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Paesaggi rurali storici della Sardegna e strumenti di pianificazione Danila Artizzu
Paesaggi rurali storici della Sardegna e strumenti di pianificazione
Danila Artizzu
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Scuola Archeologica Italiana di Cartagine Email: artizzu@gmail.com
Abstract
Il piano paesaggistico approvato dalla Regione Sardegna nel 2006 è stato il primo ad essere progettato secondo le prescrizioni del D.Lgs 42/2004 e pur ispirandosi ai criteri dello sviluppo sostenibile, tuttavia ha interessato solo la fascia costiera. La sua estensione alle aree interne della Regione Sardegna è ora l’occasione per valutare gli effetti di 14 anni di pianificazione e per prestare maggiore attenzione al ruolo del paesaggio storico non solo come patrimonio identitario delle comunità, ma per individuare alcune linee guida per la progettazione dello sviluppo futuro delle aree interne, afflitte da una bassa densità demografica e dalle conseguenti criticità di carattere economico e sociale.
Parole chiave: conoscenza, identità, sviluppo
Nel 2006, con il DGR n. 36/7, la Regione Autonoma della Sardegna approvava il primo Piano Paesaggistico Regionale in Italia che rispondesse alle prescrizioni del D.Lgs n. 42/20041 . Con questo strumento di pianificazione si riconoscevano le aree litoranee come importante risorsa strategica e, insieme alla consapevolezza della loro fragilità ambientale, si affermava che la sostenibilità è la condizione irrinunciabile per tutte le possibili prospettive di sviluppo. Si tralascerà ogni riflessione teorica sul concetto di sostenibilità o qualsiasi considerazione riguardo le metodologie più efficaci per l’individuazione dei modelli e degli indicatori che siano validi allo scopo, ma 2 si deve ammettere che questo Piano “perimetrale”, nel rimandare il coinvolgimento delle aree interne ad 3 un secondo tempo, ha avuto l’inevitabile conseguenza di una disparità nello sviluppo della pratica pianificatoria fra le due macro entità territoriali – la cornice costiera e i territori che non si affacciano sul mare – nelle quali come risultato la Sardegna è stata divisa. Che si fosse trattata di una soluzione parziale e 4 temporanea dettata dall’urgenza del momento e che la volontà dell’allora governo regionale fosse quella 5
http://www.sardegnaterritorio.it/pianificazione/pianopaesaggistico/1
Si veda, solo per citare un esempio, il manuale (AA.VV., s.d.) pubblicato da Arca onlus in collaborazione con il Dipartimento di 2 Scienze e tecnologie chimiche e dei sistemi dell’Università di Siena, consultato il 09/07/2020 http://www.sinanet. isprambiente.it/ gelso/rassegna-degli-strumenti-di-sostenibilita-per-gli-enti-locali/manualeTiezzi_indicatorisostenibilit.pdf; sulle diverse implicazioni, spesso non considerate, che l’applicazione di criteri di sostenibilità possono comportare anche sul piano giuridico cfr. Follieri, 2018. Una definizione, forse troppo semplicistica, per evidenziare come il Piano abbia interessato la sola cornice costiera dell’Isola.3 Si vedano le osservazioni di Isola, Pira, 2018; seguendo la definizione della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), in 4 Sardegna l’84,5% della superficie dell’Isola dovrebbe ricadere in tale categoria, con il 52,3% sul totale degli abitanti, Colavitti, Serra, Usai, 2019: 129-130; al 2019 le aree selezionate sono state l’Alta Marmilla e il Gennargentu-Mandrolisai, https:// www.agenziacoesione.gov.it/strategia-nazionale-aree-interne/regione-sardegna/. Come amava affermare Giuseppe Prezzolini «…nulla è stabile fuorché il provvisorio…», Prezzolini, 1921: cap. 6, aforisma 40.5
di “sanare” una situazione nel più breve lasso di tempo possibile, è comunque interessante osservare 6 come questa dicotomia abbia impresso un’ulteriore impronta sul paesaggio. 7 Ciò introduce una considerazione: la sostenibilità e il paesaggio hanno come denominatore comune il fatto di essere strettamente legati all’uomo, alle sue urgenze, alle sue visioni, alla sua storia di lavoro, di acquisizioni tecniche e di insuccessi. Ne deriva che il paesaggio e la sostenibilità non prescindono dalla conoscenza e dallo studio. Un impianto 8 conoscitivo solido, costruito grazie ad un approccio olistico che si avvalga degli strumenti di indagine a disposizione di ogni disciplina coinvolta nelle problematiche del territorio, dell’ambiente e del paesaggio, è infatti la premessa necessaria per poter progettare o riprogettare i suoi assetti con la dovuta attenzione alle tre dimensioni della sostenibilità economica, ambientale e sociale9 . Sono questi i principi che hanno guidato la stesura del PPR nel primo decennio del 2000 e che adesso stanno dando forma alla sua estensione alle aree interne nel secondo decennio10 . Il ruolo della storia non è secondario, soprattutto se si considera che i territori lontani dal mare sono sentiti dai sardi, ma in verità anche da chi è esterno all’Isola, come il serbatoio di quei valori culturali e di tradizioni che sanciscono l’identità dei luoghi e delle comunità . Sembra opportuno specificare che non si 11 sta parlando di folclore – per quanto rappresenti un’importante testimonianza di appartenenza dietro la quale, a ben guardare, si possono intravvedere paesaggi di produzione e processi di appropriazione dei luoghi – ma di quei segni che inevitabilmente l’uomo imprime sul territorio quando lo abita e, in senso lato, se ne prende cura.
