Atelier 1.
Bio-Logic City. Infrastrutture ecologiche e digitali Coordina: Massimo Angrilli con Aldo Casciana Discussant: Paolo Fusero
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Crediti
Comitato scientifico della XV Conferenza Nazionale SIU: Alessandro Balducci (Segretario SIU), Massimo Angrilli (Responsabile), Alberto Clementi, Roberto Bobbio, Daniela De Leo, Luca Gaeta (Tesoriere), Elena Marchigiani, Daniela Poli, Michelangelo Russo, Maurizio Tira Segreteria organizzativa della XV Conferenza Nazionale SIU: Massimo Angrilli (Coordinamento), Cesare Corfone, Antonella de Candia, Claudia Di Girolamo, Federico Di Lallo, Fabio Mancini, Mario Morrica, Patriza Toscano, Ester Zazzero (Mostra Piani di ricostruzione), Luciano Di Falco (Assistenza tecnica) La pubblicazione degli atti della XV Conferenza Nazionale SIU è il risultato di tutti i papers accettati alla conferenza. Solo gli autori regolarmente iscritti alla conferenza sono stati inseriti nella presente pubblicazione. La pubblicazione degli atti della XV Conferenza Nazionale SIU è stata curata dalla redazione di Planum. The Journal of Urbanism: Giulia Fini e Salvatore Caschetto con Marina Reissner Progetto grafico: Roberto Ricci Segreteria tecnica SIU: Giulia Amadasi, DiAP - Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano L’immagine della copertina della pubblicazione e delle copertine dei singoli Atelier sono tratte da opere di Francesco Millo ©. Francesco Camillo Giorgino in arte Millo nasce a Mesagne (BR) nel 1979. Consegue la Laurea in Architettura e parallelamente porta avanti una personale ricerca estetica nel campo della pittura, spaziando dalla micro alla macroscala “rivelando la labilità dell’esistenza umana, sospesa a metà tra ciò che conosciamo e ciò che si nasconde dentro di noi” (Ziguline). Riceve diversi premi e riconoscimenti in ambito nazionale, fra cui il prestigioso “Premio Celeste” nel 2011.
Abstract E’ ipotizzabile che l’urbanistica delle reti della sostenibilità e delle reti digitali, in analogia con quanto stanno facendo la cibernetica e l’informatica con lo sviluppo dei bio-computers, giunga a determinare significativi cambiamenti nei modelli urbani del futuro? I paradigmi di città ecologica e città intelligente sono sempre più spesso alla base delle scelte di piani e progetti urbanistici, ed i valori ambientali e dell’informazione sono proposti come valori in grado di migliorare la qualità di vita e la capacità competitiva del territorio, scongiurando i rischi connessi alla crisi ecologica ed al divario digitale. L’Atelier, attraverso le ricerche e l’analisi dei casi studio, vuole indagare le modalità attraverso le quali può avvenire l’evoluzione verso la città ecologica ed intelligente, dotata di una nuova generazione di infrastrutture che ne migliorano le prestazioni ecologiche assicurando costantemente flussi di conoscenza e di comunicazione.
Indice
Atelier 1.
Bio-Logic City. Infrastrutture ecologiche e digitali Coordina: Massimo Angrilli con Aldo Casciana Discussant: Paolo Fusero
Nuovi Paradigmi Urbani Bio Logic City Fabrizio Paone Far East: cyber, eco o bio-logic new cities? Dunia Mittner La città come network adattivo ipercomplesso Antonio Caperna Come reti neurali Emilia Manfredi La Città Idropoietica Cesare Corfone Verso la città ad_attiva. Rispondere ai cambiamenti climatici attraverso una nuova concezione del tempo nei processi e negli esiti progettuali Michele Manigrasso Infrastrutture ecologiche e digitali nelle politiche e nei progetti urbani Un approccio per la definizione di uno strumento di smart planning finalizzato all’integrazione dell’efficienza energetica nella trasformazione della città Stefano Pili, Stefania Sini, Emanuela Abis Le politiche per il governo delle acque meteoriche urbane nella legislazione dell’Unione europea e di alcuni paesi membri Cinzia Langella Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola Suono: materiale del progetto per nuove strategie urbane Ida Recchia Un progetto urbano nello Jiangning District, Nanjing, China Giovanni Marinelli, Monica Pantaloni Strategie innovative di rigenerazione degli spazi pubblici Fabio Bronzini, Giovanni Marinelli La costruzione della bio-logic city. Tra tecnologia e cultura Innovazione tecnologica e sostenibilità nel progetto dell’housing sociale intelligente Valeria Lingua, Jacopo Favara EnvironMental Luciano De Bonis Qualità urbana e flussi materiali ed immateriali Stefano Aragona Approcci transdisciplinari e nuovi scenari urbani e territoriali Massimiliano Scuderi Smart Cities Smart City. Da una definizione alla costruzione di un’agenda pubblica condivisa: comparazione tra P.A.E.S. di città mediterranee Nicola Martinelli, Graziarosa Scaletta, Rosa di Gregorio Smart Cities Paolo Fusero, Lorenzo Massimiano
Smart city: utopia o realtà? Antonluca Di Paola Aree urbane di waterfront in contesti “sensibili”: sostenibilità, pianificazione “multipla” e integrata Barbara Lino Cibernetica urbana e sostenibilità: la città in tempo reale, possibili scenari di sviluppo e problematiche. Pierfrancesco Celani, Valentina Rocca Consumo energetico e caratteristiche della morfologia urbana Marialuca Stanganelli, Marco Soravia Città lievi, nervature di foglia Concetta Fallanca De Blasio
Bio Logic City
Bio Logic City Fabrizio Paone Università IUAV di Venezia paone@iuav.it
Abstract Il testo pone al centro dell’attenzione il significato della metafora “Bio Logic City”, in riferimento a tre questioni di ambito generale. La prima riguarda alcune esperienze, collocate nello spazio e nel tempo, in cui tale metafora è stata impiegata in modo esplicito e rilevante. La seconda attiene al deposito di questa immagine su uno sfondo di lungo periodo, in cui la tesi principale riconosce una associazione cognitiva tra “corpo” e “città” che muta nel tempo, configurando un campo di passaggi. Rispetto ad essi è possibile produrre differenti interpretazioni a proposito dell’avvento della modernità, e del congedo da essa. L’ulteriore tesi è che un percorso di ricerca capace di considerare temi e concetti che si incrociano nella locuzione “città ecologica intelligente” possa oggi far vedere sotto una diversa luce i termini che rendono possibile parlare di città contemporanea, configurando rinnovati margini di azione per il progetto.
Bio Logic City L’incrocio di parole in cui si incontrano “città”, “ecologia”, “intelligenza” , “bio”, “logica” investe temi che vanno a toccare il senso della disciplina in ordine generalissimo. In Italia, in Europa e in senso globale, la frequente insoddisfazione che proviamo per le nostre città, l’aumento della popolazione mondiale e la sua irresistibile migrazione vero abitudini urbane, l’intrattabilità politica internazionale della questione demografica, l’emergente crisi ambientale sollecitano la capacità di una metafora di fungere da operatore logico capace di auspicare una ulteriore fase della civilizzazione, aldilà delle inquietudini, dei rischi del tempo presente. L’attenzione alla rilevanza degli atti linguistici è piuttosto intermittente nelle interpretazioni urbanistiche, e riporta a alcuni testi e attitudini di ricerca (in primis Belli A. (1995), “Immagini e linguaggio. Tracce per una ricerca” , in CRU n.3; Secchi B. (1984), Il racconto urbanistico. La politica della casa e del territorio in Italia, Einaudi, Torino, in particolare i primi due capitoli e, per la metafora, pp.57-60; Lakoff G., Johnson M. (1980), Metaphores we live by, The University of Chicago Press, Chicago and London, trad. it. (1982) Metafora e vita quotidiana, L’Espresso, Milano). In senso stretto la metafora del dispositivo biologico intelligente viene trasferita nel campo urbano dalla medicina sperimentale, in cui il bio-computer marca un ambito microchirurgico di grande suggestione, in cui l’intervento umano di “riparazione” viene introdotto nel “corpo” come un dispositivo capace di evolvere, di dialogare nel tempo con l’organismo vivente in cui è inserito, scambiando con esso informazioni ed azioni geneticamente rilevanti. L’associazione tra città e corpo è antica, e mutevole. A volte è stato il corpo, letto come portatore di integrazione e gerarchia tra le parti, leggi di crescita, patologie, a costituire il termine noto capace di illuminare il termine oscuro. A volte è stata la città a essere impiegata come una fonte di esperienza e di evidenza, per rendere più comprensibile il corpo e i suoi moti. Prendendo l’avvio da un intervento analogico “a proposito” del vivente e “sul” vivente, il dispositivo biologico intelligente si propone come artificio e manipolazione dei termini e dei codici essenziali della pura vita, consente all’artefice e agli spettatori di soffermarsi nei pressi della constatazione dell’esistere. La metafora va a toccare alcune tra le qualità del termine noto per trasportarne l’identità sul termine ignoto: la relazione di parallasse contiene alcune azioni fondamentali, che a loro volta nominano gli attori primari. F.Paone
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All’urbanista viene affidato il ruolo del “medico”, portatore del sapere competente per verificare il buon funzionamento dell’organismo, e per individuare i rimedi in caso di patologie. Il corpo, per traslazione, indica la città, ma anche la società, o la popolazione. Per città, seguendo la definizione posta in apertura del primo libro delle Cause della grandezza delle città “s’addimanda una radunanza d’uomini ridotti insieme per vivere felicemente, e grandezza di città si chiama non lo spazio del sito o il giro delle mura, ma la moltitudine degli abitanti e la possanza loro” (Botero G. (1598), Della ragione di stato, Libri dieci. Con tre libri delle Cause della Grandezza delle Città, Gioliti, Venezia). Un esempio esemplare in corso di realizzazione, Tianjin Eco-City, città nuova per 350.000 abitanti promossa dal governo della Cina insieme a quello di Singapore, viene decisa nel 2007 con il proposito di terminare i cantieri nel 2020. L’accento sulla sua possibile iscrizione a nuovo modello urbano sembra resa relativa dal suo richiamare nel nome Tianjin, terza città cinese per popolazione, da cui la città nuova dista 40 km, rimanendo prossima anche a Bejing, da cui la separano solo 150 km. L’attenzione alla produzione dell’energia, il cui costo ambientale diviene sempre più fattore economico e sociale, conduce Tianjin Eco-City a proporsi come “città ecologica intelligente”, con una particolare attenzione all’integrazione tra i sistemi solari, eolici e microelettrici. Non è chiaro, soprattutto a un osservatore che ha accesso a fonti parziali come chi scrive, quanto possa essere ascritto alle retoriche, quanto agli argomenti tecnici, e quale sia l’insieme ridotto di parametri essenziali dell’urbanizzazione preso in considerazione. Il disegno che enuclea quattro distretti specializzati fisicamente individuabili, che corrispondono ad altrettanti eco-paesaggi: Solarscape, Lifescape, Urbanscape, Earthscape. Il giudizio sull’efficacia del modello proposto sarà abbastanza difficile da pronunciare a Tianjin Eco-City, la quale insiste sopra un sito urbanizzato e altamente inquinato, soprattutto per quanto riguarda le acque. Una misura significativa del funzionamento urbano, degli stili di vita degli abitanti, della dissipazione energetica, andrebbe dispiegato con coerenza in un tempo sufficientemente lungo, dalla situazione precedente i modi di produzione industriale, all’intervento, alla situazione successiva. A Tianjin Eco-City si attende la conclusione del primo comparto per il 2013. Si può tracciare un parallelo con quanto accadeva nella prima metà del Novecento, in cui il modello della Garden City riuscì a riallineare un gran numero di desideri contemporanei e a farsi vettore di numerosissime realizzazioni in tutto il mondo, estremamente differenti tra loro per dimensioni, densità, tipi edilizi e intenzioni estetiche e culturali, a partire dall’intuizione essenziale di una combinazione iconica tra città e campagna, categorie ereditate come opposte e gerarchicamente ordinate. Ciò che osserviamo oggi è quasi esclusivamente una serie di quartieri-giardino, più che città compiute o autonome; il modello urbano non si chiude per l’assenza delle funzioni produttive, per la congiunzione alla fine inestricabile tra istanze progressiste e finalità di promozione immobiliare, per l’impossibilità di misurare l’evoluzione delle relazioni attivate dagli abitanti, dagli edifici e dalle infrastrutture, all’interno del solo orizzonte municipale. Neppure si può dire che la Garden City si sia affermata come modello cui ricondurre la crescente urbanizzazione del Novecento, la città macchinista e industriale, neppure nelle realtà decentrate o dimensionalmente ridotte. L’influenza è consistita nella sua ripresa e deformazione parziale in innumerevoli occasioni di trasformazione, in tutto il mondo, in un’azione conformativa dell’immaginario urbano dei tecnici, dei cittadini e dei consumatori, fino al punto da suscitare una simmetrica reazione, l’elogio discorsivo della concentrazione metropolitana, dell’alta densità, dell’urbanità che rimane altra rispetto a una condizione apparentemente naturale, e come tale viene organizzata. Altre recenti realizzazioni che si accostano alla “città ecologica intelligente” consistono essenzialmente in «quartieri», definite parti di città in cui la più lata parola d’ordine della “sostenibilità” trova sperimentazione all’interno della città esistente. La Ecociudad Valdespartera a Saragozza, intrapresa a partire dal 2002 attraverso un accordo tra municipalità, autorità regionale d’Aragona, ministero della Difesa spagnolo, si misura con la rigenerazione di un’ampia area militare dismessa attraverso l’insediamento di 10.000 abitazioni di iniziativa pubblica. Viene realizzato il primo sistema di raccolta pneumatica dei rifiuti in Spagna, e si dispone una intelligente strategia di monitoraggio dei consumi e delle emissioni, che riguarda attualmente il 5% degli edifici. Il progetto propone una relazione diretta tra impronta ecologica e forma dell’architettura, con una rinnovata attenzione ai tipi edilizi (la casa collettiva piuttosto che l’edilizia unifamiliare o a schiera), ai componenti degli edifici (il dato più evidente sono le grandi serre vetrate profonde da 90 a 120 cm, poste a sud), all’esposizione eliotermica. Tutto questo riporta in modo diretto ai temi instauratori dell’urbanistica moderna, al grande ponte tra architettura e urbanistica gettato negli anni venti in Germania, di cui programmaticamente si vivrebbe il superamento. Diversa per le forme generate ma confrontabile è l’esperienza di Hammarby Sjöstad, in cui a partire dal 1997 sono state realizzate 11.000 abitazioni sopra un brownfield ben collegato dal trasporto pubblico al centro di Stoccolma. Lo schema urbano, pensato a metà degli anni novanta, lavora con il tipo dell’edificio ad appartamenti, aggregati attraverso un impianto a isolati costruiti sul perimetro, in cui si cerca di sperimentare soluzioni volumetriche di apertura delle corti, e misure tecnologiche non convenzionali, come il sistema di tubazioni pneumatiche interrate che collegano le corti degli edifici con il centro di raccolta differenziata
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collocato all’interno del quartiere, e il teleriscaldamento, connesso con le centrali di trattamento delle acque e dei rifiuti. Il progetto pone particolare attenzione al trattamento e al riuso locale di ciò che prima era semplicemente riversato all’esterno come “rifiuto”, e rimandato a processi indefiniti. Di fronte agli interventi realizzati, va sottolineata l’importanza delle sperimentazioni attraverso cui alcuni attori pubblici hanno prodotto un consistente investimento per spostare l’immaginario dei cittadini e dei consumatori verso soluzioni che vanno «nella giusta direzione» di una relazione consapevole fra l’uomo e l’ambiente, che ne consente non solo le condizioni di vita ma anche l’aspirazione alla durata, e alla trasmissione della conoscenza attraverso le generazioni. Al contempo si fa strada la domanda sulle differenze che intervengono tra la promozione di forti politiche settoriali nei campi strategici (la produzione e il trasporto di energia, i trasporti delle merci e delle persone, la produzione di abitazioni, la distribuzione del reddito, la gestione del ciclo dei rifiuti, le abitudini al consumo) e la produzione di un modello urbano, di cui potremmo eleggere a testimone la città biologica intelligente. A questo punto potremmo ricorrere e un nuovo, denso strato di testi (Black M. (1962), Models and Metaphores. Studies in Language and Philosophy, Cornell University Press, Ithaca (NY), trad. it. (1982), Modelli, archetipi, metafore, Le Pratiche Editrice, Parma; Hesse M. B. (1963), Models and Analogies in Science, Sheed & Ward, London, New York, trad.it. (1980), Modelli e analogie nella scienza, Feltrinelli, Milano; Preta L. (a cura di, 1992), Immagini e metafore nella scienza, Laterza, Roma-Bari). L’interrogativo riguarda la durata temporale della funzione conoscitiva della metafora in un campo disciplinare sperimentale, quanto essa finisca per sciogliersi in una serie di procedimenti successivi, che essa stessa dovrebbe avere facilitato e diffuso. L’illusione di “vivere alla fine dei tempi”, per dirla con Slavoj Zizek, induce a prendere in considerazione un tempo lungo, oscillante e ricursivo. Da un lato, infatti, la metafora del nuovo modello urbano tende a dissolversi, lasciando il campo a tecniche definite e operabili, dall’altro lato la metafora che stringe corpo e città tende a rendersi totalizzante, migrando in immagine letteraria. Nel proemio del secondo dei Dieci libri dell’architettura Vitruvio introduce la figura di Dinocrate, architetto di Macedonia, che aspira al colloquio con Alessandro Magno, per illustrare alla massima autorità il progetto per rimodellare il Monte Athos in guisa antropomorfa, gigante capace di ammutolire i cittadini, tenendo in una mano l’immagine della città, nell’altra la raccolta delle acque che andranno a confluire nel mare. Ma Dinocrate in un primo tempo non riesce ad essere ammesso al cospetto del principe per presentare il suo modello, nonostante le promesse ricevute. Philip K. Dick, 2.000 anni dopo, ripropone una potenza dell’immaginazione capace di ripensare la sfera dell’urbano. "Quella non è foschia. E' lui!" "Eh?" Barton si tese. Può darsi che alla fine sarebbe venuto davvero a capo di qualcosa, se avesse giocato bene le sue carte. "Che intendi?" Peter puntò il dito. "Non lo vede? Eppure è bello grosso. Praticamente il più grosso che c'è E anche il più vecchio. E' più vecchio di tutte le cose messe insieme. Persino più vecchio del mondo." Barton non vedeva nulla. Solo foschia e montagne, e il cielo azzurro. Peter frugò nella tasca e ne estrasse quel che sembrava essere una scadente lente d'ingrandimento nichelata. La porse a Barton. Barton la rigirò tra le mani non sapendo bene che farci, quindi si apprestò a restituirla, ma Peter lo bloccò. "Ci guardi attraverso! Guardi le montagne!" Barton guardò. E lo vide. Il vetro doveva essere dotato di un filtro di qualche tipo. Penetrava la foschia, delineando contorni precisi e nitidi. Aveva sbagliato i suoi calcoli. Si era immaginato che lui potesse essere parte dello scenario. Invece lui era lo scenario. Lui era tutto il mondo in lontananza, il limite estremo delle montagna, il cielo, tutto: L’intero e remoto margine dell’universo si innalzava come un’imponente colonna, un’entità che acquistava la forma e la sostanza di una torre cosmica a mano a mano che Barton metteva a fuoco la lente filtrata. Era un uomo, non c’erano dubbi su questo. I piedi erano piantati nella vallata come se questa fosse un pavimento; al suo limite estremo la vallata si fondeva con i suoi piedi. Le gambe erano le montagne. O forse il contrario, le montagne erano le sue gambe; Barton non sapeva cosa pensare. Due colonne divaricate, larghe e solide. Armoniose e ben salde. Il corpo corrispondeva alla massa grigia e blu della foschia, o perlomeno di quel che lui pensava fosse foschia. Nel punto in cui le montagne si univano al cielo prendeva forma l’immenso torso dell’uomo. Aveva le braccia tese sopra la vallata. Sospese Su di essa, sopra la metà più distante di essa. Le mani si libravano a mezz’aria nella cortina opaca che poco prima Barton aveva scambiato per uno strato di polvere e foschia. L’imponente figura era chinata leggermente in avanti. Come si protendesse per meglio contemplare la sua porzione, la sua metà di vallata. Aveva lo sguardo rivolto in basso e il viso in ombra. Non si muoveva. Era assolutamente immobile. Era immobile, ma comunque vivo. E non un’immagine di pietra, una rigida statua. Era una creatura vivente, soltanto fuori dal tempo. Era come se per lui non fosse possibile alcun cambiamento né azione. Era eterno. Il capo discosto costituiva la parte più impressionante della sua figura. Sembrava emanare un bagliore, un orbe radiante, pulsante di vita e di fulgore. F.Paone
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La sua testa era il sole” (Dick P. K. (1957), Cosmic Puppets, trad. it. (2011) La città sostituita, Fanucci Editore, Roma, pp.60-61). La città reale torna a essere un’ombra, più illusoria della città di cui si sonda l’autenticità all’interno della coscienza, e non può vivere se non attraverso un rapporto problematico con la memoria. La metafora tanto più si fa ambiziosa, tanto più si rende autonoma e sembra collegare ambiti che davamo per scontato fossero distinti. In modo singolare, la narrazione vitruviana si compie solo attraverso una mossa obliqua, allorché Dinocrate fa entrare il gioco il proprio corpo, la sovrapposizione fra il soggetto e il modello. “Era di grande statura, di grandioso aspetto, & di somma dignità, & bellezza, fidatosi dunque di quelle doti di natura, nell’albergo suo depose le vesti, e di oglio tutto il corpo si unse, & si coprì la spalla sinistra di pelle di leone, coronato di fronde di poppio, & tenendo nella destra la clava, se ne andò verso il tribunale del re, che teneva ragione” (Vitruvius Pollio (1584), I dieci libri dell'architettura di M. Vitruvio, tradotti et commentati da monsig. Daniel Barbaro eletto patriarca d'Aquileia, Francesco de' Franceschi, Venetia, pp.66-67). Alessandro a quel punto riceve l’architetto e osserva il modello, lo accetta e al contempo lo rifugge, valutando negativamente l’interazione tra la città e l’ambiente, da cui la città trae alimento e possibilità d’esistere. Dinocrate e Barton, evidentemente diversi, muovono il medesimo argomento: alla ricerca dell’intima adesione a un modello radicale dell’urbano, scoprono che esso diviene parossistico, e può esistere solo attraverso una sua traslazione. Si ritrovano in una specie di iniziatica ammissione a una sorta di disagio, di superiore spiazzamento: body horror in cui si sovrappongono città, paesaggio, soggetto, percezioni variabili di dimensioni, incerti confini tra le cose. I “piani” si proporranno di introdurre una “regolazione”, un intervento sulle “funzioni”. Allora pensare a dispositivi progettuali capaci di instaurare una città ecologica intelligente, in cui l’intervento urbanistico sia capace di rinnovarsi fino a approdare a un’azione sulla città come corpo, diviene dinamico e plurale, positivamente imprevedibile. Nell’ultimo decennio l’aumento delle prestazioni del web, l’allargamento del numero degli utenti, delle comunicazioni interpersonali via telefoni mobili, sms e mms, l’ascesa dei social network e dai tablet , hanno rinforzano l’associazione tra parola e immagine, e tra parola e immagine e suono, garantendo di fatto il diritto a esistere di ogni invocazione al rinnovamento. Al contempo, sia che noi attraverso la locuzione “città ecologica intelligente” intendiamo costruire uno strumento di osservazione di piani, politiche e progetti in corso, sia che in modo più ambizioso si ricerchi l’affermazione di un costrutto linguistico e logico capace di generare nuovi modi d’intervento, dobbiamo affrontare una ineludibile domanda d’accesso. Ci viene chiesto, come password, quali siano le informazioni rilevanti per la regolazione biologica della nuova forma urbana, il suo codice genetico, per riprendere una metafora adoperata da Giancarlo De Carlo nell’ultimo periodo della sua intensa vita progettuale. Qui, abbandonando la paura d’esser detti strutturalisti, incontriamo uno strato di questioni di ricerca, di studio e di progetto. Dati sulla popolazione, sulla mobilità delle persone e delle merci, sulla forma urbana, sulle dotazioni infrastrutturali? Sull’economia? Sul consumo energetico? Sulle emissioni e sul ciclo dei rifiuti? A che scala, con che dettaglio, da chi rilevate e con quale ampiezza temporale? Svanisce, in maniera molto rapida, la falsa opinione della totale disponibilità e trasparenza delle informazioni, per mostrare piuttosto la parzialità delle istituzioni principali, il mercato e lo stato, che il Novecento ci ha consegnato. Il possesso delle informazioni essenziali, eventualmente riservate, i sondaggi hanno reso puro oggetto archeologico le grandi surveys ottocentesche sulla povertà, le abitazioni, il lusso, le abitudini delle classi lavoratrici e/o pericolose, le indagini statistiche sulla popolazione e sulle abitazioni, la condizione della loro riproduzione, su cui si era costruita molta parte dell’urbanistica moderna e dell’intervento riformatore. Emergono altri personaggi: le grandi imprese transnazionali dell’energia, del cibo, del trasporto e della finanza, i fondi d’investimento. Se guardiamo le realtà urbane cambiate negli ultimi venti anni nel modo più evidente e spettacolare, come le metropoli asiatiche, colpisce la concordia con cui convergono gli interessi dello stato nazione e della finanza internazionale nel configurare città che attraverso l’inurbamento e la crescita quantitativa instaurano una condizione urbana minima, fatta di edifici d’ogni tipo e realizzati low cost, la cui possibilità d’essere è, prima di tutto, meramente tecnologica. Ci stupiamo che energia, acqua, mobilità urbana riescano a supportare uno sviluppo che non chiede di durare, ma di esistere.
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Far East: cyber, eco o bio-logic new cities?
Far East: cyber, eco o bio-logic new cities? Dunia Mittner Università di Padova Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile, Ambientale Email: dunia.mittner@unipd.it Tel. 049.8275487
Abstract La città nuova costituisce un punto di osservazione privilegiato rispetto al tema della città moderna e contemporanea, e più in particolare nei confronti di alcune recenti declinazioni che rivolgono l’attenzione alle tecnologie più avanzate, ai temi dell’ecologia e della sostenibilità. Le città di fondazione non interessano tanto per il carattere particolare loro conferito dall’essere concepite in maniera unitaria, quanto per l’esplorazione di una dimensione urbana presente in un numero di progetti assai più vasto. La Cina contemporanea e il Far East sono oggi interessati da intensi fenomeni di trasformazione sociale, urbana e territoriale e allo stesso tempo di promozione di numerose occasioni di costruzioni di città nuove, cyber, eco o bio-logic. A partire dall’analisi di alcuni casi studio, il paper si propone di verificare l’esistenza di elementi comuni alle nuove città cibernetiche, ecologiche o bio-logiche e il riferimento di esse a modelli disciplinari compiuti.
Nuove città, ragioni e criteri La fondazione di nuove città può essere rilevante per più ordini di ragioni, dall’indagine delle politiche di organizzazione territoriale degli Stati nazione, impegnati durante il Novecento nel controllo della consistenza, del numero e delle condizioni di vita della popolazione, fino alle interrogazioni sulla essenza compendiaria della città attuale, nei fatti e nell’immaginario. Può essere utile chiedersi in quali condizioni si sviluppi la volontà, geopolitica ed economica di procedere a programmi di fondazione. Nel contesto europeo ed occidentale del XX secolo, fino agli anni settanta, la costruzione di nuovi insediamenti ha rimandato a più ragioni. In modo schematico, potremmo riassumere le principali: colonizzazione dei principali paesi europei nei confronti del continente africano (Marocco, Etiopia, Eritrea, Zaire); nuove capitali costruite in seguito alla formazione di nuovi stati o alla necessità di ridefinizione della propria geografia politica interna (Brasile, India); colonizzazione interna a un paese (Italia, Olanda, Unione Sovietica); modernizzazione industriale (Unione Sovietica e paesi del socialismo reale); città per il commercio e le comunicazioni (Egitto, Arabia Saudita); centri per la ricerca scientifica e tecnologica (Stati Uniti, ex Unione Sovietica); infine controllo della crescita metropolitana (Gran Bretagna, Svezia, Francia, Stati Uniti). Quest’ultimo ordine di ragioni appare il più pervasivo e, procedendo a grandi linee, si può osservare come a partire dagli anni sessanta esso cominci a essere applicato anche all’esterno dei confini europei, soprattutto in Giappone. Solo a partire dal decennio successivo tuttavia risulta possibile riconoscere un trasferimento nella sperimentazione di questo genere di politiche urbane dall’Europa all’Asia. Negli anni ottanta e novanta tale tipo di strumento viene adottato nei Paesi in grande crescita economica, le cosiddette «tigri-asiatiche», in particolare Corea del Sud, Malesia, e anche Cina, dove la vicenda più nota, denominata “One city and nine towns”, è volta a creare nuove polarità intorno a Shanghai, ciascuna realizzata secondo un “tema” o “stile” particolare ispirato da una diversa tradizione occidentale (europea, ma non solo), per configurare una possibile città “italiana”, “tedesca”, “olandese”, “svedese”, e così via. Per riconoscere una base fenomenica alle città di fondazione occorre assumere esplicitamente i criteri necessari e sufficienti che ci consentono di riconoscere, sia pure convenzionalmente, quali siano le iniziative di fondazione. I criteri necessari alla definizione di una città nuova sono essenzialmente cinque, ed hanno a che fare con Dunia Mittner
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l’esistenza di un progetto d’insieme, le relazioni geografiche e dimensionali rispetto agli insediamenti esistenti, l’articolazione interna delle componenti funzionali, una soglia minima di popolazione insediata e infine l’effettiva realizzazione (almeno parziale) delle città stesse. La presenza simultanea di tutti e cinque i criteri diminuisce molto il numero degli insediamenti che si possono effettivamente considerare come città nuove. Molti dei progetti più noti in costruzione nel Far East non possono essere considerati tali, per l’assenza di uno o più criteri. Così nel caso di Zhengdong new district (Henan, K. Kurokawa, 1,5 milioni di abitanti) le relazioni con la metropoli esistente (Zhengzhou), sia di natura localizzativa che dimensionale (1,5 milioni gli abitanti della città nuova, cinque milioni quelli della metropoli esistente) fanno apparire l’intervento come l’addizione di una grande parte urbana piuttosto che un nuovo insediamento, mentre il caso di Zhujiang new city (Guangdong, Z. Hadid et alii, 180.000 ab.) riguarda il ridisegno di ampie parti centrali della città (Guangzhou, ex Canton) con funzioni direzionali e commerciali; il progetto per Jiangbei new town (Chongqing, T. Corkill) risulta un master plan per un centro amministrativo e culturale, piuttosto che un insediamento di nuova fondazione. La maggior parte delle città in costruzione intorno a Shanghai possono essere considerate insediamenti nuovi a tutti gli effetti, pur assumendo alcune un carattere prevalente di città industriali o di centri per la ricerca scientifica e tecnologica, in cui è evidente il carattere primario legato ad un particolare modo del lavoro. Sono un esempio del primo caso Gaoqiao new town (Pudong district, Kuiper Compagnons & Atelier Dutch, 7.000-20.000 ab.), caratterizzata da attività industriali high-tech e legate alla logistica per la presenza della Waigaoqiao Free Trade Zone, una delle più estese Special Economic Zones della Cina, e Lingang new harbour city (Pudong district, Von Gerkan, Marg und Partner, 830.000 ab.), destinata a diventare uno tra i più grandi porti container a scala globale. Altre città nuove, come Songjiang new city (Songjiang district, Atkins Design Studio, 800.000 ab.), presentano un’economia fortemente connotata verso il settore della ricerca e della formazione, con la presenza di sette nuove università.
Cyber e eco cities Nel Far East la costruzione di città nuove nei decenni recenti è legata principalmente a tre ordini di ragioni: contrasto della crescita urbana illimitata, modernizzazione industriale e formazione di poli per la ricerca e l’innovazione. Nella maggior parte dei casi il tentativo di fronteggiare l’intenso sviluppo urbano e demografico procede di pari passo con esigenze di modernizzazione industriale e tecnologica. Tuttavia molti progetti in corso di realizzazione non possono essere considerati città nuove con una chiara funzione prevalente; essi costituiscono insediamenti di fondazione a tutti gli effetti, presentano la necessaria pluralità di funzioni e rimandano a ricorrenti retoriche di legittimazione. Nella contemporaneità si possono riconoscere due tipi principali di retoriche: informatico-tecnicista, applicata sopratutto nei paesi all’avanguardia per lo sviluppo tecnologico e dell’informatica, quali Corea del Sud e Malesia, e ecologico-ambientalista, utilizzata sopratutto in Cina. La differenza tra insediamenti di tipo informatico-tecnicista o cyber-cities e città intelligenti è posta in chiara evidenza da Komninos: “Cyber cities perceive spatial intelligence as a problem of telecommunication infrastructure, digital networking, sensors, intelligent agents, online software applications, and automation in the collection and processing of information; as a pure problem of communication technology and artificial intelligence. At the other end of the spectrum, theories about intelligent communities and intellectual capital for communities understand intelligent cities as a combination of human skills, learning institutions and digital technologies; integration of these three ingredients enables city intelligence to emerge, and for new city functions, such as strategic intelligence, technology acquisition, and innovation to materialize.” (Nicos Komninos, (2008). Intelligent Cities and Globalization of Innovation Networks, New York, Routledge; p. 111) Vicende organiche di costruzione di nuove città informatico-tecnologiche sono state intraprese negli ultimi decenni da Corea del Sud e Malesia, mentre in Cina le eco-città rappresentano piuttosto dei casi isolati. La vicenda intrapresa dalla Corea del Sud negli ultimi anni riguarda cinque insediamenti denominati “U-Cities” (ubiquitous technology); si tratta di Hwaseong-Dongtan U-City, Future-X, Busan city e New Songdo (Fig. 1), la più significativa. Situata alla periferia di Incheon, la seconda area metropolitana del paese, è destinata a divenire l’hub tecnologico e logistico dell’Asia nord orientale. L’idea è che essa costituisca una città a “connessione totale”, in grado di garantire agli abitanti un contatto digitale costante con l’ambiente circostante tramite le tecnologie più avanzate. Per questo motivo, New Songdo viene classificata nel 2007 dal giornale australiano The Age una delle “Top Ten Digital Cities” al mondo. La città è gestita dal punto di vista amministrativo attraverso “e-governament programs”, volti ad implementare efficienza e trasparenza dei sistemi amministrativi. Il progetto, inizialmente portato avanti in maniera congiunta dalla Daewoo e dal governo coreano, viene commissionato nel 1996 allo studio olandese Office for Metropolitan Architecture (OMA). A seguito della crisi Dunia Mittner
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Figura 1. New Songdo, Corea del Sud, 1996
Figura 2. Cyberjaia, Malesia, 1997 Dunia Mittner
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finanziaria che investe tutta l’Asia e del crollo nel 1998 della moneta coreana, la promozione dell’iniziativa viene affidata a un importante promotore americano (Gale International), con l’idea che esso possa divenire un modello da riprodurre in maniera standardizzata in qualsiasi parte dell’Asia: lo stesso sistema di illuminazione stradale, di semafori, ascensori, sistemi di riscaldamento e raffreddamento centralizzati e schermi televisivi pubblici presenti ovunque. Ad oggi hanno aderito al progetto della “cyber città standard” due municipalità cinesi (Chongqing e Dalian) e una copia di New Songdo è in costruzione alla periferia di Changsha. La vicenda malese ha origine alla fine degli anni ottanta con l’idea di creare un nuovo distretto amministrativo federale in prossimità di Kuala Lumpur e due nuove città tra esse complementari, Putrajaya, centro amministrativo del distretto e Cyberjaya (Figura 2), destinata a diventare il centro dell’innovazione tecnologica a scala nazionale. Nel 1991 il Governo malese avvia “Vision 2020”, un progetto volto a definire i caratteri fondamentali del futuro sviluppo economico del paese basato sulle tecnologie e scienze avanzate, basato sul modello della “Silicon Valley”. L’obiettivo è che la Malesia diventi un paese completamente industrializzato entro il 2020, tramite la creazione di un corridoio multimediale di vaste dimensioni, denominato Multimedia Super Corridor (MSC). L’MSC, da costruirsi in più fasi, é volto alla sperimentazione di nuovi modi di vivere nell’epoca della tecnologia diffusa. Obiettivo finale della Vision è di costruire un’intera rete di corridoi simili al primo, all’interno dei quali costruire a loro volta più cyber cities (quattro o cinque nella prima fase) connesse ad altre città digitali alla scala mondiale. La fase finale prevede la creazione di dodici cyber cities e che l’intero paese venga trasformato in un unico MSC, collegate ad autostrada dell’informazione alla scala dell’intero pianeta. In Cina la maggior parte dei progetti recenti di città nuove rimanda a retoriche di matrice ecologicoambientalista, in cui la messa a punto di prototipi per nuovi ambienti urbani attenti alla sostenibilità assume un ruolo di primo piano. Secondo un report del 2009 della Banca Mondiale, esse sono più di 100, localizzate nelle regioni con il livello di inquinamento ambientale più elevato. L’obiettivo è di segnalare un’inversione di tendenza relativamente alle politiche ambientali passate e costituire modelli per gli sviluppi futuri. Tra i progetti più noti in costruzione nel paese, si possono citare Dongtan eco city (Shanghai), Tangye new town (Licheng district) e Tianjin eco city (Tianjin-Binhai). Dongtan eco-city (Figura 3) si propone come città ecologica per 500.000 abitanti, al centro di una delle aree del mondo in più rapida crescita. L’obiettivo dichiarato é di diventare la prima città-territorio autosostenibile al mondo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico. Il piano si compone infatti di un sistema di villaggi di dimensioni contenute immersi all’interno di parchi e spazi aperti naturali, ciascuno riferito ad un aspetto diverso della cultura dell’isola. Al fine di garantire un numero sufficiente di abitazioni a basso costo, le unità utilizzate durante il cantiere sono trasformate in abitazioni permanenti. Per quanto riguarda la sostenibilità economica, sono studiate nuove tecnologie per città a basso consumo di carbone, da applicare alle eco-città della Cina. L’obiettivo é di creare un polo di ricerca internazionale, teso a coniugare nuove tecnologie, compagnie start-up e specializzate nella ricerca. Dal punto di vista ambientale, l’accento viene posto sulla produzione di energie rinnovabili, in particolare eolica e solare. Grande attenzione viene posta alla conservazione degli ecosistemi e della biodiversità presenti nell’isola, tramite la creazione di una zona cuscinetto posta tra la città nuova e gli ecosistemi naturali, atta anche a proteggere la città dalle inondazioni. Dal punto di vista dei sistemi di trasporto, oltre una rete per gli spostamenti “veloci” (taxi d’acqua, bus e metropolitana), viene previsto un supporto dedicato ai pedoni e alle biciclette. La seconda eco-city progettata da Arup in Cina, Tangye new town (Licheng district, O. Arup, 200.000 ab.), si propone di trasformare i propri rifiuti in carburante, recuperare l’energia dal sole e restituire l’acqua al suolo attraverso sistemi naturali di drenaggio e irrigazione, accanto alla formazione di una rete di corridoi verdi di collegamento tra i principali edifici pubblici, per incentivare la biodiversità e gli spostamenti ciclo-pedonali. Omologhi argomenti vengono proposti per Tianjin eco city (Tianjin-Binhai, progetto di cooperazione strategica tra Cina e Singapore, 350.000 ab.), il cui sito viene appositamente scelto in una località ben connessa dal punto di vista dei trasporti, ma caratterizzata dalla scarsità delle risorse naturali, e da un sistema ecologico fragile. L’obiettivo principale consiste nel formulare un modello in grado di dare una risposta al problema dell’inurbamento anche in situazioni in apparenza sfavorevoli.
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Figura 3. Dongtan eco-city, Cina, 2005
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Elementi comuni e modelli per la bio-logic city Sia nel caso delle eco cities che in quello delle cyber cities si possono riconoscere alcuni elementi ricorrenti. Nel primo caso i più evidenti appaiono la presenza dello spazio aperto naturale, cui viene affidato un ruolo pubblico, i sistemi ecologici di smaltimento dei rifiuti, le fonti di energia rinnovabili, i sistemi di trasporto a bassa emissione. Alcune delle componenti che si ritrovano con maggiore frequenza nelle eco-cities sono sistemi di trasporto ad emissione zero, edifici ad energia zero, sistemi di drenaggio urbani sostenibili, utilizzo di fonti di energia rinnovabili e tecniche di ventilazione naturale. Nel caso delle cyber cities gli elementi comuni sono sopratutto l’integrazione dei sistemi informatici e delle tecnologie innovative a tutti gli aspetti della vita quotidiana. Tuttavia non sembra esistere un’opinione comunemente condivisa dei caratteri che definiscono ciascuna delle due tipologie di città, così come spesso i caratteri appaiono mescolati, tanto da far apparire appropriato l’uso del termine bio-logic city, città ecologica e tecnologica allo stesso tempo. Tale ipotesi appare confermata dall’osservazione della classifica annuale delle cyber cities redatta dall’Intelligent Community Forum (IFC), volta a premiare gli insediamenti di maggior successo e promuovere l’uso di infrastrutture a banda larga nel maggior numero di città alla scala mondiale. Nel 2001 vengono classificate come “Smart 21 Communities” New Songdo e Tianjin. In maniera analoga New Songdo e Cyberjaya muovono argomenti che fanno riferimento a retoriche di tipo ambientale. Nel 2009 la prima vince il primo “Sustainable Cities Award” annuale, sponsorizzato dal Financial Times e dall’Urban Land Institute, volto a premiare l’impegno urbano nei confronti di uno sviluppo sostenibile secondo gli standard internazionali, con particolare attenzione al corretto uso delle risorse idriche, energetiche, dei rifiuti, dello spazio aperto e dei sistemi di trasporti. Anche i principali attributi utilizzati per descrivere Cyberjaya combinano retoriche “green” e “cyber”. La città sarà una: “intelligent city, city in a garden, environmental friendly, effective public utility, will use an efficient transportation system and refer to neighborhood and green belt concepts”. Attualmente la città si sta orientando verso una svolta ancora più “green”. Nel 2010 viene definita la prima città “tecnologica verde” del paese e viene introdotto il sistema “iGREET” (information on green technology), costituito da un ciclo di workshop e forum di discussione pubblica inerenti nuove strategie urbane sostenibili. Per quanto riguarda il riferimento ai modelli urbani, le cyber cities si inseriscono all’interno di una tradizione di lungo periodo, le green cities sembrano piuttosto costituire laboratori per la messa a punto di modelli da applicare a sviluppi futuri. Le prime trovano antecedenti diretti nei poli per la ricerca scientifica e tecnologica costruiti a partire dagli anni ottanta in Giappone e Cina. Nel primo paese l’idea, introdotta nel 1983 dal Ministero dell’Industria e del Commercio Internazionale come parte di una strategia regionale volta a promuovere industrie hi-tech, comprende nel suo complesso quindici città, e termina nel 1998. Le città nuove costituiscono l’integrazione di parchi industriali hi-tech, istituzioni per la ricerca scientifica e aree residenziali dotate di servizi culturali e per il tempo libero. Nell’ambito della politica economica introdotta da Deng Xiaoping nel 1980 con le Special Economic Zones (SEZ) vengono create in Cina città-pilota legate alla sperimentazione e all’innovazione in settori diversi, quali l’industria (Chongquing), il commercio internazionale (Guangzhou), i contratti di lavoro (Quingdao), la riforma finanziaria (Shenyang) e quattro città franche, Shantou nella provincia del Guangdong, Shenzhen, Xiamen nella provincia del Fujian e Yi-Zhuang. Tali esperimenti costituiscono un modello esportato in tutto il mondo; in India esso viene applicato ai parchi tecnologici esistenti, al fine di facilitare la produzione ed esportare nuove tecnologie. A loro volta i poli tecnologici asiatici degli anni ottanta si inseriscono all’interno della tradizione delle cosiddette «tecnopoli», costruite negli Stati Uniti (Silicon Valley in California e la regione intorno a Boston nel Massachussets) e in Europa (in Francia, lungo l’asse Sud della regione dell’Ile-de-France e in Costa Azzurra intorno a Nizza-Antibes), per lo più in assenza di un piano d’insieme, privi della necessaria molteplicità di funzioni e appoggiati, soprattutto per quanto riguarda l’offerta dei servizi, ai tessuti insediativi esistenti. Le eco-cities, diversamente, costituiscono un fenomeno relativamente recente. I primi tentativi di quella che potremmo definire eco-urbanistica si collocano intorno alla metà del secolo scorso. Negli anni sessanta circa prendono avvio le prime comunità hippie in Europa e negli Stati Uniti, seguite nei decenni successivi dalla costruzione di diversi villaggi, tra i quali Arcosanti (Arizona, P. Soleri, 1970) e Beddington Zero Energy development, noto come BedZed (Londra, B. Dunster, 2000). A partire dagli anni novanta numerosi insediamenti che pongono l’accento sulla sostenibilità vengono costruiti in Scandinavia, soprattutto in Svezia, quali Norra Älvstranden (Gotenborg, 1980-2010) e Hammarby Siöstadt (Stoccolma, 1990-2012). All’inizio del 2000, i developers cominciano ad intravedere le opportunità di mercato insite in un nuovo movimento legato alla sostenibilità applicata all’urbanistica. In Asia le manifestazioni radicali del fenomeno urbano trasformano gli eco-villaggi o eco-quartieri occidentali in eco-metropoli.
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La città come network adattivo ipercomplesso
La città come network adattivo ipercomplesso Antonio Caperna Università Roma Tre Laboratorio TIPUS Email: antonio.caperna@yahoo.it
Abstract La Biourbanistica introduce lo studio dell’organismo urbano inteso come network ipercomplesso permettendo di aprire nuove modalità di lettura fisica del corpo urbano e una diversa chiave interpretata della sostenibilità – in chiave biologica – e del ruolo, in una prospettiva democratica ed inclusiva, delle reti digitali. La tesi trova argomentazioni sia nelle scienze che si occupano di sistemi integrati (meccanica statistica, termodinamica, ecologia, etc) che nell’esplicitazione del paradigma della complessità e della scienza della forma applicata al corpo urbano (auto-organizzazione, morfogenesi, sviluppo organico). Le prospettive di lavoro, teoriche ed operative sono molteplici: esse vanno dalla riformulazione delle basi epistemologiche dell’urbanistica, alla modifica dell’impianto educativo, per giungere ad un nuovo modello di urbanistica basato su contenuti scientifici, competenze critiche, sociali e psicologiche e nel diverso rapporto tra tecnici ed abitanti, dove questi ultimi non saranno più intesi come “utenti passivi”, ma come soggetti protagonisti nella formazione dell’entità città.
Dall’urbanistica alla Biourbanistica Gli eventi che si sono profilati all’orizzonte nel corso degli ultimi decenni, rappresentano una sfida senza precedenti per la storia dell’uomo. Squilibri socio-economici inducono enormi movimenti migratori dischiudendo, così, le porte alla nascita delle megalopoli. A questo si accompagna una perenne labilità connessa all’uso delle energie fossili, al sistema centralizzato con cui esse sono immagazzinate e distribuite, nonché all’impatto che queste energie hanno sull’ecosistema del pianeta. In tutto ciò l’urbanistica “classica” ha fornito il suo contributo nel creare quartieri insostenibili e un modello di pianificazione che ha mostrato tutti i suoi limiti metodologici ed attuativi. Pertanto, si rende più che mai necessario rivedere le basi dell’urbanistica e, più in generale dell’architettura, affinché non la si riduca a strumento della società dello spettacolo (Serafini, 2011). La riformalizzazione delle basi epistemologiche è un processo cruciale che, però, non può essere compiuto dall’urbanistica e dall’architettura attraverso un design più creativo. È necessaria una riformalizzazione di ciò che è a monte, ovvero il “corpo” inteso come proprietà “dello zoon aristotelico, lo zoon politikon, cioè il «vivente cui è proprio vivere nella polis», laddove è chiaro che la polis è un ordine sociospaziale molto preciso, in cui politica e città si realizzano contemporaneamente e indissolubilmente nell’incontro dialettico di uomini capaci di architettare in prima persona la vita pubblica” (Serafini, 2011). Da qui l’esigenza della fondazione della Biourbanistica, che raccoglie sotto la prospettiva epistemologica della complessità contributi multidisciplinari anche molto distanti tra loro (Caperna, Cerqua, Giuliani, Salingaros, Serafini, 2010) e dove, per l’appunto, il territorio è inteso come “sistema ipercomplesso, costituito da una molteplicità di livelli interconnessi che si influenzano vicendevolmente in modo non-lineare, inducendo l’emergere di proprietà complessive non prevedibili attraverso lo studio delle singole parti, ma solo dall’analisi dinamica dell’intero” (Caperna, Cerqua, Giuliani, Salingaros, Serafini, 2010). Il passaggio implicito nell’asserzione sopra esposta mostra alcuni fondamentali cambiamenti, tanto in chiave paradigmatica che di approccio metodologico, accomunando la Biourbanistica alle scienze della vita e, più in generale, a tutte quelle scienze che nel XXI secolo si occupano di sistemi integrati, come la meccanica statistica, la termodinamica e l’ecologia (Caperna, Cerqua, Giuliani, Salingaros, Serafini, 2010). L’approccio biourbanistico ha una chiave scientifica strutturata: (Caperna, 2011): 1. su una riformulazione epistemologica e paradigmatica; Antonio Caperna
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2. sulle scienze della vita come base su cui fondare l’architettura e l’urbanistica; 3. sulla filosofia del Peer to Peer; 4. su processi morfogenetici; 5. sui valori dell’ecologia profonda. Gli elementi sopra esposti delineano un nuovo modello metodologico di studio, lettura, analisi e ridisegno degli ambienti urbani. Andiamo ad illustrarli brevemente soffermandoci, maggiormente, sulla componente inerente il peer to peer.
Sistemi complessi e Network science La riformulazione della base epistemologica implica un passaggio da una metodologia riduzionista ad una fondata sulla teoria della complessità, ovvero strutturata su un modello di studio interdisciplinare dei sistemi complessi adattivi e dei fenomeni emergenti ad essi associati. Quando parliamo di sistema siamo in presenza di una struttura i cui elementi si caratterizzano per una serie di interazioni che avvengono tanto verso l’ambiente interno, che verso l’esterno determinando una “permeabilità” strutturale con conseguenti interazioni. Una caratteristica fondamentale dei sistemi complessi è rappresentata dal concetto di emergenza, ovvero la capacità del sistema ad assumere comportamenti complessi ed improducibili per effetto delle interazioni che intercorrono tra le sue componenti. Strutture semplici possono dar vita a comportamenti emergenti che generano sistemi altamente complessi. Nei sistemi complessi, le caratteristiche fondamentali sono descritte, non tanto dagli elementi costituenti, quanto piuttosto dalle relazioni ed interconnessioni dinamiche che intercorrono tanto tra le componenti interne che tra queste e l’ambiente esterno. Queste importanti proprietà di un sistema complesso possono essere descritte e rappresentate per mezzo della network science. Lo studio delle reti, in forma di matematica come teoria dei grafi, è uno dei pilastri fondamentali della matematica discreta. Un network (Figura 1 e 2) è, quindi, un insieme discreto di nodi collegati attraverso links. Meglio, possiamo dire che un network è un sistema del quale è possibile formulare una rappresentazione matematica astratta attraverso un grafico i cui nodi (o vertici) identificano gli elementi del sistema e in cui l'insieme delle connessioni (links) rappresenta la presenza di una relazione o interazione tra questi elementi (Barrat, Barthelemy, Vespignani, 2008). Il network dunque diviene elemento essenziale per comprendere non solo i principi fondanti delle scienze ecologiche o sociali, ma anche di altre branche scientifiche ove questi principi organizzativi, strutturati attorno alla matematica della complessità (frattali, teoria del caos, etc.), possono essere applicati. La network science fornisce una quadro teorico che permette di attuare questa modalità di analisi a differenti tipologie di sistemi complessi. Negli ultimi decenni, la network science si è, oramai, affermata in diverse discipline, a partire dalla matematica e passando per la fisica, la biologia, l’informatica, l’economia e le scienze sociali
Figura 1. Set di nodi altamente connessi (Fonte: Salingaros, 2005)
Figura 2. Nodi accoppiati che non definiscono una struttura a Network. (Fonte: Salingaros, 2005)
Peer to Peer (P2P) e Peer to Peer Urbanism (P2PU) In generale, con il termine peer-to-peer (P2P, ovvero rete paritaria) si intende un collegamento tra più computer (che compongono una rete) in modo tale da consentire lo scambio di informazioni senza che si passi dal sistema centrale, ovvero una rete informatica che non possiede nodi gerarchizzati sotto forma di client o server, ma un numero di nodi equivalenti (in inglese peer) che possono fungere sia da client che da server verso gli altri nodi del network. Antonio Caperna
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Il fenomeno P2P è emerso per la sinergia di quattro fattori chiave (Bauvens, 2006): 1. infrastruttura tecnologica, in particolare la diffusione dei personal computer che ha permesso alla gran parte della popolazione l’accesso alle tecnologie informatiche; 2. information and communication systems interattivi che hanno permesso un incremento esponenziale delle capacità di produrre e accedere, in modo autonomo, a risorse di vario formato, da quelle testuali, a quelle video ed audio altrimenti impensabile fino a qualche anno fa; 3. software per produzioni autonome come, ad esempio, gli strumenti per lo sviluppo di blogs, wiki, che hanno permesso la nascita, crescita e sviluppo di community globali senza la presenza di soggetti “intermediari”; 4. infrastruttura legale, ovvero la capacità di proteggere dagli interessi privati la “conoscenza” che i soggetti della rete generano. Esempi sono rappresentati dalla General Public License (GPL), la quale proibisce l’appropriazione del codice sorgente, la Open Source Initiative e alcune versioni della Creative Commons License. Michel Bauwens in “The Political Economy of Peer Production” afferma che il concetto di P2P non si riferisce a comportamenti o a processi che si svolgono all’interno di network distribuiti ma, piuttosto “Peer to Peer designa esplicitamente tutti quei processi che mirano ad accrescere e diffondere i processi partecipativi di utenti strutturati su di una base equipotenziale” (Bauwens, 2006). L’equipotenzialità attiene ambiti ove non esiste una selezione a priori di coloro che parteciperanno ad un determinato progetto, delineando un ambiente aperto a tutti coloro che desiderano prendervi parte a condizione che si fornisca un contributo di competenze o un supporto che sia costruttivo alla realizzazione del progetto stesso. Altre caratteristiche salienti dei processi P2P sono l’oloptismo e l’auto-organizzazione. Con il primo, ci si riferisce alla possibilità, fornita ai partecipanti, di accedere liberamente a tutte le informazioni attinenti un determinato progetto come, ad esempio, gli obiettivi, la documentazione disponibile ed, in generale, a tutte quelle informazioni volte a favorire la massima trasparenza del processo. In tali processi, quindi, la comunicazione non avviene dall’alto verso il basso né è strutturata su regole gerarchiche, ma è orizzontale e strutturata su un feedback sistematico. L’auto-organizzazione, invece, attiene la capacità del sistema di autoorganizzarsi attraverso continuo feedback, raggiungendo la massima efficacia allorquando si da’ vita ad una sorta di "intelligenza collettiva". L’urbanistica Peer-to-Peer è un approccio scaturito dai contributi emersi dal movimento del free software e alla rete peer-to-peer, ove si sono gettate le basi per ridiscutere le fondamenta del pensiero impostato sul concetto di open source. L’idea del “wiki”, congiuntamente alla metodologia del linguaggio dei “Pattern” porta a riflettere su un nuovo approccio al progetto urbano ed architettonico basato sulle reali esigenze umane. Il modello teorico che stiamo delineando nasce dalla naturale declinazione operativa dei concetti teorici sopra esposti e dalle potenzialità introdotte dalle nuove tecnologie. Lo sforzo teorico vede assieme non solo architetti o ingegneri, ma figure professionali provenienti dal mondo dell’informatica, della biologia, della filosofia e delle comunità della rete legate allo sviluppo del P2P. In merito, le origini dell’Urbanistica Peer-to-peer la possiamo far risalire agli insediamenti spontanei formati da edifici auto-costruiti dagli abitanti. Negli anni ’70 del secolo scorso, con il libro A Pattern Language Christopher Alexander ha introdotto, attraverso i patterns, una metodologia di progettazione urbana ed architettonica che ha anticipato, nella sua essenza, l’urbanistica P2P. Alexander ha fortemente sostenuto il diritto dei cittadini ad essere una forza attiva nelle scelte progettuali, e per tale motivo ha proposto l’utilizzo dei patterns come fosse un sistema open-source. Difatti, i Pattern non rappresentano strumenti per giungere ad una definizione ultima del progetto, quanto piuttosto regole che permettono di governare strutture o problemi complessi al fine di giungere ad una soluzione ottimale, tanto sotto il profilo fisico – coerenza geometrica - che da un punto di vista del benessere psico-fisico e neurofisiologico. Inoltre, avendo essi una struttura sostanzialmente del tipo open-source, li rende “plastici”, ovvero è possibile, attraverso un processo di formalizzazione collettiva, di generarne di nuovi o adattare quelli esistenti a quelle che sono le caratteristiche culturali e fisico-geometriche di un determinato ambito territoriale. L’analogia tra patterns e P2P ha, quindi, un fondamento epistemologico. Come detto, i patterns sono il frutto di una intelligenza collettiva, spalmata nel corso dei secoli, e che ha individuato, per definiti ambiti problematici, le soluzioni che meglio soddisfacevano, sia sotto il profilo fisico che psicologico e neurofisiologico, un determinato problema. Da non sottovalutare, in tal senso, il carattere rappresentato da quella che chiamiamo intelligenza collettiva: essa, oltre ad un aspetto strutturale, è anche un fattore di rafforzamento sociale, introducendo il concetto di auto-organizzazione e quello di emergenza (ovvero). Il P2PUrbanism (P2PU) si innesta come uno degli elementi fondanti della biourbanistica (Caperna, 2011, in Rassegna di Biourbanistica), rappresentando un cambio innovativo e radicale del modo in cui si concepisce, si progetta e si rinnova la città, fondato essenzialmente sui principi base appresso elencati (riadattato da Caperna, Mehaffy, Mehta, Mena-Quintero, Rizzo, Salìngaros, Serafini, Strano, 2011): 1. gli esseri umani hanno il diritto di scegliersi l’ambiente in cui vivere. Le scelte individuate dagli abitanti selezionano “naturalmente” quelle che meglio hanno affinità con le esigenze della comunità e di ogni essere umano; Antonio Caperna
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2. l’urbanistica Peer-to-Peer deve generare e diffondere conoscenza, teorie, principi, tecniche e pratiche costruttive per generare ambienti urbani che rispettino le reali esigenze dell’uomo. Ciò dovrà avvenire in coerenza con i principi della filosofia open source, ovvero in maniera libera ed accessibile a tutti in modo tale da favorirne l’utilizzo e la revisione critica attraverso azioni di feedback; 3. diritto di accesso alle informazioni ambientali e trasparenza del processo decisionale. Ciò sarà attivamente supportato dall’Information and Communication Technology (ICT); 4. gli abitanti sono portatori di conoscenze, capacità e pratiche che si sono stratificaste nel corso dei secolari. Pertanto essi devono essere soggetto attivo tanto nelle fasi preliminari che in quelle attuative dei processi decisionali. Ogni intervento, pubblico o privato, che tende a trasformare il territorio richiede il consenso e la partecipazione degli abitanti; 5. il processo progettuale deve avere un carattere maieutico che deve coniugarsi con le secolari conoscenze degli abitanti. Tale atteggiamento permette una crescita civile e culturale della società, una maggiore consapevolezza degli abitanti e una migliore interazione tra questi ed i tecnici; 6. in alcuni casi, dovrebbe essere riconosciuto agli abitanti il diritto all’autocostruzione per ridisegnare o modificare porzioni di territorio, di quartiere o l’abitazione in cui essi vivono. I principi sopra esposti rappresentano un affinamento di quelli formulati in Peer to Peer Urbanism (Caperna, Mehaffy, Mehta, Mena-Quintero, Rizzo, Salingaros, Serafini, Strano, 2011) e vogliono costituire la base metodologica per un nuovo modello di politiche urbane fondato sull’attuazione di un processo: 1. maieutico; 2. trasparente e che garantisca l’accesso a tutte le informazioni riguardanti un territorio (urbano e non); 3. dove gli abitanti siano soggetti attivi nella costruzione o ridisegno del territorio; 4. che sia coerente con i principi della filosofia open source; (v) che attinge dai valori secolari della comunità locale.
Conclusioni e prospettive di lavoro Come si vede, il modello proposto ha profonde ripercussioni sia sul piano delle politiche che in quello dell’organizzazione dell’economia e della società. In particolare, il modello P2P fa emergere nuove caratteristiche nel modello di produzione, di governance e proprietà, ovvero: 1. un nuovo modello di produzione strutturato sulla libera cooperazione di produttori che hanno accesso ad una forma di capitale distribuita. È questa una forma di produzione diversa sia da quella a fini di lucro che da quella pubblica realizzata da imprese statali. In questo modello produttivo il “prodotto” non è un valore di scambio per il mercato ma, piuttosto, un valore d'uso per una comunità di utenti; 2. un nuovo modello di governance strutturato su processi non più regolati dal mercato ma dalla stessa comunità di produttori; 3. un nuovo modello di proprietà, differente sia da quello privatistico che da quello pubblico strutturato sul concetto di rendere il valore un qualcosa che sia liberamente accessibile ed usabile su base universale, attraverso un nuovo regime di proprietà comune; 4. gli scenari di ricerca che si dischiudono sono molteplici. La speranza (e la necessità) devono indurre ad un nuovo modello urbano capace di rendere protagonisti i cittadini e a costruire con essi città vivibili e confortevoli.
Bibliografia Christopher Alexander (2004) The Nature of Order, Voll. 1,2,3,4, New York, Oxford University Press Christopher Alexander, Sara Ishikawa, Murray Silverstein, Max Jacobson, Ingrid Fiksdahl-King, and Shlomo Angel, (1977). A Pattern Language (New York, Oxford University Press). Alain Barrat, Marc Barthelemy, Alessandro Vespignani (2008), Dynamical Processes on complex Networks, Cambridge University Press Michael Batty, and Paul Longley, (1994) Fractal Cities (London, Academic Press). Bauwens M. (2006). The Political Economy of Peer Production. [Online]. Disponibile su: http://www.ctheory.net/articles.aspx?id=499 Bauwens M. (2008). The Peer to Peer Manifesto: The Emergence of P2P Civilization and Political Economy. [Online]. Disponibile su: http://www.realitysandwich.com/the_peer_peer_manifesto_the_emergence_p2p_civilization_and_political_eco nomy
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Antonio Caperna (2002), “Pattern Language come forma di espressione organica” in Giangrande A., Mortola E. (a cura di), Architettura, Comunità e Partecipazione”, Aracne Editrice, Rom Antonio Caperna (2005), ICT per un progetto urbano sostenibile, Tesionline, Milano Caperna A. (2011). Towards a Biourbanism Science. Design for a human built environment. [Online]. Disponibile su: www.biourbanism.org Caperna A., Tracada E. (2012) Complexity and Biourbanism. Thermodynamical Architectural and Urban Models integrated in Modern Geographic Mapping in Theoretical Currents II: Architecture and its Geographical Horizons,International Conference at the University of Lincoln, UK Caperna, A. Cerqua A., Giuliani A., Salingaros N., Serafini S., (2010). “Manifesto di Biourbanistica”, [Online]. Disponibile su: www.biourbanism.org Caperna A., Mehaffy M., Mehta G., Mena-Quintero F., Rizzo A., Salìngaros N. Serafini S. ,Strano E., (2010). Peer to Peer Urbanism, [Online]. Disponibile su: http://p2pfoundation.net/Peer-to-Peer_Urbanism Fritjof Capra, (1996), The web of life, Doubleday-Anchor Book, New York Bill Hillier (1996) Space is the Machine (Cambridge, Cambridge University Press). Bill Hillier, and Julienne Hanson. (1984) The Social Logic of Space. Cambridge, Cambridge University Press. Jane Jacobs (1961) The Death and Life of Great American Cities (New York, Vintage Books). Thomas Kuhn (1996), The Structure of Scientific Revolutions, The University of Chicago Press, III Edizione. Nikos Salingaros (2005). Principle of Urban Structure, Techne Press, Amsterdam Nikos Salingaros (2006). A theory of Architecture, Umbau-Verlag, Solingen, Germany Nikos Salingaros (2010). Twelve Lectures on Architecture. Algorithmic sustainable design. Umbau-Verlag, Solingen Serafini S., (2010). L'architettura come salute psicobiologica quotidiana: morfogenesi e biofilia, I Convegno Internazionale Architettura e PsicheRoma/Siracusa, 22 gennaio 2010 Serafini S. (2011). Liberazione partecipata dello spazio dall’iperreale. L’Italia come esperimento biourbanistico. XIV Conferenza SIU: Abitare l’Italia. Territori, economie, diseguaglianze, Torino 24-26 marzo 2011 Eduard O. Wilson (1984), Biophilia, Harvard University Press, Stephen R. Kellert - Edward O. Wilson (1993). The Biophilia Hypotesis, Washington, Island Press
Antonio Caperna
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Come reti neurali Emilia Manfredi Università della Calabria Dipartimento di Pianificazione Territoriale Email: manfrediemilia@alice.it
Abstract Il presente paper propone una riflessione sulle più recenti evoluzioni dei modelli urbani sostenibili, concepiti con il precipuo scopo di supportare la crescita di comunità creative, aiutando a raggiungere l’obiettivo di crescita “smart, green, inclusive” . Luogo ideale di sperimentazione delle trasformazioni è la città: sia per il ruolo centrale che essa ha nei processi di acquisizione e diffusione della conoscenza, sia come laboratorio di nuove forme di governance urbana, sia come spazio in cui esprimere le trasformazioni sociali ed economiche in atto. Nel progetto urbano ecosostenibile contemporaneo, la costruzione delle reti intelligenti, richiede un approccio sistemico, proponendo non soltanto efficienti reti energetiche ed infrastrutturali, ma anche la tessitura di nodi e reti di connessione e informazioni a-spaziali, invisibili che portano progettisti e politicy-makers ad interfacciarsi con dimensioni sempre più lontane dai tradizionali modelli di pianificazione e progettazione urbana.
