implicata e coinvolta in molte reti decisionali e progettuali che descrivono contesti territoriali variabili, di volta in volta rimodellati a partire dagli attori coinvolti e dai confini emergenti dalle diverse politiche (come già discusso nella precedente sezione del dossier). Le relazioni che Jesi intrattiene con altri attori sono assai significative. Sia le relazioni già in essere, magari non del tutto percepite dal decisore pubblico e leggibili nel dispiegarsi effettivo delle relazioni decisionali che descrivono le diverse politiche, sia quelle ancora in nuce e suscettibili di modificazioni e maturazioni nei prossimi mesi. Ripercorrendo il repertorio di politiche accennate nelle precedenti pagine vale la pena osservare da vicino tali reticoli relazionali perché essi mostrano quanto ogni città possa relazionarsi ad altre e insieme rapportarsi a livelli politico-decisionali sovralocali, componendo interessi, attori e risorse in modo finalizzato e confermando quanto “oggi la città si trovi a operare contemporaneamente non solo su molti aspetti (economici, sociali, culturali, ecc.) ma anche su più livelli spaziali. Insomma la città attuale è ‘una e molte’: è attiva a varie scale, che vanno da quella planetaria a quella della vita quotidiana di ciascun soggetto” (Davico, Mela: 2002, p. 89). É possibile mostrare l’articolazione degli attori distribuendoli lungo degli assi cartesiani che ordinano la loro presenza secondo la natura degli attori (attori socio-economici e attori istituzionali) e secondo la loro collocazione lungo un’ipotetica linea che assuma il loro carattere locale/globale .
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Tab. 3. Il reticolo degli attori della governance territoriale
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Oltre la fotografia delle politiche e dei reticoli decisionali esistenti, l’aspetto più interessante di una riflessione attorno all’azione di Jesi nella fase attuale è quello di valutare e discutere il suo livello di attivismo e di protagonismo territoriale. La matrice che segue prova infatti a catturare la presenza jesina nelle diverse politiche, in modo che una loro sintetica rappresentazione permetta di cogliere il livello di coinvolgimento di Jesi e degli altri comuni al processo programmatorio, progettuale e successivamente gestionale delle differenti politiche. La scheda mostra semplicemente una rappresentazione sinottica della partecipazione dei comuni alle diverse politiche territoriali che coinvolgono Jesi in reticoli territoriali più o meno ampi. L’indice di frequenza collocato nella colonna di destra è un indicatore sintetico dell’attivismo di ogni singolo comune in relazione alle politiche considerate, oltre ad indicare un potenziale di cooperazione con Jesi che non va sottovalutato (per lo meno per ciò che riguarda una certa consuetudine al coordinamento e all’azione congiunta).
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Rango della città: funzioni urbane, reticolo urbano marchigiano e reti lunghe Il tema del ‘rango’ di una città in relazione alle funzioni che la caratterizzano è per certi versi tradizionale della geografia urbana (intesa sia come geografia della città, sia come geografia delle città) che merita qui di essere affrontato in termini operativi. Siamo consapevoli, infatti, dei limiti di un approccio di tipo modellistico e ‘funzionalista’ ai temi della “città competitiva” e del suo sviluppo, e quindi il ricorso a chiavi di lettura di questo tipo verrà svolto proprio a partire da un impiego critico e sorvegliato di tali modelli, alludendo al loro impiego nell’intento di misurarsi con il salto di scala territoriale della città di Jesi: centro urbano di quasi 40.000 abitanti, ‘capoluogo’ della Vallesina e città significativa nel sistema urbano marchigiano. Un’ampia letteratura geografica e urbanistica si è cimentata nella precisazione delle diverse attività che caratterizzano la dimensione urbana e nella conseguente precisazione del loro rango e/o della loro portata. Ai fini del ragionamento che vogliamo condurre sulla città di Jesi è sufficiente articolare i vari livelli territoriali in riferimento ad una loro identificazione qualitativa (gli ambiti riportati nella tabella) senza alcuna specificazione degli ordini di grandezza. Tab. 4. Funzioni urbane: portata e raggio d’azione
Una volta delineati i livelli e gli ambiti territoriali che mobiliteremo per la messa a fuoco delle dimensioni e dei rapporti territoriali della città di Jesi, è forse opportuno avanzare qualche ulteriore commento, sebbene in modo schematico. • Lo spettro di attività che consideriamo è assai ampio e viene proposto suddividendo le diverse tipologie di funzioni secondo insiemi, anch’essi piuttosto comprensivi, che hanno un carattere autoevidente (funzioni: culturali, direzionali, produttive, distributive e sociali). Come ogni suddivisione e classificazione anche quella avanzata risponde a criteri discrezionali, ma presenta almeno il vantaggio di non limitare lo spettro di attività a quelle esclusivamente di tipo economico o ‘strategico’ (nel senso di attività e attrezzature eccellenti a supporto del sistema produttivo urbano).
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Una classificazione ampia di questo genere ci sembra più rispondente ad una concezione ricca della sviluppo, che tende a qualificarsi proprio nella possibile valorizzazione di ‘capitali’ compositi (capitale sociale, capitale fisso, capitale culturale, capitale imprenditoriale ecc.). Inoltre, se un approccio di questo genere sembra oggi assumere una valenza generale, esso trova una particolare motivazione nel trattare lo sviluppo urbano nel contesto italiano del quale Jesi è rappresentante esemplare. • Le prime note sulle attività e/o le funzioni che qualificano la realtà urbana jesina fanno riferimento sia alle dotazioni, sia alle prestazioni. In termini ‘statici’ possiamo infatti affermare che il rango di una città ha a che fare con un determinato set di strutture e attività che nel corso del tempo hanno attrezzato quella particolare città (l’hanno dotata, appunto, di un certo livello di attrezzature). Ma in termini realistici, dobbiamo anche valutare che i diversi livelli di dotazione sono un indicatore assai parziale se non viene posto in relazione con i comportamenti effettivi delle diverse attività ad esso riferite. Ecco perché parliamo di prestazioni, intendendo in questo senso le diverse attività e/o funzioni in azione. Certamente, tale distinzione, può apparire una sofisticazione fuorviante, ma se valutiamo meglio ciò che tale distinzione permette di osservare, le cose cambiano: un centro sportivo rappresenta certamente una dotazione della città, ma osservare anche le prestazioni sportive presenti a Jesi consente di esibire – per quanto riguarda discipline come il basket o la pallavolo - la significativa presenza di alcune squadre nelle maggiori serie nazionali; alcune imprese nel ramo della viticoltura sono una dotazione del patrimonio produttivo jesino, ma i risultati raggiunti da alcune qualità di Verdicchio dei castelli a livello internazionale aprono ad una maggior comprensione del rango internazionale di Jesi.
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Tab. 5. Tipi di funzioni e livelli territoriali: prime note sulle dotazioni/prestazioni di Jesi (*)
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(*) Le annotazioni riportate nella colonna di destra (Jesi dotazioni/prestazioni) sono di tipo qualitativo, frutto di una prima ricognizione
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Alcune evidenze empiriche e qualche spunto interpretativo Se incrociamo le annotazioni riportate nella tabella con gli elementi emersi dal percorso tecnico svolto in questi mesi (e in particolare gli elementi emersi dal lavoro del piano strategico), sembra possibile avanzare alcuni prime riflessioni e orientamenti. • Jesi presenta un set di dotazioni piuttosto originale e diversificato, evidenziando però sottodotazioni in campi e settori, alcuni dei quali rappresentano un consistente limite per un rafforzamento della città e del suo ruolo territoriale. Tale giudizio riguarda, solo per fare alcuni esempi: il campo della ricettività e delle sue possibili articolazioni (quindi non solo alberghiera in senso stretto); il campo della formazione e della ricerca; almeno parzialmente, il campo delle attrezzature sportive; le attività direzionali e dei servizi al sistema produttivo, come quelle legate al settore fieristico/espositivo o – in forma meno pronunciata – a quello connesso delle attività convegnistiche e congressuali. • Jesi presenta alcune eccellenze invidiabili e peculiari che appaiono ancora poco sostenute da un sistema locale in grado di valorizzarle. Ad esempio: il paesaggio rurale e l’economia della campagna (percorsi enogastronomici, le strade del vino, un turismo di qualità); il ruolo territoriale della città storica (e non solo di un tradizionale ‘centro storico’) che può qualificarsi in un modello economico e culturale integrato a quello dei Castelli; alcune esperienze nel campo della formazione qualificata (dalla scuola di cucina, ai primi percorsi universitari). Ma, per altri versi, anche il denso tessuto civile e associativo locale non sembra ancora pienamente valorizzato all’interno delle politiche culturali e nelle nuove politiche di welfare locale. Ancora, rispetto alla Jesi di soli 10-15 anni fa, la città di oggi sembra mostrare un salto di scala nell’organizzazione territoriale. Un salto di scala che prende corpo sia nel mutamento degli assetti insediativi in fase di definizione, sia in nuove dinamiche relazionali, non più circoscrivibili all’interno della città compatta. In estrema sintesi possiamo parlare di almeno tre forme indicative di questo salto di scala, corrispondenti a: • un salto di scala - territorialmente contiguo - verso il mare. E’ il prender corpo di quello che è stato chiamato il Corridoio dell’Esino (a partire dal Piano territoriale regionale) e che rimanda alla tradizionale immagine del “pettine” marchigiano formato dalla dorsale Adriatica e dal sistema longitudinale delle valli. Ma solo rispetto a pochi anni fa, la Bassa Vallesina assume i tratti ancor più marcati di una piattaforma infrastrutturale e produttiva strategica per l’intero territorio regionale. Da Jesi verso il mare la conurbazione tenderà nei prossimi anni a saldarsi, imponendo scelte calibrate sia da un punto di vista ambientale, sia per quanto riguarda le opportunità di riqualificazione urbana dei diversi centri; • un salto di scala – territorialmente discontinuo – verso nuovi rapporti reticolari. É il prender corpo di un reticolo urbano marchigiano (e centro italico), espressione di nuove dinamiche territoriali determinate sia dal mutamento nei rapporti reciproci tra le città (ad esempio, nel mutamento dei pesi demografici ed economici; ma anche nei profili più o meno attivi delle loro amministrazioni locali), sia dai reticoli relazionali che si formano a partire da una più spiccata territorializzazione di alcune funzioni importanti (ad
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esempio: l’università che attiva strategie di decentramento selettivo, ma anche agenti territoriali più tradizionali, si pensi alla Zipa che ha storicamente attivato una strategia policentrica). E’ importante non perdere di vista entrambi i movimenti: l’uno riguardante la città come unità territoriale strategica, l’altro che partendo dalle mosse territoriali di singoli agenti, rimanda anch’esso alla città e al territorio come luogo di investimento strategico; • un salto di scala – territorialmente proiettato – attraverso reti lunghe. Sono le forme e i modi con i quali oggi le città stanno nel mondo, si connettono ai circuiti dello scambio economico e culturale nazionale e globale. Anche qui è possibile rilevare mosse ed effetti di natura diversa. Essi possono riguardare: gli scambi e i gemellaggi tra amministrazioni e città europee (Jesi è gemellata con una città francese e una tedesca); la partecipazione di Jesi a reti associative le più diverse (culturali, economiche, sportive ecc.) e alle differenti scale: nazionali o transnazionali; le strategie di marketing di un prodotto di qualità (il Verdicchio dei castelli viaggia nel mondo con il marchio ‘Jesi’ stampato su ogni bottiglia). Ma Jesi e il suo sistema locale sta nel mondo anche grazie al ruolo propulsivo di alcune aziende multiplant (si pensi ad un’azienda leader come Pieralisi e alla sua localizzazione in più continenti). Certo tali mosse transcalari riguardano innanzitutto i singoli attori economici, ma attenzione, sarebbe un errore non cogliere il loro ruolo effettivo e/o potenziale di emissari di una località. Anche in questo modo Jesi si relaziona al mondo. Le note appena richiamate invitano a guardare al rango dimensionale e funzionale della città in termini dinamici e transcalari; ogni riduzione esclusiva dei processi in corso ad una sola delle componenti richiamate rischierebbe di essere fuorviante, incapace di misurarsi con l’articolazione e la varietà dei mutamenti in corso e difficilmente in grado di cogliere le opportunità che si aprono. Una nuova consapevolezza territoriale diviene, infatti, un risorsa decisiva per classi dirigenti locali che vogliano affrontare le sfide dei prossimi anni.
3.5 Fonti e bibliografia
Volumi, rapporti di ricerca e convegni S. Anselmi, a cura di (1987), Le Marche. Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi, Einaudi, Torino. B. Ciaffi (1951), Il volto agricolo delle Marche, Bologna. A. Clementi, a cura di (1996), Infrastrutture e piani urbanistici, Roma. L. Davico, A. Mela (2002), Le società urbane, Carocci, Roma. I. Diamanti, L. Ceccarini, a cura di (2004), Marche 2004. Mappe e scenari della società regionale, Consiglio Regionale delle Marche – Giunta Regionale delle Marche, Ancona, gennaio. I. Favaretto (2003), Processi di agglomerazione e insediamenti diffusi in area vasta. Il caso della provincia di Ancona, Angeli, Milano. G. Fuà, C. Zacchia, a cura di (1983), Industrializzazione senza fratture,
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Il Mulino, Bologna. INU Umbria-Marche (2003) “Legge obiettivo n. 443/2001 quadrilatero umbria-marche ss. 77 – ss 76”, Foligno, Palazzo Trinci, 14 novembre. Istat (1997), “I Sistemi locali del lavoro 1991”, Istat-Roma. Istituto Tagliacarte – Unioncamere (2001), La dotazione di infrastrutture nelle provincie italiane 1997-2000, Ottobre. LaPolis – Laboratorio di studi politici e sociali (2002), Atlante sociale delle Marche, Consiglio Regionale delle Marche, Università di Urbino, febbraio. P. Messina, a cura di (2003), Sistemi locali e spazio europeo, Carocci, Roma. Nemetria (2001), “Verso un terzo polo territoriale nell’Italia Centrale. Schema di riflessione per un programma di lavoro delle élites sociali”, Documento di riferimento. I colloqui di Assisi, 17 gennaio. Saggi e articoli M. Capriati (2003), “I nuovi termini della ‘direttrice adriatica’ dello sviluppo”, in Economia Marche, n. 1, aprile. G. De Rita (1988), “Lo sviluppo Umbro-marchigiano. Verso gli anni ’90”, in Economia Marche, n. 1. M. Florio (1984), “I servizi reali alle imprese industriali”, in Economia Marche, n. 2. Fondazione Giovanni Agnelli (1993), “Nuove regioni e riforme dello Stato”, in XXI Secolo, n. 1. Fondazione Aristide Merloni (2001), “Appunto sul ‘Modello marchigiano’”, in Economia Marche, n.1, aprile. G. Moreschi (1998) “Nelle Marche decolla Zipa 2. Sarà la più grande area industriale”, in Edilizia e territorio, n. 13. R. Pavia (1996), “Marche”, in A. Clementi, G. Dematteis, P.C. Palermo, a cura di, Le forme del territorio italiano. Ambienti insediativi e contesti locali, vol. II, Ministero dei Lavori Pubblici – Dicoter, Laterza, Roma-Bari. R. Pavia (1997), “I porti del corridoio adriatico”, in Urbanistica Informazioni, n. 153. R. Pigliapoco (1983), “Aspetti territoriali degli insediamenti industriali nella Media Vallesina”, in Economia Marche, n. 2, dicembre. E. Santarelli (1984), “Aspetti dello sviluppo industriale del Medio Esino negli anni ’50”, in Economia Marche, n. 2, dicembre. Documenti di piano e di programmazione Coordinamento delle Regioni adriatiche (1996), Corridoio adriatico. Sintesi dello studio di prefattibilità, Bologna.
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Provincia di Ancona, Piano territoriale di coordinamento – Ricerche, Settore VII, Assetto del territorio, urbanistica, ecologia ambiente, caccia e pesca, Ancona, 2002. Regione Marche – ASTAC (1999) Problematiche di distrettualizzazione, Studi Pit, vol. 1, Urbania (PU). Regione Marche – ASTAC (1999), Ambienti insediativi, trasformazioni e potenzialità, Studi Pit, vol. 2, a cura di M. De Grassi, Urbania (PU). Regione Marche – ASTAC (1999), Pianificazione condivisa, Studi Pit, vol. 3, a cura di B. Naticchia, Urbania (PU). Regione Marche-Iniziativa Comunitaria LEADER +, Piano di sviluppo locale GAL Colli Esini – San Vicino – Provincie di Ancona e Macerata, Comunicazione della Commissione n. 2000/C 139/05.
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4. Quantità edilizia
4.1 L’attività edilizia a Jesi
Il dossier osserva l’insieme dei processi di “piccola” e “grande” trasformazione che nel tempo si sono depositati nel territorio e che sono stati frutto di procedure autorizzative da parte dell’Amministrazione comunale. Il dossier si struttura in due due parti. La prima, “Quantità”, descrive e interpreta l’entità dei fenomeni considerati sotto l’aspetto meramente quantitativo. La seconda, “Quantità per parti di città”, rilegge i dati quantitativi in relazione ai differenti ambiti del territorio jesino. I dati che seguono derivano dall’interrogazione del SIT del Comune di Jesi sul periodo gennaio 1987-dicembre 2003; essi possono scontare eventuali errori di lettura, di interpretazione e di digitalizzazione nell’analisi e nel successivo inserimento delle informazioni relative alle singole pratiche edilizie. Gli estremi dell’arco temporale considerato sono la data di adozione da parte del Consiglio Comunale del piano vigente, a partire dalla quale è apparso significativo osservare i fenomeni, e l’anno in cui è iniziata l’elaborazione della nuova variante generale. I dati derivano dai contenuti delle pratiche che hanno comportato un incremento volumetrico uguale o superiore a 100 mc, comprese le quantità edilizie oggetto di domanda di condono; non sono quindi state considerate, in ragione della minore significatività, quelle cui è seguita la realizzazione di volumi inferiori. Le volumetrie conteggiate sono volumetrie reali; non nascono cioè dal prodotto di superfici coperte per altezze “virtuali”, bensì dalla ponderazione delle altezze effettivamente desumibili dal progetto. Queste volumetrie, inoltre, includono interrati, strutture e superfici perimetrali, quali effettivi ingombri nello spazio senza esclusione alcuna. La destinazione d’uso AU (altri usi) comprende tutto ciò che non è contemplato nelle altre categorie (CA, civile abitazione; AR, abitazioni rurali; UC, uso commerciale; UA, uso artigianale; UI, uso industriale); motivo per cui è da considerarsi la categoria più incoerente in quanto contiene, ad esempio, sia strutture di uso pubblico, ascrivibili cioè al concetto di servizio, che strutture direzionali e altre non ricomprese dalle restanti categorie. Le quantità considerate sono quelle presentate in fase di rilascio di concessione e non quelle cui è seguito il certificato di abitabilità/agibilità. L’insieme dei successivi paragrafi e le tabelle e mappe cui fanno riferimento contengono prime descrizioni e interpretazioni dei fenomeni emergenti che dovranno essere verificati e sottoposti a confronto e discussione; per questo il dossier ha il carattere di documento aperto, disponibile ad accogliere affinamenti e integrazioni nel processo di costruzione del nuovo piano.
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4.2 Quantità
Il numero delle pratiche edilizie Il numero e la tipologia delle pratiche edilizie licenziate dall’Amministrazione comunale è un indicatore del mercato edilizio locale e di come questo abbia reagito agli scenari locali di pianificazione e a quelli regionali/nazionali definiti dalla legislazione urbanistica ed edilizia. Le pratiche superiori a 100 mc dal 1987 al 2003 sono circa un migliaio (912), con un numero medio per anno di circa 40 pratiche. Il numero medio complessivo delle pratiche edilizie (insieme generale che comprende lavori di qualsiasi natura che hanno richiesto una benché minima autorizzazione/comunicazione) presentate/licenziate ogni anno negli uffici comunali è invece pari a circa 1200. La distribuzione delle pratiche >100 mc negli anni rispecchia fedelmente le vicende urbanistiche della città, in relazione ai processi di formazione e adozione degli strumenti urbanistici generali. In particolare si evidenziano: • una forte attività immediatamente precedente alla prima adozione del piano vigente (1987-88), indotta dall’introduzione del periodo di salvaguardia; • una successiva progressiva diminuzione delle pratiche con un picco in corrispondenza del periodo in cui è cessato il periodo di salvaguardia (1992-1993); • un’improvvisa ripresa successiva all’approvazione del piano da parte della Provincia (fine 1993) e una sostenuta attività fino al 1997; • una relativa diminuzione che precede un nuovo massimo nell’anno 2000. Per l’ultimo periodo 2002-2003 il grafico mostra una attività edilizia in calo. Numero di pratiche edilizie per destinazione d’uso
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Numero complessivo delle pratiche edilizie per destinazione d’uso
Pratiche per destinazione d’uso, per anno
La caratterizzazione per destinazioni d’uso delle pratiche presentate conferma tutti gli andamenti sopra riportati. Tuttavia emerge una significativa controtendenza dell’uso industriale UI e artigianale UA rispetto a quella residenziale CA nella misura in cui ai valori massimi dei primi corrispondono generalmente quelli minimi del secondo; questo potrebbe significare che l’uso UI e UA sono alternativi dal punto di vista degli investitori a quello di CA o che gli usi industriale e artigianale registrano con un periodo di ritardo, rispetto a quello abitativo, l’andamento complessivo dell’attività edilizia.
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La composizione delle pratiche edilizie per destinazioni d’uso mostra che il maggior numero di pratiche presentate ha destinazione CA (417) seguita da AU (210) e quindi da UA (114), UI (99), UC (39) e AR (33).
I volumi La destinazione d’uso che ha generato maggiori volumetrie nel periodo considerato è quella industriale (UI), seguita da quella residenziale (CA). Rilevante è il peso degli interventi ascrivibili alla più ampia categoria che considera insieme gli usi industriali UI, quelli commerciali UC, e quelli artigianali UA: a questi tre usi si riferisce, infatti, complessivamente circa il 60% della volumetria realizzata dal 1987 ad oggi. Questo dato non comune a molti altri contesti urbani di simili dimensioni, mostra come il mercato immobiliare con destinazione produttiva/commerciale sia stato nel periodo considerato il fattore che maggiormente ha condizionato la trasformazione del territorio jesino.
Volumetrie realizzate per destinazioni d’uso, per anno
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La dimensione delle pratiche edilizie La dimensione media delle pratiche edilizie presentate per destinazione d’uso (metri cubi per pratica) evidenzia, come atteso, la maggiore entità di quelle industriali, artigianali e commerciali sulle altre: a una singola pratica corrisponde costantemente un numero maggiore di metri cubi. Emerge anche il progressivo incremento della dimensione delle pratiche con uso commerciale UC dal 1987 al 2003 (fino ad eguagliare e superare, negli ultimi cinque anni, la dimensione media dello stesso uso industriale). Gli interventi edilizi a uso residenziale vedono crescere progressivamente la volumetria per singolo intervento. Questo fenomeno sembrerebbe denunciare un processo di “modernizzazione” del comparto edilizio: le imprese si muovono per lavori di dimensioni sempre maggiori. Nell’arco temporale che segna il passaggio dal vecchio al nuovo piano si è assistito alla scomparsa dell’offerta edilizia della casa isolata su lotto e l’avvento del “grande” intervento di recupero. L’incidenza dell’uso commerciale nei bienni immediatamente precedenti e successivi al 1995 (anno in cui si registra la maggiore dimensione dell’intervento industriale) è minima se non addirittura nulla (1993-1994). Dal 1998 in poi l’uso commerciale è quello contraddistinto, in media, dalle maggiori dimensioni delle pratiche edilizie.
Dimensione media delle pratiche edilizie (mc) per destinazione d’uso, per anno
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Gli alloggi Complessivamente dal 1987 al 2003 a Jesi si sono realizzati 2494 alloggi. È possibile leggere un andamento caratterizzato da tre vertici, secondo intervalli regolari di sette anni: 1988, 1995, 2002. In questi anni la produzione di alloggi è stata massima, con 310 e 311 alloggi rispettivamente nel 1988 e 2002, e 220 in corrispendenza del picco intermedio (1995). Negli anni immediatamente successivi a questi tre picchi la produzione residenziale scende drasticamente e si riduce di circa 2/3, con una punta minima di 72 alloggi nel 1996. Nei due intervalli temporali compresi tra i tre vertici si sono realizzate quote di alloggi pressoché identiche, con una quota leggermente superiore nel secondo (19962001, 733 alloggi) rispetto al primo (1989-1994, 667 alloggi). La dimensione degli alloggi realizzati nel periodo considerato mostra la tendenza, già nota a livello nazionale, alla diminuzione del numero di vani per alloggio. In particolare, escludendo tre anni con andamenti anomali, si passa da una composizione media di 4,6 vani/alloggio nel periodo 1987-1994 a una di 3,4 nel periodo 1999-2002. Appare utile confrontare questi dati relativi all’intervallo 1987-2003 con la serie “storica” estesa sul periodo 1971-2003. • dal 1971 al 1981 sono stati realizzati 4293 alloggi di cui 933 di edilizia economica popolare (21%); • dal 1982 al 1991 sono stati realizzati 1844 alloggi di cui 978 di edilizia economica popolare (53%); • dal 1992 al 2003 sono stati realizzati 1733 alloggi di cui 255 di edilizia economica popolare (14%).