Il PPR Sardegna fece seguito alla LR 8/2004, 6 Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale, con la quale il Governo Regionale stabiliva, per la durata di 18 mesi, l’inedificabilità delle fasce costiere fino a 2000 m di distanza dal mare (500 m per le isole minori) e si impegnava a varare un Piano Paesaggistico entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge. Secondo i legislatori la particolare urgenza del provvedimento derivava dal vuoto normativo intervenuto a seguito dell’annullamento da parte del Consiglio di Stato e del TAR Sardegna di 13 Piani Territoriali Paesistici, che metteva a repentaglio la tutela di un’ampia porzione delle coste sarde; per una breve sintesi sulla storia passata e recente della pianificazione in Sardegna, Falqui, 2011. Le riflessioni, sebbene riferite alla scala globale, di Rodriguez-Pose, 2018: 201-202 e 204-206 su come le diseguaglianze territoriali 7 influiscano più di quelle sociali sugli atteggiamenti politici dei singoli e delle comunità sono a questo proposito di grande interesse. Suonano ancora attuali le considerazioni di L. Mumford: «Regional planning asks…how the population and civic facilities can be distributed so as to promote and stimulate a vivid, creative life throughout a whole region, a region being any geographic area that possesses a certain unity of climate, soil, vegetation, industry and culture», Mumford, 1925 (2019). Parafrasando l’assunto di A. Cederna (Cederna, 1987: 14) si dirà che non si può progettare il futuro di ciò che non si conosce.8 9 Sull’importanza dell’interazione e dello scambio fra le tre dimensioni cfr. Barile, Saviano, Iandolo, Caputo, 2015. Il progetto vede coinvolte le Università di Cagliari e di Sassari, l’Istituto Superiore Regionale Etnografico, FO.Re.S.T.A.S. e 10 l’Osservatorio del Paesaggio e del Territorio RAS; chi scrive ha partecipato, da gennaio a settembre 2019, come borsista dell’Università di Cagliari, ai lavori di ricerca sui paesaggi storici di alcuni ambiti omogenei e le riflessioni qui esposte nascono dal dibattito scaturito intorno al tema durante i lavori. Un vivo ringraziamento va al Prof. Antonello Sanna, coordinatore scientifico per l’Università di Cagliari, per la sua generosità intellettuale, alla Prof.ssa Alessandra Casu dell’Università di Sassari per i suoi consigli e al Prof. Adriano Dessì per la sua cortese disponibilità. A questo atteggiamento non è estranea una certa visione politico-culturale che mira a rivendicare una “sardità” forte e resistente 11 agli apporti esterni. La ricostruzione storica dei paesaggi racconta invece una realtà più vivace e interessante di territori e comunità permeabili ai contributi delle alterità demografiche e culturali che si sono avvicendate nel tempo. Riguardo le operazioni di “costruzione della tradizione”, e di quanto possano deludere le aspettative, si veda l’analisi di Mannia, 2012 a proposito dei paesaggi della transumanza.
Figura 1A e 1B | Carta di distribuzione dei nuraghi in Sardegna e dei centri urbani; il nuraghe di Armungia al centro del paese. Fonti: http://nurnet.crs4.it/nurnetgeo e http://www.sardegnageoportale.it; foto: G. Deidda da Angioni, Sanna, 1996).