La città invisibile: letture e riflessioni Il perseguimento degli obiettivi prioritari della Strategia Europea 2020 (Crescita Intelligente, Crescita Sostenibile e Crescita Solidale) presuppone che la sostenibilità urbana debba oggi essere pensata e realizzata attraverso gli strumenti della tecnologia ambientale e dell’ ICT applicate alle città. Nella città contemporanea la ricerca di nuovi modelli di sviluppo urbano sempre più efficienti (città sostenibili, eco-city, smart-city) conducono a riflettere se sia ancora possibile creare immagini e luoghi capaci di evocare quel senso di urbanità e di identità, di riprodurre i principi di sostenibilità anche ricorrendo all’uso di nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, senza rinunciare ad investire sulla creatività sociale quale fattore di successo e di competitività territoriale. La comunicazione, l’interazione e il feedback di dati ed informazioni possono svolgere un importante ruolo nei processi di apprendimento dei nuovi paradigmi che caratterizzano il manifestarsi dell’ urbanità contemporanea. I nuovi scenari strategici che si immaginano nella politica Europea rivolta allo sviluppo urbano sostenibile, configurano reti di sostenibilità intelligenti da attuarsi con nuovi strumenti di pianificazione e progettazione urbana (smart planning) capaci di accogliere in sè soluzioni “integrate e sostenibili” e di garantire il benessere urbano correlando diversi fattori smart: la presenza di una classe creativa, la qualità e l’attenzione all’ambiente urbano, il livello della formazione, l’accessibilità multimodale, la diffusione dell’ Information and Communication Technologies (ICT) nella pubblica amministrazione, la qualità del capitale umano. Nell'epoca della conoscenza e della comunicazione, lo sviluppo urbano si riveste di nuovi fattori strutturali: la città rappresenta il luogo dove la gente vuole vivere e lavorare, ma anche motivo e opportunità per attrarre investimenti per le nuove generazioni, per stimolare l’immaginazione della classe creativa e per acquisire e diffondere nuove competenze e conoscenze. In questa prospettiva le città creative come neuroni apprendono e si “evolvono” in reti di città intelligenti in grado di ridefinire l’ identità urbana e di competere attraverso gli strumenti della cultura, della cooperazione e della comunicazione. Il processo evolutivo vede la progressiva trasformazione della società contemporanea determinata dalle ICT, nei differenti settori della vita urbana. <<Le tecnologie oggi controllano i tempi, gestiscono il traffico, regolano l’accesso ai servizi e stimolano una nuova sfida per la disciplina della pianificazione urbana e territoriale, ovvero il confronto con un nuovo scenario Emilia Manfredi
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pervaso dai processi di evoluzione tecnologica e dallo sviluppo di nuovi strumenti per la comunicazione delle informazioni>>. (Borga, 2010). Le città intelligenti sono città vive, in cui la trasmissione sinaptica avviene per mezzo di reti di ricettori tecnologici e terminazioni nervose lungo le quali corre il flusso informativo, consentendo l’acquisizione e la comunicazione dei dati e l’individuazione di pattern spazio-temporali con cui classificare i comportamenti delle persone in ambito urbano. La dimensione smart, consente alle città di diventare luogo ideale per lo sviluppo sostenibile intelligente: attraverso modelli di ottimizzazione e sistemi di controllo è possibile infatti aumentare l’efficienza, intervenendo sui fattori fisici di funzionamento della città, ad esempio prevedendo e gestendo in tempo reale il traffico urbano, l’inquinamento, e creando al contempo informazioni intelligenti, capaci di avere una coscienza artificiale. Ciò permette di migliorare la qualità della vita dei cittadini e di rendere la città più aperta e accessibile.
Nuovi paesaggi inter- connessi Diversi sono i progetti e le ricerche finanziate a livello internazionale in grado di costruire future visioni di città sostenibili, a partire dall’ elaborazione di universi di dati qualitativi e quantitativi e dall’interpretazione delle classi di organizzazione relazionali che sottendono il contesto multidimensionale in cui viviamo. Il progetto “Smarter Planet” della IBM propone soluzioni innovative, che sfruttano tecnologie ITC, digitalizzate ed informatizzate, per rendere la città contemporanea luogo privilegiato di efficienza e risparmio energetico, di rispetto dell’ambiente, di accessibilità, di fruizione del patrimonio culturale. (http://www.ibm.com/smarterplanet/it/it/sustainable_cities/). «L’intelligenza che caratterizza il progetto è ovviamente di tipo tecnologico e si fonda sull’apporto di tre principali elementi: 1) La diffusione pervasiva di sensori, collocati sul territorio in maniera capillare, in grado di cogliere parametri rappresentativi di fenomeni in atto. 2) La possibilità che la tecnologia permetta di ascoltare le esigenze e le trasformazioni di un pianeta in continua evoluzione fornendo dati in tempo reale. 3) La possibilità di interconnessione non solo tra soggetti fisici, ma anche tra oggetti» (Borga, 2010). In Italia le città di Parma e Salerno sono state tra le prime ad aver firmato un protocollo di intesa con IBM. In particolare Parma è stata la prima realtà italiana ed europea, ad aderire alla visione della Smarter Town, rispondente ad visione sistemica fondata sulla condivisione delle informazioni, a livello di comunità locali, per migliorare la gestione integrata dei servizi al cittadino. Il Comune di Salerno ha scelto di diventare città più accessibile, seguendo l'approccio sistemico "Human Centric" di IBM, abbattendo le barriere architettoniche. Il progetto prevede la realizzazione di un primo percorso sperimentale per rendere accessibile agli ipovedenti il Teatro municipale "Giuseppe Verdi". Il secondo progetto intende realizzare una "guida" innovativa per il Giardino della Minerva. Gli strumenti tecnologici applicati a scala urbana permettono inoltre l’attivazione di processi di democratizzazione della produzione di contenuti multimediali resi possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici ed a basso costo. I local sensor e i fenomeni di geo-localizzazione permettono di esprimere con i mezzi della città virtuale le impressioni e l’identità percepita dagli utenti dei luoghi fisici. Ad esempio nel progetto Pastiche di Ivan Safrin e Christian Marc Schmidt, la città di New York è raccontata per mezzo dei dialoghi on-line dei suoi utenti in parole-simbolo (Figura 1). La città è un insieme di impressioni. Al di là dell'ambiente costruito, si tratta di un pastiche in continua evoluzione di associazioni e di esperienze, non solo delle persone che lo abitano, ma della comunità in generale. New York City, in particolare, ha due realtà: la realtà dell'ambiente fisico e la realtà delle diverse identità dei quartieri percepite dai cittadini. Inseparabili, queste due realtà continuano incessantemente ad plasmarsi. Pastiche è una visualizzazione di dati dinamici sulla mappa della città di New- York riempita di “parole chiave” tratte da articoli di blog sulla percezione dell’identità dei quartieri di New York. Il risultato è una descrizione del cambiamento dinamico della città, formato intorno esperienze e prospettive individuali (http://www.christianmarcschmidt.com/projects/pastiche/) Emozioni urbane vengono catturate nel progetto Fuehlometer (Volto - Pubblico) degli artisti Julius von Bismarck, Benjamin Maus e Richard Wilhelmer, attraverso l'installazione d'arte interattiva che mostra lo stato d'animo di una città, visualizzando nella forma di una monumentale Smiley. Il sistema permette di leggere le emozioni di volti delle persone random. Le facce sono analizzate da un sofisticato software del Fraunhofer Institut. I dati ottenuti vengono memorizzati su un server ed elaborati dallo Smiley per visualizzare le emozioni in tempo reale. Nel 2008 l’installazione era stata realizzata presso il Gasometro a Berlino-Schöneberg, successivamente (Figura 2) l’impianto interattivo è stato installato presso il di Lindau-Island (http://vernissage.tv/blog/2010/08/26/julius-von-bismarck-benjamin-maus-richard-wilhelmer-fuhlometermonumental-interactive-smiley/).
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Figura 1. Pastiche di Ivan Safrin e Christian Marc Schmidt (fonte: http://www.christianmarcschmidt.com/projects/pastiche/)
Figura 2. Fuehlometer di Julius von Bismarck, Benjamin Maus e Richard Wilhelmer (fonte: http://vernissage.tv/blog/2010/08/26/julius-von-bismarck-benjamin-maus-richard-wilhelmer-fuhlometermonumental-interactive-smiley/) Emilia Manfredi
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Come trasformare la moltitudine di dati a disposizione in porzioni di conoscenza, e in storie urbane significative? Rispetto alla moltitudine ed alla multidimensionalità dei dati a disposizione, la sfida progettuale significativa è quella di riuscire a restituire di volta in volta storie in grado di mettere in luce relazioni nascoste, di trasformare esperienze puntuali in esperienze collettive, di fornire l’immediatezza dello spazio istantaneo che si crea allontanandosi e guardando lo spettacolo in un momento unico (Lupi, 2012). Il progetto “WikiCity”, elaborato all’interno del SENSEable City Laboratory del M.I.T., sviluppa grazie a localsensor mappe dinamiche in tempo reale di una città, non solo per raccontare ciò che accade in città ma anche per essere strumento di condivisione delle informazione da parte dei cittadini, utile come supporto alle decisioni: attraverso questo sistema la mappa cambia in tempo reale al mutare del contesto urbano. L'obiettivo finale è migliorare l’efficienza complessiva e la sostenibilità nell’uso dell’ambiente cittadino e, di conseguenza, migliorare la qualità della vita. La città, simile ad un Cyber Physical System, può essere modellata e controllata in tempo reale, grazie alle quattro componenti del sistema di controllo: 1) entità da controllare in un ambiente caratterizzato da incertezza; 2) sensori in grado di acquisire informazioni sullo stato dell'entità in tempo reale; 3) Un sistema intelligente che sia in grado di confrontare le performance del sistema con gli obiettivi prestabiliti 4) Attuatori fisici che intervengono sul sistema, orientandolo verso la realizzazione della strategia di controllo. In una sistema urbano moderno, i punti 1) e 2) sono facilmente identificabili. Si pensi ad esempio al Real Time Roma Project (Figura 3, Figura 4) che aggrega i dati di telefonia mobile forniti da Telecom Italia tramite l’innovativa piattaforma Lochness e li integra su base geografica con quelli relativi alla posizione di autobus e taxi. (Calabrese, 2009).
Figura 3. Progetto Real Time- Rome : il progetto è in grado di modellare i dati del flusso delle persone e dei sistemi di trasporto, l’utilizzo spaziale e sociale di strade e quartieri (fonte http://senseable.mit.edu/realtimerome/) Per quanto riguarda le caratteristiche di un sistema intelligente destinato a gestire un sistema complesso e dinamico come una città (punto 3) e la funzionalità degli attuatori fisici (punto 4) si osservi che la città contiene già in sé diverse classi di attuatori, quali semafori e segnaletica stradale telecontrollata. Un attuatore molto più flessibile è però rappresentato dagli stessi abitanti della città: essi rappresentano un sistema distribuito di attuazione in cui ognuno persegue il proprio interesse individuale in collaborazione e in competizione con gli altri, definendo il comportamento complessivo del sistema governato dall'interazione tra gli individui (Calabrese, 2009).
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Figura 4. Real Time Roma Project -Intensità del traffico telefonico in tempo reale rapportato alla situazione delle 24 ore precedenti fornisce i pattern di fruizione della città di Roma (fonte: http://senseable.mit.edu/realtimerome/) I cittadini sono quindi parte fondamentale dell’intelligenza complessiva del sistema di controllo. Il progetto WikiCity (Figura 5) può essere pensato come ulteriore evoluzione, in cui la componente più innovativa è da ricercarsi nel feedback in relazione alla diffusione delle informazioni: come cambiano i comportamenti dei cittadini e il funzionamento degli attuatori grazie alla conoscenza in tempo reale delle dinamiche in città? Nelle mappe di WikiCity si riproducono situazioni nelle quali la rappresentazione deriva dall’analisi di elementi dinamici. La mappa stessa svolge un ruolo significativo, influenzando le azioni di tutti gli altri attori, umani e non, in un’intersezione complessa di azioni e reazioni. Il progetto è caratterizzato da una moltitudine di dispositivi tecnologici (componente materiale) che consentono la raccolta e l’elaborazione di parametri urbani relativi ad esempio ai comportamenti dei cittadini e informazioni di stato, e da atteggiamenti di collaborazione e condivisione delle informazioni da parte dei cittadini stessi (componente wiki) attraverso interfacce facilmente accessibili, interattive ed accattivanti.
Conclusioni La lettura dei progetti sopra descritti, evidenziano come le città intelligenti non siano soltanto i contenitori del cambiamento ma siano parte attiva del mutamento in essere. La dimensione temporale (real time) di acquisizione delle informazioni permea l’ambiente urbano, che tende ad evolversi in spazio interconnesso, in cui una miriade di flussi di dati provenienti dai dispositivi tecnologici, vengono aggregati ed elaborati in database, consentendo una gestione più consapevole del territorio, la possibilità di prevenire e prevedere le emergenze, grazie alle nuove tecnologie ed a nuovi sistemi di governance. La dimensione invisibile della città è in grado di identificare e propagare le storie e le emozioni, i pensieri degli “utenti” e le esperienze urbane dei cittadini in quel luogo specifico e utilizzando quel servizio della città reale. E’ l’utente che attraverso l’uso della tecnologie arricchisce nuovi paesaggi popolati da dati ed elementi analogici e digitali, che racchiudono in sé itinerari di vita e condivisione di reali esperienze urbane. La tecnologia e i nuovi processi comunicativi delineano nuovi scenari evolutivi rispetto ai tradizionali modi di pianificare e progettare l’ambiente urbano. Emilia Manfredi
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L’ascolto del territorio può avvenire allora attraverso immagini e visualizzazioni di luoghi urbani percepiti. Spazi pubblici diventano spazi condivisi, che si arricchiscono di simboli e significati che viaggiano e si raccontano real time, da cui poter trarre informazioni per analizzare le reali necessità dei cittadini. All'interno di questo contesto evolutivo, si delineano città e territori in rapido cambiamento, capaci di generare capitale sociale a partire dalle proprie risorse territoriali, sociali, culturali e relazionali, in grado di catalizzare il flusso di creatività urbana come strumento fondamentale per la competizione e fattore primario nell'evoluzione delle comunità e dello sviluppo economico.
Figura 5. Progetto WikiCity- Rome, (fonte: http://senseable.mit.edu/wikicity/)
Bibliografia Libri Borga G., (2010), City Sensing, Dottorato di ricerca Nuove Tecnologie e Informazione Territorio – Ambiente, Iuav Scuola di Dottorato. Wood D. (2011), Everything Sings: Maps for a Narrative Atlas, Sigilio Press Goodchild M. F. (2007), Citizens as sensors: the world of volunteered geography, Springer Calabrese F., Kloeckl K., Ratti C. (a cura di, 2009), WikiCity: Real-Time Location-Sensitive Tools for the City, Boston, MIT press. Spadoni F., Tariffi F., Sassolini E. (a cura di, 2011). The smartcity project: innovative technologies for customized and dynamic multimedia content production for professional tourism applications, International Conference EVA 2011 Florence Electronic Imaging and the Visual Arts, 4-5-6 maggio 2011. Siti web Lupi G. (2012), Città polifoniche. Visualizzazione di User Generated Content geo-localizzati a supporto della comprensione dei fenomeni urbani disponibile su Tafterjournal n. 46 - aprile 2012 http://www.tafterjournal.it/2012/04/02/citta-polifoniche-visualizzazione-di-user-generated-content-geolocalizzati-a-supporto-della-comprensione-dei-fenomeni-urbani/ Emilia Manfredi
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I. Safrin & C. M. Schmidt (2012), A Collective Composition of New York City http://www.christianmarcschmidt.com/projects/pastiche/ Presentazione nuove applicazioni sperimentali nel campo della pianificazione urbanistica- Sezione Tecnology http://www.currentcity.org/index.php?option=com_content&view=article&id=9&Itemid=12 Presentazione progetto CittĂ piĂš intelligenti di IBM http://www.ibm.com/smarterplanet/it/it/sustainable_cities/ideas/index.html Presentazione installazione interattiva Fuehlometer di J. von Bismarck, B. Maus e R. Wilhelmer http://vernissage.tv/blog/2010/08/26/julius-von-bismarck-benjamin-maus-richard-wilhelmer-fuhlometermonumental-interactive-smiley/ Presentazione progetto Real Time- Rome del SENSEable City Laboratory del M.I.T http://senseable.mit.edu/realtimerome/ Presentazione progetto Progetto WikiCity- Rome del SENSEable City Laboratory del M.I.T http://senseable.mit.edu/wikicity/ Presentazione progetti di physical computing di C. Nold http://www.softhook.com/
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La Città Idropoietica
La Città Idropoietica Cesare Corfone Università “G. d’Annunzio” Dipartimento Ambiente Reti e Territorio Email: cesarkfattoriale@hotmail.com Tel. 338.4019132
Abstract La ricerca propone una nuova generazione d’infrastrutture concepite per raggiungere obiettivi di sostenibilità idrica in contesti urbani: strumenti per la gestione ecologica delle acque - visibile, localizzata e qualitativa - ed occasione di ridefinizione formale e paesaggistica dello spazio costruito. La configurazione infrastrutturale tenderà ad essere plurimodale e multifunzionale coerente con il supporto idrografico, sotterraneo o superficiale, naturale o artificiale, perenne o stagionale, apparentemente statico o in convulso movimento. Il concetto che fa da sfondo alla visione prefigurata è quello di orientamento autopoietico della città ecologica: il “funzionamento idro-poietico” tende a soddisfare all'interno di un sistema il fabbisogno idrico del sistema stesso mediante la riproduzione continua dei fattori che ne presiedono la conservazione e la rigenerazione. La “Città Idropoietica” è una visione fondata sulla potenziale capacità di autoproduzione urbana dell’acqua utile all’agglomerato esplicitata in una durevole capacità di gestione dei cicli urbani delle acque.
La Città Idropoietica - infrastrutture d’acqua per la città ecologica Le infrastrutture ecologiche dell'acqua si propongono come categorie progettuali della “Città Idropoietica” il cui obiettivo primario è la risposta integrata ad esigenze di gestione idrica urbana e di conservazione ecologica. Razionalità complessiva delle infrastrutture proposte è il miglioramento della qualità dell’intero ciclo idrico urbano integrato.
Orientamento autopoietico della città ecologica Le necessità di approvvigionamento idrico delle città hanno dato vita ad un sistema ad alto sfruttamento delle risorse naturali, caratterizzato da un prelievo crescente d'acqua dolce dai corpi idrici naturali e da una restituzione di acque reflue di scarsa qualità. Il ciclo urbano di adduzione e smaltimento tradizionale delle acque riduce le capacità autorigenerative dei corpi idrici, ed ha prodotto un grande squilibrio tra gli insediamenti urbani e l'armatura ambientale che li sostiene. Si aggiungono i sistemi per l'evacuazione delle acque meteoriche dai suoli urbanizzati che, procedendo un costante processo di drenaggio ed espulsione delle acque dalle città, hanno realmente stravolto l’idrologia naturale. Oggi il rapporto con le infrastrutture idrauliche si risolve in una netta disconnessione con gli spazi della città: le acque sono relegate nel sottosuolo, cioè in un universo estraneo alla vita urbana che non consente ai cicli naturali di funzionare correttamente. Tombare il reticolo idrografico naturale comporta diversi problemi: instaurarsi di fenomeni anossici con il conseguente rischio per la salubrità urbana; incremento della vulnerabilità e del rischio idraulico a causa dell’occlusione; riduzione del ravvenamento delle falde freatiche; riduzione di scambi biologici e di biodiversità; perdita di identità paesaggistica; “urbanalizzazione” (Muñoz, 2008). La sensibilità ecologica contemporanea rivolge la sua attenzione alla corretta gestione delle risorse naturali come materia di costruzione della Città Ecologica, intesa come ecosistema antropico in equilibrio con l'ambiente che lo sostiene. Si presume che “la chiave della soluzione ai problemi globali legati all'acqua, inquinamento e scarsità è trattenere più acqua di pioggia all'interno del terreno, ottenendo una saturazione del ciclo dell'acqua” (Kravcik, 1999). Lo scenario evolutivo Cesare Corfone
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del fabbisogno idrico, in combinazione con il quadro globale dei cambiamenti climatici, suggerisce un ripensamento complessivo dei modelli di gestione urbana dell’acqua. La ricerca “La Città Idropoietica – infrastrutture d'acqua per la città ecologica” propone una nuova generazione d’infrastrutture concepite per raggiungere obiettivi di sostenibilità idrica in contesti urbani: strumenti per la gestione ecologica delle acque ed occasione di ridefinizione formale e paesaggistica dello spazio costruito della città. Si è tentato di costruire un toolkit da mettere a disposizione degli attori della trasformazione affinché possano guardare verso una sintesi qualitativa dell'infrastrutturazione che consegue alla progettazione urbana e all'ingegnerizzazione idraulica. Il concetto che fa da sfondo alla visione prefigurata nella ricerca è quello di orientamento autopoietico della città ecologica. La visione urbana proposta si fonda sul concetto di autopoiesi e sulla potenziale capacità di autoproduzione delle risorse da parte degli agglomerati urbani che le necessitano. L'organizzazione di un grande agglomerato secondo un modello tendente all’autopoiesi migliora il metabolismo urbano e ne riduce l'impronta ecologica: incrementando la circolazione interna di materia ed energia si riducono i flussi e gli scambi con l’ambiente esterno. Il “funzionamento idropoietico” tende a soddisfare all'interno di un sistema il fabbisogno idrico del sistema stesso, mediante la riproduzione continua dei fattori che presiedono alla conservazione ed alla produzione. Proprio come un ecosistema autopoietico, la Città potrà continuamente “generare e specificare la sua propria organizzazione operando la produzione dei suoi propri componenti, in condizioni di continue perturbazioni e di compensazione alle perturbazioni” (Maturana & Varela, 1972). L’autopoiesi idrica di una città è uno stato ideale in cui si realizza una durevole capacità di autoproduzione ed autogestione dell'acqua necessaria al sostentamento della città stessa. Uno scenario auspicato da costruire progressivamente per successive approssimazioni, in grado di orientare e indirizzare una moltitudine di pratiche inerenti la gestione dell’acqua. La Città Idropoietica può essere intesa come una visione guida da traguardare costantemente in politiche ed azioni di trasformazione urbana. La Città Idropoietica è un agglomerato urbano le cui infrastrutture di gestione del ciclo dell’acqua sono realizzate secondo modalità che si ispirano al funzionamento dei sistemi viventi autorganizzanti e che prevedono la capacità di innescare processi di rigenerazione della risorsa idrica. L'idea che un sistema urbano possa essere un organismo poco idroesigente e che possa diventare parte del ciclo idrologico naturale, in equilibrio con il suo più ampio contesto idrologico, passa attraverso innovative visioni alle quali non corrispondono necessariamente costose tecnologie ingegneristiche. Il modello di funzionamento proposto tende a ridurre l'acqua importata dall'esterno e la contaminazione esportata, riducendo così “l'impronta idrologica urbana”. Ciò che caratterizza l'idropoiesi di una città è l’elevata capacità di conservare l’acqua proveniente dall’esterno (ad es. fiumi, sorgenti, falde acquifere, ecc.) e la capacità di auto produzione di ulteriore risorsa idrica, per mezzo della riproduzione ricorsiva degli elementi che presiedono alla formazione di acqua (ad es. ravvenamento degli acquiferi e costruzione di bacini di detenzione delle piogge).
Bioinfrastrutture urbane dell'acqua Le infrastrutture d'acqua per la città ecologica (IACE) si propongono come nuove categorie progettuali il cui obiettivo primario è la risposta integrata ad esigenze di gestione idrica urbana e di conservazione ecologica. Razionalità complessiva delle infrastrutture proposte è il miglioramento della qualità dei cicli idrici urbani attraverso l’introduzione di processi virtuosi che porterebbero la città ad essere: “sana” - minor livello di contaminazione di suolo, acqua e aria; “leggera” - ridotta impronta ecologica sul contesto geografico di riferimento; “florida” - grande contenuto di naturalità e di qualità paesaggistica; “preziosa” - alto livello di tutela di beni simbolici e culturali. Tali intenti, ambiziosi ma di facile trasmissibilità, presumono un necessario salto di qualità ecologica della progettazione architettonica, urbanistica e paesaggistica, assumendo che “la qualità totale del progetto […] costituisce l'esito del suo modo di integrare le diverse variabili in gioco e la varietà di interventi in programma” (Clementi, 2010). La ricerca è tesa alla sintesi interattiva di due temi urbani tradizionalmente legati all'acqua: l'approvvigionamento idropotabile ed il drenaggio. Le IACE possono considerarsi bioinfrastrutture utili a dare risposta a questi, e vanno concepite come “protesi biologiche di naturalità artificiale atte a sostituire le parti ambientali mutilate dallo sviluppo urbano o a ripristinare il funzionamento di quelle compromesse” (Angrilli, 2010). La rete infrastrutturale - plurimodale e multifunzionale - coerente con la matrice ecologica e paesaggistica dell’ambiente urbano, è composta di elementi attraverso cui dare forma agli elementi di un nuovo ciclo idrologico urbano, dotati di qualità formali e figurative in grado di contribuire al disegno dello spazio aperto e dello spazio costruito della città. Queste bioinfrastrutture stabiliscono un dialogo creativo con il reticolo idrografico naturale ed antropico, trasformandolo in una rete proattiva capace di ripristinare relazioni biologiche e connessioni funzionali tra le parti urbane.
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La rete infrastrutturale per la gestione ecocompatibile delle acque meteoriche urbane può essere affidata a modelli non convenzionali e la più semplice strategia urbana ipotizzabile per il recupero e il riutilizzo delle acque piovane è quella definibile come “stormwater eco-management strategy”, cioè raccolta capillare e localizzata della pioggia: la purificazione, lo stoccaggio ed il riuso dell'acqua raccolta avverrebbe direttamente nei pressi delle aree destinate alla raccolta. Questa strategia è la sovrapposizione di una gestione ecologica della pioggia attraverso lo spazio pubblico (“stormwater features urban strategy”) e gli edifici (“stormwater ecobuilding strategy”). Le pratiche per il risparmio e la valorizzazione dell'acqua potabile possono essere oggi ancora affiancate da tecniche di lunga data, come la raccolta della pioggia che offre un approvvigionamento low-cost e notevoli benefici ambientali. All'interno di un edificio residenziale, gli usi ammissibili dell'acqua di pioggia potrebbero coprire circa il 30% delle esigenze idriche e per attività industriali e commerciali le percentuali crescono notevolmente. Gli elementi individuati per un corretto disegno architettonico che voglia sfruttare a pieno le potenzialità ecologiche della pioggia, assecondando i principi della stormwater eco-building strategy sono: green screen, green roof, roof pond, roof spray, rainwater wall, stormwater box, sequential-tiered cleansing systems, intensive green roof. La stormwater features urban strategy è una politica progettuale che tende a superare la tradizionale separatezza tra gestione delle piogge e disegno dello spazio pubblico (irrigazione del verde pubblico e gestione delle water feature con acqua di acquedotto) attraverso il progetto di drenaggio urbano integrato nel disegno dello spazio pubblico. L'acqua di pioggia viene trattenuta all'interno dello spazio aperto ed utilizzata; Ie water features utilizzano acqua di pioggia biopurificata attraverso il potere fitoestrattivo delle piante acquatiche trasformandosi in stormwater features; il verde pubblico è costruito da vegetazione autoctona che non ha bisogno di irrigazione artificiale. Gli elementi strutturanti di questo modello sono comunemente chiamati green infrastructures, soluzioni tecniche che supportano le funzioni naturali del ciclo dell'acqua, il cui approccio tende ad un gestione “localizzata, qualitativa e visibile” (Mazzotta, 2007). La ricerca individua un duplice sistema classificatorio: morfologico e funzionale. La classificazione morfologica ha lo scopo di aiutare l'approccio formale al progetto delle infrastrutture d'acqua e le suddivide in: “infrastrutture lineari” (canali, trincee, fasce); “infrastrutture puntuali” (filtri, pozzi, cisterne); “infrastrutture areali” (laghi, bacini, aree umide). La classificazione funzionale si muove secondo la prestazione che l'infrastruttura offre: le “infrastrutture di adduzione” captano il ruscellamento, lo rallentano, lo canalizzano; le “infrastrutture di detenzione e ritenzione” ricevono e contengono le acque; le “infrastrutture di filtrazione e sedimentazione” rimuovono sedimenti e di filtrano l'acqua; le “infrastrutture di biopurificazione” rimuovono le sostanze contaminati attraverso biotopi con proprietà fitoestrattive; le “infrastrutture di percolazione e infiltrazione” restituiscono l'acqua alle falde sotterranee, ristabilendo un alto livello di permeabilità del suolo. Appurata la possibilità di trasformare il problema del drenaggio, in una grande risorsa urbana ed ambientale, ai fini di una valutazione complessiva di sostenibilità del ciclo urbano, va descritto come rendere ecocompatibile il ciclo idropotabile della Città. È corretto ritenere che è sostenibile una città i cui prelievi sono compatibili con le fonti ed “i cui scarichi sono compatibili con il corpo idrico che li riceve” (Conte, 2009). In altri termini si può considerare “idropoietico” un agglomerato urbano che raggiunge un equilibrio stabile con il suo contesto ambientale al fine di preservare in modo durevole i corpi idrici di cui dispone ed usufruisce. Innanzitutto è importante minimizzare la circolazione impermeabile dell'acqua, evitando di generare veri e propri circuiti recintati artificiali che sostituiscono di fatto i flussi naturali: se l'acqua è prelevata alla sorgente di un fiume e restituita alla foce si tende a generare disfunzioni idrologiche considerevoli. Lunghe infrastrutture di adduzione producono un ciclo artificiale anossico ed impermeabile, che impoverisce la circolazione naturale e quando poi il flusso del refluo rientra nel ciclo naturale attraverso il depuratore, la sua portata è spesso troppo elevata rispetto al corso d'acqua che la riceve e non viene correttamente diluito. Un aspetto importante è la localizzazione idrografica e la distanza tra prelievo e restituzione: prelevare da un bacino idrico e restituire in un altro è sconsigliabile perché si impoverisce il primo (con il rischio di prosciugare la fonte) e si rigonfia un altro (con il rischio di eutrofizzarlo). Prelevare e potabilizzare da una fonte vicina alle utenze consentirà di minimizzare le perdite e ridurre gli sprechi; depurare e restituire in modo localizzato invece consentirà di minimizzare la costruzione di estese reti fognarie, riducendo gli alti costi di costruzione ed i pericolosi rischi di infiltrazione dei reflui non ancora depurati. Raccolta decentralizzata dei reflui e loro trattamento biologico offrono la possibilità di reimmettere un'acqua sostanzialmente depurata nel suo ciclo naturale, ricostruendo in modo diffuso il flusso minimo vitale dei corpi idrici superficiali, depauperati da un'eccessiva antropizzazione del ciclo. L'alternativa migliore agli attuali sistemi di “depurazione centralizzata convenzionale” è probabilmente lo sviluppo di una possibile “decentralized innovative bio-depuration strategy”, cioè un reticolare sistema di depurazione naturale che permettano di distinguere i reflui in base al loro carico inquinante e recuperare sia l'acqua che i nutrienti. Lo sviluppo di questa strategia porterebbe vantaggi sotto vari profili: depurazione capillare e sicura; riutilizzo locale delle acque e dei nutrienti; re-immissione lenta e decentralizzata dell'acqua nei cicli naturali. La depurazione localizzata innovativa può essere realizzata attraverso un uso capillare di infrastrutture di depurazione naturale come: infrastrutture ad evapotraspirazione o lagunaggio, infrastrutture di fitodepurazione o fitodepurazione a lemna, infrastrutture di fitoestrazione a flusso superficiale o a flusso sommerso, orizzontale e verticale. Cesare Corfone
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La CittĂ Idropoietica
Figura 1. Elementi primari della CittĂ Idropoietica a. pioggia b. evaporazione ed evapotraspirazione c. verde pensile intensivo d. bacino pensile e. giardino pensile f. stormwater box g. rete di distribuzione delle acque potabili h. rete di accumulo e distribuzione fonti idriche alternative i. rete di raccolta differenziata delle acque reflue l. infrastrutture per la biodepurazione delle acque m. rete di distribuzione acque di pioggia ed acque riciclate n. infrastrutture filtranti per il ruscellamento ecologico o. aree per la bioritenzione della pioggia p. bacini di ritenzione ed infiltrazione q. ruscellamento urbano r. trincea di infiltrazione s. acquiferi t. sottosuolo
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La Città Idropoietica
Il ciclo idropoietico urbano Le infrastrutture d'acqua ipotizzate tendono ad assolvere a diverse prestazioni rispondendo a cinque obiettivi primari: ridurre la quantità di input idrico immesso forzosamente nelle aree urbane; migliorare la qualità di output idrico reimmesso nel ciclo naturale dell'acqua; mitigare i rischi di alluvioni e siccità negli agglomerati urbani; ridurre la quantità di acque di dilavamento urbano e migliorarne la qualità; migliorare lo salute ecologica dei corpi idrici relazionati con gli agglomerati urbani. Un primo abbattimento dell’input idrico si realizza mediante la riduzione delle perdite degli acquedotti e la riduzione dei consumi delle utenze finali. Inoltre sarà necessario introdurre politiche che consentano il reperimento di fonti idriche alternative di tipo locale e rinnovabili, che non oltrepassino cioè i coefficienti di rigenerazione naturale. Le fonti alternative di cui la città può disporre sono la pioggia (insieme a nebbia, umidità e neve) che ricade all'interno della stessa area urbana ed i reflui (attraverso pratiche di raccolta differenziata, riuso e riciclo) di cui la città sarà costantemente produttrice. L'utilizzo delle acque reflue come fonte idrica rinnovabile interpreta lo scarto come una risorsa potenziale per la società che lo ha generato e la strategia preposta a tale scopo è la “urban water recycle strategy” (politica di infrastrutturazione che permetta di riciclare l'acqua già utilizzata e depurata): attraverso reti differenziate per il trasporto delle plurime acque urbane, riciclo e riuso ridurranno drasticamente le importazioni di acqua e offriranno la possibilità di attuare anche la “ecological urban rehydration strategy” (politica di reimmissione lenta e diffusa dell’acqua utilizzata - forma evoluta ed ecocompatibile, di irrigazione del verde attrezzato e gestione del livello trofico delle aree urbane). Una volta ridotte le quantità di risorsa naturale immesse nella circolazione idrica antropica, risulterà notevolmente più semplice migliorare la qualità dell'out-put idrico da restituire alla natura, anche soltanto per il minore sforzo imposto agli impianti di depurazione convenzionali esistenti. La “decentralized innovative bio-depuration strategy” oltre a migliorare la qualità dei reflui permette di gestire con maggiore attenzione la “geometria ecologica” del ciclo idrico urbano (proporzione relazionale del ciclo artificiale con quello naturale). Le politiche di gestione della pioggia come fonte idrica alternativa tenderanno a ridurre le quantità di acque piovane da smaltire, poiché una parte di esse, purificata ed immagazzinata diventerà risorsa da reimpiegare. Le tecniche di espulsione dell'ingegneria idraulica moderna cederanno il passo a contemporanee morfologie urbanistiche idropoietiche che permetteranno di gestire al proprio interno grandi quantità di acque incrementandone la qualità. Innervando le aree urbane attraverso le infrastrutture ecologiche di adduzione non solo sarà possibile dismettere, riconvertire o integrare l'inefficiente rete drenante tradizionale, ma sarà anche possibile gestire l'utilizzo delle fonti idriche alternative, utilizzando le bioinfrastrutture lineari come supporto connettivo e rete di trasporto. Una porzione non trascurabile della rigenerazione dell'ecologia urbana complessiva avverrà attraverso l'abbattimento del carico contaminante mediante una continua movimentazione delle acque nelle bioinfrastrutture di depurazione, secondo una successione circolare di ritenzione, filtrazione, sedimentazione, depurazione e biopurificazione. La Città Idropoietica sfrutta il processo naturale di biological uptake per contrastare i danni indotti dall’inquinamento diffuso del territorio; tali processi hanno la capacità di rimuovere grandi quantità di nitrati e fosfati (che se immessi nel corpi idrici ne causano l’eutrofizzazione), riutilizzati poi per migliorare la qualità della reidratazione urbana; la riduzione del carico inquinante della Città Idropoietica e la diffusione di organismi fitoestrattivi, svilupperà un circolo virtuoso che potrebbe definirsi come processo di “ribilanciamento trofico” della rete idrografica naturale, cioè il naturale fenomeno di autorigenerazione ecologica dei corpi idrici naturali, questa volta però indotto da azioni antropiche mirate e proattive. Raggiungere un ottimo stato ecologico dei corpi idrici, sembrerebbe essere anche l'unica strategia realmente durevole per mitigare possibili fenomeni di scarsità della risorsa Fiumi, laghi e falde in buona salute saranno indispensabili durante i periodi di siccità. Le infrastrutture di adduzione ecologica, incrementando la rugosità delle superfici ed ampliando la sezione degli alvei ridurranno la velocità del ruscellamento ed eviteranno le rapide e violente immissioni d'acqua negli alvei dei corpi idrici primari, causandone l’esondazione. La realizzazione della Città Idropoietica prevede di riportare gradualmente i parametri idrologici complessivi (infiltrazione superficiale, velocità di deflusso superficiale, evapotraspirazione, evaporazione, ritenzione, velocità di percolazione, infiltrazione profonda) vicino a valori naturali. Il riequilibrio dei parametri idrologici ridurrà notevolmente i rischi idraulici dovuti ad eccessivi apporti idrici nel bacino fluviale e a drastiche discese dei livelli piezometrici delle falde freatiche, fenomeni entrambi dovuti all'impermeabilizzazione dei suoli e all'ingegneria idraulica tradizionale. Mantenere l'equilibrio piezometrico delle falde del territorio urbano sarà indispensabile per rinnovare e rigenerare la risorsa locale nonché per ridurre l’importazione d'acqua da fonti lontane. Cesare Corfone
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La CittĂ Idropoietica
Figura 2. Il ciclo dellâ&#x20AC;&#x2122;acqua nella CittĂ Idropoietica a. alveo fluviale b. area golenale c. golena e flusso di percolazione d. acquifero e. bacino di laminazione f. fenomeni carsici e ravvenamento diretto g. falda freatica h. pozzo artesiano i. impianto di potabilizzazione l. parco di potabilizzazione m. reti diversificate di trasporto sotterraneo delle acque n. parco di depurazione o. bacini di biodepurazione p. cellula di bioritenzione e biodetenzione q. infrastruttura ecologica per il ruscellamento
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La Città Idropoietica
Morfologia della Città Idropoietica Incorporando i concetti di “bioregionalism & biourbanism”, si può dire che l'approccio al genius loci ambientale avverrà secondo una logica stratigrafica relazionale (Williams, 2007). Le ecologie urbane saranno interpretate attraverso le relazioni instaurate tra i grandi involucri terrestri abitati: troposfera, superficie e crosta. La pianificazione degli usi del suolo avverrà secondo la logica relazionale delle conformazioni geografiche. Gli elementi potrebbero essere: figure orografiche, figure idrografiche e tutti gli elementi connessi ai bacini idrografici, figure paesaggistiche, figure ecologiche. Altre variabili da assumere nella progettazione urbana saranno i venti, le precipitazioni, le temperature, la qualità dell'aria. I tradizionali studi sulla composizione geologica del suolo saranno integrati da studi dinamici del sottosuolo, tendenti a comprendere le forme ed i processi che incidono sulla stabilità tettonica ed influenzano i flussi idrografici sotterranei (fondamentali per la rigenerazione autopoietica dell'acqua). Le IACE contribuiranno a modificare la morfologia ed il funzionamento di un agglomerato, incrementandone la qualità urbana, “effettivamente giudicata come un valore tangibile, in quanto è percepibile nell'esperienza diretta da parte di quanti abitano o usano un determinato spazio” (Clementi, 2010). Il valore aggiunto che le bioinfrastrutture possono offrire alle città attiene a diverse componenti della rigenerazione urbana sono sintetizzabili in: incremento della biodiversità, mitigazione dell'effetto isola di calore, miglioramento della qualità del suolo e dell'aria, risanamento del paesaggio urbano culturale simbolico ed ipogeo, riqualificazione del tessuto edilizio e dello spazio aperto, riduzione del consumo energetico; incremento dell'adattabilità al cambiamento climatico. La rete urbana delle infrastrutture d’acqua, se concepita secondo i criteri della sostenibilità d'uso delle risorse a disposizione, dell'ibridazione tra artificio e natura e della implementazione delle tecnologie digitali della Città Intelligente, potrebbe rappresentare un elemento determinante per la qualità di configurazione e l’identità stessa delle città. La gestione quotidiana delle portate in ingresso ed uscita dalle reti di adduzione delle fonti rinnovabili e dai tanti piccoli e grandi invasi di detenzione e laminazione urbana delle acque meteoriche sarà effettuata grazie a tecnologie digitali supportate da strumentazione satellitari di previsione meteorologica. Attraverso il telecontrollo, le bioinfrastrutture potranno essere utilizzate come estensione diretta dello spazio pubblico, con funzioni ludiche, culturali e ricreative, secondo una logica - spesso utilizzata per le infrastrutture della mobilità definibile della “shared urban space strategy”. La rete bioinfrastrutturale potrebbe generare morfologie permeabili, secondo il principio dei vasi comunicanti per auto-bilanciarsi, altamente connettiva, pervasiva e tendenzialmente non gerarchica, secondo una logica rizomatica. La struttura rizomatica del sistema sarà composta da punti, linee e superfici d'acqua, organizzati in un circolo idrologico, virtualmente senza ingressi e senza uscite, senza inizio e senza fine, coerente con il contesto ecologico del tessuto idrografico. La rete della Città Idropoietica (adduzione, detenzione, ritenzione, filtrazione, sedimentazione, depurazione, stoccaggio, traspirazione, espansione, biopurificazione, lagunaggio, percolazione, infiltrazione) avrà un carattere multiforme e rizomatico costruito da masse d'acqua che tenderanno a disporsi interpretando il naturale funzionamento idrogeologico del territorio.
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Figura 3. Morfologia stratigrafica della CittĂ Idropoietica a. precipitazioni b. temperature c. venti d. composizione dell'aria e. figure orografiche f. figure e bacini idrografici g. configurazione ecologica h. configurazione edilizia i. configurazione infrastrutturale l. reti verdi e orti urbani m. composizione geologia n. flussi idrografici sotterranei o. instabilitĂ tettonica
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Bibliografia Angrilli M. (2010), “Infrastrutture verdi e reti della sostenibilità”, in Urbanistica Informazioni n.233/234, INU Edizioni, Roma. Giulio C. (2008). Nuvole e sciacquoni, come usare meglio l'acqua in casa ed in città, Edizioni Ambiente, Milano. Clementi A. (2010), “Strategie per la qualità urbana”, in Clementi A., Mascarucci R. (a cura di), Zongshan Programme. ITALY-CHINA for te cities, List, Barcellona-Trento, pp. 18-24. Maturana H. R., Varela F. (1972), Macchine ed esseri viventi. L'autopoiesi e l'organizzazione biologica, Astrolabio Ubaldini, Roma Mazzotta A, (2007), L'acqua: materia per l'immagine del paesaggio costruito – indicazioni manualistiche tra sostenibilità e sensibilità, Alinea Editrice, Firenze. Muñoz F., (2008), Urbanalización: paisajes comunes, lugares globales, Editorial Gustavo Gili, Barcelona. Williams D. E. (2007), Sustainable design: ecology architecture and planning, John Wiley & Sons Hoboken, New Jersey.
Ringraziamenti Ringrazio i professori che mi hanno aiutato nel mio percorso di studente di dottorato: Alberto Clementi, Carmen Andriani, Massimo Angrilli, Martha Kohen, Alberto Villar Calvo, Sylvain Paquette.
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Verso la CITTA' ad_ATTIVA. Rispondere ai cambiamenti climatici attraverso una nuova concezione del tempo nei processi e negli esiti progettuali.
Verso la Città ad_Attiva Rispondere ai cambiamenti climatici attraverso una nuova concezione del tempo nei processi e negli esiti progettuali. Michele Manigrasso Università G. d'Annunzio. Pescara Dipartimento di Architettura Email: michelemanigrasso@gmail.com Tel. 3293536611 fax 085 4312760
Abstract L'adattamento ai cambiamenti climatici, scardina profondamente le impostazioni del progetto urbanistico e di architettura, invitando ad introiettare il rischio nelle varie fasi di programmazione, pianificazione, progettazione e costruzione della città, attraverso un approccio più olistico tra i saperi. L'incertezza, tradizionalmente vista come la condizione rispetto alla quale la pianificazione e il governo del territorio avevano un compito risolutivo, o per lo meno “mitigativo”, oggi inasprisce l'urgenza di azioni preventive, per la messa in sicurezza di aree urbane vulnerabili ma, ancor più profondamente, è chiamata a dare nuovo senso alle azioni, anche progettuali, dilatando gli orizzonti temporali entro cui processi ed esiti devono realizzarsi e innovarsi. E ciò, inevitabilmente, in maniera flessibile e ad_ATTIVA rispetto alle possibili, ma anche imprevedibili, mutazioni di contesto, riconfermando in maniera inedita i valori ecologici della città, e realizzando una nuova forma d'intelligenza urbana.
I Cambiamenti climatici rappresentano una minaccia e, al tempo, una nuova sfida per le citta’ del XXI secolo, proiettate in uno scenario di evoluzione dei contesti e di forte incertezza, rispetto al quale, il Governo del Territorio, l’urbanistica e l’architettura sono chiamate a dare risposte nuove. E’ ormai largamente riconosciuto, dalla comunità scientifica internazionale, e in particolare dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che ai ciclici mutamenti naturali, storicamente rilevati nei millenni scorsi, si è sovrapposto il contributo, decisivo e specifico, delle attività umane. Contributo determinante nell’incremento di temperatura registrato, nello stravolgimento del regime delle precipitazioni e nell’innalzamento del livello dei mari, nonché nell’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi estremi, che accrescono una pluralità di rischi a livello locale, per i territori e le città. Questo nuovo scenario, caratterizzato da forte incertezza, mette in crisi un apparato di paradigmi consolidati, ormai inadeguati a dare risposte utili di fronte a rischi che spesso valicano l’immaginabile. L’urbanistica tradizionale ha fatto in modo che le attività umane sul territorio fossero progettate e dimensionate con il presupposto implicito o esplicito, che la situazione e le condizioni ambientali e territoriali rimanessero costanti e non mutassero nel tempo. Assunti teorici, e governo del territorio, unitamente alle modalità ormai obsolete di costruzione della città, ci consegnano un territorio, specialmente in riferimento al nostro Paese, inerte e inflessibile, impreparato ai possibili cambiamenti, e incapace di attutirne i colpi, anche per l’abusivismo edilizio e la scellerata e incontrollata tendenza al consumo di suolo. Un territorio fortemente vulnerabile, in cui le città subiscono impatti, spesso e purtroppo, catastrofici. Al centro di questo scenario vi è infatti la città, il luogo dove si espletano le attività umane principali e dove si addensa la popolazione; il luogo in cui gli effetti si presentano più severi per il prevalere dell’artificiale sul naturale, e dunque dove la resilienza deve essere assicurata quasi esclusivamente dall’uomo. L’individuazione dei rischi ai quali sono esposti popolazioni e beni, la valutazione della loro vulnerabilità, e la formulazione di strategie atte a contrastare il problema, sono, di conseguenza, un banco di prova importante, per operare a favore Michele Manigrasso
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della qualità della vita della maggior parte della popolazione mondiale. Se da un lato hanno contribuito fortemente al cambiamento climatico, con i loro consumi, le esternalità, le emissioni di gas serra, dall’altro, le città e i governi locali in senso più ampio, possono svolgere un ruolo rilevante come laboratori di sperimentazione di nuove politiche che riducano le emissioni climalteranti (strategie di mitigazione) e rendano più resilienti i contesti rispetto ad impatti inevitabili, che anche con la mitigazione non potranno essere evitati (strategie di adattamento). Sono tante le città, americane ed europee, che stanno introducendo la questione del climate change nelle proprie politiche urbane, (per citarne alcune: Los Angeles, Chicago, New York, San Francisco, Toronto, Stoccarda, Malmo, Londra, Rotterdam…) realizzando strumenti inediti (piani clima, piani di adattamento, piani della sostenibilità), in cui hanno strutturato un complesso palinsesto di strategie di adattamento, integrate ad azioni di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, secondo quella che si sta definendo come “Politica di protezione del clima”; mentre, sono decisamente meno numerose le esperienze di progettazione urbana con specifici obiettivi di adattamento. Nel nostro Paese il dibattito e la ricerca sono in evidente ritardo, anche se si stanno delineando le prime esperienze di applicazioni del tema in piani e programmi. Ponendo il tema del mutamento climatico al centro delle politiche urbane, si apre uno scenario che interroga le discipline dell’urbanistica e dell’architettura rispetto al proprio ruolo, e le modalità di costruzione della città di fronte alle capacità di adeguarsi ai mutevoli scenari climatici: Introiettando il fattore clima nella pianificazione, come cambia lo sguardo al territorio? Quali caratteri dovrà assumere l’urbanistica per rispondere all’incertezza imposta dai cambiamenti climatici? E ancora, quale idea di città si prefigura? L’ipotesi da cui muove questa riflessione, è che l’introduzione della variabile climatica, e più specificamente obiettivi di adattamento nelle politiche territoriali ed urbane, modifichi profondamente la sguardo al territorio e la geografia del rischio. Adattare le città al mutamento climatico, sottende il confronto con un futuro non sempre prevedibile, che mette sotto accusa il tradizionale bagaglio di analisi e di strumenti urbanistici e progettuali, secondo la necessità di ricercare informazioni, dati e vincoli, non solo nel passato e nel presente, ma soprattutto nel futuro, perché è rispetto ad esso che bisogna mobilitarsi e dare risposte. E questo si lega ad una seconda ipotesi, e cioè che la città, di fronte ai rischi rappresentati dai cambiamenti climatici, non potrà essere più inerte e stabile: essendo un “sistema complesso”, la città sarà tanto più resiliente, quanto più sarà in grado di incorporare le abilità necessarie per attivare processi di rigenerazione e di adattamento rispetto a fenomeni di evoluzione dei contesti, anche repentini. In tale ottica, la condizione di continua mutazione, è stato di normalità, mentre i fenomeni di stabilità devono essere considerati quali fenomeni che aumentano la vulnerabilità. Concetto che stravolge il modo in cui siamo abituati a pensare: tendenzialmente assumiamo la stabilità come condizione normale e ideale (ci è molto caro il concetto condizione di stato di equilibrio), mentre individuiamo nei cambiamenti i fenomeni da indagare per comprenderne le cause. Ciò invita ad una riflessione sull’inevitabile revisione degli strumenti di governo del territorio, che non può più essere considerato in una condizione di staticità, ma di dinamismo, concetto che deve essere interiorizzato e metabolizzato dalle discipline coinvolte. E sulle modalità attraverso cui il fattore climatico e più profondamente il fattore rischio, debbano caratterizzare tutto il processo di ideazione del progetto, fino alla sua sintesi, tradotta in forme fisiche e assetti funzionali dello spazio. Attraverso le esperienze di pianificazione e di progettazione, realizzate in questo campo, è possibile delineare delle prime risposte, secondo una serie di argomenti più specifici che, caratterizzando il complesso tema dell’adattamento, sono indirizzi utili alla formulazione di un nuovo approccio al progetto della città. I caratteri di staticità del contesto in cui l’urbanistica tradizionale opera, sono messi in discussione da un’inevitabile incertezza, con la quale, più in generale, tutte le discipline legate all’evolversi dei processi di trasformazione del territorio, dovranno necessariamente confrontarsi. L’incertezza, tradizionalmente vista come la condizione rispetto alla quale la pianificazione e il governo del territorio avevano un compito risolutivo, o per lo meno “mitigativo”, oggi è chiamata a sensibilizzare l’azione preventiva ma, ancor più profondamente, a influenzare il processo di programmazione e pianificazione, dando nuovo senso alle azioni, anche progettuali. Le parole di Rem Koolhaas, di qualche anno fa, sul ruolo dell’urbanistica come “messa in scena dell’incertezza”, risuonano più che mai confermate e risignificate di senso. Pianificazione e progettazione si trovano ad espletare il loro compito di governo del territorio, di scrittura e riscrittura degli assetti spaziali, in una condizione di “indeterminatezza” e “possibile mutazione”; e non ci sarebbe scampo al disastro, all’inevitabile conseguenza di eventi estremi, se non attraverso un consapevole adeguamento all’evoluzione futura dei contesti in cui si opera. La necessaria revisione delle discipline, passa, inevitabilmente, attraverso una nuova concezione del tempo. Negli approcci tradizionali alla pianificazione, così come in gran parte delle pratiche correnti, il tempo viene generalmente pensato come una sequenza lineare e ordinata che, attraverso una serie di azioni predeterminate (individuazione del problema, definizione degli obiettivi, scelta delle strategie, mobilitazioni delle risorse, azioni), connette decisioni e risultati. Ma ancor più semplicemente, il tempo è una dimensione continua, che si dispiega in una successione quasi prevedibile di eventi. Per questo, il progetto vive in un “unico lungo tempo”, Michele Manigrasso
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traguardando un unico orizzonte temporale, rispetto al quale vengono stabiliti obiettivi e requisiti. L’adattamento ai cambiamenti climatici scardina questa impostazione concettuale perché, in fondo, è in una prospettiva di evoluzione degli scenari che ci si muove: sia il processo di adattamento, sia gli esiti, devono risentire di questa apertura degli orizzonti temporali e fornire prestazioni diverse rispetto alle mutevoli condizioni di contesto. In pratica, si passa ad una concezione del tempo: MULTIFORME, come il tempo viene percepito, come viene utilizzato, quali conoscenze veicola, quali mobilita; MULTIDIREZIONALE, che non procede cioè per accumulo di una serie di azioni o trasformazioni successive prestabilite, ma che deve includere la possibilità di modificare l’ordine delle azioni in risposta ad esigenze anche inaspettate; NON RICORSIVO, nel senso che non fonda la propria legittimità sulla riproduzione routinaria di un modello indifferente rispetto al contesto, ma che deve tendere ad aprirsi ad esso e subirne costruttivamente la mutazione (Cottino, Zeppetella, 2010). In questo modo, ciò che dà origine al processo, non è la sequenza di azioni disposte lungo una linea temporale rigida, bensì è la compresenza di necessità, urgenze, opportunità e capacità di realizzare un “sistema aperto” che metta in relazione problemi e soluzioni, decision maker, tecnici, e scelte, con l’intento di anticipare l’evolversi del contesto e trovarsi preparati agli eventi inaspettati. Dare rilevanza alla nuova dimensione temporale che l’adattamento presuppone, implica un cambiamento nei modi di interpretare la città e di intervenire, tramite politiche, piani e progetti, combinando esigenze di certezza e spazi capaci di adeguarsi al cambiamento. Secondo una simile concezione del tempo, piani e progetti devono essere ”resoconti orientati all’azione per il futuro”, tenendo in considerazione la natura contestuale e le sue possibili evoluzioni. Non si tratta solo di riconoscere che la freccia del tempo possa subire deviazioni non programmate ma, soprattutto, che non è più possibile pensare al tempo come una freccia, ma come un continuo intersecarsi di eventi (Fedeli, 2010), che rendono del tutto inefficace un progetto che non sappia riconoscere e convivere con la mutazione. In questo modo, si insegue una progettualità mobile e dinamica (Hiller, 2007), intersecando le multiple temporalità del progetto con le multiple condizioni di scenario in cui esso si realizza: e quindi affrontare l’incertezza interiorizzandola nel processo ed esprimendola costruttivamente nella flessibilità. Il tema della flessibilita’, notevolmente indagato nella storia dell’urbanistica e soprattutto del progetto architettonico, attraverso l’adattamento, assume un significato estremo, radicale, che supera le soglie dimensionali e temporali entro cui i processi, i dispositivi, le tecnologie e tutto il bagaglio di strumenti operativi, trovano applicazione sul territorio. Non si tratta di individuare una serie di possibili configurazioni, ma è necessario operare in modo tale che l’azione o l’intervento anche fisico, siano “processi aperti”, cioè capaci di metabolizzare il cambiamento dettato da sollecitazioni esterne, colmando gli scarti tra inerzia e mutazione. Sia che essa riguardi il processo di pianificazione o di progettazione e le possibilità d’interazione dei diversi soggetti implicati nel percorso, sia che riguardi gli spazi, i loro modi d’uso e in generale le facoltà dei destinatari di appropriarsene, adeguandoli alle proprie esigenze, flessibilità del processo e flessibilità degli spazi sono accomunate da una riconcettualizzazione del progetto come processo o, in altri termini, come una più profonda e inedita “conversazione riflessiva con il contesto”. Il progetto, come lo spazio progettato, non è un “prodotto concluso”, piuttosto un’attività che si dispiega lungo un arco temporale esteso che parte dalla iniziale formalizzazione di un’ipotesi e va oltre la sua realizzazione. La ricerca da cui è stato estratto questo articolo, ha dimostrato l’attualità e la valenza transcalare del tema, la necessità di introdurlo nelle discipline urbanistiche e progettuali ma, ancor più profondamente, permette di prefigurare una “nuova idea di città”, che inevitabilmente sottende un'inedita visione dell'ecologia urbana: una città ad_ATTIVA che, metabolizzando lo scenario di mutazione in cui è proiettata, sia sensibile al cambiamento regolandolo quanto possibile, e rendendolo tema di progetto. Fare dell’adattamento tema progettuale alla scala urbana è una necessità, da realizzare attraverso due ragionamenti correlati: il primo riguarda il rischio, quindi la mitigazione degli impatti possibili attraverso progetti e interventi che metabolizzino il tema, dalle prime fasi di ideazione, fino agli esiti tradotti in assetti spaziali; il secondo, riguarda la mutazione delle condizioni micro-climatiche, con le quali bisognerà confrontarsi nel progetto degli spazi aperti e del sistema del costruito, per migliorare le condizioni di benessere, soprattutto in relazione all’innalzamento delle temperature e all’aumento della frequenza di ondate di calore. Due aspetti che sottendono un terzo e affascinante argomento e cioè il nuovo rapporto tra citta’ e natura, tra artificio e natura, che inevitabilmente l’adattamento, introduce e realizza. Il caso della riqualificazione del quartiere Augustenborg a Malmö (figura 1), per esempio, dimostra come il problema dell’allagamento sia stato risolto in maniera molto efficace, evitando anche opere molto costose. Se Michele Manigrasso
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l’intervento avesse interessato esclusivamente il sistema fognario esistente, ormai insufficiente ad accogliere il flusso delle acque, probabilmente, oltre a creare movimenti di terra importanti, sarebbe stato molto più dispendioso, rimanendo soluzione tecnicistica, di sola risposta idraulica, e non avrebbe inciso sul disegno e sulla nuova qualità dello spazio. La scelta di realizzare un sistema di ruscellamento e di raccolta delle acque, in parallelo al sistema tradizionale esistente, riattivando i suoli impermeabilizzati, ha risolto il problema e, al tempo stesso, ha dato un senso nuovo allo spazio, rendendo più fluido il processo di finanziamento. Questo concetto dell’attivazione in risposta alla possibile evoluzione del clima, dovrà validarsi ed estendersi a tutta la città, ma soprattutto dovrà riguardare il progetto nelle aree a rischio; in particolare, nei luoghi in cui la città incontra la natura, l’acqua, i bacini idrografici, la costa. E’ qui che lo spazio si fa “luogo della mutazione” ed è qui che il progetto dovra’ accettare la mutazione, consapevolmente governarla per l’incolumità di chi fruisce, abita e usa quel luogo; e in parte realizzarla. Dovrà affrontare ed interpretare il confronto tra città e acqua, tra città e natura, colmando gli scarti tra inerzia e mutazione, tra staticità ed evoluzione, che inevitabilmente le due realtà contrapposte realizzano nel tempo. Il progetto di riqualificazione di un tratto del lungofiume Schelda, ad Anversa (il Master Plan vincitore del concorso pubblico è firmato dallo studio portoghese proap e dal gruppo di lavoro italo-belga Wit+DRecta+Idroesse, figura 2), ci consegna una prefigurazione spaziale coerente con quanto si sta asserendo. La realizzazione di opere di difesa dall’esondazione, opere fisse di protezione, sarebbe stata operazione più che mai sconveniente, e non solo rispetto al rapporto tra città e fiume. L’uso di tecnologie probabilmente più onerose, forse capaci della risoluzione tecnica rispetto ad una minaccia, non avrebbe contribuito alla qualità di uno spazio importante e flessibile, negando il potenziale valore di paesaggio inscritto in quel luogo. Questa esperienza, insieme al progetto RIVER+CITY+LIFE a Toronto dello studio Stoss Landscape Urbanism, (figura 3) in cui il problema delle inondazioni viene risolto attraverso uno straordinario progetto di suolo, che lascia la possibilità al livello delle acque di espandersi disegnando nuove configurazioni, hanno prodotto degli “spazi di continua attesa”, perché proprio l’evento ne potrà modificare l’aspetto, probabilmente l’uso. Ma sicuramente, è l’attesa di una mutazione che non fa paura, capace di dare nuovo senso al luogo. In questo modo la paura del rischio diventa in positivo, tema progettuale, lo spazio diventa una funzione del tempo e il tempo diventa la vera misura/dimensione dello spazio: una dimensione stratificata, dove le cose coincidono e non, tra “ordine e imprevisto”, tra spazio inerte e muto, e nuovo paesaggio; spazi a più velocità perché in essi più tempi della città si sovrappongono, si susseguono, anche annullandosi, risignificandoli ogni volta in maniera nuova. L’introduzione del tema della flessibilità, fa del progetto una struttura aperta, disposta a cambiare nel tempo: la mutazione, tra espansione e riduzione, si materializza, si fa spazio, funzione, offrendo la possibilità di “lasciare aperto quel lungo attimo in cui nasce la regola”, almeno fino a farsi presente e futuro della scelta progettuale. E poi, nel progetto della città ad_ATTIVA che qui si propone, un’attenzione particolare va posta in merito alla qualità micro-climatica negli spazi aperti e nel costruito, quindi da realizzare a diverse scale, quella urbana, di quartiere e del singolo manufatto. La città necessita di interventi che instaurino con l’ambiente e con il clima un rapporto scambievole, e questo si traduce sia nella necessità di adattarsi alle nuove condizioni climatiche, ma anche nella necessità di ridurre tutto ciò che contribuisce alla formazione di un clima locale poco confortevole. Siamo lontani, anzi, ci poniamo in contrapposizione alla città del ‘900, inerte, statica e incapace di reagire alle sollecitazioni. La città che si prefigura e verso la quale bisognerà tendere, è una città sensibile, che sappia attutire gli impatti e ridurre le proprie responsabilità, anticipando il più possibile il cambiamento; trasformando il suo apporto “attivo-negativo”, in “attivo-positivo”. E questo dovrà avvenire in maniera necessariamente complessa, affidando agli spazi aperti un ruolo più importante, non solo come sistema di attraversamento e di distribuzione, ma come trama, telaio e valvola di sfogo, attraverso cui la città possa respirare, influenzando il clima e regolandolo consapevolmente tra i tessuti. Analogamente, l’architettura del costruito, quella dei tessuti più o meno densi, dovrà anch’essa attivarsi, tendendo ad un’edilizia sostenibile, non solo realizzando e mettendo in valore un più intimo rapporto con il clima sfruttandone gli apporti benefici in termini di esposizione e soleggiamento, ma che possa ridurre il suo peso sulla città, fino alle estreme conseguenze, proiettandosi in una visione di produzione energetica attiva, espressione processuale e architettonica dell’integrazione tra adattamento e mitigazione.
Michele Manigrasso
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Verso la CITTA' ad_ATTIVA. Rispondere ai cambiamenti climatici attraverso una nuova concezione del tempo nei processi e negli esiti progettuali.