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Numero degli alloggi e dei vani abitabili realizzati per anno
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Concentrazione e frammentazione degli interventi L’osservazione del rapporto tra numero di pratiche e volumi realizzati restituisce un indicatore circa il grado di concentrazione/diffusione degli interventi. Le medesime quantità volumetriche possono, infatti, presentarsi ripartite in tanti interventi o, al contrario, essere concentrate in pochi ambiti. Un indice basso equivale a una attività edilizia mediamente diffusa e polverizzata fatta da piccoli interventi; un indice alto descrive, invece, uno scenario caratterizzato da un’alta concentrazione di interventi di dimensioni mediamente rilevanti. L’interesse di questi dati risiede nella possibilità di individuare gli anni delle grandi trasformazioni che hanno investito Jesi e, di contro, quelli in cui ha prevalso un modo “ordinario” di trasformazione urbana; di distinguere gli anni del consumo di suolo o del ridisegno delle parti dismesse (portatori quindi anche di patrimoni di spazi pubblici) da quelli in cui la città si è “completata” e “mantenuta”. Rispetto allo scenario complessivo di tendenziale concentrazione degli interventi edilizi, per cui si è costruito in ambiti relativamente circoscritti e puntuali, soprattutto dal 1998 in poi si registra lo scostamento degli interventi a uso artigianale (UA) e ad abitazione rurale (AR), che sembrano aver mantenuto un comportamento costante negli anni. L’uso industriale UI e quello commerciale UC sono tra gli interventi quelli che hanno teso alla maggiore concentrazione.
Frammentazione e concentrazione dell’attività edilizia per destinazione d’uso (numero pratiche/volume). I valori su fondo bianco (in cui l’indice registra un valore superiore al valore medio) descrivono la tendenza alla frammentazione, i valori su fondo grigio (con indice inferiore al valore medio) descrivono la tendenza alla concentrazione
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Tipi di intervento Si tratta del pi첫 classico degli indicatori dello scenario edilizio. Nel periodo considerato 1987/2003 gli interventi che hanno comportato un incremento volumetrico superiore a 100 mc sono quelli di nuova costruzione; questi sono 691 e superano di gran lunga quelli di ampliamento e sopraelevazione (221). Ai periodi in cui si ritrovano i massimi degli interventi di nuova costruzione, corrispondono i minimi degli interventi di ampliamento e sopraelevazione.
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Pratiche per tipo di intervento: ampliamento e sopraelevazione (A); nuova costruzione (NC)
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4.3 Quantità per parti di città
Le mappe Tutte le mappature dei dati relativi al patrimonio e all’attività edilizia sono state restituite utilizzando le 318 sezioni di censimento (Istat 2001). La mappa relativa alla “Distribuzione e composizione del patrimonio immobiliare” utilizza 28 macroambiti che raggruppano più unità censuarie secondo criteri di omogeneità morfologica e tipologica dei tessuti e dei manufatti edilizi, e/o secondo criteri di riconoscibilità, identità, nominazione da parte degli abitanti di Jesi. Questi ambiti sono: 1. Centro antico; 2. Corso Matteotti; 3. Ospedale vecchio; 4. Viale della Vittoria; 5. Viale Cavallotti; 6. Mura orientali-Parco del Vallato; 7. Prato-Stazione; 8. Via Roma; 9. San Giuseppe; 10. S.M. Kolbe; 11. San Francesco; 12. Piazza Bramante-Erbarella; 13. Piccitù; 14. Colli; 15. Colle Paradiso-Tabano; 16. Ospedale; 17. Verziere; 18. Santa Maria del Piano; 19. Minonna; 20. Cascamificio; 21. Ex Smia; 22. Actig; 23. Zipa 1-2-3; 24. Colline ambito nord/ovest; 25. Colline ambito nord/est; 26. Colline ambito sud/ovest; 27. Colline ambito sud/est; 28. Valle dell’Esino. Distribuzione e composizione del patrimonio immobiliare (fonte: Censimento Istat 2001) La distribuzione degli alloggi (al gennaio 2001) nei macroambiti esterni al centro urbano mostrano come quello di Colline nord-est sia la parte di campagna maggiormente abitata con i suoi 1178 alloggi e quello di Colline sud-ovest quello meno abitato con 151 alloggi. Nell’area urbana i macroambiti con maggior numero di alloggi sono quelli di Viale Cavallotti (1390), San Francesco (1388), Piazza Bramante-Erbarella (1301), San Giuseppe (1274) e Colle Paradiso-Tabano (1235); al contrario, quelli col minor numero di alloggi sono Ospedale vecchio (184), Corso Matteotti (258), Mura orientali–Parco del Vallato (243), Colli (243) e Santa Maria del Piano (148). L’analisi della dimensione media degli alloggi, in termini di numero di stanze, evidenzia le maggiori dimensioni nei macroambiti esterni al centro abitato: Colline nord-ovest (4,53 stanze/alloggio), Colline sudovest (4,48), Colline ambito sud-est (4,23). All’interno del centro abitato gli alloggi più grandi si trovano prevalentemente nelle parti a nord del centro antico e precisamente nei macro ambiti di Ospedale vecchio (4,57), S.M. Kolbe (4,34), Colle ParadisoTabano (4,4), Colli (4,27), Ospedale (4,18) e San Francesco (3,93); viceversa, gli alloggi più piccoli si trovano prevalentemente nella parte a sud del centro storico a cavallo della ferrovia: Verziere (3,47), Santa Maria del Piano (3,3), Prato-Stazione (3,33), Centro antico (3,21), San Giuseppe (3,14), Mura orientali-Parco del Vallato (2,93). Occupazione degli alloggi (fonte: Censimento Istat 2001) La mappatura evidenzia gli ambiti contraddistinti dalla presenza di abitazioni non occupate e occupate solo da persone non dimoranti abitualmente. Gli ambiti privi di campitura evidenziano al contrario le sezioni censuarie caratterizzate dall’assenza di abitazioni o dall’assenza di abitazioni non occupate. La direttrice di Viale della Vittoria spicca quale parte della città in cui è più frequente incontrare alloggi non occupati o occupati saltuariamente. Essa infatti intercetta da est ad ovest un insieme di ambiti che in qualche misura risultano essere interessati da quote di non occupato:
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in particolare emergono in modo molto marcato quello di San Giuseppe, quello a nord di corso Matteotti e quello a nord di via Roma (tratto iniziale). Tra questi, altri ambiti contigui e tutti attraversati da viale della Vittoria, sebbene con quote inferiori, contribuiscono a disegnare questa figura longitudinale dell’inoccupato. Il Verziere emerge come ambito particolarmente interessato da quote di alloggi non occupati. Altri ambiti limitrofi contribuiscono a evidenziare il fenomeno del non occupato a cavallo della linea ferroviaria. Tuttavia, nella stessa parte, emerge con altrettanta chiarezza lo stato di “buona salute” della frazione di Minonna e Santa Maria del Piano, che sembra non conoscere fenomeni di non occupato o comunque restituisce un grado di occupazione del tutto simile agli ambiti a nord del centro storico, luoghi privilegiati dell’abitare. La campagna restituisce due immagini contrastanti. La prima è caratterizzata dalla particolare incidenza di alloggi non occupati o occupati in modo saltuario che investe gli ambiti sulla direttrice Falconara/Fabriano, immediatamente prima e dopo il centro abitato di Jesi, con la prevalenza del fenomeno a nord dell’area industriale della Zipa. Questa distribuzione potrebbe significare che l’abbandono abitativo più evidente interessa le parti più a contatto con la strada provinciale e i fenomeni insediativi che essa ha indotto negli ultimi anni. La seconda immagine è quella di una campagna caratterizzata da una prevalente assenza di alloggi non occupati, con alcune eccezioni nelle parti situate alla destra fluviale dell’Esino, nella parte ovest del territorio comunale. Pratiche edilizie evase, 1987-2003 (fonte: Sit - Comune di Jesi) La mappa mostra la localizzazione delle pratiche edilizie che hanno comportato un incremento volumetrico superiore a 100 mc (compresi i condoni). L’entità a la distribuzione territoriale delle pratiche edilizie possono rappresentare un indicatore della dinamiche trasformative. Con una tendenza a una sorta di trasformazione centrifuga, gli ambiti che presentano un maggior numero di pratiche edilizie si dispongono prevalentemente all’esterno del quadrilatero virtuale definito a sud dal centro storico e a nord dal limite inferiore della zona ospedaliera. Nell’ambito centrale del comune la maggior parte delle trasformazioni si localizzano a sud del centro storico e a ridosso della linea ferroviaria, e a nord proprio nell’area ospedaliera e negli ambiti nominati Colli e Colle Paradiso e lungo via degli Appennini, in corrispondenza dei margini tra città e campagna. L’area industriale della Zipa è sicuramente la parte in cui l’attività edilizia è stata particolarmente intensa. La campagna restituisce una immagine particolarmente attiva dal punto di vista dell’attività edilizia, un fenomeno numericamente confrontabile con le parti più urbanizzate di Jesi che hanno subito dal 1987 al 2003 (ma in maniera concentrata e non diffusa come nel territorio agricolo) le trasformazioni maggiori. In particolare gli ambiti posti a monte della strada provinciale Falconara-Fabriano, a est e a ovest, appaiono quelli in cui questo fenomeno è particolarmente evidente.
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Volumi a uso abitativo realizzati nel periodo 1987-2003 (fonte: SIT – Comune di Jesi) La tavola mostra la localizzazione dei volumi residenziali realizzati nel periodo considerato. I principali interventi residenziali sono localizzati su due principali direttrici: - direttrice nord/sud verso il fiume Esino: Santa Maria del Piano e Minonna. - direttrice est/ovest lungo la SP Falconara-Fabriano: Ex SMIA, ambito sud del centro storico, tratto iniziale via Roma. I margini della città collinare con la campagna a sud-ovest e a nordest risultano essere gli ambiti in cui si sono concentrati numerosi interventi residenziali. La campagna restituisce due differenti immagini: le colline sulla sinistra del fiume Esino sono state interessate da una consistente quota di interventi ad uso residenziale; questo fenomeno è ancora più evidente in corrispondenza dell’ambito a sud ovest attraversato da via Roma. Le colline poste sulla destra del fiume non sembrano al contrario essere state interessate da interventi residenziali ad eccezione dell’ambito posto in continuità con le frazioni di Santa Maria del Piano e Minonna. Volumi a uso artigianale realizzati nel periodo 1987-2003 (fonte: SIT – Comune di Jesi) La tavola mostra la localizzazione dei volumi artigianali realizzati nel periodo considerato. Lungo il tracciato della ferrovia Falconara-Fabriano insistono gli ambiti su cui si sono concentrati i maggiori interventi ad uso artigianale. Lo spessore trasversale di questi ambiti è superiore a est, in corrispondenza dei diversi comparti della Zipa (dove la strada provinciale definisce il limite superiore), e minore in prossimità del centro storico all’altezza del cascamificio, della stazione ferroviaria e del quartiere del Verziere. Lungo la strada provinciale agli ingressi del territorio comunale, in corrispondenza della centrale elettrica e del tratto di via Roma, si sono localizzati consistenti interventi ad uso artigianale. Il limite del tracciato ferroviario è superato solamente in corrispondenza della stazione, interessando il quartiere di Santa Maria del Piano e la direttrice verso la strada statale. Volumi a uso commerciale realizzati nel periodo 1987-2003 (fonte: SIT – Comune di Jesi) La tavola mostra la localizzazione dei volumi commerciali realizzati nel periodo considerato. La distribuzione delle nuove attrezzature commerciali ricalca sostanzialmente la localizzazione delle attrezzature artigianali, rispetto a queste ultime però privilegia gli ambiti che si affacciano sulla strada provinciale (San Giuseppe – Smia – Zipa) e sulla ferrovia (Verziere – Santa Maria del Piano – Zipa) mentre non coinvolge gli ambiti più interni privi di relazione diretta con i principali assi di trasporto.
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La direttrice di viale della Vittoria–via Roma ha ordinato una serie di interventi considerevoli in relazione con il centro della città. Assieme a questi, emergono come i più rilevanti dell’ambito centrale gli interventi a sud del centro antico. La direttrice collina-fiume è interessata da interventi commerciali in corrispondenza del quartiere di Santa Maria del Piano e di Minonna. Volumi ad uso industriale realizzati nel periodo 1987-2003 (fonte: SIT – Comune di Jesi) La tavola mostra la localizzazione dei volumi industriali realizzati nel periodo considerato. Il settore a est del centro abitato è quello maggiormente interessato nel periodo considerato dagli interventi edilizi con uso industriale. Questi hanno investito sia i fronti della strada provinciale che gli ambiti compresi tra questa e il tracciato ferroviario. Questa localizzazione, pressocchè esclusiva, ha fatto in modo che le restanti parti del territorio non siano state coinvolte da questo tipo di interventi. In prossimità del centro antico le uniche parti che sono state interessate da interventi industriali sono localizzate a cavallo del tracciato ferroviario e sono il Verziere e l’ambito del Cascamificio. Questa dinamica conferma che la parte della stazione ferroviaria oggi funziona più “sul corridoio” della valle dell’Esino che secondo le relazioni trasversali tra collina e fiume.
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Numero di alloggi per parti di cittĂ e quote di inoccupato
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Mappa degli alloggi non occupati e occupati occasionalmente
Jesi Dossier 187
Mappa delle pratiche edilizie evase (1987-2003)
188 Jesi Dossier
Mappa dei volumi a uso abitativo realizzati nel periodo 1987-2003
Jesi Dossier 189
Mappa dei volumi a uso artigianale realizzati nel periodo 1987-2003
190 Jesi Dossier
Mappa dei volumi a uso commerciale realizzati nel periodo 1987-2003
Jesi Dossier 191
Mappa dei volumi a uso industriale realizzati nel periodo 1987-2003
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5.1 Cronologia degli eventi
5. Interporto
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5.2 Strumenti di pianificazione e programmazione
Piano Generale dei Trasporti (nazionale) Approvato il 10 aprile 1986, aggiornamento aprile 1989, approvazione 29 agosto 1991. Elaborazione nuovo Piano Generale dei Trasporti a cura del Ministro dei Trasporti di concerto con i Ministri dei Lavori Pubblici e dell’Ambiente, ottobre 2000. Segue approvazione del CIPE e adozione da parte del Consiglio dei Ministri il 2 marzo 2001. Piano Paesistico Ambientale Regionale Approvato dal Consiglio regionale il 3 novembre 1989 (deliberazione n.197). Legge regionale n. 34 del 5 agosto 1992, Norme in materia urbanistica, paesaggistica e di assetto del territorio, istituisce il Piano di Inquadramento Territoriale, ne definisce contenuti, elaborati, attuazione, efficacia, procedimento di formazione. Piano di Inquadramento Territoriale della Regione Marche Adottato dalla Giunta regionale il 14 dicembre 1998 (delibera pubblicata nel Supplemento del BUR del 28.1.99), approvato il 26 maggio 1999. Piano Regionale dei Trasporti Approvato con delibera amministrativa n.213 del 3 ottobre 1994, attualmente in fase di aggiornamento. È articolato in sette progetti: trasporto pubblico locale, sistema viabilità stradale, sistema ferroviario, sistema portuale, sistema interportuale, sistema scambi intermodali e sistema informatico. Individua una rete viaria di grande comunicazione basata su quattro assi trasversali e due longitudinali. Di questi uno è rappresentato dal corridoio Adriatico, gli assi ferroviari sono la linea adriatica Bologna-Ancona-Pescara e la Orte-Falconara. Prusst provincia Ancona e Patto territoriale delle Valli La provincia di Ancona è impegnata nella costituzione del Patto territoriale delle Valli che riguarda il territorio di Senigallia, Jesi e Ancona Sud. Il patto si propone di “qualificare il tessuto produttivo attraverso la costituzione di un nuovo rapporto con la Pubblica Amministrazione, su obiettivi comuni e condivisi di efficienza, tali da generare un insieme di condizioni favorevoli finalizzate allo sviluppo socioeconomico e quindi dell’occupazione (…). Finalità fondamentale è l’ottimizzazione di progetti imprenditoriali da raggiungere attraverso la creazione dello sportello unico delle imprese, il coordinamento delle politiche del lavoro, delle misure comunitarie e dei fondi nazionali”. “Poiché la Provincia di Ancona è giunta alla fase conclusiva del processo di pianificazione territoriale, gli indirizzi già disponibili del Piano territoriale di coordinamento per l’area urbana sono andati a formare le fondamenta del Prusst”. L’area oggetto del Prusst è ridotta rispetto al perimetro del Patto territoriale delle Valli ed è individuata in base alle sue specificità urbane, infrastrutturali e ambientali. I comuni coinvolti sono: Ancona, Aguagliano, Camerano, Camerata Picena, Castelfidardo, Chiaravalle, Falconara M., Jesi, Loreto, Montemarciano, Numana, Offagna, Osimo, Polverigi, Sirolo (territorio costiero e prima fascia collinare tra i bacini dell’Esino e del Musone). Il programma riguarda un’area identificata come città diffusa: “questa area ha grandi potenzialità che non riescono completamente a dispie-
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garsi proprio per le carenze infrastrutturali; la realizzazione dell’interporto, la presenza del porto, dell’aeroporto, di una crescita del settore produttivo e di una popolazione delle dimensioni di una grande città, rende necessario risolvere le problematiche sulla mobilità urbana con sistemi di trasporto innovativi e quelle sulla viabilità mediante interventi strutturali”. Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale Adottato con delibera del Consiglio provinciale n.157 del 17 ottobre 2000, modificato con deliberazione n.197 del 12 dicembre 2000 e adottato definitivamente con atto di consiglio n.23 del 19 febbraio 2002. Piano di sviluppo portuale di Ancona Adottato nel marzo 2003. Legge regionale n.46 del 5 settembre 1992, Norme sulle procedure della programmazione regionale e locale, stabilisce che il Programma Regionale di Sviluppo indichi le scelte fondamentali per la formazione del PIT. Programma Regionale di Sviluppo Intende sviluppare la cooperazione e le interdipendenze istituzionali, indica priorità programmatiche che richiedono un’ampia partecipazione al processo programmatorio… È un documento politico nella sua prima parte: analisi e valutazione delle costanti e delle trasformazioni socioeconomiche più rilevanti che si traducono in priorità programmatiche, criteri direttori e scelte del governo regionale. Strumento principale per la realizzazione del PRS sono i Programmi Obiettivo che il PRS adotta. “I Programmi Obiettivo sono strumenti intersettoriali mediante i quali le priorità programmatiche individuate dal PRS si realizzano in coerenza con i criteri direttori e gli obiettivi di sistema”. Il PRS assume le indicazioni del PIT. Documento di Attuazione Programmatica 2002-2004 Conferma le linee del DAP 2001-2003. Obiettivo strategico: miglioramento, potenziamento e sviluppo delle infrastrutture di collegamento alle reti nazionali e progressivo decongestionamento della struttura viaria attualmente esistente. Programma triennale 2002-2004 Approvato il 19 agosto 2002, prevede un incremento della rete stradale e autostradale dello Stato e di quella data in concessione.
5.3 Lettura mirata dei documenti
L’Interporto di Jesi è un progetto di lungo periodo, già inserito nel Prg di Secchi come intervento previsto a scala nazionale e regionale, e ulteriormente sviluppato nel 1987 dalla società Interporto Marche spa (che vedeva la partecipazione di Regione Marche, Provincia di Ancona, Comune di Jesi). L’iniziativa nel tempo si intreccia con altri progetti e coinvolge nuovi attori: la previsione dello spostamento dello scalo merci di Falconara a Jesi costituisce un passaggio fondamentale in questo senso portando
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il baricentro degli studi sul Nuovo Smistamento di Jesi. Attualmente “il Nuovo Smistamento [e l’Interporto] rientra nel programma quadro di variante all’attuale tracciato delle linee infrastrutturali ferroviarie Bologna-Ancona e Orte-Falconara in prossimità della raffineria API”. Il progetto è già inserito nell’intesa tra il Ministero delle Infrastrutture e la Regione Marche (firmata il 24.10.02). I documenti ufficiali di riferimento sono: Comune di Jesi, Piano regolatore generale. (1993). Responsabile del progetto urbanistico: Bernardo Secchi Interporto Marche spa (Regione Marche, Provincia di Ancona, Comune di Jesi), Realizzazione Interporto di Jesi (4 fascicoli con progetto) (1997) Presidenza del Consiglio dei Ministri, Intesa Generale Quadro con la Regione Marche, Roma (2002) Società Interporto Marche spa, Studio di fattibilità di una linea ferroviaria merci e verifica di compatibilità con il trasporto viaggiatori, Napoli (2003). Società incaricata della redazione dello studio: C.S.S.T. Società Interporto Marche spa, Definizione matrice origine-destinazione dei flussi di traffico merci che interessano l’Interporto di Jesi, Report A e B, Napoli (2003). Società incaricata della redazione dello studio: C.S.S.T. RFI, Infrastrutture ferroviarie strategiche definite dalla Legge Obiettivo n.443/01. Nodo di Falconara. Collegamento Orte-Falconara con la linea Adriatica. Studio di impatto ambientale. Interporto di Jesi-Nuovo smistamento, Ancona (2003) RFI, Infrastrutture ferroviare strategiche definite dalla Legge Obiettivo n.443/01. Nodo di Falconara. Collegamento Orte-Falconara con la linea Adriatica. Progetto preliminare, Ancona (2003) Regione Marche – Società Interporto Marche spa – RFI, Il completamento dell’interporto delle Marche e il suo contributo per lo sviluppo dei traffici e della logistica nel Centro Italia, Ancona (2003) Regione Marche – Società Interporto Marche spa – RFI, Il completamento dell’interporto delle Marche e il suo contributo per lo sviluppo dei traffici e della logistica nel Centro Italia, Ancona (2004) Società Interporto Marche spa, Analisi costi-benefici interporto di Jesi-Ancona, s.l. (s.d.) Per descrivere lo scenario attuale, da alcuni di questi documenti sono estratte brevi descrizioni e valutazioni tecniche. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Intesa Generale Quadro con la Regione Marche, Roma (2002) Prevede il potenziamento della rete infrastrutturale di trasporto della Regione Marche. Tra le opere individuate figurano: • raccordo ferroviario tra la linea Falconara-Orte e la linea Adriatica + by-pass della raffineria API; • by-pass della SS16 Adriatica in corrispondenza delle raffineria
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API; • infrastrutture di allaccio dell’Interporto di Jesi alla SS76 e alla linea ferroviaria Falconara-Orte1. RFI, Infrastrutture ferroviarie strategiche definite dalla legge obiettivo n.443/01, Nodo di Falconara. Collegamento Orte-Falconara con la linea Adriatica - Studio di impatto ambientale – Interporto di Jesi. Nuovo smistamento, Ancona (2003) Società Interporto Marche spa, Studio di fattibilità di una linea ferroviaria merci e verifica di compatibilità con il trasporto viaggiatori, Napoli (2003). Società incaricata della redazione dello studio: C.S.S.T. Società Interporto Marche spa, Definizione matrice origine-destinazione dei flussi di traffico merci che interessano l’Interporto di Jesi, Report A e B, Napoli (1993). Società incaricata della redazione dello studio: C.S.S.T. 2 Il raccordo di collegamento tra la linea Bologna-Ancona e la linea Orte-Falconara, considerato strategico dalla legge obiettivo 443/01, è stato oggetto di progetto preliminare da parte di RFI. Il raccordo sarà realizzato con una bretella, nei pressi di Marina di Montemarciano, che permetterà l’inoltro diretto, senza toccare la stazione di Falconara, del traffico merci della linea di Orte che per l’80/90% è orientato verso Nord. Il progetto prevede anche la predisposizione del “by-pass dello stabilimento API”, consentendo la soppressione dello scalo merci di Falconara e quindi il potenziamento dell’offerta viaggiatori sulla tratta Falconara-Ancona. L’eliminazione dello scalo merci di Falconara, la cui area è già stata dichiarata ad alto rischio ambientale3, implica il trasferimento in altre località delle funzioni lì attualmente svolte. In particolare, per quanto riguarda i treni che effettuano composizione e scomposizione o semplicemente operazioni di aggancio e sgancio di carri, lo scalo di Jesi sostituirà quello di Falconara4. L’interporto di Jesi nella rete del trasporto intermodale europeo La sezione marchigiana del Corridoio Adriatico “è deputata ad assolvere una funzione di cerniera diretta rispetto alla connesione tra il Corridoio Adriatico ed i corridoi pan-europei V e VIII, di notevole interesse perché di collegamento tra il Mar Nero ed il Mar Adriatico e per il legame con la Turchia”. Note: 1. Nel mese di ottobre del 2003 lo stato dei lavori è il seguente: • esiste un problema di fondi per la realizzazione dei collegamenti; • si sta lavorando all’ipotesi di spostare la statale 16 dalla zona della raffineria API all’interno di Falconara Marittima ma non c’è ancora accordo; • il progetto di by-pass della ferrovia a ridosso dell’API di Falconara è stato discusso alla Conferenza regionale dei servizi (non è specificata la data) e a breve dovrebbe essere consegnato al Ministero delle Infrastrutture. Inoltre: • la Regione Marche è stata esclusa a inizio Ottobre 2003 dal progetto del Corridoio Adriatico; • è nato Quadrilatero spa (che dovrebbe realizzare le infrastrutture nelle Marche e in Umbria) senza avvisare la Regione; • sul tavolo rimangono gli allacci plurimodali alle infrastrutture di collegamento all’Interporto di Jesi, che sta proseguendo nella fase progettuale. (Fonte: Il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2003) 2. I tre studi valutano il Nuovo Smistamento di Jesi all’interno di uno specifico scenario di riferimento: il programma quadro di variante all’attuale tracciato delle linee ferroviarie Bologna-Ancona e Orte-Falconara in prossimità della raffineria API. Per questo motivo vengono considerati congiuntamente. 3. In linea generale l’attuazione avverrà nel rispetto delle seguenti fasi: • 1° fase: spostamento dell’area “riordino” nell’ambito dell’Interporto di Jesi • 2° fase: realizzazione delle opere ferroviarie e stradali, smantellamento dell’attuale corrispondente tratto della ferrovia adriatica • 3° fase: trasferimento delle funzioni attualmente localizzate nello scalo a mare in prossimità dell’interporto 4. La realizzazione del fascio di binari di smistamento in corrispondenza dello scalo di Jesi costituisce condizione indispensabile per la funzionalità del sistema intermodale di 1° livello della Regione Marche.