I nuraghi, che con la loro densa presenza occupano le campagne, i monti, le colline e alcuni abitati, possono essere citati, nella loro eccezionalità ed unicità, come un esempio efficace di quanto appena affermato. La loro mole caratterizza molti panorami dalla Sardegna e rappresenta un continuum temporale fra le comunità che per prime colonizzarono il territorio e quelle attuali che idealmente ne hanno raccolto l’eredità, suggerendo la nozione di un paesaggio rimasto sostanzialmente immutato attraverso lo scorrere del tempo . Il caso dei nuraghi è però utile per riflettere anche su un altro aspetto: le ragioni della tutela, 12 l’inveterata consuetudine legislativa nazionale alla conservazione del bene di valenza eccezionale, la necessità di mettere in qualche modo a sistema le conoscenze sul patrimonio culturale regionale, hanno suggerito nel 2006 che la migliore strategia fosse quella di elaborare un repertorio di beni puntuali . Ad 13 elaborati di sintesi, focalizzati per lo più sugli aspetti morfologici e ambientali, è stata poi affidata la comprensione delle diverse componenti del paesaggio che caratterizzano ciascuna delle 27 porzioni territoriali (ambiti omogenei) nelle quali è stato diviso il mosaico della Sardegna costiera. Gli specialisti sanno che si tratta di una reductio ad unum, tuttavia il Piano non è uno strumento destinato esclusivamente agli esperti ed è possibile che in questo modo, qualora nell’estensione alle aree interne si rispettasse lo stesso criterio di sola enumerazione catalogica, si perda l’occasione di trasmettere, a chi ne è l’effettivo fruitore, l’idea che un bene archeologico, architettonico, identitario o paesaggistico è molto più che un fossile da tutelare: può essere invece un fattore di progetto, tra l’altro non obbligatoriamente legato alla sfera della cultura e del turismo. Persistenza e sovrapposizione non sono sinonimi di immobilità: suggeriscono, piuttosto, l’evoluzione continua del paesaggio, la memoria dei luoghi e delle loro funzioni, alcuni scenari di comportamenti “ecologici” che hanno avuto successo e che possono essere attualizzati. Persino le tracce in negativo delle grandi crisi e degli abbandoni possono diventare gli elementi ispiratori di progetti su scala territoriale che dialoghino con il tempo, senza che questa dimensione, la più immediata per l’uomo, venga privata delle sue prerogative di fluidità e relatività14 .
Negli ultimi giorni è rimbalzata nei media la notizia della proposta di una delle parti politiche al governo della Regione di far 12 inserire nella lista dei Paesaggi Unesco i contesti pre e protostorici sardi, https://www.ansa.it/sardegna/notizie/2020/ 07/14/ paesaggio-sardo-nella-lista-unesco-appello-riformatori_98b95660-b3b0-46d4-ad11-adf61bc52515.html; l’Isola vanta già l’inserimento nella lista WHS del sito nuragico di Barumini. Sulla persistente tendenza a frammentare il patrimonio culturale in singole categorie tipologiche e sul rischio che una delle 13 reazioni al processo di globalizzazione sia quella di caricare i singoli monumenti di valori simbolici di appartenenza nazionale, cfr. Baldacci, 2014; sulla storia delle fonti giuridiche dei Beni Culturali in Italia, Rimoli, 2017. Non è questa la sede per riflessioni sulla natura del tempo, per le quali si rimanda a Buongiorno, 2013, tuttavia il dipinto di S. 14 Dalì «La memoria del tempo» sembra evocativo in modo particolare.