Figura 1. Vista del quartiere Augustenborg a Malmรถ ed in primo piano il sistema di canalizzazione e di raccolta delle acque, realizzato per adattare il luogo all'aumento della frequenza delle piogge intense e del rischio allagamento.
Figura 2. Immagini del progetto di riqualificazione del lungofiume ad Anversa, a cura dello studio PROAP. Il nuovo sistema topografico disegna percorsi, piattaforme e luoghi di sosta: tiene insieme gli elementi eterogenei con cui si confronta, e si adatta alle possibili esondazioni.
Figura 3. Progetto RIVER+CITY+LIFE a Toronto dello studio Stoss Landscape Urbanism. Il rischio inondazione viene risolto attraverso una nuova morfologia del suolo.
Michele Manigrasso
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Verso la CITTA' ad_ATTIVA. Rispondere ai cambiamenti climatici attraverso una nuova concezione del tempo nei processi e negli esiti progettuali.
Bibliografia Libri AA.VV (2008), La città oltre la forma, Di Baio Editore, Milano. Bossi P. et al. (a cura di, 2010), La città e il tempo: interpretazione e azione, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna. Desvigne M., Tiberghien G.A. (2009), Nature Intermédiaires. Les paysage de Michel Desvigne, Birkhaüser Springer. Mostafavi M., (2010). Ecological Urbanism, Harvard, Lars Muller Publishers. Owens S.E., Cowell R. (2002), Land and Limits, London, Routledge. Panarelli G., (2008), Adaptable tecnologies, Milano, Franco Angeli Editore. Tucci F. (2008), Tecnologia e natura. Gli insegnamenti del mondo naturale per il progetto dell’architettura bioclimatica, Milano, Alinea Editrice. Vatterini L. (2005), Città sostenibile e spazi aperti, Bologna, Pitagora Editrice.
Riconoscimenti Desidero ringraziare Alberto Clementi, Carmen Andriani ed Edoardo Zanchini per avermi seguito, indirizzato e dato fiducia, durante l'esperienza di ricerca di dottorato, da cui è stato estratto questo contributo.
Michele Manigrasso
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Un approccio per la definizione di uno strumento di smart planning finalizzato all'integrazione dell'efficienza nella trasformazione della città
Un approccio per la definizione di uno strumento di smart planning finalizzato all'integrazione dell'efficienza energetica nella trasformazione della città. Stefano Pili Università di Cagliari Dipartimento Ingegneria civile, ambientale e architettura Email: stefano.pili@unica.it Tel. 070.675 5371 Stefania Sini Università di Cagliari Dipartimento Ingegneria civile, ambientale e architettura (finanziata dal Programma "Master & Back", Regione Sardegna) Email: stefaniasini@unica.it Tel. 070.675 5371 Emanuela Abis Università di Cagliari Dipartimento Ingegneria civile, ambientale e architettura Email: emabis@unica.it Tel. 070.675 5372
Abstract Il contributo contiene i primi risultati di una ricerca che ha lo scopo di costruire una metodologia per la definizione di piani o programmi capaci di mettere a sistema il paradigma energetico con le istanze di tutela dei paesaggi urbani, con la ridotta disponibilità di risorse finanziare delle amministrazioni e dei cittadini, e con normative edilizie non sempre adeguate alle nuove esigenze. Si propone l'implementazione di una piattaforma di raccolta ed elaborazione dati provenienti da fonti istituzionali e con modalità di acquisizione partecipate. Lo strumento consiste in un insieme di interfacce dinamiche disegnate per rispondere alle esigenze delle tipologie di attori coinvolti nei processi di trasformazione della città e promuovere stili di consumo energetico consapevoli. Si aprono quindi prospettive di ricerca che interessano lo sviluppo di modelli insediativi basati su sistemi energetici decentralizzati integrati nel tessuto urbano esistente e di strumenti per la rappresentazione e diffusione dell'informazione sulle tematiche del risparmio energetico.
Inquadramento teorico Sebbene il rapido sviluppo delle tecnologie permetta di realizzare edifici a consumo quasi zero il trend totale delle emissioni del settore continua ad aumentare trascinato dalla continua costruzione di nuove volumetrie, dall'inefficienza di un immenso patrimonio edificato caratterizzato da forte vetustà1 e da stili di consumo sempre più alti. Il perseguimento degli obiettivi comunitari (20-20-20 target) non potrà avvenire solo attraverso i nuovi modelli insediativi limitati alla costruzione ex novo di complessi residenziali e non, ma è necessario definire 1
La prima legge sulla efficienza energetica degli edifici è la n. 373/1976, ma per quanto introducesse alcuni concetti moderni ancora utilizzati, per avere delle prescrizioni efficaci si dovrà attendere la legge n. 10/1991. In Italia circa il 93% degli edifici è stato costruito prima del 1991 (ISTAT 2001, http://dawinci.istat.it/MD/)
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strategie e strumenti capaci di favorire la riqualificazione energetica, funzionale ed architettonica dell'esistente responsabile della maggioranza dei consumi. La riqualificazione energetica degli edifici esistenti non è solo una attività tecnica volta alla massimizzazione della efficienza energetica ma coinvolge decisori, tecnici e cittadinanza in un processo complesso volto alla riqualificazione sostenibile degli edifici e, in senso lato, della città. L'Unione europea promuove questo approccio tramite programmi ed iniziative volti alla ricerca e sperimentazione di metodologie e strumenti per la promozione della riqualificazione sostenibile del patrimonio edificato focalizzati su aspetti diversi del fenomeno (SAVE, EASY, Covenant of Mayors). Il processo di riqualificazione sia che si tratti di un solo edificio che di un quartiere o una città, si articola in quattro steps concettuali (Mickaitytè, Zavadskas, Kaklauskas, Tupënaitë, 2008): il recupero delle informazioni di partenza circa le tecnologie disponibili e le condizioni dello stato attuale, la strutturazione del processo decisionale con la scelta dei criteri da prendere in considerazione e degli attori da coinvolgere, la definizione delle soluzioni progettuali in base ai criteri selezionati ed infine l'attuazione delle stesse tramite programmi, politiche o nel caso del singolo edificio progetti. All'aumentare della scala cresce la complessità del processo poiché l'entrano in gioco una molteplicità di attori più meno forti nel processo decisionale e con la sempre più limitata conoscenza delle condizioni iniziali del sistema e degli effetti che l'azione di piano può generare in esso. Gli strumenti europei sottolineano la necessità di instaurare un processo partecipato di costruzione della conoscenza che coinvolga decisori, tecnici e cittadinanza. L'amministrazione locale assume l'importante ruolo di promotore e gestore del processo ma il fattore chiave è giocato dalla cittadinanza che ricopre il duplice ruolo di essere depositaria della conoscenza esperta riguardo alle caratteristiche del sistema, preziose per la definizione e valutazione delle azioni del programma, e di principale destinataria della politica in quanto occupante degli edifici ed utente dei servizi energetici (Manfren, Caputo, Costa, 2011). In questo contributo si propone il disegno di un sistema informativo strutturato come un servizio di Energy Accountability (Bigi, 2008) che integra le informazioni degli archivi informatizzati pubblici con i dati provenienti da sensori e dalla conoscenza esperta. Tramite interfacce di rappresentazione si può creare un processo continuo di sintesi della conoscenza condivisa finalizzata alla progettazione, al monitoraggio e alla valutazione di politiche e piani di riqualificazione energetica della città.
Metodologie per la costruzione della conoscenza Il limite maggiore consiste nella possibilità di definire le condizioni di partenza dello Stato Attuale in base alle caratteristiche della domanda energetica nelle sue componenti fisiche ed immateriali. I consumi energetici del singolo edificio e quelli alla scala urbana sono il risultato di diversi fattori fisici come la geometria degli edifici i materiali, gli impianti; e di natura aleatoria quali il comportamento umano ed, in una qualche misura, il clima (Tabella I). L’esplicitazione dell'influenza dei diversi fattori è di primario interesse per la definizione mirata delle azioni rivolte alla parte fisica della città e per il progetto di efficaci campagne di educazione e sensibilizzazione della cittadinanza. Le normative tecniche europee (ISO EN 13790: 2008) e quelle nazionali (UNI 11300) propongono una metodologia standard per la valutazione delle prestazioni del singolo edificio in modo da ottenere risultati confrontabili in contesti diversi. In questo caso i dati fisici del problema sono pressoché tutti noti e il comportamento umano è valutato attraverso assunzioni standard. Alla scala urbana la complessità dei dati di partenza ha portato a definire approcci semplificati in base alle informazioni disponibili ed allo scopo per il quale questi sono destinati (Swan, Urgursal, 2009). Le caratteristiche fisico-geometriche degli edifici possono essere dedotte in maniera semplificata dalla cartografia vettoriale disponibile (Pili, Abis, 2012) e con assunzioni basate sulla tipologia edilizia e l'anno di costruzione (Dall'O', Galante, Torri, 2012). I limiti derivanti dal livello di dettaglio della cartografia e dall'eventuale necessità di aggiornamento potranno essere superati attraverso la diffusione di metodi di rilievo topografico come il LIDAR e il telerilevamento capaci di un rilievo dettagliato delle geometrie degli edifici a costi che diverranno sempre più accessibili (EnergyWeb Feltre). La progressiva integrazione tra i data base delle Pubbliche Amministrazioni (PA) e gli enti gestori dei servizi energetici (come dimostrano i casi di Modena, Padova e Feltre) permetterà di monitorare in tempo reale, e con precisi riferimenti spaziali, i consumi energetici e di integrarli con informazioni su impianti, occupanti ed edifici. Grazie alla diminuzione dei costi degli strumenti per la sensoristica, si sta assistendo alla loro diffusione nel campo delle problematiche ambientali e territoriali e ciò permetterà di avere accesso ad una grande quantità di dati dinamici, potenzialmente interrogabili in tempo reale (Bianchin, Dalla Costa, Rizzi, Rumor, 2010). I sensori possono fare parte di reti, più o meno estese, che rendono disponibili i dati rilevati per successive elaborazioni ed integrazioni con informazioni di altra origine. La ricerca “Energy Web Feltre” integra il rilievo LIDAR con le tecniche di termografia degli edifici per avere informazioni circa le caratteristiche fisiche degli involucri e ricava poi gli andamenti dei consumi dal monitoraggio continuo di un campione rappresentativo di edifici. Bianchin et
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al. (2011) propone una ricerca volta alla implementazione di una piattaforma tecnologica per acquisire, elaborare e pubblicare dati sulle prestazioni energetiche e sui parametri ambientali relativi al patrimonio edilizio delle PA. La strutturazione di un servizio di condivisione dei dati è quindi un elemento cruciale per influire in modo significativo sulla valutazione dei consumi energetici. Esso deve quindi fondarsi su un'interfaccia capace di dialogare attivamente con tutti gli attori coinvolti e quindi di trasmettere la conoscenza necessaria affinché questi possano agire responsabilmente. Il sistema dell'eco-feedback può essere utilizzato per condividere le informazioni: è composto da una infrastruttura diffusa di sensori che rilevano i dati sui consumi energetici all'interno degli edifici e trasmettono le informazioni agli occupanti. Esso agisce sui comportamenti e sulle abitudini degli utenti modificandoli attraverso il ricorso a strumenti differenti che migliorano le prestazioni a livello locale, ma che incidono sul funzionamento generale del sistema energetico. In letteratura sono state evidenziate le componenti principali da tenere in considerazione per disegnare le interfacce con l'utente: serie storica dei consumi, confronto con i consumi standard, articolazione dei consumi nelle diverse attività a cui sono associati, incentivi (Karjalainen, 2011) e sistemi di premi e penalità (Jacucci, Spagnolli, Gamberini, Chalambalakis, Björksog, Bertoncini , 2009). Di seguito sono descritte le caratteristiche (Jain, Taylor, Peschiera, 2011): 1. serie storica dei consumi: permette agli utenti di osservare il consumo attuale e di confrontarlo con quello relativo a differenti periodi temporali (24h, ultima settimana o mese) sviluppando la riflessione sui comportamenti a cui possono essere associate differenze positive o negative nei consumi; 2. confronto con i consumi standard: contestualizza i risultati espressi dai consumi attuali e storici all'interno di un quadro di consumi e comportamenti standard, stimolando l'utente ad uniformare i propri consumi con quelli di utenze simili; 3. articolazione dei consumi nelle diverse attività a cui sono associati: consente la lettura dei consumi aggregati secondo le attività a cui sono associati; tale componente aumenta le possibilità degli utenti di effettuare scelte informate, relazionando in maniera specifica i comportamenti con i consumi; 4. sistemi di premi e penalità: offrono la possibilità di acquisire o perdere "crediti" qualora siano attuati comportamenti di risparmio o, al contrario, di spreco energetico; l'uso di questa componente è associata al problema del picco dei consumi; 5. incentivi: sono un sistema collaterale a quello dei premi e della penalità, e si basano sull'incentivazione all'accumulo di premi o crediti affinché si realizzino condizioni vantaggiose per l'utente oppure si possono attivare tecniche di gioco. Tabella I. Fattori che incidono sul consumo energetico Parametri del fabbisogno energetico Guadagno di calore per irraggiamento solare diretto e riflesso
Perdita di calore per trasmissione attraverso l'involucro Perdita di calore per ventilazione Guadagno di calore per attività interne Consumi Consumo energetico per la climatizzazione estiva ed invernale Consumo energetico per ACS Consumo energetico per illuminazione ed altre apparecchiature
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Fattori Clima: irraggiamento solare Contesto: geometria degli edifici Comportamento umano: uso delle schermature mobili Edificio: caratteristiche fisico-geometriche dell'involucro (finestre) Edificio: caratteristiche fisico-geometriche dell'involucro Contesto: geometria degli edifici Clima: temperature esterne Comportamento umano: apertura finestre, regolazione impianti Impianti: caratteristiche degli impianti di ventilazione forzata Comportamento umano: profilo delle attività svolte, n° di occupanti Impianti: sistema di illuminazione, apparecchiature presenti Oltre ai Guadagni e perdite di calore definiti precedentemente: Comportamento umano: regolazione impianti Impianti: caratteristiche degli impianti di riscaldamento Comportamento umano: regolazione impianti, consumo di ACS Impianti: caratteristiche degli impianti di produzione di ACS Comportamento umano: profilo delle attività svolte, n. di occupanti Impianti: sistema di illuminazione, apparecchiature presenti
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Il concept della metodologia Lo strumento si configura come un portale Web che raccoglie interfacce specifiche per ogni tipologia di attore grazie al quale sia possibile instaurare un flusso di informazioni tra la cittadinanza e la PA finalizzato alla definizione di programmi e politiche di riqualificazione. La metodologia si articola in due fasi concettualmente consequenziali ma che devono essere viste in maniera processuale (Figura 1). La prima riguarda la costruzione del modello dello Stato Attuale che sarà ricavato dalla integrazione su base spaziale di due modelli di estrazione bottom-up per la determinazione della domanda e del fabbisogno energetico del patrimonio edificato: uno di natura analitico-ingegneristico (Swan et al., 2009) e l'altro di natura statistica basato sui dati degli usi finali. Esistono numerose esperienze internazionali (Swan, 2009) e nazionali (Dalla Costa, 2011; Pili, Abis 2012; Fabbri, Zuppiroli, 2011; Barelli, Boschi, Doglione, Biasiol, 2011; Fracastoro, Serraino, 2011) che strutturano modelli di accuratezza variabile, ma nella convinzione che la precisa articolazione del modello dipenda fortemente dagli scopi specifici e dati disponibili nell'ambito di studio (Swan, et al. 2009) la si rimanda ad una successiva applicazione reale. La seconda, elaborando le informazioni presenti nel modello dello Stato Attuale, genera meccanismi di feedback tra i diversi attori del processo che permettono di implementare iterativamente la conoscenza dello Stato Attuale con informazioni esperte di varia natura. Tramite apposite interfacce Web gli attori possono sia formare la propria conoscenza del fenomeno, in maniera specifica per i propri interessi ed estrazione culturale, che contribuire ad implementare lo Stato Attuale con il loro bagaglio esperto (De Santoli, Moncada Lo Giudice, 2003). Lo Stato Attuale, implementato anche con informazioni di natura qualitativa riguardo le preferenze e le abitudini dei cittadini, è la base per la definizione di una interfaccia per la PA capace di supportare i processi di definizione e valutazione di piani e programmi (Figura 1).
Figura 1. Framework della metodologia
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Il modello dello Stato Attuale Fase 1: struttura del modello dello Stato Attuale Il modello analitico è il primo step della metodologia costituendo la base su cui integrare i dati sui consumi reali e le altre informazioni qualitative fornite dagli utenti. Il modello degli usi finali si basa sulle informazioni sui consumi fornite direttamente dai residenti e dalle società municipalizzate erogatrici di servizi energetici. Questo modello è costantemente implementato con i dati dei consumi a cadenza settimanale, mensile o bimestrale; perciò, mentre il primo modello analitico è utile soprattutto per la valutazione ex ante di politiche e piani, questo è il principale strumento per effettuare il monitoraggio della loro efficacia in itinere ed ex post. Grazie alla georeferenziazione delle utenze le società di servizi possono fornire con continuità dati precisi circa i consumi di gas naturale o metano utilizzato per il riscaldamento ed ACS. Anche i dati delle vendite delle società private locali di distribuzione di combustibili possono essere integrate nel data base, ma ciò dipende molto dalla loro disponibilità alla cooperazione e dai sistemi informatici che possiedono. I consumi di energia elettrica e di altri combustibili (GPL, Gasolio, Legna, Pellet) possono essere forniti direttamente dagli occupanti in base alle letture del contatore e dei costi sostenuti, oppure possono prevedersi sistemi automatizzati di contabilità capaci di dialogare attraverso la rete.
Fase 2: implementazione dello Stato Attuale con la partecipazione degli stakeholders Lo stato attuale consiste in un data base geografico che contiene per ogni edificio alcuni parametri di efficienza energetica, calcolati tramite un procedimento analitico (Pili, Abis 2012), e la serie storica dei consumi reali (Dalla Costa, 2011). Utilizzando questa base informativa si possono effettuare sintesi ed elaborazioni a diverse scale e con livelli di accuratezza funzionali ai diversi attori coinvolti. Si possono identificare tre principali gruppi di interesse forte per i quali sono necessarie interfacce e strumenti sviluppate in maniera specifica: i cittadini proprietari di immobili che per comodità identificheremo come gli occupanti, i decisori facenti capo alle PA, le imprese del settore delle costruzioni. A questi possono aggiungersi altri gruppi che, pur non essendo economicamente coinvolti nel processo di riqualificazione sostenibile degli immobili, fanno parte del processo decisionale delle politiche urbane: gli osservatori occasionali, i gruppi di interesse organizzati (associazioni ambientaliste, comitati di quartiere) e le società erogatrici dei servizi energetici (Tabella II) Effettuando una semplice registrazione il sito permetterà la sola consultazione dei dati fornendo informazioni con mappe e grafici della domanda energetica, del fabbisogno e dei consumi in maniera aggregata per quartiere consentendo la possibilità di scaricare relazioni di sintesi dati ed approfondimenti teorici (Tabella II). Il ruolo centrale è svolto dagli occupanti che possono accedere ad una specifica versione della interfaccia tramite la compilazione di una scheda profilo con i dati necessari al calcolo analitico (informazioni sull'involucro, impianti e consumi), informazioni sulle attività specifiche e questionari di soddisfazione (De Santoli, Moncada Lo Giudice, 2003) . Lo strumento favorisce l'incontro tra domanda e offerta nel settore delle costruzioni: le imprese forniscono informazioni sulle loro attività ed i prezzi medi di alcuni servizi e per contro potranno accedere, previa richiesta dei proprietari, ad una scheda tecnica dell'edificio in modo da effettuare offerte commerciali più circostanziate e indirizzare i propri investimenti secondo le esigenze del mercato.
Conclusioni e prospettive della ricerca Il contribuito definisce una piattaforma per la gestione della riqualificazione sostenibile del patrimonio edificato proponendo uno strumento di smart planning che si basa su due elementi principali: gli apparati tecnologici e la governance partecipativa. Il primo elemento è costituito da un sistema pervasivo di informazione e comunicazione nello spazio urbano; il secondo consiste nella trama di strategie e azioni mirate allo stabilirsi di poteri amministrativi, istituzionali e gestionali allargati e decentrati (De Pascali, 2012). Questi ultimi coinvolgono attivamente i cittadini nel raggiungimento degli obiettivi di piano che si realizza attraverso la condivisione della conoscenza, veicolo fondamentale con cui modificare i comportamenti, e con la creazione di sistemi di co - gestione in cui l'utente non si limita alla fruizione di un servizio, ma diventa un nodo importante all'interno dei processi economici e di gestione delle risorse energetiche. I primi risultati della ricerca possono sin d'ora aprire differenti prospettive di applicazione per sperimentare e validare la reale efficacia della piattaforma ai fini della costruzione di processi di riqualificazione sostenibile. Lo studio è indirizzato alla progettazione dell'interfaccia di comunicazione e allo sviluppo della strumentazione di rilevamento che comprende sensori, dispositivi di comunicazione e le reti intelligenti dei servizi energetici. Questi sono gli elementi cardine che, integrandosi alle infrastrutture energetiche, possono generare un sistema di
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conoscenza e interazione che può significativamente contribuire nella produzione di processi intelligenti di riqualificazione energetica della città. Tabella II. Attori coinvolti nell'implementazione del modello dello Stato Attuale Attore
Interesse
Contenuto
Osservatori occasionali
informazione , interesse personale al tema
informazioni generali: tipologia di immobili, consumi medi per area della città, statistiche.
Gruppi di interesse organizzati
informazioni generali: tipologia di immobili, informazione orientata alla partecipazione consumi medi per area della città, statistiche con ai processi di piano informazioni anche tecniche Accesso a statistiche ed informazioni generali
Occupanti
monitorare i propri consumi (istantanei e di lungo periodo); monitorare i propri costi; sapere se i consumi o i costi sono anomali; conoscere cosa fare per migliorare il confort interno (soluzioni tecniche e consigli); conoscere cosa fare per diminuire i propri consumi (soluzioni tecniche e consigli); uso delle energie rinnovabili;
Grafici e schemi per visualizzare l'andamento dei propri consumi reali (su base mensile, stagionale, archivio). Visualizzazione di consumo in kWh, unità di combustibile, CO2 emessa, spesa. Grafici e schemi per confrontare il proprio andamento dei consumi con un trend di riferimento teorico (calcolato analiticamente) e mediato su edifici simili Contenuti informativi circa le soluzioni tecniche possibili per il risparmio energetico e l'uso di FER Contenuti informativi circa i consigli comportamentali per il risparmio energetico Modulo per la richiesta di consulenza ad imprese e studi tecnici Accesso a statistiche ed informazioni generali
Imprese
Agenzie di servizi energetici comunali
Pianificatori comunali
Su invito dei proprietari accesso ad una scheda tecnica dell'edificio che ne riporta le caratteristiche vendita dei propri servizi salienti: struttura, impianti, consumi, tipo e numero informazione , interesse personale al tema di abitanti. Modulo per l'invio di preventivi, studi di fattibilità, ed offerte commerciali ai residenti che avessero accettato il servizio Accesso a statistiche ed informazioni generali miglioramento del servizio reso, pianificazione della gestione del servizio Possibilità di fornire consigli comportamentali e di informazione , interesse personale al tema comunicare con gli utenti del servizio Accesso ad informazioni generali e statistiche sulle caratteristiche degli immobili, degli utenti, dei consumi ed in particolare: pianificazione delle trasformazioni urbane mappe e documenti di sintesi utili alla lettura del finalizzate al miglioramento fenomeno integrata con altri tematismi di dell'efficienza energetica e più in generale pianificazione urbana; allo sviluppo sostenibile; strumenti per la generazione di alternative progettuali e la loro valutazione comparata circa informazione , interesse al tema parametri ambientali/economici; Strumenti per la facilitazione della partecipazione attiva della cittadinanza nella definizione e valutazione delle alternative progettuali
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Un approccio per la definizione di uno strumento di smart planning finalizzato all'integrazione dell'efficienza nella trasformazione della città
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Stefano Pili, Stefania Sini, Emanuela Abis
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Politiche per il governo delle acque meteoriche urbane nell’Unione europea
Politiche per il governo delle acque meteoriche urbane nell’Unione Europea Cinzia Langella Università Federico II di Napoli Dipartimento di Progettazione Urbana e Urbanistica Email: cinzia.langella@unina.it Tel/fax 081.7875530
Abstract L’elaborato si colloca nel campo internazionalmente noto come SUD, sustainable urban drainage, e tratta in particolare l’argomento della governance delle acque meteoriche attraverso politiche specifiche o inserite in contesti normativi più generali. Nel primo paragrafo si delinea il tema inquadrandolo nel più vasto problema della tutela dell’ambiente alla luce dei cambiamenti climatici. Nel secondo paragrafo, mediante la ricognizione dei principali documenti europei sull’argomento, si descrive l’evoluzione delle politiche verso un approccio integrato alla gestione delle acque, mentre nel terzo e nel quarto paragrafo si analizzano rispettivamente il quadro normativo italiano e si accenna a buone pratiche indirizzate da norme e politiche a differenti scale di governo in alcuni paesi dell’UE. Nella conclusione l’auspicio per strumenti normativi e politiche più incisive.
Inquadramento Lo stato delle acque è uno dei fattori determinanti della qualità della vita urbana e gli elementi costituenti il ciclo dell’acqua urbana - acque piovane, reflue e potabili - strettamente collegati, sono sempre più al centro delle politiche ambientali europee e nazionali. La crescita incontrollata di molte città contemporanee ha determinato un incremento della domanda di fornitura idrica mentre le risorse di acqua potabile appaiono sempre più scarse; allo stesso tempo i cambiamenti climatici provocano un aumento del rischio idraulico, che dipende sia dalla localizzazione di aree urbanizzate in luoghi non idonei che dalla incapacità di adottare adeguati sistemi di prevenzione, anche attraverso una corretta la gestione delle acque meteoriche. La cattiva gestione del deflusso delle acque meteoriche ne provoca il ruscellamento sulle superfici impermeabili, con la conseguente raccolta di inquinanti che poi finiscono nei corpi idrici superficiali e profondi. Il deflusso veloce delle acque piovane impedisce anche il corretto funzionamento del sistema fognario ed è inoltre un fattore determinante nelle inondazioni, provocando, allo stesso tempo, fenomeni di erosione nelle aree naturali, con la conseguente distruzione di habitat. Le soluzioni tradizionali di drenaggio, che prevedevano l’allontanamento delle acque di pioggia attraverso condutture, hanno spesso finito solo col trasferire i problemi più a valle, con un aumento del rischio e con lo spreco di preziose risorse idriche. Nella gestione delle acque piovane solo grazie alle recenti acquisizioni - che considerano le acque meteoriche una risorsa - all’approccio tradizionale si stanno sostituendo politiche che prevedono la depurazione delle acque di prima pioggia con sistemi naturali e il successivo riuso o la loro dispersione nel suolo in modo da farle confluire nei corsi d'acqua e nelle falde, ai fini della contribuzione all'approvvigionamento idrico e al mantenimento dell’equilibrio idrico e della biodiversità anche in ambito urbano. Se di recente la gestione delle acque meteoriche è stata coniugata con i criteri della sostenibilità ambientale lo si deve principalmente all’applicazione del concetto di invarianza idraulica, il quale sancisce che la portata al colmo di piena risultante dal drenaggio di un’area debba essere costante prima e dopo la trasformazione dell’uso del suolo in quell’area. Questo si è tradotto nel passaggio da una gestione basata sulle sole opere di regimentazione idraulica tradizionali ad assetti che impiegano le capacità autodepurative dell’acqua, anche Cinzia Langella
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attraverso l’uso di tecniche di fitodepurazione, per il riutilizzo diretto non potabile o l’infiltrazione nel suolo ai fini della ricarica delle falde e del rallentamento dei deflussi superficiali. Le varie esperienze consolidate di approccio olistico e multidisciplinare al tema delle acque, mediante il ricorso a politiche integrate per le acque meteoriche, potabili e reflue, con l’attuazione di pratiche uniformate per intere regioni, hanno dato luogo a significativi miglioramenti della qualità delle acque e ad interessanti soluzioni formali, soprattutto in molte nazioni extraeuropee, sensibili da più tempo a queste tematiche anche a causa di condizioni climatiche particolarmente avverse. Queste esperienze hanno anche dimostrato che l’utilizzo di tecniche alternative può ridurre i costi rispetto alla realizzazione delle tradizionali reti di smaltimento delle acque bianche e contribuisce a proteggere l’ambiente da dissesti idrogeologici. In particolare, il processo di gestione delle acque piovane degli Stati Uniti è guidato dalla Environmental Protection Agency (EPA) e analoghe agenzie governative presiedono in alcune regioni australiane e neozelandesi allo sviluppo di politiche per una accorta gestione delle meteoriche, integrandole nella più vasta tematica ambientale. Tali agenzie producono le linee guida utilizzate dalle comunità locali per attuare efficaci politiche e corrette procedure dirette a portare le aree urbanizzate ad un equilibrio idrico quanto più vicino possibile a quello del sistema naturale preesistente. In generale il successo delle iniziative condotte con il contributo delle agenzie si basa non solo sulle attività di regolamentazione e monitoraggio degli organismi sovra locali, ma anche - in misura maggiore o minore a seconda dei casi - sulla sperimentazione, la ricerca, la sensibilizzazione, l’informazione, l’incentivazione economica, la partecipazione degli utenti e l’accompagnamento tecnico e amministrativo, anche mediante la produzione di una ricca manualistica.
Le politiche europee Mentre le agenzie precedentemente citate sono concepite come organismi a supporto del raggiungimento di obiettivi pratici da parte delle comunità locali, l'Agenzia europea dell'ambiente (AEA) è maggiormente indirizzata alla produzione di studi e ricerche. Sebbene il rapporto “Verso l'uso efficiente delle risorse idriche in Europa” del marzo 2012 metta in primo piano la necessità di una gestione integrata delle acque, a partire da una migliore applicazione della legislazione esistente, dallo stesso documento si evince che l’UE dedica alle meteoriche un’attenzione residuale. Esso è infatti orientato principalmente alla riduzione degli sprechi e in generale non affronta la questione dell’acqua in maniera integrata tra le tre tipologie (meteoriche, reflue e potabili) e con le altre tematiche ambientali. Oltre all’assenza di un organismo unico in grado di organizzare e ottimizzare le politiche locali per la corretta gestione delle acque piovane, a livello europeo non troviamo nemmeno atti specifici sul tema, anche se esistono diversi documenti che investono - più o meno da vicino e con maggiore o minore cogenza normativa - questo argomento, a partire dalla Carta europea dell’acqua. Questa dichiarazione, di straordinaria portata anticipatrice, venne redatta dal “Comitato europeo per la salvaguardia della natura e delle sue risorse” e promulgata a Strasburgo il 6 Maggio 1968 dal Consiglio d'Europa. Nei dodici punti che la costituiscono si affermano concetti fondamentali che influenzeranno tutta la successiva produzione legislativa: non c'è vita senza acqua; le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili; alterare la qualità dell'acqua significa nuocere alla vita dell'uomo e degli altri esseri viventi che da lui dipendono; la qualità dell'acqua deve essere mantenuta in modo da poter soddisfare le esigenze delle utilizzazioni previste, specialmente per i bisogni della salute pubblica; quando l'acqua, dopo essere stata utilizzata, viene restituita all'ambiente naturale, deve essere in condizioni da non compromettere i possibili usi dell'ambiente, sia pubblici che privati; la conservazione di una copertura vegetale appropriata, di preferenza forestale, è essenziale per la conservazione delle risorse idriche; le risorse idriche devono formare oggetto di inventario; la buona gestione dell'acqua deve formare oggetto di piani stabiliti dalle autorità competenti; la salvaguardia dell'acqua implica uno sforzo importante di ricerca scientifica, di formazione di specialisti e di informazione pubblica; l'acqua è un patrimonio comune, il cui valore deve essere riconosciuto da tutti e ciascuno ha il dovere di economizzarla e di utilizzarla con cura; la gestione delle risorse idriche dovrebbe essere inquadrata nel bacino naturale piuttosto che entro frontiere amministrative e politiche; l'acqua non ha frontiere. La Comunità Economica Europea ha tuttavia prodotto il suo primo importante strumento normativo diversi anni più tardi, emanando la Direttiva 76/464/CEE, ancora vigente, che tratta di inquinamento da sostanze pericolose in ambiente idrico e obbliga gli stati membri a contrastare l'inquinamento delle acque, in base a due elenchi: uno di sostanze da eliminare ed un altro di sostanze da ridurre, tenendo conto della tossicità, persistenza e bioaccumulazione, individuando limiti qualitativi e quantitativi. Il corpus di norme europee sul tema idrico si è arricchito in seguito della Direttiva 91/271/CE sulla raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane e di alcuni tipi di acque industriali, che mirava ad armonizzare a livello comunitario le misure relative al trattamento di tali acque, responsabili, per il loro volume, del fenomeno dell’eutrofizzazione, e assimilava le Cinzia Langella
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acque meteoriche di dilavamento alle acque reflue. Sul versante tecnico, il 1997 ha visto la nascita della norma UNI EN 752 su “concessioni di scarico e collettori di fognatura all’esterno degli edifici” che, in alcune sue parti, accennava a criteri per determinare la frequenza delle precipitazioni e dati utili per il dimensionamento delle reti di smaltimento, concepite all’epoca come sistemi di tubazioni per allontanare il più rapidamente possibile le acque meteoriche in aree distanti dalle zone urbane. La norma più importante in materia di acque, anche se non specificamente per le meteoriche, è la Direttiva 2000/60/CE che, con l’obiettivo generale di raggiungere un buono stato ecologico e chimico di tutte le acque comunitarie entro il 2015, istituisce un quadro per l'azione comunitaria perseguendo molteplici obiettivi specifici, quali la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento, la promozione di un utilizzo sostenibile dell’acqua, la protezione dell'ambiente, il miglioramento delle condizioni degli ecosistemi acquatici e la mitigazione degli effetti delle inondazioni e della siccità. La direttiva quadro prevede l'individuazione e l’analisi di tutte le acque europee, classificate per bacino e per distretto idrografico di appartenenza, nonché l' adozione di piani di gestione e di programmi di misure adeguate per ciascun corpo idrico. Contro l’inquinamento ricordiamo la Direttiva 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dai nitrati provenienti da fonti agricole, conosciuta come direttiva nitrati e la Direttiva 2006/11/CE concernente l'inquinamento provocato da alcune sostanze pericolose. La direttiva è stata modificata dalla Direttiva 2008/105/CE “Standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque”, non ancora recepita a livello nazionale, che reca modifiche anche alla direttiva 2000/60/CE. Un importante contributo al tema dell’integrazione delle politiche per le acque meteoriche all’interno del quadro generale delle politiche per l’ambiente è stato fornito dal “Libro bianco sull'adattamento ai cambiamenti climatici” dell'aprile 2009. Con esso la Commissione europea ha presentato il quadro delle misure di adattamento e le politiche per ridurre la vulnerabilità dell'Unione agli impatti dei cambiamenti climatici. Il Libro bianco sottolinea la necessità "di promuovere strategie che aumentano la resilienza al cambiamento climatico della salute, dei beni e delle funzioni produttive del territorio, tra l'altro migliorando la gestione delle risorse idriche e degli ecosistemi". Nell'ambito delle azioni previste nel Libro bianco, nel dicembre 2009 è stato adottato un documento di orientamento sull'adattamento ai cambiamenti climatici nella gestione delle acque per garantire che i piani di gestione dei bacini idrografici siano a prova di clima. Come successivo passo, la Commissione ha previsto di presentare entro il 2012 un “Piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee” che, insieme con l'analisi di tutti i piani per i 110 bacini idrografici del continente, costituirà l’occasione per una revisione della strategia per combattere la carenza idrica e la vulnerabilità delle risorse idriche e ambientali al cambiamento climatico e alle pressioni artificiali. All’evoluzione delle norme contribuiscono anche numerosi programmi di ricerca dell’Unione europea, di cui il più rilevante per il caso in esame è senza dubbio SWITCH, acronimo di Sustainable Water management Improves Tomorrow's Cities'Health. L'obiettivo principale di SWITCH è trovare nuove soluzioni per aumentare l'efficienza dei sistemi idrici urbani attraverso il ripensamento vecchi paradigmi e lo sviluppo di nuove soluzioni. Nella sezione Stormwater sono attivi sei focus che forniscono la rassegna delle migliori pratiche di gestione delle acque piovane per la prevenzione del rischio e l’adattamento alle situazioni estreme, gli strumenti di supporto alle decisioni, le linee guida per lo sviluppo di mappe di gestione istituzionale delle acque meteoriche, l’individuazione di politiche integrate per il riutilizzo delle acque piovane, l’enunciazione dei principi sottesi alle buone pratiche ed un manuale di progettazione che comprende una panoramica molto esaustiva delle migliori pratiche in senso tecnologico.
Norme e soggetti responsabili del governo delle acque meteoriche in Italia In Italia dobbiamo alla Legge Merli, approvata nel 1976, la prima trattazione dell’argomento della tutela delle acque dall’inquinamento, mentre la regolamentazione delle acque meteoriche venne affrontata per prima volta da una Legge Regionale, la n°62 del 27 maggio 1985, lombarda, relativa alla “Normativa sugli insediamenti civili delle pubbliche fognature e tutela delle acque sotterranee dell'inquinamento”. In essa vennero definite per la prima volta le acque di prima pioggia come quelle corrispondenti, per ogni evento meteorico, ad una precipitazione di 5 mm uniformemente distribuita sull'intera superficie scolante servita dalla rete di drenaggio. Già con la legge n°36 del 5 gennaio 1994 - Legge Galli - l’acqua non era più considerata solo un bene ma una risorsa che andava salvaguardata. Nel successivo documento “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia” prodotto dal Ministero nell’Ambiente nel 2002 e relativo al successivo decennio, il punto 343 trattava del miglioramento delle reti e della gestione delle acque meteoriche in ambito urbano, indicando la necessità che nei nuovi insediamenti le Regioni promuovessero “la progressiva sostituzione delle reti miste Cinzia Langella
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esistenti con reti separate e la diffusione di sistemi di invaso/trattamento delle acque di prima pioggia, con funzioni anche di rinaturalizzazione dei reticoli idrografici in ambito urbano”, con la previsione a tale fine di “meccanismi di incentivo e di sostegno finanziario con risorse pubbliche” La normativa di riferimento attuale per le acque, sostitutiva della precedente varata nel 1999, è costituita dal D. Lgs. 3 aprile 2006 n°152, "Norme in materia ambientale", che affronta l’argomento nella sezione II della parte terza riguardante la “Tutela delle acque dall’inquinamento”. Per quanto riguarda le acque meteoriche, all’art. 113 “Acque di prima pioggia e di lavaggio di aree esterne” si precisa che: “Ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni, previo parere del Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio disciplinano le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate ed i casi in cui richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale autorizzazione. Le Regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari casi nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. E' comunque vietato lo scarico di acque meteoriche nelle acque sotterranee”. Le Regioni hanno già provveduto ad emanare regolamenti in materia e di numerosi compiti rispetto al tema acque meteoriche sono investite le ARPA, agenzie regionali per l’ambiente, che si occupano – per questa come in generale per aria, acqua, suolo e clima - del monitoraggio, del controllo del rispetto delle norme, del supporto tecnico-scientifico e dello sviluppo di un sistema informativo ambientale per gli enti titolari di funzioni di programmazione. Molti enti locali hanno poi integrato le norme con appositi manuali, ad esempio la Provincia Autonoma di Bolzano che ha prodotto delle esaustive “Linee guida per la gestione sostenibile delle acque meteoriche”. Nel nostro Paese, altri enti che intervengono nella gestione delle acque piovane sono le Autorità di Bacino e i Consorzi di Bonifica. Le prime, istituite con la Legge n°183 del 18 maggio 1989 - Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo - sono organismi misti, costituiti tra stato e regioni, operanti sui bacini idrografici, considerati come sistemi unitari e ambiti ottimali per le azioni di difesa del suolo e del sottosuolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico e la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi, indipendentemente dalle suddivisioni amministrative. Ad esse la legge demanda la elaborazione dei relativi Piani di Bacino, strumenti conoscitivi, normativi e tecnico-operativi mediante i quali sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche e ambientali del territorio interessato. I Consorzi di bonifica, tuttora regolati dal Regio Decreto 13 febbraio 1933 n°215, sono enti pubblici responsabili della gestione di opere pubbliche demaniali, costituiti obbligatoriamente su richiesta dei proprietari della maggior parte dei suoli del territorio di competenza, che coordinano interventi pubblici e controllano l'attività dei privati sulla bonifica con la finalità sia di rendere coltivabili i terreni mediante irrigazione, che di mettere in sicurezza i territori urbanizzati e produttivi altrimenti soggetti ad inondazioni o a dissesti idrogeologici. Tra le competenze che la legge attribuisce ai consorzi di bonifica vi è la gestione delle risorse idriche ad uso prevalentemente irriguo mentre le funzioni che riguardano la tutela e la salvaguardia dell’ambiente, con particolare riferimento alla rinaturalizzazione dei corsi d’acqua ed alla riqualificazione di aree umide ed ambienti naturali, vengono svolte in collaborazione con altri soggetti istituzionali. Da quanto esposto è evidente una eccessiva frammentazione e sovrapposizione delle competenze, con effetti deleteri sulla diffusa realizzazione di efficaci provvedimenti per la mitigazione del rischio e la corretta gestione delle acque meteoriche.
Eccellenze in altri paesi membri Nel Regno Unito, il testo di riferimento per l'approccio ai problemi connessi con il patrimonio idrico è il Water Resources Act del 1991 ma la gestione delle meteoriche è regolata da numerose leggi, compreso il recente Flood and Water Management Act del 2010. La legge introduce nell'ordinamento il concetto di “gestione del rischio di alluvione” al posto di “difesa contro le inondazioni” e incentiva, tra l’altro, l'adozione di sistemi di drenaggio sostenibile, introducendone l’obbligo per le nuove edificazioni e le riqualificazioni, eliminando il diritto automatico di connettersi alla rete fognaria. Una interessante innovazione è stata introdotta in Inghilterra e nel Galles col Code for sustainable homes, introdotto nel 2008 come standard nazionale per la progettazione sostenibile e la costruzione di nuove case. Il codice misura la sostenibilità delle abitazioni nei confronti di nove Cinzia Langella
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categorie di progettazione, tra cui il deflusso delle acque superficiali, e riconosce il valore delle tecniche di drenaggio sostenibile nell’assicurare che le capacità di drenaggio del sito rimangano invariate dopo l’urbanizzazione, incentivandone l’utilizzo attraverso una politica di crediti. Anche in Scozia un analogo approccio è stato usato per garantire che le acque meteoriche siano gestite e in modo efficace e le norme applicate in modo coerente: il Water Environment and Water Services (WEWS) Act del 2003 ha reso obbligatorio l'uso dei sistemi di drenaggio sostenibili per tutti i nuovi insediamenti, con l'adozione di un metodo partenariale che coinvolge progettisti, autorità locali, le autorità idriche, l’agenzia scozzese per la protezione ambientale, la popolazione locale e organizzazioni non governative. La Germania è sempre stata all’avanguardia nella regolamentazione delle attività urbane sostenibili, con l’emanazione da parte della ATV– DVWK (l’associazione che si occupa anche di tutti gli aspetti legati ai reflui, ai rifiuti e alla protezione dei suoli) di alcune norme molto specifiche, come la A 105 “Scelta dei sistemi di drenaggio” e la ATV-DVWK –M 153 “Raccomandazioni per il trattamento delle acque di pioggia”. Tali norme hanno permesso la realizzazione di interventi paradigmatici quali Potsdamer Platz a Berlino, considerata tra i migliori esempi europei per soluzioni tecnologiche e formali. La produzione normativa generale sulle acque è stata nazionale fino al 2006, allorquando è intervenuta una modifica costituzionale che ha reso autonome le legislazioni federali su questo argomento. Da allora, mentre per la dispersione nei suoli la Germania rimane un esempio ineludibile per la quantità e qualità di buone pratiche, per il riuso delle meteoriche attraverso progetti conformi alla norma DIN 1989-1 la situazione appare controversa a causa del conflitto di interessi tra i fornitori di acqua e le comunità, risolte generalmente attraverso decisioni dei tribunali amministrativi. Infine, il caso di Copenhagen ha reso la Danimarca, antesignana in Europa per le politiche ambientali, un paese di punta anche nella gestione delle meteoriche. Si stima che le piogge sulla capitale danese cresceranno del 3040% entro il 2100, mentre l'innalzamento del livello delle acque potrà superare i 60 cm entro il prossimo decennio. Per rispondere efficacemente all'aumento delle precipitazioni e all'innalzamento del livello del mare, per la gestione delle acque meteoriche Copenhagen ha sviluppato una specifica sezione nell'ambito del Piano climatico generale della città. Questa prevede diverse infrastrutture, tra i quali bacini di raccolta delle acque reflue e piovane, e sistemi urbani di drenaggio sostenibili in grado di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e garantire una migliore resilienza delle aree abitate. Allo scopo di rallentare il deflusso delle acque piovane si è programmato di distribuire aree permeabili ovunque, compresi piccoli giardini e tetti verdi, che potranno assorbire fino al 60% dell'acqua piovana, mentre la copertura delle facciate degli edifici attraverso vegetazione verticale contribuirà al miglioramento della qualità dell'aria e al raffrescamento, mitigando l'effetto isola di calore, e costituirà al tempo stesso un’utile prosecuzione della rete ecologica in ambito urbano.
Conclusioni La rassegna effettuata lascia intravedere l’eterogeneità delle politiche e delle norme vigenti in Europa. La mancata presenza di una cornice di riferimento a livello europeo, è aggravata in Italia dalla esistenza di troppi organismi, nessuno con piena delega sulle meteoriche, che creano da un lato sovrapposizione di competenze e dall’altro lato lasciano l’ideazione e la realizzazione di misure realmente efficaci ad iniziative episodiche. Al fine di raggiungere una gestione più corretta e coordinata delle acque di pioggia sarebbe pertanto auspicabile che l’UE, alla attività di ricerca già in atto, affiancasse la produzione di una direttiva specifica sull’argomento anche ispirandosi alle esperienze positive rintracciabili in ambito europeo ed extraeuropeo, al fine di promuovere azioni per la realizzazione in ogni stato membro di politiche specifiche per le meteoriche, integrate da misure per la sensibilizzazione degli attori locali e la più ampia diffusione delle buone pratiche ed eventualmente accompagnate da forme di incentivazione di natura economica o fiscale.
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Riconoscimenti Un sentito ringraziamento al prof. F.D. Moccia del Dipartimento di Progettazione Urbana e Urbanistica dell’Università di Napoli Federico II che mi ha indirizzata nella elaborazione del presente contributo, concepito nell’ambito della ricerca FARO “Spazi urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici”.
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Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici
Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici Francesco Domenico Moccia1 Università Federico II di Napoli Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica Email: fdmoccia@unina.it Tel. 081.2538608/fax 081.2538717 Emanuela Coppola Università Federico II di Napoli Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica Email: ecoppola@unina.it Tel. 081.2538638/fax 081.2538717
Abstract Fra gli effetti più immediati del cambiamento climatico, quello che sta impattando con più evidenza sull'assetto fisico delle città, sulla salubrità dell'ambiente urbano, sulla salute dei cittadini e sul benessere microclimatico degli spazi aperti è legato alla modificazione del ciclo delle acque. Lo studio delle problematiche legate all’acqua – dalle soluzioni progettuali per reintrodurla nell'ambiente urbano, alle possibili linee di governance per affrontarle – è diventato, dunque, fondamentale. La ricerca2 si concentra sulla pianificazione e sul disegno di spazi pubblici aperti in ambito urbano attraverso l'apporto delle discipline dell'urbanistica, della tecnologia, della composizione urbana, della valutazione e dell'ingegneria agraria, idraulica ed ambientale. In questo paper ci si definirà il consumo di suolo avvenuto tra il 1936 e il 2007 nei comuni napoletani ricadenti nel Bacino idrografico del Sarno e si descriverà come, oltre ai soliti interventi di ingegneria naturalistica previsti a compendio del PSAI, anche il disegno degli spazi pubblici può contribuire in maniera fondamentale a mitigare il rischio esondazione di un fiume.
Il territorio del Bacino del Sarno Il territorio di competenza dell'Autorità di Bacino del Sarno si estende su un'area che occupa una superficie complessiva di circa 715 kmq, con una popolazione di 1.300.635 abitanti (ISTAT 2000). Sotto l'aspetto amministrativo, l'area interessa complessivamente i territori di 61 Comuni, ricadenti nelle Province di Avellino, Napoli e Salerno. Il fiume Sarno nasce alla base del massiccio calcareo, situato tra i monti Picentini, i monti Lattari ed il gruppo del Partenio, ad una quota di m. 30 s.l.m.. Il fiume, di circa 22 km di lunghezza, raccoglie le acque di un vasto bacino imbrifero esteso per circa 600 kmq che interessa le province di Avellino, Napoli e Salerno, attraversando i comuni di Sarno (SA), Striano (NA), S. Valentino Torio (SA), Poggiomarino (NA), Boscoreale (NA), S. Marzano sul Sarno (SA), Salerno, Angri (Sa), Scafati (SA), Pompei (NA), Torre Annunziata (NA), Castellammare di Stabia (NA).
1
Sebbene il lavoro di ricerca sia comune, i § 1 e 2 sono da attribuire a Emanuela Coppola, il § 3 a Francesco Domenico Moccia. 2 La ricerca FARO coinvolge il Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica, il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali e il CIRAM- Centro Interdipartimentale per la Ricerca Ambientale dell’università Federico II di Napoli.
Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola
1
Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici
I torrenti Cavaiola e Solofrana, suoi affluenti, interessano i territori dei comuni di Pagani (SA), Nocera Superiore (SA), Nocera Inferiore (SA), Cava de' Tirreni (SA), Castel S. Giorgio (SA), Solofra (AV), Montoro Inferiore (AV), Montoro Superiore (AV), Roccapiemonte (SA), Mercato S. Severino (SA). La Legge n.183/89 ha definito un nuovo strumento di pianificazione, il Piano di Bacino, la cui elaborazione è affidata alle Autorità di Bacino Nazionali, Interregionali e Regionali. Il Piano di Bacino ha valore di piano territoriale di settore ed è uno strumento conoscitivo, normativo e tecnicooperativo mediante il quale sono "pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato" (L.183/89 art. 17, comma 1). Il Piano Stralcio di Bacino per l'Assetto Idrogeologico- P.S.A.I. del Sarno è stato adottato dal Comitato Istituzionale con Delibera n. 4 del 28/07/2011. Nella relazione del PSAI dell’Autorità di Bacino del Sarno, la riduzione del rischio idraulico viene articolata in tre categorie di azioni differite nel tempo: - una prima di attuazione immediata, corrispondente ad una riperimetrazione delle aree a rischio e alla formazione di piani di allertamento; - una seconda attuabile nel giro di qualche anno, comprendente azioni a medio termine ovvero la previsione di interventi strutturali come serbatoi di laminazione, arginature, scolmatoi, ecc.; - ed infine una a carattere duraturo nel tempo, ovvero azioni a regime relativi a interventi estensivi che si attuano sull’intera superficie dei versanti interessati dai fenomeni erosivi e consistono essenzialmente nel rivestimento vegetale, forestale o agrario, del terreno e nella regimentazione del deflusso idrico a mezzo delle cosiddette opere minori e si basano sull’utilizzazione di specie pioniere, autoctone, a rapido accrescimento.
Figura 1. Carta del Rischio Idraulico del PSAI dell’Autorità di Bacino del Sarno
Il consumo del suolo nei comuni napoletani del bacino del Sarno Dal secondo dopoguerra in poi l'azione dell'uomo ha determinato forti cambiamenti nel paesaggio. Analogamente a quanto è avvenuto in maniera diffusa e capillare a scala nazionale, anche in Campania si è assistito ad un aumento massiccio delle zone urbanizzate rispetto a quelle agricole. Questo ha portato a notevoli variazioni nei bilanci ambientali, ad esempio per quanto riguarda la regimazione delle acque piovane ed il cambiamento del microclima degli agglomerati urbani, a causa della cementificazione e impermeabilizzazione del suolo. Partendo da due interessanti studi sul consumo del suolo dell'Emilia-Romagna3 e dal Dossier del FAI e WWF “Terra rubata”, si è costruito attraverso l’ausilio di del SIT della Provincia di Napoli – Ufficio PTCP4, un indice
3
Lo studio ha portato all’elaborazione di due indici "Impermeabilizzazione" e "Suolo/nonSuolo" applicati al data base dell'Uso del suolo del 1976. Per l'indice di impermeabilizzazione (Imp.) sono state prese in considerazione le superfici
Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola
2
Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici
del consumo di suolo calcolando la crescita dell’urbanizzato avvenuto tra il 1936 e il 2007 nei comuni campione. In particolare il dato dell’urbanizzato è stato ottenuto dalla Carta dell'uso del suolo 2007 e quello del 1936 è relativo ai centri storici ricavati dalle carte di analisi del Ptcp di Napoli. Un ulteriore interpolazione di questi dati ha definito la % di crescita dell’urbanizzato che, nello specifico, presenta un valore medio di 356. Da questa prima analisi sono risultate al di sopra della media la crescita di S.Maria la Carità (valore medio di 3769), Pompei (2620), S.Antonio Abate (1576), Striano (1022) e Ercolano (1000). Superficie Superficie Territoriale ricadente nel Bacino (Kmq) (Kmq)
Superficie ricadente nel Bacino (%)
Superficie del Centro Storico - anno 1936 (kmq)
Superficie dell'urbanizzato
Crescita dell'urbanizzato
Crescita dell'urbanizzato
(kmq)
(%)
(kmq)
Agerola
19,62
3,82
19,47
0,39
0,60
54,2
0,21 1,05
Anacapri
6,39
6,39
100
0,32
1,37
327,9
Boscoreale
11,2
11,2
100
0,51
3,31
550,0
2,80
Boscotrecase
7,18
7,18
100
0,44
1,32
200,2
0,88
Capri
3,97
3,97
100
0,32
1,33
314,3
1,01
Casola di Napoli Castellammare di Stabia
2,57
2,57
100
0,1
0,28
184,4
0,18
17,71
17,71
100
1,44
6,46
348,7
5,02
Ercolano
19,64
19,64
100
0,61
6,71
1000,6
6,10
Gragnano
14,29
14,29
100
0,79
2,31
192,8
1,52 0,00
Lettere
12,3
12,3
100
0,74
0,74
0,0
Massa Lubrense
19,71
11,9
60,38
0,89
1,81
103,2
0,92
Meta
2,19
2,19
100
0,75
0,75
0,0
0,00
Ottaviano
19,85
9,93
50,03
0,71
5,05
611,3
4,34
Palma Campania
20,78
10,39
50
0,5
3,65
630,5
3,15
Piano di Sorrento
7,33
5,46
74,49
0,99
0,99
0,0
0,00
Pimonte
12,47
12,47
100
0,16
0,41
155,7
0,25
Poggiomarino
13,28
13,28
100
0,51
2,84
456,6
2,33
Pompei
12,41
12,41
100
0,18
4,90
2620,2
4,72
Portici
4,52
4,52
100
1,12
3,77
237,0
2,65
S.Agnello
4,09
3,03
74,08
0,7
0,80
14,0
0,10
S.Antonio Abate S.Gennaro Vesuviano S.Giorgio a Cremano S.Giuseppe Vesuviano
7,87
7,87
100
0,13
2,18
1576,2
2,05
6,97
3,48
49,93
0,21
2,50
1088,3
2,29
4,11
3,3
80,38
0,52
3,12
500,9
2,60
14,09
14,09
100
0,68
4,24
524,2
3,56
S.Maria la Carità
4,2
4,2
100
0,03
1,16
3769,3
1,13
Sorrento
9,93
8,24
82,98
0,74
1,18
59,5
0,44
Striano
7,58
7,58
100
0,15
1,68
1022,2
1,53
Terzigno
23,51
23,51
100
0,45
4,44
885,7
3,99
Torre Annunziata
7,33
7,33
100
1,25
6,21
397,0
4,96
Torre del Greco
30,66
30,66
100
1,69
8,62
410,3
6,93
Trecase
6,45
6,45
100
0,17
1,10
545,5
0,93
Vico Equense
29,3
27,6
94,2
0,98
1,61
64,2
0,63
383,5
328,96
85,78
19,17
87,5
356,2
68,29
impermeabilizzate per cause antropiche: asfaltate, cementificate, edificate, ecc. mentre per l'indice Suolo/nonSuolo(S/nS) si è preso come parametro la presenza o assenza di vegetazione, sia di tipo erbaceo, che di tipo arbustivo o arboreo. 4
Si ringrazia per la collaborazione l’arch. Valeria Vanella.
Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola
3
Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici
Un secondo gruppo di indici sono stati elaborati dal censimento Istat della popolazione del 1971 e il dato della popolazione al 30 settembre 2011. Il calcolo ha riguardato le dinamiche di crescita/decrescita della popolazione tra il 1971 e il confronto tra la densità di popolazione al 1971 e il 2011. Viene confermata una crescita generalizzata della popolazione con una media dell’8,53 % - anche se sette comuni risultano decrescere in questo quarantennio ovvero Boscotrecase, Capri, Castellammare di Stabia, Portici, Torre annunziata e Torre del Greco – mentre la densità di popolazione si presenta diffusamente sempre molto alta (con una media al 2011 di 1903 abitanti per kmq).
Superficie Territoriale
Popolazione al 1971
Popolazione al 30 settembre 2011
(Kmq)
Dinamiche di crescita/ decrescita %
Dinamiche di crescita/ decrescita n. abitanti
Densità di popolazione al 1971
Densità attuale Pop./Kmq
Agerola
19,62
7192
7457
3,68
265
366,56
380,07
Anacapri
6,39
4339
6840
57,64
2501
679,03
1070,42
Boscoreale
11,2
18741
26996
44,05
8255
1673,30
2410,36
Boscotrecase
7,18
20135
10570
-47,50
-9565
2804,32
1472,14
Capri
3,97
7723
7364
-4,65
-359
1945,34
1.854,91
Casola di Napoli Castellammare di Stabia
2,57
3056
3884
27,09
828
1189,11
1.511,28
17,71
68629
64398
-6,17
-4231
3875,16
3.636,25
Ercolano
19,64
52368
54390
3,86
2022
2666,40
2.769,35
Gragnano
14,29
25515
29645
16,19
4130
1785,51
2074,53
Lettere
12,3
4401
6193
40,72
1792
357,80
503,50
Massa Lubrense
19,71
9621
14082
46,37
4461
488,13
714,46
Meta
2,19
6947
8057
15,98
1110
3172,15
3679,00
Ottaviano
19,85
18263
24109
32,01
5846
920,05
1214,56
Palma Campania
20,78
12563
15324
21,98
2761
604,57
737,44 1798,50
Piano di Sorrento
7,33
9583
13183
37,57
3600
1307,37
Pimonte
12,47
4014
6042
50,52
2028
321,89
484,52
Poggiomarino
13,28
12478
21641
73,43
9163
939,61
1629,59
Pompei
12,41
21547
25509
18,39
3962
1736,26
2055,52
Portici
4,52
75897
53396
-29,65
-22501
16791,37
11813,27
S.Agnello
4,09
7241
9126
26,03
1885
1770,42
2231,30
S.Antonio Abate
7,87
11926
19720
65,35
7794
1515,37
2505,72
S.Gennaro Vesuviano
6,97
6454
11341
75,72
4887
925,97
1627,12
S.Giorgio a Cremano S.Giuseppe Vesuviano
4,11
45635
47073
3,15
1438
11103,41
11453,28
26,61
5946
1585,66
2007,67
10,28
1546
1514,60
1670,29 1101,45
14,09
22342
28288
S.Maria la Carità
4,2
a)
11718
Sorrento
9,93
15040
16586
2790,00
Striano
7,58
4974
8349
67,85
3375
656,20
Terzigno
23,51
10947
17965
64,11
7018
465,63
764,14
Torre Annunziata
7,33
57556
43659
-24,15
-13897
7852,11
5956,21
Torre del Greco
30,66
91676
86971
-5,13
-4705
2990,08
2836,63
Trecase
6,45
b)
9239
Vico Equense
29,3
15866
20964
32,13
5098
541,50
715,49
383,5
672669
730079
8,53
57410
1754,03
1903,7
1432,40
a) Santa Maria La Carità nel 1971 faceva parte di Gragnano b) Trecase nel 1971 faceva parte di Boscotrecase
Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola
4
Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici
Si è proceduto anche a una verifica della perdita di suolo attraverso una analisi dei censimenti dell’agricoltura Istat del 1990 e del 2000 analizzando la variazione di Superficie agricola utile (Sau) e di Superficie agricola totale (Sat) nel decennio. Anche questa analisi tende a confermare la perdita in tutti i comuni del campione di superficie agricola utile, ovvero a seminativo ed a coltivazioni permanenti, e quella in generale di superficie agricola totale del 18%.
Sau 1990
Sau 2000
(ha)
(ha)
Agerola
746,64
317,13
Dinamica Sau 1990/2000
Dinamica Sau 1990/2000
Sat 1990
Sat 2000
Dinamica Sat 1990/2000
Dinamica Sat 1990/2000
%
(ha)
(ha)
(ha)
%
(ha)
-57,53
-429,51
1658,34
905,21
-45,41
-753,13
Anacapri
1749,45
46,09
-97,37
-1703,36
89,14
70,30
-21,14
-18,84
Boscoreale
4083,66
416,89
-89,79
-3666,77
552,50
474,58
-14,10
-77,92
Boscotrecase
4276,46
229,39
-94,64
-4047,07
311,55
257,40
-17,38
-54,15
Capri
3800,25
11,56
-99,70
-3788,69
29,38
13,95
-52,52
-15,43
Casola di Napoli Castellammare di Stabia
2700,39
95,24
-96,47
-2605,15
220,25
165,76
-24,74
-54,49
7511,41
340,77
-95,46
-7170,64
1244,69
809,76
-34,94
-434,93
Ercolano
5435,74
360,27
-93,37
-5075,47
485,85
405,38
-16,56
-80,47
Gragnano
3860,04
331,28
-91,42
-3528,76
860,81
738,99
-14,15
-121,82
Lettere
861,30
214,76
-75,07
-646,54
549,95
663,13
20,58
113,18
Massa Lubrense
1202,59
746,11
-37,96
-456,48
1099,01
1008,12
-8,27
-90,89
Meta
6851,14
80,71
-98,82
-6770,43
134,43
119,53
-11,08
-14,90 -815,14
Ottaviano
2134,61
239,04
-88,80
-1895,57
1110,88
295,74
-73,38
Palma Campania
1342,01
975,85
-27,28
-366,16
1333,99
1384,74
3,80
50,75
Piano di Sorrento
3105,87
380,02
-87,76
-2725,85
337,96
572,66
69,45
234,70
Pimonte
806,42
249,75
-69,03
-556,67
892,87
880,91
-1,34
-11,96
Poggiomarino
2569,20
584,96
-77,23
-1984,24
745,89
621,51
-16,68
-124,38
Pompei
3791,78
565,08
-85,10
-3226,70
588,92
933,90
58,58
344,98
Portici
28604,65
110,11
-99,62
-28494,54
89,08
155,33
74,37
66,25
S.Agnello
4001,71
183,44
-95,42
-3818,27
284,42
250,02
-12,09
-34,40
S.Antonio Abate S.Gennaro Vesuviano S.Giorgio a Cremano S.Giuseppe Vesuviano
4021,09
164,59
-95,91
-3856,50
329,01
175,97
-46,52
-153,04
2553,08
152,32
-94,03
-2400,76
489,24
170,01
-65,25
-319,23
22556,69
61,3
-99,73
-22495,39
87,46
68,76
-21,38
-18,70
3593,33
470,82
-86,90
-3122,51
772,81
1019,33
31,90
246,52
S.Maria la Carità
2790,00
195,72
-92,98
-2594,28
181,04
215,66
19,12
34,62
Sorrento
3184,89
268,31
-91,58
-2916,58
441,71
325,35
-26,34
-116,36
Striano
1757,65
262,95
-85,04
-1494,70
406,48
277,21
-31,80
-129,27 -198,16
Terzigno
1229,77
486,11
-60,47
-743,66
1108,88
910,72
-17,87
Torre Annunziata
13808,32
110,71
-99,20
-13697,61
158,06
128,18
-18,90
-29,88
Torre del Greco
5826,71
410,98
-92,95
-5415,73
1855,69
891,89
-51,94
-963,80
Trecase
1432,40
286,63
-79,99
-1145,77
257,57
321,47
24,81
63,90
Vico Equense
1257,00
969,86
-22,84
-287,14
1836,50
1620,51
-11,76
-215,99
-93,28
-143127,52
20544,36 16851,98
-18,0
-3692,38
153446,27 10318,75
L’effetto della impermeabilizzazione dei suoli e della riduzione della superficie agricola è stato di aumentare la portata del fiume di tre volte con periodiche esondazioni. L’Autorità di Bacino, per risolvere questo problema, sta elaborando un progetto col quale si prevede la realizzazione di una serie di vasche di laminazione lungo il fiume in cui indirizzare gli afflussi di acque superficiali superiori alle quantità contenibili nel suo letto. Questa è una soluzione a valle dei centri abitati generatori delle eccedenze. In alternativa, è possibile immaginare un intervento sulle aree urbanizzate che riduca alla radice l’afflusso delle acque piovane attraverso un sistema integrato di interventi di seguito descritti.
Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola
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Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici
Riduzione delle cause di esondazione in ambiente urbano Tetti giardino Per la gestione sostenibile delle acque meteoriche, l’utilizzazione dei tetti giardino può trovare applicazione molto vasta nel bacino idrografico del fiume Sarno. In quest’area geografica esiste una tradizione di coperture piane anche per i fabbricati più antichi di tipo rurale o abitati da contadini all’interno dei villaggi o dei paesi. Le coperture con tetti a falda e prevalentemente l’uso delle tegole sono riservate ai fabbricati di maggior pregio come le chiese, gli edifici pubblici (scuole) o abitazioni sia antiche che moderne più eleganti quali ville, palazzi di famiglie nobili o della buona borghesia, anche industriale. Tra le coperture piane è utile distinguere quelle accessibili da quelle non accessibili perché, nel primo caso, la realizzazione e la cura dell’orto sono più immediatamente fattibili, mentre nel secondo caso bisognerà realizzare una scala con un incremento dei costi. Infatti l’accesso al tetto è sempre tecnicamente fattibile e le variazioni possono solo incidere sui costi più o meno elevati per la sua realizzazione in quanto si dovranno modificare in maniera più o meno significativa strutture esistenti. Il secondo problema è quello dei carichi che la struttura di solaio può sopportare. Nel caso dell’edilizia residenziale i calcoli sono tarati in modo che il peso dello strato di terreno e delle piantumazioni può essere facilmente sostenuto e qualche precauzione bisogna averla solamente nel caso in cui si intendano realizzare giardini con spessori di terreno superiore ai 40 cm. per la messa a dimora di alberi. Il tipo di giardino con fiori, prato, e cespugli dovrebbe essere sempre realizzabile. Una precauzione maggiore bisogna averla per i tetti delle industrie o, in generale per i capannoni (questo tipo di struttura è utilizzato anche per i supermercati, i depositi per il commercio all’ingrosso, i garage per autoveicoli, le sale espositive per merce ingombrante come mobili, macchine agricole, materiali per l’edilizia), quando le coperture sono a grandi luci e sono previste con carichi di poco superiori al peso proprio. Tuttavia, anche in questo caso, con coperture piane o con strutture portanti estradossate, esiste la possibilità di coprire con giardini una quota estesa delle coperture esistenti. Per la loro forma dovranno essere escluse le coperture inclinate o a botte che sono frequenti per questo tipo di costruzioni e rappresentano perciò un numero rilevante in assoluto.
Tipi di tetto giardino I tetti dei fabbricati residenziali possono essere di proprietà individuale o condominiale. Nel caso dell’uso esclusivo la decisione di quale uso fare della copertura è più immediata e condizionerà anche il tipo di giardino da realizzare. Ai fini della gestione delle acque meteoriche le preferenze del proprietario avranno una limitata incidenza vuoi se preferisce un giardino ornamentale con prati e fiori oppure un orto privato con erbe aromatiche ed ortaggi. L’incidenza effettiva dipenderà dallo spessore del terreno vegetale e dalla presenza di siepi ed alberi con una massa vegetale nettamente superiore all’erba, il che dipende dai carichi ammissibili e dalla capacità di spesa. Un tetto giardino individuale tratterrà l’acqua piovana favorendo l’evapotraspirazione, corrispondente alla quota del 40% della precipitazione, certamente un contributo non trascurabile, ma superiore solamente al 10% di quanto avviene per le superfici impermeabilizzate. La quota restante sarà incanalata nella fognature che non separano le acque bianche da quelle scure e finirà comunque nel fiume. Una incidenza maggiore si potrà avere quando i tetti verdi siano di iniziativa condominiale e vengano associati anche ad un impianto separato di raccolta dell’acqua drenata dal terreno dei tetti, eccesso rispetto alla quota utile per l’irrigazione e trattenuta dal terreno vegetale. Se incanalata in impianti separati potrebbe essere recapitata al suolo in vasche di assorbimento o in cisterne per il riuso tanto per l’irrigazione quanto per usi domestici consentiti (discarico dei gabinetti). L’infiltrazione alimenterebbe la falda sottraendo quelle quota così indirizzata allo scorrimento superficiale. L’utilizzo per uso domestico sostituirebbe l’acqua proveniente dall’acquedotto di migliore qualità realizzando allo stesso tempo sia un risparmio di acqua pregiata che di riduzione del flusso complessivo di acqua. Alcuni tipi insediativi (in particolar modo il tipo 13, ma anche il 12, 16, 17, 18) si prestano alla realizzazione di tetti giardino pubblici o semipubblici. Poiché si rilevano parti urbane con indici di copertura del suolo intorno all’80% e con la restante parte del tutto impermeabilizzata perché utilizzata per strade e parcheggio, si ha l’assoluta assenza di verde anche per aree estese. d Esempio il comune di Scafati ha un’area centrale di 57 ha priva di verde pubblico e con solo sparute e limitatissime presenze di verde privato, nella zona periferica verso Pompei 15 ha di recenti lottizzazioni hanno assolutamente insignificanti e rarissimi giardinetti. In questi casi le dotazioni di verde di standard possono essere realizzati solamente in zone a distanza dagli utenti superiori a quelle che sarebbero consigliabili perché se ne possa efficacemente usufruire, per non parlare del beneficio che dovrebbero apportare alle abitazioni in termini di miglioramento del microclima. Una soluzione sarebbe il verde pubblico in copertura, facilitato dall’uniformità in altezza del sistema locale di costruzione. Tanto l’edilizia antica quanto quella moderna si sviluppano poco in altezza (per lo più abbiamo costruzioni di 2 o 3 piani) mentre molto in superficie. Eccezioni a questo andamento lo troviamo nei tipi insediativi n. 18, presenti in comuni come Sarno, Boscoreale, Torre Annunziata, Castellammare. In tutti i casi i fabbricati alti costituiscono Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola
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Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici
solamente punti isolati di un tessuto che si presenta nella gran parte in maniera uniforme e con lievi scarti di altezza facilmente collegabili con rampe o piccole scale. Un tetto giardino continuo esteso su molti fabbricati dovrebbe avere accessi verticali dallo spazio pubblico e dovrebbe contenere attrezzature per l’esercizio dello sport, per il gioco dei bambini e per l’educazione alla comprensione e rispetto della natura. Realizzazioni simili già esistono come il Jardin Atlantique sulle banchine della stazione di Montparnasse a Parigi, con le dotazioni appena menzionate.
Tipologie insediative: 1. serre (con strade di servizio pavimentate) 2. case sparse 3. nuclei radi 4. nuclei compatti 5. aggregazioni di tipi isolati 6. Sviluppi lineari discontinui 7. Sviluppi lineari semplici 8. Sviluppi lineari spessi 9. Pettini 10. Maglie ad edificazione discontinua 11. Scacchiere rade 12. Scacchiere compatte 13. Scacchiere compatte con strade strette 14. Edificazione a cortina aperta su uno o più fronti stradali 15. Isolati con edificazione a cortina e con giardini ed orti interni 16. Isolati con edificazione a cortina e parziale occupazione consolidata dei giardini 17. Isolati con edificazione a cortina e parziale occupazione dei giardini con nuova edilizia 18. Isolati con edificazione a cortina e inserimenti di nuova edilizia di condominio 19. Isolati con edificazione a cortina e parziale occupazione dei giardini con nuove lottizzazioni e strade 20. Isolati a copertura compatta 21. Industrie isolate 22. Singole industrie inserite in tessuti urbani fitti 23. Industrie isolate con ampi spazi aperti impermeabilizzati 24. Piccole aggregati industriali a elevata copertura 25. Piccole aggregati industriali con spazi aperti 26. Zone industriali infrastrutturale 27. Scavi archeologici (Pompei) 28. Cimiteri 29. Industrie dismesse 30. Quartieri abbandonati, degradati, allo stato di ruderi (Carceri a Torre A.) Tipi di coperture: a) tetti a falda in tegole b) tetti piani accessibili c) tetti piani non accessibili d) coperture di capannoni piani e) coperture di capannoni a shed o a botte Tipi di strade: I. rurali non pavimentate II. rurali pavimentate III. di quartiere IV. di attraversamento V. di collegamento VI. altre superfici per la sosta VII. scali ferroviari
Figura 2. Tipologie insediative, tipi di coperture e tipi insediativi
Naturalizzazione degli spazi aperti L’acqua piovana si può trattenere e lasciare infiltrare negli spazi aperti. La strada è lo spazio aperto di proprietà pubblica diffuso in ogni luogo abitato in quanto infrastruttura essenziale per consentire l’accesso alle proprietà private. Perciò la trasformazione della strada è un passaggio essenziale per modificare il regime delle acque superficiali. Lo scopo principale sarebbe quello di ridurre il più possibile l’immissione nelle fognature favorendo i processi naturali del ciclo dell’acqua. Questo scopo si può raggiungere in due modi: a) avere strade e spazi Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola
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aperti con pavimentazione drenante che lasci infiltrare e trattenga una quota dell’acqua; b) dotare le strade di cunette e fioriere nelle quali convogliare l’acqua che dilava sulle pavimentazioni o vi proviene dalle coperture perché venga assorbita dal suolo e dalla vegetazione. Con temporali violenti e molto concentrati la quantità precipitata è tale che non sia possibile predisporre una estensione di suolo poroso sufficiente ad assorbirla. Per questo motivo, il sistema dovrà prevedere lo scorrimento controllato fino a raggiungere superfici permeabili estese in grado di assorbire quelle quantità. Nel caso queste non siano disponibili, allora si dovranno predisporre nei limitati suoli liberi delle vasca di laminazione in grado di contenerle e trattenerle fino a completo assorbimento. Nei tipi insediativi dal n. 1 al n. 7 sono sempre disponibili ampie superfici permeabili in adiacenze a quelle impermeabilizzate. Ciò nonostante, si preferisce incanalare l’acqua piovana nelle fognature, invece che convogliarle sui suoli nudi. La destinazione agricola di questi ultimi non dovrebbe comportare una eccessiva difficoltà perché si eviterebbero danni alle coltivazioni con un adeguato sistema di canalizzazioni ottenendo il beneficio dell’irrigazione. Questa sarebbe ulteriormente favorita da vasche di immagazzinamento dell’acqua per i periodi intermedi tra le piogge. I tipi insediativi n.14 e n.15 ed in parte anche i n.16 e n.17 possono smaltire le acque nei giardini interni, anche se il sistema attuale è rivolto esattamente al contrario con il convogliamento dall’interno verso le strade esterne e le loro fognature. In questi casi il problema della capacità è più serio trovandoci a che fare con superfici limitate. Bisognerà ovviare tanto con impianti di raccolta e conservazione quanto con la circolazione dell’eccedenza verso altri suoli. È evidente che mentre nelle zone a bassa densità, come il primo gruppo di tipi insediativi citato lo smaltimento può essere molto localizzato (a basso costo e con limitata dotazione impiantistica), mano a mano che ci addentriamo in tipi insediativi a densità crescente, come il secondo gruppo citato, deve aumentare la complessità degli impianti ed assumere progressivamente il carattere di una rete specializzata sulla gestione delle acque chiare per distribuire quantità concentrate su superfici estese e lontane dalle aree impermeabilizzate.
Figura 3. Esempi di naturalizzazione degli spazi aperti Nella valle del Sarno le strade raramente superano la larghezza dei m.10 e rendono molto difficile applicare gli schemi da infrastruttura verde come vediamo nei manuali di Portland o di Bolzano. Il caso più complicato è quello delle strade molto strette, di circa m.5, dei tipi insediativi n.12 nelle parti di nuova edificazione o n. 15-19 delle parti più antiche. In questo caso la sezione stradale consente appena la circolazione di veicoli e pedoni e l’assorbimento si può ottenere solamente con la pavimentazione drenante. Un altro sistema, sperimentato in Giappone, determina un certo assorbimento al di sotto della pavimentazione stradale. L’acqua è comunque raccolta con le tradizionali caditoie ma i canali che la convogliano hanno fondi permeabili ed estesi, perlomeno in alcune articolazioni. Le strade di larghezza superiore ai m.5 possono contenere delle cunette con vegetazione nelle quali convogliare l’acqua. La larghezza di m.3,25 va sottratta per la circolazione dei veicoli a senso unico e la parte restante può essere organizzata per la circolazione dei pedoni e per il verde, per sezioni stradali complessive superiori a m. 8,25. In questo caso è possibile inserire delle cunette di convogliamento delle acque di m.2, sufficienti per piantare siepi ed alberelli. La strada sarà dotata anche di due marciapiedi di m.1,5. Per strade a traffico limitato si può fare a meno di uno dei due marciapiedi ed avere la presenza della cunetta assorbente con vegetazione sempre larga m.2. La fascia verde può essere interrotta per ricavare spazio di soste per i veicoli oppure alternata sui due lati della strada per funzionare come dispositivo di calmieramento del traffico. Altre soluzioni possono prevedere l’inserimento di chioschi o di panchine per la sosta. Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola
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Spazi aperti urbani resilienti alle acque meteoriche in regime di cambiamenti climatici
La collocazione della cunetta di assorbimento nella posizione centrale con funzione di spartitraffico tra due corsie di marcia richiede una larghezza superiore a m. 11,50. Con strade larghe m. 13,50 si possono avere due cunette ai lati della strada a due corsie con marciapiedi di m.1,50 ciascuno. Larghezze maggiori possono consentire di ampliare le zone verdi. Molto spesso le sezioni stradali hanno larghezze variabili per cui gli schemi appena indicati debbono essere adattati e combinati lungo un medesimo percorso. In tal caso è indispensabile assicurare una continuità dell’impianto in modo che la circolazione dell’acqua possa avvenire e distribuirsi uniformerete sulla superficie assorbente disponibile. Qualora le cunette siano disgiunte, bisogna collegarle con canali che passino al di sotto delle zone pavimentate di separazione. Qualora il loro sviluppo non risulti sufficiente all’assorbimento delle prevedibili quantità di precipitazioni, è indispensabili dotarle di canali di drenaggio in grado di convogliare le quantità eccedenti verso sbocchi esterni all’abitato oppure in fognatura se altre soluzioni non sono possibili. Gli inserimenti di verde nelle strade, anche se pone la prioritaria attenzione alla soluzione di problemi idraulici non deve trascurare l’effetto che otterrà come elemento di riqualificazione dello spazio pubblico per cui non va sottovalutata la qualità del paesaggio urbano. I piazzali per la sosta, carico-scarico delle merci, manovre dei mezzi, con attenzione alle vari funzioni specifiche, possono essere riorganizzate con pendenze delle superfici impermeabili che convoglino le acque verso superfici assorbenti provvedendo al trattamento disinquinante idoneo.
Bibliografia Libri Angrilli M. (2002), Reti verdi urbane, Fratelli Palombi Editore, Roma Coppola E. (2012), Urbanistica comunale oggi. L’innovazione nella pianificazione urbanistica comunale: esperienze di piano a confronto, Liguori, Napoli Coppola E. (2011), “Urbanistica e verde: dal concetto di standard al Piano del Verde” in Claudi A. (a cura di), La gestione dei parchi urbani, CLEAN Edizioni, Napoli, pp. 194-202 Coppola E. (2010), “Il ruolo del verde nell’ecosistema urbano”, in Atti del Convegno internazionale del Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica, Inhabiting the future, CLEAN Edizioni, Napoli, pp. 825833 Coppola E. (2011), “Il progetto di città nei nuovi piani comunali” in Atti del Convegno internazionale del Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica – Il disegno delle trasformazioni/Trasformation designing, CLEAN Edizioni, Napoli Moccia F. D., Coppola E. (2005), Campania. Ambienti insediativi e sistemi locali di sviluppo, Liguori, Napoli Moccia F. D. (2011), Abitare la città ecologica/Housing ecocity, CLEAN, Napoli Moccia F. D., Viati A. (2004), Azioni ambientali partecipate nel Mezzogiorno, Massa editore, Napoli Properzi P. L. (2008), Rapporto dal Territorio 2007, INU Editore, Roma Articoli Coppola E. (2011), “Città senza petrolio”, in Modulo, no 372, pp. 2-3 Coppola E. (2010), “Il ruolo delle infrastrutture verdi nella costruzione del eco-cities”, in Urbanistica Informazioni, n. 232, pp. 27-28 Coppola E. (2010), “L’infrastruttura verde come rete multifunzionale: il caso anglosassone”, in Urbanistica Informazioni, n. 232, pp. 33-34 Moccia F. D. (2010), “Infrastruttura verde”, in Urbanistica Informazioni, n. 232, pp. 28-29 Moccia F. D. (2010), “Città e cambiamento climatico”, in Urbanistica Informazioni, n. 230, pp. 38-39 Moccia F. D. (2009), “L’urbanistica nella fase dei cambiamenti climatici”, in Urbanistica, n. 140, pp. 95-102 Moccia F. D. (2007), “Un profilo propulsivo per prevenire e mitigare il rischio naturale”, in Urbanistica, n. 134, pp. 41- 45 Moccia F. D., Coppola E. (2009), “Densità e densificazione” in Urbanistica Informazioni, n. 226, pp. 29-30 Siti web Autorità di bacino del Sarno, (2011). Piano Stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico, su: http://www.autoritabacinosarno.it Stefano Corticelli, Marina Guermandi, Maria Cristina Mariani, (2008). Due indici per valutare l’impermeabilizazione e il consumo di suolo, Atti 12^ Conferenza Nazionale ASITA, su http://www.regione.emilia-romagna.it FAI e WWF, (2012). Terra rubata. Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, su: http://www.wwf.it Consiglio regionale del Veneto, (2011). Dossier Raccolta normativa e documentale in materia di impermeabilizzazione del suolo, su: http://www.consiglio.regione.veneto.it Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola
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Suono: materiale del progetto per nuove strategie urbane
Suono: materiale del progetto per nuove strategie urbane Ida Recchia Università della Calabria Dipartimento di Strutture Email: ida_recchia@libero.it Tel. 0984.496949
Abstract L’interpretazione del parametro suono, evidenziato dal quadro normativo europeo e italiano, è oggi legata al concetto di “protezione”. Il suono, così inteso, è un dato quantitativo ma, come evidenziato dagli studi canadesi prima (Schafer 1977) e francesi poi (Chelkoff 1992), può essere introdotto come una componente estetica dello spazio costruito, per le sue caratteristiche simboliche e semantiche. Si intende pertanto introdurre il suono come “materiale del progetto” e, secondo questa accezione, sottolineare la sua importanza nel progetto dello spazio urbano. Considerando il suono come dato di qualità, si intende inoltre chiarire quali sono gli strumenti analitici e progettuali orientati verso nuove strategie del suono.
Pensare il suono. Approcci analitici La ricerca progettuale ha introdotto nel dibattito contemporaneo il tema dello “spazio” come entità complessa, ricca di proprietà solide e materiali, cui si affiancano componenti incorporee, quali la luce e il colore, le immagini e il suono. Alle tradizionali categorie spaziali se ne aggiungo di nuove: lo spazio viene definito “fluido”, “mediatico”, “transitorio”. É luogo di eventi statici e dinamici, spazio fenomenologico che si modella in funzione di numerosi parametri e molteplici temporalità. Il suono si configura come una tra le molte dimensioni dello spazio e si distingue come parametro fortemente identitario per le sue caratteristiche fisiche e simboliche. Come introdotto dagli studi canadesi (Schafer, 1977), può essere valutato e analizzato con un approccio di tipo estetico e qualitativo, che metta a sistema i dati acustici (proprietà fisiche), percettivi (proprietà psicoacustiche) e semantici (proprietà estetiche). L’esperienza avviata da Schafer negli anni Settanta con il World Soundscape Project introduce inoltre un’altra chiave di lettura, quella ecologica. Lo spazio acustico della città è inteso come un’alterazione di quello naturale, il concetto di “spazio” si assimila a quello di “ambiente”, mentre lo studio sistematico delle relazioni tra l’uomo e l’ambiente sonoro ( Truax 1998) confluisce in una nuova disciplina chiamata Soundscape Ecology. Le attività di produzione, trasformazione e modellazione dello spazio sonoro competono invece al campo di studi chiamato Sound Design, che determina il passaggio dalla creazione di una consapevolezza comune, sui temi e i significati del suono, all’introduzione del parametro sonoro nei processi di pianificazione. Gli studi della scuola canadese hanno fornito una prima sistematizzazione della nuova disciplina Sound Design e hanno gettato le basi per l’analisi descrittiva dell’ambiente sonoro definito come Paesaggio dei suoni. Gli studi di Schafer hanno introdotto: la necessità di formulare una “notazione del paesaggio sonoro” (sonografia) e di mettere a punto nuovi metodi descrittivi; una prima terminologia specifica per il paesaggio sonoro, formulando definizioni e termini come soundscape, sound signals e soundmark; la necessità della funzione formativa ed educativa della sensibilizzazione al suono; lo studio del paesaggio sonoro antico dedotto da fonti letterarie, storiche e antropologiche. Il riferimento alle discipline progettuali dell’architettura nell’approccio canadese è ancora vago e viene rimarcato in ricerche successive avviate nel contesto francese e scandinavo. Il centro di ricerca francese CRESSON perpetua la tradizione multidisciplinare, avviata da Schafer, associando sociologi, fisici acustici e tecnici del suono ad architetti e urbanisti in un comune campo di ricerca. Le ricerche hanno prodotto, a partire dagli anni Novanta: lo studio e la classificazione dei fenomeni sonori associati allo spazio costruito e allo spazio urbano in particolare; la formazione di metodi analitico-descrittivi del paesaggio sonoro; la creazione di sistemi linguistici Ida Recchia
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Suono: materiale del progetto per nuove strategie urbane
per la messa a punto di un comune vocabolario riferito al paesaggio sonoro; la creazione dei primi prototipi architettonici utili alla formazione di un repertorio comune di azioni progettuali che possano governare l’ambientazione sonora associata alla forma architettonica. Gli studi scandinavi hanno in anni più recenti introdotto, attraverso la figura di Juhani Pallasmaa, l’Architettura sensoriale. Quest’ultima presenta in termini del tutto teorici una rinnovata attenzione verso l’ambientazione sensoriale di uno spazio architettonico. La lettura dell’opera di maestri dell’architettura contemporanea, espressa in chiave sensoriale, ha permesso di evidenziare nuovi atteggiamenti progettuali. Essi rivelano una nuova dimensione dell’architettura basata sul controllo dell’esperienza tattile, olfattiva, visiva e sonora. Si tratta di una visione critica che rivela nuove modalità d’approccio all’opera architettonica; tali studi forniscono un quadro approfondito sulle qualità sensoriali che possono arricchire e impreziosire lo spazio costruito con nuove proprietà. L’interpretazione qualitativa del suono, prospettata dai molti studi teorici, emerge nella contemporaneità come dato “sensibile”, ricco di significati, che diviene parametro compositivo per lo spazio urbano e architettonico. La componente sonora è intesa come “materia del progetto” rivolta alla ricerca di una nuova “vivibilità” dello spazio costruito, più vicina all’uomo e alla sua essenza sensibile e corporea. Il suono evoca aspetti concettuali e culturali nel progetto, è una presenza fisica comune ad ogni spazio architettonico e urbano, una variabile dello spazio e del tempo legata sia alla conformazione di un ambiente che alle sue condizioni d’uso. Il controllo del suono permette di valorizzare ambienti troppo silenziosi e deserti e di disciplinare ambienti rumorosi attraverso il gioco sapiente e variato dei volumi e della materia. La prima questione da porre è dunque come il progetto del contesto urbano può rinnovarsi a partire dai nuovi approcci al tema del suono, per giungere a definire quali sono gli strumenti e le azioni che introducono il suono nella progettazione architettonica e urbana in chiave qualitativa.
Sonorità urbane Il paesaggio sonoro urbano ha subito nella contemporaneità molte trasformazioni con l’introduzione progressiva di nuovi caratteri sonori, dalla rumorosità delle infrastrutture di trasporto sino ai fruscii della città cablata. Il brusio costituito dalla densa presenza antropica si affianca alla rumorosità del traffico, associando lunghezze d’onda differenti che attraversano con modalità opposte il costruito urbano. Lo spazio urbano, “pieno” di suoni è percepito con difficoltà dai suoi fruitori: le funzioni urbane contraddistinte da una sonorità elevata si moltiplicano e si affiancano l’una all’altra. Risulta perciò sempre più difficile percepire i suoni provenienti da lunghe distanze e lo spazio urbano acusticamente riconoscibile appare ridotto. La città contemporanea assorbe, contestualmente agli elevati livelli di rumorosità, nuove componenti sonore che arricchiscono di pregio il suo paesaggio acustico, come la presenza simultanea di molte lingue. Il nuovo paesaggio della città si apre inoltre a differenze estreme tra diverse aree urbane e tra periferia e centro. La confusione dei mercati, del traffico e delle voci si contrappone al silenzio dei villaggi agricoli. Il paesaggio sonoro quieto dei centri storici, preservati dal traffico, si oppone a quello dei quartieri residenziali fiancheggiati dalle arterie di collegamento extra-urbano. A ciò si aggiunge il rapido alternarsi delle forme costruite più diverse: l’edificio di grandi dimensioni che fa da “muro” acustico per rumori con frequenze più basse (elevata lunghezza d’onda) e la galleria commerciale che amplifica le voci e i rumori antropici, determinano cambiamenti bruschi e inaspettati. E ancora, le diverse ore del giorno aggiungono “coloriture” sonore opposte per uno stesso luogo urbano. La complessità e l’estrema variabilità della sonorità urbana offrono spunti molteplici alle discipline architettoniche e urbane. Nella scala dei valori della quotidianità, i suoni e i rumori sono unità che permettono di rileggere e riconfigurare gli spazi costruiti. Inoltre la percezione della sonorità urbana si fonde con molte sensazioni e percezioni: visive, tattili, olfattive e gestuali, che si sovrappongono seguendo una gerarchizzazione delle informazioni, si crea così l’impressione di caos percettivo. Tuttavia nell’apparente complessità del fenomeno è possibile individuare dei principi che ripartiscono l’insieme dei fenomeni sonori urbani e che contraddistinguono le tendenze dell’urbanità contemporanea. Tali principi scompongono il campo sonoro in tre grandi categorie morfologiche individuate da Henry Torgue (2005)1: gli sfondi che comprendono condizioni sonore stabili e caratterizzano spazi passanti o di grande dimensione; le sequenze fenomeni compositi associati ad attività reiterate come (mercati, scuole) o al tipo di circolazione (mono o multimodale) ; gli avvenimentisegnale che comprendono le fonti sonore puntuali ed emergenti (campane, sirene). Il campo sonoro urbano si può considerare inoltre suddiviso in tre componenti che creano fenomeni composti: le fonti sonore, variabili in relazione ai caratteri morfologici e funzionali dello spazio costruito; gli spazi di diffusione, intesi come luoghi di propagazione del suono; la percezione del luogo, che riguarda l’assegnazione di significati all’ spazio costruito. Il trinomio fonte sonora, spazio di diffusione e percezione definisce il concetto di forma sonora urbana. Si tratta di una componente multipla dello spazio urbano che integra la dimensione fisica e percettiva e che dipende dallo 1
Si veda Torgue, H., (2005). Immersion et émergence: qualités et significations des formes sonores urbaines, Espace et sociètés,n. 122 marzo, p.157-166.
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Suono: materiale del progetto per nuove strategie urbane
spazio geometrico inteso come luogo e allo stesso tempo causa degli effetti. Le forme sonore urbane sono il risultato di componenti involontarie, di azioni e di interventi, di forme e di materiali. Questa chiave di lettura permette di descrivere i caratteri sonori dello spazio urbano e amplia il concetto estetico di suono associandovi il tema dell’”armonia”. La “bellezza” della forma sonora, dipendente dalla sua “riconoscibilità” in campo urbano. Non è dunque il livello di rumorosità a dover essere controllato, ma la capacità della forme sonore di emergere ed essere riconosciute.
Regolamentazione. Il contesto europeo Gli strumenti normativi sembrano oggi essere orientati alla sola sfera visiva e laddove emerge il tema del suono esso si fa coincidere con il rumore e viene quantificato in termini di livelli e di pressioni sonore. Le prime politiche del rumore sono state definite in Europa negli anni Novanta con documenti come il Green paper on future noise policy (Commissione europea 1996), che delinea le prime posizioni sul tema. Il rumore è inteso come un parametro inquinante e il documento prevede che la popolazione non sia esposta ad alti livelli di rumorosità al fine di mantenere alta la qualità della vita. Il documento ha aperto un dibattito in ciascuno stato europeo, che è stato invitato a stabilire la propria regolamentazione e i propri limiti per le emissioni del rumore. In seguito è stata costituita una specifica organizzazione il Noise Expert Network che fornisce nel 2000 una proposta per le Direttive Ambientali sul Rumore. Anche in questo caso l’approccio al suono è orientato esclusivamente al concetto di rumore inteso come parametro da governare in termini di pressioni acustiche. I parametri impiegati sono quantitativi e comprendono livelli di pressioni sonore e quantità di persone esposte nelle diverse ore del giorno, valutate separatamente suddividendo il giorno in periodi di 12 ore, di 8 e di 4. Nel 2002 la Commissione europea ha affiancato al sistema di indici un sistema cartografico: le Mappe Strategiche del Rumore, utili a determinare in tutto il territorio europeo i livelli del rumore e nel 2003 la UE fornisce la linee guida per operare nei territori afflitti da alti livelli di rumorosità. In Italia questo strumento corrisponde alla Zonizzazione Acustica (Legge Quadro del 26 ottobre 1995 n. 447) che stabilisce, a scala territoriale, quali sono le aree con livelli di rumorosità omogenei.
Suono materiale del progetto per nuove strategie urbane L’interpretazione odierna del suono come “materiale del progetto”, dimostrata da teorizzazioni e pratiche progettuali, non trova piena corrispondenza negli strumenti legislativi. La definizione di suono come componente dello spazio costruito è incompleta e tende a svalutare le potenzialità di questo parametro. Al contrario sono molti gli esempi progettuali che dimostrano come il suono/rumore possa essere ripensato in chiave qualitativa per generare nuove forme dello spazio costruito. Un caso significativo ci viene fornito dai NOX che, per il progetto di un quartiere residenziale a Eindhoven (1998), eleva il rumore della vicina autostrada a principale tema compositivo. Il profilo del terreno, le forme degli edifici e degli spazi aperti derivano dallo studio delle curve acustiche e il rumore prodotto dall’attraversamento autostradale è pensato per essere trattato elettronicamente e proiettato da una radio di quartiere. Analogamente gli MVRDV impiegano nel progetto Noisecape la mappatura acustica di un quartiere urbano come matrice compositiva. I grafici bidimensionali ricavati da un programma di valutazione del traffico sono stati sommati nell’unico grafico tridimensionale che restituisce, in un processo automatico, la forma dell’edificio. Tra le esperienze progettuali più recenti, che prevedono l’ideazione di una mappa acustica, vi è la serie di interventi realizzati a Berlino dai LoLa Architects nel 2008. Gli inserimenti sonori prodotti in chiave paesaggistica seguono un’unica mappa prodotta grazie all’indagine in situ, che distingue le diverse aree di intervento in temi sonori prevalenti. Gli interventi progettuali che ne derivano si distinguono per sottolineare le differenze tra le caratteristiche acustiche delle aree. Nei progetti che impiegano il suono come dato compositivo, la fase analitica di appropriazione e interpretazione delle caratteristiche sonore assume un ruolo determinate, tanto da coincidere perfino con la forma, come nel caso del progetto degli MVRDV. Anche in campo prettamente scientifico lo sviluppo della mappatura acustica è al centro di molti studi e verifiche, tutti orientati verso la creazione di mappe sonore di tipo qualitativo. Alle carte quantitative, come le zonizzazioni, si affiancano altre soluzioni che riescono a fornire dati quantitativi e qualitativi allo stesso tempo. É il caso delle carte che impiegano le tessiture del rumore capaci di rappresentare con uno stesso portato grafico i livelli di rumorosità e il tipo di rumore. Altre carte si rifanno invece al concetto di forma sonora urbana descrivendo con layer sovrapposti gli sfondi i segnali e le sequenze. Mappe così configurate si definiscono infografiche poiché rappresentano lo spazio fornendo informazioni non solo geometriche e funzionali, ma anche temporali2. 2
Si veda Arlaud B., (2001). Vers une infographie de l’ambiance sonore urbaine, tesi di dottorato CRESSON, Università di Nantes, Ecole d’architecture de Grenoble.
Ida Recchia
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L’introduzione di carte sonore qualitative suggerisce nuove pratiche e azioni da avviare nelle politiche urbane. L’adozione delle carte infografiche supporta il trattamento a varie scale del dato sonoro scendendo via via al dettaglio del frammento urbano rilevando i caratteri identitari da esaltare o da limitare. La ricerca sullo sviluppo di questo particolare strumento analitico è ancora aperta (Balay 2003), tuttavia lo stato dell’arte fornisce validi esempi da contrapporre alle attuali zonizzazioni. Un altro importante dato che proviene dalle pratiche progettuali, nella scala architettonica e paesaggistica, è la collaborazione con la figura del designer sonoro. Ciò suggerisce l’impiego, nei processi decisionali, di una figura specifica, capace di introdurre il bagaglio di conoscenze multidisciplinari che spesso il tema richiede. Nonostante la specificità della sua funzione, il designer sonoro è una figura poliedrica, può essere un ingegnere del suono, destinato a controllare e modificare l’ambientazione acustica dal punto di vista tecnico; oppure è un artista sonoro che assume come campo privilegiato, di indagine e sperimentazione, proprio il contesto urbano.
Conclusioni Gli approcci al suono, di tipo estetico e qualitativo, possono condurre a una diversa interpretazione di questo parametro nelle politiche progettuali. Se riuscissimo nell’intento prospettato dalla regolamentazione odierna, produrremmo città completamente silenziose, prive di identità. Se invece pensiamo al suono come a una risorsa attiva dello spazio, esso può diventare una componente di qualità, un valore aggiunto governato dal progetto. La visione strategica si configura come l’ambito più appropriato per integrare tale tipo di approccio al suono poiché mette in relazione le diverse scale del progetto, dall’area vasta alla dimensione locale; inoltre si configura a partire dagli obiettivi specifici di un territorio ed è orientata alla promozione di azioni e progetti. È dunque il veicolo più potente e immediato per la diffusione di una nuova cultura del suono, che giunga al progetto come materiale ricco, da tramutare in valore qualitativo del costruito urbano. Gli strumenti che allo stato attuale possono facilitare l’introduzione di questa diversa interpretazione del concetto di suono nella pianificazione urbana sono dunque: la mappa sonora qualitativa e l’introduzione di figure di esperti di design sonoro nell’iter decisionale che parte dalla formulazione degli obiettivi strategici specifici della città.
Bibliografia Pascal Amphoux, (1993), L’identité sonore des villes européennes. Guide méthodologique, Grenoble, Cresson. Adams, Mags, et al., (2006), “Suistanable Soundscapees: Noise Policy and the Urban Experience”, Urban Studies, 43:13, pp. 2385 – 2398. Bernard Arlaud, (2001), Vers une infographie de l’ambiance sonore urbaine, tesi di dottorato, CRESSON, Université de Nantes, Ecole d’archi-tecture de Grenoble. Anna Barbara, (2000), Storie di architettura attraverso i sensi, Nebbia, aurorale, amniotico, Mondadori. Barry Blesser, et al. (2006), Spaces Speak, Are you Listening ? Experiencing Aural Architecture, MIT press. Björn Hellstrom, (2003), Noise Design. Architectural Modelling and Aesthetics of Urban Acoustic Space, Reproman AB, Goteborg. Juhani Pallasmaa, (2007), Gli occhi della pelle. L’architettura e i sensi, Jaca book, 2007 trad. (2005). The eyes of the skin. Architecture and the senses, Wiley & Sons. Palmese, C., Carles, J. L., (2004), Identidad sonora urbana, disponibile su: www.eumus.edu.uy. Murray Schafer, (1977), The Tuning of the World, Toronto, trad. It, (1985) Il paesaggio sonoro, Ricordi/Unicopli, Milano. Southworth, M., (1969), “The sonic environment of cities”, Envirornment and Behaviour, vol.1, n.1, p.49-70. Mirko Zardini, M., et al., (2005), Sense of the City: an alternate approach to urbanism, Canadian Centre for Architecture Montréal, Lars Müller, Baden.
Ida Recchia
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Un progetto urbano nello Jiangning District, Nanjing, China
Un progetto urbano nello Jiangning District, Nanjing, China Giovanni Marinelli Università Politecnica delle Marche Dipartimento SIMAU Email: g.marinelli@univpm.it Tel. 339.5751995 Monica Pantaloni Università Politecnica delle Marche DipartimentoSIMAU Email: m.pantaloni@univpm.it Tel. 339.1491765
Abstract L'Europa deve affrontare nel prossimo futuro una grande sfida: da un lato il fenomeno della densificazione delle aree urbane che sempre più trasformeranno le città in vere e proprie metropoli e renderanno le loro dimensioni più simili a quelle di ambiti regionali (le mega-city-regions) e, dall'altro, le città che pian piano, anche a causa delle dismissioni industriali, si andranno restringendo, fenomeno già conosciuto come “contracted cities”. L’Expo di Shanghai 2010, simbolo della volontà Cinese del passaggio da uno sviluppo economico “della quantità” (dirompente quanto incontrollato) ad uno sviluppo “della qualità” attribuisce in maniera definitiva alla scala complessiva della Città la dimensione dello spazio d’azione per garantire l’innalzamento della qualità della vita. In quest’ottica diventa fondamentale rafforzare all’interno dei processi di rigenerazione e sostituzione urbana il disegno dello spazio pubblico fisico ed immateriale.
Con la firma del Protocollo di intesa nel giugno 2010 a Nanjing per la collaborazione inter-universitaria tra la SouthEast University e l’Università Politecnica delle Marche, Area Urbanistica della Facoltà di Ingegneria di Ancona, è stata avviata l’ attività di collaborazione e sperimentazione per la realizzazione di un Parco Urbano di dieci ettari. Il progetto, attualmente in fase di start-up, si sviluppa in un area collocata all’interno di un frammento urbano del distretto dello Jiangning, nella municipalità di Nanjing. Il progetto rappresenta il punto di partenza per una riflessione più amplia e complessa sui caratteri dello spazio pubblico per la città contemporanea. L’obiettivo del progetto è ridefinire ed organizzare lo spazio pubblico attraverso l’integrazione dei sistemi della mobilità leggera, delle risorse ambientali e delle attrezzature pubbliche, per far si che la città si riappropri della sua vivibilità, secondo i principi di qualità urbana e qualità della vita, tema centrale dell’Expo mondiale di Shanghai Better City, Better life. L’intervento sull’area pilota, individuata dall’Istitute of Science & Technology of Architecture Southeast University, e attualmente al vaglio del Bureau of Land Resources Nanjing, rappresenta altresì un “contenitore urbano” in cui possono avere luogo applicazione tecnologiche e di interscambio fra le realtà italiana e cinese, un’occasione preziosa per lo sviluppo dei processi di internazionalizzazione e crescita culturale.
Nanjing Come tutte le città della Cina, influenzata politicamente da Pechino ed economicamente da Shanghai, cresciuta intorno al forte sviluppo delle risorse locali e al fenomeno della globalizzazione, Nanjing (Nanchino) è un caso tipico di evoluzione urbanistica cinese che coniuga una lunga storia di città pianificata con i caratteri dalla conformazione geografica naturale del sito. L’aspetto del nucleo urbano di Nanchino asseconda il concetto tradizionale di Feng Shui: la storica struttura urbana con le mura antiche, risalenti all’epoca della dinastia Ming, Giovanni Marinelli, Monica Pantaloni
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si combina con gli elementi naturali generando una stridente contrapposizione tra dirompente contemporaneità e fluida memoria storica della tradizione. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, lo sviluppo urbano ha interessato aree esterne, soprattutto nella direzione sud-ovest, andando a costituire un ambito metropolitano continuo ed eterogeneo di circa 6.560 chilometri quadrati (pari a circa due terzi della superficie territoriale della Regione Marche). Nanjing è una città di 7.4 milioni di abitanti: dopo Shanghai è il più grande centro economico dell’area Est della Cina. (Marinelli, Pantaloni 2011; p.273) Passeggiando per la metropoli tra scintillanti promenade e vicoli destabilizzanti, è evidente come il moderno sviluppo urbano, in risposta alla dirompente crescita industriale ed economica dello Stato, solleva, anche in questo caso, l’importante interrogativo se l’inarrestabile evoluzione urbana sia in grado di offrire ed accrescere qualità e dignità alla vita degli abitanti, ponendo al contempo l’interrogativo della compatibilità di tale sviluppo con la ricchezza del patrimonio della città storica e con l’offerta di ambiente sostenibile. (Acebillo, Ding; 2007) In questo senso l’ultimo progetto di sviluppo urbano più importante, in corso di realizzazione (oltre 180 ettari di aree per edifici terziario direzionale, commerciali, sportivi, turistici e residenziali) soprannominato “Waterfront wonders” ed esposto e celebrato con un apposito edificio vetrina all’ “Urban Planning Exhibition Hall”, costituisce uno dei progetti di rigenerazione del tessuto urbano. Il “Waterfront wonders”, lagato agli “Youth Olympic Games” del 2014 (quest’anno ospitati dalla città di Singapore), rappresenta uno degli interventi di nuova generazione sviluppato nel segno del cambiamento culturale della Cina verso la visione “ Better city Better Life”. L’Expo di Shanghai 2010, simbolo della volontà Cinese del passaggio da uno sviluppo economico “della quantità” (dirompente quanto incontrollato) ad uno sviluppo “della qualità” (articolato quanto interpretativo) attribuisce in maniera definitiva alla scala urbana complessiva della Città la dimensione dello spazio d’azione per garantire l’innalzamento della qualità della vita. (Hou Hanru, 2005)
Figura 1. La città infinita Shanghai-Nanjing: verso la Better City Better life
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Il tema dell’esposizione Universale rappresenta una speranza comune a tutto il genere umano: una vita migliore nel futuro sviluppo delle città del Pianeta, “Better city Better Life”, esprime l’interesse della comunità internazionale per le strategie di urbanizzazione e di sviluppo sostenibile. (Koolhaas, Boeri; p.332) Percorrendo i padiglioni dell’Expo di Shanghai si percepisce come l’aspettativa di una vita migliore ha attraversato tutta la storia urbana del genere umano e di come l’idea di qualità della vita debba essere necessariamente coniugata con la questione dello sviluppo sostenibile. La riflessione, articolata sui cinque temi cardine che declinano il ruolo della Città contemporanea, è un condensato di proposte, suggerimenti, modelli di città del futuro e stili armoniosi di vita urbana che intrecciano i temi complessi dell’Integrazione delle diverse culture, della Prosperità economica, dell’Innovazione tecnologica e dell’Interazione tra aree urbane e campagna. Visitando l’Expo 2010 a Shanghai si ha ancora la percezione del persistere dell’importanza creativa di una piattaforma internazionale di scambio culturale. (Casamonti, 2010) L’Expo mondiale, infatti, è anche un’ esposizione di architettura, che ne ha promosso i maestri e annunciato una nuova tendenza: quella di una “architettura ecologica” per un era di sviluppo urbano sostenibile, dimostrandone le illimitate possibilità di espressione. (Koolhaas, 2010; p.85). La protezione dell’ambiente è intesa non solo in termini di ambiente naturale, ma anche di conservazione del contesto e dell’identità urbana: la città stessa è parte dell’Expo e Shanghai ha dimostrato e messo in mostra l’ipotesi e le conseguenze possibili del tema, a partire dalla propria realtà urbana. (Balducci, Fedeli, 2010)
Un progetto di rigenerazione urbana – JDXT masterplan E’ il progetto guida dei processi di rigenerazione urbana dello Jiangning District. Definisce il programma complesso degli interventi, individuando brani di città che guidano i processi virtuosi di trasformazione e di rigenerazione dei tessuti. Obiettivo è definire la nuova armatura urbana come matrice per nuove percorrenze trasversali, un telaio di spazi pubblici continui per favorire la mobilità leggera, una nuova accessibilità ai luoghi, consentire l’attraversamento a piedi o in bicicletta della città, tessendo nuove relazioni con i sistemi dell’infrastruttura pubblica. Il programma degli interventi, implementabili nello spazio e nel tempo, garantisce l’interazione sinergica di quattro sistemi principali: 1. mobilità leggera; 2. energie (trattamento e recupero delle acque, captazione e conversione dell’energia solare, energia eolica, impianti di geotermia); 3. infrastrutture, proponendo le reti verdi come telaio per le relazioni, che garantisce la continuità fisica, ecologica e ambientale, matrice strutturante e qualificante lo spazio pubblico; 4. sistema delle reti effimere e delle relazioni virtuali integrate con sottosistemi applicativi di “domotica urbana” e “augmented reality” per lo spazio pubblico. (Capolla, 2011; p.8) Si ritiene che l’intervento sullo spazio pubblico, inteso come “scenario urbano” in grado di favorire la rigenerazione delle network sociali ed ambientali, pilastri fondanti per pensare a realtà urbane contemporanee vivibili, sia alla base dei processi di rigenerazione urbana della nuova città contemporanea. In questo senso, pensare ad un nuovo ruolo per lo Spazio pubblico, che risponda ai nuovi parametri di Qualità sociale e formale, dovrebbe essere alla base di tutti gli interventi che concorreranno alla trasformazione della città contemporanea stessa. (Secchi, 2006, p.287) Il progetto rappresenta l’occasione per l’introduzione e la sperimentazione di nuovi elementi di Eccellenza ed Innovazione , con l’obiettivo di: 1. Ridurre i consumi energetici e massimizzare del riutilizzo delle risorse rinnovabili; 2. Proporre forme innovative per la comunicazione, l’interazione e socialità; 3. Spostare le attenzioni della sostenibilità dall’ambito edilizio, a quello pubblico, passando dalla serie di microinterventi di natura privata spontanea, ad interventi sistemi e coordinati sullo spazio collettivo della città; 4. Incentivare i processi di partecipazione attiva dei cittadini, per favorire la nascita di meccanismi di responsabilizzazione come punto di partenza per la rigenerazione del tessuto urbano; 5. Sperimentare tecnologie per la digitalizzazione dei processi che interessano lo spazio pubblico e coloro che lo vivono, favorendo la sinergia tra comunità digitali e comunità locali. Anche attraverso dispositivi di “augmented reality”.
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Figura 2. Jiangning District Smart City: Masterplan guida e Vision degli interventi Quattro i principali elementi progettuali del programma di rigenerazione urbana guidato dallo Jiangning Masterplan (JDxt Urban Masterplan): 1. Green pattern and ecological network: La nuova rete di corridoi ecologici, diffusa in maniera capillare all’interno del tessuto urbano consolidato, contribuisce a mantenere la biodiversità in contesti urbanizzati, costituisce un sistema di “sezioni complesse strutturate” ( Kipar, 2011; p.35) ed interagisce con la rete della Giovanni Marinelli, Monica Pantaloni
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mobilità e il sistema del trasporto pubblico e privato, dotando il sistema infrastrutturale di uno spessore proprio, fisico e di significati aggiunti. 2. Energy network: La strategia di progetto prevede la strutturazione di network di risorse energetiche naturali rinnovabili, quali acqua, vento e sole, che interagiscono sinergicamente e divengono la vera forza motrice per le trasformazioni della città e del paesaggio. Una fitta RETE tecnologica costituisce un sistema complesso, in cui componenti atmosferiche, elementi dell’ingegneria e modi di comunicare interagiscono sinergicamente. Questa rete prevede l’interazione simultanea tra processi di generazione di energia, purificazione, riciclo e riuso delle acque, irrigazione, esondazioni artificiali controllate meccanicamente, e parallelamente organizza spazi e attività per il loisir, l’interazione e l’auto-organizzazione fra le persone (“city user”). 3. Pedestrian mobility and bike line: Il processo di rigenerazione urbana guidato dal JDTX Masterplan, disegna il sistema complessivo della mobilità e dell’accessibilità al parco favorendo una visione intermodale tra sistema del trasporto pubblico e privato. La rete della mobilità leggera si sviluppa secondo il disegno geometrico che costituisce la network di tutti i sistemi integrati e diffusi. La pedestrian and bike line si distribuisce uniformemente servendo l’area complessiva del parco e degli isolati interessati dal progetto per i nuovi insediamenti che circondano la Green Island, garantendo accessibilità e tempi di percorrenza massima di 20 minuti tra nodi intermodali. 4. Sistems and Nodes: smart parking and bike sharing. Il progetto si avvale di sistemi digitali per la gestione informatizzata delle aree parcheggio e della mobilità sostenibile, l’impiego della rete digitale concepisce i flussi e gli spostamenti all’interno della città in maniera “smart”, offrendo al city user una serie di servizi pubblici innovativi, quali: individuazione real time della propria posizione attuale, visualizzazione di mappe, itinerari e informazioni sull’intero territorio, anche attraverso dispositivi di “augmented reality” che consentono di usufruire di un servizio digitale per il noleggio gratuito di biciclette e avvalersi, in casi di necessità, di servizi assistenza per utenti deboli e di “Elderly control”.
Pieni e vuoti: come costruire la sostenibilità urbana La strategia per la rigenerazione dei tessuti urbani è basata sulla ricucitura sistemica dei vuoti e sulla definizione della rete verde come struttura urbana in grado di costruire una nuova ecologia dello spazio pubblico, (Angrilli, 2002, p.143) stabilendo rapporti di continuità dello spazio vissuto. I nuovi parametri di Qualità per la città Contemporanea sono legati ad un progetto unitario e sistemico della città dei Vuoti, ovvero della città Pubblica. L’obiettivo di operare all’interno di quel materiale definito come “vuoto urbano”, è quello di restituirgli valore aggregativo, collettivo, di socializzazione e di ricchezza per i cittadini: renderlo uno spazio flessibile, capace di ridefinirsi continuamente e di rapportarsi immediatamente con lo spazio fisico della città. Tale sistema, nel divenire invariante irrinunciabile per la città, costituisce la dorsale strutturale della nuova visione urbana attraverso la trama del verde ad ogni scala (Nucci, 2004; p.236): i nuovi percorsi pedonali, le piazze e gli spazi aperti pubblici, le piste ciclabili, la rete della mobilità (collettiva ed individuale), i nuovi luoghi centrali di servizio ad interesse sia sovra-locale che locale. La trasformazione continua dei territori urbani ha alterato in modo considerevole la percezione e la realtà della città vista come un’identità unitaria di spazio definito e forma costruita (Farr, 2007, p.157). I nuovi territori urbani che vediamo oggi, sempre più complessi, disarticolati, frammentati e inquinati, (Perrault, 2010; p.52) sono una sequenza di pieni e vuoti. Questa nuova realtà porta necessariamente a riconsiderare il concetto di “vuoto urbano” non più come elemento separatore, ma come “spazio delle opportunità”, trasformando la comprensione economica, sociale ed emotiva che si ha del vuoto, in una percezione assolutamente positiva. La metropoli, in contrasto con la città considerata come massa fisica e compatta, fa dei “vuoti” i suoi “elementi strutturanti”. Se questa condizione può essere vera per le città medio-grandi del modello europeo-continentale, diventa assolutamente intuibile e facilmente verificabile per i contesti delle IperMetropoli urbane della Cina. Grandi complessi urbanizzati che dalla CoreCity del centro, in maniera centrifuga ed imprevista, perdono progressivamente densità, generando brani di città in cui diventa possibile percepire la metropoli non più come massa fisica, ma piuttosto come “territorio” (Rogers, 2000; p.160). La realtà metropolitana di Nanjing rispecchia i caratteri della città contemporanea: un alternarsi di pieni e di vuoti, la cui strutturazione sistemica porterebbe alla rigenerazione dei tessuti urbani, costituendo l’opportunità per un nuovo disegno di spazi pubblici efficienti, che garantiscono la continuità ambientale ed ecologica, principi base di sostenibilità ambientale, imprescindibili per lo sviluppo futuro delle città contemporanee. Spostare l’attenzione sull’insieme degli spazi vuoti del “territorio metropolizzato” implica necessariamente una riflessione più ampia sulla questione complessiva della sostenibilità dello spazio urbano. (Clèment, 2000; p.68) In questo senso modificare l’ottica odierna, rivolta in maniera quasi esclusiva alla sostenibilità edilizia degli spazi privati indoor, e spostare l’attenzione verso un ripensamento generale dei vuoti della città metropolitana e allo sviluppo di una domotica per lo spazio pubblico, rappresenta il primo passo per iniziare a riflettere in
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maniera organica alle strategie da attuare per perseguire lâ&#x20AC;&#x2122;ambizioso progetto di una visione sistemica della sostenibilitĂ della CittĂ . (Register, 2006; p.121)
Figura 3. Green island Area: il nuovo parco urbano metropolitano dello Jiangning District
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Green island area La Green Island è uno dei tasselli del tessuto urbano interessati dal processo di rigenerazione guidato dal JDXT Masterplan. La Green Island, parco Urbano metropolitano, si connota come uno spazio prototipo per la sperimentazione, verifica ed implementazione dei principi guida per la progettazione dello spazio pubblco secondo nuovi parametri di Qualità sociale e formale. Costituisce il Green core del sistema JDXT Masterplan, che, complessivamente, interessa un tessuto urbano di circa 103 Km quadrati. Collocato a margine del tessuto edificato, rappresenta l’occasione per riconferire nuove identità ai luoghi, pensato come spazio prototipo SMART TOWN, per la sperimentazione e l’applicazione delle odierne tecnologie digitali afferiscono alla disciplina della Domotica applicata allo spazio pubblico per: 5. l’ informazione, la telecomunicazione, l’interazione e la socialità; 6. il controllo e la gestione intelligente delle energie; 7. interdipendenza fra aspetti naturalistici, biologici e tecnici. Gli elementi di Eccellenza ed Innovazione di cui il parco è arricchito, si organizzano in architetture effimere contenenti elementi di arredo urbano, dispositivi interattivi, assolutamente personalizzabili, di cui il cityuser può usufruire, non soltanto per migliorare le condizioni di partecipazione attiva, interazione e comunicazione fra i vari utenti della città, emulando le condizioni che si presentano normalmente, all’interno dei social network del web, ma anche per appropriarsi, in un certo senso, dello spazio pubblico stesso, adattandolo alle proprie esigenze, “interagendo” con esso.
“Sensitive space”: lo spazio delle sensazioni Lo spazio pubblico è il centro dei processi di rigenerazione urbana, anche se spesso non gli viene ancora conferita importanza nei processi di pianificazione e sviluppo della città. Questi processi sono costosi, lunghi e complessi: per questo i cittadini possono tardare anni prima di accorgersi del cambiamento sostanziale della città. Tra le scelte politiche la pianificazione tecnica e i progetti realizzati possono passare decenni. (Beatley, 2000; p.268). Per questo motivo è necessario affiancare ai piani strategici di intervento, non necessariamente costosi, capaci di pianificare cambiamenti futuri promessi ai cittadini, piccoli progetti che trasmenttono emozioni e capacità di coinvolgere l’utente. Azioni che, al contempo, guidano il processo, lo arricchiscono e moltiplicano le possibilità di successo. In un processo di lunga durata si deve poter realizzare possibili azioni che anticipino i benefici futuri (Bronzini, Bedini, Sampaolesi, 2011; p.177), che permettono di sperimentare possibili soluzioni e confrontare le decisioni prese con le situazioni reali. Queste azioni sviluppate a basso costo, permettono di evitare errori nel progetto, con le conseguenze economiche e sociali che possono accadere. “Lo spazio pubblico nella città è già poco più di un caso limite in ragione di uno spazio globale di connesse molteplicità locali, al posto di situazioni di prossimità che sviluppano reti locali, il dibattito pubblico si sviluppa in uno spazio virtuale, con le strade e le piazze che hanno smesso di essere il luogo principale di incontro e messa in scena. Internet sembra offrire un luogo per le relazioni sociali alternativo ai luoghi tradizionali”. (Innerarity, 2006; p.7) Questo fatto si può comprendere come un problema capace di incrementare il successivo svuotamento dello spazio pubblico, o, al contrario, si può considerare come una straordinaria opportunità per rafforzare le relazioni sociali locali, creando i necessari presupposti per migliorare la vivibilità degli spazi pubblici. Internet è oggigiorno il luogo dove con maggior successo si stanno sperimentando modelli di gestione collettiva. Secondo Juan Freire la crisi degli spazi pubblici (fisici) urbani, si deve anche alla mancanza di un disegno (aperto), che torni ad offrire ai cittadini un vero interesse nell’utilizzo; ed è riuscito ad introdurre nel dibattito i concetti come quello di “spazi ibridi”, riferendosi alle opportunità offerte dall’ibridazione della dimensione fisico con il digitale nello spazio pubblic, dando per scontato l’esistenza di una pelle digitale che lo caratterizza, dedicandosi a riflettere sulle sua qualità e caratteristiche. “Al posto di “ibrido” si utilizza il concetto di “sensitive space”, e con “ spazio sensibile” si fa riferimento al carattere “vivo” di questi spazi, la sua capacità di promuovere una relazione bidirezionale con i suoi utenti, di catalizzare reti sociali iperfocali e visualizzare in maniera trasparente l’informazione relazionate al contesto. (Ecosistema Urbano, 2010a). Grazie alle nuove tecnologie e “mutazioni” culturali, sistemi e mondi, prima totalmente chiusi e molte volte poco trasparenti, si aprono alla partecipazione di agenti (e persone) esterni alle sue strutture organizzative. (Ratti, Calabrese, 2008; p.42) I cittadini tornano ad essere disponibili a partecipare e collaborare perché sono più informati e finalmente considerati interlocutori utili per la gestione urbana. Architetti e urbanisti possono ragionevolmente iniziare a Giovanni Marinelli, Monica Pantaloni
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lavorare in costante comunicazione con i cittadini, “condividendo” con loro il proprio “potere”decisionale. Per spiegare quanto fenomeno si può fare riferimento al concetto ”long tail” di Chris Anderson. ”Internet e il contesto digitale hanno cambiato le leggi di distribuzione (del potere) e le regole del mercato. L’attuale sistema economico e politico si basa su una struttura piramidale dove il potere (o il potenziale economico o creativo) di molti si considera inferiore a quello di pochi che sono nella parte più alta della piramide.” Esiste un nuovo sistema basato sulla somma o accumulazione di tutte le piccole potenzialità (o poteri) della massa, che grazie ai sistemi di comunicazione in rete offerti da internet possono eguagliare o superare il potere (o potenziale), di quelli che oggi si trovano in una posizione privilegiata. Sono l’antico mercato di massa e la nuova nicchia di mercato rappresentati dalla testa alla coda della famosa grafica di distribuzione statistica. (Ecosistema Urbano, 2010b).
Verso le reti sociali “Da quando si è diffuso l’accesso a Internet, alla fine degli anni 90, molti appassionati passavano ore chattando con chi era fuori in sale da chat aperte. Oggi con la social network (o reti sociali) le cose stanno cambiando. In queste reti non interessa parlare con chiunque, ma al contrario si chiede di conoscere amici degli amici, o persone con le quali condividere determinate passioni. Un social network si compone di due cose, da un lato la vetrina (una descrizione personale), dall’altro lato un sistema che permette di stabilire un contatto (amicizia) con altri utenti, precisamente la rete (la comunicazione). Lo spazio si è trasformato in una rete, un flusso. Quando tutto questo succedeva nello spazio reale, nella maggior parte dei casi si trattava di spazio pubblico. Era lì dove ogni persona esibiva sé stesso e dove si poteva conoscere e comunicare con altra gente. Questa vetrina pubblica e aperta, probabilmente non sembra più sufficiente: troppo generico” .(Ecosistema Urbano, 2009). Come superare la concorrenzialità fra le agorà digitali e lo spazio pubblico come luogo fisico per l’incontro e la socialità? Lo spazio pubblico, sistemico, continuo e complesso favorisce la possibile strutturazione di processi sinergici fra lo spazio fisico e lo spazio effimero, individuando punti di contatto fra le due realtà della socialità. (Ottone, 2008; p.54) Cercando di stabilire un rapporto sinergico, un’ osmosi fra comunità digitali e comunità locali, rendendo più effimero e digitale lo spazio fisico e, al contempo, tentando di dare fisicità alle nuove agorà digitali, sarà possibile annullare le distanze e la competizione fra le due realtà e restituire allo spazio pubblico l’originario ruolo primario di scambio culturale, sociale e democratico nella città contemporanea.
Democrazia e partecipazione: il nuovo disegno della citta’ pubblica L’attuale contesto culturale cinese, fluido, soggetto a dinamiche in continua trasformazione, è sicuramente più recettivo e flessibile riguardo la sperimentazione di forme innovative per una nuova socialità e democrazia. Il progetto rappresenta anche un’occasione per proporre delle questioni inedite: come sviluppare nuove forme di spazialità pubbliche in una fase di crescente privatizzazione dello spazio urbano? Come resistere alla trasformazione di quartieri residenziali e alla privatizzazione della città? (Mars, Vendel, 2005) In quest’ottica risulta importante considerare lo spazio pubblico interattivo, intelligente, tecnologico e digitale, come possibile strumento con il quale le autorità di governo locale possono guidare il cittadino nel processo di maturazione del sentimento di cittadinanza attiva, responsabile e, quindi “sostenibile”, considerando l’informazione e la comunicazione valori cardine di una nuova democrazia partecipativa per la contemporanea città di Nanjing. (McGuirk, 2010) Il miglioramento del livello d’informazione, conoscenza e condivisione, sono elementi imprescindibili per sperimentare nuove forme di democrazia partecipativa, non limitata agli aspetti passivi di tipo comunicativoinformativo, ma finalizzata alla costruzione condivisa delle linee guida delle politiche urbane. La crisi dello spazio pubblico è superabile se lo spazio pubblico stesso offre la possibilità di sviluppare senso di cittadinanza, democrazia, coscienza e responsabilità, partecipazione attiva dei cittadini nei processi decisionali di trasformazione del territorio, inteso come bene appartenente all’intera comunità. (Foster, 2006; p.62) Questo anche per incoraggiare i movimenti reciproci e le trattative dinamiche fra i gruppi sociali, comunità e classi diverse, incoraggiando l’auto-organizzazione ed il processo che conduce ad una sempre maggiore complessità della struttura sociale tramite azioni fai-da-te e di responsabilizzazione delle comunità.
Bibliografia Libri Angrilli M. (2002), Reti verdi urbane, Palombi Editori, Roma. Beatley T. (2000), Green urbanism. Learning from European cities, Island Press, Washington DC Giovanni Marinelli, Monica Pantaloni
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Un progetto urbano nello Jiangning District, Nanjing, China
Capolla M. (2011), Progettare la domotica: criteri e tecniche per la progettazione della casa intelligente, Maggioli Editore, Rimini. Clèment G. (2000), Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata. Farr D. (2007), Susteinable Urbanism: urban design with nature, John Wiley & Sons, Inc.H, New Jersey. Kipar A., Cassatella C., Aggarwala R., Kuhn R. Raffestin C., Wines J.(2011), Landscape to be - Paesaggio al futuro, Marsilio Editore, Venezia. Koolhaas R. (2010), Singapore songlines, Quodlibet, Macerata. Koolhaas R., Boeri S. (2000) , Mutations, Actar, Bordeaux. Nucci L. (2004), Reti verdi e disegno della città contemporanea. La costruzione del nuovo piano di Londra, Gangemi Editore, Roma. Ottone F. (2008), Il progetto secondo: nuovi spazi del progetto ambientale,Quodlibet, Macerata. Register R. (2006), Ecocities. Rebuilding Cities in Balance with Nature, New Society Publishers, Canada. Rogers R., Gumuchdjian P. (2000), Cities for a small planet, Gustavo Gili, Barcellona. Acebillo J., Ding W. (a cura di, 2007), Beijing Shanghai Nanjing 3 chinese venues, Mendrisio Academy Press, Mendrisio. Bronzini, F. Bedini M.A., Sampaolesi S. (a cura di, 2011), La città amica di Roberto Busi, Ancona University Press, Ancona. Foster N. (2006), “Punti di vista: architetture e città”, in Città, architettura e società, atti della 10. Mostra Internazionale di Architettura, pp. 62-63 Kitayama K., Tsukamoto Y., Nishizawa R. (2010), Tokyo Metabolizing, atti della 12. Mostra Internazionale di Architettura, pp. 86-87 Perrault D. (2010), Metropolis? atti della 12. Mostra Internazionale di Architettura, pp.52 Ratti C., Calabrese. (2008), “Nolli 2.0”, in Uneternal City. Urbanisme beyond Rome, atti della 11.Mostra Internazionale di Architettura, pp. 41-48 Secchi B. (2006), “Progetto di suolo 2”, in Spazi Pubblici Contemporanei Architettura a volume zero, Skira, Milano, pp.287-29 Articoli su rivista Balducci A., Fedeli V. (2010), “Shanghai, Expo 2010. Better city, better life: una nuova scommessa sulla città” in Urbanistica, n.143, pp. 43-67 Casamonti M. (2010), “ Expo 2010 Shanghai Better City, Better Life” , in Area, n.110, pp.2-7 Ecosistema Urbano, (2006), ” Sensitive spaces”, in Paisea, n.012, pp.7-12 Hanru H. (2005), “Tornare nelle strade-note sull’urbanistica cinese e sullo sviluppo di Pechino”, in Area, n. 78, pp.16-23 Marinelli G., Pantaloni M. (2011), “Un parco urbano per Nanjing: principi guida per ripensare lo spazio pubblico nella città contemporanea”, in Mterritorio, Journal of Urban Planning, socio-economic and cultural testimony, n.2, pp. 272- 285 Mars N., Vendel S. (2005), “Cina sottochiave-comunità recintate e stratificazione nella Repubblica Popolare”, in Area, n. 78, pp. 24-39 McGuirk J. (2010), “Previ, l’utopia metabolista”, in Domus, n.946, pp. 58-61
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Domotica, risparmio energetico e partecipazione per la ricucitura sistemica dei vuoti urbani
Strategie innovative di rigenerazione degli spazi pubblici Fabio Bronzini Università Politecnica delle Marche Dipartimento SIMAU Email: lutacurb@univpm.it Tel. 071.2204593 Giovanni Marinelli Università Politecnica delle Marche Dipartimento SIMAU Email: g.marinelli@univpm.it Tel. 339.5751995
Abstract Modificare l’ottica odierna, rivolta in maniera quasi esclusiva alla sostenibilità edilizia degli spazi privati indoor, e spostare l’attenzione verso un ripensamento generale dei vuoti della città e allo sviluppo di una domotica per lo spazio pubblico, rappresenta il primo passo per iniziare a riflettere in maniera organica alle strategie da attuare per perseguire l’ambizioso progetto, non più procrastinabile, di una visione sistemica della sostenibilità della Città. E’ possibile coniugare efficienza energetica, comfort urbano, nuove forme di socialità, con una maggiore qualità sociale e formale dell’abitare? l’integrazione tra pianificazione urbanistica e progettazione di innovativi dispositivi urbani può rappresentare un occasione per attivare processi per la definizione di una “nuova qualità dello spazio pubblico”, capace di legare innovazione d’impresa e gestione dei servizi al cittadino riportando il tema della qualità della città al centro del dibattito locale e nazionale.