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L’attività dell’interporto di Jesi pertanto si fonda sul trasporto intermodale con mercati di riferimento europeo (Germania, Francia, Benelux, Regno Unito, Spagna, Paesi dell’Europa dell’Est) e nazionale (terminali “Gateway” in Italia, grandi città del Nord Italia, apertura alle relazioni con il Sud Italia, porti tirrenici per destinazioni finali oltremare) (Analisi costi-benefici interporto di Jesi-Ancona, pp.4 e 9). Il Nuovo Smistamento L’opera sarà ubicata in adiacenza all’area interportuale, lungo la linea FF.SS. lato Chiaravalle, nei pressi di insediamenti a prevalente destinazione produttiva (Zipa), ad una distanza di oltre 4 km dal centro abitato di Jesi. L’intervento sarà costituito da un fascio binari di smistamento passante (8 binari) e un fascio binari di servizio (n.3 binari) e prevede la realizzazione di 3 fabbricati e viabilità di servizio, la costruzione di un nuovo sottopasso pedonale e di un cavalcavia carrabile che andrà a sostituire quello esistente, di cui si rende necessaria la demolizione. La lunghezza complessiva del binario è pari a 850 m., la larghezza massima è di circa 180 m. L’ambito di progetto, considerando anche la ferrovia esistente, ha un’estensione pari a 245.000 mq. ca. Il trasporto merci su ferro La quantità di merci movimentata su ferro sulla linea di Jesi stimata all’anno 2002 è stata pari a 1.865.762 tonnellate. Quella prevista all’anno 20125, considerando l’attivazione dell’Interporto e del Nuovo Smistamento, è: nell’ipotesi di “scenario minimo” 2.000.000 tonnellate (che corrispondono a 12 treni/giorno), nell’ipotesi di “scenario massimo” 2.770.000 tonnellate (16 treni/giorno circa). Considerando il traffico tripartito al 70% da/per l’Adriatica nord, al 10% da/per l’Adriatica sud, al 20% da/per la trasversale interna, la ricerca condotta da C.S.S.T. (Report A) prevede, sempre per il 2012, il seguente incremento della circolazione merci: • dagli 11 ai 14 treni/giorno sull’Adriatica nord; • 2 treni/giorno sull’Adriatica sud; • dai 4 ai 5 treni/giorno sulla trasversale interna. Per quanto riguarda Jesi, la ricerca non “stima l’aumento del traffico merci ferroviario convenzionale in quanto prevede che venga compensato dal traffico ferroviario trasferito all’intermodale” (il testo non approfondisce questo aspetto). Il trasporto merci su gomma Secondo gli studi effettuati l’attivazione dell’Interporto e del Nuovo Smistamento determinerà sì una forte crescita dei traffici, ma anche una condizione di riorganizzazione modale dei flussi. Si passerà da un rapporto 94-6 (strada-ferro) ad un rapporto 89-11. La nuova realizzazione non dovrebbe quindi comportare effetti significativi sui flussi stradali, compensando attraverso l’intermodale gli aumenti attesi. Nello specifico, considerando il traffico merci su ferro stimato all’anno 2012 e i volumi potenzialmente movimentati dall’Interporto, sono state condotte alcune valutazioni sulla rete stradale per verificare i flussi di Note: 5. Lo scenario di sviluppo è stato elaborato considerando il 2012, anno in cui l’attività dell’Interporto e del Nuovo Smistamento sarà a pieno regime. Altri 2 sono gli orizzonti temporali di riferimento ipotizzati: 2005 (anno in cui si è ipotizzato l’entrata in esercizio dell’interporto); 2008 (anno in cui si è ipotizzato il completamento dello scalo merci e dell’interporto).
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adduzione all’area di studio6. Sezioni di riferimento: Sez. 1 – sezione sul corridoio adriatico a nord del crocevia con la superstrada Roma-Ancona Sez. 2 – sezione sul corridoio adriatico immediatamente a sud di Ancona Sez. 3 – sezione sulla SS superstrada Roma-Ancona tra Chiaravalle e l’Interporto Sez. 4 – sezione sulla SS superstrada Roma-Ancona tra l’Interporto e Jesi
Traffico giornaliero. Scenario minimo/basso7
Traffico giornaliero. Scenario massimo/alto
Il progetto sposta i flussi, oggi fortemente concentrati sulla direttrice costiera, sulle arterie di adduzione principali all’Interporto. Si ritiene che il maggior carico su questi assi interni non determinerà evidenti Note: 6. Il traffico simulato considera i traffici di attraversamento,i traffici interni al bacino in studio, nonché i traffici di tipo strettamente locale. 7. Le 2 tabelle mostrano i risultati della simulazione del carico infrastrutturale stradale relativa alla sola domanda di lunga percorrenza, non considerando quindi quella locale e di media distanza (ctr.: Report A, p.95).
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criticità considerando che il rapporto flusso/capacità attuale è molto basso (Studio di impatto ambientale, p.66) 8. Gli assi trasversali Una ulteriore valutazione circa il trasporto merci può essere fatta considerando “l’area ristretta del bacino immediatamente confluente sull’impianto. I traffici in diversione dalla strada alla ferrovia devono raggiungere il terminale dove effettuare il trasbordo su ferro. All’interno del bacino si crea quindi per le merci in diversione una domanda di tipo stradale. La razionalizzazione del trasporto merci conduce ad una nuova domanda, di tipo locale, tutta interna al bacino di influenza dell’Interporto9. I flussi stradali legati a questa componente di domanda sono di breve percorrenza e vanno a sovrapporsi al traffico di lunga percorrenza residuo dalla diversione modale. La domanda intrabacinale indotta incrementa fortemente i carichi infrastrutturali della trasversale che svolge da collettore/distributore dei traffici da/ per l’Interporto” (Studio di impatto ambientale, p. 66). Ruolo dell’interporto Secondo quanto affermato nell’Analisi costi-benefici l’interporto di Jesi non deve essere inteso però solamente come nodo della rete europea, ma anche come scalo di smistamento ferroviario dei convogli provenineti dalle aree industriali delle Marche (p.11). Esso pertanto si presta ad essere inteso come piattaforma logistica completa in ragione della integrazione con le principali reti terrestri autostradali e ferroviarie, e con i nodi aeroportuali di Falconara Marittima e con quello portuale di Ancona (p.4). La localizzazione dello scalo merci in prossimità dell’interporto di Jesi; il piano di sviluppo e gli interventi infrastrutturali presso il porto di Ancona; il raddoppio della linea ferroviaria Orte-Falconara; i progetti sulla rete stradale principale dell’area (Quadrilatero di penetrazione Note: 8. Nello Studio di fattibilità si riporta una ulteriore analisi, relativa al trasporto passeggeri su ferro e gomma. Nell’ipotesi di massima i programmi di esercizio che interessano la linea di Jesi avranno le seguenti caratteristiche: Linea Jesi – Falconara (lunghezza Km 18,026) Fascia oraria di punta: 7.00-10.00; 12.00-14.00; 17.00-19.00 Frequenza passaggi: 1,5 treni/ora Percorrenza giornaliera 7 ore x 1,5 treni/ora x 2 x 18,026= 378,546 Fascia oraria di morbida: 5.00-7.00; 10.00-12.00; 14.00-17.00; 19.00-22.00 Frequenza passaggi: 1 treni/ora Percorrenza giornaliera 10 ore x 1 treni/ora x 2 x 18,026= 360,52 Percorrenza annua Feriale 226.154 Festiva 36.160 Totale 262.314 Linea Fabriano – Falconara (lunghezza Km 61,526) Fascia oraria di punta: 7.00-10.00; 12.00-14.00; 17.00-19.00 Frequenza passaggi: 1,5 treni/ora Percorrenza giornaliera 7 ore x 1,5 treni/ora x 2 x 61,526= 1.292,046 Fascia oraria di morbida: 5.00-7.00; 10.00-12.00; 14.00-17.00; 19.00-22.00 Frequenza passaggi: 1 treni/ora Percorrenza giornaliera 10 ore x 1 treni/ora x 2 x 61,526= 1.230,52 Percorrenza annua Feriale 771.905 Festiva 123.421 Totale 895.326 Il numero totale della frequenza dei passaggi e delle percorrenze giornaliere è dato dalla somma dei valori delle 2 linee. L’impiego di materiale rotabile più moderno, la previsione di servizi lineari a frequenza costante e orario mnemonico, la definizione di interscambi bus-treno e gomma privata-treno sono gli interventi previsti per rafforzare il servizio ferroviario metropolitano regionale. Le seguente tabella descrive le percorrenze della tratta Ancona-Fabriano: quelle esistenti e quelle indotte dalla ristrutturazione dell’esercizio ferroviario.
9. Da altre fonti si deduce che l’ambito di influenza dell’Interporto sia sovraregionale, arrivando a comprendere Comuni della Regione Umbria. I distretti industriali che gravitano intorno all’interporto sono 26 (pari a 164 comuni della regione Marche) e si caratterizzano per poche filiere prevalenti: elettrodomestici (Fabriano), calzature (area Macerata-Ascoli Piceno), mobile (Pesaro, Urbino), strumenti musicali (Castelfidardo, Recanati), meccanica (Vallesina), tessile e abbigliamento (pescarese e anconetano), lavorazione pelli e cuoio (tolentino), agroalimentare (Ascoli Piceno).
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interna); la variante di by-pass dell’API con la bretella di raccordo della linea Orte Falconara alla linea Adriatica, rappresentano alcune delle azioni strategiche già previste sulla rete e sui nodi locali che potrebbero agire in maniera sinergica rispetto alla realizzazione dell’interporto (Analisi costi-benefici interporto di Jesi-Ancona, p.6). Interporto come piattaforma logistica per la distribuzione urbana Lo studio di C.S.S.T. (Report B) sottolinea la necessità di una piattaforma logistica per la raccolta e la distribuzione delle merci in ambito urbano nell’area conurbata Jesi-Ancona-Falconara. Considerando i tempi di accessibilità, lo studio sostiene che sia possibile individuare all’interno dell’Interporto una funzione esclusivamente dedicata a questo scopo. Sempre secondo la ricerca, l’interporto permetterebbe di ampliare le finestre temporali di carico e scarico e di avere a disposizione un maggior numero di piazzole. Non solo, consentirebbe una maggiore operatività dovuta alla concentrazione di servizi, maggiori contatti con gli altri operatori del trasporto, possibilità di usufruire di magazzino per lo stoccaggio e la movimentazione delle merci, utilizzo di forme di trasporto più evolute. L’interporto di Jesi dovrebbe pertanto costituire l’occasione per riorganizzare la distribuzione locale. Analisi finanziaria ed economica I valori redditività dell’interporto, desunti dalla analisi finanziaria svolta nella Analisi costi-benefici interporto di Jesi-Ancona, assumono segno negativo per un importo di 56.356.880 euro: “il valore negativo del VANF (Valore Attuale Netto Finanziario) sta ad indicare che l’attuazione dell’intervento non consente il ritorno del capitale investito per la sua realizzazione attraverso il saldo netto entrate-uscite previsto nell’arco temporale considerato (30 anni)”. Si prevede un costo totale di investimento pari a 65.851.362 euro (prezzi costanti al netto di IVA) e che “la copertura finanziaria del fabbisogno di capitale per la realizzazione degli investimenti sia assicurata da risorse pubbliche, da risorse proprie e da risorse private” (specificate a p.24 del medesimo documento). I benefici sono relativi prevalentemente ai risparmi di “costo generalizzato di trasporto (e alla) riduzione di esternalità negative e dei relativi costi sociali (ambientali) conseguente alla conversione modale”. Altri benefici derivano dalla valutazione economica dei costi associati alla riduzione della incidentalità (prodotta dal tasferimento di una parte dei movimenti dalla gomma al ferro, i cui indici di incidentalità sono notoriamente inferiori); alla riduzione dell’inquinamento acustico; alla riduzione dell’inquinamento ambientale. “I risultati dell’analisi economica (e sociale) evidenziano un livello di sostenibilità economica dell’intervento complessivo più che soddisfacente. L’intervento, infatti, mostra appieno le sue potenzialità di impatto economico positivo sul sistema della mobilità delle merci nell’area di riferimento, dati i benefici interni ed esterni che risulta in grado di attivare” (p.38).
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Alcune immagini10 Integrazione del nuovo smistamento con l’interporto di Jesi
Collegamento Orte-Falconara con la Linea Adriatica
Note: 10. Le immagini sono tratte dalla presentazione di Regione Marche, Società Interporto Marche spa, RFI, Il collegamento Orte-Falconara e l’integrazione con l’interporto di Jesi, Ancona, luglio 2003.
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Collegamento Orte-Falconara con la Linea Adriatica
Seguono i piani a scala vasta che prendono in esame l’Interporto e lo scalo merci e che ne costituiscono lo scenario di riferimento. Le descrizioni riportate non sono tratte direttamente dai documenti originali. Piano di Inquadramento Territoriale della Regione Marche (approvato nel febbraio 2000 con Darc n. 295) Il PIT approfondisce la programmazione avviata dal Piano regionale di sviluppo puntando l’attenzione su due questioni chiave: l’ambiente e le infrastrutture. Quattro sono i progetti tracciati, dei quali due di particolare interesse per il territorio jesino: il progetto Corridoi integrati Infrastrutture-Ambiente e il progetto Internodi centrali. Il primo affronta la compatibilità tra sviluppo produttivo e salvaguardia dell’ambiente. Promuove strategie di riqualificazione e di rinaturalizzazione dei territori investiti da intensi processi insediativi di trasformazione, determinati dalla crescita industriale e dalla realizzazione di importanti infrastrutture per la mobilità. Si prevede che il recupero di aree degradate avvenga mediante politiche di sviluppo ecocompatibile tese a ricercare nuovi equilibri tra forme di uso del suolo e processi ambientali. Il progetto, in particolare, propone di agire sui territori vallivi affiancando biocanali di rigenerazione ambientale alla viabilità a scorrimento veloce esistenti. Campo di applicazione esemplare, tra gli altri, è la valle dell’Esino. Il secondo progetto, Internodi centrali, ha l’obiettivo di migliorare l’efficienza funzionale del territorio regionale e in particolare quella dei distretti produttivi. Il PIT propone a questo proposito di potenziare l’interconnessione tra porto di Ancona, aeroporto di Falconara, Interporto di Jesi e le stazioni ferroviarie esistenti e future considerandoli come poli di un sistema integrato ad elevata efficienza, importante nel collegamento delle Marche con l’”esterno”.
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PTC della Provincia di Ancona (adottato con delibera n. 157 del 17/10/2000) Il piano suddivide il territorio provinciale in Ambiti Territoriali Omogenei, ossia ambiti “omogenei sotto il profilo della costanza dei rapporti tra alcuni dei fattori considerati significativi”. Gli A.T.O. rappresentano le unità spaziali di riferimento per la pianificazione del territorio provinciale, a cui quindi si riferiscono i progetti e le politiche di intervento del PTCP. Parte del territorio jesino appartiene all’A.T.O “V”, delle pianure e dei terrazzi alluvionali, in cui il sistema insediativo tende ad assumere le caratteristiche proprie dell’urbanizzazione continua. Al suo interno il PTCP individua un sistema lineare industriale-infrastrutturale di particolare interesse che parte dall’asse sud di Jesi e, supportato dalla superstrada S.S. 76 e dalla ferrovia, prosegue a ovest della ex S.S. 76 (prosecuzione di via Ancona, chiamata anche vecchia Vallesina) con le aree industriali di Monsano e Monte S. Vito, naturalmente includendo l’Interporto e il Nuovo Smistamento. Il PTCP descrive tale sistema come “un terreno ottimale per sperimentare politiche d’intervento volte a riqualificare, anche con misure che favoriscono la specializzazione delle aree industriali, un sistema territoriale e paesaggistico che oggi si fonda sulla casualità funzionale e morfologica”. Il medesimo sistema ricade in uno dei 5 ambiti di progetto previsti dal PTCP, Ancona Nord, dove sono localizzati nodi d’interscambio, reti infrastrutturali di importanza regionale e nazionale, insediamenti industriali.
PRUSST dell’Area Urbana di Ancona (avviato con deliberazione della Giunta provinciale n. 9 del febbraio 1999) La Provincia sta lavorando alla costituzione del patto Territoriale delle Valli che riguarda il territorio di Senigallia, Jesi, Ancona Sud. Obiettivo è lo sviluppo di un progetto integrato e la riqualificazione del tessuto produttivo (unitamente alla riqualificazione ambientale, alla valorizzazione degli elementi culturali, allo sviluppo dei servizi alle imprese). All’interno di questo quadro deve essere letto il PRUSST della Provincia di Ancona, relativo al territorio costiero e alla prima fascia collinare tra i bacini dell’Esino e del Musone (ricadono in questo ambito i comuni di Ancona, Agugliano, Camerano, Camerata Picena, Castelfidardo, Chiaravalle, Falconara, Jesi, Loreto, Montemarciano, Numana, Offagna, Osimo, Polverigi, Sirolo). Si tratta di un’area con grandi potenzialità, per la maggior parte ancora inespresse a causa di alcune carenze infrastrutturali: la realizzazione dell’Interporto, la presenza del porto e dell’aeroporto rende necessario in modo particolare risolvere il problema della mobilità. Il PRUSST prevede a questo proposito: • la realizzazione del raddoppio della SS16 per soddisfare i flussi di traffico interurbani; • il completamento dell’asse attrezzato di Ancona; • opere puntuali nel porto di Ancona; • un collegamento efficiente tra le zone industriali di Jesi e la grande viabilità (asse Sud); • la realizzazione di un raccordo tra le previste nuove aree produttive dell’Aspio SS16; • la riqualificazione e l’adeguamento della strada della Val Musone con alleggerimento del traffico sulle dorsali che corrono lungo i crinali ed i centri collinari.
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5.4 Raffronto fra alcuni interporti
La società Interporto Marche spa ha aderito, nel dicembre 2003, alla neonata Unione Interporti Riuniti, l’associazione che raccoglie e mette in rete la maggioranza degli interporti italiani. L’Associazione, che non ha scopo di lucro, si propone di creare un raccordo stabile tra interporti (intesi quali sistemi strutturali, polivalenti ed intermodali, d’interscambio merce del traffico terrestre gomma-rotaia e, qualora possibile, marittimo, fluviale e aereo), tra questi ed i soggetti coinvolti nell’attività logistica globalmente considerata affinchè si consolidi e si sviluppi l’intermodalità nel trasporto e nella logistica delle merci. Unione Interporti aderisce ad Europlatforms, Gruppo Europeo di Interesse Economico – G.E.I.E. –, che raggruppa le associazioni europee di interporti e centri logistici. Attualmente fanno parte di Europlatforms le associazioni danese, francese, italiana, spagnola, tedesca. Viene qui presentato in forma di tabella un raffronto fra alcuni interporti italiani appartenenti a questa rete: i dati raccolti (attraverso il sito in lingua inglese http://www.freight-village.com/europlat/yb96-ip.html) riguardano in particolare estensioni (superficie totale e superficie coperta), intermodalità, dotazioni funzionali. Il quadro che scaturisce da questo confronto sarà utile per alcune riflessioni relative al progetto dell’ interporto jesino (si veda il paragrafo seguente “Alcune riflessioni e questioni aperte”). Seguono la tabella i layout di alcuni interporti (Bologna, Verona, Padova) attualmente in procinto di ampliare i propri spazi e i servizi a disposizione dei clienti. I progetti sono degni di attenzione perché utili ad ipotizzare in quale direzione evolvono gli interporti italiani: si tratta soprattutto di un ampliamento degli spazi e delle funzioni destinate alla logistica, nonché di servizi che, grazie a progetti di City Logistic, accrescono in modo determinante le relazioni con la città ospitante (è questo soprattutto il caso di Padova).
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Interporto di Bologna, layout In evidenza (con il tratteggio) il settore di ampliamento destinato a magazzini per la logistica e allo scambio gomma-gomma. L’interporto bolognese ha da poco ricevuto la certificazione iso 14001, merito di una attenzione alla sostenibilità (uso di materiali ecocompatibili, riciclaggio rifiuti , raccolta e riuso delle acque, fascia boscata, ecc.) che ha accompagnato le varie fasi di realizzazione del progetto. (fonte: http://www.bo.interporto.it)
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Interporto “Quadrante Europa� di Verona, layout attuale e piano di espansione Al centro la nuova piattaforma logistica (fonte: http://www.quadranteeuropa.it)
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Interporto di Padova, layout generale e “Cittadella della logistica” (Cityporto) Operativo dal 21 aprile 2004, il Cityporto è una delle poche esperienze di questo tipo operanti in Italia. Il progetto, promosso da Comune di Padova e Interporto di Padova, in collaborazione con Provincia e Camera di Commercio di Padova ed A.P.S. Holding S.p.A. - Divisione Mobilità, prevede una fase pilota di 12 mesi gestita direttamente da Interporto. L’organizzazione contempla che gli operatori (inizialmente corrieri) consegnino le merci in una piattaforma logistica (Interporto) a ridosso della città; da qui partano i mezzi ecologici a basso impatto ambientale (metano) per la distribuzione in centro (ultimo miglio) ed in particolare nella cosiddetta Z.T.L. (fonte: http://www.interportopd.it/)
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Interporto di Jesi, layout del progetto originale e proposta di assetto definitivo Il progetto di assetto definitivo presentato congiuntamente da società Interporto Marche, Regione Marche e RFI prevede un nuovo scalo merci ferroviario (a sostituzione di quello di Falconara) e l’ampliamento della superficie territoriale e della superficie coperta dell’interporto. L’accesso viario all’interporto avviene tramite un nuovo svincolo dalla superstrada SS76 Ancona-Fabriano.
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Alcune riflessioni e questioni aperte Una comparazione fra le informazioni raccolte e l’ipotesi di assetto definitivo dell’interporto jesino, così come illustrata dal documento “Il completamento dell’interporto delle Marche e il suo contributo per lo sviluppo dei traffici e della logistica nel centro Italia” - Ancona, Marzo 2004 - predisposto da Interporto Marche, Regione Marche e RFI, permette alcune considerazioni in merito alle novità introdotte dal progetto. L’ipotesi di assetto definitivo prevede un aumento sia di superficie territoriale (nell’ordine del 14% circa) che di superficie coperta (che raddoppia passando da 48.900 a 101.000 mq). Si tratta dunque di un ampliamento e di una contemporanea densificazione rispetto al progetto originale. Questa ipotesi sembra in linea con quanto accade in altri contesti dove si riscontra la tendenza ad aumentare la superficie coperta. Pur con questo ampliamento, Interporto Marche rimane di dimensioni ridotte se paragonato alla maggior parte degli interporti italiani. Tuttavia, dato l’inserimento in un territorio considerato dalla Regione Marche ad altro rischio ambientale e sottoposto a Piano di risanamento, una volta accettato questo assetto, diventa necessaria una nuova valutazione di impatto ambientale, che metta in gioco la qualità interna dell’insediamento. In particolare, meritano attenzione alcune questioni: • Logistica: le attività di questo tipo sono in evoluzione, si tratta da una parte di servizi legati al management, dall’altra di attività assimilabili a funzioni produttive (ad esempio il packaging): se l’interporto ospiterà questo tipo di attività (come è probabile e auspicabile) occorre considerare le ricadute ambientali, tipiche delle aree produttive. • Rapporto con la città: è necessario valutare con attenzione come questa grande piastra logistica si inserisce nel territorio, garantire la continuità della trama minuta delle strade preesistente e, soprattutto, corretti raccordi con la rete della mobilità principale (viaria e ferroviaria). Approfondire le possibili ricadute che un servizio avanzato di city logistic potrebbe avere sul traffico cittadino, soprattutto delle zone centrali. • Rapporto ferro/gomma - gomma/gomma: nell’ipotesi definitiva è molto alta la percentuale degli spazi destinati allo scambio ferro gomma rispetto a quello gomma-gomma, che invece risulta essere il tipo di scambio più diffuso a livello nazionale. La previsione del nuovo scalo merci ferroviario autorizza un discreto ottimismo, tuttavia potrebbe essere utile ragionare sugli impatti qualora alcune parti destinate nel progetto attuale allo scambio ferro-gomma venissero poi convertite al gomma-gomma. • Sostenibilità ambientale: poiché il progetto già si caratterizza per una certa attenzione agli elementi di riduzione dell’impatto ambientale, è necessario consolidare questa propensione con una progettazione interna accorta nella sistemazione degli spazi aperti, nella scelta dei materiali, degli strumenti di risparmio energetico, ecc. affinché Interporto Marche possa effettivamente fregiarsi del titolo di “Interporto Verde”. Per affrontare le questioni qui esposte e altre che potranno emergere in fase di approfondimento del lavoro, come già scaturito dai tavoli di lavoro denominati “Corridoio Esino”, che hanno caratterizzato la fase
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finale di redazione del Piano Strategico, dovrà proseguire il confronto fra tutti i soggetti responsabili ed interessati alle trasformazioni in corso nella bassa Vallesina, tra i quali in primo luogo l’Amministrazione Comunale di Jesi
5.5 Contributo alla formulazione del parere richiesto dalla Regione Marche relativamente all’oggetto: “Infrastrutture ferroviarie strategiche collegamento Orte-Falconara con linea Adriatica: localizzazione nuovo smistamento interporto di Jesi”
Premessa È limitato il tempo a disposizione del Comune di Jesi per maturare una posizione critica e insieme propositiva riguardo al progetto preliminare R.F.I. di localizzazione del nuovo smistamento ferroviario presso l’Interporto di Jesi, ed esprimere quindi il parere richiesto dal Servizio Lavori Pubblici e Urbanistica della Regione Marche in data 12/8/03. Tuttavia, è già possibile rilevare rischi e impatti di sistema e formulare ipotesi che potranno essere approfondite nella traduzione del progetto preliminare in progetto definitivo. Nel corso del tempo, in particolare dall’elaborazione del progetto generale dell’Interporto nel 1997 ad oggi, i soggetti coinvolti nella vicenda sono cresciuti di numero. Questo è sintomo della rilevanza di una proposta che prevede un’importante riorganizzazione del sistema di trasporto marchigiano, non solo ferroviario. La convergenza di interessi è stata suggellata nel 2002 dall’Intesa generale quadro, secondo la Legge obiettivo, tra il Ministero delle infrastrutture e trasporti e la Regione Marche. La Regione, sostenendo i propositi sottoscritti, è riuscita anche a fare in modo che il progetto sia in parte finanziato dalle casse centrali. Nel 2003 sono seguite l’elaborazione di uno studio di fattibilità relativo allo scalo ferroviario, su incarico di Interporto spa, e quella di uno studio di impatto ambientale del nuovo smistamento presso l’Interporto, su incarico di R.F.I. Le considerazioni che seguono fanno riferimento anche ad elementi emersi dagli studi citati. Gli argomenti a favore La priorità accordata alla realizzazione di questo polo intermodale, composto dall’interporto e dal nuovo scalo merci, viene messa in relazione con alcune opzioni e scelte di rilevanza comunitaria, nazionale e regionale: il polo Jesi-Ancona costituisce un nodo strategico all’interno della Rete transeuropea di trasporto, in particolare del “Corridoio europeo” che collegherà le regioni dell’Europa centrale con quelle dell’Europa meridionale (così come definito in sede comunitaria nel 1994); lo stesso polo risulta inserito nella rete costituita dai “Corridoi plurimodali” prevista dal Piano generale dei trasporti e della logistica (adottato da parte del CIPE nel marzo 2001); R.F.I. ha individuato un tracciato alternativo a quello che porta i convogli ferroviari ad attraversare l’area API di Falconara, per procedere a una razionalizzazione della rete e al miglioramento dei collegamenti nord-sud sulla dorsale adriatica. I diversi documenti prodotti costruiscono uno scenario di vantaggi che potremmo complessivamente definire di “competitività” alle diverse scale sovralocali, cui si aggiunge la considerazione che il Comune di Falconara, a seguito dello smantellamento dello scalo attuale, potrà inaugurare una nuova stagione di riqualificazione e valorizzazione delle proprie aree.