Per tornare all’argomento centrale, l’estensione del PPR Sardegna può essere l’occasione per mettere a punto le riflessioni appena espresse. Se per esempio si considera l’Ambito Omogeneo 2, Nora, l’attenzione nella relativa scheda è inevitabilmente focalizzata sul grande valore storico e paesaggistico che insiste su 15 questo areale e cioè i resti di una delle più antiche città del Mediterraneo – Nora, per l’appunto – che venne fondata nell’VIII sec. a.C. e conservò il suo ruolo centrale fino almeno al V-VI sec. d.C. 16 Appare scontata l’osservazione che la presenza precoce di questa realtà urbana abbia impresso una profonda impronta sul paesaggio, ma si deve aggiungere che non ha rappresentato l’unico e prevalente motore di trasformazione e tantomeno ha significato un’esclusiva proiezione verso il mare. Il territorio dove fu “trapiantata” da elementi alloctoni, i fenici, era già stato colonizzato dall’uomo e, dopo la decadenza e l’abbandono della città, ha continuato ad evolversi secondo forme di adattamento generate sia dalla presenza, sia dall’assenza delle comunità insediate. Riesaminando questo specifico ambito territoriale alla luce delle considerazioni appena espresse, appaiono evidenti alcune costanti nei meccanismi di funzionamento del suo paesaggio. Emerge per esempio l’ineludibile carattere, dettato dai profili geomorfologici e dall’idrografia, di un abitato sparso che da sempre si è distribuito fra le aree di pianura e le pendici delle alte colline in maniera tale da assicurare l’utilizzo ottimale - in rapporto al progresso delle conoscenze tecnologiche - delle risorse agricole, forestali e minerarie disponibili nelle aree più interne17. La distribuzione dei nuraghi, delle fattorie puniche e romane, dei centri medievali, persino delle ville e delle fattorie sperimentali del XVIII-XIX sec. indicano dei principi di fondo che, malgrado le lunghe cesure rappresentate dalle fasi di spopolamento, si ripetono anche quando gli attori sembrano non averne una piena consapevolezza: è paradigmatica la definizione, nel PPR 2006, del perimetro d’ambito che ha coinciso grosso modo con i limiti della curatoria medievale di Nuras. Proprio nel caso citato si può per contro osservare come, rispetto all’ordinamento antico, la pianificazione moderna abbia scelto di individuare nel territorio di Chia (ambito 4) una microregione avulsa dal resto, sebbene tutti gli elementi di continuità trovino una cesura solamente più ad ovest, all’altezza del Capo Spartivento che segna l’inizio della diversa linea del Golfo di Teulada e, verso l’interno, del sistema montuoso del Sulcis . 18
Figura 2A e 2B | Gli ambiti di paesaggio 2, Nora, e 3, Chia Fonte: http://www.sardegnageoportale.it, elaborazione. D. Artizzu
http://www.sardegnaterritorio.it/documenti/6_83_20070522135903.pdf
15
Per una sintesi, Bonetto 16 et al., 2018.
Dall’inizio della sua storia urbana l’Isola si è connotata per la sua vocazione rurale: tralasciando i momenti più antichi, in età 17 romana si configura un paesaggio di vasti territoria cittadini, estesi latifondi imperiali e privati, aree tribali. Lo schema di fondo sembra quello di non “consumare” gli spazi della produzione, in generale Mastino, 2005: 211-212; su alcuni aspetti della continuità dall’età medievale a quella moderna, Ara 2017. Gli elementi di continuità del sistema storico e ambientale di Nora-Bithia, o Pula-Chia, erano invece chiari ai geografi sabaudi 18 che consideravano le piane costiere comprese fra le due località centrali come un’unica «maremma», Angius in Casalis, 1843: 36.
Nell’ambito omogeneo di Nora, così come in quello di Chia, emerge una costante duplicità per la quale l’agro e il bosco sono affidati alla cura di un abitato rarefatto e non sempre stabile, ma che comunque ha ordinato gli spazi e organizzato un’infrastrutturazione che può essere quella “formale” dei percorsi secondari storici o delle vie della transumanza e quella “informale” del popolamento stagionale degli uccellatori . 19 Il mare è stato lasciato alla città che ha diretto le connessioni litoranee e stabilito un sistema organico di centralità costiere: Cagliari, Nora, Bithia (Chia). L’analisi attenta conferma un sistema che storicamente si espandeva o si contraeva in relazione ad eventi legati alle condizioni di sicurezza o insicurezza del mare, ma alcune “anomalie” aprono la strada all’ipotesi di scenari alternativi rispetto all’omogeneità, comunemente accettata, di un paesaggio disertato dall’uomo nel lungo arco di tempo compreso fra l’inizio dalle incursioni medioevali barbaresche e la prima metà del XVIII sec., quando di nuovo il territorio diventa oggetto di rappresentazione e di indagine con intenti pianificatori da parte dei geografi sabaudi. Sullo sfondo di fatti storici e devozionali come la rifondazione, nel XII sec., della chiesa romanica di S. Efisio sulla spiaggia di Nora a cura dei monaci del priorato di San Saturnino a Cagliari, o l’istituzione nel 1655 della processione di ringraziamento allo stesso santo da Cagliari a Pula, e ancora la costruzione della chiesa di San Raimondo nel 1709 da parte dei frati mercedari di Bonaria a Cagliari, si staglia un paesaggio che non ha smesso di essere oggetto di immutata attenzione da parte della città . Fra i nodi della rete 20 originaria, l’area metropolitana all’estremità orientale del Golfo (Cagliari) ha reagito alla crisi delle entità urbane locali sue omologhe (Nora, Chia) e ha adottato delle strategie per mantenere saldi i legami con un territorio diventato periferia.