Domotica, risparmio energetico e partecipazione per la ricucitura sistemica dei vuoti urbani e la governance delle frange insediative Il termine “domotica”, dal francese “domotique”, nasce dalla fusione tra il latino “domus” [casa, in senso padronale] e il francese “informatique” (frutto a sua volta della fusione di “informazione” ed “elettronica”). Questo termine nasce con l’intento di descrivere la disciplina che si occupa dello studio delle tecnologie volte al miglioramento della qualità della vita nella casa e, più in generale, negli spazi occupati dagli esseri umani. (Capolla, 2011; p.8) Tale disciplina si è sviluppata lungo la linea evolutiva tracciata dagli sviluppi tecnologici e procede di pari passo con essi. L’intento è quello di costituire un’occasione reale ed effettiva di sperimentazione per nuove forme dell’abitare e del coabitare. Una disciplina di questo tipo, dunque, è una disciplina progettuale che mira all’integrazione, all’interfaccia, al dialogo e alla condivisione di informazioni in una rete e che collega, nella maniera più fluida possibile, sensori, dispositivi e uomo (“city user”). (Foster, 2006; p.62) Nel terzo trattato del De Re Aedificatoria Leon Battista Alberti si concentra su un principio che ritiene fondante: "se una casa va concepita nell'articolazione degli spazi, come una piccola città, una città allora rappresenta una grande casa". A partire da questa suggestiva osmosi tra l’idea di “casa” e di spazio urbano, il lavoro di ricerca si concentra nel valutare la sinergia tra spazio privato e spazio pubblico proponendo una casa sempre più aperta e connessa con l’esterno, in una relazione diretta con il sistema urbano dello spazio pubblico alla scala del quartiere e della città. Seguendo questo intento il concetto stesso di confine, fisico e simbolico, tra l’interno e l’esterno va via via sfumando, diviene labile e di difficile demarcazione. In questo senso il concetto stesso di qualità della vita va ricercato in una diversa declinazione, passando dal significato del risiedere a quello dell’abitare. Il concept “Better city Better life” (città migliore per una vita migliore), tema dell’ Expo Shanghai 2010, attribuisce in maniera definitiva alla dimensione complessiva della qualità urbana il miglioramento della qualità della vita. In quest’ottica diventa fondamentale rafforzare, all’interno dei processi di rigenerazione e Fabio Bronzini, Giovanni Marinelli
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sostituzione urbana, il disegno dello spazio pubblico fisico ed immateriale, passando da una logica di potenziamento del “comfort” dall’ambiente privato (domotica indoor) a quello sistemico del Progetto urbano dello spazio pubblico (domotica urbana). (Marinelli, Pantaloni, 2011; p.273) Il progetto di ricerca sviluppato dall’Area Urbanistica dell’ Università Politecnica delle Marche di Ancona, nato a partire dall’esperienza pregressa del progetto “Little Marche Padre Matteo Ricci” - avviato a Nanchino in collaborazione della Sautheast University (Bronzini, 2011; p.255) - è finalizzato a ridefinire il ruolo dello spazio pubblico di sistemi urbani territoriali attraverso la sperimentazione di dispositivi innovativi di gestione delle risorse energetiche, ambientali, sociali e culturali in micro ambiti insediativi distribuiti sul territorio (nuclei frazionali e centri minori) e frange insediative periurbane, che caratterizzano il territorio della Provincia di Ancona e, in maniera diffusa, la Regione Marche. (Bronzini, Marinelli, 2010; p.99) Il progetto di ricerca si sviluppa sul contesto territoriale di Fabriano - riconosciuto dal Governo italiano come Distretto specializzato nella domotica. Il Comune e le imprese locali, sensibili al tema della domotica e della gestione sostenibile del territorio e delle risorse ambientali - rappresenta un contesto fertile per la sperimentazione di sistemi innovativi per la produzione di spazi pubblici energeticamente sostenibili, in cui automazione e controllo dei consumi si coniugano con livelli maggiori di comfort urbano. (Rogers, 2000; p.160) Il progetto affronta sei tematiche dominanti: 1. Individuare nella progettazione dello spazio pubblico il punto di partenza per una visione sistemica di sostenibilità della città contemporanea, introducendo, all’interno dei processi di produzione dei servizi pubblici, logiche di risparmio energetico e utilizzo di energie rinnovabili; 2. Elaborare strategie di ricucitura degli spazi pubblici a partire dalla strutturazione organica ed integrata dei vuoti urbani, presenti in percentuale considerevole nella città, che possono rappresentare il processo-guida verso la rigenerazione dei tessuti urbani; 3. Spostare l’attenzione dal problema della sostenibilità dall’ambito edilizio-privato a quello istituzionale dello spazio pubblico, cercando una nuova coerenza amministrativa e progettuale per la gestione sistemica della sostenibilità della città, al fine di elaborare i principi guida per una Domotica del sistema di spazi pubblici. 4. Rafforzare i sistemi di connessione tra gli aggregati insediativi diffusi sul territorio, centri minori e nuclei frazionali, per l’ottimizzazione delle risorse pubbliche (servizi sociali, trasporto pubblico, assistenza sanitaria, sottoservizi e sicurezza, gestione dei rifiuti, gestione del microclima urbano, delle acque, dell’illuminazione, delle reti tecnologiche) e la valorizzazione del patrimonio residenziale esistente anche in chiave turistico ricettiva; 5. Attivare processi di cooperazione tra aziende locali e amministrazioni pubbliche per l’individuazione di nuove filiere per la produzione di elementi innovativi di arredo urbano, integrati con dispositivi di controllo del microclima, dei sistemi di illuminazione, comunicazione e riutilizzo delle risorse rinnovabili, associati a processi di pianificazione e strategia territoriale. 6. Attivare forme di partecipazione e di coinvolgimento della popolazione nei processi decisionali di costruzione e gestione degli spazi pubblici e collettivi della città.
Il territorio di Fabriano come campo di sperimentazione L’insediamento del fabrianese rivela una contraddizione stridente tra la ricchezza del sistema ambientale naturale, del patrimonio storico-culturale, del tessuto produttivo, civile e sociale, e lo scarso apporto di qualità della progettazione urbana e architettonica contemporanea. La città presenta alcuni valori identitari forti: il paesaggio urbano e naturalistico, beni storico-artistici di grande valore, un tessuto industriale fatto di imprese di grande tradizione e allo stesso tempo di forte presenza sul mercato. In ognuno di questi settori, però, appare evidente l’assenza di quella mediazione virtuosa che spetta allo spazio pubblico contemporaneo, che deve rendere accessibile e fruibile il bene-paesaggio, valorizzare al meglio e presentare al mondo le tracce di memoria, far sì che l’impatto di strutture industriali grandi e allo stesso tempo diffuse sia sopportabile e non finisca per annullare quel valore di identità che viene dal luogo e dalla sua storia. Manca cioè il contributo che proprio il progetto dello spazio pubblico può offrire alla qualità complessiva della città e all’armonizzazione degli elementi principali che ne configurano l’identità. L’integrazione tra pianificazione urbanistica e progettazione di innovativi dispositivi urbani rappresenta un occasione per il Comune di Fabriano di attivare processi per la definizione di una “nuova qualità dello spazio pubblico”, che lega innovazione d’impresa e gestione dei servizi al cittadino. L’obiettivo del progetto è quindi quello di sperimentare nuove filiere per la produzione di elementi di arredo urbano, integrati con dispositivi di controllo del microclima, dei sistemi di illuminazione, comunicazione e riutilizzo delle risorse rinnovabili associati a processi di pianificazione e di strategia territoriale. (Farr, 2008;p. 157). Il campo di sperimentazione progettuale si concentra principalmente sulla riqualificazione dei centri storici minori e dei nuclei frazionali che gravitano sul territorio fabrianese. Di particolare interesse per l’amministrazione comunale è lo studio del sistema delle relazioni tra i centri minori ed il capoluogo. In questo
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senso il programma di lavoro vede il coinvolgimento attivo della popolazione residente nei nuclei frazionali per l’individuazione degli interventi prioritari e degli indirizzi progettuali specifici.
La rete dei nuclei frazioni e dei filamenti insediativi sul territorio: la strategia progettuale Fabriano, con una superficie di 269,61 kmq, risulta essere uno dei comuni più estesi d’Italia. Il territorio, dal punto di vista di uso del suolo, è caratterizzato da un diffuso sistema di centri e nuclei urbani minori che si organizzano attorno al capoluogo. Alla notevole dilatazione spaziale corrisponde, secondo il censimento dell’ISTAT effettuato nel 2001, una popolazione di soli 30.019 abitanti di cui 21.515 risiedono nel capoluogo e 8.504 abitano nelle frazioni. Data l’importanza del mantenimento dei confini, Fabriano trasformò nel tempo molti dei castelli annessi in presidi e ne costruì di nuovi. L’importanza storica di tali insediamenti ha determinato lo svilupparsi di un patrimonio che oggi risulta di notevole interesse ma che esprime quotidianamente moltissime criticità a livello gestionale (spesa pubblica), sociale (invecchiamento della popolazione e integrazione etnica) ed ambientale (consumo di suolo, emissione di CO2 dovuto al traffico veicolare privato per spostamenti e consumi energetici). Dalla lettura critica del sistema delle relazioni tra nuclei frazionali e capoluogo, condotto per la definizione del progetto, sono stati individuati 6 ambiti distinti di approfondimento per i quali verranno studiate apposite soluzioni progettuali.
Figura 1. Vision guida ed individuazione degli Ambiti di intervento nel territorio Fabriano Fabio Bronzini, Giovanni Marinelli
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Dallo sviluppo del progetto ci si aspetta, da un lato, la possibilità di accompagnare e sostenere le scelte del Comune attraverso degli studi mirati, e dall’altro, di poter proporre, a fronte di indagini sul campo, alcuni interventi diffusi. Il telaio delle strategie di intervento individua nel “progetto urbano” del sistema di spazi pubblici il punto di partenza per una visione sistemica di sostenibilità della città contemporanea e dei filamenti insediativi che da essa si ramificano nel territorio circostante, introducendo, all’interno dei processi di produzione dei servizi pubblici, logiche di risparmio energetico e utilizzo di energie rinnovabili.
Figura 2. Strategie di intervento e suggestioni progettuali per il filamento insediativo della valle di Cancelli In questo contesto l’obiettivo è quello di realizzare, associato al progetto di riqualificazione urbana, una infrastruttura tecnologica di supporto che permetta di veicolare tutta una serie di informazioni utili alle possibili reti energetiche urbane (urban energy networks) che verranno convogliate e rielaborate in differenti “smart agent” per fornire servizi a più alto livello. (Ratti, Calabrese, 2008; p. 42) L’infrastruttura di appoggio per lo sviluppo della rete potrebbe essere la stessa rete di illuminazione pubblica esistente attraverso la tecnologia” PLC Power line communication.” L’infrastruttura esistente, riadattata, è il mezzo per veicolare servizi ed informazioni. Le principali applicazioni riguardano: 1. La raccolta delle informazioni di consumo energetico provenienti dalle utenze locali (abitazioni o attività commerciali) per cercare di prevedere ed ottimizzare la domanda elettrica che potrebbe gravare sulla rete; 2. La programmazione dell’installazione di impianti di generazione distribuita a servizio dell’area urbana di riferimento; 3. Suggerimenti all’utente finale sotto forma di feed-back in merito a best practices o comportamenti virtuosi, in modo da educare il consumatore finale ad essere parte attiva nel processo di trasformazione energetica; 4. Sistemi di controllo per la sicurezza ed il decoro negli spazi urbani; 5. Sistemi di controllo sulla info-mobilità, anche pensando a servizi di chiamata on demand da parte dei consumatori finali;
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6. Sistemi di informazioni per i turisti (orari di apertura di servizi di utilità quali farmacie, bar, orari e giorni di apertura dei ristoranti, musei, itinerari turistici…); 7. Sistemi di health care e tele assistenza per persone anziane La finalità del progetto è rappresentata dalla possibilità di fornire un ulteriore strumento operativo/metodologico che sia il più possibile valido ed accurato, per l’individuazione degli interventi da attuare. In questo senso la Regione Marche ha già sviluppato, nell’ambito del programma Jade, il modello organizzativo previsto dell’ “open innovation”, cioè condivisione di obiettivi e visione strategica con effetto moltiplicatore sui risultati della ricerca. I temi affrontati sono stati l’integrazione di sistemi di risparmio energetico, il monitoraggio e controllo remoto di apparecchi e sistemi, la micro generazione e il micro consumo, le Smart Grid e Local Smart Grid, la misura e il controllo della qualità ambientale domestica (aria, temperatura, illuminazione, acqua, etc.), la sensoristica, i sistemi integrati di controllo e automazione domestica, i protocolli di comunicazione “smart”, l’adattamento e l’implementazione di tecnologie e sistemi terzi. L’obiettivo è la definizione di standard di comunicazione e interoperatività tra i vari prodotti e servizi all’interno dell’ambiente urbano con finalità di efficienza energetica, prestazioni sempre migliori e qualità urbana. (Ottone, 2008; p.54). I progetti puntuali, attivati sul telaio del masterplan urbanistico di riqualificazione urbana, prevedono lo studio e l’implementazione di sensori e di tecnologie in grado di migliorare la qualità e la funzionalità degli ambienti pubblici outdoor ed indoor.
Figura 3. Il “Giardino domotico” lungo il parco fluviale del Giano, area urbana di Fabriano I principali interventi sperimentali di domotica estesa a sistemi di aree pubbliche e servizi urbani per il miglioramento della qualità della vita e della sicurezza sono: 1. “Elderly control” sistema centralizzato di assistenza controllo degli anziani non autosufficienti per i principali centri e nuclei urbani rurali del fabrianese: controllo perdite gas e acqua, temperatura interna, richieste ricette e medicine, controllo pressione, richiesta acquisto alimenti e consegna a casa, richiesta pulmino per spostamenti interurbani, richiesta di SOS. 2. Il “Giardino domotico sul Giano” progetto di un percorso urbano lungo il parco fluviale del capoluogo fabrianese, dove vengono organizzate zone di sosta al coperto e all’aperto, con collegamento internet gratuito, con microclimi controllati per periodi di elevato caldo e freddo, con “nodi domotici” di spazio pubblico sperimentali. 3. “Smart parking” gestione informatizzata domanda offerta di parcheggi dell’area urbana di Fabriano. 4. “Smart urban enviroment” realizzazione sperimentale di microclimi in tre aree pubbliche urbane del centro urbano di Fabriano. 5. “Smart landscape ad history guide” guida personalizzata interattiva tridimensionale di percorsi turistici nel fabrianese anche attraverso dispositivi di “Augmented reality” 6. “Safety Home” controllo e gestione degli appartamenti utilizzati solo stagionalmente, ubicati in cinque nuclei storici urbani del Comune di Fabriano: controllo chiusura porte, gas, illuminazione, perdite d’acqua, conseguenze di forti temporali o scosse di terremoto in tempo reale. Il lavoro di ricerca ambisce a dare struttura ad un processo complesso di coordinamento di interessi pubblici e privati. All’obiettivo comune di migliorare la qualità formale e sociale del sistema urbano esistente, il progetto di ricerca affianca la necessità di generare innovazione d’impresa tentando di sviluppare una filiera di Fabio Bronzini, Giovanni Marinelli
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produzione per l’evoluzione dei contenuti prestazionali (utilizzo delle energie rinnovabili, controllo dei consumi e delle spese gestionali pubbliche), di maggior comfort (controllo del microclima urbano, illuminazione, socialità), di sicurezza (indotta o attraverso forme di autocontrollo) e di piacevolezza dello spazio pubblico. All’innovazione coordinata con i processi di produzione, si affianca la necessità di avere una visione complessiva di sviluppo territoriale che non può prescindere da una visione sistemica del territorio e del proprio patrimonio storico culturale e ambientale che caratterizza il territorio provinciale.
Conclusioni “Il fenomeno della dispersione urbana ha assunto, nel tempo, una dimensione problematica per l’alto consumo di suolo, risorse ambientali e paesaggistiche, per gli elevati costi sociali che impone, per l’impossibilità di servire, con un sistema di trasporto pubblico efficiente, territori nati ad esclusivo uso dell’automobile.” (Fregolent, 2005; p.88) Modificare l’ottica odierna, rivolta in maniera quasi esclusiva alla sostenibilità edilizia degli spazi privati indoor, e spostare l’attenzione verso un ripensamento generale dei vuoti della città e lo sviluppo della domotica per il sistema di spazi pubblici, rappresenta il primo passo per riflettere in maniera organica sulle strategie da attuare per perseguire l’ambizioso progetto di una visione sistemica della sostenibilità della città e dei territori. E’ possibile coniugare efficienza energetica, comfort urbano, nuove forme di socialità, maggiore qualità sociale e formale dell’abitare? L’integrazione tra pianificazione urbanistica e progettazione di innovativi dispositivi urbani può rappresentare un’occasione per attivare processi per la definizione di una “nuova qualità dello spazio pubblico”, capace di legare innovazione d’impresa e gestione dei servizi al cittadino. (Bronzini, Marinelli, 2010; p.99). In quest’ottica è possibile cercare una nuova coerenza amministrativa e progettuale per la gestione sistemica della sostenibilità della città al fine di elaborare i principi guida per una Domotica del sistema delle aree pubbliche e riportare il tema della qualità sociale e formale della città al centro del dibattito locale e nazionale. (Bronzini, Bedini, Sampaolesi, 2011; p.177) La definizione di “domotica urbana” rappresenta sicuramente una sfida innovativa sulla quale si stanno cimentando molte città europee. (Foster, 2006; p.62). Oggi più che mai il tema della sostenibilità dell’ambiente urbano è al centro dei dibattiti culturali sulla città e tra i primi punti nelle agende degli amministratori locali e nazionali. Spostare l’attenzione sulla progettazione di sistemi di spazi urbani basati su principi di efficienza energetica “carbon neutral” evidenzia come l’innovazione possa e debba riguardare anche l’aspetto metodologico, sia nei processi produttivi che nell’attivazione e nell’offerta di servizi. (Beatley, 2000; p.268). Innovativo, da questo punto di vista, diventerebbe il processo attraverso il quale si arriva all’individuazione ed alla pianificazione dell’intervento, sia esso legato all’urbanistica che all’integrazione sociale nella comunità. (Register, 2006; p.121) Sarebbe infatti auspicabile che un’attenta analisi interpretativa e di valutazione evolutiva della realtà fosse considerata come una fase fondamentale, preliminare ad ogni intervento. Individuare best practices, dispositivi, prodotti, modelli e applicazioni delle soluzioni innovative progettuali, integrate e coniugate con le filiere produttive delle aziende o messe in produzione, potranno generare opportunità inaspettate attorno al tema innovativo della domotica urbana, promuovendo occasioni di innovazione e rilancio economico a livello locale e regionale. Per questo motivo si crede che una metodologia di questo tipo possa e debba essere, nel momento in cui se ne dimostra la validità, adottata in molteplici realtà differenti, trovare valida attuazione negli enti pubblici, deputati alla pianificazione e gestione della città, del territorio e della comunità nel suo complesso, ma anche in realtà private di aziende locali del territorio, generando innovazione attraverso lo sviluppo di brevetti per sistemi di controllo dei consumi e di comfort ambientale per lo spazio pubblico. La collaborazione diretta con aziende locali leader nazionali, esperte di sistemi di domotica per la casa, rappresenta l’elemento di unione tra progetto pubblico e controllo di fattibilità delle soluzioni progettuali.
Bibliografia Libri Beatley T. (2000), Green urbanism. Learning from European cities, Island Press, Washington DC. Capolla M. (2011), Progettare la domotica: criteri e tecniche per la progettazione della casa intelligente, Maggioli Editore, Rimini. Farr D. (2007), Susteinable Urbanism: urban design with nature, John Wiley & Sons, Inc.H, New Jersey. Fregolent L. (2005), Governare la dispersione, FrancoAngeli, Milano. Ottone F. (2008), Il progetto secondo: nuovi spazi del progetto ambientale,Quodlibet, Macerata. Register R. (2006), Ecocities. Rebuilding Cities in Balance with Nature, New Society Publishers, Canada. Fabio Bronzini, Giovanni Marinelli
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Domotica, risparmio energetico e partecipazione per la ricucitura sistemica dei vuoti urbani
Rogers R., Gumuchdjian P. (2000), Cities for a small planet, Gustavo Gili, Barcellona. Bronzini F., Bedini M.A., Sampaolesi S. (a cura di, 2011), La città amica di Roberto Busi, Ancona University Press, Ancona. Foster N. (2006), “Punti di vista: architetture e città”, in Città, architettura e società, atti della 10. Mostra Internazionale di Architettura, pp. 62-63 Ratti C., Calabrese. (2008), “Nolli 2.0”, in Uneternal City. Urbanisme beyond Rome, atti della 11.Mostra Internazionale di Architettura, pp. 41-48. Articoli Bronzini F., Marinelli G. (2010), “I nuovi territori dell’urbanistica”, in Mterritorio, Journal of Urban Planning, socio-economic and cultural testimony, n.2, pp. 99-104. Marinelli G., Pantaloni M. (2011), “Un parco urbano per Nanjing: principi guida per ripensare lo spazio pubblico nella città contemporanea”, in Mterritorio, Journal of Urban Planning, socio-economic and cultural testimony, n.2, pp. 272- 285
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Innovazione tecnologica e sostenibilità nel progetto dell’housing sociale
Innovazione tecnologica e sostenibilità nel progetto dell’housing sociale intelligente1 Valeria Lingua Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio Email: valeria.lingua@unifi.it Tel. 055.2756475 Fax 055.2756488 Jacopo Favara Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Tecnologie dell'Architettura e Design "Pierluigi Spadolini" Email: jacopo_favara@yahoo.it Tel. 055.2055528 Fax. 055.2055599
Abstract Il paper si interroga sulla trasposizione delle retoriche di smart, ecologic and sustainable city nell’ambito teorico e pratico dell’housing sociale. Un campo che ha subito notevoli cambiamenti negli ultimi decenni in riferimento ai modelli tipologici e prestazionali, al target di riferimento e alle modalità di concezione in relazione alla città e al territorio. Nuovi modi di vivere (city users e modifiche nell’organizzazione e nella parcellizzazione del lavoro) e nuovi modi di abitare (co-housing e co-working, telelavoro) completamente diversi dal passatoimplicano un diverso rapporto con la città: una città diversa, caratterizzata da una maggiore efficienza e nuove tecnologie nella produzione di beni e servizi, nella mobilità, nei trasporti, nell'uso delle risorse, dove un progetto dell’housing sociale sostenibile, ecologico e intelligente non solo rappresenta una nuova frontiera per la sperimentazione tipologica e tecnologica, ma diventa precondizione per la fattibilità di operazioni di trasformazione o riqualificazione urbana che si scontrano oggi con nuovi meccanismi (e notevoli problemi) finanziari e gestionali.
Vecchie e nuove retoriche per l’abitare Nel 1983 il geografo Jean Gottmann lancia il concetto di “città invincibile”, un termine che esplicita una visione positiva (se non positivista) dell’evoluzione urbana del XX secolo, intesa come svolta nella storia dell’umanità e metamorfosi nell’organizzazione del mondo. Rispetto a quel mito, tramontato con la presa d’atto della “crisi della città”, ovvero del peso delle funzioni urbane sia sulla salute umana, sia su quella del territorio su cui insiste, 1
Le considerazioni riportate in questo lavoro sono parte della riflessione più ampia svolta nell’ambito del progetto di ricerca “ABITARE SOCIALE. Modelli architettonici e urbanistici sostenibili”, promosso dalla Regione Toscana ai fini di fornire metodi e procedure utili a costruire una significativa offerta di alloggi in affitto in Toscana. Il progetto, che prevede uno sforzo congiunto dell’Università, degli operatori sociali e finanziari e delle amministrazioni locali, coinvolge tutto lo spettro degli attori che operano nel settore, nella convinzione che questa sia una condizione necessaria a portare su un versante di concretezza e operatività un tema sempre più strategico nel quadro sociale economico e insediativo della Regione Toscana. Partecipano alla ricerca: Università di Firenze, attraverso il contributo integrato dei gruppi di Progettazione (Fabrizio Rossi Prodi, Alessandro Flaminio, Francesca Genise, Alessandra Pizzetti, Tommaso Rafanelli, Tommaso Vergelli), Urbanistica (Giuseppe De Luca, Elisa Cappelletti, Gianfranco Gorelli, Valeria Lingua, Camilla Perrone, Stefano Stanghellini, Valeria Ruaro, Lara Tozzi) e Tecnologia (Jacopo Favara, Maria De Santis, Saverio Mecca, Elisabetta Palumbo); Fondazione Housing Sociale (Sergio Urbani); ANCE (Mauro Carri); Comune di Prato (Francesco Caporaso, Salvatore Torre); Comune di Grosseto (Marco De Bianchi); Consorzio Edilcoop Prato (Francesco Bettarini); Serenissima Società Cooperativa (Roberto Gucci).
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da due decenni ormai l’aspirazione più ragionevole è quella verso una città sostenibile, intesa come città vivibile in cui il potenziamento e lo sviluppo dei valori economici e funzionali si confronti con la necessità di mantenere o ripristinare i valori ambientali e sociali. Un obiettivo che funge da orientamento per il progetto della città, del quartiere, dell’edificio, col presupposto di un approccio capace di considerare in modo integrato le tre dimensioni della sostenibilità (economica, sociale e ambientale). Rispetto al progetto architettonico, emergono fin da subito le possibilità tecniche esistenti e da attivare per contrastare gli inquinamenti e la congestione delle città. Tuttavia, si tratta di inserire le potenzialità tecnologiche in un discorso più ampio, legato alle condizioni e ai vincoli della pianificazione urbana. Archibugi (2002) propone un approccio alla città come un vero e proprio “ecosistema urbano” in cui le condizioni e i requisiti per la definizione di politiche di salvaguardia e miglioramento della qualità urbana nel lungo periodo definite dalla pianificazione territoriale sono chiamate a basarsi sull’equilibrio ecologico. Nel nuovo millennio la ricerca di una congiunzione tra pianificazione urbanistica ed ecologia ha portato a numerose esperienze di pianificazione territoriale e urbana orientata alla città ecologica, nelle sue diverse declinazioni, dalla attenzione ai cambiamenti climatici (ICLEI 2007, Newman et al. 2009, Davoudi et al. 2009) alla pianificazione strategica (Bertuglia et al. 2009) alla progettazione e riqualificazione urbana (Beatley 2000, Franz 2005, Lingua 2007). Tuttavia, il passaggio dai principi alle politiche prefigurato da Haughton e Hunter (2003) non è facile né scontato, così come i presupposti per questo passaggio (la pianificazione strategica, l’integrazione e il coordinamento delle politiche e la partecipazione della comunità) assumono ruoli e priorità differenti nell’agenda delle città (Lingua, 2009). Oggi, in riferimento alla crisi economica mondiale, due sono i concetti prevalenti per connotare la città: resilienza e intelligenza (resilient city and smart city). Il concetto di resilienza, mutuato dalle scienze ambientali, indica la capacità di risposta della città – intesa come sistema complesso – a situazioni di crisi, caratterizzate dalla presenza di fattori di turbolenza e di rischio. Non si tratta solo di rispondere a conflitti di carattere sociale (Koonings e Kruijt 2007) o ai grandi disastri ambientali (Vale e Campanella 2005, Coaffee 2008), ma di intervenire, attraverso la pianificazione territoriale, per preorganizzare la capacità di risposta e prevenire i rischi, affiancando soluzioni di tipo tecnico o specialistico alla conoscenza diffusa e all’attivazione individuale (Fleischhauer, 2008). Il concetto di smart indica un ambiente urbano in cui lo sviluppo economico è sostenibile, equilibrato e aderente alle aspettative di qualità di vita espresse dai cittadini. Sviluppo favorito da reti e strutture innovative, comunicazioni e servizi efficienti, che semplificano e migliorano la vita degli abitanti, delle imprese e delle istituzioni. A questo scopo, il progetto territoriale e urbano è chiamato alla ricerca di soluzioni avanzate rispetto alla gestione della mobilità, all'efficienza energetica e ambientale e, in definitiva, all’integrazione tra pianificazione della sostenibilità, confort urbano, attrattività e sicurezza (Chourabi et al. 2009; Derudder 2012). Si tratta di una definizione che cerca un nesso più forte tra economia e ambiente, in cui il progresso tecnologico rappresenta l’elemento di congiunzione tra competitività e sviluppo sostenibile. In questo senso l’intelligenza è un attributo causale della sostenibilità urbana, è il motore capace di generarla attraverso l’innovazione tecnologica e i suoi riflessi sulle reti materiali e immateriali. La sfida della città intelligente punta sulla qualità urbana come motore dello sviluppo, e implica un ripensamento di politiche e modalità d’azione e di gestione in tutti gli ambiti: casa, economia, cultura, sociale e sulle stesse condizioni ambientali. Tra questi, il tema del progetto dell’abitare ha rappresentato da sempre un fertile campo di sperimentazione. Oggi, per configurare una città resiliente e intelligente, diventa fondamentale agire su questo fattore, e in particolare sulla sua connotazione sociale, amplificata dalla crisi. Il paper si interroga dunque sulla trasposizione delle retoriche di smart, ecologic and sustainable nell’ambito teorico e pratico dell’housing sociale, un campo che ha subito notevoli cambiamenti negli ultimi decenni (Di Biagi 2009). In questo ambito, i temi della sostenibilità, dell’ecologia e dell’intelligenza non solo hanno ormai assunto il ruolo di nuova frontiera per la sperimentazione tipologica e tecnologica, ma rappresentano le precondizioni per la fattibilità di operazioni di trasformazione o riqualificazione urbana che si scontrano oggi con nuovi meccanismi (e notevoli problemi) finanziari e gestionali.
L’abitare sociale per una società smart: verso nuovi spazi di relazione I cambiamenti sociali e i nuovi scenari nella domanda e nell'offerta di abitazioni da alcuni anni hanno messo in crisi il modello abitativo tradizionale, dando il via in alcuni paesi europei a sperimentazioni di nuovi modelli urbani, architettonici e tecnologici per l'abitare. Cambiano i modelli economici e assuntivi: capacità di spostamento e flessibilità (che spesso prelude al precariato) sono oggi i principali requisiti richiesti alle giovani generazioni. Emergono nuovi modi di vivere (city users, lavoro temporaneo) e nuovi modi di abitare (co-housing e co-working, telelavoro) completamente diversi dal passato, che implicano un diverso rapporto con la città: una città smart, caratterizzata da una maggiore
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efficienza e nuove tecnologie nella produzione di beni e servizi, nella mobilità, nei trasporti, nell'uso delle risorse. Di fatto il prefigurato abbandono della città in virtù dalle possibilità di interconnessione virtuale non è mai avvenuto: al contrario, l’inurbamento è una delle principali tendenze a livello mondiale (Desideri 2001, Sussen 2001). Tuttavia, nell’ambito dell’analisi territoriale e urbana, lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione rende meno attuali modelli insediativi improntati dagli spostamenti casa-lavoro, che avevano caratterizzato le teorie dell’urbanistica dalla seconda metà del XX secolo 2 , a fronte della ricerca di integrazione tra sistemi insediativi e reti materiali e immateriali (non solo legate alla mobilità, ma anche alle reti funzionali e tecnologiche di approvvigionamento di acqua, energia, informazioni). Inoltre, le sfide della città intelligente spingono le attività economiche urbane verso due opposte competizioni: la globalizzazione e la specializzazione locale o regionale. Così, se da un lato le nuove attività economiche sono più che mai basate sulla conoscenza per produrre beni e servizi con tecnologie sempre più avanzate e innovative e destinate al mercato globale, dall'altro lato vi è una crescente domanda di prodotti e servizi particolari che derivano o da specifiche tradizioni e capacità produttive oppure collegati a particolari e determinati luoghi (Grimm et al. 2005). Allo stesso modo, l’evoluzione della società intelligente condiziona e modifica la concezione dell’abitare e – di conseguenza – dell’abitare sociale, a tutti i livelli progettuali, dal cucchiaio alla città: si richiede un progetto della città e delle sue componenti in grado di recepire le nuove tecnologie per guidarne le trasformazioni, ma tenendo in considerazione le specificità locali e le esigenze sociali e identitarie del territorio di riferimento. Nell’ambito della pianificazione territoriale, si tratta di legare il progetto dell’abitare a un approccio che può essere definito come Smart Spatial Planning (Pianificazione Territoriale Intelligente), teso a definire: - specifici quadri conoscitivi urbani e territoriali in una prospettiva smart, in cui l’abitare sociale è inserito in un quadro complessivo dell’abitare in riferimento alle reti materiali e immateriali; - conoscenze specializzate e piattaforme ICT per modalità collaborative che portino a scenari, visioni e complesse strategie territoriali per un progetto integrato dell’abitare a scala urbana e territoriale - cooperazione urbana e regionale interistituzionale, utile alla definizione, gestione e condivisione di scenari, visioni e strategie per l’abitare e per l’abitare sociale, anche in riferimento ai nuovi soggetti che operano in questo settore; - trasporti sostenibili e integrati per la riqualificazione urbana dei quartieri di edilizia sociale esistenti. Quest’ultima è una delle principali sfide per l’housing sociale in Italia, insieme alla innovazione in ambito tipologico e tecnologico. In Italia i modelli abitativi sono per larga misura ancora gli stessi del dopoguerra, che si traducono in un'offerta omologata, monotona, inefficace dal punto di vista funzionale e spaziale ed incapace di interpretare le esigenze di abitanti-utenti molto diversi dai loro avi. Oggi assistiamo all'esplosione ed alla contrazione del nucleo familiare: single, genitori separati con figli, single di ritorno, anziani soli o con assistenza sociale, studenti e lavoratori conviventi, tele-lavoratori, e per contrasto, famiglie numerose di immigrati... Queste nuove classi di utenza esprimono esigenze nuove che faticano a trovare risposta nella classica abitazione anni '50-'80, pensata per la tradizionale famiglia borghese. In ambito europeo la sperimentazione tipologica è andata di pari passo con quella tecnologica, proponendo nuovi layout, forme di co-housing e co-working temporanei o permanenti (mamme di giorno, studenti, famiglia solidale con affidi temporanei, ospiti stranieri, anziani in coabitazione), spazi di telelavoro e di condivisione, switch-room, luoghi per la socialità e la condivisione dei servizi (asili nido di fabbricato, orti sociali, lavanderie, sale studio, uffici in condivisione, ecc.). Parallelamente, i costi dei terreni hanno portato ad una ottimizzazione delle superfici tesa ad eliminare spazi inutili, ridurre gli spazi serventi sia alla scala dell'edificio (corpi scala) che a quella dell'alloggio (servizi igienici), rendere flessibili gli spazi sia nell'arco della giornata, sia rispetto ai diversi modelli d'uso. A fronte di queste pratiche di co-housing e co-working, la società smart è una società insicura, in cui i rapporti virtuali si sommano e interferiscono con i rapporti interpersonali. Questo ha comportato una riflessione sui diversi domini degli spazi pubblici e semipubblici a livello di quartiere, in termini di sicurezza degli spazi, controllo degli accessi, di sviluppo di socialità (Rossi Prodi et al., 2012). Le caratteristiche che rendono un luogo vivibile e che determinano un attaccamento al luogo di vita, sono sicuramente riferibili a una serie di dotazioni materiali (la presenza di una buona dotazione di servizi commerciali e terziari), oltre alle urbanizzazioni di base (aree per il verde, il gioco e lo sport, parcheggi, strutture per l’istruzione, il culto lo spettacolo ecc.) oppure, in assenza di questi, la dotazione di buoni collegamenti pedonali e/o pubblici con le parti di città in cui sono presenti questi servizi. Ma tutto questo non basta: per il determinarsi di un radicamento al luogo, occorre individuare una serie di condizioni tali da far emergere un senso di appartenenza a una comunità. Comunità in cui i residenti non solo possano facilmente soddisfare le necessità quotidiane, ma abbiano la sensazione di poterle soddisfare in sicurezza e con l’appoggio della comunità nel suo complesso e delle istituzioni. 2
Modelli che permangono nei manuali per l’housing anglosassone, come il London Housing Design Guide (London Development Agency, 2010).
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A questo scopo, occorre che il senso di appartenenza a una comunità sia favorito attraverso: - un accurato targeting delle nuove dotazioni di edilizia residenziale nelle diverse parti della città, tale da creare mixité sociale e/o compensare le carenze di mixité nelle aree degradate o affette da esclusione sociale - una progettazione attenta alle caratteristiche intrinseche del luogo, alle invarianti e agli elementi identitari, in sostituzione di aree degradate, o in continuità con le aree residenziali esistenti e/o con il tessuto urbano consolidato), per evitare che la prevalenza di determinati gruppi sociali (immigrati o utenze deboli) determini la ghettizzazione o la formazione di aree monofunzionali o di comunità chiuse (gated communities) sia dal punto di vista fisico che sociale - una attenzione particolare all’accessibilità dei quartieri residenziali, alla qualità degli spazi pubblici e alla connessione con il sistema del trasporto pubblico locale e tra i luoghi di vita e di lavoro. - un progetto di quartiere attento alla variazione di domini spaziali e soprattutto alla presenza di spazi intermedi 3 . L’articolazione degli spazi che da pubblici si trasformano in spazi semipubblici, semiprivati e privati, origina una variazione di usi e pratiche spaziali e sociali che accrescono le occasioni di privacy e di socialità, le possibilità di scelta, la ricchezza semantica dell’ambiente fisico e relazionale, la possibilità di svolgere attività diverse in gruppi diversi, accresce la sicurezza. Gli insediamenti caratterizzati da degrado sociale, microcriminalità, emarginazione e segregazione, sono generalmente caratterizzati dalla presenza esclusiva di spazi pubblici e di spazi completamente privati, senza alcuna ricchezza intermedia.
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La necessità di un passaggio lento dalla dimensione pubblica della strada a quella privata dell’abitazione genera una sequenza di spazi dotati di una propria identità, riconosciuta dagli abitanti. In particolare, gli spazi di socialità non istituzionalizzati sono spazi pubblici o semipubblici non programmati nella loro funzionalità, che vengono liberamente interpretati dagli abitanti: si tratta spesso dei luoghi maggiormente apprezzati dagli abitanti di un complesso o di un quartiere.
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Figura 1. Tipologie edilizie a ballatoio e a galleria nei quartieri Kleingartensiedlung di Vienna, Honeycomb di Izola, Nieuw Terbregge a Rotterdam. In questa direzione, torna in auge nella maggior parte dei casi studio europei di edilizia sociale (cfr. figura 1) la tipologia a ballatoio o a galleria, che rappresenta non solo uno spazio di socialità, ma anche di controllo sociale, oltre a risultare la soluzione più efficiente in termini di economia costruttiva e gestionale, consentendo di ripartire su più utenti la manutenzione ed i consumi energetici. Anche l’analisi tipologica interna supera la concezione dei minimi funzionali, caratterizzata da spazi vitali ridotti e iperattrezzati, e cerca spazi per occasioni di relazione, di relax, di lavoro a casa e telelavoro, di cura di sé, che hanno un ruolo essenziale nelle abitudini del nuclei familiari contemporanei.
Smart, Ecologic & Sustainable, requisiti per la fattibilità La progettazione dell’housing sociale, in passato, si identificava con il raggiungimento di standard minimi abitativi. Oggi deve adeguarsi a una società diversa, intelligente e flessibile, attenta a questioni nuove: ambiente, efficienza energetica, progettazione sostenibile. Le esperienze degli ultimi anni sulle progettazioni eco-efficienti sono dunque orientate verso l’utilizzo di soluzioni urbanistiche, tipologiche e tecnologiche finalizzate all’incremento prestazionale dell’intero ecosistema urbano, del quartiere e dell’involucro edilizio, nonché alla riduzione delle spesa energetica in uso. In termini generali, alla fattibilità dell’intervento. La fattibilità finanziaria e gestionale è oggi uno degli aspetti sostanziali dell’housing sociale: il venir meno di strumenti per l’acquisizione delle aree a valori di mercato agevolati 4 implica la necessità di reperire aree per l’housing sociale con modalità differenti e attraverso un maggior coinvolgimento degli attori privati, per fornire una risposta più flessibile ad esigenze sociali in rapido mutamento. Di conseguenza, l’housing sociale viene a configurarsi come un vero e proprio segmento autonomo del mercato immobiliare residenziale, caratterizzato da attori e meccanismi di finanziamento propri, ma da alcuni limiti intrinseci: in particolare, la scarsa profittabilità degli investimenti, cui è possibile sopperire non solo attraverso l’attivazione di “leve”, fiscali, finanziarie ed economiche, ma anche attraverso “leve” urbanistiche in grado di contenere i costi della produzione e agevolare l’immissione nel mercato degli immobili 5 .
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Nel secolo scorso, la legge 162/67 e i derivati Piani per l’Edilizia Economica Popolare permettevano di acquisire aree a valori inferiori a quelli di mercato. Oggi i costi dell’area sono quelli di mercato. 5 In particolare, la possibilità che siano acquisite gratuitamente le aree per l’edilizia sociale, assimilandole ad uno standard al pari degli standard di cui al DM 1444/68, implica un importante ruolo per la pianificazione comunale, chiamata a individuare e gestire le aree di trasformazione attraverso modalità diverse, dalla perequazione, ai crediti edilizi, ai premi volumetrici. Jacopo Favara, Valeria Lingua
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Figura 2. Copenhagen, Mountain dwellings: un parcheggio come luogo urbano coperto Siamo ancora lontani, in Italia, da una concezione della residenza come appendice secondaria e aggregata a funzioni non residenziali che vengono ad assumere il ruolo di motore economico generatore dell’intervento di housing sociale. Tuttavia, la concezione dell’housing sociale come ''standard'' va in questa direzione, ovvero verso una progetto in cui la residenza non è la funzione principale, ma assume il compito di dare sostanza di tessuto urbano ad un’attività terziaria, di ricerca o commerciale. Emblematico è il caso della ''Mountain dwelling'' a Copenhagen, dove la residenza è una funzione annessa di un grande parcheggio multipiano, concepito come luogo urbano e di relazione, coperto e protetto nelle fredde giornate invernali. Un’analisi dei costi dell'housing Sociale in Europa evidenzia inoltre il consolidarsi di strategie tecnologicocostruttive mirate al risparmio energetico 6 , con la diffusione dello standard a basso consumo energetico (lowenergy), ormai superato dal nuovo standard energetico del ''consumo quasi zero'', che la recente Direttiva Europea 2010/31/EU impone ai Paesi membri di adottare per tutte le nuove costruzioni a partire dal 2020 7 . Il nuovo standard è la traduzione comunitaria del già sperimentato standard Passivhaus dei paesi mitteleuropei, che ha trovato nell'ultimo ventennio un'ampia applicazione, soprattutto nel campo dell'edilizia residenziale sociale, al punto che le case passive hanno ormai lasciato il campo della sperimentazione per abbracciare la produzione corrente. L’incremento delle prestazioni di isolamento termico dell'involucro edilizio, finalizzato al raggiungimento dello standard Passivhaus, porta risultati immediati in termini energetici ed economici, come si può verificare con una semplice analisi dei costi. In Italia e nei paesi mediterranei tale obbiettivo risulta decisamente meno oneroso rispetto ai paesi d'Oltralpe dove è nato: è sufficiente quasi la metà dell'isolante necessario in Germania per ottenere pari prestazioni energetiche dell'edificio 8 .Alla luce di questi presupposti, anche e soprattutto nei climi caldi, investire sulle strategie passive è una scelta certamente ecologica, ma soprattutto economicamente vantaggiosa. Le strategie progettuali architettoniche e tecnologiche per l'obiettivo del consumo quasi zero, ormai ampiamente codificate ed in parte assimilate dalla produzione industriale dei materiali e dei componenti per l'edilizia, sono da mettere in relazione anche con più complesse ed articolate strategie di pianificazione urbana ecosostenibile, con l'obiettivo di coordinare il processo di trasformazione delle città con una loro rigenerazione energetica ed ecologica. Di conseguenza alcuni punti nodali, fondamentali nella progettazione tecnologica ambientale e necessari per il raggiungimento del comfort invernale ed estivo nel limite di consumo energetico Passivhaus, costituiscono una trama che deve emergere già alla scala urbana, per implementare ed espandere i benefici di una progettazione ecologicamente orientata verso una città ecologica e sostenibile. Ecco allora che il tema della città sostenibile viene declinato attraverso le prestazioni tecnologiche garantite dall'orientamento e dall'accessibilità solare 9 , dalla compattezza e dalla densità edilizia 10 , nonché dalle operazioni di riqualificazione con addizione 11 . 6
Dallo stato dell'arte relativo ai costi dell'housing sociale in Europa, emerge un costo di costruzione medio intorno ai 1250 €/mq, che si avvicina al massimale di costo della maggior parte dei principali paesi europei (Francia, Germania, Paesi Bassi, Danimarca) che è di 1300 €/mq. Pur tuttavia esistono alcuni esempi virtuosi di realizzazioni con elevati standard energetici (low-e e passive) che si sono attestati intorno ad un costo di 1050 €/mq. Al di sopra della soglia dei 1300 €/mq e fino ad un massimo di 1500 €/mq si attestano quei casi studio che si caratterizzano per tecnologie innovative, per sperimentazioni di prodotto, o per qualità elevata di finiture. 7 Alcuni Paesi europei hanno anticipato -o probabilmente ispirato- la Direttiva 2010/31/EU con l’adozione di provvedimenti normativi che obbligano a soluzioni costruttive passive in grado di soddisfare la domanda di climatizzazione invernale ed estiva a “zero emissioni”: l’Austria a partire dal 2015, mentre nella regione austriaca del Vorarlberg l'obbiettivo è già obbligo dal 1°gennaio 2007; perfino la ''meno europea'' Gran Bretagna si adeguerà dal 2016. 8 Lo standard Passivhaus, inizialmente focalizzato su consumo e comfort invernali, è stato esteso con alcuni progetti di ricerca anche alla considerazione di consumo e comfort nei mesi estivi e nei climi del Sud Europa. Cfr. il progetto europeo Passive-On (http://www.passive-on.org/en/). 9 Il temi dell'orientamento e dell'accessibilità solare hanno efficacemente pervaso la pianificazione urbana, ma quasi esclusivamente nei contesti nordeuropei, mentre ancora embrionale è la discussione nei Paesi mediterranei, che vantano comunque un congruo numero di esempi positivi e buone pratiche provenienti dal passato e racchiuso nei centri storici delle città. Il corretto orientamento solare è uno degli elementi che più incidono nel comportamento energetico dell'edificio. L'orientamento ideale dell'alloggio deve trovare una sintesi nel progetto di orientamento complessivo del lotto nel contesto urbano: partendo dal presupposto che gli alloggi, per ragioni di comfort ambientale sia invernale che estivo e di riduzione dei consumi energetici, dovrebbero avere un affaccio nord-sud, ne consegue che l’orientamento ideale dei corpi di fabbrica che li ospita dovrebbe essere lungo l’asse est-ovest, con una tolleranza di 30-35°. 10 In termini energetici, il rapporto tra superficie dell'involucro esterno e volume riscaldato (rapporto S/V) definisce il grado di compattezza di un edificio, che tipicamente varia al variare della tipologia edilizia, in modo proporzionale alla densità abitativa: un edificio per abitazioni in linea è più compatto di un edificio di case a schiera, che a sua volta è più compatto di una bifamiliare. La normativa italiana, nell'applicare la direttiva europea che introduce la certificazione energetica, ha subordinato l'individuazione delle classi di consumo energetico al rapporto S/V, creando diverse scale a seconda della Jacopo Favara, Valeria Lingua
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In conclusione, la necessità di perseguire un approccio integrato al progetto di housing sociale implica l’assunzione dei temi della sostenibilità e dell’intelligenza come prerequisiti della fattibilità del progetto stesso. Di conseguenza, una attribuzione non retorica di profili di smartness and sustinability al progetto di housing sociale richiede di affrontare i temi della sostenibilità e dell’intelligenza lungo tutto il complesso profilo del processo: dalla individuazione delle strategie pianificatorie di area vasta (ambiti sovracomunali o di comuni associati), alla definizione del ruolo che la sostenibilità e l’eco-efficienza dell’housing sociale può svolgere nel più generale quadro della riqualificazione e rigenerazione della città contemporanea, sia in termini funzionali che spaziali e sociali, alla definizione di procedure perequative e compensative in grado di incidere sugli aspetti relativi alla rendita fondiaria, ai requisiti energetici e ambientali, alla definizione degli aspetti tecnologici e costruttivi. La filiera di operazioni sopra definita deve infine trovare una verifica di efficacia e di fattibilità relativamente agli aspetti finanziari, amministrativi, realizzativi (sia in termini fisici che sociali) e gestionali tali da garantire una sostenibilità a 360°, dal cucchiaio alla città.
Bibliografia Archibugi F. (2002), La città ecologica: urbanistica e sostenibilità, Torino: Bollati Boringhieri. AS.Architecture-Studio (2009), La città ecologica. Contributi per un'architettura sostenibile, Silvana Editore: Milano Beatley T. (2000), Green Urbanism. Learning from European cities, Washington: Island Press Calafati A.G. (2009), Economie in cerca di città, Donzelli: Roma Camagni R., acd, (1996), Economia e pianificazione della città sostenibile, Il Mulino: Bologna Chourabi H., Nam T. et al. (2012), Understanding Smart Cities: An Integrative Framework, paper, 45th Hawaii International Conference on System Sciences, 2012 Coaffee J. (2008), «Risk, resilience, and environmentally sustainable cities», in Energy Policy, n. 36, pp. 4633– 4638 Davico L., Mela A., Staricco L. (2009), Città sostenibili. Una prospettiva sociologica, Carocci: Roma Davoudi S., Crawford J. e Mehmood A. (2009), Planning for climate Change. Strategies for mitigations and adaptation for spatial planner, London: Earthscan Publications. Derudder B. (2012), ed., International Handbook of Globalization and World Cities, Cheltenham, UK: Edward Elgar Desideri P. (2001), Ex City, Meltemi: Rimini Di Biagi P. (2009), a cura di, Città pubbliche: linee guida per la riqualificazione urbana, Bruno Mondadori, Milano Fleischhauer M. (2008), «The Role of Spatial Planning», in Strengthening Urban Resilience, n. 4, pp.273-298 Franz G. (2005), La riqualificazione continua, Alinea: Firenze Gottman, J., 1987, La città invincibile, Milano: Franco Angeli Graham S., Marvin S. (1998), Net effects: urban planning and the technological future of cities, ComediaDemos: London
tipologia edilizia, con la finalità dichiarata di non discriminare le abitazioni isolate. Questa infelice scelta ''politica'' rende il meccanismo italiano della certificazione incapace di esplicitare il peso della densità abitativa nel consumo energetico dell'edificio, ovviamente senza tener conto del consumo di suolo, delle infrastrutture, dei trasporti, dei servizi, creando confusione nel cittadino per il quale la certificazione è nata. 11 Numerose sono le strategie di intervento, dalla semplice ristrutturazione edilizia alla rigenerazione urbana, con sostituzione di interi comparti edilizi. Eppure quando si parla di social housing i risultati più interessanti ricadono tutti nella categoria del recupero con addizioni, ovvero con parti più o meno piccole che vanno ad integrare le prestazioni mancanti degli edifici esistenti o ad aggiungere funzioni nuove. Le addizioni per la riqualificazione possono essere ''involucri intelligenti'' che determinano migliori prestazioni e qualità estetiche, ma anche spazi esterni, annessi tecnici, fondi commerciali, che vanno a trasformare non solo l'edificio, ma anche la qualità dei servizi presenti nel quartiere, dandogli nuova linfa e ricucendo quel territorio slabbrato tipico degli ambiti periferici. Questa strategia di intervento si sposa a edifici che hanno lacune anche importanti, ma che sono ancora in uso; l’intervento è un insieme di addizioni puntuali di norma realizzate in presenza degli stessi abitanti: strati isolanti e impermeabilizzanti, ballatoi distributivi, ascensori, balconi, logge, colonne impiantistiche, rivestimenti di facciata, schermature, ma anche blocchi di alloggi, piastre servizi, sopraelevazioni; possono essere accompagnate da interventi di modesta entità all’interno degli alloggi, come modeste modifiche distributive, adeguamento impiantistico, sostituzione infissi, tinteggiature e finiture. Quando l’intervento non può essere eseguito in presenza degli abitanti, si ricorre all’ausilio di un complesso sistema di alloggi ‘’volano’’ nei quali far ruotare gli abitanti, come avvenuto nel quartiere Sant'Eusebio di Cinisello Balsamo, riqualificazione di un complesso di edilizia residenziale pubblica (ex lege 167) portata a termine attraverso un Contratto di Quartiere che ha avuto nell'applicazione della strategia dell'addizione un esito positivo, per diversi aspetti, non solo tecnologici ma anche sociali. In particolare, nell’utilizzo di alloggi volano per i residenti degli alloggi interessati dal recupero. Jacopo Favara, Valeria Lingua
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Grimm H., Audretsch D., Wessner C.W. (2005), Local heroes in the global village: globalization and the new entrepreneurship policies, Springer, New York Haughton G.E. e Hunter, C. (2003), Sustainable Cities, London-New York: Routledge. http://www.designforlondon.gov.uk/uploads/media/Interim_London_Housing_Design_Guide.pdf ICLEI 2007, Preparing for climate change. A guide book for local, regional, and state governments. Koonings K., Kruijt D. (2007), «Fractured Cities, Second Class Citizenship, and Urban Violence», in Koonings K., Kruijt D.(eds.), Fractured Cities: Social Exclusion, Urban Violence, and Contested Spaces in Latin America, pp. 1-22. La Vergata A., Ferrari G., acd (2008), Ecologia e sostenibilità. Aspetti filosofici di un dibattito, Franco Angeli: Milano London Development Agency (2010), London Housing Design Guide, [Online]. Disponibile su: http://www.lda.gov.uk/publications-and-media/publications/design-guide.aspx Lorenzo R. (1998), La città sostenibile. Partecipazione, luogo, comunità, Elèutheria: Roma Meadows D. e D., Randers J. (2006), I nuovi limiti della sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio, Mondadori: Milano Newman P., Beatley T. e Boye H. 2009, Resilient Cities: Responding to Peak Oil and Climate Change, Washington: Island Press Rossi Prodi F., De Luca G., Stanghellini S., Gorelli G., a cura di, (2012), Abitare sociale. Modelli architettonici e urbanistici sostenibili. Linee guida, Alinea: Firenze (in corso di pubblicazione) Sassen S. (2001), Cities in a world economy, Thousand Oaks, Calif.: Pine Forge Press Schroeder H. e Bulkeley H. 2009, «Global Cities and the Governance of Climate Change: what is the role of law in cities?», Fordham Urban Law Journal, no. 2 Vale L.J., Campanella T.J. (2005), The resilient city, how modern cities recover from disaster, Oxford University Press Worldwatch Insitute, State of the World (2007), Il nostro futuro urbanizzato. Rapporto sullo stato del pianeta, Edizioni Ambiente: Milano
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EnvironMental
EnvironMental Luciano De Bonis Università del Molise Dipartimento di Bioscienze e Territorio Email: luciano.debonis@unimol.it Tel. 0874.404936
Abstract Con riferimento operativo al progetto europeo Periphèria - Networked Smart Peripheral Cities for Sustainable Lifestyles, il paper sostiene la necessità, per catturare ed esaltare il potenziale di innovazione sociale, ambientale e territoriale emergente dalla retorica e dalle pratiche legate alla nuova parola d'ordine Smart Cities, di accettare radicalmente il ruolo residuale - ma non per questo irrilevante – della disciplina urbanistica, nonché il carattere largamente preterintenzionale degli effetti territoriali prodotti dalle interazioni tra i soggetti socio-economici. Allo scopo di avviarsi verso un significativo cambio di prospettiva disciplinare, consistente nel tentativo di abbandonare definitivamente il “paradigma del controllo” delle interazioni economiche, sociali, ecc. che producono effetti territoriali, in favore della possibilità di praticare (e di rivendicare) una forma di autonoma e specifica attività di “interazione con le interazioni”, non subordinante ma tanto meno subordinata ad altre esigenze (ad es. quelle di “competitività”) e del tutto immanente anziché trascendente rispetto a tutte le altre interazioni.
Introduzione Il tema delle "Smart Cities" costituisce attualmente una questione emergente sia in ambito politicoamministrativo sia nel campo della ricerca scientifica e tecnologica, ivi inclusa (anche se da non molto) la ricerca in campo territoriale. In quest'ambito, tuttavia, quando una questione emergente lo investe - si pensi per esempio alla questione ambientale - sembrano improvvisamente cadere nel dimenticatoio altre questioni fondamentali ed endogene alla disciplina, pur lungamente ed intensamente dibattute. Ma il vero problema non è tanto il repentino oblio delle questioni endogene, quanto piuttosto il mancato profitto che generalmente si fa, in termini di avanzamento del dibattito disciplinare, dell'importazione di teorie, tecniche e pratiche legate alla questione emergente. Nel caso delle "Smart Cities, per la verità, oltre ad essere troppo presto per dare un giudizio in tal senso, la difficoltà non appare legata solo alla (eventuale) inerzia degli studi e delle pratiche del planning, ma anche alla concezione "linearistica" sottesa sia alla corrente e perdurante accezione del termine "trasferimento tecnologico", sia ai prevalenti orientamenti di ricerca riguardanti la smartness nello specifico campo delle TIC, nonostante questi ultimi in particolare si possano direttamente avvantaggiare della feconda eredità di studi e di acquisizioni concettuali che risalgono alla cosiddetta "seconda cibernetica" e alla teoria della complessità (De Bonis, 2010). Per contribuire ad evitare il rischio di sterilizzazione del potenziale di innovazione delle pratiche di planning, derivante dalla considerazione delle questioni di smartness urbana e territoriale e delle connesse questioni di sostenibilità ambientale, nel testo che segue si tenterà di delineare un approccio al tema delle Smart Cities capace di capitalizzare alcuni dibattuti ma consolidati risultati di ricerca disciplinare, in notevole sintonia con le concezioni "non linearistiche" emerse negli ultimi due cicli di programmazione europea della ricerca e innovazione nel campo delle TIC, riferibili in particolare ai cosiddetti, e correlabili, Digital Ecosystems e Territorial Living Labs. Ciò anche allo scopo di costituire le basi per verificare l'utilità del suddetto approccio alle Smart Cities per intanto nell'ambito dell'attività di “osservazione partecipante” del progetto europeo Periphèria - Networked Smart Peripheral Cities for Sustainable Lifestyles (Concilio, De Bonis & Trapani, 2011a,b; Concilio, De Bonis, Marsh & Trapani, 2012). Luciano De Bonis
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1. Conoscenza e cambiamento negli ecosistemi ambientali, territoriali e digitali 1.1 Ambizione, incompletezza e ridondanza Molti anni prima dell'uscita di Inquiry and Change C. E. Lindblom (1959) pubblicò l'articolo presto divenuto il riferimento principale di quella che nel campo delle scienze politiche è stata definita l'ortodossia dell'incrementalismo (Howlett & Migone, 2011). Vent'anni dopo Lindblom (1979) tornò sulle principali questioni sollevate nel testo del '59 per precisarle e soprattutto per rispondere alle obiezioni ad esse nel frattempo formulate. Vale la pena prendere in considerazione alcune delle precisazioni di Lindblom. Anzitutto egli sottolinea che né rivoluzioni, né drastici cambiamenti politici e nemmeno grandi avanzamenti pianificati sono possibili "normalmente", ma si premura anche di chiarire che l'incrementalismo in politica non coincide con un movimento lento e non è quindi necessariamente una tattica conservatrice. Una rapida sequenza di piccoli cambiamenti, infatti, può dar luogo ad una alterazione dello status quo drastica quanto quelle che si verificano, solo raramente, per effetto di grandi cambiamenti politici. A proposito di grandi cambiamenti pianificati Lindblom aggiunge poi che gli orientamenti di spicco, chiaramente interrelati, più lontani dall'incrementalismo, ovverosia le tendenze a trattare come un tutt'unico le grandi questioni e a realizzare analisi più complete e scientifiche delle alternative politiche, sono entrambi piacevolmente (nicely) congiunti nella tradizionale nozione di planning. E che tale impostazione pone evidentemente una questione di scelta: la formula generale per una politica migliore consiste in più scienza e più ambizione politica, oppure, come Lindblom crede, in una nuova e migliore capacità di "cavarsela" (muddling)? Per rispondere alla questione e ai suoi critici Lindblom fa notare che è necessario distinguere meglio di quanto lui stesso abbia fatto in passato tra politica incrementalista e analisi incrementalista e, nell'ambito di quest'ultima, fra tre differenti tipi di analisi: analisi incrementale semplice, incrementalismo disgiunto e analisi strategica. Tutti da perseguire come alternative all'analisi "scientifica", che Lindblom definisce anche "sinottica" per la sua pretesa di completezza. Senza entrare nel merito delle differenze fra i tre tipi di analisi ciò che importa qui sottolineare è che secondo Lindblom non si tratta certo di sopprimere l'analisi incrementale semplice perché incoraggerebbe, come sostengono i critici, atteggiamenti timidi e conservativi nei confronti del cambiamento sociale, bensì di integrarla con forme di pensiero ad ampio respiro, altamente speculative e financo utopiche riguardanti le direzioni da intraprendere e i possibili futuri più o meno lontani. Come esempi di tali forme Lindblom cita "Walden 2" di Skinner, "La povertà del potere" di Commoner, "Fuga dalla libertà" di Fromm, "Modern Capitalism" di Shonfield, "Lo Stato nella società capitalistica" di Miliband, "Una teoria della giustizia" di Rawls e il "Contratto sociale" di Rosseau. In tutti questi casi non siamo di fronte ad alcuna sinossi, molto è omesso e solo poche questioni sono trattate, ma molto approfonditamente. Ed è precisamente per questo che possiamo ricavarne nuove intuizioni e potenti frammenti di comprensione. Si tratta di una sorta di "analisi liberatrici" che non ci ci forniscono tanto informazioni quanto piuttosto ci rendono consapevoli. Similmente, continua Lindblom, anche le "analisi modeste" offrono spesso un validissimo contributo al processo decisionale. Sono le analisi di qualcuna o di poche questioni cruciali, o di variabili critiche per le decisioni pubbliche, che rappresentano forse una delle forme più fruttuose di analisi professionale (Lindblom, 1979, pp. 522). Ebbene ritengo che i citati riferimenti di Lindblom sia alle "analisi liberatrici" sia alle "analisi modeste" - né sinottiche né incrementali - costituiscano una preziosa indicazione circa il campo di possibile attività di una pianificazione "fisica" che non si attardi ancora in quella "piacevole" congiunzione di aspirazione palingenetica e di pretesa di completezza. Ma che allo stesso tempo, mantenendo i suoi caratteri "progettuali", non rincorra l'analisi sociale nemmeno nella direzione indicata da Lindblom per quest'ultima (l'analisi incrementalista), distinguendosi quindi dalla pianificazione sociale, pur nella piena consapevolezza di essere anche sociale proprio in quanto fisica. Nelle note appena citate di Lindblom è inoltre presente, anche se in modo meno consapevole e appariscente, un fondamentale elemento che a mio parere va esattamente nella direzione di una trattazione per quanto possibile unificata della conoscenza e del cambiamento negli ecosistemi ambientali, territoriali e digitali. Mi riferisco in particolare alla sottolineatura del carattere di incompletezza delle analisi, sia liberatrici sia modeste. Sebbene possa risultare piuttosto controintuitivo rispetto all'accezione corrente, si tratta di quel genere di incompletezza direttamente riferibile al concetto di ridondanza così come riformulato da G. Bateson (1976), che ne mette in luce la sua natura sì di "qualcosa in più", ma precisamente nel contesto di una mancanza (o incompletezza nel senso di Lindblom). In altre parole si tratta di riconoscere, come ho cercato di argomentare altrove ormai molti anni fa (De Bonis, 1996, pp. 332), l'inevitabilità che qualsiasi descrizione, ma anche ogni ingiunzione e ogni struttura, siano necessariamente incomplete e vadano sempre affidate a qualche successiva elaborazione (Bateson, 1976). Ma si tratta anche di cogliere l'opportunità fornita dall'indubbio maggior interesse - e più forte spinta all'azione - che le descrizioni, ingiunzioni e strutture incomplete suscitano in chi compie le successive elaborazioni, rispetto a quelle che si danno come complete (o meglio si pretendono tali).