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I problemi aperti In una prospettiva locale, sembrano fino ad ora poco approfondite le ricadute del progetto complessivo sulla struttura territoriale di Jesi. Successo e funzionalità dell’interporto e dello scalo sono stati valutati in termini aggregati e senza specifico riguardo alle modifiche che presumibilmente interesseranno la forma e l’organizzazione dell’insediamento urbano più prossimo all’imponente nodo intermodale, mentre le valutazioni di impatto ambientale restano circoscritte all’immediato intorno e non considerano l’”effetto combinato” interporto-scalo merci. Documenti, studi e valutazioni elaborati prendono in considerazione uno spettro di effetti che riguarda, in modo discontinuo, la grande scala e il piccolo raggio, mentre manca una valutazione degli “effetti di sistema” della nuova infrastruttura, intesi come l’insieme dei mutamenti che coinvolgono economia, mobilità e impianto della città di Jesi. Ciò è tanto più rilevante a fronte della decisione dell’Amministrazione comunale di avviare il lavoro per la redazione della Variante generale del Prg e del Piano strategico. Alcuni motivi di incertezza e di riserva sono dunque legittimi. Si possono fin d’ora individuare alcuni problemi che dovranno essere opportunamente approfonditi: viene occupata un’importante area agricola che interrompe la diffusione e continuità dell’insediamento, consentendo di distinguere l’aggregato jesino da quello costiero e contribuendo a formare un’immagine di Jesi come città della cultura, della gastronomia, del tempo libero … immagine sulla quale si sono recentemente costruite molte iniziative cittadine; il collegamento con l’area industriale ZIPA e con la città esclusivamente affidato alla superstrada non sembra sufficiente nella prospettiva di un aumento del traffico su gomma con origine e destinazione locale (che l’interporto abbia riflessi sul carico e scarico merci della città fa parte dei vantaggi dell’insediamento in questo territorio). Sembra necessario, da un lato, capire meglio le relazioni di scambio che possono determinarsi con le unità produttive e gli esercizi commerciali locali, dall’altro, quali possano essere gli effetti sulle strade che attraversano l’area urbana dei movimenti non intercettati dalla SS 76; la localizzazione su territorio jesino del nuovo scalo merci dovrebbe almeno liberare la città dell’attuale scalo, rendendo disponibile un’area che può svolger un ruolo rilevante nella riqualificazione della parte sud. E’ anche questo un punto da considerare nel quadro generale delle trasformazioni previste e rientrare nella messa a punto del progetto definitivo e delle relative “compensazioni”. Questi aspetti vanno ad aggiungersi a quelli già rilevati con lo studio di valutazione di impatto ambientale, le cui misure di mitigazione, nelle diverse fasi, vengono considerate in ogni caso acquisite e indispensabili. Una proposta Malgrado gli elementi di preoccupazione rilevati, il Comune di Jesi non intende assumere un atteggiamento meramente “remediale” nei confronti del progetto, ma vuole invece perseguire una strategia di partecipazione attiva alla sua definizione, cercando di far emergere e di cogliere le opportunità che dovessero generarsi per la presenza della nuova infrastruttura. L’Amministrazione comunale di Jesi, infatti, ritiene che sia necessario operare in modo da costruire impatti positivi e non solo da mitigare o compensare quelli negativi. In questo senso, nel quadro degli studi preliminari per la Variante ge-
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nerale del Prg e per il Piano strategico della città, intende procedere ad una verifica delle eventuali opportunità offerte dallo scalo merci e dalla sua integrazione con l’interporto, invitando la Regione Marche e gli altri attori coinvolti nel progetto ad un confronto sulle prospettive di sviluppo locale. Auspica, in particolare, il coinvolgimento dell’Amministrazione regionale nella costruzione di una ipotesi strategica di sviluppo per l’area di Jesi, che possa mobilitare attorno ad obiettivi condivisi anche adeguate risorse finanziarie. Il valore aggiunto del contributo jesino, in un processo decisionale ormai maturo, riguarda l’attivazione di un patrimonio di conoscenze e competenze territoriali, le sole attraverso le quali è possibile valorizzare la nuova infrastruttura.
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6. Piani per la mobilità e rilievo
6.1 I piani di settore
Sono presi in esame i seguenti documenti: • Sintagma s.r.l., Piano generale del traffico. Analisi preliminare al P.G.T.U., 1998 • Sintagma s.r.l., Piano generale del traffico. Relazione generale, 2000. Adottato in C.C. • Sintagma s.r.l., Riorganizzazione del servizio di trasporto pubblico urbano del Comune di Jesi, 2001. Adottato in C.C., in fase di attuazione I contenuti sono restituiti in modo sintetico, riportando stralci dei testi originali e riorganizzandoli per brevi capitoli. Piano generale del traffico Analisi preliminare al P.G.T.U., 1998 (anno di elaborazione) Sintagma individua alcuni elementi che fortemente condizionano il sistema della mobilità e dell’accessibilità della città di Jesi: • “la concentrazione medioevale intorno all’Arco del Magistrato, Porta Valle, Porta Bersaglieri e Porta Garibaldi, vissuta come difesa, ma anche come prossimita’ pedonale e accessibilita’ facilitata; • l’Arco Clementino … come preciso “segno urbanistico” di ingresso in citta’, di divisione tra interno ed esterno, momento di separazione tra due assi viari specializzati: il corso, “salotto buono” della citta’ e la via Clementina, asse di collegamento extraurbano; • le vie pedonali specializzate, le famose “coste” (Costa di Mezzalancia, di San Domenico, Baldassini, etc.); • gli spazi pubblici e collettivi che rendono gradevole il camminare e aumentano le soglie di accettazione delle distanze da percorrere a piedi”. • centro storico con prevalente destinazione residenziale (5.430 abitanti su un totale di 41.455, il 13% della popolazione comunale, vive all’interno delle mura); • circonvallazione interna a ridosso delle mura, che separa la mobilità veicolare da quella pedonale; • presenza di numerosi percorsi pedonali che, secondo Sintagma, adeguatamente protetti potrebbero collegare i principali poli di attrazione evitando l’uso dell’auto per spostamenti al di sotto dei 400-500 m; • ingresso e uscita dal centro abitato attraverso 5 vie, tutte omogeneamente caricate e impegnate da un traffico prevalentemente leggero. Problemi rilevati Lo studio rileva la difficoltà ad individuare: • la gerarchia degli assi viari (distinguendo strade a scorrimento veloce, di quartiere, di interesse locale);
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• il sistema degli accessi alla città e in particolare i collegamenti tra il raccordo autostradale e il sistema della città compatta e storica; • il funzionamento dei flussi. Riconosce inoltre come uno dei problemi più rilevanti della mobilità di Jesi il congestionamento del traffico in corrispondenza di alcuni nodi viari (la situazione è aggravata dalla presenza di numerosi semafori non sincronizzati). Principi progettuali guida Secondo il documento preliminare gli interventi per la riconoscibilità della rete automobilistica e pedonale dovrebbero essere accompagnati dalla definizione di interventi infrastrutturali di chiusura della maglia viaria, sia alla scala territoriale (asse sud della zona industriale Zipa 1,2,3) sia a scala urbana (collegamento tra via Puccini e viale del Lavoro). Entro questo quadro propone di perseguire l’obiettivo della fluidicazione lenta dei principali itinerari (asse di viale della Vittoria, asse sud) e di creare stanze con circolazione a senso unico. Si ritiene inoltre interessante recuperare il sistema pedonale di ingresso al nucleo antico, puntando su più direttrici e sulle meccanizzazioni di risalita (ascensori, navette automatiche, scale mobili). Il preliminare sottolinea anche la necessità di riprogettare gli ambiti esterni e periferici, attraverso piani particolareggiati da realizzare in attuazione del piano della mobilità, prevedendo zone pedonali e per il gioco dei bambini e intervenendo secondo i principi del traffic calming. Considerando il trasporto pubblico, delinea la possibilità di utilizzare alcuni sistemi innovativi, quali il telebus, il trasporto a prenotazione, l’uso collettivo dell’automobile. Tipo di documento elaborato La relazione specifica quanto segue: “Il Piano Urbano del Traffico, così come previsto dal nuovo Codice della Strada (art. 36 Legge 285), è reso obbligatorio dalla direttiva del Ministero dei Lavori Pubblici (G.U. del 24.06.95). […] Il Piano della Mobilità del Comune di Jesi si dovrà articolare secondo i 3 livelli di progettazione, individuati dalle direttive ministeriali e in particolare: • 1° livello: redazione del Piano generale del traffico urbano (P.G.T.U.); • 2° livello: redazione dei Piani particolareggiati del traffico urbano (P.P.T.U.); • 3° livello: redazione dei Piani esecutivi del traffico urbano (P.E.T.U.)”. Lo studio “definisce le politiche e gli studi preliminari nella mobilita’ pubblica e privata relativamente all’elaborazione del 1° livello (P.G.T.U.), in riferimento alle analisi preliminari su circolazione, sosta e trasporto pubblico”. Metodo di analisi utilizzato “Nella stesura delle analisi preliminari del Piano Generale del Traffico Urbano e nella finalizzazione di tutti gli elaborati, la Societa’ Sintagma ha applicato e rispettato le procedure previste dal sistema di garanzia qualita’ adottato e certificato (certificato n. 120) in data 07.07.1995 dal CERMET (accreditato SINCERT) secondo le norme UNI EN ISO 900194”. La tabella seguente sintetizza le modalità di rilievo adottate:
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Il rilievo della circolazione ha riguardato in particolare: 1. Porta ovest, S.S. n. 76 Val d’Esino (relazione con Fabriano, Matelica, Perugia) 2. Porta centro, via Marconi (S.S. n. 362 Jesina) (relazione con Macerata, Osimo) 3. Porta est, via Fontadamo (relazione con Ancona) 4. Porta nord-est, via Ancona (S.S. n. 76 Val d’Esino) (relazione con Chiaravalle) 5. Porta nord, via S. Marcello (relazione con S. Marcello, Ostra). al fine di quantificare il traffico di ingresso/uscita nella città 1. Incrocio di via Ancona-via Fontadamo 2. Incrocio di viale Vittoria-via Setificio-via del Lavoro 3. Incrocio di via XXIV Maggio-via Ricci 4. Incrocio di via Gramsci-via Puccini-via Verdi 5. Incrocio di via Grecia-via Verdi-via Cavallotti 6. Incrocio di viale Vittoria-via Papa Giovanni XXIII 7. Incrocio di via Raffaello Sanzio-via San Francesco 8. Incrocio di via M.L. King-via Paladini-via Schweitzer 9. Incrocio di viale Pasquinelli-via Don Minzoni 10. Incrocio di via Cavallotti-via V. Veneto-corso Matteotti-via Suor Cannoni-via Roma 11. Incrocio di via Mazzini-via Rosselli-via del Torrione al fine di studiare gli spostamenti tra parti diverse di città. Risultati Incidentalità. Nel biennio 1996-1997 gli incidenti sono stati 782, distribuiti su tutta l’area urbana. Gli incroci più pericolosi sono stati: • via Grecia-via Verdi-via Cavallotti; • via Sanzio-via San Francesco; È inoltre registrato un numero consistente di incidenti su: viale della Vittoria, via Roma, via Ancona, via Paradiso.
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Circolazione. La tabella che segue descrive il flusso orario rilevato nei 2 giorni di sopralluogo (17-18 marzo 1998, martedì e mercoledì). L’arco temporale studiato è di 12 ore, dalle 7,15 alle 19,15. Sosta. A Jesi, secondo i dati raccolti dal preliminare, esiste una offerta
di circa 3.415 posti-auto regolamentari, dei quali 815 sono a pagamento (circa 300 sono del Garage Mariani, in viale della Vittoria, gli altri sono regolati con parcometro1). Le seguenti 2 tabelle mettono a confronto l’offerta di posti auto disponibili (sommando ai parcheggi “regolamentari” quelli “tollerati”) con la domanda, ovvero con il numero di auto in sosta in quattro differenti fasce temporali. Esiste un apparente equilibrio tra offerta e domanda, ad eccezione Rilievo effettuato martedì 24 marzo (I tabella) ’98 e mercoledì 25 marzo ’98 (II tabella)
della fascia oraria 10,00-11,00. I valori presi in esame sono però aggregati. Il preliminare effettua quindi degli approfondimenti considerando le 10 zone di traffico nelle quali l’area urbana è stata suddivisa (le ZDT derivano dall’aggregazione delle sezioni censuarie). Ne risulta che esiste nel versante sud di Jesi una domanda diffusa di sosta non soddisfatta, che diviene più consistente quando si considera la domanda residenziale.
Note: 1. I posti auto regolati a parcometro sono effettivamente a pagamento dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 20.00.
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La sosta nel versante sud2
La sosta nel versante nord
Il preliminare sintetizza così i risultati: “Il valore complessivo della domanda di sosta, in configurazione diurna, da soddisfare sul mediolungo periodo è quantificabile in circa 900/1000 posti-auto. La domanda di sosta notturna, da soddisfare nel medio-lungo periodo, e’ pari a circa 320/400 posti-auto. Interventi di nuovi parcheggi consentirebbero l’eliminazione della sosta superficiale su strada, in alcune piazze e in vie di particolare pregio storico-architettonico, recuperando qualita’ urbana e spazi pedonali e ciclabili per residenti e turisti”.
Piano generale del traffico urbano Relazione generale, 2000 Adottato in C.C., in fase di attuazione 1. Nella relazione viene ripreso tutto il lavoro sviluppato con l’analisi preliminare. Importante è l’approfondimento con la simulazione del traffico privato, che consente di descrivere i principali spostamenti nell’area urbana. La matrice che segue rappresenta la mobilità giornaliera nell’ora di punta (7,15-8,15) descrivendo le principali 4 relazioni: interno/interno; interno/esterno; esterno/interno; esterno/esterno.
Note: 2. Il dato comprende sia la domanda di sosta inadeguatamente soddisfatta (sosta tollerata), sia quella insoddisfatta (sosta in divieto). Il dato e’ espresso in posto auto
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“In termini percentuali il 63,9% degli spostamenti avviene all’interno del territorio comunale, il 15,2% viene originato all’interno e ha destinazione l’esterno, il 19,4% viene originato all’esterno e ha destinazione l’interno e il 1,5% attraversa il territorio.
È quindi interessato da una relazione di solo attraversamento del Comune circa l’1% degli spostamenti che complessivamente avvengono nel territorio”. Sul sistema degli accessi viene fatto un ulteriore approfondimento. “La presenza della Strada Statale 76, Roma-Ancona, con i suoi tre svincoli (Jesi Ovest, Jesi Centro e Jesi Est) organizza gli ingressi in tre direttrici che alimentano il sistema viario e urbano della sosta secondo i seguenti itinerari: • itinerario ovest (che somma gli ingressi lato Fabriano con quelli in uscita dalla S.S. 76) con un valore medio orario di circa 840 veic/equivalenti con un peso percentuale medio del 28%. Questa direttrice confluisce su via Roma e da qui si dirama verso via Gallodoro (asse sud); • itinerario centrale con utilizzo della S.S. 362 Jesina, via Marconi, nuova bretella con sottovia sulla ferrovia Orte-Falconara con un valore medio orario di circa 650 veic./equivalenti per una incidenza percentuale media del 22%; • itinerario est con la convergenza dei flussi in uscita dallo svincolo Jesi Est e le provenienze dalla direttrice Ancona. Dalla porta est confluiscono mediamente in un’ora circa 1.300 veic./equivalenti per una incidenza percentuale del 43%; • itinerario nord (via San Marcello) con provenienze dalla direttrice Monsano che risulta quello a minor flusso con un valore medio orario di circa 233 veic./equivalenti per una incidenza media dell’8%”. 2. La proposta del P.G.T.U. si articola su più livelli: realizzazione di nuovi tratti stradali (la bretella nord che dovrebbe consentire l’accesso all’Ospedale Murri), ridisegno delle sezioni stradali (di viale della Vittoria, via Gorgolungo, via del Lavoro-via Ancona, via del Prato), creazione di nuovi parcheggi (nella zona Porta Valle, in via Mastella, in via Mercantini), riorganizzazione della circolazione e della sosta. In
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particolare gli interventi proposti possono essere così riassunti:
Gli ingressi Asse di via del Lavoro-via Ancona. Secondo il piano rappresenta uno degli assi principali di penetrazione alla città. Per risolvere il problema di una circolazione non fluida Sintagma ipotizza la sostituzione dei semafori con rotatorie. Variante nord. Si ammette la possibilità di un bretella che connetta l’area di via Verdi con viale della Vittoria, in corrispondenza dell’intersezione con via San Giuseppe. Sono prese in considerazione due ipotesi: 1. bretella via del Lavoro-via Puccini attestata all’intersezione via Puccini-via Bixio; 2. bretella via del Lavoro-via Puccini ed antenna diretta all’area dell’Ospedale di via Murri. Area via del Setificio-via S. Giuseppe-via del Lavoro. Si propone un itinerario di ingresso alla città compatta “più intuitivo e riconoscibile”, modificando la circolazione del sistema viario compreso tra via del Setificio e via San Giuseppe (si prevede l’inversione dei sensi unici). Il collegamento degli assi di viale della Vittoria, via del Lavoro e via Don Minzoni, via XXIV Maggio è invece assicurato dalle vie San Giuseppe e del Cascamificio, più lontane dalla parte alta della città. Gli assi “interni” Asse sud. Il sistema di via Gallodoro, via del Prato e via XXIV Maggio costituisce una parte dell’asse sud, che prosegue con via don Minzoni verso la zona industriale. Il piano individua assetti diversi lungo il suo sviluppo: via Gallodoro, fra le intersezioni di via del Molino e via Battisti, è classificata come strada di quartiere, mentre presenta connotazioni tipiche di una strada interquartiere nel tratto rimanente. Hanno il ruolo di strada interquartiere, per tutta la loro estensione, anche le vie del Prato e XXIV Maggio. Il progetto prevede uno spartitraffico su via del Prato, l’introduzione di 3 rotatorie, la riorganizzazione dei sensi di marcia. Viale della Vittoria. Il piano rileva che viale della Vittoria non ha un chiaro ruolo all’interno del sistema viario. Attualmente svolge molteplici funzioni, legate alla sua vocazione di asse distributivo, di attraversamento, di penetrazione… Lo stesso disegno della sezione stradale non aiuta: oscilla tra 24,5 m e 26,7 m di ampiezza ma non è ben organizzata, tanto che i flussi veicolari tendono ad incolonnarsi su una unica corsia, con la creazione di spazio utilizzato per la sosta vietata in doppia fila. I parcheggi laterali sono a spina di pesce con notevole spreco di spazio; i marciapiedi sono ridotti tanto da rendere difficoltoso il passaggio pedonale. Il progetto è volto a definire una “nuova passeggiata” attraverso interventi di fluidificazione lenta (rotatorie, piazze “traversanti”). Viene sottolineato che la diminuzione del numero di posti auto deve essere compensata dalla realizzazione del parcheggio Mercatini. I parcheggi Il valore complessivo della domanda di sosta, in configurazione diurna, nel medio-lungo periodo è quantificabile in ca. 900/1000 posti auto. La domanda notturna è pari a ca. 320/400 posti auto. Il piano propone un riequilibrio degli accessi e lo spostamento della sosta a tempi lunghi dalle aree centrali alle zone più esterne. In particolare prevede: • l’eliminazione dei parcheggi esistenti in piazza Oberdan, piazza Pergolesi e nel cortile dell’ex Appannaggio per restituire tal spazi
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alla fruizione esclusivamente pedonale; • il potenziamento del parcheggio Zannoni a sud di corso Matteotti, già collegato al centro storico con un sistema di risalita (che verrà ulteriormente allungato); • la creazione di nuovi parcheggi nella zona Porta Valle, in via Mastella, in via Mercantini. Altri parcheggi esistenti sono quelli delle Conce e di piazza Baccio Pontelli. Il quadro della domanda
Il quadro dell’offerta
La circolazione nelle zone residenziali Le aree prese in considerazione sono: • via XX Settembre, via del Molino, via Contadini. Per risolvere i problemi legati alla sicurezza, rilevati dalla stessa Circoscrizione, il P.T.G.U. ipotizza l’istituzione del senso unico per diversi tratti; • piazza Bramante, via Raffaello Sanzio, via S. Francesco, via Gioacchino Rossini. La circolazione viene organizzata per “stanze” al fine di spezzare il flusso veicolare monodirezionale. I percorsi si allungano, la velocità di transito diminuisce, a vantaggio della sicurezza; • via Lauro, via Elia, via De Bosis Recependo la proposta della Circoscrizione, il piano propone di introdurre la circolazione a senso unico, in modo da creare una “stanza” chiusa su via Gramsci; • intersezione tra viale Cavallotti, via Grecia, via Verdi. L’incrocio, oggi regolato con regime di precedenza all’asse principale, viene ristrutturato con la realizzazione di una rotatoria non sormontabile. Le piazze pedonali e le zone a traffico limitato Il piano sottolinea il fatto che pochi sono i centri di crinale che, come Jesi, possono vantare una edificazione storica agevolmente percorribile a piedi. Il progetto prevede in questo senso: • la definizione di un sistema di piazze pedonali tra corso Matteotti e via Pergolesi: piazza Oberdan, piazza Pergolesi, piazza della Repubblica, piazza Indipendenza, piazza Spontini, piazza Don Minzoni, piazza Federico II;
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• l’estensione della zona a traffico limitato a tutta la città dentro le mura. Si sottolinea però anche che tali ipotesi sono realizzabili sul lungo periodo, a condizione che vengano prima attuati gli altri interventi infrastrutturali previsti dal P.G.T.U. Le piste ciclabili Al tempo della redazione del P.G.T.U. erano già stati realizzati due percorsi ciclabili: uno a sud della città murata, tra Borgo Cartiera e via Castelfidardo; uno in via Campolungo. In appalto era il tratto che unisce via del Moreggio con il Ponte S. Carlo. Due erano invece i tratti in progetto: quello che unisce Ponte S. Carlo con l’Oasi WWF, il collegamento tra Borgo Cartiera e via Campolungo. 3. Le ipotesi sviluppate dal Piano Generale del Traffico Urbano possono essere prese in esame considerando: • il modo in cui viene interpretato l’impianto infrastrutturale, • gli effetti sulla distribuzione del traffico, • il grado di attuazione delle scelte. Per quanto riguarda il primo aspetto, confrontando la logica del P.G.T.U. con le scelte del Piano regolatore vigente, emerge che: • il ruolo fondamentale attribuito dal Prg all’asse sud non è rimarcato. Si riconosce la sua articolazione in tratte distinte. La tavola Classifica funzionale delle strade e degli spazi stradali mostra che l’asse sud è dato dalla giustapposizione di strade interquartiere e di strade di scorrimento. Gli interventi previsti non sono però tesi alla ridefinizione chiara del ruolo dell’intero tracciato, ma si limitano alla realizzazione di una serie di rotonde nei punti di snodo, prevalentemente lungo via Gallodoro; • viale della Vittoria viene letto come boulevard, nel rispetto dell’impostazione data dal Prg vigente. Il boulevard è interpretato seconda una specifica declinazione, quella di “strada del passeggio”, riducendo la reale capacità e vocazione di viale della Vittoria ad essere strada di scorrimento. Piazze traversanti, interventi di rallentamento del traffico e rotonde sono le soluzioni previste; • l’asse nord costituisce la vera novità rispetto alle previsioni del Prg vigente (molto più evidente nei disegni che non nella relazione). Proposto per incidere sul traffico di via Erbarella, l’asse nord appare efficace in questo senso soprattutto per la prima tratta (quella che si attesta all’intersezione di via Puccini-via Bixio). Non sembra comunque rappresentare una alternativa generale al sistema di ingressi alla città da nord. Relativamente al secondo punto, gli effetti del PGTU sulla distribuzione del traffico, l’immagine appare più sfuocata. Il P.G.T.U. concentra l’attenzione sugli spostamenti del traffico privato che hanno origine e destinazione all’interno del territorio comunale (in quanto, secondo le simulazioni effettuate, incidono per quasi il 64% sulla mobilità giornaliera dell’area urbana). Il piano punta sulla fluidificazione lenta del traffico, mediante interventi mirati (prevalentemente rotonde), lungo i principali assi di attraversamento e nei punti di maggior traffico. La filosofia di intervento appare quindi soft, tanto che il ruolo Note: 3. Gli incrementi di mobilità (con valore pari al 3% medio annuo) vengono attribuiti per metà al T.P.L. e per metà al trasporto privato.