Figura 3A e 3B | Le dinamiche di gestione delle aree agricole produttive (in grigio) e dei flussi in età punico romana e dopo il ripopolamento del XVII sec. Elaborazione. D. Artizzu.
In quest’ottica l’orizzonte spaziale e temporale si allarga su politiche di gestione non affidate solo all’esperienza empirica, ma guidate da ampi progetti di pianificazione che hanno fondato il loro agire su leggi e su saperi codificati: i trattati di Magone Cartaginese, gli scritti di agrimensura romani, i tre libri di Francesco Gemelli per lo sviluppo moderno dell’agricoltura e della zootecnia sarde . Sono alcune delle 21
Interessante a questo proposito Murru Corriga, 1984.19
Si vedano per l’Alto Medioevo i dati illustrati in Bonetto-Ghiotto, 2013: 279-286; per le epoche successive in generale Livi, 20 2014: 232-235; riguardo il legame fra devozione e ragioni economiche nel voto a S. Efisio da parte della Cagliari spagnola, Bazzano, 2017. Gemelli, 1842; una panoramica sui testi agronomici presenti nelle biblioteche dei maggiorenti sardi in Seche, 2017.21
molte citazioni possibili dei costrutti normativi e concettuali che hanno tessuto le complesse trame del paesaggio in Sardegna e che hanno investito sia la sfera ideale della visione di paesaggi possibili, sia la dimensione concreta dell’utilizzo delle risorse offerte dal territorio. Si pensi all’attività pastorale, largamente accettata come iconica della Sardegna e legata ad alcuni luoghi comuni fra i quali l’essere espressione di un’economia poco sviluppata, con un’organizzazione quasi spontanea. Dietro la pratica delle transumanze si nascondono invece elaborate divisioni di spazi, complesse organizzazioni di flussi e tessiture di legami sociali che per secoli hanno coinvolto più comunità e che sono state normate e attuate da parte di solide strutture sovralocali, fossero esse Roma , i giudicati 22 medievali, il regno aragonese o lo Stato Sabaudo23 . Nella lunga durata del paesaggio sardo non è quindi tanto interessante soffermarsi sui conflitti, quanto osservare le politiche che sono state adottate per arrivare a dei compromessi fra pensiero e azione, passato e situazioni contingenti, e che si sono tradotte negli assetti e nelle strutture odierne24 . Con questo approccio l’estensione del PPR Sardegna alle aree interne potrà rivelarsi l’occasione per ridefinire, secondo indirizzi di maggiore sostenibilità, le relazioni fra uomo, risorse e ambiente nei contesti rurali. In più potrebbe facilitare, attraverso la riscoperta dei comuni valori identitari, il rinnovarsi di quel rapporto simbiotico che, fino alla «catastrofe antropologica» degli anni ’70 del XX sec. , aveva legato le 25 città agli entroterra produttivi più appartati . 26 È una considerazione che peraltro risponde a chi potrebbe obiettare che un’analisi così approfondita dei paesaggi storici sia consona alle fasi conoscitive legate alla progettazione dei Piani Urbanistici Comunali. Al contrario si ritiene che proprio alla scala del PPR sia possibile cogliere, con una visione d’insieme, tutte le armonie e le disarmonie che si sono stratificate nel tempo sui territori, allo scopo di poter elaborare lessici nuovi, non sradicati dalla memoria dei contesti, con i quali comporre prospettive di sviluppo innovative ed esplorare vie possibili per un rinnovato rapporto di reciprocità fra le città e le aree interne rurali.
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Cfr. Marcone, 2016.22
A ragione la transumanza è stata proclamata nel 2019 dall’Unesco patrimonio culturale immateriale dell’umanità.23
Rimangono fondamentali Angioni, Sanna, 1996 e Ortu, Sanna 2009; in breve, sulle modificazioni del paesaggio rurale sardo in 24 rapporto alle politiche europee, Roggero, 2019. È l’espressione impiegata dalla geografa M. Zaccagnini per spiegare l’impatto traumatico sui territori interni sardi che ebbero lo 25 sviluppo turistico delle coste in concomitanza con la migrazione delle attività agricole nelle aree di pianura e l’inizio della sventurata parentesi industriale, Zaccagnini, 1996. È un modello di approccio conoscitivo che Magnaghi, 2019 illustra, per la sua efficacia, nella definizione delle «bioregioni 26 urbane».
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