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Sembra in sintesi si possa (e convenga) dire che a uno schema di "conoscenza ridondante" (i.e. "incompleta") corrisponda senz'altro la comunicazione animale e più in generale ambientale, per lo meno nella sua componente biotica. Ma anche nella vasta parte di componente abiotica che entra in relazione con quella biotica (Bateson, 1976). Il che può anche facilmente significare che lo stesso discorso valga per quell'entità socio-fisica che normalmente chiamiamo territorio.
1.2 Digital Ecosystems, Territorial Living Labs e Smart Cities Sulla base del riconoscimento di una comune (non unica) modalità cognitiva e comunicativa delle sfere biotica/abiotica (ad esclusione di quella puramente abiotica) e socio-fisica, si può considerare lecito utilizzare la metafora dell'ecosistema ambientale, territoriale e digitale, come in parte è stato già fatto, per i cosiddetti Digital Business Ecosystems (DBE). Per essere più precisi va detto che in questo caso la metafora volutamente non implica questioni di sostenibilità ambientale, ma si riferisce invece all'effetto di bilanciamento che un maggior livello di integrazione tra contesto socio-culturale ed attività economiche di un territorio si assume abbia sulla sua vitalità economica a lungo termine (Nachira, Dini & Nicolai, 2007). Fermo restando che il termine ecosistema, che comunque rimanda al significato ambientale del lemma, viene assunto come metafora biologica tesa ad evidenziare l'interdipendenza tra tutti gli attori del contesto (economico), che coevolvono con le loro capacità e ruoli, dando luogo a un ambiente evolutivo, auto-organizzativo e auto-ottimizzante, in cui cooperazione e competizione si bilanciano, pur all'interno di dinamiche di libero mercato (Moore, 1996; Nachira et al., 2007). L'estensione, che qui si propone, della metafora degli ecosistemi a una vasta sfera insieme ambientale, territoriale e digitale, poggia comunque sugli stessi capisaldi concettuali (Nachira et al., 2007), da cui in sostanza emerge una sorta di paradigma dell'interazione che tende ad offuscare il paradigma del controllo esogeno, ancora perdurante anche (se non soprattutto) nel campo della pianificazione fisica. In base a tale paradigma emergente sia l'organismo sia i sistemi sociali sono riconosciuti come veri e propri agenti che interagiscono con un altro agente, l'osservatore (Heyligen, 2001) e/o pianificatore. Torniamo così, circolarmente, all'immagine della "società che si guida da sé" di Inquiry and Change (Lindblom,1990; Crosta, 1998). Ancora nell'ambito di alcune pratiche di ricerca e innovazione digitale anche i cosiddetti Living Labs (LLs), come i DBE, possono essere accostati a questa sorta di paradigma interazionista. Il nucleo dell'approccio LLs è infatti costituito dall'idea di co-design, che supera la nozione di user centered-design in direzione di una diretta partecipazione dell'utente, sin dalle fasi iniziali, al processo di progettazione (Sanders & Stappers, 2008). Ciò dovrebbe significare un profondo radicamento dei LLs nei luoghi della comunità di riferimento (Marsh, 2008), e quindi una stretta relazione con i problemi che ogni giorno città e territori devono affrontare. I LLs territoriali (TLLs) possono perciò essere concepiti e definiti in termini non di semplice estroflessione della ricerca dai laboratori verso il mondo reale, ma più precisamente nei termini del ruolo "trasversale", anziché settoriale nel campo delle sole TIC, che essi possono svolgere in relazione ai citati problemi, e quindi in relazione a una più generale "innovazione territoriale" intesa come contemporaneamente tecnologica, sociale, culturale, economica e istituzionale (Marsh, 2008). In assonanza con tale concezione dei TLLs è la visione della Smart City riferita a una sorta di complessa attitudine che prende in considerazione diverse aree di gestione e sviluppo urbano e richiede che le soluzioni tecnologiche smart siano allineate con le questioni e gli interessi ad esse connesse, e siano orientate non verso modelli esogeni, bensì in relazione alle risorse locali esistenti in termini di competenze, know how, principali attività competitive, ecc. (Acatech, 2011). In altri termini, secondo questo filone interpretativo, le Smart Cities sono profondamente radicate nei loro problemi, la cui considerazione travalica i confini amministrativi, per comprendere i territori circostanti secondo necessità, avvalendosi tra l'altro delle specificità degli utenti e dei cittadini coinvolti, visti sempre di più come attori-chiave del processo innovativo. E conseguentemente si riconosce che Future Internet (FI), LLs e Smart Cities formano insieme un ecosistema di innovazione intelligente che comprende utenti/cittadini, aziende TIC, ricercatori e policy makers (Komninos, Schaffers & Pallot, 2011). Si incontra tutto ciò, magari nell'ambito di contesti più o meno definibili come Smart Cities, con le pratiche di innovazione del planning, indispensabili per le pratiche di innovazione territoriale 1 ? Naturalmente si può incontrare, ma evidentemente a certe condizioni. Condizioni che, anche in questo caso, derivano da un movimento di tipo circolare e ricorsivo, oltreché osmotico, tra campi di ricerca diversi. Voglio dire che quello che a me pare il potenziale ancora largamente inattuato di innovazione del planning, derivante sostanzialmente dall'impostazione incrementalista di Lindblom, certamente si sposa ad esempio con le premesse teoriche dei DBE, così come ben si coniuga con la declinazione territoriale dei LLs. E naturalmente va a braccetto con il loro comune carattere, diciamo così, di set interattivi, anziché ordinativi e di controllo. Ma se è vero che la riflessione endogena ad alcuni filoni di planning theory può indubbiamente contribuire ad evitare i rischi in cui entrambe le pratiche (DBE e LLs) potrebbero cadere - in termini ad esempio di rigida predeterminazione dei soggetti abilitati 1
Nel senso che l'innovazione nel planning non solo può essere d'aiuto all'innovazione territoriale, ma soprattutto è indispensabile che non sia d'intralcio...
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a partecipare all'interazione (settori socio-economici, stakeholders, ecc.) con conseguente, inevitabile spoliticizzazione delle pratiche stesse (Crosta, 1998) - è anche vero che il vero rischio per il planning in generale è quello di immergersi frettolosamente nell'onda montante delle Smart Cities, senza comprendere la natura, pur metaforica, dell'ecosistema ambientale, territoriale e digitale di cui esse formano parte integrante. E senza quindi percepire la necessità di una profonda ristrutturazione delle proprie basi epistemologiche, che naturalmente possono essere ridelineate anche in modo molto diverso da quello qui accennato, ma che non c'è dubbio vadano adeguate all'esigenza di agire dall'interno del sistema od ecosistema che si va profilando. In ogni caso, e indipendentemente dal planning. Ciò che finora si è qui proposto è precisamente un abbozzo di antidoto contro questo rischio, basato anzitutto sull'identificazione di alcuni tratti distintivi e di pochi principi elementari di funzionamento di tale sistema/ecosistema; nonché sull'attenzione particolare rivolta a certe, non tutte, forme di approccio ad esso e al connesso tema delle Smart Cities.
2. "Partéciposservare" Periphèria Periphèria 2 - Networked Smart Peripheral Cities for Sustainable Lifestyles - è un'iniziativa cofinanziata dalla Commissione Europea nell'ambito del programma quadro competitività e innovazione (CIP), in particolare del programma di sostegno alle politiche per le TIC (ICT PSP), azioni pilota del tipo B, volte a stimolare l'adozione di servizi e prodotti innovativi basati sulle TIC. Il progetto, svolto da un consorzio composto da dodici partner provenienti da cinque Stati membri dell'UE, è finalizzato a promuovere stili di vita sostenibili, tramite appropriate piattaforme e servizi FI, nelle città "periferiche" (rispetto all'attuale "centro" europeo) e nella rete emergente di Smart Cities che esse possono formare. Il core-network di Periphèria è formato da cinque città pilota (Atene, Brema, Genova, Malmö, Palmela) e da sette sponsoring cities (Lisbona, Helsinki, Rio de Janeiro, Budapest, La-Ferté-sous-Jouarre, Larnaca, Malaga, Malta, Palermo). Facendosi portatrice della finalità tipica dei LLs, consistente nella fuoriuscita dal chiuso dei laboratori delle attività di ricerca e sviluppo, e dell'approccio a tale finalità che connota in particolare i TLLs, Periphèria postula che la capacità di trasformazione (in senso sostenibile) delle città (periferiche) europee sia possibile tramite un'intima miscela di cambiamento tecnologico e sociale, basata sulla gravitazione delle cosiddette Internet of Things (IoS), Internet of Services (IoS) e Internet of People (IoP) intorno al concetto centrale di interazione sociale situata, cosiddetto "People in Places". Dalla sintetica descrizione generale appena fornita si desume facilmente che Periphèria, pur essendo focalizzata sul rapporto tra approccio LLs (in particolare TLLs) e Smart Cities, opera ad ampio raggio entro l'intero ecosistema emergente sopra descritto (Komninos et al., 2011; Pallot, Trousse, Senach, Schaffers & Komninos, 2011; De Bonis, 2009). Ma al di là della descrizione generale e delle riflessioni che essa può suscitare, importa qui in particolare sottolineare due aspetti salienti dell'iniziativa, per ricollegarli infine alla funzione dell'Osservatorio (di cui faccio parte) che nel suo ambito è stato avviato (Concilio et al., 2011a,b). Anzitutto le trasformazioni comportamentali verso cui si tende in Periphèria emergono tramite pattern replicabili, scalabili e trasferibili di innovazione individuale e collettiva, cosiddetti Behavlets, sostenuti e/o indotti da corrispondenti unità elementari di innovazione tecnologica, cosiddette Urblets, costituite da dispositivi fisici (urbani) corroborati da applicazioni FI. Ad esempio, nel caso di Malmö, per Urblet si intende un insieme di dispositivi incorporati nell'ambito di vicinato, atti a rilevare e mostrare in pubblico il consumo di energia degli spazi comuni, in modo da indurre comportamenti energetici più virtuosi (Behavlet) non confinati, come solitamente avviene, nella sfera puramente privata. Relativamente a questo primo aspetto saliente c'è da sottolineare l'inseparabilità Urblets/Behavlets che può sottendere, almeno nella mia interpretazione, la piena integrazione degli aspetti sociali e tecnici in una superiore entità socio-tecnica, nonché il superamento della vieta dicotomia tecnologia/uso della tecnologia o, in altri termini, mezzo/messaggio (McLuhan, 1964). Il secondo aspetto saliente da evidenziare, ancora più rilevante per la ricerca territoriale, è che il co-design delle coppie Urblets/Behavlets - o per meglio dire degli Urblet intrinsecamente portatori di potenziali Behavlet dovrebbe avvenire in Periphèria nel contesto di cosiddetti "structured scenarios" (Celino&Concilio, 2010), da interpretare a mio parere come "visioni" che emergono dalle interazioni, ma che sono anche in grado di rifrangersi nei progetti e nelle strategie individuali, polarizzando i processi molecolari che possono contribuire a innescare dinamiche collettive (Lévy, 1994). E' chiaro che le considerazioni finora svolte sugli aspetti salienti di Periphèria non costituiscono l'esito di una pura attività di osservazione, nel senso pre-indeterminista del termine. E nemmeno di una osservazione esaustiva ("completa" direbbe Lindblom). Al contrario si tratta di un'osservazione focalizzata su alcuni aspetti ritenuti (di volta in volta) essenziali, che tiene conto del fatto che l'osservatore (compreso il pianificatore) è un agente tra gli agenti, identificabili non solo con le componenti del sistema ma col sistema stesso (Heylighen, 2001), che agisce esso stesso secondo proprietà emergenti dall'interazione.
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http://peripheria.eu/
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Un genere di "osservazione partecipante", quindi, che è anche alla base, sempre nella mia interpretazione, dell'idea di Osservatorio di Periphèria 3 . Osservatorio nato come comitato scientifico del progetto e ora in via di evoluzione verso la forma di un'entità permanente inter-accademica, orientata alla collaborazione con le reti europee di Smart Cities e di LLs 4 e finalizzata a esaltare le potenzialità di innovazione territoriale "sociodigitale" degli ambiti di azione dei (T)LLs. A tale funzione dell'Osservatorio ritengo siano precisamente riconducibili gli aspetti salienti di Periphèria che ho qui sottolineato. Nel senso che l'abbandono del paradigma del controllo esogeno, in favore dell'accettazione dell'immanenza della pianificazione rispetto allo EnvironMental System nel quale e col quale interagisce, si dovrebbe segnatamente esplicare nella partecipazione (del pianificatore) alla generazione locale e all'interconnessione translocale di quelle visioni intese come configurazioni dinamiche situate, atte a sostenere e a contestualizzare il co-design di dispositivi tecnologici incorporati in città e territori, e intrinsecamente espressivi di nuove relazioni tra soggetti e ambiente.
3. Conclusioni Anziché con una sintesi descrittiva dell'intero ragionamento fin qui svolto, mi piace chiudere con un'immagine icastica che mi pare lo condensi bene, tratta da un'intervista rilasciata da Geoffrey B. West al N. Y. Times (Leherer, 2010), in cui il fisico della complessità, per spiegare la grande caducità delle imprese se paragonata alla estrema longevità delle città, nota che mentre le prime sono gestite "in a top-down fashion", il sindaco di una qualsiasi città, come tutte fortemente immune ai desideri di politici e pianificatori, non può dire alla gente dove vivere, o cosa fare, o dove andare. Le città non possono essere gestite, prosegue West, ed è proprio questo che le rende così vibranti. E conclude: «It's the freedom of the city that keeps it alive».
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http://peripheria.eu/observatory http://www.openlivinglabs.eu/news/enoll-drives-connected-smart-cities-network
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Qualità urbana e flussi materiali ed immateriali
Qualità urbana e flussi materiali ed immateriali Stefano Aragona Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico Email: saragona@unirc.it Tel. 0965.809521
Abstract Benessere degli abitanti e forma dello spazio sono sempre più legati così come anche enfatizza la Carta di Lipsia (2007) che richiede “...strategie della politica di sviluppo urbano integrato… coordinate a livello locale, e di città - regione più vasto… un partenariato tra città e zone rurali e anche tra città piccole, medie e grandi e città all’interno di città-regioni e aree metropolitane”, necessità confermate l’anno successivo nel Patto dei Sindaci. Scopo del contributo è considerare non solo tali tematiche legate alle risorse naturali, alle condizioni locali, con una visione integrata ma averli quali elementi chiave nella pianificazione e progettazione del territorio e della città. Lo scritto propone l’avvio di una strategia metodologica che consenta di pianificare/progettare bio-territori seguendo un approccio complesso basato sull’alleanza tra uomo e natura (Scandurra, 1995) avendo un approccio “colto” alla tecnologia per evitare inique soluzioni tecnocratiche (Del Nord, 1991). Considerando che finalmente anche l’Unione Europea indica nel rapporto tra Innovazione Tecnologica nelle Comunicazioni (immateriali, cioè la telematica e fisiche) e processi antropici sostenibili (Aragona, 2000) - entrambi “flussi” di energia, materie, informazioni - la strada per nuovi modalità di insediamento e per migliorare la qualità della vita .
La bio-logic city è possibile da molto tempo… ma pochi urbanisti lo sanno Come spesso accade in Italia, il nostro Paese aveva anticipato da molto tempo ciò che adesso anche la Unione Europea riconosce come elemento chiave nella costruzione di scenari territoriali, urbani, sociali ed economici 1 . Tentando così di superare la filosofia strettamente settoriale dell’approccio Information Communication Technology che ha caratterizzato i recenti anni. Flussi di energia e di comunicazioni così come oggi suggerito da "Smart City" Horizon 2020 è un tema su cui si inizia a scrivere da quasi 30 anni (Aragona, 1993) 2 . Nel volume La città virtuale lo scopo era proprio illustrare le potenzialità delle innovazioni nelle Trasformazioni urbane e nuove tecnologie dell’informazione completamento del titolo di quel testo. Cosa che fu colta bene l’anno successivo dall’allora neo Sindaco di Roma Rutelli quando commentò il libro nella trasmissione “Due minuti. Un libro” a quella che si chiamava Telemontecarlo. Tali riflessioni non rimangono solo teoriche, seguono sperimentazioni. Pochi mesi dopo l’insediamento della nuova Giunta della Capitale, promosso dall’Assessorato alla mobilità nasce il Progetto Pilota Tra.De.: Traffic Decongestion Teleworking Programme nell’ambito del Programma Comunitario LIFE. L’obiettivo è verificare la possibilità di modificare la struttura della domanda di mobilità nell’area romana per tentare di ridurne la quantità e modificarne la “qualità” - cioè i ”modi” ed i ”tempi” d’uso delle infrastrutture - mediante l’impiego di telelavoro. Finalità analoghe al contemporaneo esperimento di lavoro a distanza dell’Area Metropolitana di Bologna: diminuire la domanda di mobilità e le ripetute situazioni di congestione senza esclusivamente ricorrere 1 2
Così fu per il primo Personal Computer prodotto dalla Olivetti e di tante altre scoperte poi lasciate ad altri paesi… Testo la cui introduzione fu scritta dal prof. C. Beguinot che dal 1985 e per molti anni successivi ha promosso il Progetto Nazionale sulla “Città cablata” finalizzato allo studio dell’utilizzazione e gli impatti ipotizzabili delle telecomunicazioni interattive. Ampia documentazione è nei volumi a cura di questi “La città cablata. Un’Encicopedia” e con Cardarelli, U., “La Citta' cablata e nuova architettura”.
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alle consuete soluzioni di infrastrutture viarie; in questo caso altro obiettivo è valorizzare le risorse esistenti sul territorio metropolitano con i suoi villaggi artigianali e le aree industriali - illustrato da ricercatori dell’IRES CGIL (Battaglini, Oteri et al.) nel Convegno “Riprendiamoci la città: tutti in tram, tuti in tram” 3 da - ed era una cooperazione tra il Settore Traffico e Trasporti del Comune di Bologna ed il programma comunitario “Digital Sites”, DG XII. Ma perché in Italia queste feconde iniziative non si diffusero nonostante fossero chiare le opportunità di migliorare la qualità della vita, iniziare a proporre processi di antropizzazione bio-logici? Perché, come viene anticipato nel 1993 nel già citato La Città virtuale, poi ulteriormente approfondito in Ambiente urbano e innovazione. La città globale tra identità locale e sostenibilità (Aragona, 2000), l’innovazione trova una molteplicità di ostacoli quando deve essere applicata. L’energia anche ebbe un’attenzione forte ancora prima: nel 1976 venne varata la legge 373 per il risparmio energetico e vi furono i primi esercizi di progettazione “solare” come l’emblematico “Il sole e l’habitat” (Gruppo energia solare architettura e ingegneria Napoli, 1979). Il controllo è a scala edilizia, ancora non si va oltre la ristretta filosofia del risparmio energetico. Qualche iniziativa viene proposta ricorrendo al solare passivo, ma la questione costi ostacola il percorso. Con la cogenerazione inizia ad presentarsi una nuova filosofia: produrre elettricità e calore insieme, la FIAT propone i ToTEM.(Total Energy Managment). Alcune realtà urbane usano tale idea a scala comunale riuscendo a riscaldare le comunità locali: a Brescia progettato nel 1972 dopo 6 anni entra in funzione il primo sistema di teleriscaldamento… ed è ancora esistente. Sembra che stia crescendo la consapevolezza della interdipendenza tra le scelte localizzative (andamento climatico del luogo ovvero irraggiamento, venti, precipitazioni), il livello di benessere, la morfologia dell’area e del costruito, la presenza delle componenti verde ed acqua (fiumi, mari, laghi): insomma dei criteri che Vitruvio suggeriva nel pensare lo spazio da costruire. Si stanno recependo i segnali lanciati da lavori ormai antichi, ma non per questo concettualmente non rilevanti 4 . Ma poi il crollo del prezzo del barile di petrolio, le economie legate alla produzione e distribuzione di benzina, l’assenza di politiche incentivanti - diversamente dalla Germania che subito dopo la prima crisi energetica del 1972 avviò il supporto alle energie rinnovabili pur avendo allora una politica energetica fortemente legata all’energia nucleare (recentemente dichiarata finita) - ne fecero scordare l’esistenza. Aver riportato alcuni momenti salienti di esperienze passate e, soprattutto, gli ostacoli alla creazione di una città bio-logica cioè bio-sostenibile e logic, cioè innervata in modo “intelligente” è finalizzato ad elevarne le possibilità di realizzazione. Forse l’invito a presentare idee progettuali per Smart Cities e Communities nell’ambito dell’Asse II del Programma (azioni integrate per lo sviluppo sostenibile e lo sviluppo della società dell’informazione) e progetti di “innovazione sociale” nell’ambito dell’Asse III (iniziative di osmosi Nord-Sud) solleciterà anche il nostro Paese in tal senso. Le proposte devono dare soluzioni per problemi di scala urbana e metropolitana tramite l’insieme di tecnologie, applicazioni, modelli di integrazione e inclusione. La Smart Community è il riferimento per l'individuazione delle aree di ricerca e delle traiettorie di sviluppo. Va intesa in senso ampio rispetto alla definizione di agglomerato urbano di grande e media dimensione. Si riferisce al concetto di città diffusa e di comunità intelligente, anche attraverso l’aggregazione di piccoli comuni ovvero sistemi metropolitani, nei quali affrontare assieme tematiche socio ambientali, quali mobilità, sicurezza, educazione, risparmio energetico o ambientale. Horizon 2020 puntualizza che in un mondo che cambia, l'UE sollecita il formarsi di un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva. Queste tre priorità - rafforzandosi reciprocamente - dovrebbero aiutare l'Unione europea e gli Stati membri ad ottenere più alti livelli di coesione, occupazione, produttività e socialità. Concretamente, l'Unione ha fissato cinque obiettivi ambiziosi - in materia di occupazione, innovazione, istruzione, inclusione sociale e clima/energia - da raggiungere entro il 2020 5 . Il piano di Unione dell'innovazione contiene oltre 30 punti di azioni per conseguire tre obiettivi: a) puntare all’eccellenza scientifica 6 e dotare l'Europa di infrastrutture di ricerca (comprese le e-infrastrutture) a scala mondiale accessibili a tutti i ricercatori in Europa e altrove); b) sostenere settori competitivi (micro-e nano3
Promosso nel 1997 dal Dip. di Architettura e Urbanistica per l’Ingegneria, Roma “La Sapienza”. Così Casabella nel 1980 titola il n.461Edilizia e risparmio energetico, lo stesso anno esce Energia e habitat di Cornoldi e Ios, quindi Architettura bioclimatica (Enea, In/arch,1983), La dimensione ambientale nella pianificazione urbanistica (Ronzani, 1998), il testo curato da M. Nicoletti Architettura ecosistemica. L’equilibrio ambientale nella città (1998), la raccolta di scritti di Huber del 1999 Territorio, sito, architettura e nel 2004 L’Architettura del Sole di P. Portoghesi e R. Scarano. Ricordando l’antica, basilare, sperimentazione che P. Soleri ad Arcosanti (Phoenix, AZ) sta conducendo da molti decenni divenuta riferimento culturale per le esperienze successive quali Ecolonia (1989-93) nei Paesi Bassi (Aragona, 2010). 5 Ogni Stato membro ha adottato i propri obiettivi nazionali in ciascuna di queste aree. 6 Aprendo nuovi e promettenti campi di ricerca e l'innovazione attraverso il sostegno a tecnologie future ed emergenti, fornire ai ricercatori una formazione eccellente e opportunità di carriera attraverso le azioni Marie Curie. 4
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elettronica, fotonica, nanotecnologie, materiali avanzati, biotecnologie, produzione avanzata ed elaborazione); c) migliorare la società focalizzando gli sforzi su: I. Salute, cambiamento demografico e benessere; II. Sicurezza alimentare, agricoltura sostenibile, ricerca marina e marittima e bio-economia; III. Energia sicura, pulita ed efficiente, intelligente; IV. Trasporto ecologico ed integrato; V. Inclusive, innovative e sicure società; VI Azioni sul clima, uso efficiente delle risorse e materie prime (http://ec.europa.eu/research/innovationunion/index_en.cfm?pg=action-points). La città bio-logica si forma quando questi 3 ambiti di interesse sono cooperanti e sempre più tra essi si formano sinergie. In tal senso nel nostro paese potremmo avere già molteplici impieghi ma così non è… ma potrebbe essere. Di seguito si mostra quello che potrebbe essere senza rivoluzionarie innovazioni.
Quello che non è, ma potrebbe essere la bio-logic city Dell’importanza dell’informazione interattiva sul territorio si scrisse fin dal 1987 (Aragona, Macchi) alla VIIa Conferenza di Scienze Regionali. Allora ancora non era possibile, in Italia in modo particolare, avere l’accesso individuale, interattivo ai servizi avanzati (Value Added Service, VAS). Tant’è che si ipotizzavano i cosiddetti Teleporti, aree avanzate di telecomunicazioni interattive spesso associate a rilevanti operazioni immobiliari 7 , che davano alle città elementi di maggior competitività per la nascente moderna globalizzazione (Aragona, Macchi, 1988). Diffondendosi computer e reti si iniziano a creare le cosiddette Reti Civiche, di cui gli attuali portali a scala comunale, provinciale e regionale sono oggi espressione 8 . Bene, questo è quello che si è scritto. Occorre la verifica sul campo. Consideriamo due importanti Enti Nazionali di rilevo come l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS) ed il Pubblico Registro degli autoveicoli (PRA). Partendo dalla piccola scala, dalle opportunità quotidiane e dal miglioramento sia della qualità della vita che dell’uso smart delle risorse sembra incredibile che neghino tali possibilità. La legge prevede, giustamente, che per richieste di assistenza per invalidità l’INPS (recente attribuzione di responsabilità prima delle ASL) effettui visite mediche. Per la richiesta di queste occorre avviare una pratica telematica da parte del medico di base della persona interessata tramite un modello scaricabile in rete. Il medico di base, se molto tecnologico, può richiedere al suo assistito sempre per via telematica tutte le informazioni per avviare la pratica detta e poi inviare a questi il modello compilato sempre telematicamente. Il modello però deve essere presentato “di persona” ad un CAF (Centro Assistenza Fiscale) per essere poi inoltrato all’INPS. Teoricamente il richiedente stesso potrebbe spedirlo all’INPS ma la procedura è letteralmente incomprensibile. Cosa succede nella realtà? Dopo aver portato il modello materialmente (!) al CAF, si deve attendere che l’incaricato di queste pratiche dia - sempre materialmente - la ricevuta della presentazione del modello stesso. E poi attendere… attendere cosa? Che l’INPS comunichi la data della visita! E come avviene questa comunicazione?... con un SMS (anzi due identici ripetuti) al cellulare che si è lasciato. Sì! È scritto correttamente: con un SMS l’INPS comunica una data così importante. Ma attenzione perché se s’intende avere una visita sia domiciliare, cioè nell’abitazione o nel Centro, Casa di riposo, etc. del richiedente - cosa del tutto probabile facendo domanda per il riconoscimento d’invalidità - allora si deve ritornare alla casella di partenza poiché il CAF non può presentare all’INPS il modello precedente ma occorre che il medico di base ne compili un altro, praticamente identico al precedente solo con la differenza di aver la dicitura “D” invece che “C”. Ma occorre anche che riavvii la pratica telematica, dia il nuovo modello al suo assistito e questi dovrà andare nuovamente al CAF… Facile no?... se non fosse che il modello “D” non si riesce a scaricare dal sito dell’INPS. Ed a nulla servono certificati del medico di base che attestano l’impossibilità alla deambulazione del paziente. L’INPS accetta solo il modello “D”. A questo punto il richiedente si arrende e cercherà di andare in qualche modo alla visita 9 . E come brillante chiusura d questo uso “italiancasareccio” dell’innovazione nelle comunicazioni, chiamando al Call Center dell’INPS chiedendo come poter fare per scaricare questo fatidico modello “D” per visite a domicilio la risposta è: “ma il modello “D” non serve, non esiste, è sufficiente un certificato del medico d base” ed a nulla serve far notare che non solo il CAF che i volontari (giovani con occupazione precaria) che in esso lavorano dicono di aver visto direttamente - non accetta tale documentazione ma anche che nell’Home Page dell’INPS tale modello è espressamente citato. Kafka è solo un barzellettiere nel confronto di questi fatti!
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Spesso erano queste che usavano l’innovazione tecnologica come “flag” per vendersi meglio, come evidenziato nel 1993 in Aragona La città…op.cit., cap.3. 8 Sulle caratteristiche e peculiarità si veda Aragona (1996 ) Reti civiche: prime sperimentazioni di telematica 'pubblica' per la città virtuale e (2000) in Ambiente… op.cit., cap.4. 9 Che viene fissata 9 mesi dopo la richiesta… ma questa è un’altra storia.
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Certo meno complicata ma altrettanto disarmante è la vicenda che riguarda il PRA. Tutti i veicoli sono registrati in esso, per vedere la situazione della tassa di proprietà (i bolli) pagata o meno sarebbe sufficiente connettersi al sito del PRA e verificare la propria situazione. Questo è stato possibile per un breve periodo poi non più! Adesso occorre recarsi ad un’Agenzia dell’Automobile Club e far fare tale visura. Alla domanda rivolta alla cortese impiegata sul perché di questa sopravvenuta impossibilità la semplice risposta è stata: “e noi poi che facciamo?”. Questi casi esemplificativi contengono tutte le difficoltà, e per contrasto, tutte le opportunità che della città intelligente. Cioè della città che passa dal controllo di processo al controllo di prodotto 10 . Questo implica una serie di nuovi rapporti, gradi di libertà che modificano quelli esistenti (Tabb. I, II, III, IV): tutto ciò incide sulle relazioni spaziali, cioè le funzioni urbane, le funzionalità degli spazi, la qualità della città e del territorio. Di cui la materialità della prima e del secondo rimangono comunque assolutamente centrali: la sfida dell’urbanista è proporne un impiego utile al miglioramento del benessere delle persone e dell’ambiente. Tabella I: “PSICOLOGIA E COMPORTAMENTO nel telelavoro: OPPORTUNITÀ” OPPORTUNITA’ Psicologia: - Migliore immagine individuale - Maggiore motivazione - Migliori rapporti familiari Comportamento: - Possibilità di più informazione - Maggiore autonomia - Migliore gestione del tempo libero
Individuo
Azienda
X X X
X
X X X
X X
Tabella II: “PSICOLOGIA E COMPORTAMENTO nel telelavoro: RISCHI” RISCHI Individuo Azienda Psicologia: - Senso di isolamento X - Minor scambio esperienze X X Comportamento: - Possibilità distrazione esterne X - Non distinz. tempo lavoro/ t. riposo X Tabella III: “ECONOMIA E SPAZIO nel telelavoro: OPPORTUNITÀ” OPPORTUNITA’ Individuo Azienda Economia: - Maggiore produttivita' X X - Minore assenteismo X - Minore turn-over X X - Possibilità di lavoro part-time X X - Possibilita' di microimpresa X - Sviluppo aree povere - Possibilità lavoro per "disabili" X - Possibilità di lavoro per chi ha X problemi di spostamento Spazio: - Riduzione area ufficio X - Aumento tasso di utilizz.edifici X - Riduzione tempi e costi trasporto X X - Promiscuità aree abitazione X
Tabella IV: “ECONOMIA E SPAZIO nel telelavoro: RISCHI” Economia: Individuo 10
Azienda
Società
X X X
Società X
Società X
X X X
X X X
Società
Così come evidenziato anni fa da Jack Nilles, il creatore del termine telelavoro si veda Aragona La città…op.cit., Teleworking in Europe and the United States (1994), Telelavoro: ovvero cosa? (1997), Ambiente Urbano…op. cit.,
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Qualità urbana e flussi materiali ed immateriali
- Minore integraz.con l'azienda - Difficoltà di controllo dirigenziale - Minore riservatezza dei dati - Minore potere contrattuale - Possibilità di perdita di status - Minori possibilità di carriera - Possibilità di secondi lavori Spazio: - Promiscuità abitazione - Aumento spostamenti
X X X X X
X X X X X
X X
X
X
Nelle tabelle sopra riportate 11 prima sono evidenziati gli aspetti psicologici e comportamentali poiché essi sono determinanti nella implementazione dell’innovazione. Sono essenziali ai fini dell’efficacia di essa. Altrettanto vale nel tema dell’energia e delle condizioni di benessere. Non vi è controllo automatico che possa sostituire l’apertura o la chiusura di una finestra con il modificarsi delle ore e delle stagioni. Compito del pianificatore, dell’architetto e dell’ingegnere è creare le premesse strutturali affinché ciò possa essere fatto nel modo più efficiente. Nelle prime due tabelle vi indicatori, cioè elementi, che partecipano alle condizioni di benessere fisico e psicologico considerati in relazione al rapporto con l’Individuo, l’Azienda, la Società. Vi sono opportunità e rischi che comportano nuovi stimoli sia in relazione agli spostamenti che all’uso dello spazio. Altrettanto è nelle due seconde tabelle dove in modo ancor più significativo si evidenziano le modificazioni che le l’aumento dei gradi di libertà possibile grazie alle tele-attività. In tutti i casi si evidenzia una potenziale rottura delle sincronie tra spazio e tempo di svolgimento di attività di qualsiasi tipo esse siano. Questo non significa la scomparsa delle necessarie, inevitabili nel senso stretto del termine, componenti materiche di esse, ma in una gestione di tutto ciò che è prima e durante tali “necessarietà” che rappresentano in termini temporali e fattuali spesso però una piccola percentuale. Un passaggio chiave per l’efficacia dell’implementazione dell’innovazione è riferita alla trasformazione prima detta della centralità dal “controllo” al “prodotto” poiché questo implica perdita di potere da parte del controllore 12 . Si ricorda che una novità 13 della telematica è quella di trasformare un servizio in prodotto o questo in servizio: in entrambi i casi smaterializzandone le caratteristiche. Altrettanto indispensabile è l’informazione e la formazione sia di abitanti, utenti che di tecnici, amministratori e politici. Non sottovalutando il fatto che tanto più i primi diventano in/formati tanto meno i secondi perdono potere di tipo autoritario e ne acquistano però di autorevolezza. L’informazione ed una tecnologia colta, riprendendo Del Nord (1991), sollecita, può aprire nuove opportunità, anche di tipo occupazionale: l’alternativa è la sincera, ma disarmante, risposta prima riportata dalla dipendente dell’ACI. Ancora vi è una componente legata alla “accessibilità” che è di tipo fisico che funzionale. Per la prima si ricorda il “digital divide” che ancora “separa” aree del paese e tra queste quelle interne, meno accessibili, meno abitate e quindi con meno potenziale capacità di spesa dalle più densamente popolate e più ricche. A tale riguardo la tanto discussa “banda larga” deve evitare - quando sarà realizzata - di non creare gli stessi effetti dell’alta velocità: avvicinare chi (i grandi e più rilevanti poli urbani) sta lontano ed allontanare chi invece sta vicino (le città più piccole e non centrali). Ma occorre anche che vi sia una facilità di accessibilità nel processo e nell’uso. Il caso negativo prima riportato dell’INPS esemplifica una modalità errata dell’uno e dell’altro. Innanzitutto il processo deve essere completamente telematizzato poiché se lo è una parte sola di esso non si hanno benefici né per l’utente né per il fornitore del servizio. Tutti i materiali devono essere disponibili in rete e facilmente reperibili; se ciò non fosse possibile nuovamente i vantaggi verrebbero meno. Entrambi questi due requisiti infatti sono condizioni indispensabili perché vi siano i vantaggi previsti in termini di risparmio in: a) spostamento, quindi energia per trasporto, b) inquinamento, c) flussi veicolari (con conseguente aumento dell’efficienza nell’uso delle infrastrutture di collegamento e riduzione congestione stradale), d) uso del tempo e, “indicatore composto” dall’insieme dei precedenti (ma non solo) e) miglior qualità del benessere dell’utente. 11
Rivisitazione di quelle già elaborate in Qualità… op cit. Rappresentato in modo parossistico dall’impiegato Sordi “controllato” dal Capo Ufficio Augias in un divertente film degli anni ’60. 13 Nel senso stretto del temine, cioè di “fatto”, phenomenon, prima non esistente come detto in Aragona La Città…op. cit. Cap.1. 12
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Qualità urbana e flussi materiali ed immateriali
Figura 1. La città delle “Smart Grids” (fonte www.tuttogreen.it) Così dalla parte del produttore di servizio a questi elementi si aggiunge f) migliori condizioni di lavoro articolata in innalzamento della qualità di fruizione degli spazi e di rapporto con l’utenza, etc. Per non parlare poi dell’eventuale svolgimento di tali lavori dal domicilio. Si noti che anche nei servizi dell’assistenza socio sanitaria nell’ambito della rivisitazione avvenuta nel 1999 - che intende collegare la domanda allo specifico territorio - nel nuovo (allora) Piano Regolatore Sociale è previsto l’uso di teleassistenza domiciliare 14 . Ovviamente queste opportunità necessitano nuove articolazioni nell’organizzazione del lavoro e dello spazio 15 . Come una diversa modalità di pensare allo spazio la si ha già con i “lampioni intelligenti” che da qualche tempo sta tra necessità urbane e qualità urbana la si può avere con i “lampioni intelligenti” che da qualche tempo si stanno sperimentando a Cattolica, che potrebbero non solo essere un grande risparmio energetico ma avere una grande quantità di altre applicazioni di controllo, informazione, sorveglianza 16 . Tutto questo potrebbe avere una accelerazione significativa se le cosiddette “smart grids” avessero rapida diffusione. Con il concetto di Smart Grid - rete elettrica in grado di integrare intelligentemente le azioni di tutti gli utenti connessi (consumatori e produttori, “prosumers”) al fine di distribuire energia in modo efficiente, sostenibile, economicamente vantaggioso e sicuro - viene superata la visione classica di rete elettrica (Fig.1). Non più una rete di distribuzione sostanzialmente passiva che trasporta l'energia in una sola direzione, da poche grandi centrali di generazione a tanti piccoli punti di consumo dislocati presso gli utenti finali. Non più solo un controllo centralizzato, con linee, interruttori, trasformatori, ma anche flussi di potenze bidirezionali e reti attive, fatte anche di elettronica, informatica e comunicazione . 14
Introdotti con Dlg. n.229/99 “Razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale” promosso dal Ministro della Solidarietà sociale L. Turco con il I° Governo Prodi come riportato nel 2003 in Aragona S. Piano Regolatore e Piano Regolatore Sociale. 15 Come è sempre stato nel rapporto tra innovazioni e processi antropici (si veda “Città ed energia. La valenza energetica dell’organizzazione insediativa” De Pascali P., 2008). 16 Poiché i lampioni sono estremamente diffusi (in Italia 1 ogni 6 abitanti e nei piccoli Comuni si arriva a 1 ogni 2,5 ab.) si possono immaginare altri usi delle informazioni legate all' uso di sensori e webcam messi sul palo che è vicino a quasi tutti i punti da collegare alla rete: governare il ritiro della spazzatura facendo arrivare i camion quando i cassonetti sono pieni, dare notizie meteo per l' agricoltura calibrate esattamente per quella zona, costruire un sistema di videosorveglianza, creare un sistema di allerta per frane e alluvioni, monitorare lo smog (Cianciullo, 2012).
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Un’”internet of Energy” in cui ogni sistema di micro generazione sia connesso in rete e in grado di comunicare e ricevere dati. In ogni casa, ogni utente potrebbe divenire un prosumer, sia consumatore che produttore di energia in un mercato aperto sia ai grandi distributori che ai piccoli utenti. Questo richiede avere disponibili in tempo reale i profili di consumo/micro generazione di utenti e gestori mediante smart meters (contatori intelligenti) connessi ad una rete di comunicazione broadband in grado di gestire un flusso di monitoraggio e controllo bidirezionale (Enea, 2011).
Conclusioni: Necessarie politiche per indirizzare/utilizzare la bio-logic city Sembra che gran parte degli urbanisti in Italia non vogliano vedere queste modificazioni che non solo offrono opportunità ma anche stanno cambiando le relazioni spaziali. Amsterdam creò un Ufficio apposito per coordinare le politiche urbane con quelle delle infrastrutture avanzate di telecomunicazioni. La Telematica belt, cioè la cintura a banda larga di telecomunicazioni vista come rilevante infrastruttura - così come le ferrovie, le autostrade, etc. - indispensabile all’assetto del territorio e della città. O per meglio dire, affinché si potesse indirizzare un assetto più efficace ed efficiente dell’uno e dell’altra (Aragona, 1993, cap.3). Ma perché questo accada, e prima si sono illustrate sinteticamente le opportunità e le barriere/rischi, è necessario avere una forte condivisione dell’idea di territorio e città almeno come bene pubblico, se non come bene comune. Solo così l’efficacia è anche efficacia sociale e l’efficienza è miglioramento delle condizioni di vita, quindi miglioramento della qualità urbana e territoriale. In tale miglioramento rientra anche l’uso delle risorse energetiche. Se c’è questa idea condivisa di città e di spazio è possibile un ridisegno della città finalizzato al bene collettivo. Il telelavoro può essere un beneficio in termini di risparmio sia di energia che di inquinamento e congestione. Può innalzare l’uso efficiente delle infrastrutture poiché non solo consente una diminuzione dei flussi assoluti con la sostituzione virtuale di viaggi ma anche può abbassare i picchi di trasporto, quelli che originano rallentamenti e blocchi. Nei Paesi Bassi questa filosofia ed approccio è esteso all’intera nazione. Attraverso un succedersi dell’allargamento delle opportunità nelle comunicazioni avanzate si ipotizzano, cioè si pianificano, modelli di assetto territoriale, 3 diverse fasi di evoluzione fisica ed economica della nazione: “Randstad World City”, “A World of Regions”, “Act Local, Think Global” (Aragona, 1993, cap.2). Tutto ciò avendo come elemento comune la qualità e la sostenibilità delle trasformazioni 17 . Ma anche altri Paesi, all’avvio della diffusione delle telecomunicazioni avanzate - la telematica - si sono premurati di studiare impatti e potenzialità di esse. Così ha fatto la Svizzera con il corposo, approfondito studio di Roatch e Keller dell’Università di Zurigo del 1987 MANTO Project. Le difficoltà di collegamenti fisici che ne caratterizzano il territorio sono uno dei principali motivi che ne hanno sollecitato l’elaborazione. Questo sia in relazione al conseguimento di un miglioramento nella qualità della vita ma anche per mantenere e rafforzare la competitività dei territori stessi e dando operatività al già ricordato “Act Local, Think Global”. Accanto a queste attenzioni, collegate e coerenti, sono le politiche relative alle componenti naturali - quindi non solo energia - che caratterizzano i Paesi citati ma che sono nella visione complessiva anche di numerose Nazioni del Centro e Nord Europa. Così Suistanable Copenaghen c’è l’uso diffuso di energie rinnovabili ma c’è anche un trasporto pubblico collettivo diffuso. C’è la chiusura delle parti centrali delle città. Ci sono le piste ciclabili. Insomma c’è una politica che in modo integrato considera lo spazio antropizzato e non. Laddove è possibile i flussi materiali sono sostituiti con quelli immateriali. Questo consente una riduzione nella richiesta nei flussi di energia negli spostamenti sia di persone che cose (dematerializzazione). Il controllo quindi passa, come già prima accennato dal “processo” al “prodotto”. Molte delle peculiarità geomorfologiche del caso Svizzero sono comuni a tanti territori italiani: la Calabria è uno di questi. Per essa, già con il POR 2000-2006, intrecciando indicazioni di varie Azioni18 si sono ipotizzati 17
Così come evidenziato nel Ruvein Approach, documento essenziale del IV° Rapporto sulla Pianificazione della Nazione (1985) che indicava gli Scenari fino al 2025 (Aragona, 1993, cap.2). Paul Drewe, prof. di Urbanistica del Politecnico di Delft, direttore dell’Istituto per la Pianificazione del territorio (OSPA) della Facoltà di Architettura, nonché consulente del Ministero del Territorio, Ambiente e Residene (VROM) nel 1987 illustrava questo nel saggio “TLC and Alternative Future of the Randstad Holland" su Revue d'Economie Regionale et Urbanie, 2. 18 Le misure di intervento a cui è possibile fare riferimento per la “città cablata” sono inserite in differenti Assi del POR, Fondi Strutturali 2000-2006: Asse 4, Sistemi Locali di Sviluppo, Settore 4.1 - Sviluppo Imprenditoria Locale, Sottosettore 4.1.1 - Industria, Commercio, Servizi e Artigianato, Misura 4.1.1.2 - Gruppi e Reti di Imprese; Asse 5, Città, Settore 5.1 - Città, Sottosettore 5.1.1 - Città, Misura 5.1.1.1 - Politiche per le Aree Urbane; Sottosettore 5.1.2 -
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possibili scenari e descritte alcune delle rare esperienze “avanzate”. Nei primi anni del nuovo millennio (Aragona, 2003a) riportando dati Censis del 1999 si riscontrava un livello di penetrazione di telecomunicazioni “avanzate” nella Regione non basso. Questo evidenziava la possibilità di un sostanziale miglioramento in termini di benessere, di qualità dei territori e di competitività locali coerente con l’idea di “Pensare Globale ed Agire Locale”, ovvero con le indicazioni strategiche comunitarie. Possibilità quindi di minor consumo di energie, di spostamenti fisici, di consumo di suolo, di migliori servizi alla persona ed all’impresa. Al tempo stesso essere proposta per una identità “nuova”, mai esistita nel passato, che però fosse memoria anche di questo. In tal senso andava l’idea di “Cosenza Città Cablata. Cosenza e i suoi Casali, la democrazia elettronica e la Confederazione Bruzia”, dell’Assessore all’Informatica Piperno delle Giunte Mancini 19 (Aragona, 2002). Così come in tal senso è l’esperienza di diffusione della telematica a Soveria Mannelli, nella provincia di Catanzaro, in cui la popolazione totale supera di poco i 3500 abitanti (Aragona, 2003b): pc in tutte le abitazioni, reti telematiche, supportate dal Comune. Il quadro complessivo in cui si ponevano queste iniziative 20 era quello della coopetition, cioè cooperazione e competizione, tra territori connessi in rete (la cooperation) ma in concorrenza per le peculiarità locali (la competition). Purtroppo però, per la gran maggioranza dei casi, c’è solo la competizione senza la cooperazione. E così non si creano i meccanismi sinergici che solo questa può indurre.
Figura 2. Dalla Metropolis (www.film.it/fritz-lang/foto/page/2/) alla Ecumenopolis Fondamentale è la formazione e la concezione dello spazio come bene comune, altrimenti perché “chiudere” le parti centrali della città e puntare sul trasporto pubblico? Il telelavoro è ormai praticabile largamente ma pianificarlo: solo per un vantaggio individuale 21 ? O solo per motivi economici (Appold, Kasarda,1990). L’esperienza della Piazza Telematica di Scampia, nata con tante aspettative e slancio ma poi drasticamente arenatasi (Picinnini, 2010), mostra nuovamente che da sola l’innovazione non produce nulla per la collettività. Il Piano regolatore sociale, la teleassistenza, mostra che ancor più di prima che le grandi novità di cui si è parlato, vanno coordinate e strutturate in strumenti di piano, progettazione e programmazione. Telecontrollo energetico, pannelli solari, microcentrali del vento, smart phone e servizi, trasporto “a chiamata”, decentralizzazione di produzione elettricità possono essere un grande beneficio per la collettività solo se questa è consapevole, informata, formata sia come abitanti, cittadini, in quanto tecnici, amministratori, politici. Mentre nella cultura e nell’operatività urbanistica dovrà sempre più rafforzarsi l’attenzione agli aspetti gestionali dello spazio, sia in termini di servizi che di trasformazione dell’esistente, per innalzare la qualità delle città e dei territori in un’alleanza con la natura (Scandurra, 1995), avendo essa come suggeritrice dell’antropizzazione. Andando verso una nuova città: dalla Metropolis alla Ecumenopolis di Dioxiadis (1974), bene comune (Fig.3). Servizi alla Persona e alla Comunità, Misura 5.1.2.2 - Servizi Alla persona e alla Comunità; Asse 6 - Reti e Nodi di Servizio, Settore 6.1 - Trasporti, Sottosettore 6.1.1 - Trasporti, Misura 6.1.1.2 - Reti e sistemi di trasporto regionali; Settore 6.2 - Telecomunicazioni, Sottosettore 6.2.1 - Telecomunicazioni, Misura 6.2.1.1 - Sviluppo della Società dell'informazione; Settore 6.3 - Infrastrutture Sanitarie, Sottosettore 6.3.1 - Infrastrutture Sanitarie, Misura 6.3.1.1 Infrastrutture Sanitarie. 19 Già il fatto dell’esistenza di un Assessorato “Città Cablata, Nuove Tecnologie, Democrazia Elettronica” era un segnale di attenzione del soggetto pubblico al tema. 20 Come prima ricordato indirizzate e supportate anche da strategie d’ambito comunitario. 21 Quando già all’inizio degli anni ’90 negli US se ne evidenziavano i benefici per la Società (Aragona, 1993, Cap.4).
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…la Città ecologica Come Bene Comune
Figura 3. Immagini dalla I° Biennale dello Spazio Pubblico (2011, Roma) e dalla celebrazione dei Referendum per il mantenimento della gestione pubblica dell’acqua ed il no all’energia nucleare in Italia.
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Qualità urbana e flussi materiali ed immateriali
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Approcci Transdisciplinari e nuovi scenari urbani e territoriali: Philippe Rahm e Peter Fend
Approcci Transdisciplinari e nuovi scenari urbani e territoriali: Philippe Rahm e Peter Fend Massimiliano Scuderi Università di Teramo Dipartimento di Scienze della Comunicazione Email: mxscuderi@yahoo.it
Abstract Il contributo vuole introdurre una riflessione sull’architettura e l’urbanistica, partendo dalla consapevolezza della necessità di un dialogo tra cultura scientifica e cultura umanistica relativamente agli aspetti meta disciplinari del progetto.
Alcune questioni cruciali inerenti agli aspetti interdisciplinari vengono spesso eluse, principalmente negli ambienti accademici: l’annosa questione dell’autonomia delle “scatole” dei saperi e della loro incomunicabilità è generalmente un argomento che viene nei fatti evitato, anche se sembra sempre più improrogabile l’ampliamento degli orizzonti conoscitivi sul modo in cui le arti e le scienze s’apparentano. Sembra utile ricordare, a tal proposito, le parole di Lyotard in un colloquio con l’architetto Piero De Rossi: “se guardiamo al pensiero della fine del diciottesimo secolo, ci stupisce verificare che gli scambi interdisciplinari- se così possiamo chiamarli - sono già di regola... la separazione tra discipline è invece strettamente legata alla costituzione dell’università moderna, la quale data grosso modo, intorno al 1811”, (Lyotard J.F., & Derossi P. 1992). L’approccio con il quale viene risolto solitamente questo snodo epistemologico, soprattutto nelle fasi preliminari all’elaborazione di un qualsiasi tipo di progetto, tende ad essere affrontato con argomenti che mirano a riaffermare la distanza tra saperi – ad esempio tra quello tecnologico e quello umanistico. In tal senso si ritiene di estrema importanza la lettura del testo di Sir Charles Percy Snow The Two Cultures. In questo piccolo saggio si vuole affermare un principio, ovvero la necessità di una stretta relazione tra ambito scientifico e discipline umanistiche, tenendo conto di quanto l’immaginario indotto dalle scoperte scientifiche abbia arricchito la creatività in ambito letterario e artistico, come nel caso dello stesso Snow e dell’ambientazione dei suoi romanzi. In quest’occasione verranno analizzati come casi studio il lavoro di due artisti che operano in modo transdisciplinare su progetti di architettura e ingegneria, su scale che vanno dal progetto di design, nel senso più ampio del termine, all’intervento territoriale di vaste proporzioni: lo svizzero Philippe Rahm e l’americano Peter Fend. Queste due figure possono essere ascritte al nutrito elenco di autori i quali, provenendo da discipline diverse, mettono in campo nuove processualità transdisciplinari al fine di comprendere e di dare risposte alle problematiche complesse del mondo contemporaneo nel quale viviamo; questo tipo di approccio è in grado di innescare elementi progettuali innovativi e virtuosi all’interno di un possibile sviluppo di modelli di città e di territorio in cui entrino in sinergia agenti diversi rispetto a quelli tradizionali; il pensiero laterale che permea quest’atteggiamento permette infatti di collocarsi sempre in un ottica diversa rispetto ai problemi e di darne soluzioni innovative.
Massimiliano Scuderi
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Approcci Transdisciplinari e nuovi scenari urbani e territoriali: Philippe Rahm e Peter Fend
Philippe Rahm 1 Nella produzione di lavori e di architetture di Philippe Rahm ricorre come modus operandi la tecnica del displacement, nel caso specifico si intende la produzione artificiale di un clima, di un momento in un tale ambiente, di un insolita geografia adatta a funzioni specifiche di spazi, al limite del concetto di eterotopie. Quest’idea di sfasamento determina come Rahm stesso definisce alterazioni nella percezione del fuso orario, acclimatazione, viaggio nel tempo, ibernazione, ma anche slittamento verso dimensioni limite, ubiquità, channeling, polifonia, spettralità, esperienza al limite della morte. L’architettura stessa può intendersi a partire dal concetto di condizionamento di parametri naturali dati, in senso spaziale e temporale. Il concetto stesso di confort ha in sé un’ idea di adattamento, ad esempio del clima naturale al metabolismo umano, diciamo con un quaranta per cento di umidità e ad una temperatura di circa 25 gradi. La riflessione di questo architetto svizzero, di base a Parigi, nacque nel mondo nell’arte per essere approfondita nel campo dell’architettura, inizialmente con il collega Jean - Gilles Decosterd, poi da solo. Pensare ad esempio al principio per cui le case d’inverno vengono riscaldate, significa concretamente metter in atto una deconstestualizzazione geografica e temporale, ricreando climi e ambienti atmosferici esotici in spazi abitativi che non hanno queste caratteristiche, attraverso un’infrastrutturazione ad hoc. Si può, in effetti, passare da climi rigidi come quelli del centro e nord europa, a quelli tropicali varcando la soglia di casa. Rahm definisce questo detournement come una sorta di jet-lag climatico, come “un viaggio immobile nello spazio, una contrazione spaziale localizzata. Entrare in casa equivale allora a uno spostamento sul globo dal nord al sud, da 46 gradi di latitudine nord a 37 gradi di latitudine nord”. La stessa cosa vale per l’idea di illuminazione degli spazi urbani e domestici che già con l’avvento della modernità e con l’elettricità vengono costretti in una condizione di giorno perpetuo, in cui i cicli di attività giorno – notte sono mantenuti unicamente per convenienza. Questa sua impostazione concettuale prende le mosse dalla riflessione heideggeriana circa il rapporto tra l’uomo e la tecnica, che sarebbe utile alla comprensione dell’attuale crisi ambientale planetaria. Il filosofo tedesco imputava l’origine di fenomeni come l’inquinamento e le trasformazioni dell’atmosfera e della superficie terrestre alla tecnica moderna in grado di soggiogare la natura, privandola del principio di casualità. Proprio per questo motivo “progettare il clima è diventata una delle ragioni principali del sorgere della forma architettonica” (Rahm). Alla Biennale di architettura Venezia del 2002, in coppia con Decosterd, progetta uno spazio chiuso, rappresentativo delle condizioni climatiche della Svizzera, nazione committente del padiglione. L’Hormonorium, viene così concepito come un interno pressurizzato, un padiglione posto vicino alla laguna, quindi al mare, che riproducesse le condizioni tipiche dei picchi alpini a tremila metri di altezza. Per descrivere le caratteristiche climatico - ambientali dell’Hormonorium Rahm si esprime così: “Qui, varcare la soglia dell’Hormonorium, è elevarsi in un passo a 3000 metri, ritrovarsi in uno spazio in cui il tasso di ossigeno dell'aria diminuisce dal 21% al 14,5%, in cui lo spettro elettromagnetico riproduce l'estremo chiarore di un giorno bianco, quando la neve fa aumentare l'intensità luminosa dell’ ambiente fino a 10.000 lux. Alcuni mesi dopo, al Migros Museum, proponevamo uno spostamento ai limiti del possibile, una salita istantanea a più di 12.000 metri di altitudine. Qui, il tasso di ossigeno si riduce al 6%. È un luogo generico che si attraversa al momento della morte, quando il cuore, che ha smesso di battere, non fornisce più al cervello l'ossigeno necessario al suo funzionamento: un viaggio dalla vita alla morte, una salita al cielo estremamente rapida, dal 21% di ossigeno fino allo 0%. È uno spazio in cui si scatena un insieme di reazioni ormonali e neurologiche che provocano deliri, allucinazioni visive e auditive, e forse quel che si può intendere come un'illuminazione mistica, near-death experience: degli spazi di morte imminente, ad altissima altitudine, al limite del percettibile”. Un altro aspetto del metodo di Rahm consiste nel lavorare per irregolarità climatiche, per de sincronizzazioni, operazioni che rispecchiano in tutto e per tutto la fisiologia stessa del pianeta. Come per la creazione di giardini a Losanna (2004) in cui elementi culturali e tecnologie avanzate collaborano unendo biologia, chimica, letteratura, meteorologia, fisica, arte, ecologia, psicologia, architettura, paesaggio. Io strumento del giardiniere diventa lo sfasamento temporale, lavora quindi su un’altra dimensione dello spazio verde, gestendo la vita delle piante attraverso stimolazioni ormonali (per esempio le auxine e le gibberelline) crea un giardino in jet lag. Il filosofo di Karlsruhe Peter Sloterdijk parlando del mondo in relazione ai fenomeni legati alla globalizzazione definisce il pianeta come un sistema amniotico chiuso, come uno spazio introflesso, interno. Così per Philippe Rahm il problema dell’architettura non può essere disgiunto dal considerare i mutamenti in atto nel pianeta e quindi reputa imprescindibile il ricorso all’immissione di nuovi strumenti e nuovi dati all’interno dei parametri progettuali. Queste considerazioni implicano l’impiego di elementi come il calore, la luce o il vapore tra i materiali per la costruzione contemporanea.
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il testo è tratto da una serie di incontri e interviste fatte a Philippe Rahm dall’autore dal 2004 al 2011.
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L’idea di base è quella di creare una continuità tra architettura e ambiente o meglio di introdurre un processo di “naturalizzazione” dell’architettura degli interni. A causa del global warming, e con il conseguente innalzamento delle temperature dellla crosta terrestre, tutto ciò che prima poteva essere definito naturale è essenzialmente divenuto artificiale: Ecco perché, anche nell’edilizia, nasce il concetto di “sviluppo sostenibile”, una politica che predilige l’utilizzo di soluzioni tecniche semplici basate sul risparmio di energia, come l’isolamento termico e l’impermeabilizzazione (Rahm). Bisogna precisare che questi aspetti implicano riflessioni di natura estetica. I progressi della scienza mutato lo statuto stesso dell’arte del nostro secolo, che non si limita a descrivere la realtà, ma a scomporla in particelle elementari fatte di suoni, colori, parole. Rahm riesce a riprendere le suggestioni spaziali dei quadri di Turner, di Monet e degli Impressionisti, riesce a persuadere i sensi attraverso la gestione di flussi luminosi filtrati da vapori e brume, dalle variazioni del tasso di umidità dei suoi ambienti. Lo spazio è connotabile attraverso l’impiego di acqua nebulizzata e dalla luce, solitamente quella dei neon daylight, come veicoli per provocare uno detournement percettivo e far assurgere lo spazio progettato a spazio simbolico, ma senza narrazione, “una non realtà, una sorta di realismo più ampio che si oppone alla finzione predefinita” (Rahm).
Peter Fend Vive tra Berlino e la Nuova Zelanda, viaggiando senza fissa dimora alla ricerca di risposte concrete ai tanti problemi che affliggono il pianeta, oltre il sistema dell’arte, oltre le istituzioni, oltre i paradigmi disciplinari, nella realtà e con grande impegno etico. Il suo approccio parte dall’idea di contribuire alla realizzazione di grandi interventi territoriali, oltre l’idea degli earthworks della land art, attraverso opere ingegneristiche ed architetture funzionali, progetti che sono proposti a committenze vere e che implicano un lavoro relazionale complesso, finalizzato al coinvolgimento di comunità locali, organizzazioni internazionali e Stati. Nel 1991 insieme all’organizzazione Ocean Earth, composta da attivisti di varia provenienza e da lui fondata, si occupò di lavorare sui bacini salati chiusi o semi chiusi dall’Atlantico agli Urali, al fine di salvarli dall’inquinamento. Il lavoro consistette nel rilevamento dei bacini (che elencò in tredici mappe, di cui ne rappresentò dieci attraverso immagini satellitari), nel monitoraggio delle condizioni in cui versavano, nella raccolta di materiali e di sostanze attraverso apparecchiature per la coltivazione di alghe giganti. Il progetto e tutte le operazioni erano finalizzate alla produzione di metano e idrogeno, combustibili a basso impatto ambientale. In alcuni casi il lavoro ha ricadute di tipo socio- politico sulle comunità locali che vengono coinvolte nel lavoro di raccolta, cosa che in sé ricorda alcune utopie di stampo marxista, in quanto le produzioni dovrebbero determinare la nascita di piccole comunità e centri produttivi autonomi in grado di generare energia e lavoro appunto in autosufficienza. Stesso approccio per la baia di Tivat in Montenegro progetto finalizzato a monitorare la bioproduttività locale e alla creazione di un insediamento ecosostenibile. Un altro lavoro, presentato alla Biennale d’arte di Venezia nel 1993, consisteva nella proposizione di sistemi per la produzione di alghe giganti brune nel mare Adriatico. Il progetto, ripreso anche di recente da Fend, era finalizzato alla produzione di energie alternative al petrolio e partiva dalla considerazione del fallimento della conferenza sull’ambiente dell’ONU in cui si dichiarava la necessità di un taglio del 60% dell’uso dei combustibili fossili. Peter Fend si ispira in tutte le sue azioni artistiche ai quattro libri dell’architettura di Leon Battista Alberti, per cui un ambiente per essere abitabile deve possedere alcune caratteristiche precise ovvero aria pulita, acqua limpida e spazio dove sia possibile muoversi. Questi precetti che da lui vengono assunti, s’intersecano con alcune importanti esperienze nella formazione e nell’attività artistica: dall’impegno ecologista e antropologico di Joseph Beuys, a Vito Acconci, a Dennis Oppenheim tra gli altri. Con la proposta di un Corridoio senza petrolio, sempre nel 1993, viene promossa un produzione globale di energia alternativa generata attraverso l’impiego del Giant Algae System, un brevetto della Ocean Earth company. La mappatura dei siti prescelti comprendeva un asse che dall’Islanda, attraversasse il mare del Nord, l’ex Yugoslavia, fino a comprendere luoghi simbolici come il monte Athos, il Sinai o la Mecca. La società Ocean Earth, diretta da Fend, è stata la prima che ha venduto immagini satellitari ai mass media per documentare i disastri ambientali, fase alla quale è proseguito l’impegno in progetti ecologisti di rilievo planetario. L a stessa società per realizzare i suoi programmi operativi ha realizzato e brevettato prototipi come l’Offshore Soil Rig, progettato insieme a Marc Lombard nel 1993, è uno strumento sofisticato per la produzione di energie alternative. Questo tipo di pratica artistica viene definita dal critico Nicolas Bourriaud realismo operativo, ma viene da pensare che la questione sia di altra natura. Questi artisti hanno intrapreso un percorso che non implica l’appartenenze ad alcuna categoria disciplinare specifica o professionale. Il punto di partenza sono le problematiche che vengono affrontate con un atteggiamento consapevole e responsabile che riflette quel tipo di
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identità fluida, come habitus al quale si fa ricorso in base ad opportunità contingenti e del quale fin troppo si è sentito parlare negli ultimi anni.