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delle strade viene nella maggior parte dei casi confermato. Forse anche per questo, non è allegato uno schema sintetico che illustri l’organizzazione complessiva della circolazione secondo il progetto finale. Lo schema sarebbe utile per descrivere anche il funzionamento attuale. Tra quali parti di città avvengono i principali spostamenti? Che incidenza hanno la Zipa e l’asse commerciale sul funzionamento complessivo del cosiddetto “asse sud”? Come vengono usate le strade dell’area di espansione a nord per accedere all’asse trasversale viale Cupramontana-viale della Vittoria-via del Lavoro e al centro storico? Quali sono quindi i flussi e le pratiche d’uso di tratte viarie dalle caratteristiche tecniche differenti e dai ruoli confusi, esito di progetti interrotti? Da non sottovalutare, inoltre, è il peso dei nuovi poli di attrazione recentemente costruiti (ad esempio i centri commerciali) e in costruzione (l’ospedale), come pure le ricadute del progetto dell’Interporto e dello Scalo merci sui flussi locali. Fattori che dovrebbero forzare la visione del P.G.T.U. per ora tutta interna all’edificato. Dal punto di vista del grado di attuazione, gli interventi del P.G.T.U. più importanti non sono stati ancora attuati (sistemazione di viale della Vittoria e tracciamento dell’asse nord). Sono state invece realizzate alcune rotonde nei punti nevralgici, come quella in corrispondenza dello snodo tra via Gallodoro, via del Prato, via Molino e tra via Don Minzoni e via Pasquinelli, peraltro previste prima del P.G.T.U. Esistono quindi le condizioni per ripensare l’impianto generale, dopo ipotesi e stagioni alterne: il piano degli anni ’60 che introduceva la struttura ad anelli con la grande circonvallazione esterna; il piano Secchi che contrapponeva a questo-forse tardivamente-uno schema lineare di attraversamento est-ovest; le varianti successive sostanzialmente contrarie al Prg, ma non abbastanza efficaci da proporre una soluzione alternativa.
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Rilevamento flussi veicolari 2004 (da Gruppo Agenda 21L, Jesi. Rapporto sullo Stato dell’Ambiente, giugno 2004) Nel 2004 Sintagma ha rilevato nuovamente i flussi veicolari in corrispondenza delle 5 “porte” di ingresso/uscita dal centro abitato:
L’analisi rivela un aumento dei flussi rispetto al 1998, sia in ingresso che in uscita da Jesi.
Flussi di traffico al cordone aggregati in entrata. Confronto 1998/2004 (veicoli equivalenti/ora)
Flussi di traffico al cordone aggregati in uscita. Confronto 1998/2004 (veicoli equivalenti/ora)
È confermato che, come nel 1998, il maggior carico riguarda le prime 4 porte (i flussi di via S. Marcello continuano a rimanere decisamente minori).
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Flussi in entrata e in uscita
Riorganizzazione del servizio di trasporto pubblico urbano del Comune di Jesi, 2001 Adottato in C.C., in fase di attuazione “Il Comune ha programmato la riorganizzazione del servizio di trasporto pubblico urbano in relazione alla riduzione del monte-km imposta dalla Provincia di Ancona e con l’obiettivo di meglio adeguare l’offerta di trasporto alle modifiche intervenute nell’organizzazione urbanistica della città”4. Lo studio condotto da Sintagma si colloca all’interno di questo quadro e affronta l’argomento spaziando dalla riorganizzazione dei percorsi delle linee urbane alla scelta della migliore politica per l’applicazione delle tariffe. Considerando i dati della matrice origine/destinazione (ricavata durante la redazione del Piano urbano del traffico e calcolata sulla base dei dati Istat) sono individuate le aree con maggior grado di attrattività: le zone del centro storico, la macrozona 27 con il maggior numero di addetti (ZIPA) e la zona 15 con il maggior numero di abitanti (chiesa di S. Sebastiano, a sud-est). Sono quindi analizzati i percorsi delle 6 linee urbane, i tempi medi di percorrenza, il numero di corse. Tutte le linee collegano il centro con i quartieri esterni, passano dalla stazione FS (ad eccezione della linea 2) e dall’Autostazione. Solo le corse con funzione scolastica risultano ben utilizzate. Allo scopo di migliorare il servizio, lo studio traccia i nuovi percorsi e suggerisce quanto segue: • consentire l’attraversamento di corso Matteotti e piazza Repubblica solo mediante bus piccoli e dotati di motore elettrico; • utilizzo del trasporto extraurbano per i tratti che ricadono nel territorio comunale; • coordinamento tra esercizio del trasporto pubblico e gestione della sosta (ad esempio applicando tariffe integrate per sosta ed uso del mezzo pubblico); • ristrutturazione della rete del trasporto pubblico secondo alcuni principi base: migliorare l’accessibilità al centro; utilizzare mezzi piccoli per l’accesso al centro; mantenere lo stesso monte chilometrico finanziato dalla Regione; sostenere l’integrazione tariffaria; adottare la tariffazione oraria.
Note: 4. Le modifiche alle quali Sintagma si riferisce sono: lo sviluppo residenziale a nord, il recupero residenziale di aree a sud del centro urbano, il progressivo trasferimento delle attività ospedaliere, lo sviluppo dell’area Zipa, la creazione di nuovi centri commerciali.
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6.2 Una ricognizione
La lettura del Piano Generale del Traffico Urbano ha consentito di focalizzare l’attenzione su alcuni temi e luoghi critici dal punto di vista della mobilità. Ha permesso inoltre di costruire un’immagine della città - articolata in “strade d’ingresso”, “circonvallazione interna”, “nucleo medioevale” - rispetto alla quale collocare gli interventi strutturali e di regolamentazione del traffico definiti dai documenti ufficiali. La medesima immagine ha accompagnato i sopralluoghi. Durante i rilievi fotografici le singole parti della città sono state osservate considerando il loro ruolo rispetto all’organizzazione complessiva della mobilità. Sono state quindi prese in esame le caratteristiche principali degli assi e i progetti in corso, annotando gli aspetti rilevanti, le questioni aperte, i punti sfuocati… Le tavole che seguono restituiscono l’esito di questa ricognizione.
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7. Simulazioni su mobilità e infrastrutture
7.1 Mobilità e infrastrutture nella pianificazione urbanistica della città di Jesi: il contributo dei modelli di simulazione
L’organizzazione infrastrutturale e la riconfigurazione di modelli di mobilità e accessibilità per la città di Jesi, contestuale alla predisposizione del “piano-idea”, è stata accompagnata da una accurata analisi della situazione attuale, della ricostruzione dei comportamenti dell’utenza del “sistema città”, dalla simulazione dei nuovi scenari organizzativogestionali con previsione di nuovi interventi traguardati allo scenario 2020.
7.2 Assegnazione della matrice di domanda alla rete viaria attuale
La prima fase di studio della mobilità veicolare nella città di Jesi è stata mirata all’aggiornamento ed alla calibrazione del modello matematico di simulazione del traffico privato. In questo ambito è stato verificato ed aggiornato il regime circolatorio attuale, modificando, ove necessario, gli archi viari esistenti ed aggiungendo quelli relativi alle nuove viabilità; in corrispondenza dei nodi viari, è stato verificato e modificato, ove necessario, il regime di precedenza o di regolazione semaforica, nonché le manovre permesse e vietate. Sulla base dei flussi veicolari rilevati in corrispondenza degli archi monitorati, è stato possibile aggiornare la matrice origine/destinazione relativa all’intervallo orario di riferimento. La matrice origine/destinazione calibrata è sintetizzata, per blocchi, nelle seguenti tabelle:
Quasi il 60% degli spostamenti si svolge interamente in ambito urbano; si evidenzia una lieve prevalenza degli spostamenti in ingresso da Jesi dall’esterno della città, rispetto a quelli in uscita. L’assegnazione della matrice di domanda alla rete viaria esistente evidenzia l’importanza dei due assi viari longitudinali, a sud e nord del centro storico, sui quali si registrano flussi veicolari fino o 1200 veicoli eq/h in una direzione; rilevante risulta pure l’utilizzo delle viabilità trasversali, per il collegamento dell’area residenziale oltre viale della Vittoria; in particolare i flussi principali si registrano su via Papa Giovanni XXIII e via Erbarella, i cui nodi di innesto su viale della Vittoria sono semaforizzati.
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Rispetto ai valori di flusso rilevati nell’ambito del PGTU del 1998 si nota una ridistribuzione dei flussi dalle viabilità trasversali di via Papa Giovanni XXIII e via Erbarella; di fatto, se in via Erbarella si osservano incrementi di flusso di circa il 20% dei valori PGTU, su via Papa Giovanni XXIII i valori di flusso in accesso a via della Vittoria si riducono di circa il 35% dei valori di PGTU, attestandosi a circa 600 v.eq/h. Sull’asse di via del Lavoro, all’altezza della zona artigianale ed industriale, i flussi veicolari superano i 1300 veicoli eq per direzione nell’intervallo di simulazione: la fluidificazione di questo asse viario risulta dunque opportuna, in relazione all’innalzamento conseguibile dei livelli di servizio e della regolarità circolatoria.
7.3 Simulazione degli scenari di progetto
La simulazione degli scenari di progetto permette la verifica della corretta rispondenza della rete viaria di progetto alle istanze della mobilità futura; si rende pertanto necessario pervenire ad una matrice origine/destinazione di progetto, che tenga conto degli incrementi e delle variazioni della domanda di mobilità conseguenti agli interventi sui sistemi residenziali, produttivi e terziari previsti nel Piano Regolatore. La matrice O/D di piano La matrice origine/destinazione futura è stata ricavata a partire da quella calibrata del 2004, considerando sia i principali interventi urbanistici previsti dal piano, sia il trend evolutivo della mobilità privata, derivante dai dati di traffico registrati nell’area di Jesi negli anni fra il 1998 ed il 2004. A tal fine sono stati considerati: • il trasferimento dell’Ospedale Civile dall’area di viale della Vittoria, con l’ampliamento dell’Ospedale Murri; • il carico insediativo derivante dagli interventi edilizi previsti nell’area collinare di Jesi (Via Appennini), stimabile in circa 340-400 nuovi insediati; • il potenziamento del sistema residenziale complessivo, che prevede con il completamento degli interventi di piano un incremento della popolazione residente stimabile in 3500 unità; • la collocazione di alcune nuove polarita’ a valenza extracomunale. Lo scenario temporale di riferimento per le simulazioni è quello del completamento degli interventi di piano, nell’anno 2020; le simulazioni sono relative all’intervallo orario 7,15 - 8,15. Pertanto, nella matrice degli spostamenti, prevalgono le componenti relative agli spostamenti sistematici casa-lavoro e casa-scuola, mentre risultano più contenuti quelli relativi alla fruizione del sistema commerciale, dei servizi e del tempo libero. Il trend evolutivo della mobilità è stato stimato a partire dai dati di traffico veicolare registrati sugli archi della rete viaria jesina fra il 1998 ed il 2004; in questi anni i volumi di traffico hanno infatti subìto incrementi annui medi superiori al 5%, a fronte di variazioni modeste della popolazione residente. Tali incrementi derivano da un lato dal consolidamento del sistema industriale e produttivo della città, dall’altro dal progressivo trasferimento della domanda di trasporto dal vettore pubblico verso quello privato e dalla crescita degli spostamenti legati alla fruizione dei servizi e del tempo libero (che condiziona gli utenti nella scelta del vettore di trasporto favorendo l’uso dell’auto privata). Nel lungo periodo, secondo le indicazioni del Piano generale dei Tra-
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sporti e della Logistica del 2001, la crescente congestione della rete viaria extraurbana, i costi crescenti del trasporto veicolare privato e gli interventi al sistema dei trasporti pubblici locali su ferro e su gomma contribuiranno a riequilibrare lo share modale a favore dei sistemi del trasporto pubblico. Pertanto è stato ipotizzato un andamento decrescente nel tempo del tasso di crescita della domanda di trasporto privato. Per la stima del trend di crescita della domanda sono stati utilizzati i seguenti tassi di crescita annui: • fra il 2004 ed il 2008 un tasso di crescita ß =5%; • fra il 2009 ed il 2013 un tasso di crescita ß =4%; • fra il 2014 ed il 2017 un tasso di crescita ß =3,5%; • fra il 2017 ed il 2020 un tasso di crescita ß =3%. La matrice origine destinazione di progetto, relativa all’anno 2020, è sintetizzata per blocchi nelle seguenti tabelle:
Lo scenario zero di invarianza infrastrutturale In una prima fase la matrice di domanda di progetto è stata assegnata alla rete viaria attuale; lo scenario di simulazione così definito costituisce uno scenario di riferimento per l’individuazione delle criticità potenziali sulla rete viaria, l’individuazione della priorità degli interventi infrastrutturali e gestionali per la fluidificazione della rete e la verifica dei livelli di efficienza ed efficacia degli interventi prospettati. La simulazione mette in evidenza un diffuso stato di congestione, con l’abbattimento dei livelli di servizio in corrispondenza dell’intera rete viaria urbana principale; in particolare, sull’asse di via del Lavoro si registrano flussi veicolari superiori a 2800 veicoli eq. per direzione, mentre su viale della Vittoria i valori massimi si attestano a circa 1600 veicoli eq. per direzione. Sull’asse sud i flussi raggiungono valori massimi di 1900-2100 veicoli eq/h per direzione; tali valori, ancora teoricamente compatibili con la capacità degli archi, sia pure con bassi livelli di servizio, mettono in crisi le principali intersezioni, in particolare quelle semaforizzate, abbassando drasticamente i livelli di fluidità circolatoria sull’intera rete. Nelle aree a maggiore valenza residenziale, i valori di flusso stimati evidenziano ulteriori criticità, legate essenzialmente alla compatibilità con le istanze della qualità urbana. Gli interventi previsti sulla rete viaria La verifica dello scenario di Piano Regolatore è stata attuata introducendo sulla rete viaria di progetto i principali interventi infrastrutturali previsti dal piano: • il sottopasso di viale della Vittoria su via Cupramontana, che prolunga di fatto ad est l’asse di viale della Vittoria, verso la direttrice di Fabriano; • il potenziamento e la riqualificazione della viabilità collinare ad ovest della città e la realizzazione di nuove bretelle per il collegamento dell’Ospedale Murri, alternative all’attuale accesso; • la riqualificazione dell’accesso est alla città, attraverso un nodo a livelli sfalsati sulla S.S. 76 della val d’Esino; • il collegamento fra la S.S. della val d’Esino e la S.S. 362 iesina,
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attraverso la realizzazione di una viabilità di progetto con rotatorie, che eviti gli attuali tratti in ambito periurbano; • la riqualificazione dell’asse di viale della Vittoria, con la realizzazione di controviali e rotatorie in corrispondenza dei nodi di via Giovanni XXIII e via Erbarella; • la fluidificazione dei nodi di traffico su via del Lavoro–via Ancona e via del Prato-via XXIV maggio, mediante la realizzazione di rotatorie; • l’eventuale realizzazione di un’asta viaria fra via del Lavoro e via Erbarella, con innesto in corrispondenza di via dei Fiori. I risultati delle simulazioni Le simulazioni sullo scenario di PRG, relativo all’anno 2020 mettono in evidenza una buona efficacia degli interventi di progetto; in particolare, il potenziamento o la realizzazione delle nuove viabilità “di cintura” contribuisce ad una ridistribuzione dei flussi veicolari su più assi viari, oggi non possibile per la mancanza di alternative infrastrutturali, e contribuisce in modo deciso al contenimento degli incrementi di traffico veicolare nelle aree più urbanizzate. L’attraversamento di viale della Vittoria su via Cavallotti è interessato da flussi orari di 740 veicoli eq in direzione di viale della Vittoria e 480 veicoli eq in direzione inversa; il sottoattraversamento contribuisce alla decongestione del nodo di via Cavallotti-via Vittorio Veneto-corso Matteotti, con riduzioni dei flussi veicolari rispetto allo scenario 0 di invarianza infrastrutturale fino a 1400 veicoli eq/h. L’asse di viale della Vittoria, per effetto della ridistribuzione dei flussi verso il sistema degli insediamenti collinari (ad opera delle nuove viabilità di progetto e della regolazione delle intersezioni con rotatorie che riducono le percorrenze passive legate alle attuali limitazioni per la svolta a sinistra), mantiene livelli di flusso poco dissimili dagli attuali, con incrementi massimi contenuti entro 200-300 veicoli/h per direzione, e compatibili con la capacità dell’asse stesso a seguito degli interventi di riqualificazione; rispetto allo scenario 0 si registrano riduzioni di flusso consistenti, fino a 700 veicoli eq/h all’altezza dell’intersezione con via Giovanni XXIII. L’adeguamento delle viabilità esistenti ad ovest, verso l’area di via Appennini ed il nuovo accesso all’Ospedale Murri, contribuisce a decongestionare gli assi di via Cavallotti e via Giovanni XXIII, producendo una efficace ridistribuzione dei flussi veicolari sugli archi che si dipartono a pettine da viale della Vittoria, ed allontanando alcune componenti dagli ambiti a massima valenza urbana; i flussi massimi evidenziati dalle simulazioni, pari a circa 1100 veicoli eq/h totali nei due sensi di marcia, risultano compatibili con le caratteristiche previste per gli assi viari. Il modello di simulazione consente di verificare solo in modo parziale l’efficacia del nuovo accesso all’ospedale Murri, in quanto nell’intervallo di simulazione la domanda attratta e generata dalla struttura sanitaria risulta limitata, non comprendendo (se non in piccola parte) né gli spostamenti sistematici del personale impiegato (i turni normalmente iniziano alle 7), né quello dei visitatori, che si concentra nelle ore centrali della giornata ed in quelle serali. Il collegamento di progetto fra la S.S. 76 della val d’Esino e la S.S. 362 jesina risulta efficace per l’allontanamento dagli assi urbani di un flusso complessivo di circa 900 veicoli eq/h totali; si tratta prevalentemente di relazioni da e verso la superstrada, attestate sull’area collinare a sud della città, che oggi percorrono l’itinerario per via del Prato-via XXIV maggio, attraversando la ferrovia in corrispondenza del sottopasso carrabile a nord della stazione ferroviaria. L’effetto prin-
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cipale della nuova bretella sulla rete attuale consiste pertanto in una riduzione dei flussi veicolari sull’asse sud, con massimi di circa 550 veicoli eq/h in corrispondenza di via Gallodoro. La bretella di progetto fra via dei Fiori e via del Lavoro è stata simulata ipotizzando un tracciato che si innesti in basso all’altezza del nodo di via Garibaldi (regolato con rotatoria) e che sfrutti nel tratto terminale verso via Erbarella il tratto terminale di via dei Fiori. Nella simulazione è stata ipotizzata l’eventuale introduzione di un senso unico nel tratto di via Erbarella adiacente all’intersezione di via dei Fiori, ed il divieto di svolta a sinistra da via dei Fiori verso via Erbarella. Le simulazioni hanno evidenziato un carico veicolare sul nuovo arco viario di 1220 veicoli eq/h verso via del Lavoro, e circa 1000 veicoli eq/h da via del Lavoro; il tratto terminale di via Erbarella verso il viale della Vittoria è interessato da un flusso di circa 730 veicoli eq/h; la nuova bretella produce pertanto una decongestione del nodo di via Erbarella-via della Vittoria e di quello adiacente di via del Settificio (facilitando l’inserimento di rotatorie in sostituzione dell’attuale impianto semaforico) ed una ridistribuzione dei flussi, con l’allontanamento da via Erbarella della componente diretta verso Ancona e la zona industriale. L’asse di via Erbarella mantiene una elevata valenza per le relazioni verso viale della Vittoria e verso il centro della città, che non trovano convenienza all’utilizzo del nuovo arco.
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8. Carte geologiche
8.1 Carta geologica
Rappresenta l’elaborato di base dove sono state riportate le formazioni geologiche affioranti. Queste ultime sono rappresentate dal substrato di origine marina, costituito prevalentemente da argille marnose e limitatamente da sabbie ed arenarie e da terreni di origine continentale caratterizzati da alluvioni terrazzate della pianura del fiume Esino e alluvioni dei bacini minori. Le argille marnose, dove affioranti, costituiscono buoni terreni di fondazione, ma per la loro bassa resistenza all’alterazione possono generare lungo i versanti spesse coltri di materiali colluviali, frequentemente interessati da fenomeni gravitativi. Le alluvioni fluviali sono suddivise in quattro ordini di terrazzi, generalmente separati da ripide scarpate o gradini morfologici. Sono generalmente costituite da sedimenti ghiaiosi, spesso ricoperti da spessori variabili di limi-argillosi e limi-sabbiosi. La morfologia pianeggiante e le buone caratteristiche geotecniche dei materiali ghiaiosi rappresentano condizioni ottimali per l’edificazione di tali terreni. Più attenzione dovrà essere posta nelle aree dove è presente una copertura limo-argillosa, in particolare nella scelta della profondità di immorsamento delle fondazioni.
8.2 Carta geomorfologica
La carta geomorfologica è senza dubbio l’elaborato più significativo ai fini della programmazione urbanistica del territorio. Infatti le frane ed i processi rilevati e cartografati costituiscono i principali caratteri per l’elaborazione della successiva carta delle pericolosità geologiche. Nella tavola geomorfologica i fenomeni che interessano il territorio sono stati cartografati in funzione della loro genesi. Le forme ed i processi più significativi sono i seguenti: • Forme, depositi e processi dovuti all’azione della gravità: sono state delimitate tutte quelle aree di versante interessate da fenomeni gravitativi, suddivisi per tipologia di dissesto, da quelli più superficiali, a quelli più profondi ed estesi e pertanto a maggiore pericolosità. Interessano prevalentemente le zone agricole dei versanti collinari, mentre nel perimetro urbano non sono stati individuati fenomeni di dissesto, ad eccezione del versante in destra idrografica della valle del Torrente Granita, limitrofo all’abitato in corrispondenza della zona Erbarella e della zona di via dell’Agraria. In funzione dell’entità del fenomeno, a queste aree è stato assegnato
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un grado di pericolosità medio, alto e molto alto. Ciò si traduce nella possibilità di edificare con prescrizioni (edificazione condizionata), o nel divieto di edificazione (edificazione sconsigliata). • Idrografia superficiale: nelle aree circostanti il Fiume Esino è stata delimitata la zona soggetta ad esondazioni con fenomeni assimilabili ad eventi con tempi di ritorno di 200 anni, in conformità alla cartografia elaborata dalla Regione Marche per la predisposizione del P.A.I. (Piano di Assetto Idrogeologico delle Marche). Sono state inoltre inserite altre zone soggette recentemente ad alluvionamento, non comprese nel P.A.I.. Tali aree sono state classificate a pericolosità molto alta e pertanto escluse da qualsiasi progetto di edificazione. Con una diversa simbologia sono stati anche cartografati i tratti di reticolo idrografico minore scomparsi per obliterazione, i tratti di fossi e torrenti intubati e rivestiti. Anche se a tali aree è stata associata una pericolosità bassa, rappresentano comunque delle zone sensibili, dove dovranno essere verificate le condizioni idrauliche ed idrogeologiche al contorno. Si consiglia inoltre di controllare periodicamente le funzionalità dei tratti dei corsi d’acqua intubati. Altri punti sensibili, riportati nell’elaborato, sono rappresentati dalle aree soggette ad allagamenti per l’elevata impermeabilizzazione dei terreni, associata alla insufficiente capacità di deflusso delle acque meteoriche.
8.3 Carta litotecnica
In questo elaborato vengono distinti i terreni del substrato Plio-Pleistocenico da quello delle coperture. La carta deriva da un’analisi condotta prevalentemente su base litologica ed offre un quadro sintetico delle caratteristiche fisico-meccaniche dei litotipi. Le argille-marnose del substrato, come già accennato, rappresentano per le loro proprietà geomeccaniche, dei buoni terreni di fondazione. I terreni di copertura sono stati suddivisi in depositi alluvionali ed in coltri eluvio-colluviali. I depositi alluvionali sono rappresentati prevalentemente da ghiaie e sabbie, caratterizzate da elevati valori dei parametri geotecnici. L’edificazione su tali aree non determina problematiche particolari. Nelle aree dove le ghiaie sono ricoperte da depositi limo-argillosi, nelle alluvioni dei bacini minori, costituiti prevalentemente da litotipi argillosi, come pure nelle coltri di alterazione, si dovrà porre particolare attenzione nella scelta della profondità di immorsamento delle fondazioni. Infatti i litotipi limo-argillosi risentono in modo particolare delle variazioni di umidità, dovute ai cambiamenti climatici stagionali. Gli strati più superficiali sono soggetti a rigonfiamenti in condizioni di umidità e a successive diminuzioni di volume nelle stagioni secche. Conseguentemente quando il sistema fondale risulta troppo superficiale, i manufatti sono soggetti a dissesti che si manifestano con lesioni e rotture delle strutture murarie.
8.4 Carta idrogeologica
La carta idrogeologica è stata elaborata misurando 125 pozzi ubicati lungo la pianura alluvionale, nella porzione di territorio compreso tra il confine ovest (località Pantiere) ed il confine est (località Coppetella)
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del Comune di Jesi. Le misure freatimetriche sono relative all’acquifero contenuto nei depositi alluvionali di subalveo appartenenti al III° e IV° ordine di terrazzi. Dalla rappresentazione ad isofreatiche elaborata vengono evidenziate le principali caratteristiche dell’acquifero: i rapporti falda-fiume, gli spartiacque sotterraneri, gli assi di drenaggio. Questi ultimi in particolare rappresentano vie preferenziali per il movimento delle acque e sono generalmente impostati su dei paleoalvei ( antichi alvei fluviali sepolti). Lungo questi assi, come in prossimità dell’alveo fluviale, si ha la massima vulnerabilità dell’acquifero, essendo queste zone caratterizzate generalmente da elevata permeabilità. Un’attenuazione della vulnerabilità dell’acquifero si registra in corrispondenza di quelle aree dove la copertura limo-argillosa, caratterizzata da bassi valori di permeabilità, presenta spessori rilevanti (>5m). In queste aree l’infiltrazione verticale è molto limitata, poiché l’acqua viene trattenuta principalmente nelle zona insatura. Nella carta delle pericolosità geologiche è stata distinta una pericolosità per vulnerabilità dell’acquifero, suddividendola in due classi: pericolosità alta quando è presente una copertura limo-argillosa con spessore maggiore di 5 m; pericolosità molto alta quando tale copertura risulta assente o con spessore minore di 5 m. Nella programmazione urbanistica del territorio la pericolosità per vulnerabilità dell’acquifero assume particolare importanza, soprattutto nella scelta di localizzazione di aree industriali-artigianali. La presenza di tali insediamenti contribuisce ad elevare il rischio geologico e pertanto per la loro localizzazione dovrebbero essere scelte zone con minore vulnerabilità o comunque, all’interno di un’area industriale, le attività più pericolose dovrebbero essere ubicate in punti dove la vulnerabilità risulti attenuata. Considerato l’elevato valore ambientale dell’acquifero alluvionale, nella progettazione di insediamenti industriali-artigianali, si dovrebbe prevedere la predisposizione di un sistema di monitoraggio, da attuare tramite la realizzazione di pozzi-piezometri, ubicati lungo le principali direttrici di movimento delle acque sotterranee. Il controllo chimico periodico delle acque permette di verificare, in tempi relativamente brevi, la presenza di eventuali contaminazioni. Allo stesso tempo, in caso di inquinamento della falda, la presenza di pozzi di controllo costituirebbe un presidio immediatamente operativo per interventi di bonifica.
8.5 Carta delle pericolosità geologiche
L’elaborato è stato redatto cartografando 5 tipologie di aree (dalla lettera A alla lettera E) scaturite dalla zonazione geologico-geomorfologica del territorio. Per alcune categorie (B e C) sono state fatte ulteriori suddivisioni in funzione di particolari caratteristiche litologiche e geomorfologiche. Ad ogni area omogenea è stato associato un grado di pericolosità, da molto basso a molto alto. Lungo questo percorso l’urbanizzazione del territorio diviene più penalizzata, sino alla totale limitazione all’edificazione. Le classi di pericolosità molto bassa e bassa non presentano particolari problematiche di tipo geologico- geomorfologico e pertanto l’urbanizzazione è consentita nel rispetto della normativa di piano.
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Per le classi di pericolosità media i progetti dovranno essere forniti di studi geologici e geotecnici di dettaglio, comprensivi di indagini geognostiche (sondaggi e prove in situ) estese ad un intorno geomorfologicamente significativo. Nelle aree a pericolosità alta le problematiche geomorfologiche assumono una certa rilevanza e pertanto gli interventi edificatori dovranno essere attentamente valutati, anche con l’ausilio di strumentazioni di monitoraggio geotecnico, in conformità a quanto riportato nelle norme tecniche di attuazione del P.A.I. della Regione Marche. Nelle zone a pericolosità molto alta i fenomeni geologici e geomorfologici sono di rilevanza tale da poter preventivamente escludere nuovi insediamenti e qualsiasi trasformazione del territorio. Nella carta è stata riportata anche la vulnerabilità dell’acquifero che, come già illustrato nel paragrafo precedente, comprende due classi: la pericolosità alta e molto alta. La differenza è dovuta alla presenza di coperture limo-argillose impermeabili maggiori di 5 metri. Anche se la pericolosità per vulnerabilità dell’acquifero non pone limitazioni all’urbanizzazione del territorio (come si può vedere sull’elaborato insiste infatti in un’area pianeggiante, a pericolosità geologicogeomorfologica molto bassa e bassa), dovrà comunque essere tenuta in considerazione nelle scelte di pianificazione urbanistica, per insediamenti a rischio elevato, o nella predisposizione di presidi di controllo ambientale.
8.6 Vocazionalità edificatoria
Rappresenta l’elaborato di sintesi finale che consente di definire, a grande scala, la possibilità di trasformazione del territorio. Nella carta sono state posizionate tre macroaree caratterizzate da diversi livelli di vocazionalità edificatoria: • Edificazione consentita: non vengono poste limitazioni all’edificazione; nelle aree B2a dovranno essere verificate le condizioni idrauliche e idrogeologiche della zona. • Edificazione condizionata: riguarda la aree a pericolosità geologica media e alta. Le indagini geologiche – geotecniche andranno adeguatamente approfondite con l’ausilio di sondaggi, prove in situ e di laboratorio geotecnico. La stabilità dei versanti dovrà essere verificata e seguita in un arco di tempo significativo con strumentazione geotecnica tipo inclinometri e piezometri. • Edificazione sconsigliata: comprende le aree a pericolosità geologica molto alta. Dovranno essere evitati interventi di nuove edificazioni e consentiti solo interventi di recupero e consolidamento di fabbricati esistenti e opere di bonifica del suolo e del sottosuolo.
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9. Varianti
9.1 La valutazione delle varianti
Le varianti alle “schede progetto” del Prg vigente possono riguardare, singolarmente o insieme, quattro aspetti: le quantità (in particolare i rapporti tra spazi privati e spazi pubblici), le destinazioni d’uso, l’assetto urbano, la qualità abitativa. Si tratta di aspetti che dal punto di vista urbanistico non possono essere separati, perché l’uno si ripercuote sugli altri, ma è frequente e comprensibile che, nel senso comune e nella gerarchia di valori assunti in fase istruttoria da parte degli uffici e organi competenti, si dia maggiore importanza ai primi due, perché regolati e regolabili da leggi, perché immediatamente legati ai valori di mercato, perché meno facilmente controvertibili. La considerazione degli aspetti inerenti all’assetto urbano, infatti, implica un’interpretazione della proposta in relazione alle trasformazioni già avvenute in attuazione del Prg e a quelle da esso previste, comporta inoltre il continuo monitoraggio della dinamica urbana. Il controllo della qualità abitativa (che non riguarda la sola residenza, ma anche i luoghi del lavoro, del consumo, dello svago, del movimento), a sua volta, chiama in causa la cosidetta “regola d’arte”, ma anche le consuetudini e il modificarsi nel tempo di domande ed esigenze, aspetti peraltro non sempre facilmente componibili. Assetto urbano e qualità abitativa, dunque, vengono spesso sacrificati per una dominanza dei problemi legati a quantità e usi e per loro intrinseca difficoltà di valutazione. Quando le norme tecniche di un piano urbanistico hanno subito numerosi aggiustamenti, come nel caso di Jesi, in concomitanza con un processo legislativo nazionale e regionale che ha cambiato sensibilmente le regole e introdotto modi diversi di concepire il rapporto tra gli strumenti urbanistici generali e di dettaglio, è più facile che la valutazione delle varianti, espressione delle richieste da parte di operatori e proprietari di aree, si attesti su alcuni aspetti, mettendo in secondo piano gli altri. E può anche accadere che le decisioni prese una per una non risultino coerenti e rendano più complicato il funzionamento della città. La necessità di ricostruire un quadro tendenzialmente coerente e aggiornato delle regole con le quali governare i processi continui di trasformazione della città e le difficoltà intervenute in corso di attuazione sono tra le ragioni che solitamente convincono le amministrazioni a intraprendere una “variante generale” dello strumento urbanistico vigente. La costruzione delle regole nuove avviene mentre l’amministrazione continua a gestire l’applicazione delle vecchie e il coinvolgimento degli estensori della “Variante generale” in «pareri e verifica di compatibilità con gli indirizzi della nuova pianificazione» (come prevede la delibera
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di incarico al Politecnico di Milano) deve trovare un proprio specifico spazio. Alla luce delle premesse fatte e dopo aver preso atto di alcune vicende aperte da tempo, sembra ragionevole, in generale: • confermare un orientamento rigoroso sulle quantità, ovvero la necessità di garantire gli standard urbanistici previsti per legge; • valutare eventuali proposte di cambiamento della destinazione d’uso rispetto alle modifiche che comportano nel carico insediativo, agli impatti ambientali, al ruolo che attribuiscono alla parte di città interessata, avendo come riferimento le scelte del Piano idea; • reintrodurre argomenti relativi all’assetto urbano e alla qualità abitativa, indispensabili per costruire progressivamente una prospettiva condivisa circa i “valori urbani” da perseguire. Questa attività di valutazione delle varianti è molto importante per «apprendere dagli esiti» del Prg vigente (richiesta della delibera di incarico) e per maturare orientamenti normativi tendenti a un trattamento egualitario di proprietari, operatori e cittadini, consonanti con la nuova sensibilità urbanistica. Per questa rilevanza non può che essere un’attività attenta e paziente.
9.2 Contributo alla formulazione del parere sul Quartiere residenziale Le setaiole (scheda progetto Fater), 18 ottobre 2003
Quello in oggetto è un tipico progetto di trasformazione urbanistica, il quale cambia radicalmente la situazione esistente, portando un quartiere residenziale là dove esisteva una fabbrica. Lo fa in una parte di città dove si gioca un cambiamento profondo della struttura urbana, sull’asse di attraversamento sud della città cui il piano vigente ha conferito un ruolo strategico nella prospettiva di ammodernamento di Jesi. Per questo l’assetto urbano della Fater dovrebbe garantire, tramite la strada di attraversamento longitudinale, la creazione di un percorso d’accesso alla risalita, previsto nella prospettiva di legare città bassa e città storica. Nella parte di città dove si troverà il quartiere Le setaiole sarà fondamentale un’offerta consistente e qualificata di parcheggi per favorire l’uso intensivo della risalita, con i vantaggi sul traffico e sulla valorizzazione del centro storico che in città si auspica. Gli otto mesi di lavoro sulla Variante Fater hanno progressivamente acquisito un punto fondamentale per le considerazioni fatte sopra: le aree a standard previste dalla scheda progetto, della quale fanno parte i parcheggi (UP), vanno garantite nella loro interezza: la città ne ha bisogno. Per questo, anche le «ulteriori aree a standard da reperire in sede di piano urbanistico preventivo, all’interno dell’area (o nelle sue immediate vicinanze)» di mq 1.276 (come recita l’art.53 delle Nta) dovrebbero essere recuperate. L’indicazione dell’area limitrofa per completare la quota di standard dovuti, rientra nell’ottica del rafforzamento dell’offerta di aree di sosta “qualificate e utili”. Infatti, le caratteristiche che ha assunto la sistemazione dell’area Fater in seguito alle richieste dell’Amministrazione, per ciò che riguarda il dimensionamento e la localizzazione degli stalli aggiuntivi, non è soddisfacente. Gli stalli ricavati sulla via Setaiole non hanno caratteristiche di urbanizzazione secondaria (ossia di standard urbanistico secondo la legge)
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perché non comprendono i corselli e sono piuttosto parte integrante della sezione stradale, analogamente ai marciapiedi. Sono da considerarsi per questo urbanizzazioni primarie, come si evince anche dall’art. 13 delle Nta. Non si tratta, però, di una questione solo formale, bensì anche di una questione attinente alla “qualità abitativa” delle aree parcheggio. Quelle previste non sarebbero aree qualificate di parcheggio pubblico (proporrebbero ex-novo la situazione-ampiamente deprecata-che caratterizza gran parte delle strade cittadine a causa della mancanza di aree opportunamente attrezzate per la sosta prolungata), gestibili e regolamentabili per gli usi cui si è fatto riferimento: lasciare l’auto per risalire nel centro storico a fare spese e commissioni varie. Anche perché la dimensione degli stalli è insufficiente per una buona parte delle auto che oggi caratterizzano il parco macchine di una “città del benessere” (per questo motivo sono diventate normali misure di riferimento per gli stalli m 2,50 x 5,50, per i corselli m 6). La parte seminterrata del parcheggio, poi, resta un’incognita, perché solo la comprensione delle modalità di accesso e di sistemazione consente di decidere se possa essere effettivamente utilizzabile come attrezzatura pubblica. Per la CFC Costruzioni potrebbe essere interessante considerare che un corretto uso dell’area a parcheggio andrebbe anche a vantaggio degli abitanti del quartiere, infatti il parcheggio può costituire, a seconda delle sue caratteristiche (l’alberatura e il trattamento semipermeabile della superficie, ad esempio, cambia radicalmente le caratteristiche del luogo), fattore di valorizzazione o di svalutazione delle aree e degli immobili limitrofi. A questo riguardo, come nota a margine, si può ricordare che la soluzione introversa della corte, suggerita nella scheda, aveva lo scopo di garantire spazi aperti dotati di una maggiore privacy rispetto all’intorno. Si conclude affermando l’opportunità di trovare soluzione all’esterno della zona di intervento per tutti i parcheggi mancanti, includendo nel conteggio quelli ora collocati lungo strada e ristabilendo misure adeguate degli stalli, così da riportare a requisiti di qualità sia la strada sia l’area UP interna al comparto.
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9.3 Costruzione di un sistema perequativo a partire dall’esperienza relativa alla variante Fater, 3 dicembre 2003
Ricostruzione sommaria della vicenda Fater L’area Fater si trova immediatamente al di sotto delle mura a sud della città. I proprietari dell’area propongono una trasformazione in parziale variante rispetto alla scheda progetto del Prg (solo per gli aspetti planivolumetrici). Non sono però in condizione di reperire all’interno dell’area gli standard minimi richiesti (l’incartamento relativo a questa pratica contiene una cronistoria dettagliata che consente di ricostruire tutti i passi compiuti). L’operatore e l’Amministrazione arrivano a una soluzione planivolumetrica che viene definita di qualità (principalmente villette con giardino), ma che non risolve in maniera accettabile il problema del reperimento dello standard (parcheggi interrati a carico del Comune, strisce di standard mal combinate lungo strada ecc.): la qualità è quindi intesa come qualità del prodotto immobiliare piuttosto che del progetto nel suo insieme. Viene quindi incoraggiato l’operatore ad acquisire un’area contigua, ma il prezzo richiesto dal proprietario viene giudicato inaccettabile. Le possibilità che emergono sono due: modifica del progetto con cambio delle tipologie (da villette a palazzine) e quindi reperimento dello standard all’interno dell’area, ovvero accordo su una cifra che compensi l’Amministrazione della mancata acquisizione di aree pubbliche di qualità, ma che consenta al Comune di “sistemare” al meglio aree pubbliche situate nelle immediate vicinanze del progetto, chiedendo di realizzare direttamente i lavori all’operatore (una sorta di monetizzazione dello standard da attuare con la realizzazione diretta degli interventi). Questa possibilità, suggerita dal gruppo di lavoro della Variante generale, che potrebbe inaugurare un nuovo capitolo rispetto alla gestione di trasformazioni complesse e che potrebbe costituire un primo passo verso l’adozione di un sistema perequativo per la costruzione della “banca dello standard”, ha evidenziato una serie di questioni che sembra importante segnalare. Questo metodo va a riformulare il concetto di interesse pubblico (per come sembra essersi inteso nella modalità operativa di Jesi), che non è più misurato rispetto alla quantità di aree cedute; va a modificare in modo radicale le prassi amministrative che si sono consolidate (modalità di calcolo del valore delle aree che non vengono cedute, convenzioni che legano le trasformazioni private e le opere pubbliche ecc.); mette in campo direttamente e in maniera impegnativa la progettualità pubblica, la quale deve indirizzare gli interventi al di fuori dell’ambito della trasformazione. Rispetto a questi ultimi due punti si propongono di seguito alcuni approfondimenti.
Alcune osservazioni rispetto al Piano di recupero Il Piano di recupero proposto dall’operatore privato vede coinvolta l’Amministrazione sia per il suo ovvio ruolo istituzionale, sia come “partner immobiliare” in quanto proprietaria di una quota di diritti edificatori: questo permette di intervenire proponendo alcuni aggiustamenti al progetto. Secondo la proposta dell’operatore l’area viene divisa in quattro settori: due a nord occupati da villette a schiera disposte perpendicolarmente a via Setaiole; e due a sud occupati da palazzine di quattro piani parallele a via Setaiole e a via Gallodoro. Gli assi che strutturano l’intervento sono coerenti con le indicazioni della scheda progetto del Prg vigente e vengono interpretati come assi viari a doppio senso di marcia, larghi 6 metri e affiancati da marciapiedi di 1.50 metri. Vengono inoltre previste strade, a senso unico, di distacco dalle proprietà contigue. Questa soluzione sembra destinare una quantità eccessiva
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di superficie alla viabilità con il conseguente effetto di ridurre lo spazio a disposizione per altri usi. Inoltre la via Setaiole, che avrà il compito di distribuire il traffico all’interno degli insediamenti Fater e Saffa, ha un calibro insufficiente e non garantisce la sicurezza agli ingressi e alle uscite dai garage sotterranei di pertinenza delle abitazioni. In questo senso sembra possibile proporre alcuni aggiustamenti interni al perimetro del Piano di recupero: • gerarchizzare la rete stradale rendendo possibile l’allargamento di via Setaiole che diverrebbe l’asse principale, realizzando invece strade a senso unico interne di servizio alla residenza; • eliminare le strade di distacco dalle proprietà contigue che possono diventare percorsi solo privati interni alle Superfici Fondiarie; • costruire un diverso e riconoscibile percorso pedonale all’interno dell’insediamento che porti alla risalita. E nel contempo indirizzare le risorse prodotte dallo stesso per la realizzazione di opere pubbliche: • risagomare la via Setaiole allargata in modo da garantire un assetto corretto ai parcheggi lungo strada e avere maggiore sicurezza con una parte in piano alla fine delle rampe dei garage al di fuori della carreggiata (come da disposizioni del Nuovo Codice della Strada); • progettare il Parco del Vallato dandogli un assetto coerente con i nuovi insediamenti; • riprogettare i raccordi del percorso pedonale che porta dai due insediamenti residenziali e dai due parcheggi pubblici alla risalita; riqualificare il parcheggio Zannoni.
Il Piano di Recupero Fater: un’occasione per ripensare un contesto in difficoltà Il Piano di recupero Fater interviene su una parte di città in forte trasformazione, sia per quanto riguarda interventi privati già realizzati (area ex Saffa) o in via di approvazione (la stessa area Fater), sia per interventi pubblici futuri necessari a dare compimento fisico e funzionale all’intero contesto. In particolare l’area Fater, unitamente all’area ex Saffa già trasformata, andrà a costituire un insediamento residenziale di qualità e di dimensioni consistenti, subito al di sotto delle mura sud, inserito in un ambito che richiede opere pubbliche importanti già prefigurate e in parte realizzate (parcheggi, risalita, verde, viabilità) fisicamente contigue agli interventi privati e utili al funzionamento dell’intero settore sud della città. Questa parte di città, che si estende a comprendere l’area di recente trasformazione Smia, si sta costruendo secondo un processo di giustapposizione di piani e progetti che affrontano i singoli problemi uno per volta esaurendo la propria portata all’interno dei rispettivi perimetri di intervento. Il risultato è quello di un collage di ambienti, ciascuno con una propria logica, ma con una forte carenza di qualità rispetto agli elementi di connessione a rete che necessitano di un’impostazione e di una regia generale. Intervenire con una prospettiva che vada a compensare questa mancanza, comporta alcune semplici operazioni progettuali che recuperino un orizzonte di coerenza rispetto agli elementi che sono trasversali e che vanno a costruire l’armatura territoriale fondamentale per l’intero ambito. In termini sintetici questo può significare: • identificazione e perimetrazione di un ambito coerente rispetto
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all’obiettivo di riqualificazione estesa, comprendente più interventi privati e pubblici così da individuare in anticipo gli elementi di relazione tra le parti, le priorità, le opere pubbliche sulle quali far confluire le risorse disponibili; • predisposizione dei progetti di massima delle opere pubbliche; • determinazione delle risorse che le trasformazioni private metteranno a disposizione (aree, oneri di urbanizzazione, valore dello standard non ceduto, valore di eventuali diritti edificatori di proprietà comunale da permutare con opere pubbliche, ecc.). Costruzione di un ambito di riqualificazione complesso
Nuove prassi amministrative Il caso Fater ha evidenziato come l’Amministrazione si debba dotare di strumenti tecnici innovativi che le consentano di quantificare in modo trasparente e univoco il valore dello standard non ceduto sul posto (per Fater si è andati a una contrattazione che poteva basarsi solo sui rapporti tra i contraenti). Contestualmente a ciò deve elaborare una sorta di protocollo amministrativo che riporti i contenuti del patto tra città e operatori per dare vita alla banca dello standard e al metodo perequativo in generale e che consenta di vedere realizzate tanto le opere private quanto quelle pubbliche (e che vada a sostituire l’attuale patto implicito secondo il quale si sono operate tutte le ultime trasformazioni). In questo senso ciò che si può incominciare a dire è che le convenzioni di attuazione dei piani devono prevedere il legame tra le concessioni relative alle opere private e quelle relative alle opere pubbliche e devono contenere i progetti preliminari, o le linee di indirizzo o gli esempi utili alla realizzazione delle opere pubbliche da realizzare.
Progettualità pubblica Attualmente, e non solo a Jesi, la progettazione e realizzazione delle opere pubbliche relative ad un intervento privato è affidata completamente all’iniziativa, alla sensibilità e alla competenza della struttura progettuale dell’operatore. Questo metodo deresponsabilizza, almeno in parte, l’Amministrazione
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rispetto all’esito finale del progetto, producendo una città per parti ciascuna con un nome (quello dell’operatore) tanto, come è giusto che sia, per la parte privata, quanto per quella pubblica, anche se alcuni criteri unificatori cercano di dare uno standard comune alle opere pubbliche (larghezza dei marciapiedi, lampioni ecc.). E’ evidente che tutto ciò non è più possibile (ammesso che chiedere all’operatore di identificare le opere pubbliche necessarie alla città sia un buon metodo) nel momento in cui si chiede di realizzare opere al di fuori dei confini dell’intervento che determina questa necessità. In termini un poco sbrigativi, ciò significa che l’Amministrazione deve avere pronti i progetti (anche se di massima) delle opere che vuole realizzare per poterli allegare alle convenzioni dei piani attuativi nelle loro diverse forme. Significa, quindi, individuare ambiti e porzioni di territorio nei quali “trasferire” le opere pubbliche da realizzare, abbastanza ampi da movimentare risorse sufficienti per la loro realizzazione e per i quali si possano misurare i benefici reciproci, così da poter motivare l’operatore che vede una contestuale valorizzazione del suo intervento (probabilmente il progetto di suolo si potrà occupare anche di questo, con elaborati appositi, individuando i comparti attuativi e ritagliando i lotti di opera pubblica da realizzare unitariamente). Tutto ciò è immediatamente verificabile con la variante Fater in quanto la risalita, il parco del Vallato, il parcheggio Zannoni e le opere contigue, che sono inserite in un ambito in sofferenza, potrebbero venir coinvolte almeno in parte con queste operazioni. Questa variante si configura infatti come occasione per sperimentare il metodo try and error e, in caso di felice conclusione, per dare prova del cosiddetto “beneficio immediato” spendibile, forse, anche in termini di promozione di una nuova pratica.
Contenuti tipo per le Convenzioni di attuazione dei Piani attuativi L’ultimo elemento necessario a garantire la qualità delle trasformazioni risiede nei contenuti e nelle modalità di stesura delle convenzioni che dovranno corredare i Piani attuativi: in questo caso significa predisporre un meccanismo che renda possibile la realizzazione contestuale delle opere private e pubbliche, siano queste ultime interne o meno al perimetro del Piano stesso. Molti di questi contenuti potranno essere utilmente anticipati dalle tavole e dalle Norme tecniche di attuazione dei Piani attuativi (p.es: regime dei suoli; aree di cessione; aree esterne al perimetro del Piano ma coinvolte dal trasferimento dei diritti edificatori, ovvero da opere di compensazione per lo standard non ceduto; disciplina relativa al rilascio dei Permessi di costruire ecc.); altri andranno invece espressi in termini contrattuali all’interno delle Convenzioni di attuazione. A titolo esemplificativo, alcuni di questi aspetti contrattuali sono elencati nei seguenti tre punti: • Individuazione precisa delle opere pubbliche da realizzare, sia dal punto di vista quantitativo (computo metrico estimativo) sia da quello qualitativo (progetto preliminare delle opere pubbliche da allegare alla convenzione). • Realizzazione contestuale di opere private e pubbliche sia che queste ultime siano interne all’area sia esterne, quindi: se l’intervento viene realizzato unitariamente i Permessi di costruire relativi alle opere pubbliche e private vanno richiesti contestualmente e quelli delle opere pubbliche devono essere conformi ai relativi
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progetti preliminari. Se il progetto si realizza per lotti è necessaria la definizione di Unità di coordinamento progettuale intese come insieme di opere pubbliche e private da realizzare contemporaneamente. Obblighi per l’operatore: cessione aree, progettazione ed esecuzione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, progettazione ed esecuzione di opere di compensazione per aree a standard non cedute, realizzazione di opere da permutare con diritti edificatori di proprietà comunale ecc. Le opere dovranno essere ultimate contestualmente a quelle private e comunque antro anni tot dal rilascio dei relativi Permessi di costruire gratuiti. Le opere dovranno essere conformi al computo metrico estimativo, alle indicazioni dei competenti Settori comunali, nonché ai progetti esecutivi che l’operatore si impegna a consegnare entro mesi tot dalla stipula della presente convenzione.
Post scriptum Il lungo e paziente lavoro condotto dall’Assessorato urbanistica e ambiente con l’operatore si è concluso con un “trasferimento dello standard” nella limitrofa area del Vallato Pallavicino, consentendo la sistemazione a verde dell’intorno del percorso che porta alla risalita meccanizzata. Ciò è stato possibile recuperando e aggiustando il progetto esecutivo già predisposto dall’Ufficio verde.