Peter Fend. Per un’arte ecologica, responsabile e futurista 2 Responsabilità In arte, la responsabilità è di tutti coloro che investono tempo e denaro in un dato lavoro o progetto, siano essi artisti, curatori, mecenati o collezionisti. Oggi tale responsabilità non è riconosciuta. Il più delle volte, malauguratamente spesso, il mecenate o il collezionista e anche il curatore credono di non essere responsabili del messaggio o dell’intenzione dell’artista. Sono convinti che tutto sia una forma di mercificazione o di passatempo. Di conseguenza, gli insegnamenti che dovrebbero venire dagli sforzi dell’artista sono ignorati. Ciò significa che dal complesso lavoro e dal ruolo intellettuale e di cambiamento che l’artista esercita non scaturisce alcuna evoluzione. Cito in particolare il caso dei promotori di Art, Ecology & The Politics of Change. Essi chiesero agli artisti di occuparsi di problematiche complesse, e alcuni di loro lo fecero davvero, salvo poi scegliere di ignorare la maggior parte di quello che emerse. In realtà si spinsero oltre il contrastare ciò che questi affermavano, decidendo di costruire nel loro paese una centrale nucleare. Nel mio caso, fui assistito da lavoratori pachistani i quali chiedevano un progetto aggiuntivo per l’Indus Basin (Bacino di Indus). Questo avrebbe riguardato la creazione di meandri nelle montagne, progettati per rallentare l’acqua dei fiumi. La gente del luogo era particolarmente interessata al progetto che riguardava il loro paese. Una proposta di intervento venne sollecitata dalla curatrice, figlia degli sponsor, membro della famiglia al governo, e poi, sorrisi ovunque…, ma non accadde nulla. Tre anni dopo, il Pakistan venne devastato dalle alluvioni proprio a causa del totale disinteresse verso la struttura del bacino e della necessità di lavori di ingegneria nel territorio montano. Quanto è responsabile il mecenate per la mancata opportunità, e in particolare data la sua pretesa di farsi interprete della tematica Art, Ecology & The Politics of Change, per la propria regione nell’Asia meridionale? In conclusione, non c’è stato alcun cambiamento. Ciò è profondamente irresponsabile. Grandezza Spesso si dice che io pensi “in grande”. Questo è vero solo in quanto il mondo dell’arte pensa in piccolo. La dimensione di ciò che propongo o progetto è la stessa adottata dalle autorità costituite. Non si possono affrontare i problemi provocati dal Three Gorges Dam (Diga delle Tre Gole) senza ragionare col metro del Three Gorges Dam. Se si può operare su una precisa scala, se la zona in questione è una baia ad esempio, penserò in base a quella scala. Si pensa in rapporto alla misura del problema e alle sue possibili soluzioni. Non ci si chiede se la scala sia “grande” o “piccola” ma se sia efficace. Bellezza Natura vigorosa. Quando animali, piante e ecosistema sono forti e sani, essi emanano bellezza. Questa sensazione si ha non solo sul piano visivo ma anche su quello olfattivo e uditivo, e in un campo privo di onde elettriche e vibrazioni. Storia Oggi l’errore più grande nel mondo dell’arte sta nella convinzione, recentemente diffusa da alcuni scrittori, che la storia sia conclusa. Più precisamente, che l’avanguardia sia morta, che non esista più o che non dovrebbe esistere. Per prima cosa, la storia esiste. Esiste tanto quanto esiste l’evoluzione. È parte dell’evoluzione. Tutti gli eventi umani sono parte di un mondo in continua trasformazione, oggi sempre più rapida, e l’evoluzione, che include la storia, procede a ritmi elevati. Gli artisti, come scrive Ezra Pound, “sono le antenne della razza umana”. Sono i precursori, i pionieri, coloro che per primi esplorano ed elaborano quello che alla fine apparterrà alla tecnologia, all’industria e ai media della società. Loro sono l’avanguardia. Come mi spiegò Les Levine all’inizio della mia esperienza artistica, sono gli artisti a infrangere le barriere del consenso e a stabilire nuove aree di legittimazione e approvazione. Sono loro a sfondare le barriere della proibizione. O più semplicemente dell’ignoto. L’ho provato intensamente in Nuova Zelanda. Lì ho sviluppato una pratica che consiste nel raccogliere piante acquatiche per produrre gas metano, o biodiesel se si preferisce, e dopo un anno di scherni, questa è diventata una pratica scientifica “standard”. Ho sperimentato per primo tante attività che oggi sono comuni, come ad esempio mostrare le zone a rischio sui mass media attraverso i satelliti. Se l’avanguardia riesca a prendersi il merito per l’innovazione o partecipi ai vantaggi finanziari e sociali che da essa derivano, questa è un’altra questione. In base alla mia esperienza, spesso ciò non accade. In realtà, coloro che intercettano le conquiste e i cambiamenti determinati dagli artisti cercano con molta difficoltà di mostrare al mondo che non c’è stato alcun artista o opera d’arte a ispirarli o a spianargli la strada. Forse adesso mi è chiara la frase di Ingo Guenther, mio collega nel lavoro insidioso di sperimentazione di articoli 2
Scuderi M., 2010. Intervista a Peter Fend pubblicata su ARTE e CRITICA n. 64, settembre-novembre 2010.
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relativi alle notizie fornite dai satelliti, “i pionieri sono quelli con le frecce sulle spalle”. O usando una fiaba per analogia: la società si serve del Pifferaio Magico ma nessuno vuole ripagare o riconoscere il lavoro del Pifferaio. Questo fatto sgradevole tipico della natura umana induce a una pratica pubblica ben più aggressiva, quella di gridare al mondo, in modo che questo possa riceverlo, ciò che il Pifferaio ha suonato. Il mondo punta a identificare l’uomo d’avanguardia come “pazzo”. Proprio questo era il messaggio dato da uno scienziato della stessa università che oggi comunica come la stessa idea, in chiave standardizzata e non artistica, sia prodigiosamente la loro. Futurismo Il Futurismo riflette ciò che l’arte dovrebbe fare sempre, guardare al futuro. Ad affermare il contrario è Jeff Koons, il quale sostiene che l’artista debba “abbracciare il passato”. Le qualità esaltate dal Futurismo dovrebbero essere anche qualità in arte: scrupolosità scientifica, assenza di sentimento o pathos, nessuna moralità, ma soltanto il tentativo di registrare e agire sulla verità. Un principio recentemente ripreso dal Futurismo, affermato a Milano nel 1970, recitava che “l’arte è l’adeguata risposta alle situazioni riconosciute”. Il termine “adeguata” si riferisce al tempo. Tutta l’arte dovrebbe rispondere a situazioni date, in quel particolare momento, nel tentativo di cambiare il corso degli eventi in quella precisa fase. Per un certo periodo, quello che oggi chiamiamo Costruttivismo Russo fu conosciuto come Futurismo Russo. Tutti sappiamo che allora l’arte era entusiasmante, diciamo molto più forte e vigorosa di oggi. Si dovrebbe evitare di consegnare il termine “Futurismo” esclusivamente a quel momento storico, l’inizio del XX secolo, utilizzandolo anche ogni volta che nella storia si procede a grandi passi nella rappresentazione e trattazione della materia arte. Ocean Earth Un tentativo nell’evoluzione umana di mettere in pratica le idee emerse nel XX secolo, a partire da Morton Shamberg e Duchamp, procedendo per la Earth Art, l’Arte Cinetica e Concettuale, così come appare nei testi “Great Western Salt Works” e “Beyond Modern Sculpture”. Tutto ciò che riguarda l’arte della terra e l’arte ecologica è racchiuso in questa frase, in riferimento a quella che è l’icona fondamentale, l’Orinatoio di Duchamp, ormai considerato dagli storici dell’arte l’opera più autorevole del secolo: “L’impatto dell’acqua dolce sui corpi di acqua salata e la tecnologia geologica per perfezionarlo”. La società Ocean Earth valuta come il pianeta sia in gran parte ricoperto dall’oceano, con tutte le terre propendenti verso di esso o verso i laghi salati. È così che si sviluppa allora una pratica artistica di monitoraggio, misurazione, mappatura e utilizzazione di strutture in situ al fine di trarre vantaggio dall’oceano e dai laghi salati. Molte delle strutture, o tecnologie geologiche, sono utilizzate sulla terra ferma, dalle montagne giù fino alle pianure alluvionali. Sono incluse inoltre le strutture urbane, essendo di scarso peso, megastrutture flessibili, modificabili e a basso impatto su ciò di cui bacini marini necessitano, ovvero di buone acque freatiche. La società è stata fondata nel 1980, ed è subentrata a un altro tentativo ad opera di artisti – The Offices of Fend, Fitzgibbon, Holzer, Nadin, Prince & Winters – di rivolgersi a problemi e clienti del mondo reale. Il progetto deve ancora dare i suoi frutti, ma ha certamente creato molte increspature nel mondo, dal Congresso delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti all’industria nucleare mondiale.
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Smart City. Da una definizione alla costruzione di un’agenda pubblica condivisa: comparazione tra P.A.E.S. di città mediterranee
Smart City. Da una definizione alla costruzione di un’agenda pubblica condivisa: comparazione tra P.A.E.S. di città mediterranee Nicola Martinelli Politecnico di Bari Facoltà di Architettura n.martinelli@poliba.it Tel. 080.5962210/39.80.5962510 Silvana Kuhtz Università della Basilicata Facoltà di Ingegneria Email: silvana.kuhtz@unibas.it Graziarosa Scaletta Politecnico di Bari Dipartimento ICAR, Facoltà di Architettura Email; arch.g.s.scaletta@gmail.com Tel. 080.5963827 Rosa di Gregorio Politecnico di Bari Facoltà di Architettura Email: digregorio.rosa@libero.it Tel. 080.5963827
Abstract Bari, Genova e Torino sono le tre candidate italiane a diventare smart city nell’ambito dell’iniziativa Smart cities and communities, e intendono avviare un processo che dovrebbe portarle, al 2020, a raggiungere l’obiettivo di riduzione di emissioni di gas serra del 40% rispetto al 1990. Al momento hanno già adottato un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), che definisce linee d’azione per superare gli obiettivi minimi. In questo lavoro abbiamo confrontato i tre PAES e le loro vision, e quello di Barcellona. Da un lato occorre avere degli indicatori smart funzionali e oggettivi e delle graduatorie di merito, dall’altro costruire una smart city non può non concentrarsi sulle peculiarità delle identità locali e i saperi contestuali e la cultura di un città. Quindi ci siamo chiesti: Quali gli indicatori da adottare? Dove e come si gioca effettivamente la competizione per diventare Smart City? I PAES sono degli strumenti e non il fine, la loro efficacia sarà nella reale possibilità di implementarli e monitorarli, e, cosa fondamentale, di implementare politiche, e interventi pilota e di comunicazione che induca a nuovi comportamenti smart gli stessi cittadini.
Una definizione e il suo contesto Le tecnologie ICT costituiscono le basi della New economy. Manuel Castells (2002, 2004, 2009) ha fornito una analisi della trasformazione derivante dalla diffusione delle comunicazioni informatiche sul piano dell’organizzazione della città contemporanea. Secondo la sua tesi, la libertà delle comunicazioni è in grado di creare nuove forme di democrazia, come è stato confermato dai recenti movimenti rivoluzionari nelle città nordafricane o di quelli di protesta nelle città occidentali, pur con le dovute cautele circa concrete dipendenze Nicola Martinelli, Silvana Kuhtz, Graziarosa Scaletta, Rosa di Gregorio
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lineari tra tali fenomeni. Al contempo Carlo Ratti 1 , teorizza la Smart City come luogo di tecnologia condivisibile e praticabile in cui convivono tecnologie digitali e reti sociali perché, come sostiene nel suo motto Sensing and Acting, le nuove piattaforme tecnologiche devono essere utilizzate per sentire e agire ma soprattutto cambiare stili di vita e abitudini degli smart citizens (2005, 2009). In definitiva, Edgar Morin ci dice che “Le riforme cognitive e educative che noi auspichiamo possono realizzarsi, almeno in parte, utilizzando le vie della rete. Esse sono in grado di contribuire alla costituzione di beni cognitivi e culturali comuni per le società-mondo in gestazione che siamo chiamati ad aiutare a nascere, per diventarne cittadini” 2 . Nell’ambito dello Strategic Energy Technologies Information System (SETIS), è stato adottato, nel 2008, il SETPlan, pilastro della politica energetica e climatica UE per le tecnologie. Con l’implementazione del SET-Plan sarà possibile raggiungere, al 2020, gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 (-20% rispetto al 1990), di produzione di energia da fonti a basso contenuto di carbonio (20% del totale) e di riduzione degli usi di energia primaria ottenuti tramite interventi di efficienza energetica (-20% rispetto al periodo 2001-2005). All’interno del SET-Plan nasce la Smart Cities and Communities Initiative, per supportare realtà urbane intraprendenti che intendono adottare misure ambiziose e pioneristiche, allo scopo di superare, a livello locale, gli obiettivi di politica energetica stabiliti in sede comunitaria per il 2020. Un ulteriore quadro di riferimento è costituito dagli orientamenti e dagli indirizzi proposti dalla Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili del 2007 e dalle Dichiarazioni di Marsiglia (2008) e di Toledo (2010) per le politiche energetiche e climatiche da attuare in aree urbane. In un tale contesto le città europee affrontano il problema dello sviluppo urbano sostenibile. Il 21 giugno 2011 è stata lanciata l’iniziativa Smart cities and communities. Dal 20 luglio al 1° dicembre è rimasto aperto il bando per proporre la propria candidatura da parte degli enti territoriali. Bari, Genova e Torino sono le tre candidate italiane a diventare smart city. In qualità di aderenti al Patto dei Sindaci, con il quale si sono impegnate ad incrementare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nei loro territori, le tre città hanno già adottato un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), che definisce linee d’azione da intraprendere per superare l’obiettivo minimo di riduzione delle emissioni di carbonio entro il 2020. In questo lavoro abbiamo confrontato i tre PAES e le loro vision. Emerge la necessità di individuare processi di governance urbana che facciano di queste azioni integrate il core delle tante iniziative intraprese nell’ambito dei Bandi Europei, e non semplicemente un up-grading tecnologico nei settori di più forte innovazione, come spesso appare guardando alle scenario delle esperienze in corso. Si intendono evidenziare metodologie di lavoro che possano evitare che processi di trasformazione in settori connotati da dinamiche accelerate quali quelli delle tecnologie ICT ed energetiche, possano mettere in crisi processi decisionali sulle città, in quanto processi che spesso appaiono disallineati rispetto alle reali capacità di governarli. Fondamentale studiare esperienze di ranking urbano attuate sul potenziale delle smart cities, unitamente alla individuazioni di set di indicatori smart su diverse aree.
Strumenti di ranking per la Smart City - possibili indicatori smart Si fa un gran parlare di smart city, ma a volte si fatica a capire concretamente che cosa si intenda e quali siano gli elementi che ne caratterizzano l’idea, “è un termine di forte impatto mediatico utile nel marketing, infatti molto utilizzato - forse meglio dire indotto - dai vendors, molto meno dalle comunità urbane” (De Biase 2012). Non sempre è chiaro come valorizzare le caratteristiche locali e territoriali e come stimolare una partecipazione dal basso. Forse in città Mediterranee non c’è da rivoluzionare le strutture esistenti ma le relazioni che vi sono all’interno delle strutture e tra queste ultime e i cittadini, c’è forse bisogno di partire da una ricerca di un contesto locale, di una valorizzazione territoriale. È da capire come si presenti l’ecosistema urbano e poi come si relazioni questo con le nuove tecnologie (Annunziato, 2011). In Europa, 120 milioni di persone vivono in 600 città di medie dimensioni (il 40% della popolazione urbana europea) che ben si prestano a diventare modelli in grado di coniugare competitività e qualità di sviluppo urbano. Ad esempio, per confrontare fra loro diverse realtà di città di medie dimensioni, i ricercatori del Politecnico di Vienna, in collaborazione con Università di Lubiana e Politecnico di Delft, hanno sviluppato uno strumento di ranking, European Smart Cities (CRS 2007) con 6 aree di intervento (Smart Economy, Smart People, Smart Governance, Smart Mobility, Smart Environment, Smart Living) sulla base di 74 indicatori corrispondenti ad alcuni precisi fattori di valutazione per ogni determinata area. Qui di seguito li citiamo nel dettaglio. Smart Economy ha 12 indicatori su 6 fattori: Spirito Innovativo e Embeddedness Internazionale, ovvero la contestualizzazione nei mercati extraeuropei, Imprenditorialità e Flessibilità del mercato del lavoro, Immagine 1
Carlo Ratti nato a Torino nel 1971 dirige il Senseable City Lab del MIT di Boston ed è titolare dello studio di smart design Carlorattiassociati di Torino 2 Da un intervista di Armando Massarenti a Edgar Morin “Per un umanesimo planetario” in Domenica del Il Sole 24 Ore 15 aprile 2012 Nicola Martinelli, Silvana Kuhtz, Graziarosa Scaletta, Rosa di Gregorio
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economica e marchi, Produttività e Capacità di trasformare. Smart Mobility con 9 indicatori su 4 fattori: Accessibilità locale e Sostenibile, Sistemi di trasporto innovativo e sicuro, Disponibilità di strumenti e di infrastrutture, Inter-nazionale accessibilità. Smart Environment 10 indicatori su 4 fattori: Attrattività delle condizioni naturali, Inquinamento, Tutela ambientale, Gestione sostenibile delle risorse. Smart People 20 indicatori su 7 fattori: Livello di qualifica, Affinità per l'apprendimento permanente, Pluralità sociale ed etnica, Flessibilità, Creatività, Cosmopolitismo / Apertura mentale, Partecipazione alla vita pubblica. Smart Living è 20 indicatori su 7 fattori: Strutture culturali, Condizioni di salute, Sicurezza individuale, Abitazioni di qualità, Istruzione strutture, Attrattività turistica, Coesione sociale. Infine Smart Governance 9 indicatori su 4 fattori: Partecipazione ai processi decisionali, Servizi pubblici e sociali, Governance trasparente, Strategie politiche e prospettive. Il risultato è stato un tool interattivo che inizialmente evidenzia il potenziale di 70 città. La selezione decisiva delle città campione fra le 1.600 città medie europee, è stata fatta in base ad alcuni criteri, si è scelto fra città medie con una popolazione di 100.000-500.000 abitanti, almeno una università e un bacino di utenza di almeno 1.500.000 abitanti. Elemento fondamentale, è stata l’accessibilità e disponibilità di dati, che è sicuramente il punto dolente di molte città medio piccole Mediterranee, che forse proprio grazie al PAES (Piano di Azione per l’Energia Sostenibile) potrebbero dotarsi di dati e riferimenti precisi attualmente assenti o diseguali e carenti. Delle 70 città selezionate, nella graduatoria finale le città scandinave, nel Benelux e in Austria sono ai primi posti. Le città italiane selezionate Trento, Trieste, Ancona e Perugia, risultano rispettivamente al 45, 49, 51 e 52mo posto. A ben vedere emerge dalla lettura di questi indicatori e dai correlati fattori di valutazione un complesso sistema di linee d’azione che possono attrezzare le città europee per affrontare le sfide delle Strategie di Europa 2020 - le tre Crescite e delle conseguenti sette Iniziative Prioritarie: Crescita intelligente (agenda digitale europea, unione dell’Innovazione, Youth on the move) Crescita sostenibile (un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse, una politica industriale per l’era della globalizzazione) e Crescita Inclusiva (agenda per nuove competenze e nuovi lavori, piattaforma europea contro la povertà). Ma naturalmente quando si parla di graduatorie e di metriche si rischia di entrare in un terreno minato dall’incertezza, tutto dipende dal metodo, dagli obiettivi, dalle intenzioni, dalla conseguente interpretazione dei risultati.
Differenze e creatività come elemento di competitività La ricerca citata (CRS 2007) intende estendere il lavoro di ranking ad altre città europee da includere nel campione. È certo fondamentale una graduatoria che serva tanto agli imprenditori quanto agli urbanisti, ai politici e ai cittadini, ma che consenta pure di tener conto delle grandi differenze che ci sono ad esempio fra città del Nord Europa e città Mediterranee. In che modo gli strumenti di ranking ne tengono conto? Le graduatorie sono spesso usate dalle città stesse per migliorare la propria immagine a livello internazionale e giocano quindi un ruolo nelle strategie di marketing. Schönert (2003) evidenzia che le graduatorie danno alcuni vantaggi ma tendono pure a trascurare le inter-relazioni complesse, la discussione spesso è limitata al posto occupato nella graduatoria, gli stereotipi vengono rafforzati, le città agli ultimi posti nella classifica tendono a ignorarne i risultati. Al tempo stesso l’obiettivo di costruire una smart city non può che mostrare attenzione alle peculiarità delle identità locali e ai saperi contestuali di un città, non è un caso che nuovamente Ratti indichi le città europee, con il peso della loro tradizione e la loro struttura architettonica definita - più volte evidenziata come fondamentale risorsa (Le Gales, 2002) - come i luoghi di sperimentazione dell’innovazione e dove è più facile raggiungere un vero mutamento di abitudini di vita. Inoltre, oltre ai fattori della smart economy, mobility e governance, negli indicatori ci sono alcuni fattori di creatività, benessere e cultura. La consapevolezza sul ruolo giocato dalla cultura o dalla creatività, per lo sviluppo delle città Europee, non è sufficiente se non è sostenuta da una strategia chiara e ampiamente condivisa. Definire degli indicatori non deve essere sinonimo di omologazione, essere creative e smart vuol dire cercare connessioni nuove e fra elementi già esistenti come i saperi contestuali, valorizzare le differenze e la partecipazione dei cittadini. A proposito di città creativa si fa qui riferimento alla teoria delle 3T, avanzata da Richard Florida (2002), secondo la quale la classe creativa, ossia quella porzione di forza lavoro in vistosa crescita che risulta impiegata dalla economia creativa e della conoscenza, si concentra laddove si trovano Talenti, Tecnologia, Tolleranza. La città competitiva è quella che riesce ad attrarre il maggior numero di Talenti (creative class) e la capacità competitiva di una città può essere misurata sulla base della presenza di queste tre T. Una città creativa e competitiva deve essere in grado di comunicare in diversi modi e su diversi temi, valorizzando le proprie eccellenze e promuovendo adeguatamente
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le proprie iniziative. I talenti si spostano laddove la qualità della vita è migliore, in definitiva si potrebbe dire dove la città è anche sostenibile (smart). Creatività per essere smart e, come propone Carta (2009) per mettere in atto la ricetta delle 3C: Cultura, Comunicazione, Cooperazione. In che modo questo è possibile nelle città del Mediterraneo? Di che indicatori abbiamo bisogno?
Il P.A.E.S. come progetto condiviso di Smart City Questa parte del contributo, intende focalizzare la sua attenzione sul PAES (Piano di Azione per l’Energia Sostenibile) 3 un Piano di Strategia che costituisce lo strumento primario per la costruzione di una candidatura di una città al bando Smart City nella doppia declinazione di città-piattaforma per le ICT e di città sostenibile in grado di ridurre le sue emissioni. La forza di un PAES si misura sui contenuti che propone, organizzati su un format codificato dalla Seap guidelines, presente sul sito del Convenant of mayor (www.pattodeisindaci.eu), che forniscono raccomandazioni flessibili, ma dettagliate e coerenti, relative all’intero processo di elaborazione di una strategia energetica e climatica locale, a partire dall’impegno politico iniziale sino all’attuazione degli obiettivi 4 . Il PAES non deve essere considerato come un documento rigido e vincolante. Con il cambiare delle circostanze e man mano che gli interventi forniscono dei risultati e si costruisce apprendimento, deve avere delle fasi di feed back che possono portare, se necessario a rivedere alcune “mosse” previste. Dovrebbe coprire quelle aree in cui le autorità locali possono influenzare il consumo di energia a lungo termine anche in integrazione alla pianificazione locale. Inoltre, come strumento ad alto grado di condivisione deve da un lato incoraggiare il consumo di prodotti e servizi efficienti dal punto di vista energetico (appalti pubblici) e dall’altro indurre un cambiamento nelle modalità di consumo (lavorando con cittadini e stakeholder). Partendo proprio da questa condizione di strumento con caratterizzazione aperta e flessibile, come auspicato dalla Commissione Europea, è necessario soffermarsi su questi ultimi due punti fermi. Ai fini del raggiungimento dell’obiettivo dell’abbattimento delle emissioni di CO2 si incentiva tutta la molteplicità di prodotti e servizi ormai in commercio, che sanciscano l’efficienza energetica in primis delle residenze e contemporaneamente diffondere il concetto di efficienza all’intero sistema urbano. L’applicazione dovrà includere il sistema della mobilità e l’arredo urbano annesso, il sistema dell’edilizia pubblica residenziale e non , il sistema dello smaltimento dei rifiuti e della gestione dell’acqua e non ultima la formazione. Infatti, risalendo ai due temi fondamentali nella stesura dei PAES, sostanziale sarà l’educazione ad un nuovo uso del proprio territorio e dei propri spazi, puntando ad un approccio sostenibile che deve accrescere la consapevolezza del valore ambientale per i nuovi smart citizens. Del resto, come sostiene Bidou, “lo sviluppo sostenibile non è un concetto irrigidito, ben definito, ma un modo di pensare, appropriato per immaginare collettivamente il mondo di domani. Un movimento comparabile con l’illuminismo del XVIII secolo, al quale ciascuno può apportare la propria impronta”.
P.A.E.S. a confronto Dalla lettura e dall’analisi comparata di alcuni PAES pubblicati sul sito del Covenant of Mayor si intende evidenziare le forme e le modalità in cui essi sono strutturati: un comune sommario organizzato in un indice degli argomenti trattati che partendo da un’analisi dello stato di fatto e attraversando i vari settori di intervento, arriva alla redazione di vere e proprie proposte progettuali, il tutto scandito secondo un asse temporale di mediolungo termine con l’obiettivo comune di ridurre le emissioni di CO2 del 23% entro il 2020. Il claim intorno al quale si articola il documento è la vision la parola chiave di ogni PAES, che ne rappresenta i contenuti, gli obiettivi e l’approccio strategico. Il comune che si candida diventa a sua volta goal-setter affidando
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Il PAES è così definito: “(…) è un documento chiave che indica come i firmatari del Patto rispetteranno gli obiettivi che si sono prefissati per il 2020. Tenendo in considerazione i dati dell’Inventario di Base delle Emissioni, il documento identifica i settori di intervento più idonei e le opportunità più appropriate per raggiungere l’obiettivo di riduzione di CO2. Definisce misure concrete di riduzione, insieme a tempi e responsabilità, in modo da tradurre la strategia di lungo termine in azione. (…) Le finalità invece sono così spiegate: “Gli obiettivi principali riguardano gli edifici, le attrezzature, gli impianti e il trasporto pubblico. Il PAES include anche degli interventi relativi alla produzione locale di elettricità (energia fotovoltaica, eolica, cogenerazione, miglioramento della produzione locale di energia), generazione locale di riscaldamento/raffreddamento.” 4 Ad oggi, ci si trova nella fase di approvazione dei PAES, con all’attivo circa 1092 Piani presentati, alcuni dei quali risultano delle vere e proprie best practice. Nicola Martinelli, Silvana Kuhtz, Graziarosa Scaletta, Rosa di Gregorio
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alla vision la proiezione di uno scenario futuro che rispecchi gli ideali, i valori e le aspirazioni che ha prefissato con un’incentivazione all’azione. Sono stati analizzati e qui riportati sinteticamente quattro piani, prescelti secondo i criteri della cooperazione tra città: Bari e Barcellona, facenti parte della lobby urbana Bari_Barcellona_Istanbul_Salonicco e della competizione Torino e Genova, quali competitor di Bari a livello nazionale. Ogni Vision porta con se un manifesto, una sorta di “slogan propagandistico” che racchiude in poche parole la sintesi di un lavoro programmatico. È proprio da queste vision statement che parte la comparazione dei PAES sopra citati: per Bari è “Bari low carbon_Una città creativa, dinamica, inclusiva e sostenibile” per Barcellona si è proposta “Energy, climate change and air quality” a Genova ”Sviluppo sostenibile per un futuro intelligente” a Torino “Smart è la nostra città, la sostenibilità non è un’opzione_Comunicare_Partecipare_Gestire”. Come si può vedere dal confronto solo Torino rompe la ricorrenza delle keywords sostenibile e smart, ma bisogna poi vedere come tale concetto diventa maggiormente comprensibile se si scende di scala, andando ad analizzare in dettaglio come la vision si sviluppa attraverso le progettualità di ogni singola candidata. Ogni vision a sua volta si dispiega in categorie di settore, e anche qui si possono evidenziare le ricorrenze: smart mobility, energy efficiency e low carbon technologies, sustainable resources, cloud computing technologies for smart government ecc. Diversità tra i Paes emergono invece per il numero di progetti di settore, che costruisce la direzione che ogni candidato intende perseguire e su cui fondare le proprie strategie, risorse e ricerche. Proseguendo con questa caratterizzazione si osserva che Bari persegue la sua vision proponendo ben 77 progetti articolati secondo 9 aree tematiche (formazione, mobilità, edifici, fonti rinnovabili, rifiuti e acqua, pubblica amministrazione sostenibile, pianificazione energetica, smart grid, tlc/ict). Con ben 19 progetti per smart mobility,e 12 progetti per smart governance. Mobilità e pubblica amministrazione intelligente sono i punti fondativi della strategia adottata dal Comune di Bari, si può affermare a rafforzamento di alcuni orientamenti che la sua amministrazione aveva già preso precedentemente (Martinelli e Lamacchia, 2008). Significativa in Barcellona l’interscalarità della programmazione, dal livello urbano del City Programe con 85 progetti, a quella del Municipal Programe con 23 progetti, il tutto correlato in modo sinergico con altri programmi presenti in una lunga stagione di pianificazione strategica, in particolare quelli che riguardano il porto e l’aeroporto considerati dei nodi strategici per lo sviluppo urbano soprattutto sostenibile. Dalla tabella (Figura 1) si evince, come per Bari, che i settori entro cui i vari programmi si attuano con il numero più corposo di progetti è destinato al settore della smart mobility e dell’housing pubblico. Questo dato sicuramente potenzia la cooperazione tra città che concorrono al titolo di Smart City attraverso un coordinamento dei progetti per ottenere e perseguire obiettivi comuni. Molto tecnico il PAES di Genova con progetti montati sulla filiera schede-azioni, sottoazioni, interventi con valutazioni di fattibilità finanziaria e temporale. Si passa nel settore del risparmio energetico dall’edilizia, all’illuminazione pubblica, dai trasporti, alla produzione locale di energia elettrica, dalla pianificazione territoriale, al public procurament di prodotti e servizi. Anche a Genova è il settore dei trasporti il più rappresentato con 25 progetti, ma il Paes si caratterizza per la produzione locale di energia elettrica con 22 progetti. Proprio per queste tematiche Genova sembra proporsi come laboratorio dell’interno bacino Mediterraneo per l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili anche in mare, quali l’installazione di piattaforme eoliche offshore che fanno così ingresso anche in Europa meridionale. Il PAES di Torino conferma la caratterizzazione pragmatica del suo Piano Strategico, attraverso la comparazione di due inventari di emissioni di CO2 riferiti rispettivamente al 1991 e al 2005, sottolinea le modalità di riduzione dei fattori inquinanti: già nel primo decennio si è avuto un risultato pari al 17%, la città prevede che l’obbiettivo preposto dalla comunità europea del 23% sia possibile soprattutto anche grazie alle nuove tecnologie. Ritornano su Torino i medesimi settori delle altre città osservate, ma qui si punta soprattutto sul tema dell’abitazione, varie sono le iniziative attivate, a titolo esemplificativo si citano due eventi di progettazione partecipata tenuti nel 2011 Workshop Smart Building e Smart Building Camp. Il metodo della comparazione del Paes di Torino utilizza un supporto grafico di immediata comprensione (Figura 2) Punto di forza di questo PAES riconferma a Torino dei temi sociali con il forte coinvolgimento degli stakeholders 5 . 5
Le azioni del Settore Coinvolgimento degli stakeholders sono finalizzate a: fornire ai cittadini e agli operatori del settore un servizio di consulenza tecnica in campo energetico sensibilizzare e informare i cittadini, singoli e associati, sulle tematiche ambientali, anche attraverso il coinvolgimento diretto, per promuovere comportamenti virtuosi e buone pratiche Nicola Martinelli, Silvana Kuhtz, Graziarosa Scaletta, Rosa di Gregorio
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Dove e come si gioca effettivamente la competizione per diventare Smart City? Di certo i PAES sono degli strumenti e non il fine, la loro efficacia sarà nella reale possibilità di implementarli e monitorarli. Ad oggi non esiste un misuratore che possa dirci chi fa meglio ma - come ci ricorda Ratti - è molto importante vivere in una città, che lentamente attraverso l’implementazione di politiche, l’attuazione di interventi pilota e una accurata comunicazione induce a nuovi comportamenti smart i cittadini 6 .
Riflessioni conclusive Smart è un aggettivazione pervasiva negli ultimi anni, e a causa di ciò ancor prima di diventare un “termine ombrello” che copre un ampio ventaglio di settori della vita pubblica e della ricerca applicata, è stato declinato come una sorta di suffisso capace da solo ad evocare innovazione, nuove processualità ma incapace, ad esempio, a diventare una metafora generativa come è accaduto per altri termini e in altre epoche nella nostra disciplina. È necessario oggi superare i rischi che si legano ad un uso pervasivo e non condiviso del termine smart city, primo fra tutti il suo utilizzo da parte di grandi player economici globali che, mossi dai meccanismi del mercato, tendono ad una semplificazione e omologazione delle strategie da mettere in campo e degli orientamenti della ricerca industriale, spesso aldilà delle aspettative e delle visioni delle comunità urbane e comunque incapaci a misurarsi con un ripensamento delle città europee in chiave smart che parta dalle intelligenze collettive e dai saperi contestuali diffusi. Infatti, solo in tal modo le nuove tecnologie possono moltiplicare il fattore social attraverso la facilità di accesso, i costi contenuti e la dimensione collaborativa. In questa ottica i Paes, in quanto momenti di elaborazione collettiva di una strategia di innovazione tecnologica di sostenibilità ambientale e di inclusione sociale, possono costituire altrettante occasioni per misurarsi con queste sfide e fare della Città Intelligente una città dell’Intelligenza Collettiva perché la vera sfida è la definizione di nuovi sistemi di governance cittadina con capacità di integrare gli abitanti ai vari livelli del governo locale e nazionale, specie ora che davanti alla grande crisi economica globale hanno mostrato inedite forme di autorganizzazione.
Figura 1. Tabella relativa ai progetti previsti dal comune di Barcellona per l’attuazione del suo PAES
organizzare, con il supporto delle agenzie presenti sul territorio, attività di formazione rivolte alle scuole offrire corsi di formazione a tecnici del settore e dipendenti pubblici. 6 Torino attua progetti dimostrativi come Cabina Intelligente inaugurata da Telecom Italia presso il Politecnico di Torino una nuova cabina: non solo una postazione fisica e tecnologica, ma un nuovo modo di erogare una molteplicità di servizi, o ancora il Naso elettronico che rileva i principali inquinanti atmosferici e restituisce le misure sul sito torinosmartcity.it, e ancora altri progetti realizzati per la pubblica amministrazione “Efficienza energetica degli edifici esistenti, un sistema 3D di gestione dell’energia delle aree residenziali”. Anche Genova ha già realizzato alcuni progetti presentati nel paes puntanto sulla pianificazione e partecipazione come la realizzazione del nuovo PUC coordinato da Urban Lab (il laboratorio di urbanistica ideato da Renzo Piano, che studia le trasformazioni della città, progettando secondo i criteri di sviluppo sostenibile), ma anche e soprattutto attraverso una comunicazione d’impatto, Urban Center (è la struttura del Comune di Genova che si occupa di promuovere la partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche dell'Amministrazione e di gestire la comunicazione delle politiche di trasformazione urbana e territoriale). Nicola Martinelli, Silvana Kuhtz, Graziarosa Scaletta, Rosa di Gregorio
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Figura 2. Rappresentazione grafica utilizzata dal comune di Torino per indicare la riduzione dei fattori inquinanti nel tempo, nello specifico si fa riferimento all’edilizia municipale
Bibliografia Carta, M. (2009), “Culture, communication and cooperation: the three Cs for a proactive creative city”, International Journal of Sustainable Development 12 (2-4), 124-133. Castells, M.(2002), Galassia Internet, Feltrinelli, Milano. Castells, M. (2004), La città delle reti, Marsilio, Venezia. Castells, M. (2004) L’età dell’informazione: economia, società e cultura, 3 volumi, EGEA, Università Bocconi, Milano. Castells, M. (2009) Comunicazione e potere , Università Bocconi ed., Milano. De Biase, L.(2012) “Smart Cities” - Lectio Magistralis al Dottorato Tecnologie e Informazione Territorio e Ambiente, 05.04.12 Parco Vega, Venezia. Florida, R (2002) The Rise of the Creative Class. And How It's Transforming Work, Leisure and Everyday Life, Basic Books, NY, USA. Le Galès, P. (2002) Le città europee società urbane, globalizzazione, governo locale, Mulino, Bologna, 15 -31 Martinelli, N., Lamacchia MR. (2008) “Il Caso di Bari: Un processo di rigenerazione tra successi e incertezze” in Archivio di Studi Urbani e Regionali n.91 Ratti, C., Sevtsuk, A. (2005) "iSPOT: describing the use of space on the MIT campus through the analysis of WiFi networks", Proceedings of CUPUM '05: The Ninth International Conference on Computers in Urban Planning and Urban Management, London, 29 June - 1 July 2005 Ratti, C et al. (2009) "Live Geography -- Embedded Sensing for Standarised Urban Environmental Monitoring” in International Journal on Advances in Systems and Measurements, 2.2/3 2009, p.156-167, 2009 IARIA. Schönert, M. (2003) “Städteranking und Imagebildung: Die 20 größten Städte in Nachrichten- und Wirtschaftsmagazinen”, in BAW Monatsbericht 2/03, S.1-8
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Riconoscimenti Il contributo è frutto di una riflessione collettiva del gruppo di autori, comunque si devono a N.Martinelli paragrafo 0.Una definizione e il suo contesto e le Riflessioni Conclusive; a S.Kuhtz il paragrafo 1.Strumenti di ranking per la Smart City – possibili indicatori smart e il paragrafo 2.Differenze e creatività come elemento di competitività; a G.Scaletta il paragrafo 1. Strumenti di ranking per la Smart City – possibili indicatori smart e il paragrafo 3. Il P.A.E.S. come progetto condiviso di Smart City; a R.Di Gregorio il paragrafo P.A.E.S. a confronto.
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Smart Cities
Smart Cities Paolo Fusero Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara Dipartimento Reti Ambiente e Territorio Facoltà di Architettura Email: p.fusero@unich.it Lorenzo Massimiano Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara Facoltà di Architettura Email: lorenzo.massimiano@email.it
Abstract Il paper focalizza la sua attenzione sul tema delle “Città Intelligenti”. In particolare, dopo aver circoscritto il concetto di Smart Cities attraverso alcune definizioni oramai consolidate nella comunità scientifica internazionale, prende come pretesto il filo del ragionamento di W.J. Mitchell in E-topia per esplorare un repertorio di possibili applicazioni ICT alla città fisica in una prospettiva di sostenibilità ambientale. E’ la dimensione ecologico-ambientale (Ecotown) che si fonde con quella digitale (E-city) per creare un ambiente ad alto contenuto tecnologico che può offrire un importante valore aggiunto in termini di sostenibilità ambientale e competitività territoriale. Proprio a partire da considerazioni in merito alla competitività globale a cui sono chiamate le città del futuro, nella sua parte conclusiva il paper si occupa di “politiche intelligenti”, proponendo una tesi ben precisa: le reti digitali devono essere considerate a tutti gli effetti una nuova categoria di opere pubbliche, per cui è necessario pensare ad un loro utilizzo strategico ed operativo in sinergia con le altre OO.PP.
Definizioni Le proiezioni demografiche dei principali istituti statistici internazionali 1 ci segnalano oramai da tempo l’accelerazione del fenomeno dell’inurbamento a scala globale. Nelle città si sta concentrando la gran parte della popolazione del nostro pianeta e le distorsioni che ne conseguono sono già sotto gli occhi di tutti: dalle gravi tensioni sociali, alle crisi economiche globali, ai preoccupanti livelli di disoccupazione, fino ad arrivare ai problemi legati all’ambiente ed al consumo di risorse naturali. Non è la prima volta nella storia del nostro pianeta che si assiste a repentine concentrazioni di popolazione nei centri urbani, ma è senza precedenti la globalizzazione del fenomeno così come l’avvicinarsi a preoccupanti soglie di non-ritorno 2 . L’era digitale, in cui ci siamo appena affacciati, offre la possibilità di riflettere intorno ad un concetto nuovo, quello di “ecologia digitale”, che può effettivamente rappresentare una nuova frontiera dello sviluppo sostenibile. Se nel periodo del boom economico dell’era industriale, sull’altare dello sviluppo si sono spesso sacrificati importanti valori paesaggistici, ambientali e culturali, la sensibilità nei confronti di queste tematiche che contraddistingue la società dell’informazione, impone scelte diverse. L’era digitale può segnare il riavvicinamento dell’uomo all’ambiente, legato ad un uso sostenibile delle sue risorse anche grazie alle innovazioni scientifiche (Fusero, 2009). In tal senso assume particolare rilievo il modello europeo di Smart City: ovvero un modello di città che fa uso di adeguate tecnologie, a partire da quelle dell’informazione e della comunicazione (ICT), al fine di ottenere il massimo dell’efficienza: maggiore competitività con minore consumo di risorse. L’Europa sta investendo 1 2
ONU, “World Urbanization Prospects” 2011, “World Population to 2300”, 2004 Le attività umane sulla Terra, secondo il Global Footprint Network stanno consumando le risorse e i servizi di 1,5 pianeti.
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considerevoli capitali su questo filone di ricerca 3 . Anche il Miur, secondo le dichiarazioni del ministro della ricerca F. Profumo all'Italian Digital Agenda Annual Forum (Roma 2012), è sul punto di stanziare oltre 1 miliardo di euro per lo sviluppo di comunità intelligenti sul territorio nazionale. A questo punto è necessario mettersi d’accordo sul significato di “Smart City”. Le definizioni si sprecano così pure le sperimentazioni più o meno innovative. Vediamone alcune. Secondo il Piano Strategico Europeo per le Tecnologie Energetiche (SET Plan) si definiscono Smart Cities quelle “città e quelle aree metropolitane che stanno predisponendo misure adeguate per la riduzione del 40% delle emissioni di gas serra entro il 2020, attraverso l'uso e la produzione sostenibile di energia. Le componenti principali delle misure da adottare riguardano gli interventi sugli edifici, sulle reti energetiche locali e sul sistema dei trasporti”. Questa definizione è molto orientata sulla componente energetica a discapito - probabilmente - di altri aspetti peculiari del concetto di Smart Cities, come quelli legati al miglioramento ecologico dell’ambiente urbano (EcoTowns), o quelli relativi alle tematiche sociali (Social Sustainability). Ciò è parzialmente giustificato dall’analisi dei consumi che ci avverte che circa metà dell’energia prodotta a scala mondiale viene adoperata per la climatizzazione e la gestione degli edifici, più di quanto ne venga impiegata per qualsiasi altra funzione (trasporti, usi industriali, etc.) (Baker, Steemers, 2000). Certo è che dal nostro punto di vista di studiosi della città e delle sue trasformazioni, il concetto di Smart Cities non può essere dissociato dai principi di sostenibilità e di competitività urbana, sia per quanto riguarda l’utilizzo di nuove tecnologie ICT, sia per la qualità del capitale sociale del quale la città può disporre. Secondo alcuni (La Rocca, 2011) si possono, quindi, indicare almeno due caratteri imprescindibili del concetto di Smart Cities: l’utilizzo diffuso di ICT, come infrastruttura che veicola flussi immateriali di informazioni e conoscenza; la valorizzazione del capitale sociale, ovvero l’accrescimento delle competenze, della creatività e dell’inclusione sociale dei cittadini, attraverso il loro coinvolgimento. Oltre a questi due elementi distintivi , possono individuarsi altri aspetti caratterizzanti: la creatività: legata alla presenza di attività economiche innovative, di ricerca, capaci di attirare capitali e professionalità; la governance: nell'adozione di modelli organizzativi del lavoro improntati a favorire la partecipazione nella creazione di valori pubblici. Una definizione che, secondo noi, comincia a delineare più precisamente il concetto di Smart Cities è quella che viene fornita da una ricerca dell’Università di Amsterdam (Caragliu & Del Bo & Nijkamp, 2009): “un territorio può essere definito Smart quando concentra i suoi sforzi di sviluppo nel capitale umano e sociale, nei trasporti e nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT), nella gestione oculata delle risorse naturali e nella promozione di una governance partecipativa.” Fra tutte quelle incontrate, però, la definizione che ci convince di più, e che assumeremo per fissare i contorni scientifici del nostro ragionamento, è quella fornita da un progetto interuniversitario (Vienna-Ljubljana-Delft) che definisce Smart Cities quelle città che “perseguono il miglioramento delle loro performance su sei assi strategici: smart economy, smart mobility, smart environment, smart people, smart living, smart governance”. Ma come è fatta una Smart City? Di cosa si deve dotare una città per potersi allineare a questo modello?
Smart cities and communities Seguendo il filo del ragionamento di W.J. Mitchell in E-topia possiamo dire che una Smart City è composta da due sottoinsiemi: smart places e smart people. Gli smart places sono quei luoghi “in cui è possibile connettersi a reti digitali, dove il flusso di informazioni sotto forma di bit scorre abbondantemente ed il mondo fisico e quello digitale si sovrappongono. [..] Si può pensare a loro come a luoghi in cui due ambiti altrimenti distinti, lo spazio fisico ed il cyberspazio, si intersecano in una combinazione efficace, per facilitare le attività umane”.
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Il VII Programma Quadro 2011, ha stanziato 40 milioni di euro per finanziare 30 progetti di Smart Cities. Diverse città italiane come Milano, Torino e Bari si sono candidate. Genova, è riuscita ad ottenere un finanziamento di 6 milioni di euro per i suoi progetti.
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Questi luoghi a loro volta sono abitati da smart people, ovvero da persone capaci di utilizzare a proprio vantaggio le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, con un alto grado di flessibilità, capaci cioè di concentrare la propria creatività ed il proprio talento nella produzione di innovazione. Richard Florida direbbe: persone in possesso delle tre T: Tecnologia, Talento e Tolleranza (Florida, 2002). Sempre secondo Mitchell per poter innestare l’intelligenza all’interno di una città è necessario che si verifichino tre presupposti. Il primo è quello di “saturare la città di silicio”, una metafora per dire che grazie alla crescente miniaturizzazione delle componenti elettroniche, si può dotare ogni singolo manufatto della città, dagli oggetti più piccoli fino ad interi quartieri, di software capace di rendere possibile lo scambio di informazioni tra l’oggetto stesso e chi lo utilizza. Dopodiché è necessario che l’insieme dei dispositivi funzioni come un sistema integrato in cui ogni elemento si relaziona con gli altri e tutti insieme riversano le proprie informazioni nelle reti digitali. Infine bisogna reperire i dati attraverso strumenti “intelligenti” come, centraline, sensori, contatori energetici, videocamere, smart phone, dispositivi GPS, etc. In questo modo è possibile elaborare i dati ed ottenere informazioni sul funzionamento delle città: per esempio si possono controllare il traffico di autoveicoli, l’inquinamento atmosferico o acustico, il consumo energetico degli edifici; ma si possono anche monitorare fenomeni naturali, come il livello dell’acqua nei bacini idrici o nelle dighe, le aree boschive a rischio incendio o l’attività sismica di un territorio. I cittadini stessi diventano strumenti di rilevamento grazie alle tracce dei loro cellulari o dei loro dispositivi GPS 4 . A questo punto, avendo a disposizione una massa consistente di dati, bisogna selezionarli ed elaborarli per ottenere risultati utili al miglioramento della qualità di vita nelle nostre città, aumentandone la competitività ed ottimizzandone le performance in termini di salvaguardia delle risorse e risparmio di energia. E qui la creatività, insita nel concetto stesso di Smart City, può esprimersi al massimo delle sue potenzialità. Le videocamere dei parcheggi o quelle posizionate lungo le strade possono, ad esempio, interagire con i sistemi GPS delle automobili per suggerirci i tragitti meno trafficati, oppure la disponibilità di posti auto nelle vicinanze della nostra destinazione, ma anche suggerire l’utilizzo di un mezzo alternativo nel caso in cui il traffico o l’inquinamento atmosferico nelle zone centrali abbia oltrepassato le soglie limite. Oppure è possibile gestire l’approvvigionamento energetico della nostra macchina elettrica, scegliendo di ricaricarla quando le tariffe sono più basse o allacciandosi alla rete di rifornimento degli edifici che in quel momento stanno producendo energia in eccesso. I prospetti degli edifici possono cambiare la disposizione delle loro schermature automaticamente in relazione all’irraggiamento solare e alla temperatura esterna. I consumi energetici degli edifici possono essere monitorati da appositi sensori e la tassazione municipale sulla proprietà delle case potrebbe essere commisurata alla loro dispersione energetica. Ciò indurrebbe comportamenti virtuosi nelle qualità energetiche dei nuovi edifici e favorirebbe il risanamento del patrimonio edilizio obsoleto. Anche la viabilità può modificarsi aprendo e chiudendo l’accesso alle strade oppure aumentando e diminuendo le corsie, a seconda del traffico e dell’inquinamento. Le fermate dei mezzi pubblici possono diventare degli HotSpot di connettività a banda larga, ed i pannelli digitali che li compongono possono fornire informazioni sui tempi di attesa delle linee di trasporto pubblico, oltre che sulla disponibilità di alberghi e ristoranti, sulla prenotazione di posti al cinema o a teatro, etc. Il repertorio delle possibili applicazioni ICT alla città fisica è pressoché illimitato (Fusero, 2010), ma già queste suggestioni fanno capire che si può ragionevolmente parlare di una nuova prospettiva: il modello di città del futuro che stiamo descrivendo, la Smart City, non si limita a migliorare la qualità della vita dei suoi abitanti, ma lo fa seguendo criteri di sostenibilità nelle varie accezioni che il termine può assumere: ecologica, ambientale, sociale ed economica. Ecco dunque che lo svolgersi delle riflessioni ci riconduce alla definizione di Smart Cities che abbiamo assunto in partenza, quella che vede la città del futuro servirsi delle reti digitali per applicare diffusamente innovazione e creatività (ossia “intelligenza”) su sei assi strategici: “economy, mobility, environment, people, living, governance”.
Politiche intelligenti Dopo aver definito il concetto di Smart City, descritti gli elementi che la compongono ed esserci convinti della sua validità, occupiamoci ora di capire quale ruolo deve assumere la pubblica amministrazione per perseguire efficacemente questo modello, a cominciare dallo sviluppo delle reti digitali sul territorio. Nell’affrontare questo tema assumiamo una chiave di lettura ben precisa: le reti digitali devono essere considerate a tutti gli effetti una nuova categoria di opere pubbliche, per cui bisogna pensare ad un loro utilizzo strategico in sinergia con le altre OO.PP (Fusero, 2008). Ciò porta ad una prima conclusione: probabilmente è maturo l’inizio di una seconda fase nello sviluppo delle reti digitali che veda un più stretto rapporto pubblico-privato per la razionalizzazione e la gestione delle infrastrutture di rete e dei servizi erogati on-line. La Pubblica Amministrazione non può più stare 4
Su queste tematiche sono da segnalare le ricerche del SENSEable City Lab del MIT di Boston diretto da C. Ratti che in questi ultimi anni ha condotto numerose sperimentazioni in diverse città americane ed europee.
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alla finestra lasciando che lo sviluppo delle reti digitali sia determinato esclusivamente da logiche commerciali, ma deve assumere il ruolo che le è proprio e farsi carico della definizione di una strategia complessiva che, unitamente ai doverosi obiettivi economici degli operatori privati, consideri anche le politiche di sviluppo competitivo dei vari contesti territoriali e le orienti in un’ottica di sostenibilità. Abbiamo iniziato questo paper sottolineando come la Comunità Europea, anche in questo momento congiunturale avverso, stia premiando questo settore con finanziamenti cospicui per la ricerca e le sperimentazioni applicate, avendo capito che il modello Smart Cities può effettivamente essere uno degli “assi nella manica” che l’Europa, e più in generale le società a sviluppo avanzato, possono giocarsi per superare l’attuale crisi economica globale. E sono proprio le diverse accezioni del termine sostenibilità, a cominciare da quella ambientale, che devono sempre più occupare le agende politiche dei governi. Qui c’è ancora molto da fare. Sulle politiche di pressione fiscale, ad esempio, che potrebbero premiare comportamenti virtuosi nei consumi energetici degli edifici, oppure tarare i prelievi sugli atti di compravendita in ragione delle performance energetiche dell’edificio. Ma il salto di qualità più importante lo si potrà fare con il passaggio dalla scala del singolo edificio alla scala del quartiere. Se oggi le certificazioni ambientali sui manufatti edilizi (es. CasaClima) o sui processi produttivi (es. EMAS) sono riconosciute ed apprezzate, ed in taluni casi riescono anche ad incidere sui valori di mercato, meno si è fatto sulla dimensione del quartiere o dell’intera città. Eppure in una fase di rallentamento del mercato immobiliare e di saturazione della domanda, è presumibile pensare che sia proprio la qualità dei contesti urbani a orientare le scelte d’acquisto: gli spazi verdi, i luoghi di aggregazione, i servizi pubblici, il sistema di trasporto, quello di raccolta dei rifiuti, le reti ciclopedonali, le reti in fibra ottica, i servizi di telesorveglianza, la domotica, etc. E’ la dimensione ecologico-ambientale che si fonde con quella tecnologica per creare un ambiente ad alto contenuto tecnologico che possa offrire un valore aggiunto anche in termini di competitività territoriale. Gli slogan (Ecoquartiere, Ecotowns, etc.) da soli non sono sufficienti a garantire il raggiungimento degli obiettivi dichiarati e la qualità degli insediamenti realizzati. E’ il momento di pensare a metodi di certificazione (ex ante, ex post) che coinvolgano interi quartieri o città, e di politiche “intelligenti” che inducano comportamenti virtuosi negli operatori di settore e nei cittadini.
Bibliografia Libri W. J. Mitchell (1999), “E-topia: Urban Life, Jim – But Not As We Know It”, MIT Press, Massachusetts. P. Fusero (2009), “E-City: digital networks and cities of the future”, Actar-D List, Barcellona (ESP). N. Baker, K. Steemers (2000), “Energy and Environment in Architecture”, E&FN Spon, London. R. Florida (2002), “The rise of the creative class: and how it's transforming work, leisure, community and everyday life”, Basic Books, New York P. Fusero (2010), “Smart Cities: intelligent territories and infrastructure for the future”, Actar-D List, Barcellona. P. Fusero (2008) “Reti digitali e territori al futuro”, in: Opere Pubbliche e città adriatica, a cura di P. Barbieri, Actar-D List, Barcellona (ESP) 2008 Articoli La Rocca R. A. (2011), “Mobilità sostenibile e stili di vita”, Trimestrale del TemaLab vol.4, nr.2 giugno 2011, Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio, Università degli Studi di Napoli Federico II Caragliu A., Del Bo C. & Nijkamp, P (2009). “Smart Cities in Europe”, Research Memoranda 0048, VU University Amsterdam, Faculty of Economics, Business Administration and Econometrics
Siti web Global Footprint Network www.footprintnetwork.org Dominici G. (2012),” Smart cities e smart communities: l'innovazione che nasce dal basso”, Forum PA, articolo 28-03-2012 http://saperi.forumpa.it/story/65555/smart-cities-e-smart-communities-linnovazione-che-nasce-dalbasso SETIS, http://setis.ec.europa.eu/about-setis/technology-roadmap/european-initiative-on-smart-cities “European Smart Cities” (2007), http://www.smart-cities.eu/ , Centre of Regional Science at the Vienna University of Technology, OTB Research Institute for Housing, Urban and Mobility Studies at the Delft University of Technology and the Department of Geography at University of Ljubljana.
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Smart City: utopia o realtà?
Smart city: utopia o realtà? Antonluca Di Paola Università degli Studi di Firenze Facoltà di Architettura
Bio-smart city, bio-logic city: nuove parole d’ordine, una innovazione reale della pratica urbanistica o solo un nuovo argomento di dibattito, che appassiona, ma di scarsa applicabilità ? Smart, in Europa e nei paesi in via di sviluppo, Asia e Africa, è sinonimo di tecnologia, ricerca e servizi e, nell’ambito dello sviluppo urbano, della società digitale. L’approccio smart sulle città e suinostri territori, tendenzialmente, tende ad una maggiore coesione locale e territoriale e al miglioramento dello standards sociale. Molte città, Copenaghen, Vienna, Bilbao, Strasburgo, hanno dimostrato come l’innovazione tecnologica sia centrale per lo sviluppo. Tuttavia, queste sperimentazioni sono ancora appannaggio del 10% delle città europee, mentre molti progetti di città ecologiche, come Dontang, in Cina e negli emirati arabi, che propongono progetti di città nuove a impatto zero, rischiano di arenarsi e di segnare il passo, a causa della crisi economica, che ha vanificato il progetto finanziario di partenza. Sviluppo locale, integrazione territoriale, policentrismo, tre elementi che coniugati correttamente, tendono a configurare una città (territorio) intelligente, una città che usa l’energia, la mobilità, l’uso delle risorse non rinnovabili in modo “intelligente”, cioè corretto, attraverso molta logica e applicazione pratica. Vecchie pratiche e nuovi slogan: quali le regole da adottare, le prassi da instaurare, al fine di coniugare nuove sinergie tra fattori tra loro spesso contrastanti e antitetici quali sviluppo e sostenibilità, biodiversità e diffusione urbana, contenimento del consumo di suolo e delocalizzazione delle attività terziarie e produttive. Si deve dunque partire col dare significato nuovo a opzioni progettuali vecchie, alcune alla base della stessa disciplina urbanistica, come presupposto per una crescita dell’economia della conoscenza, dell’inclusione sociale, del turismo, della cultura e, in definitiva, di un ambiente urbano più vivibile. In Italia, la rete delle “città intelligenti” nata ufficialmente il 12 novembre 2010 a Padova, in occasione della XXVII Assemblea Anci, vuole essere una “comunità di pratica”, di amministratori locali dove verificare nuove strade, conoscere best pratich, imparare dagli errori.. In questa rete, tutte le amministrazioni locali che ne fanno parte , cercano di operare nella convinzione che sia più facile uscire dalla crisi lavorando assieme e sperimentando concretamente sul campo. In definitiva, si propone qui una riflessione su alcune opzioni progettuali e progettazioni urbanistiche in fieri o attuate in Italia e nei paesi extra europei, al fine di comprendere come questa nuova vision dello sviluppo possa concretamente incidere sulla vita delle città e dei suoi cittadini. Ripensare la città del domani è l'obiettivo proclamato in molte sedi, politiche, economiche e progettuali ed è stato anche il tema principale dell’Expo del 2011, a Barcellona, dove le varie problematiche sono state sviluppate su due concetti base: “Smart city: le città del futuro”. Questo slogan, sintetizza la necessità di adeguamento e riconversione della città, così come si evidenzia in altri settori produttivi. L’assetto urbanistico storico e ancor più quello recente sembra, infatti, non reggere alle sfide attuali: all’immigrazione, alla delocalizzazione, alle nuove esigenze dell’abitare, all’impatto ambientale, alla nuova organizzazione del commercio, sempre più concentrato nei grandi contenitori a discapito dei “centri commerciali naturali”. Il centro storico, per la prima volta nella storia, perde la “centralità”; si presenta eccentrico rispetto alle nuove localizzazioni delle attività terziarie – amministrative, ai nodi della mobilità ed ai grandi contenitori commerciali: i “non luoghi”. La diffusione urbana ha generato un tessuto privo di quei caratteri di riconoscibilità, propri delle città storiche, che rappresentano la quasi totalità dei centri urbani italiani. Ripensare la città del futuro vuol dire, affrontare in termini propositivi le problematiche della città che, secondo quanto asserito da Carlo Ratti, direttore del Senseable city Laboratory del Mit, a Barcellona, durante il citato Smart city Expo, Antonluca Di Paola
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World Congress, del 21 dicembre 2011, si compendiano nei problemi indotti dalla concentrazione della popolazione e delle attività economiche che, secondo le Nazioni Unite, nel 2050, si localizzeranno, per il 75%, nelle città.
Figura 1. Semseable city Lab, Carlo Ratti: monitoraggio del percorso dei rifiuti di Seattle, al fine di descrivere inefficienze e dispersione di energie Ciò richiede una riflessione di come queste ultime riusciranno ad assorbire la popolazione e a gestire le risorse esistenti, per garantire la qualità della vita degli abitanti, in modo sostenibile. E’ essenziale dunque pensare come avviare questo processo di adeguamento delle strutture tecnologiche e ambientali, per rendere la città contemporanea “ un luogo privilegiato di efficienza, di risparmio energetico, di rispetto dell’ambiente e di accessibilità”. Il termine Smart city indica una tipologia di città che sperimenta azioni innovative nella mobilità, nell’ambiente, nell’urbanistica, nel consumo di suolo, nell’energia, nell’economia della conoscenza e nelle tecnologie della comunicazione. Nell’era della globalizzazione le Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) giocano un ruolo essenziale, nell’immagazzinare, convertire, trasmettere dati numerici, testuali o vocali. Rientrano in questo ambito settori innovativi, che sviluppano e realizzano Sistemi Informativi e Sistemi di Telecomunicazione computerizzati, la cui versatilità è dovuta a software e hardware sempre più complessi e sofisticati. Tali sistemi, fortemente interconnessi, formano reti di telecomunicazioni, dette “autostrade dell’informazione”, via cavo o attraverso fibre ottiche, che rappresentano la concreta possibilità di combinare insieme i vantaggi offerti dalla televisione, dal calcolatore e dal telefono, strumenti che nel prossimo futuro cambieranno profondamente le modalità di comunicazione e applicazione. Tra gli altri settori, la pianificazione urbanistica, assieme alla multimedialità, mobilità, energia ecc, rappresenta uno dei temi centrali del dibattito sulla città del futuro ed è presente attraverso due modelli: la creazione di città nuove e la riconversione della città esistente. Il problema delle città nuove si riaffaccia in termini nuovi con progetti localizzati nei Paesi in via di sviluppo, più che nel vecchio continente. Oltre alle città nuove localizzate nella sponda africana del Mediterraneo, in Libia, Egitto e Marocco e negli Emirati Arabi, sono le grandi nazioni in via di sviluppo India e Cina a prevedere grandi progetti in questo settore. Nei prossimi cinque anni, l’India progetta di costruire sei mega città nel corridoio industriale tra Delhi e Bombey: tutte grandi città che si estenderanno per 360 km2 mentre la Cina si appresta a costruire un numero imprecisato e crescente di città vicino alle grandi metropoli, a Pechino e Shangai; anche qui, tuttavia, la crisi ha rallentato i progetti di città nuove, come nel caso di Dontang. Antonluca Di Paola
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Le città nuove, almeno quelle di ultima generazione, vengono pensate quasi come veri e propri “manifesti” delle nuove tendenze urbanistiche, architettoniche, enfatizzando forme e strutture rese possibili dalle nuove tecnologie dei materiali e informatiche, applicate alla sostenibilità nei settori della mobilità, dell’energia, nel ciclo dell’acqua e nel controllo dei rischi. Quelle realizzate sulla costa nord africana del Mediterraneo a partire dagli anni ’60 del ‘900, di prima generazione, come Sadat City, Six October city, Nouw Damietta, in Egitto o le più recenti Tamansourt e Tamesna in Marocco, in corso di costruzione rispettivamente presso Marakesc e Rabat, si presentano meno avveniristiche, dal punto di vista della sostenibilità e delle soluzioni urbanistiche e architettoniche, fortemente improntate a modelli occidentali, rispetto, ad esempio a quelle progettate negli Emirati arabi, (Dubai e Masdra city), in Cina (Dontang e Tianjin eco city) e in India. Qui il problema della sostenibilità, sembra essere la parola chiave dei progetti, quasi come presupposto per il superamento delle crisi ambientali indotte nelle grandi città, a causa dei sostenuti processi di inurbamento della popolazione, ma anche come “chiave” per il superamento dei modelli urbani improntati alla zonizzazione e sui parametri urbanistici tradizionali. Tuttavia, la sfida maggiore per il futuro sta nella ristrutturazione, trasformazione della città esistente, settore in cui l’urbanistica deve svolgere un ruolo centrale, nell’introdurre criteri ”intelligenti” nella creazione di nuovi quartieri, la ristrutturazione e ampliamento della rete di servizi, la progettazione di mezzi di trasporto e infrastrutture, la costruzione di nuove abitazioni sostenibili, nonché la ristrutturazione di quelle esistenti. La domanda chiave, secondo quanto sostenuto dall’architetto Vincente Guallart, sempre all’Expo di Barcellona, è chiedersi cosa sia esattamente una città; “siamo in grado di sezionare un corpo umano e medici di tutto il mondo riconosceranno la stessa anatomia e terminologia per indagare e risolvere un problema così particolare?”. Bisogna elaborare un modello – sostiene ancora- in grado di definire l’anatomia della città basato su cinque grandi sistemi: tecnologie dell’informazione, energia, mobilità, acqua e produzione. Ambiente ed energia un binomio fondamentale per la città del futuro. Le città pur occupando il 2% della superficie del pianeta consumano il 75% dell’energia. Lo sviluppo di reti intelligenti, la diversificazione delle fonti consentirà una gestione più efficiente e sostenibile, smart, delle risorse disponibili? C’è chi sostiene che nel prossimo futuro si arriverà alla democratizzazione dell’energia, che sarà sempre più free, alla portata di tutti come il web . Per garantire il risparmio energetico. –si sostiene ancora- sarà però necessario andare oltre le fonti rinnovabili, puntando anche su bioedilizia e bioagricoltura: ICT e internet diventeranno il sistema “nervoso tramite cui gestire l’energia distribuita negli edifici”. Una proiezione futura di cui non si possono prevedere i tempi di attuazione. Recentemente, tuttavia a Birmingham, un programma pilota sull’energia, nelle prime dodici settimane di attuazione, è riuscito a ridurre le bollette del 60% e ridurre l’emissione di Co2 di dodici tonnellate. Tali progetti, se attuati, incidono direttamente sulle economie urbane, come ha recentemente sostenuto uno studio americano, della società di consulenza MacKinsey, che ha dimostrato come ogni dollaro di prodotto interno lordo generato a Santiago del Cile richiede il 60% in più di energia di quella necessaria ad Hesinki, nonostante la differenza dei costi di produzione, rendendo Santiago una città complessivamente meno competitiva. Una delle sfide che smart city deve affrontare nell’immediato è quello di introdurre un modello di trasporto integrato e modelli di gestione del traffico in grado di ottimizzare i tempi, l’energia consumata e le sostanze inquinanti emesse utilizzando, ad esempio, veicoli elettrici e sistemi innovativi quali car sharin e car pooling, eliminando ogni inefficienza energetica, con un insieme di misure, tendenti all’integrazione degli impianti a fonte rinnovabile, al coinvolgimento attivo del consumatore finale nella gestione intelligente dei consumi (Smart Grid).