9.4 Contributo alla formulazione del parere sul Piano di recupero S. Maria del Piano 1 (scheda progetto), 28 ottobre 2003
Gli antefatti L’intervento previsto dal Prg nell’area di progetto denominata “S. Maria del Piano 1” aveva l’obiettivo di: 1. recuperare un interessante edificio storico come la vecchia cartiera, senza deciderne la destinazione d’uso, ma ipotizzando la realizzazione di un bocciodromo che ne avrebbe comportato l’ampliamento (l’area sulla quale insisteva l’ampliamento, infatti, è stata classificata Sr-servizio ricreativo); 2. qualificare, completandolo e dotandolo di adeguati percorsi di accesso e parcheggi, la preesistente area sportiva attigua alla chiesa del borgo; 3. sostenere l’operazione con un intervento di nuova residenza. Dopo il riadattamento della cartiera per attività artigianali e l’accettazione da parte dell’Amministrazione comunale della richiesta di stralciarla dal piano di recupero (fatte salve tutte le altre prescrizioni), si è aperta una nuova fase, segnata da una proposta di intervento per un ambito che ha una nuova perimetrazione e si riferisce a un’area libera da urbanizzare con residenza e attrezzature pubbliche, dove non ci sono più edifici da recuperare. Già per questo sostanziale cambiamento della natura dell’intervento, un conteggio dimezzato dello standard non sembra proponibile. Ma la ridefinizione dell’area di intervento comporta alcuni, più rilevanti, problemi di interpretazione circa le quantità e le caratteristiche d’uso delle aree.
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Le questioni 1. Nell’articolo delle Nta, da un lato si dice che la superficie utile lorda di mq 3.300, realizzabile nell’operazione complessiva di recupero, esclude la cartiera, dall’altro (in seguito a una correzione dell’articolo con l’aggiunta dell’indice territoriale) si calcola l’indice come rapporto tra i 3.300 mq di Sul e la superficie territoriale dell’intero ambito perimetrato, comprensiva della cartiera. Le due indicazioni, assieme, fanno intendere che l’esclusione dal conteggio della Sul riguarda la sola parte da recuperare, la vecchia cartiera, non il suo ampliamento. Dunque, i 3.300 mq includono la parte Sr- servizio ricreativo, coerentemente con l’obiettivo primario dell’operazione: fare della cartiera il fulcro, qualificato anche dal punto di vista architettonico, di una parte di città che, già con la presenza del borgo, ha interessanti prospettive di riqualificazione. L’esame del funzionario tecnico sottolinea la difformità del progetto proposto dalla norma e conseguentemente, sulla base dell’indice territoriale, riduce la Sul realizzabile da 3.300 a 2.799 mq, osservando anche che una diversa interpretazione toglierebbe ai proprietari della cartiera la possibilità di un ampliamento futuro, connesso al possibile cambiamento della destinazione d’uso e ad una ristrutturazione della fabbrica. É vero che quella espansione comporterebbe un accordo con i proprietari dell’area limitrofa (gli stessi che presentano il nuovo piano di recupero) e questo accordo non è stato cercato fino ad ora perché si è scelto di continuare l’attività produttiva, ma la situazione attuale non sembra risolta per un tempo lungo e la cartiera resta un patrimonio storico per Jesi. 2. Il passo delle Nta “esclusa la cartiera” viene anche interpretato nel nuovo progetto come attribuzione dei 3.300 mq. di Sul alla sola residenza. É un altro aspetto che nell’esame degli uffici si mette in dubbio, dovendosi intendere la Sul prevista come comprensiva della espansione della cartiera, ovvero della parte destinata ad accogliere le ali posteriori del bocciodrono originariamente ipotizzato. Questo punto è doppiamente rilevante perché il progetto, non solo ha interpretato la norma inglobando la quota parte della cubatura destinata alla cartiera, ma prevede di costruire sull’area indicata come Sr, interpretando i 1.200 mq come Sul e non come Sf-superficie fondiaria. Memore della soluzione prospettata nell’”Album dei progetti” allegato al Prg, dove è disegnata la soluzione planovolumetrica del bocciodromo, soluzione dalla quale sono state desunte perimetrazione, usi e quantità della scheda progetto, il progetto presentato intende Sr come un’area a servizi ricreativi coperti, anche perché nell’art. 98 delle Nta si ammette che queste aree possano accogliere attrezzature con una densità fondiaria massima di 3 mc/mq, ovvero 1 mq. Sul /1mq.Sf. Quindi 1.200 mq di Sul per servizi ricreativi che si aggiungono ai 3.300 mq di residenza. 3. La proposta di convertire l’area Ss da scoperta a coperta, con un indice di utilizzazione analogo all’area Sr, poggia su una libera interpretazione del medesimo articolo 98, infatti la norma indica per le aree destinate a servizi sportivi un rapporto di copertura pari al 50% e non un indice di utilizzazione (sulle aree sportive, infatti, generalmente insistono impianti e palloni pressostatici per i quali l’ingombro a terra è più rilevante del volume). Gli uffici notano a questo riguardo che, semmai, si sarebbe dovuto calcolare un indice dimezzato rispetto a quello delle aree Sr. Si aggiungono dunque altri 1.400 mq di Sul.
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4. L’accorpamento delle superfici Sr ed Ss e la loro diversa destinazione (non più aree attrezzate per il gioco e la sosta e servizi sportivi d’interesse locale, per rafforzare quelli preesistenti, ma una palestracentro fitness con annesse attività -non specificate- presumibilmente necessarie per una gestione economica di strutture di questo genere), configurano un importante cambiamento del rapporto pubblico-privato, una interpretazione dello standard che merita una riflessione. Si tratterebbe, infatti, di un’attrezzatura che risponde a un tipo di domanda piuttosto diverso da quello immaginato nel Prg e che potrà definirsi “d’uso pubblico” solo se l’Amministrazione, ritenendola importante per la qualità urbana della parte di città, deciderà di stipulare una convenzione che ne regoli in maniera efficace la gestione. 5. Va verificata la sistemazione dello spazio aperto, in particolare la quantificazione dei parcheggi, che dovranno tenere conto del carico portato dalla nuova struttura (1 mq di parcheggio ogni 4 mq di Sul, secondo l’art. 98), quindi 650 mq di sola pertinenza della struttura sportivo-ricreativa, che dovrebbero aggiungersi a quelli richiesti dalla scheda, UP, che sono invece parcheggi di uso pubblico, senza utenza predefinita, a servizio della città.
Conclusione Si consiglia di aggiustare il progetto riducendo la Sul della residenza, secondo l’applicazione dell’indice già indicata dagli Uffici e di operare un nuovo calcolo degli standard urbanistici con riferimento agli abitanti insediabili (con 21 mq/ab come standard pro-capite). Date le caratteristiche presumibili della nuova struttura sportivo-ricreativa (che occorrerà rappresentare adeguatamente), qualora non vi fosse interesse o possibilità di convenzionarne un uso pubblico da parte dell’Amministrazione (così da poterla considerare effettivamente come standard), sembra possibile valutarla come attività economica, con i suoi parcheggi di pertinenza. Per quanto riguarda le aree scoperte a standard, dovranno essere effettivamente percorsi pubblici che consentano l’attraversamento dell’area e i collegamenti con l’intorno, non percorsi interni volti a garantire l’accessibilità e il movimento nell’area d’intervento. Il disegno del sistema di collegamento, proposto nella tavola “con solo valore indicativo” è un’utile base di riferimento per concordare con la proprietà quantità e qualità dello standard dovuto.
Post scriptum Il confronto avviato dall’Assessorato all’urbanistica e ambiente con l’operatore e le proprietà interessate ha portato alla elaborazione di un nuovo progetto. Questo affronta il problema della delimitazione dell’area di intervento consentendo uno stralcio della cartiera e un’operazione differita nel tempo (si individuano 2 unità di intervento) e riorganizza l’intero insediamento. Si definisce anche il carattere della struttura sportivo-ricreativa precisandone la natura privata e accettando l’idea di un utilizzo dello standard per la sistemazione dell’intorno dell’area e dei raccordi con il campo sportivo esistente, il borgo, la strada tangente, l’insediamento residenziale sorto sul sedime della ex Sadam.
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9.5 Contributo alla formulazione del parere sulla variante della scheda progetto Pieralisi, 7 novembre 2003
La variante propone modifiche sostanziali alla scheda progetto “Pieralisi” (B3.2) del Prg vigente. Le modifiche sono di due generi: uno riguarda quantità e qualità delle aree interessate dal progetto; un secondo genere di modifiche riguarda la morfologia incidendo profondamente sull’impianto planivolumetrico degli spazi costruiti, sul loro principio insediativo e sulla qualità e forma degli spazi aperti. Riepilogo quantità La scheda progetto B3.2 viene riperimetrata e suddivisa in due unità: B3.2a e B3.2b. Quantità Scheda progetto B3.2
Quantità variante B3.2a
Quantità variante B3.2a
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A valle del riepilogo delle quantità messe in gioco dalla scheda progetto e dalla variante si possono avanzare le seguenti osservazioni: la prima operazione compiuta dalla variante consiste in una riperimetrazione dell’ambito di intervento per ragioni di omogeneità proprietaria dei lotti interessati, vengono di conseguenza stralciate le aree di proprietà di terzi e incluse aree di proprietà del proponente. Viene quindi operata una nuova zonizzazione: quelle incluse diventano aree B3.2, quelle escluse vengono azzonate come le aree a loro limitrofe. Infine, un lotto a sud dell’area affacciato su via M. Tabor viene stralciato dal perimetro dell’intervento ma mantiene la destinazione Vp (non è chiaro se va a compensare o meno il deficit di standard di mq 749, in questo caso andrebbe inserito nel perimetro della St), non ne viene specificata la capacità edificatoria residua, né si indicano i termini della possibile riallocazione dei diritti edificatori (qualora permanessero). Il progetto dell’area B3.2b non fa parte della documentazione pervenuta.
Modifiche morfologiche La variante modifica sostanzialmente l’impianto della scheda progetto proponendo un insediamento molto diverso da quello previsto, in particolare: abbandona l’ipotesi di ripartire l’area in isolati eliminando i prolungamenti delle vie Monteroberto e Maiolati, elimina la ripartizione trasversale tra la parte costruita e il parco, elimina la connessione tra la nuova piazza e via Roma. Propone invece di realizzare un unico grande edificio in linea (il “bastione abitato”) su di un terrazzamento a quota +100 circa, una sorta di “parco lineare” parallelo all’edificio e attraversato da un percorso longitudinale, una piazza che ha più le caratteristiche di un grande belvedere in quanto non è delimitata da quinte edificate; crea, di fatto, un secondo bastione tra il limite basso del parco e via Roma in quanto non sono presenti risalite; propone infine una serie di attraversamenti e accessi al parco anche attraverso il bastione abitato tramite aperture al piano terra degli edifici. Il progetto si configura quindi come una diversa e alternativa interpretazione del sito e del contesto urbano nel quale questo è inserito, non propone una “riammagliatura” degli isolati in continuità con il tessuto esistente, ma costruisce piuttosto una eccezione urbana costituita da un grande complesso in linea estremamente articolato, appoggiato su di un suolo trattato a terrazze che vanno a costituire un parco costruito, più fruibile sotto l’aspetto percettivo che dell’effettivo uso. Il parco rischia anche di assumere il carattere di “pertinenza” dei nuovi edifici in quanto non raggiungibile direttamente da via Roma e con accessi fortemente mediati dal costruito. La qualità dell’inserimento nella città dipende dal trattamento dei dislivelli e delle pendenze che sono un elemento fondamentale del sito, soprattutto dalla parte di via Roma dove insiste il grande muro di sostegno della vecchia fabbrica. Post scriptum L’approfondimento con la proprietà dei problemi di inserimento e interesse pubblico legati al nuovo insediamento ha portato alla predisposizione di un apposito progetto di sistemazione del muro. Là dove
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attualmente si trova una grave cesura per la continuità di via Roma, strada di passaggio con affaccio di attività economiche, si propone la creazione di una successione di botteghe e negozi con parcheggio sul “tetto”, svuotando il muro di contenimento. Il beneficio “pubblico” dell’operazione consiste nella possibilità di avviare un processo di riqualificazione di via Roma (dove il traffico si ridurrà in seguito al completamento dei lavori per la nuova tratta dell’asse sud) a partire dalle attività economiche che ospita. Un’opportuna convenzione dovrà regolare il titolo di godimento dei nuovi spazi artigianali e commerciali, per incrociare la domanda meno protetta e quella di giovani interessati ad avviare attività nuove.
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9.6 Contributo alla formulazione del parere sul Piano di recupero di viale della Vittoria (area Freddi), febbraioaprile 2004
Il progetto di ristrutturazione urbanistica del primo stralcio del Piano di recupero di un complesso edilizio dismesso in viale della Vittoria, approvato nel febbraio 2002, presenta due problemi: uno relativo all’impianto e alla forma della parte di cui si prevede l’attuazione, uno relativo alle quantità di aree pubbliche da reperire e cedere all’Amministrazione. La prima questione vede la contraddizione tra il Piano di recupero (tavola “Regole”) e il progetto presentato dall’operatore: l’impianto previsto dal Piano creava una grande corte interna parallela al viale della Vittoria e permeabile che metteva in relazione con la città antica per mezzo di una risalita meccanizzata, doppiando quella pedonale esistente di via dell’Orfanotrofio. In particolare, risolveva in maniera interessante il rapporto con l’albergo Mariani, creando un accesso diretto allo spazio pubblico. Il progetto attuativo, per risolvere alcuni problemi generati dall’approfondimento dello stato di fatto (in particolare il rapporto con l’alto edificio adiacente nella cui parete si incunea la copertura di un capannone degradato presente sul sedime da destinare alla corte pubblica), crea invece un cortile-parcheggio, in parte coperto, con un solo accesso carrabile da viale della Vittoria e un’uscita su via dell’Orfanotrofio. L’insediamento generato da questa modifica ha un carattere introverso, esaurisce le proprie potenzialità entro i confini della proprietà, inoltre crea ulteriori problemi su via dell’Orfanotrofio, già ostruita in alcune ore del giorno dalle auto in sosta (la base della scalinata viene abusivamente utilizzata come piccolo parcheggio di “interscambio”: si lascia l’auto per salire a piedi al centro storico). La proposta di procedere all’edificazione per fasi successive, con diversi permessi così come consentito dall’art. 5 delle Nta (a patto di presentare il “Progetto architettonico generale” esteso all’intero comparto che, però, non risulta redatto), rende ancor più problematica la soluzione. Infatti, resterebbe inattuata la parte dell’intervento più difficile, sia per il rapporto con gli altri proprietari interessati dal Piano di recupero, sia per i problemi tecnici che comporta (il rapporto con l’edificio “agganciato” al capannone), così che potrebbe verificarsi una situazione di ulteriore sofferenza, anziché di riqualificazione di questa parte di città. Dal punto di vista delle quantità, si conferma la “confusione” tra aree pubbliche e private presente già nelle Norme tecniche del Piano di Recupero: nel capitolo “Standard di progetto”, infatti, vengono sommati i parcheggi privati interrati (2.340 mq) con i parcheggi a uso pubblico interrati (1.290 mq) che, assieme ai 900 mq di piazza carrabile a uso pubblico, costituiscono i 4.530 mq conteggiati. Una rilettura della dotazione effettivamente “pubblica” porta a un conteggio diverso. Sono da considerarsi pubblici la piazza di 900 mq, i parcheggi interrati di 697 mq e quelli al piano terra di 632 mq. Questi ultimi, però, sembrano sovrapporsi a quelli della piazza. Sembra utile una verifica del progetto rispetto alle previsioni del Piano di recupero e al carico insediativo, anche in relazione al nuovo articolo delle Nta che impone per le aree A7 di reperire in loco almeno il 50% della quantità di standard dovuta.
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Gli standard previsti dal Pdr sono di poco inferiori a quelli che sarebbero dovuti applicando la Variante dell’art. 48 delle Nta del Prg per le zone A7 (-370 mq circa); sostanzialmente in pareggio sono quelli indicati nel progetto qualora sussistesse la distinzione tra parcheggi a raso e piazza. I problemi generati dal progetto, rispetto al quale gli Uffici competenti hanno espresso parere negativo, hanno offerto l’occasione per una serie di verifiche allargate al ruolo che la ristrutturazione dell’area potrebbe opportunamente svolgere in vista della riqualificazione di viale della Vittoria, una delle proposte caratterizzanti il Piano idea. L’area si trova all’imbocco del viale con via Giovanni XXIII, la strada di collegamento diretto della città con il nuovo ospedale. La scelta di fluidificare il traffico sul viale con la creazione di rotatorie sostitutive dei semafori attuali, compresa nel Piano generale del traffico urbano e già in attuazione, interessa anche questo incrocio. L’adeguamento del progetto per l’area Freddi, da questo punto di vista, costituisce un’opportunità per risolvere anche un problema importante per la città. Questa ipotesi è stata formalizzata in alcuni schemi di sistemazione che sono stati discussi con l’operatore.
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9.7 Orientamenti per l’esame delle varianti al Prg vigente
La costruzione della Variante generale al Prg vigente si accompagna, come previsto dalla delibera di incarico, con la verifica e la formulazione di pareri sulle varianti parziali che l’Amministrazione comunale nel frattempo ha al vaglio e sulle quali deve esprimersi. Questa attività ha assunto un ritmo intenso e ha riguardato una gamma di situazioni sufficientemente diversificata, così da rendere possibili e necessarie prime considerazioni di ordine generale. 1. Si è trattato di Varianti relative a schede progetto del Prg vigente (Fater, S. Maria del Piano 1, Pieralisi), di piani di recupero d’iniziativa privata in sottozone A7 collocate in ambiti cruciali per la trasformazione urbana (Area Freddi, Cartiera Ripanti), di varianti normative che interessano aree con particolari caratteristiche (A7) o che rispondono a una più generale esigenza di salvaguardia (localizzazione di industrie insalubri e aree proposte a vincolo paesaggistico), di aree per le quali si è proposto un significativo cambiamento della destinazione d’uso vigente (via Appennini Alta, Zipa 4, Banca Marche), di piani di recupero di iniziativa pubblica da aggiornare per rendere economicamente sostenibile l’insieme degli interventi previsti (Foro Boario). Alcune operazioni si sono concluse anche formalmente o stanno per concludersi, alcune sono diventate operazioni qualificanti del Piano idea, alcune sono tuttora in discussione, di altre sarà necessario occuparsi prossimamente. 2. La scelta di procedere parallelamente con la costruzione del nuovo strumento urbanistico e la partecipazione del gruppo di lavoro incaricato della Variante generale alle decisioni urbanistiche correnti, rende necessario assumere con sufficiente chiarezza un punto di vista che renda compatibili i due processi, i quali sono gestiti da soggetti con “missioni” e compiti differenti, hanno tempi e interlocutori diversi e tradizionalmente non comunicano in maniera palese e diretta. Questa scelta, dunque, diventa essa stessa qualificante dell’operazione complessa che l’Amministrazione ha deciso di montare per affrontare una nuova stagione urbanistica avendo alle spalle un piano inaugurale che ebbe una vasta eco in Italia. Mettere in relazione esplicita la gestione quotidiana del “vecchio” piano e la costruzione del nuovo configura una fase di transizione che, confrontandosi con attese e prassi, introduca aggiustamenti volti a creare nuove attese e nuove prassi. Questo comporta un giudizio, da un lato, sulla situazione attuale della città, dall’altro, sulle tendenze in atto e gli scarti da affrontare. 3. Il pacchetto delle varianti cui si è fatto riferimento al punto 1), i sopralluoghi effettuati nelle zone direttamente interessate e in quelle che pongono problemi analoghi, la conoscenza del piano vigente assieme alle valutazioni di osservatori autorevoli, raccolte con le interviste condotte dal gruppo incaricato del Piano strategico, delineano il profilo di una città cresciuta rapidamente e in maniera discontinua, nella quale alcuni importanti cambiamenti di destinazioni d’uso, densità territoriali medio-alte, qualità degli standard non sempre adeguate generano un quadro complessivamente insoddisfacente per quanto riguarda dotazioni e prestazioni di attrezzature pubbliche e civili. 4. L’abitudine a ritmi sostenuti (quelli di una fase dell’urbanistica nazionale e locale che sta per esaurirsi) e il fatto che in città molti cantieri siano contemporaneamente aperti e altri stiano per aprirsi con difficoltà e disagi difficili da accettare da parte dei cittadini, rendono più
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complicata a controversa l’apertura della fase di transizione, ma nel contempo la rendono più urgente. In questa fase va recuperata un’attenzione all’impalcatura generale e alla qualità dello spazio pubblico, quella che in gergo urbanistico viene oggi indicata come componente essenziale della “struttura” della città, costituita da spazi aperti e attrezzature di servizio che rendono abitabile la città, costituendo il prolungamento qualificato dello spazio residenziale privato (valorizzandolo dal punto di vista immobiliare) e il supporto logistico dello spazio del lavoro (diventando componente dello sviluppo locale). Un’impalcatura che costa e sulla quale vanno attentamente convogliate tutte le risorse disponibili. 5. Entro questa impalcatura generale assume oggi, a Jesi, un ruolo decisivo la costruzione di un insieme continuo, organizzato e confortevole di spazi dedicati al movimento e alla sosta, dove si giocano anche importanti risorse ecologiche (la permeabilità dei suoli, quindi la capacità di assorbimento delle acque meteoriche dipende dalla quantità e dal trattamento superficiale di questi spazi). Che nella bozza di legge urbanistica regionale si sia scelto di denominare “Progetto comunale del suolo” la parte regolamentare del Prg è molto significativo a questo riguardo. 6. Benché siano soprattutto alcune parti di Jesi a soffrire di un inadeguato sistema di spazi aperti, in una città di queste dimensioni, con le caratteristiche di forte interdipendenza tra i settori urbani che le sono proprie, lo stato delle singole parti si riflette pesantemente sull’insieme, trasformando un problema circoscritto in un problema generale. Un problema generale di riqualificazione della città si deve affrontare con un bilancio integrato della domanda e dell’offerta. 7. Le risorse delle quali disporre per investimenti nello spazio pubblico (l’offerta) possono avere diverse provenienze, essere di natura pubblica e privata. Gran parte delle risorse private deriva dalle operazioni di trasformazione previste dalle schede progetto del Prg, ma anche da quelle su altre aree della città che il Prg lasciava in ombra e regolava con norme generali. La propensione degli operatori a intervenire su singole proprietà, per non affrontare i problemi della trattativa e dell’accordo, ha portato e porta a chiedere una ridefinizione dei confini dell’area di intervento prevista, rendendo in molti casi ancor più difficile trovare equilibri tra spazio privato e spazio pubblico. Per questo e anche perché, comunque, non si risolvono i problemi di organizzazione e qualificazione della città procedendo per somma di scampoli, c’è sempre un residuo del quale l’Amministrazione deve farsi carico per dare continuità e valorizzare gli investimenti fatti. Tuttavia, per questa opera di compensazione mancano le risorse. In questo quadro la questione dello standard urbanistico, della sua quantità e qualità, assume una rilevanza particolare e impone la ricerca di soluzioni adatte a perseguire gli obiettivi indicati. 8. L’idea del bilancio integrato trova una sponda nel processo perequativo, del quale si parla e si fa esperienza da tempo in Italia, con riferimenti a situazioni consolidate in altri paesi europei e in Usa. Perequazione urbanistica è modo per indicare una famiglia ormai numerosa di procedure che, in assenza di legislazione, riflette esigenze e propensioni locali. Un sistema adatto alla situazione di Jesi dovrà essere studiato con cura, ma fin d’ora se ne possono anticipare i caratteri imparando dalla valutazione delle varianti.
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Il trasferimento dei diritti edificatori è un aspetto caratteristico della perequazione: per Jesi occorre individuare un procedimento di trasferimento delle aree per spazio pubblico (standard). Questa operazione presuppone almeno due passaggi fondamentali: 1) la costruzione di una “banca” virtuale dello standard, costituita attraverso convenzioni che impegnano gli operatori a “saldare il debito” nei confronti della città, pagando e/o sistemando aree pubbliche fuori dai perimetri delle loro aree di intervento; 2) la costruzione di una “mappa” degli spazi pubblici (la domanda) dove individuare la quota parte pagata e/o sistemata dal singolo operatore. Se la prima operazione può essere fatta in maniera contestuale con l’approvazione della variante o dello strumento urbanistico previsto per l’intervento (quantificando il dovuto, che dovrà specificarsi successivamente in termini di tipo di spazio – parcheggio, strada, giardino, piazza… –, di localizzazione e di tipo di intervento – acquisto di aree per le quali l’Amministrazione ha concluso la trattativa o sistemazione di aree già di proprietà pubblica), la seconda operazione presuppone un lavoro di censimento e localizzazione che il gruppo di lavoro per la Variante generale metterà in cantiere. Alla cassa comune delle risorse costruita con la prima operazione si attingerà in base all’approntamento della mappa dello spazio pubblico da realizzare e/o da sistemare e all’individuazione delle priorità costruita con la seconda operazione.
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10. Contratto di quartiere
10.1 Abitare il centro antico di Jesi: la proposta di contratto di quartiere
L’ambito interessato dalla proposta di contratto di quartiere coincide con il nucleo di origine romana della città (il centro antico), definito nel piano vigente zona A1. In questa parte di città edifici, lotti, tracciati e spazi urbani si presentano come un insieme unico fortemente articolato e formano un organismo urbano riconoscibile e delimitato nel quale le numerose eccellenze architettoniche si raccordano con l’insieme per unità di linguaggio architettonico e di materiali, per integrazione funzionale: un sistema articolato di spazi e funzioni collettive formato dal palazzo comunale, dal Duomo, dalla biblioteca comunale, dal teatro San Floriano, dalle scuole, dalla pretura, da numerosi musei e spazi espositivi che mantengono nella parte più antica di Jesi il centro civico della città, carattere rafforzato dalla storica presenza settimanale del mercato all’aperto. La qualità del centro antico e le sue potenzialità sono a Jesi aspetti riconosciuti e al centro di progetti e scelte rilevanti delle passate amministrazioni: • il piano regolatore vigente ha individuato l’intera parte di città come zona A1 di recupero, superando con indicazioni puntuali sui singoli palazzi o aggregati edilizi le indicazioni dei precedenti piani di recupero, assumendo a sua volta valenza di un piano di recupero che pone l’attenzione, oltre che sull’edificato, sul sistema degli spazi pubblici coperti e scoperti e sulle mura; • più recentemente, con il “manuale di recupero del centro storico della città”, il comune di Jesi ha poi arricchito le possibilità di tutela e recupero per il proprio patrimonio edilizio storico attraverso un articolato di norme prestazionali affiancato da un’approfondita ricerca sui caratteri storici della città nelle sue diverse parti; • numerosi interventi di restauro e recupero di iniziativa pubblica, condotti a termine attraverso progetti impegnativi di finanza pubblica, hanno permesso recentemente di salvare dal degrado il palazzo della Signoria e le Mura della città e di creare le condizioni per un miglioramento complessivo della qualità del centro antico. I progetti attuati hanno permesso al centro antico della città di mantenere un buon livello di conservazione e di fruibilità, ma hanno lasciato ancora irrisolti problemi profondamente radicati che interventi di carattere fisico, da soli, non possono affrontare: il ruolo civico e simbolico che il nucleo della città antica oggi continua a svolgere è superiore alla sua effettiva vitalità e vivibilità, alla capacità di attrarre attività economiche e nuovi abitanti, di intensificare l’uso quotidiano da parte degli abitanti delle altre parti della città.
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Il centro antico di Jesi coincide infatti con due quartieri della città: Duomo e San Pietro. È qui possibile riconoscere elementi critici rappresentati in alcuni casi da fenomeni evidenti, in altri da segnali e sintomi più sottili: la riduzione delle attività economiche e commerciali; il degrado del tessuto edilizio ordinario di connessione delle eccellenze architettoniche e funzionali, che coinvolge importanti complessi di proprietà comunale; la ridotta presenza residenziale e di servizi alla scala del quartiere; lo scarso livello di manutenzione degli spazi aperti pubblici; lo scarso numero di abitazioni occupate e la cospicua presenza di immobili in evidente stato di abbandono; l’aumento di popolazione immigrata in condizioni di disagio abitativo; la presenza significativa di popolazione anziana. I quartieri del centro antico di Jesi si trovano quindi oggi in una condizione limite, i fenomeni di degrado fisico e di disagio sociale essendo evidenti, pur senza aver ancora assunto caratteri “di emergenza”: essi, cioè, non sono ancora completamente espressi ma potrebbero rapidamente assumere dimensioni preoccupanti e difficilmente recuperabili. Gli interventi sugli involucri e sulle eccellenze degli anni recenti non hanno potuto risolvere la condizione di abbandono del centro antico della città, ben rappresentata dalla scatola vuota di Palazzo Santoni. Questo stato delle cose può essere affrontato solo attraverso un organico programma di interventi di riqualificazione dello spazio fisico e dello spazio sociale. Il progetto di candidatura per il finanziamento di un “programma di quartiere nel centro antico di Jesi” punta quindi ad avviare un insieme complesso di operazioni utilizzando risorse esistenti per recuperare assieme agli edifici le condizioni perché vengano abitati e vissuti intensamente: • 38 nuovi alloggi pubblici a disposizione della città verranno recuperati nel centro antico, riqualificando 10 alloggi già in locazione e creando 28 nuove unità residenziali. Di questi alloggi, 20 saranno destinati ad edilizia sovvenzionata, i restanti ad edilizia agevolata. Gli alloggi verranno reperiti all’interno di edifici di proprietà pubblica di grande pregio: il complesso edilizio e i chiostri di Sant’Agostino; il palazzo Pianetti vecchio in passato destinato a carceri; gli edifici in grave stato di degrado nel complesso edilizio di largo Saponari; Palazzo Santoni, progettato vent’anni orsono dal gruppo di architetti Ridolfi, Malagricci, Frankl e abbandonato al rustico. • All’interno degli edifici individuati, oltre agli alloggi, verrà recuperata una quota significativa di spazi per associazioni con finalità sociali e di promozione del lavoro e dell’economia locale, con un effetto di miglioramento della vivibilità e della coesione sociale per gli spazi pubblici su cui affacciano. • Nuove botteghe di proprietà pubblica, affacciate sulle antiche corti di Sant’Agostino, riporteranno attività economiche tradizionali in un luogo oggi abbandonato attraverso un programma di promozione e di agevolazione delle attività lavorative. • Un nuovo centro sociale per anziani, in condivisione con spazi destinati ad associazioni aventi finalità sociali, culturali e ambientali, e la realizzazione di una nuova ludoteca e biblioteca per ragazzi incrementeranno i servizi esistenti. • Un programma di piccole opere diffuse e di restauro delle pavimentazioni in pietra dei vicoli e delle piazze (piazza Federico II,
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10.2 Le caratteristiche del degrado
Un difficile equilibrio tra parti di città Il centro antico di Jesi è la parte di città nella quale la comunità locale si riconosce. Come molti interlocutori coinvolti nel processo di ascolto attivato grazie al Piano strategico hanno confermato, vi è, su questa parte di città, un investimento simbolico molto elevato: essa rappresenta ancora, nell’immaginario collettivo, il cuore di Jesi, dove sono localizzate le più importanti istituzioni cittadine, il deposito dei valori identitari della città. Questi caratteri paiono però oggi sfidati da processi di degrado e di impoverimento degli usi legati al funzionamento quotidiano della città che rischiano di mortificare il valore del centro antico e ne prefigurano un destino da “periferia interna”. Jesi è descritta, nel Piano regolatore vigente, come una “città composta”, una “città per parti”. Queste immagini alludevano sia alla sua struttura fisica che ai caratteri della sua morfologia sociale. Il Piano, infatti, utilizzava in maniera fertile l’ambiguità del termine “composta”, riferendolo sia ad una città che vede la compresenza di parti diverse, ordinate però dentro un puzzle che alla fine è in grado di restituire una figura unitaria e leggibile, sia ad una società locale coesa. Il buon funzionamento complessivo dell’organismo urbano era affidato alla densità delle relazioni fra le sue diverse componenti, fisiche e sociali. Ciò che sembra oggi in crisi è proprio questa proprietà: Jesi appare una città in cui le connessioni fra le parti faticano a mantenersi. Un processo incipiente di “scomposizione” sembra aver investito la città, sul piano funzionale (il traffico e la congestione sono indicatori espliciti di tale difficoltà) e su quello delle relazioni fra i soggetti che la abitano. La zona che più risente di questo fenomeno è il centro antico. In primo luogo, perché qui sono più evidenti che altrove processi di polarizzazione sociale: la percentuale di anziani con più di 75 anni (secondo elaborazioni comunali sulle sezioni censuarie Istat) nel rione San Pietro è prossima al 19%; quella di stranieri, nella zona circostante all’edificio delle carceri, vicino al 25%. In secondo luogo, perché nuove centralità insidiano il centro antico: i centri commerciali rappresentano i nuovi luoghi dell’incontro, i nuovi spazi della socialità. Solo l’addizione cinquecentesca e il corso riescono a comunicare ancora un carattere di “colloquialità” urbana e, in una certa misura, a reggere la sfida. Il centro antico ne è ormai escluso: il passeggio domenicale non supera il palazzo comunale, perché non vi sono più funzioni in grado di attrarre gli abitanti (sono scomparsi, ad esempio, i bar con i tavoli all’aperto). Inoltre, il suo carattere di “acropoli”, insieme alla scarsità di parcheggi e di risalite meccaniche, ne compromette oltre misura l’accessibilità. Il Contratto di quartiere si confronta con questo spettro di problemi.
La carenza di servizi I servizi alla persona e alla comunità nel centro antico sono scarsi. Il numero degli esercizi commerciali si è progressivamente ridotto; quelli più direttamente orientati all’uso quotidiano (come i negozi di alimentari) sono quasi scomparsi. Le attività artigianali, prima insediate in vari punti del centro antico, hanno chiuso o si sono localizzate altrove, sia quelle povere, sia quelle di pregio (si pensi agli orafi di Sant’Agostino). Quello che viene denunciato con maggiore forza dagli attori locali, secondo quanto ha registrato il focus group dedicato al centro storico, è proprio la progressiva perdita della mixité di usi (residenziali, commerciali, produttivi, di servizio) che una volta caratterizzava questa parte di città. Sono rimaste le case, molte delle quali in condizioni di degrado consistente, ma si sono via via ridotte tutte quelle funzio-
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ni che garantiscono l’abitabilità di uno spazio urbano. Il Contratto di quartiere è volto alla ricerca di un’appropriata mixité di usi. Oggi il centro antico conserva essenzialmente le grandi istituzioni culturali della città (i musei, la biblioteca comunale), le grandi emergenze storico-architettoniche (il duomo, il palazzo della Signoria), la sede del Comune, anche nuovi spazi culturali (come il San Floriano nella straordinaria piazza Federico II), ma questi elementi faticano a contrastare il rischio di un processo di museificazione. Paradossalmente, è proprio la loro qualità (spesso alta) che sembra favorire tale processo, laddove essa sembra rimanere solo testimonianza del passato e non riesce a ricostruire nuove relazioni di senso con l’ambiente urbano circostante. Questo avviene anche perché non vi è una significativa specializzazione delle parti: le emergenze rimangono tali, non fanno tessuto, non disegnano percorsi, non definiscono connessioni. Ad esempio, Sant’Agostino, straordinaria risorsa costituita da chiostri e da un passage coperto – uno spazio domestico e insieme collettivo di grande valore che il Contratto di quartiere intende recuperare per rimarcarne la vocazione abitativa e artigianale-commerciale – non viene più usato come percorso tra il Comune e la piazza della Signoria. Certo, alcuni edifici – come le ex carceri – ospitano ancora numerose e spesso attive associazioni cittadine, testimonianza di quel ricco capitale sociale che Jesi può vantare. Ma anch’esse sembrano depositate nel vuoto; occupano degli spazi, ma con il contesto che le accoglie non hanno relazioni. L’Università, insediata in questa parte di Jesi, rappresenta per il centro e per Jesi nel suo insieme una delle risorse più importanti: per l’apporto di nuove popolazioni e di nuove attività economiche, per l’incremento della “economia della conoscenza” che prefigura, per il rafforzamento della presenza di funzioni di pregio. Finora, però, non è stata in grado di essere un motore di innovazione per il centro antico. Certamente ciò dipende anche dal suo insediamento relativamente recente e dall’esiguità del numero dei suoi studenti e docenti, ma c’è forse qualcosa di più: essa è il risultato di una scelta coraggiosa ma non inserita in una politica esplicita; l’università non ha generato impatti significativi anche perché questi non sono stati progettati. Il Contratto di quartiere si preoccupa di come ampliare e qualificare la presenza dell’università nel centro e come ridisegnare le relazioni tra spazi destinati alle associazioni e rivitalizzazione di questa parte di città.
L’abbandono dello spazio pubblico e la scarsa coesione sociale Il centro antico non è solo un aggregato di edifici ma anche, e in una certa misura soprattutto, spazio pubblico. Su questo aspetto gli attori locali insistono molto, come testimoniano le interviste e le riunioni del Piano strategico. Il centro storico ha bisogno di opere di manutenzione e riqualificazione di alcuni spazi aperti: la cura degli spazi verdi, la pavimentazione delle strade, il sistema di illuminazione, il trattamento e la valorizzazione delle reti sotterranee. Si tratta di oggetti diversi sui quali però è possibile intervenire secondo un programma d’insieme che potrebbe incidere in modo significativo sull’immagine e sulla vivibilità di questa parte di città. Gli interventi sarebbero nella maggior parte dei casi leggeri, ma la qualità del tessuto storico esige un programma di manutenzione coerente e ben calibrato sui possibili effetti di sistema. È un tema ulteriore cui si applica l’azione del Contratto di quartiere.
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L’abbandono residenziale e il disagio abitativo Jesi sta conoscendo un fenomeno ormai tipico di tutte le società locali giunte ad un certo grado di sviluppo: la frammentazione e la pluralità della domanda sociale. Con questa espressione si intende il passaggio da una situazione nella quale si poteva parlare di estesi fabbisogni, ad una nella quale occorre invece ragionare sulla presenza di intense domande specifiche. Si pone in questi termine il tema della casa. Rimane un problema emergente (anche perché oggi è praticamente scomparso dall’agenda delle politiche pubbliche del nostro paese) che si manifesta, però, con particolare acutezza per alcune specifiche categorie: per coloro che la cercano (si pensi agli stranieri recentemente immigrati, alle giovani coppie), ma anche per coloro che possiedono un’abitazione e che tuttavia trovano difficoltoso mantenerla, per ragioni economiche o perché l’alloggio non corrisponde più alle esigenze mutate (anziani con pensioni minime o con minori disabili a carico, persone disabili o anziani non più autosufficienti). Alcune di queste categorie sono proprio quelle che già vivono nel centro antico; altre, come ad esempio i giovani, vi potrebbero invece trovare un luogo adatto alle proprie esigenze abitative. Secondo i dati dello IACP della provincia di Ancona e dell’Ufficio Casa del Comune di Jesi, attualmente le domande nella graduatoria provvisoria per l’accesso a un alloggio ERP a Jesi sono circa 300. Secondo i programmi dello stesso Istituto, vi è la previsione di poter soddisfare soltanto una quota minima di questa domanda (70-80 famiglie). Le quantità che può mobilitare il Contratto di quartiere non sono tali da poter trattare efficacemente il problema. Esse però rappresentano un’importante occasione per invertire la rotta, per affermare che una politica della casa nel centro antico è possibile, articolandola per differenti categorie di utenti, a cominciare dalle famiglie più svantaggiate.
10.3 Gli obiettivi del programma
Un nuovo ruolo per il centro antico A fronte delle criticità evidenziate nel precedente paragrafo, la proposta di Contratto di quartiere assume come obiettivo principale l’avvio di un processo di rivitalizzazione del centro antico della città, dei rioni Duomo e San Pietro, intesi come quartieri da abitare e vivere. La riqualificazione edilizia, il miglioramento delle condizioni ambientali, l’adeguamento e lo sviluppo delle opere di urbanizzazione e delle dotazioni di servizi pubblici e privati, l’integrazione sociale e l’incentivazione dell’offerta occupazionale sono obiettivi puntualmente perseguiti. Obiettivi e azioni previsti costituiscono nella loro articolazione temporale, oltre che nel loro sviluppo spaziale, un insieme organico che punta all’estensione degli effetti del programma oltre i limiti iniziali e quindi, più in generale, all’attribuzione di un nuovo ruolo al centro antico di Jesi. Infatti, se nella parte del centro storico esterno alle mura, lungo la direttrice di corso Matteotti, la caratterizzazione commerciale, residenziale e la presenza di importati funzioni civili (il teatro Pergolesi, la scuola di musica nel complesso San Martino, l’università nell’ex edificio scolastico Cuppari, ecc.) consolidano il ruolo civile e simbolico e costituiscono un’importante attrattiva per il resto della città, il centro antico murato, oltre a conservare ed estendere questo stesso ruolo può tornare a essere uno spazio con caratteristiche di qualità legate alla dimensione quotidiana della residenza, del lavoro, delle attività sociali.
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Le azioni proposte dal Contratto di quartiere corrispondono a strategie più estese, che trovano appoggio e conferma anche in altri progetti avviati nel centro antico della città dal comune e da altri soggetti privati e pubblici.
Incrementare la quota della residenza pubblica in affitto nel centro antico Il progetto opera sul piano quantitativo e su quello qualitativo, rendendo disponibili o riqualificando 38 nuovi alloggi in edifici storici di cui 10 esistenti, attualmente in locazione nel palazzo Sant’Agostino, e introducendo una nuova significativa quota di residenza pubblica nel centro antico. La scelta delle tipologie e dei tagli, anche se in parte vincolata dalle necessità di rispetto delle strutture esistenti, rende in effetti possibile un’articolazione del possibile utilizzo: gli alloggi sono, infatti, concepiti con tagli compresi tra 50 e 150 mq. In particolare, nel progetto di Palazzo Pianetti Vecchio (ex carceri) le tipologie degli alloggi e la conformazione degli spazi comuni è stata progettata per poter accogliere forme di coabitazione e appoggio tra anziani autosufficienti e studenti, riservando ampie aree per servizi e spazi comuni (spazi di soggiorno, di studio, cucine, ecc). Inoltre, la previsione al piano terra di spazi per le associazioni con finalità sociale e culturale (oggi presenti nel palazzo in condizioni precarie) accentua il carattere integrato dell’intervento. L’intervento di largo Saponari prevede il recupero di cinque unità abitative, da destinare a edilizia sovvenzionata, di taglio compreso tra 80 e 150 mq. I tagli sono vincolati dalla tipologia su più piani con spazi di disbrigo e deposito al piano terreno, ma sono adatti a soddisfare esigenze abitative di gruppi familiari numerosi e ad integrare spazi per la residenza e per il lavoro. Gli 8 alloggi che deriveranno dal completamento del progetto di Palazzo Santoni, disegnato dallo studio Frankl, Malagricci, Ridolfi, destinati ad edilizia convenzionata, presentano caratteristiche uniche per dimensioni e criteri distributivi: si tratta infatti di alloggi articolati su livelli differenti, che seguono gli scarti di quota delle solette interne al palazzo e che sfruttano le migliori opportunità di affaccio e di riscontro d’aria. Pur uscendo dai canoni distributivi dell’edilizia residenziale pubblica più consueta si presentano come eccellenze del patrimonio edilizio pubblico del Comune di Jesi e come intervento esemplare per qualità architettonica nel centro antico della città. La predisposizione anticipata di questi alloggi e degli spazi collettivi al piano terreno dell’edificio, unitamente all’anticipazione (prevista nel cronoprogramma) del progetto di riqualificazione del complesso di largo Saponari, consente di accogliere in via temporanea gli inquilini attualmente alloggiati nel Sant’Agostino e una parte delle associazioni presenti nel palazzo Pianetti Vecchio, mantenendo gli uni e le altre all’interno del centro antico per la durata dei lavori. Come evidenziato nei paragrafi dedicati a illustrare il programma di sperimentazione, il progetto originale di Palazzo Santoni è stato rispettato integralmente e verrà terminato come previsto dagli autori, e tuttavia completato con previsioni impiantistiche e di finitura che rispettano i canoni della bioedilizia. 15 alloggi da destinare a edilizia sovvenzionata saranno recuperati nel complesso Sant’Agostino, ponendo rimedio a condizioni di degrado edilizio e conseguente disagio abitativo oggi gravissime e che hanno costretto l’amministrazione a recenti costosi interventi d’urgenza. Nella fase di studio del progetto il
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piano terreno del palazzo è risultato interamente di proprietà pubblica ed è stato dunque inserito nelle previsioni di trasformazione: le corti e il passaggio porticato di Sant’Agostino, che collega la piazza del Municipio con piazza Colocci, costituiscono uno dei luoghi collettivi e pubblici più significativi della città, sia per la indubbia suggestione degli spazi architettonici, sia per la tradizionale presenza di attività artigianali orafe che in passato ha connotato il luogo e che oggi si è ridotta a un’unica bottega. La possibilità di insediare negli spazi affacciati sulle corti attività artigianali e commerciali, attraverso un progetto d’iniziativa comunale di promozione delle attività lavorative, costituisce un aspetto qualificante dell’intervento e del Contratto di quartiere nel suo insieme.
Incrementare la quota di servizi e di spazi pubblici Integrare la vitalità e la dotazione di servizi di livello sovralocale (il sistema formato da musei, archivi e biblioteche in via di costruzione e il completamento degli interventi presso la Chiesa di Sant’Agostino, Palazzo Colocci, Teatro San Floriano) con interventi locali rivolti alla popolazione residente e alla promozione del lavoro nel centro, costituisce una strategia importante per rendere il centro antico attrattivo per il resto della città e meglio vivibile per i residenti stabili e per gli studenti. Questa strategia si potrà sviluppare attraverso una scelta opportuna di localizzazione dei servizi pubblici e di loro gestione. Al piano terreno di Palazzo Pianetti Vecchio è previsto un nuovo centro sociale per anziani affiancato da spazi per altre associazioni: il centro sarà collegato con la parte di città esterna alle mura e reso accessibile attraverso un ascensore, ricavato nel sotterraneo del palazzo, che raggiunge dopo un percorso di circa 15 metri il piede dei contrafforti. Questa nuova risalita urbana renderà accessibile anche un nuovo spazio per riunioni e conferenze che verrà ricavato nello scantinato del palazzo, le cui finestre si aprono direttamente nelle mura della città. Altre associazioni troveranno spazio al piano terreno dell’edificio.
Rafforzare le reti di partnership locale Un obiettivo importante è dare avvio, grazie al Contratto di quartiere, ad una “politica complessa” per il centro antico che possa investire poi la città storica nel suo insieme. Per “politica complessa” si intende un insieme di azioni diverse che definisce una strategia, prefigura un disegno unitario. Si tratta di un’esigenza espressa chiaramente dagli attori locali nelle interviste e nei focus group condotti nell’ambito dei lavori del Piano strategico. Finora, infatti, gli interventi sono apparsi episodici, non riconducibili a una intenzionalità coerente, o per lo meno a un disegno riconoscibile. Il Contratto di quartiere rappresenta il primo passo in questa direzione, perché sceglie di intervenire su una parte specifica della città storica (e non su singoli edifici), rispetto alla quale prova a definire possibili specializzazioni e “vocazioni” e sulla quale fa convergere gli interventi di diversi attori. La dimensione partenariale è infatti cruciale per definire davvero come “complessa” una politica. Non si tratta di accrescere la “lista della spesa”, di fare più cose, di diverso tipo, in una stessa area della città. Si tratta piuttosto di integrare, in un quadro coerente, le intenzionalità di più soggetti. Ciò rappresenta la condizione per avviare un programma di intervento che abbia le ca-
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ratteristiche di un’azione multidimensionale in grado di agire in campo fisico, economico e sociale, quando gli interventi si sono normalmente confrontati con la sola dimensione fisica: ristrutturazione di immobili o restauri di edifici di pregio. L’obiettivo è quello di fare un’esperienza innovativa per Jesi e prefigurare un modello di intervento replicabile anche in altre parti della città storica.
Migliorare l’utilizzo dello spazio pubblico e la coesione sociale: una strategia leggera di permeabilizzazione delle superfici del centro antico Migliorare la qualità degli spazi aperti e la vivibilità della città antica può significare una minuta riqualificazione delle strade che comporta una specifica riflessione (e conseguenti scelte) sul tema della percorribilità carrabile e del parcheggio, tema che non può essere affrontato in modo radicale e unilaterale. I risvolti sono infatti molteplici: la qualità del paesaggio urbano e la percorribilità pedonale, la possibilità di risiedere nel centro antico senza rinunciare alla disponibilità dell’automobile (o utilizzando l’automobile diversamente da chi abita in altre ambienti), il problema della sicurezza (sanitaria, antincendio). Il progetto non è in grado oggi di definire i caratteri formali delle scelte relative a questo aspetto, delicato per il rapporto innegabile tra accessibilità, sicurezza e possibilità di parcheggio; tuttavia, nell’adottare una strategia leggera, che si traduce in opere di minimo intervento e di costo il più possibile contenuto, intende introdurre una nuova prassi in controtendenza rispetto a quella affermata. Le pavimentazioni del centro storico di Jesi sono infatti concepite per reggere il transito delle automobili e degli autocarri anche laddove ciò non pare necessario, a forte discapito della durata e delle possibilità di manutenzione. Danneggiano il suolo più i naturali movimenti dovuti alla differente resistenza dei materiali al gelo, agli assestamenti del sottosuolo, che non gli agenti superficiali. È sufficiente confrontare lo stato di degrado di una pavimentazione realizzata meno di vent’anni fa lungo via Pergolesi con la qualità e la possibilità di restauro delle pavimentazioni permeabili tradizionali per capire l’opportunità di una revisione nelle scelte di trasformazione e manutenzione. La “strategia leggera” di permeabilizzazione del centro antico si propone dunque non come progetto a priori. Alcuni interventi puntuali sui vicoli e le piazze presentata nei progetti preliminari, insieme alla prevista sistemazione dei sottoservizi da parte della società Gorgovivo, ne anticipa alcuni aspetti significativi, ma non escussivi. La strategia si propone di guidare non solo un progetto fisico: intende avviare, in stretto contatto con la gestione partecipata del programma di quartiere, una riflessione sulla possibilità di vivere e lavorare in modo anche innovativo e sostenibile nel centro antico della città, di tradurre gli aspetti oggi problematici (come la scarsità di spazi di parcheggio privati e collettivi, l’invasività dei mezzi utilizzati dagli ambulanti per il mercato settimanale, la necessità di progettare, disporre e mantenere i sottoservizi e l’adeguamento tecnologico) in risorse per un nuovo progetto dello spazio collettivo.
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Migliorare l’utilizzo dello spazio pubblico e la coesione sociale: nuovi spazi per le associazioni e per il sostegno del lavoro nel centro antico Il miglioramento dell’utilizzo dello spazio pubblico e la coesione sociale passano anche attraverso la predisposizione di un insieme di nuovi spazi polifunzionali, strettamente connessi alla residenza, all’interno degli edifici recuperati. La collocazione di funzioni in grado di portare lavoro e un utilizzo intenso in tutte le ore della giornata nel cuore degli edifici ha una funzione strategica nella rivitalizzazione complessiva del quartiere e intende proporsi come modello da estendere: la stessa conformazione della maggior parte degli edifici del centro antico, che contiene ai piani inferiori spazi non adatti per abitazioni così che, in assenza di altri usi, le strade vengono private di motivi di frequentazione. Nello specifico, il programma prevede di collocare un “condominio” di centri sociali e associazioni rivolte alla città al piano terra di Palazzo Pianetti Vecchio, dove sarà realizzato anche un nuovo accesso meccanizzato dal piede delle mura e una grande sala per conferenze; la sede di associazioni per la promozione dei prodotti e della cultura agroalimentare della valle Esina nei piani bassi di Palazzo Santoni; nuove botteghe nelle corti di Sant’Agostino che potranno essere gestite dall’amministrazione come incubatore di attività artigianali; spazi non residenziali nelle unità previste in largo Saponari.
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