Figura 2. Immagine reale utilizzata per la pubblicizzazione del Car Pooling Antonluca Di Paola
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Tecnologie in grado di assorbire nuova forza lavoro e produrre ricchezza. Lo dimostra l’interesse manifestato, anche a Barcellona e Milano di aziende quali Ibm, Enel, Atos e Cisco, per citare le più conosciute, che stanno concretamente operando in questa direzione. Complessivamente in Europa, malgrado l’avanzamento reale in atto, solo il 10% delle città posseggono questi standars di efficienza ed efficacia . A Rio de Janeiro, per la coppa del mondo 2014 e Olimpiadi del 2016 Ibm, sta collaborando per potenziare strutture per la prevenzione dei rischi. Yokohama, Nizza e Agbar vincono lo Smart Awards World City per essere riuscite a combinare, in modo efficace, varie tecnologie per ridurre le emissione di Co2 e aver limitato la dipendenza da energie fossili. L’osservazione sui tempi e procedure d’attuazione delle pratiche smart cities in Europa sono state rese note attraverso le risultanze di uno studio, svolto dall’università di Vienna e da altre università europee, dal titolo: Smart cities- Ranking of european medim-size cities. Fanno parte del campione studiato città medie con popolazione compresa tra 100 mila e 500 mila abitanti, “con un bacino di influenza inferiore ad un milione e mezzo di abitanti, con la presenza di un’università e con una elevata capacità di gestione dei flussi di informazione”. La “graduatoria” conclusiva annovera città che si sono distinte in vari settori: Amburgo, (capitale verde 2011), Berlino, (incubatore d’idee nell’arte e nella scienza), Copenaghen (elaborazione di un piano strategico che si propone di creare un “laboratorio verde” e riduzione di Co2), Cork (strategie urbane integrate trasporto – uso del territorio), Eindhoven (da città industriale a città tecnologica, e-governement, e-commerce), Amburgo (elevati standars ambientali ed ecologici, in rapporto alla mobilità sostenibile ed energia), Vienna, Innsbruck e Salisburgo ( fanno parte dell’Austria’s Smart Cities & Regione", una vasta rete di città che condivide obbiettivi smart) ed infine Lussembuergo, che, secondo lo studio citiesranking risulta essere al primo posto della classifica, per interventi nella smart economy e della smart people, e in quello della pluralità tecnica . Tra le città italiane sono annoverate, Genova, Milano, Parma, Torino, Trento, Bari; ma l’elenco è destinato ad allungarsi, tanto che, elencandole, si rischia di fare omissioni ingiustificate. In Italia, il progetto pilota nel campo dell’energia, è stato avviato, con il supporto di Enel, a Genova (con 378 mila abitanti si propone di abbattere del 24% l’emissione di sostanze nocive e di 2,3 Mln di tonnellate di CO2) e Bari, (320 mila abitanti, progetta di abbattere del 30% le emissioni nocive e 1,1 Mln di tonnellate di CO2), mentre altre città, come Mantova e Brescia e altre, che fanno parte del coordinamento nazionale dei sindaci, hanno iniziato processi “virtuosi”. Le principali aree d’intervento previste riguarderanno le smart grid per l’integrazione delle fonti energetiche rinnovabili, lo sviluppo della mobilità elettrica e l’applicazione di soluzioni avanzate quali “Archilede”, che prevede l’utilizzazione di Led, sviluppati da Enel, per aggredire l’inefficienza della pubblica illuminazione. Carlo Ratti, sostiene che l’Italia, malgrado le potenzialità, è indietro rispetto a questa nuova vision della città futura: la mancanza di una chiara prospettiva limita lo sviluppo della città attuale: “le città di oggi -sostiene- le hanno fatte gli uomini di ieri. Noi abbiamo tutto il diritto di pensare a quelle di domani. Fare oggi città per l’oggi significa farle nascere vecchie”. Il percorso da seguire è semplice e nello stesso tempo complesso, nella sua attuazione; nel SENSEable city Laboratory, Ratti sta sviluppando una serie di progetti che consistono nel “mappare” situazioni, (i rifiuti attraverso il Gps, il percorso delle transazioni finanziarie ecc.)” perché vedere un fenomeno, per chiunque, è più importante che sentirne parlare, sia che si tratti di inquinamento che di frequenza delle comunicazioni che di traffico”. Un esercizio, che rappresenta l’unico modo per conoscere e affrontare i problemi nella giusta visione. Innovazione e tecnologia, dunque, come motore dello sviluppo che si attua attraverso un partenariato tra imprese, amministrazione pubblica, ricercatori e steholders; si realizza attraverso la messa in opera di progetti nel campo dell’amministrazione, ricerca e servizi e nella società digitale applicato allo sviluppo urbano. Gli indicatori utili all’analisi del grado di efficacia delle pratiche smart possono essere sintetizzate, sempre secondo smart cities-raking, in sei categorie che comprendono insiemi di interventi nei settori: Smart governace (partecipazione), smart economy (competitività), smart mobility (trasporto e Ict), smart evironment (risorse naturali), smart livin (qualità della vita), smart people (capitale umano e sociale). Questi grandi contenitori comprendono l’insieme degli interventi in cui le città, ma anche le imprese, chiamate spesso a riconvertire il proprio apparato produttivo e di ricerca, si stanno cimentando con la messa in opera di progetti reali nell’ambito delle procedure di sviluppo urbano. Le tecnologie, sostiene Nicola Villa, direttore Pubblic Sector Internet Bussines della Cisco, impresa che sta realizzando grossi progetti in grandi città in Cina e in Medio Oriente, rendono le utility cittadine molto più efficienti e intelligenti. Alla domanda se sia più semplice intervenire nelle città nuove o nelle città esistenti Villa risponde: “dal punto di vista della pianificazione è più facile integrare Ict in nuove città; per quelle esistenti cambiano i modelli di riferimento, si agisce molto più sulla parte dati che non sulla parte infrastrutturale. L’Italia è un riferimento per molti nel campo dell’innovazione che riusciamo a produrre, il problema è che spesso non c’è scalabilità, gli altri ci copiano e fanno quello che facciamo noi su una scala molto più larga”.
Antonluca Di Paola
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Smart City: utopia o realtà?
Figura 3. Patrik Geddes:thinking machines Le città che sono riuscite a coniugare, in un unico modello urbano, tutela dell’ambiente, efficienza energetica e sostenibilità economica attraverso le moderne tecnologie, hanno trasformato la propria natura statica in “esseri sensoriali”, in grado di comunicare i bisogni e le risposte, a determinati scenari, in tempo reale. Alla domanda: “la città dovrà cambiare radicalmente” per adattarsi alle nuove funzioni, Ratti risponde: “La forma della città probabilmente non dovrà cambiare molto, invece cambierà il modo in cui questa forma dovrà fornire le funzioni che ci aspettiamo da lei”. Ne discende che non sempre città apparentemente avveniristiche, che ostentano forme architettoniche accattivanti, a emissioni zero, mantengono quello che promettono; in alcuni casi la maggiore efficacia è realizzabile attraverso le forme conosciute, non globalizzate, della città storiche e da quelle città che hanno saputo interpretare il proprio tempo, mantenendo la propria individualità, proiettandosi nel futuro. Bio-logic city come evoluzione di smart city? Utopia o realtà? Una sfida simile a quella che i primi urbanisti dovettero affrontare nei primi decenni del XX secolo. Patric Geddes, in Cities in Evolution, documenta la sua grande avventura intellettuale tra biologia, sociologia, antropologia applicata alla città e al territorio. Studioso dei sociologi positivisti e discepolo di Haxley, vede la città come un organismo. Lo studio dell’idea darwiniana applicato all’evoluzione della città comporta anche la necessità di pensare l’urbanistica come scienza civica, basata sulla civic survey (studio, rilevamento puntuale della città). La comprensione dei meccanismi di interrelazione tra le varie branche della scienza diventa, secondo quanto testimoniato da Mumford, una vera ossessione per Geddes, tanto da spingerlo a concepire delle vere e proprie macchine per pensaren(thinking machines), che contengono fino a trentasei caselle con le quali Geddes era solito illustrare i fenomeni urbani e le relazioni che intercorrono tra luogo, lavoro, gente, con un processo mentale simile ai moderni computer. Se la città è un labirinto indecifrabile -sostiene- la survey paziente del pianificatore porterà a trasformare la realtà urbana in una scacchiera, “sulla quale lo sfaccettato gioco della vita è in attivo svolgimento. Per questo il piano è un gioco infinito, in cui non ci sono né vincitori né vinti”. Le soluzioni approntate sono destinate a essere interpretate, adattate e in alcuni casi contraddette, dall’interpretazione successiva tra i cittadini, gruppi e autorità del piano”. Una città in evoluzione continua, in bilico tra metropoli e necropoli, secondo l’assunto di Gottmann: un gioco infinito.
Bibliografia Cortellessa P, Il cellulare svela i segreti delle folle, Il Manifesto, 19 luglio 2008 Crivelli G., Progettare città con il digitale, Il sole 24 ore 30 ottobre 2008 Inu, Biennale delle città e degli urbanisti , Genova 14-17 settembre 2011 Paglieri M. Biennale, la carica dei nuovi architetti sabaudi, La Repubblica, 9 giugno 2010 Pagni E., Bici ibridi sostenibili. Rivoluzione urbana per città più verdi, Architettura Sostenibile, 30 Aprile 2010 http://www.datamanager.it/rivista/eventi/smart -city-expo-le-citt-del-futuro http://www.barismartcity.it http://rassegna.ance.it/utility
Antonluca Di Paola
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Aree urbane di waterfront in contesti “sensibili”: sostenibilità, pianificazione “multipla” e integrata
Aree urbane di waterfront in contesti “sensibili”: sostenibilità, pianificazione “multipla” e integrata Barbara Lino Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: barbara.lino@unipa.it Tel/fax 091.581513
Abstract I waterfront urbani non sono esclusivamente aree infrastrutturali, essi sono ambiti complessi, paesaggi “sensibili”, sono dispositivi in mutamento, luoghi di relazioni, di flussi di attraversamento, di risorse del paesaggio e di identità delle comunità. A partire da queste considerazioni il contributo assume i waterfront come campo privilegiato di sperimentazione di un approccio del progetto di trasformazione sostenibile ed integrato, trovando nel paradigma di “città intelligente” - intesa quale sinonimo di città connessa, senziente e sensibile – possibili prospettive di sviluppo e declinazioni del progetto.
Waterfront come paesaggi “sensibili” Sui waterfront urbani densamente insediati si esercitano ingenti pressioni antropiche connesse alla presenza di infrastrutture portuali, di attività produttive, di potenti spinte di urbanizzazione e sfruttamento delle risorse della costa che determinano delicate situazioni di vulnerabilità ambientale. Interfacce tra terra e mare, sistema urbano e componenti ambientali, i waterfront, a fronte di tali situazioni di rischio, sono portatori di preziosi valori paesaggistici, d’identità culturali stratificate e sono luoghi di relazioni fisiche e immateriali a “geometria variabile”. Essi non sono esclusivamente aree infrastrutturali, sono luoghi di flussi di attraversamento, dispositivi in mutamento, sono paesaggi complessi, vulnerabili e “sensibili”. La gestione dei tratti urbani di waterfront presenta problemi articolati tanto in relazione alle nuove istanze ambientali ed ecologiche, quanto alla complessa dimensione normativa e alla moltitudine di soggetti istituzionali chiamati a gestirne la tutela e la modificazione, ma, in un’ottica proattiva, offre innanzitutto una straordinaria potenzialità di sviluppo attraverso un progetto che parli contemporaneamente al presente ed al futuro di un territorio (Marshall, 2001). Il waterfront ha spesso funzionato negli ultimi anni come “magnete” di progettualità, luogo per riqualificare zone degradate e abbandonate, per riutilizzare aree obsolete portuali, per valorizzare tratti di paesaggio litorale e rigenerare il giacimento di suolo libero, producendo nuove parti di città che introducono nuove funzioni compatibili e coerenti con la presenza dell’acqua. La forza dei waterfront è stata in alcuni casi in grado di provocare il riassetto dell’intero sistema urbano, inducendo mutazioni a vasta scala, ben più estese della zona di bordo, di confine con l’acqua, come nel caso di Amsterdam e Rotterdam ma anche di Genova e Barcellona. Riuso, sostituzione edilizia, densificazione e contenimento dell’uso del suolo, produzione di spazi pubblici di qualità, spazi aperti e spazi verdi, sono temi centrali del progetto contemporaneo dei waterfront che possono intendersi come campo privilegiato di sperimentazione di un approccio del progetto di trasformazione sostenibile ed integrato.
Ipertesto come metafora di complessità dei waterfront urbani Barbara Lino
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Aree urbane di waterfront in contesti “sensibili”: sostenibilità, pianificazione “multipla” e integrata
Se i waterfront urbani sono ambiti complessi, portatori di “valori relazionali a geometria variabile”, assumendo l’ipertesto come metafora di complessità, è possibile declinare alcuni “nodi”, alcune questioni che il progetto sostenibile dei waterfront urbani è chiamato ad affrontare a partire dalle sei caratteristiche dell’ipertesto individuate da Lévy in “Le tecnologie dell’intelligenza” (Lévy, 2000): La questione della metamorfosi: Come un ipertesto un’area di waterfront è continuamente in costruzione e negoziazione. Interessando aree ad alto potenziale speculativo (aree soggette a concessioni, aree centrali ad alto valore commerciale, aree produttive, etc.), il progetto sostenibile di trasformazione delle aree di waterfront deve essere in grado di bilanciare in modo costruttivo il diritto di accesso pubblico e la proprietà privata. Servono dispositivi di progetto in grado di affrontare le conflittualità connesse alle diversità di competenze dei soggetti coinvolti nei processi di gestione e ai rispettivi ambiti di competenza istituzionale e decisionale. C'è un urgente bisogno di integrare/adattare/codificare la legislazione e gli strumenti in materia di pianificazione del territorio, al fine di coordinare e coinvolgere tutte le parti coinvolte. La questione della eterogeneità: Come un ipertesto le componenti di un waterfront sono eterogenee. Esso è soprattutto un luogo formato dall’intersezione di usi, di funzioni, di flussi: tassello fondamentale del sistema ambientale, paesaggio sintesi di spazio e di comunità e luogo di solidificazione dell’identità della comunità sociale, culturale ed economica (Carta, 2010). I progetti di trasformazione e sviluppo richiedono il superamento di logiche settoriali e l’integrazione di politiche di settore infrastrutturali, per l’ambiente o la salvaguardia del paesaggio con le politiche urbane e gli strumenti di pianificazione del territorio (Savino, 2010). La questione della molteplicità e dell’incastro delle scale: Come in un ipertesto la struttura dei waterfront è frattale e gli effetti dei fenomeni si propagano da una scala ad un’altra. Per i waterfront in cui le strategie che investono la dimensione internazionale “atterrano” sulla dimensione locale servono strategie complessive in grado di cogliere i nessi tra economie urbane ed economie portuali (Pavia, Di Venosa, 2000), tra la scala locale e quella delle strategie complessive del sistema urbano. La questione della esteriorità: Come in un ipertesto le componenti endogene di un waterfront rimandano ad elementi esogeni. Il waterfront è parte del suo sistema urbano, ne è componente strutturale e come tale la sua progettazione non può non essere inserita in una logica che lo affronti come componente essenziale del funzionamento del complesso urbano nella sua interezza. La questione della topologia: Come in un ipertesto in cui le logiche seguono sempre percorsi e traiettorie, in un waterfront lo spazio pubblico e i percorsi di connessione assumono il ruolo di coagulatori di “paesaggi di senso”. I waterfront sono detentivi di risorse identitarie e di “particelle di qualità” che possono essere reimmesse nel metabolismo della città e possono fungere “come “nuove staminali urbane” per la rigenerazione” (Carta, 2007; p. 71). La questione della mobilità dei centri: Come in un ipertesto in cui la rete non ha un centro unico, così i waterfront sono luoghi dell’intersezione tra energie materiali (di beni e persone) e immateriali (in termini di idee e servizi) prodotte dalle grandi reti infrastrutturali di cui sono terminali e spazi di attraversamento di flussi di utenti diversificati. Il progetto del waterfront deve contribuire alla costruzione di un sistema pluri-nodale, reticolare-lineare: un'interazione continua tra luoghi fisici e flussi informativi. Se il waterfront è come un ipertesto interrogabile, percorribile in diverse direzioni in funzione del lettore che sceglie le interconnessioni semantiche e le “rotte di navigazione”, come si “deforma” l’approccio al progetto dei waterfront urbani se assumiamo i temi della sostenibilità ecologica e dell’”intelligenza” come guida?
Waterfront intelligenti oltre la tecnologia Molte retoriche ruotano attorno al tema delle città intelligenti, le “Smart Cities”, al di là della concretezza, a volte algida, della matrice ingegneristica e tecnologica delle smart grid, del cloud computing, dell'elettronica distribuita. L’approccio tecnologico tuttavia è un punto di partenza iniziale dei possibili scenari che l’immaginario delle città intelligenti attraverso una diffusione pervasiva delle tecnologie potrebbero aprire. La diffusione delle tecnologie impatta sulle culture urbane, sulle sfide sociali e sui modelli di vita e nessuno avrebbe potuto immaginare fino a che punto internet e la rete avrebbero condizionato il nostro modo di vivere. Le considerazioni sulla natura dei waterfront e sulle istanze di trasformazioni ad essi connessi trovano nella declinazione del concetto di “città intelligente” - intesa quale sinonimo di città connessa, senziente e sensibile Barbara Lino
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Aree urbane di waterfront in contesti “sensibili”: sostenibilità, pianificazione “multipla” e integrata
un sistema di risposte a questioni complesse per la pianificazione e progettazione dei waterfront urbani, capaci di superare le logiche settoriali e affrontare le questioni riferite all’intermodalità, al trasporto, alle infrastrutture per la mobilità integrata, al monitoraggio attraverso l’applicazione delle ICT delle condizioni ambientali e degli effetti indotti dalla pressione antropica. Si apre la stagione per una nuova generazione di progetti per i waterfront urbani in grado di confrontarsi con quella necessità ecologica e ambientale che chiama la pianificazione ed il progetto urbanistico a confrontarsi con i temi della complessità (di funzioni e di approcci sensibili alle realtà locali), della adattabilità (di soluzioni e strategie) dell’accessibilità (alle opportunità di sviluppo, alle risorse, ai servizi, etc.) e dell’identità (attraverso visioni di futuro capaci di guardare al passato). I waterfront urbani possono trasformarsi da poli “chiusi” di sviluppo industriale produttivo a sistemi a forte integrazione, aperti verso il territorio, sistemi produttivi in grado di contribuire alla green economy della città e del territorio di cui sono parte. Dispositivi lineari intelligenti della città, infrastrutture green ad alto grado di integrazione spaziale, multisettoriale e multi-attore. Luoghi dell'interazione continua tra luoghi fisici e flussi informativi, aree in cui collocare e integrare “poli dell’intelligenza”, luoghi del riuso urbano, sensori dell’ambiente e del paesaggio, luoghi dell’intelligenza delle comunità.
Waterfront resilienti e senzienti: orientamenti del progetto sostenibile per le aree di waterfront urbano Le strategie stesse del progetto si muovono a partire dal perseguimento di modelli di sviluppo intelligenti dei waterfront sintetizzabili in due ampie categorie integrabili e complementari: i waterfront resilienti capaci di adattarsi ai cambiamenti adeguandosi a modelli di crescita e trasformazione ecologici e sostenibili; i waterfront senzienti quale tassello privilegiato dell’intelligenza collettiva della città.
Waterfront resilientiIl waterfront urbano per le sue caratteristiche si offre come ideale ampo di sperimentazione dei principi del progetto urbano sostenibile I campi di sperimentazione per una progettazione urbana sostenibile trovano un utile riferimento nei principi enunciati dal “V commitment dagli Aalborg commitments” 1 e nei principi di integrazione e sostenibilità enunciati nella “Carta di Lipsia”, principi ulteriormente elaborati con specifico riferimento alle aree di waterfront nell’ambito di altri contesti di studio e di ricerca applicata che hanno avuto come esito ulteriori indirizzi di progetto assumibili come utili tasselli di riflessione: 1. i principi “Waterfront Smarth Growth” 2 che mettono a sistema le linee guida per una Smart Growth con le caratteristiche peculiari delle aree di litorale urbano, elaborati della “National Oceanographic and Atmospheric Administration” (NOAA) degli Stati Uniti in collaborazione con la “Environmental Protection Agency” (EPA); 2. i “10 principi per lo sviluppo sostenibile dei Waterfront urbani” (Bruttomesso, 2010) elaborati dal “Centro Internazionale Città d’Acqua” e adottati nel corso del WaterfrontExpo che si è tenuto a Liverpool nel 2008; 3. i “7 Principi per i waterfront urbani creativi” (Carta, 2009) che orientano il progetto verificando come l’interazione tra i processi di rigenerazione delle aree di waterfront e la trasformazione urbana possano generare nuovi milieux creativi. Mettendo insieme attraverso un’azione di sintesi gli indirizzi definiti dai principi-guida elaborati e le riflessioni che ruotano attorno alle questioni da essi sollevate, è possibile affermare che le sfide del progetto sostenibile per i waterfront si giocano principalmente attorno ai seguenti indirizzi: funzioni miste: assicurare la mixitè di usi e funzioni attraverso una miscela di destinazioni d’uso, spazi misti e integrati, tanto dal punto di vista funzionale che sociale; mobilità green: incoraggiare la nascita di modelli di trasporto sostenibili slow ed ecologici e potenziamento dei sistemi di mobilità lenti e no-car models, predilezione di aree a carattere pedonale, trasporti pubblici basati sull’acqua ed integrazione di questa offerta con quella delle altre forme del trasporto terrestre; spazi pubblici di qualità e rete delle aree aperte: creare e assicurare spazi pubblici ed aree verdi quali “coagulatori” e “addensatori” di qualità urbana, attivatori di connessioni e legami, centri connettivi del tessuto sociale e ambientale;
1 Disponibili su: http://www.aalborgplus10.dk 2 Disponibili su: http://coastalsmartgrowth.noaa.gov
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Aree urbane di waterfront in contesti “sensibili”: sostenibilità, pianificazione “multipla” e integrata
governance multilivello e sostenibilità economica: coordinare piani e politiche locali e settoriali e definire criteri per la utilizzazione dei fondi pubblici e privati; riuso: promuovere il recupero e il riuso del patrimonio edilizio esistente come nel caso di edifici portuali dismessi, dando risposta in termini sostenibili alla continua occupazione di suolo e assecondando le necessità economiche e ambientali anche attraverso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e di tecnologie per il controllo delle emissioni applicate all’edilizia.
Waterfront senzienti Un ulteriore elemento che può “deformare” l’approccio progettuale ai temi del waterfront è quello che deriva dalla declinazione del tema dell’intelligenza per la città intesa quale dotazione di sensibilità e capacità di essere interfaccia di una comunità, “sentendone” e comprendendone le complessità. Così come nella città senziente (Shepard, 2011), a partire dalla lettura di un sistema di dati “reali” è possibile definire visioni di progetto che riflettano un'immagine esplorativa del cambiamento, anche nei waterfront un layer di elementi digitali in rete, di “infrastrutture intelligenti” (Fusero, 2008; pp. 51) (sensori per implementare l’intelligenza collettiva, telecamere, micro controllori utilizzati per il monitoraggio dell’ambiente, la gestione delle infrastrutture urbane, per ottimizzare i trasporti, monitorare l'ambiente ed eseguire applicazioni di sicurezza) e le "nuvole di dati" da questi prodotte potrebbero essere assunti come base per orientare le scelte di trasformazione (Pulselli, Ratti, 2005) trovando diversi campi di sperimentazione: sensori per il controllo e monitoraggio ambientale della costa: sensori per il monitoraggio delle pressioni antropiche sulla costa, delle emissioni inquinanti delle attività produttive e portuali e monitoraggio dinamico in tempo reale della qualità delle acque. Realizzazione di “Sistemi informativi della costa” attraverso software GIS in grado di elaborare il flusso di dati ambientali, fisici e antropici al fine di valutare vulnerabilità e livello di rischio; piattaforme interattive per l’offerta integrata di servizi del waterfont: piattaforme interattive per la condivisione di dati e informazioni e per la facilitazione dell’accesso al sistema integrato e misto di servizi di cultura, turismo, nautica e ambiente che i waterfront possono offrire; sistemi informativi per la misurazione degli usi reali degli spazi attraverso l’analisi dei flussi - Mobile Landscape 3 : utilizzare sistemi di informazione geografica (GIS) per creare mappe in tempo reale (per esempio sui flussi pedonali, sull’uso degli spazi pubblici o dei servizi o sugli usi differenziati in base alle diverse categorie di utenti del waterfront: residenti, turisti, etc.) per monitorare ed esportare informazioni sociali e comportamentali da utilizzare per la costruzione di scenari di sviluppo alternativi o orientare le scelte di trasformazione o l’offerta di servizi; piattaforme implementabili per la governance e la scelta condivisa e partecipata delle decisioni: piattaforme per promuovere una partecipazione “in tempo reale” tra i soggetti ai diversi livelli e snellire i processi amministrativi e della pianificazione.
Esperienze pioniere La trasformazione dell’atteggiamento al progetto di waterfront trova in alcune esperienze internazionali di rigenerazione un interessante campo di studio in cui il filo conduttore della sostenibilità coniuga soluzioni urbane di qualità architettonica con interventi eco-sostenibili. Si tratta di nuovi quartieri nati dal recupero del rapporto tra tessuto urbano e acqua e il cui ruolo all’interno del sistema urbano viene immaginato a partire da strategie complessive di rafforzamento della competitività della città a partire dalla valorizzazione della sua componente “liquida” e dal suo rapporto con il waterfront. Questo aspetto ha garantito che i progetti fossero accompagnati da una visione strategica di ampia scala e da una regia pubblica autorevole che ha ricondotto le partnership pubblico-private entro un quadro di qualità generale dei progetti. Alcune tra le esperienze in corso si distinguono per la significatività delle strategie che mettono in campo e applicano gli obiettivi del contenimento delle emissioni e l’impiego di energie alternative negli edifici ad un modello insediativo di quartiere a mobilità dolce ed in cui si integrano spazio pubblico di qualità, verde, servizi e residenze. Basti pensare ad Hafencity ad Amburgo che a partire dal riutilizzo di una superficie di circa 300 ettari di aree portuali dismesse genera un modello di città che persegue una riduzione delle emissioni lavorando su un elevato grado di integrazione dell’offerta del trasporto pubblico, connettendo il quartiere con le linee della metropolitana e bus e navi ad idrogeno, oltre che sul miglioramento della performance energetica degli edifici, sull’uso di fonti 3 Su questo ambito di ricerca si vedano anche: sentiencity.net, http://senseable.mit.edu/
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Aree urbane di waterfront in contesti “sensibili”: sostenibilità, pianificazione “multipla” e integrata
energetiche alternative e l’impiego di energia solare. Il progetto del quartiere si colloca nell’ambito di un generale ripensamento delle strategie della città che ripensa il suo ruolo di capitale puntando sulla riqualificazione del waterfront e del proprio sistema portuale. Il quartiere Nordhavn a Copenhagen in cui il recupero di aree portuali dismesse è stato coniugato con la costruzione di un‘area urbana con usi misti che integra residenze, spazi pubblici a carattere pedonale e improntati alla priorità del trasporto collettivo e all’uso di mobilità slow quali la bicicletta e l’uso di energie rinnovabili nelle operazioni di recupero dell’esistente. Un insediamento ispirato al principio della “five-minute-city”, una città caratterizzata da brevi spostamenti da casa e dal lavoro verso il trasporto pubblico, i servizi, le aree commerciali e le piste ciclabili. Un quartiere “carbon negative” in grado di produrre maggiori quantità di energie rinnovabili di quante consumate grazie all’uso di fonti eoliche e geotermiche (Berrini, Colonnetti, 2010). Il quartiere di Hammarby a Stoccolma è stato premiato nell’ambito del World Clean Energy del 2007 per gli alti standard energetici e l’uso di fonti rinnovabili: un nuovo quartiere residenziale in cui la mobilità ciclabile e gli accessi alle rive del fiume sono elementi fondanti del progetto. Un quartiere realizzato decontaminando un’area industriale dismessa prossima all’area fluviale ed in cui un mix di sistemi di trasporto che include metropolitana leggera, tram, autobus, traghetti e corsie ciclabili contribuisce a rendere possibile che una percentuale del 75% di abitanti non utilizzi l’auto privata (Berrini, Colonnetti, 2010). Anche l’esperienza di Berlino sui suoi fronti fluviali si muove verso una rigenerazione che integra componenti architettoniche ed elementi del paesaggio d’acqua, funzioni miste e spazi pubblici lungo il fiume. A partire dai contenuti definiti nel WEP, un piano per lo sviluppo delle aree sui corsi d’acqua della città, nella parte orientale della città sulla Spree, sono stati realizzati nuovi insediamenti residenziali nella baia di Rummelsburg, con residenze a contatto con l’acqua ed un articolato sistema di spazi a verde, nonché l’intervento di recupero delle aree dell’ex porto dell’Osthafen che ha generato il quartiere dei Media, polo di attrazione per le industrie creative e quartiere misto con spazi pubblici e servizi per il tempo libero. E sono ancora molte le esperienze che si potrebbero citare: il quartiere Vasträ Hamnen a Malmö o ancora l’area di south bank a Londra dove nel quartiere di Coinstreet il recupero della passeggiata sull’acqua si declina nei termini della sostenibilità sociale integrando aree fluviali e spazi per la comunità. O ancora le spiagge urbane delle città di Berlino, Barcellona, Parigi promosse nell’ambito di un potenziamento dei livelli di qualità della vita in un’ottica di maggiore competitività e attrattività urbana. In queste esperienze di rigenerazione, appare ancora poco esplorata la “componente senziente del progetto”, affrontata in contesti di settore, ma la cui integrazione con i temi della pianificazione e del progetto urbano potrebbe essere considerata una frontiera di sperimentazione, immaginando che la definizione dei modelli di trasformazione dei fronti d’acqua possa essere orientata da sistemi di valutazione “sensibili” utilizzati sin dalle fasi di definizione dei contenuti di piani e progetti.
Considerazioni conclusive Il quadro delineato concorre a definire un campo d’indagine complesso e in divenire che presenta ambiti da esplorare, nodi concettuali ed operativi da sciogliere e potenzialità di progetto. Un assetto di sviluppo sostenibile e “intelligente” dei waterfront richiede innanzitutto che le visioni di progetto siano capaci di agire ad una dimensione “multipla” e integrata nelle accezioni dell’integrazione funzionale, dell’integrazione di soggetti, di economie e di scale di azione e strategie. Il nodo concettuale ed operativo forse più difficile da affrontare è quello del modello di governance delle trasformazioni e cioè la necessità di assicurare che le trasformazioni sul waterfront siano ricondotte entro una visione strategica ampia. Tornando ancora una volta alla metafora dell’ipertesto ed al suo carattere multipuntiforme, multilineare e reticolare, anche la trasformazione del waterfront non conosce un’unica sequenza prestabilita, ma una potenziale molteplicità di sequenze differenti legate alle scelte del fruitore o, meglio, dei diversi possibili sistemi di aggregazione dei fruitori e dei soggetti della decisione. Alla luce di ciò anche gli strumenti operativi dovrebbero essere dispositivi capaci di far convergere interessi e istanze provenienti da scale e ambiti istituzionali e settoriali differenti, attraverso la costruzione di protocolli di gestione flessibili, di strutture operative quali Authority o uffici di scopo o ancora di “officine di progetto”, in grado cogliere e trasferire nel progetto quelle relazioni complesse e multiscalari che interagiscono con il sistema urbano e territoriale di cui i waterfront sono parte integrante e strutturale.
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Aree urbane di waterfront in contesti “sensibili”: sostenibilità, pianificazione “multipla” e integrata
Bibliografia Berrini M., Colonnetti A. (a cura di, 2010), Green life, Costruire città sostenibili, Editrice Compositori , Bologna. Bruttomesso R., Moretti M. (2010), “Città-porto e riqualificazione del waterfront: evoluzione e scenario di una strategia vincente”, in Savino M., Waterfront d’Italia. Piani, politiche, progetti, FrancoAngeli, Milano, pp. 1827. Carta M. (2007), Creative city, Dynamics, Innovations, Actions, List, Barcellona. Carta M. (2009), “Città liquida. I waterfront urbani come generatori di qualità”, in Carta M. (a cura di), Governare l’evoluzione. Principi, metodi e progetti per una urbanistica in azione, FrancoAngeli, Milano, pp. 322-332. Carta M. (2010), “Dal waterfront alla città liquida”, in Savino M., Waterfront d’Italia. Piani, politiche, progetti, FrancoAngeli, Milano, pp. 28-35. Clementi A. (a cura di, 2010), Ecogeotown, List Lab, Trento. Fusero P. (2008), E-city, Digital networks and city of the future, List, Barcellona. Lévy P. (2000), Le tecnologie dell’intelligenza, Ombre corte, Verona. Marshall R. (2001), Waterfront in Post-Industrial Cities, Spon Press, London. Pavia R., Di Venosa M. (2000), “La pianificazione delle aree portuali. I porti delle città adriatiche”, in Urbanistica, n. 115, pp. 60-72. Pulselli R. M., Ratti C. (2005), 2Mobile Landscapes. Equilibri”, in Rivista per lo sviluppo sostenibile, n. 1, pp. 147-156. Savino M. (2010), Waterfront d’Italia. Piani, politiche, progetti, FrancoAngeli, Milano. Shepard M. (2011), Sentient City: Ubiquitous Computing, Architecture, and the Future of Urban Space, MIT Press (MA), Cambridge.
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Cibernetica urbana e sostenibilità: la città in tempo reale, possibili scenari di sviluppo e problematiche
Cibernetica urbana e sostenibilità: la città in tempo reale, possibili scenari di sviluppo e problematiche Pierfrancesco Celani Università della Calabria Dipartimento di Pianificazione Territoriale Email: pierfrancesco.celani@unical.it Tel. 348.0819701 Valentina Rocca Università della Calabria Dipartimento di Pianificazione Territoriale Email: vrocca@unical.it Tel. 327.5489671
Abstract Città e Real-Time: la città che si fonde con le informazioni digitali, percepita in modo dinamico e sincronico, pronta per essere programmata a funzionare in modo efficiente, intelligente e sostenibile. Sensori e networks sono i nuovi paradigmi dell'informatica urbana: gli elementi dello spazio costruito si prestano a interagire con l'uomo attraverso modelli urbani avveniristici. La città diventa un grande contenitore virtuale, capace di immagazzinare e scambiare dati; come un grande organismo vivente, si sviluppa e si modifica nel tempo tramite meccanismi di controllo sensoriale. La tendenza di alcune ricerche contemporanee a creare modelli di città sempre più efficienti e a basso impatto ambientale legittimano la ricerca nel campo della realtà virtuale e dell’intelligenza artificiale a sostegno della disciplina urbanistica. Ricerche e casi studio su come i modelli urbani di città in tempo reale siano in grado di pensare in maniera sostenibile all'ambiente ecologico e sociale.
La città cibernetica "Computing is not about computers anymore. It is about living." N. Negroponte La città del XXI secolo è un sistema complesso, dinamico e in evoluzione. Costituita da molteplici realtà, la città si fa contenitore di esigenze e problematiche differenti: come intervenire su queste ultime, rappresenta la sfida culturale e tecnica più ardua dei prossimi anni. Come sarà la città del domani? E quanto sarà sostenibile? Impossibilitati a scommettere sul grado di sostenibilità del sistema, la città che immaginiamo è quella che meglio saprà coniugare al suo interno tecnologia ed efficienza. Tra gli scenari possibili, la città che sembra meglio racchiudere al suo interno il principio della sostenibilità del futuro è la "città cibernetica". La parola "cibernetica" indica lo studio dei sistemi che utilizzano processi di autoregolazione e di comunicazione, sia negli organismi naturali che nei sistemi artificiali. Nello specifico, la parola "cibernetica" deriva da "kubernetes" che in greco classico significa "timoniere della nave" e designa la scienza della gestione di sistemi di grandi dimensioni. La cibernetica come scienza della complessità si sviluppa parallelamente alla nascita della Teoria generale dei Sistemi agli inizi degli anni '50, ad opera di Ashby e Wiener. Riferita ad uno spazio metafisico, William Gibson nel suo romanzo "Neuromante" (1984) utilizza per la prima volta il termine "cyberspazio" per descrivere un mondo in cui i computer scandiscono ogni attimo della vita umana, comprese le lotte, i piaceri e i dolori. La visione generale della città cibernetica è stata associata all'immagine di un luogo minaccioso dai connotati ipertecnologici, in cui la vita dell'uomo è indissolubilemnte pilotata da volontà superiori che regolano l'intero Pierfrancesco Celani, Valentina Rocca
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Cibernetica urbana e sostenibilità: la città in tempo reale, possibili scenari di sviluppo e problematiche
universo urbano. Negli anni '60 si diffonde l'idea che gli spazi dell'architettura debbano essere progettati come sistemi autonomi capaci di rispondere alle condizioni di emergenza e ad adattarsi ai bisogni dei propri abitanti (Pask 1969). Oggi, l'utilizzo sempre più innovativo delle tecnologie digitali sembra stia diventando il mezzo tramite il quale perseguire principi di risparmio energetico e di razionalizzazione delle risorse: alla continua ricerca della propria identità. La città cibernetica è un sistema costantemente connesso a una rete globale, privo di materialità, in equilibrio dinamico tra l'autoregolazione delle molteplici variabili in gioco e l'impalpabilità dei dati trasmessi. E' il luogo della trasmissione delle informazioni in tempo reale: ciò presuppone una nuova tendenza nell'ambito della comunicazione; il tessuto urbano è percepito come un insieme di elementi distribuiti nello spazio in maniera puntuale, tale da creare una rete di comunicazioni in cui è possibile studiare l'intensità delle relazioni tra gli elementi e le modalità di funzionamento dei mezzi di comunicazione. La sostituzione delle relazioni funzionali, garantite dalla vicinanza spaziale, con relazioni fondate sulla "vicinanza elettronica" ha teso a rendere molto meno importante il problema del "dove" un'attività si localizza, ponendo invece in rilievo il problema del "come" essa si connette a una rete informatica, che ne rende possibile l'interazione con le altre attività (Alfredo Mela 1994). In quest'ottica, parlare di "cibernetica urbana" significa individuare gli elementi principali dell'ecosistema urbano e assistere al processo di massimizzazione temporale con cui le informazioni arrivano e interagiscono tra gli elementi in gioco, nei diversi ambiti di studio. Le novità apportate dalla città cibernetica possono realmente rivoluzionare la vita degli abitanti: concetti come quelli di partecipazione, ecologia, energia, sicurezza, infrastrutture e mobilità rappresentano gli elementi nodali della rete sostenibile che questo tipo di spazio urbano è in grado di gestire e di condividere. La città cibernetica è.... ... Città della Partecipazione: spazio fisico che permette ad ogni abitante di mutarsi in un "sensore umano", un agente capace di rilevare, attraverso la sua esperienza individuale, gli stimoli e le percezioni provenienti dall'ambiente circostante. Attraverso i contenuti forniti dagli utenti, la folla diventa una rete distribuita di sensori che permette di comprendere i modelli dinamici della città e le esperienze dei suoi cittadini in tempo reale. Sono i desideri e le esigenze degli utenti, rilevati dai meccanismi cibernetici, a modellare il sistema di autoregolazione della città. Accedendo alle informazioni su come la città opera e funziona e rendendo democratico il processo di condivisione di queste, gli abitanti stessi sono in prima persona gli agenti di regolazione e di comando del sistema urbano. Tutto questo offre un maggiore controllo del cittadino sul proprio ambiente, consentendogli di prendere decisioni ben strutturate e pianificate, riducendo le inefficienze riscontrabili nei sistemi urbani contemporanei. Non solo: la creazione di social network della città permetterebbe a tutti di esprimersi, di denunciare le problematiche nevralgiche e di enfatizzare le esperienze di successo. I cittadini sarebbero in questo modo chiamati a promuovere la creazione di reti di comunità di interesse, a formulare delle proposte migliorative al fine di creare città più belle, più sicure, più solidali, in altre parole, più sostenibili. Uno strumento di interpretazione del territorio di questo tipo richiede una rivisitazione dei ruoli: le pubbliche amministrazioni infatti, non sarebbero più il centro principale ma uno dei nodi della rete sociale, incaricati di effettuare una sintesi del flusso di comunicazioni dei cittadini. ... Città Ecologica: per mezzo di reti sensoriali nascoste, inseriti ad esempio sotto l'asfalto o nei pali della luce, la città ecologica prevede il monitoraggio accurato delle condizioni ambientali. Dall'analisi dei livelli istantanei dell'inquinamento, al calcolo del deflusso dell'acqua e alle operazioni per lo smaltimento dei rifiuti, tutto mirerà al miglioramento delle condizioni fisico-ambientali dell'ecosistema urbano. ... Città Energetica: il settore energetico prevede l'installazione di un sistema di utilities che permetterà agli utenti di essere più consapevoli dei loro usi e consumi, permettendo ai fornitori di servizi di ridurre la domanda di elettricità o di offrire solo le quantità di acqua indispensabile alla richiesta dall'utenza. ... Città della Sicurezza: sarà previsto il monitoraggio strutturale di edifici, ponti e dighe. Impianti tecnologici avanzati per il blocco o l'erogazione dei servizi primari saranno azionati nelle situazioni di emergenza, anche in caso di catastrofi naturali o antropiche. ... Città della Mobilità: tramite sensori incorporati in strade, lampioni e semafori, il transito potrà essere gestito in tempo reale con lo scopo di ridurre i periodi di percorrenza, i consumi e le insufficienze di carburante, impedendo inoltre congestioni e traffico elevato.
Ricerche innovative e laboratori progettuali Negli ultimi decenni, sistemi di controllo in tempo reale sono stati sviluppati nel campo dell'ingegneria: molti i laboratori di ricerca che nel mondo si stanno occupando dello studio di modelli urbani tramite l'acquisizione e la trasmissioni di dati su piattaforme virtuali. Numerose le ricerche e le sperimentazioni prodotte sull'argomento, in particolare nell'ambiente accademico Pierfrancesco Celani, Valentina Rocca
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americano, volte al monitoraggio dello spazio urbano e al raggiungimento di modelli di sviluppo sostenibile tramite l'utilizzo di sistemi tecnologici all'avanguardia, applicati ai componenti del sistema urbano. In particolare, la sempre maggiore diffusione di sensori e palmari elettronici sta permettendo, con relativa facilità, di accostarsi con un approccio diverso allo studio dell'ambiente costruito. E' possibile che una città si comporti come un sistema di auto-controllo in tempo reale? Il modo di descrivere e di comprendere le città si è radicalmente trasformato: studiare questi cambiamenti da un punto di vista critico e anticiparli è da alcuni anni l'obiettivo del "SENSEable City Lab" del Massachusetts Institute of Technology, team diretto dall'italiano Carlo Ratti, ingegnere e architetto. Nel progetto "WikiCity", il SENSEable City Lab si è occupato di configurare un sistema in grado di monitorare e gestire nel migliore modo possibile l'utilizzo delle risorse, prefigurando nuovi scenari di studio fantascientifici di cibernetica urbana. Attraverso i sempre più nuovi traguardi raggiunti dallo sviluppo tecnologico, infatti, è possibile accostarsi allo studio dei sistemi urbani inquadrandoli come veri e propri "organismi sensoriali", in grado di trasmettere e ricevere bisogni e risposte in diversi campi. I centri urbani già generano migliaia di dati in tempo reale, da qui l'esigenza di dotarsi di strumenti per l’analisi e la previsione.
Figura 1. Roma Real Time, 2006. Rappresentazione dell'attività dei telefoni cellulari nella città di Roma: sovrapposizione dell'acquisizione dei dati in tempo reale, dati GIS e immagini raster. Fonte: http://www.sensiblecitylab.com Un sistema di controllo in tempo reale è pertanto costituito da quattro diverse componenti: entità da controllare in un ambiente caratterizzato da incertezza; sensori in grado di acquisire informazioni sullo stato dell'entità in tempo reale; intelligence in grado di valutare le prestazioni del sistema contro i risultati desiderati; attuatori fisici capaci di agire sul sistema per realizzare la strategia di controllo. Il progetto del team americano dal titolo "Real Time Rome" ha previsto l'utilizzo di telefoni cellulari e dispositivi GPS per raccogliere i modelli di movimento delle persone e dei sistemi di trasporto, in funzione dell'utilizzo spaziale e sociale delle reti stradali e dei quartieri. "Real Time Rome" combina differenti set di dati in una singola interfaccia: dati in tempo reale, dati GIS e immagini raster (Figura 1). L'obiettivo è stato quello di mappare i flussi della città processo che, nonostante coinvolga algoritmi particolarmente complessi, avviene in maniera quasi istantanea, così da fornire aggiornamenti in tempo reale sulla situazione della città, zona per zona. E' anche possibile capire se il telefonino si trova nelle tasche di un pedone (movimento lento) o di un automobilista imbottigliato nel traffico. Il progetto "WikiCity" è stato applicato alla città di Roma anche in previsione dell'evento della Notte Bianca, sulla base delle informazioni fornite in tempo reale dai numerosi partner del progetto e dalla piattaforma software per l'aggregazione dei dati, l'elaborazione e la visualizzazione, sviluppato dal SENSEable City Lab (Figura 2). Pierfrancesco Celani, Valentina Rocca
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L'applicazione virtuale del progetto, sviluppata come una mappa attiva della città di Roma, ha permesso alle persone di accedere in tempo reale ai dati relativi agli eventi che avvenivano nei pressi dell'utente. Oltre al flusso delle persone che si spostavano a piedi, era inoltre possibile rilevare la posizione degli autobus, per usufruire all'istante del mezzo più vicino.
Figura 2. WikyCity Rome. Applicazione Notte Bianca Roma, 2006. Fonte: http://senseable.mit.edu/wikicity/rome/ In previsione dell'Expo 2008, la città di Zaragosa collabora con il SENSEable City Lab per la progettazione di un sistema interattivo di pensiline dell'autobus. Tramite l'interazione con questo nuovo oggetto (Figura 3), l'utenza è in grado di programmare il proprio viaggio in bus utilizzando una mappa interattiva visualizzata su di una bacheca digitale che consente di navigare sul Web e di utilizzare i mezzi di comunicazione sulla pensilina come interfaccia per i loro dispositivi mobili. Il gruppo spagnolo "Urbiotica" si è invece accostato al problema della città del futuro proponendo sistemi di domotica urbana: tutti progetti prevedono l'utilizzo di una serie di sensori wireless attivi in grado di raccogliere, memorizzare e analizzare i dati in tempo reale. A Barcellona, per esempio, l'utilizzo di sensori attivi ha permesso di ottenere informazioni in tempo reale sul livello di riempimento di tutti i tipi di contenitore dei rifiuti (organico, plastica, vetro, carta...). Il sistema ha consentito la progettazione dinamica dei percorsi sulla base delle informazioni acquisite, inviando messaggi di avviso alla società responsabile alla raccolta ogni qualvolta i contenitori raggiungevano un certo livello di riempimento. Il crescente utilizzo della tecnologia digitale, dei servizi telematici e dei social media nella nostra vita quotidiana, hanno permesso una transizione sostanziale dalle infrastrutture visibili a quelle invisibili delle città: sistemi stradali, complessi edilizi, tecnologie informatiche e comunicazione, insieme alle reti umane, creano un ronzio ambientale di sottofondo sempre più vivo ed emozionante. Spinto da curiosità e interesse verso tematiche sempre più attuali, il gruppo di ricerca del Laboratorio di Immagini del Dipartimento di Pianificazione Territoriale dell'Università della Calabria sta avviando un filone di ricerca sperimentale su metodologie della pianificazione urbana che utilizzano le tecnologie digitali come supporto per operare all'interno del sistema "città". La volontà di rendere sostenibile l'intero processo di pianificazione e di gestione del territorio tramite supporti virtuali è la logica che ha ispirato l'avvio di questa esperienza di ricerca: il laboratorio, attraverso l'attivazione di Pierfrancesco Celani, Valentina Rocca
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metodi propri dell'"informatica urbana", ha attivato lo studio e la progettazione di esperienze urbane in real-time, in contesti in cui la tecnologia digitale può divenire un potente mezzo di controllo urbano.
Figura 3. La fermata dell'autobus adattabile, 2006. Progetto per la città spagnola di Zaragoza. Partners: SENSEable City Lab, Città di Zaragoza, TUZSA. Fonte: http://www.sensiblecitylab.com
3. Problematiche e scenari di sviluppo La città del futuro è un organismo vivo che coglie la sfida di impiegare nuovi processi di gestione e programmazione dei processi per rispondere in maniera definitiva alle numerose problematiche del settore energetico, ambientale e della mobilità: una "Città Intelligente" che ha per obiettivo la gestione efficiente della quantità di dati generati dalla popolazione e dai sistemi infrastrutturali. È possibile avviare uno sviluppo urbano sostenibile, sfruttando la tecnologia per rendere la città della tecnologia un luogo privilegiato di efficienza e risparmio energetico, di rispetto dell’ambiente e di accessibilità. Lo scenario che sembra prospettarsi fa del monitoraggio dei dati la chiave di volta per migliorare l'efficienza in ogni ambito: con la speranza che ci rendano "più ricchi, più intelligenti, più ecologici, più in salute e più felici" (Glaeser 2011), le città del futuro saranno luoghi in cui soluzioni innovative saranno applicate in diversi settori, come la mobilità, l'ambiente, l'informazione e le tecnologie della comunicazione, l'urbanistica, il consumo di energia, l’economia della conoscenza. L'installazione di sensori collegati in rete permetterà alla città di essere monitorata in tempo reale: con strumenti di questo tipo a disposizione, si potrà scegliere non solo la strada più scorrevole per andare al ristorante, ma anche il locale meno affollato. Combinando i dati sul traffico con quelli sul flusso dei mezzi pubblici, si potrà capire immediatamente se la distribuzione dei bus corrisponderà alle densità ed esigenze dell'utenza. Sullo schermo del proprio cellulare, ognuno potrà individuare il taxi più vicino. Oppure intercettare il primo parcheggio disponibile. Visioni fantascientifiche in cui la volontà di creare città da vivere in maniera più sostenibile si scontra con il tema della macchina pensante, capace di emulare il ragionamento umano e di agire in autonomia. Può la città del futuro essere realmente guidata da sistemi intelligenti che, se da un lato rendono l'abitante il protagonista indiscutibile della vita urbana, dall'altro potrebbero scatenare profondi conflitti etico-politico? L'evoluzione delle tecnologie elettroniche non costituisce, infatti, un processo evolutivo univoco e predeterminato, ma dà luogo a possibilità di applicazione di forte rilievo sociale. Le conoscenze specialistiche che rendono possibile la concreta formulazione di scenari alternativi di realtà sono a disposizione di un numero ridotto di operatori, i quali dispongono così di un consistente vantaggio rispetto a tutti gli altri, specialmente nell'orientamento dei processi decisionali. In questa situazione, vi è il rischio concreto Pierfrancesco Celani, Valentina Rocca
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che la partecipazione politica sia sempre più rivolta verso temi di grande evidenza simbolica, ma "laterali" nei confronti dei problemi effettivamente cruciali per il modello sociale (Gallino 1983). Se da un lato il processo di democratizzazione favorito dall'accesso comunitario ai dati potrebbe determinare problemi legati alla privacy, da un lato determinerebbe effetti migliorativi sull'utilizzo e il consumo dello spazio. In primo luogo, il pacchetto di dati estratto dalla città e dalle sue dinamiche permetterebbe ad operatori come architetti, ingegneri, pianificatori, amministratori, di avviare processi di progettazione spaziale e di gestione delle risorse in maniera efficiente e duratura. I ricercatori impegnati nei progetti di tecnologia in real-time sostengono che non vi debba essere alcun timore di creare una società "Grande Fratello": la rilevazione, ad esempio, del traffico telefonico non implica una individuazione del singolo soggetto, cosa che altresì richiederebbe l'impiego di metodologie ben differenti. Può un meccanismo cibernetico generare simultaneamente nel tempo soluzioni differenti alle molteplici problematiche ecologico-ambientali delle nostre città, valutando tutti gli aspetti senza tralasciare nessuna variabile? Una città in cui gli abitanti sono informati su tutto ciò che accade, sarà sicuramente più attenta alle preoccupazioni circa l'adattabilità, l'efficienza e il funzionamento ottimale dei servizi e delle normali attività giornaliere. L'attenzione si sposterà dunque dal tema del progettare al tema della performance in termini di duratura: un sistema che si auto-regola, necessita di auto-adattarsi costantemente alle nuove condizioni, non solo per durare fisicamente nel tempo, quanto per "eseguire" in efficienza tutte le funzioni presenti al suo interno. Sistema evoluto fatto solo apparentemente di spazi e materia, la città dovrà attingere a tutta l’energia locale disponibile, intesa come consapevolezza e partecipazione di tutti gli attori territoriali che, da semplici utilizzatori finali, diverranno i protagonisti del reale cambiamento. Tramite la "realtà aumentata", il successo o il fallimento della città cibernetica dipenderà da quanto il sistema sarà in grado di eseguire e riprodurre gli scenari scaturiti dall'immaginazione di coloro che la progetteranno e la abiteranno.
Bibliografia Libri e articoli Glaeser E. (2011), Triumph of the City: How Our Greatest Invention Makes Us Richer, Smarter, Greener, Healthier, and Happier, Penguin Books, USA. Graham S. (ed., 2004), The Cybercities Reader, Routledge, Londra. Mela A. (1994), La città come sistema di comunicazioni sociali, Franco Angeli Editore, Milano. Mosco V. (2004), The Digital Sublime. Myth, power and cyberspace, Massachussets Institute of Tecnology, USA. Negroponte N. (1996), Being digital, Vintage Editions, USA. Pask G. (1969), "The architectural relevance of cybernetics", in Architectural Design, n. 39, pp. 494 - 496. Pecchinenda G. (2004), Videogiochi e cultura della simulazione. La nascita dell'"homo game", Editori Laterza, Roma. Siti web: Città intelligenti e Smart City: http://www.lastampa.it/2012/03/09/scienza/ambiente/approfondimenti/la-sfidadelle-citta-intelligenti 75yAZZXzcYid643AWSH4mO/pagina.html Website SENSEable city Lab, MIT: http://senseable.mit.edu/ Città e digitale, Genova: http://www.cittadigitale.comune.genova.it/node/1 Website Urbiotica, domotica urbana in Spagna: http://www.urbiotica.com/
Pierfrancesco Celani, Valentina Rocca
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Consumo energetico e caratteristiche della morfologia urbana
Consumo energetico e caratteristiche della morfologia urbana Marialuce Stanganelli Università di Napoli Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio Email: stangane@unina.it Tel. 081.7682311 Marco Soravia Provincia di Napoli Email: msoravia@provincia.napoli.it
Abstract Il paper indaga sul fenomeno delle Isole di Calore Urbane analizzando in particolare l'influenza delle principali caratteristiche della morfologia urbana: forma dei lotti, altezza media degli edifici, densità edilizia, rapporto di copertura e percentuale di aree verdi. Lo studio è stato svolto a partire dall'analisi di casi reali relativi al territorio della Provincia di Napoli. L'identificazione delle aree soggette a isole di calore è stata effettuata attraverso la realizzazione di una carta termica (Termografia) della provincia di Napoli ottenuta elaborando immagini satellitari iperspettrali con tecniche di telerilevamento. Tale carta ha permesso di selezionare alcune aree urbane campione al cui interno sono stati rilevati i principali parametri urbanistici, attraverso tecniche di telerilevamento o di analisi spaziale. Per ciascun parametro è stata analizzata la correlazione "temperatura parametro urbanistico". Il principale risultato consiste nella messa a punto di un abaco che consente di stimare le possibili variazioni di temperatura attese all'incremento o decremento di ciascun parametro urbanistico.
Le isole di calore urbane L'“Isola urbana di calore” è un'anomalia termica che interessa alcuni ambiti edificati che manifestano temperature molto più elevate rispetto a quelle delle aree rurali circostanti. L’intensità dell’isola di calore può essere quantificata come la massima differenza tra la temperatura media dell’aria urbana e quella dell’ambiente rurale circostante. Rispetto a quest'ultimo, l'incremento di temperatura è più evidente di notte che di giorno; di giorno la differenza di temperatura tra area urbana e suburbana può variare tra +1°C e +3°C mentre di notte può raggiungere valori che vanno da +7 a +12°C (Goward, 2009). Tale fenomeno si manifesta in particolar modo nelle grandi metropoli che impiegano in modo estensivo materiali da costruzione che trattengono il calore. La diffusa cementificazione, la prevalenza delle superfici asfaltate sulle aree verdi, l'uso di materiali edilizi con bassa capacità di disperdere il calore, sono tra le principali cause delle isole di calore urbane. A queste cause si aggiungono altri fattori dovuti alla localizzazione dell'area urbana (morfologia del luogo, caratteristiche del microclima, presenza di grandi masse di acqua) nonché alle attività antropiche svolte sul territorio (emissioni degli autoveicoli, degli impianti industriali, dei sistemi di condizionamento ad uso domestico). In estate, la presenza di questo fenomeno determina numerosi problemi, che vanno dai picchi di domanda di consumo energetico, ai costi di climatizzazione, all'inquinamento e all'emissione di gas serra, a problemi di salute che interessano soprattutto le fasce più deboli della popolazione. Il fenomeno diviene pericoloso nel corso delle ormai sempre più frequenti ondate di calore estivo che possono provocare in ambito metropolitano black out energetici e un notevole incremento della mortalità delle tra anziani e ammalati. Gli studi condotti sinora si sono principalmente soffermati sulle modalità per rilevare le temperature all'interno delle isole di calore e sulle caratteristiche termiche dei materiali edilizi. Il paper in oggetto analizza come, a Stanganelli, Soravia
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parità di materiali utilizzati, anche la struttura urbana possa contribuire in larga percentuale al verificarsi di questo fenomeno.
La metodologia di analisi L'incidenza della forma urbana nella determinazione delle isole di calore è ampiamente riconosciuta a livello scientifico, sebbene poco studiata in forma parametrica (Zhang, 2009). Lo studio proposto analizza nello specifico la correlazione tra alcuni indicatori della forma urbana e le temperature raggiunte all'interno delle isole di calore urbano e giunge ad individuare l'incidenza dei singoli indicatori sul fenomeno. Il campo di applicazione è quello della provincia di Napoli. Lo studio è stato articolato in quattro fasi: 1. Raccolta ed elaborazione dei dati telerilevati e realizzazione della termografia dell'area di studio; 2. Individuazione di aree urbane campione soggette al fenomeno dell'Isola di calore urbano; 3. Individuazione delle principali caratteristiche della struttura urbana nelle aree campione: costruzione della carta dell'indice di vegetazione, e individuazione degli indicatori; 4. Confronto tra le aree campione ed analisi delle correlazioni tra caratteristiche della struttura urbana e variazioni di temperatura. Il primo step affrontato è stato quello relativo all'individuazione di aree soggette al fenomeno dell'isola di calore urbana. Vi sono due tipi di isola di calore: quella superficiale e quella atmosferica. Le isole di calore superficiali si riferiscono alle temperature delle superfici esposte alle radiazioni solari che sono più calde dell'aria circostante. In estate, la temperatura superficiale può raggiungere anche i 50° C durante il giorno, la differenza con la temperatura dell'aria è minore durante la notte. Le isole di calore urbane atmosferiche si riferiscono invece alla presenza di aria più calda nelle aree cittadine se comparata con l'aria delle aree non urbanizzate circostanti, questo fenomeno è più debole nel corso del giorno e diviene più marcato durante la notte a causa del lento rilascio di calore da parte delle superfici delle aree urbane. Per individuare le isole di calore urbane gli esperti usano metodi sia diretti che indiretti (Goward, 2009; Zhang, 2009). I metodi diretti si avvalgono delle stazioni meteorologiche fisse e dei rilevatori mobili delle temperature per ottenere una rete di punti a temperatura nota nell'arco della giornata. Nel presente lavoro è utilizzato un metodo di individuazione indiretta, basato sul telerilevamento attraverso cui è possibile individuare le isole di calore urbano superficiali. Tecniche di telerilevamento sono state utilizzate anche per l'individuazione del verde all’interno delle aree urbane. Gli alberi e la vegetazione in generale danno un considerevole apporto nell'attenuazione delle grandi masse di calore tramite il processo di evotraspirazione attraverso cui le piante rilasciano acqua nell'aria circostante, che evaporando sottrae calore all'ambiente. Inoltre, la restante aliquota di radiazione solare assorbita dalle piante e non utilizzata per evapotraspirazione e fotosintesi, viene riflessa e quindi non viene nè assorbita nè successivamente riemessa. Di conseguenza, in presenza di una superficie vegetata si registrano valori di temperatura più bassi rispetto alle aree circostanti che ne sono prive. La vegetazione é facilmente riconoscibile attraverso osservazioni satellitari poiché il comportamento della stessa rispetto alla radiazione solare in tutto lo spettro elettromagnetico produce una specifica firma spettrale caratterizzata da uno caratteristico andamento del coefficiente di riflettanza. La realizzazione della termografia ha consentito di individuare alcune aree campione in cui il fenomeno dell'innalzamento della temperatura rispetto all'ambiente circostante era particolarmente evidente. Le aree prescelte sono tutte uguali in termini di dimensioni (1 km2), simili nelle destinazioni d'uso prevalente e nei materiali costruttivi utilizzati ma presentano diversi valori di temperatura media e diverse caratteristiche della geometria urbana, in tal modo si è cercato di ridurre il numero di parametri che possono influenzare l’effetto isola di calore urbano ai soli indicatori elaborati. Gli indicatori utilizzati in ogni area di studio sono: Indice di impermeabilità delle superfici non edificate: pari al rapporto tra gli spazi aperti non permeabili (strade, cortili, parcheggi ossia di superfici asfaltate e pavimentate) e la superficie totale non edificata dell'area; Percentuale di aree verdi in rapporto alla superficie totale dell'area; Rapporto di copertura territoriale pari al rapporto tra la superficie coperta totale e la superficie territoriale; Localizzazione geografica: indica la posizione geografica di ogni area campione in relazione alle zone limitrofe, cioè se si tratta di un’area interna, di un’area costiera, di un area collinare, ecc.; Densità edilizia territoriale: rappresenta il rapporto tra la somma dei volumi dei fabbricati, espressa in metri cubi e la superficie totale dell'area espressa in metri quadri; Quota altimetrica media sul livello del mare: indica l’altitudine media dell'area campione rispetto al livello del mare, misurata in metri sul livello del mare; Altezza media dell’edificato: espressa in metri, fornisce la misura dell’altezza media di tutti gli edifici presenti all’interno di ogni area di studio. 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Il confronto tra i valori che ciascun indicatore assume nelle diverse aree e la temperatura media rilevata attraverso la termografia ha consentito l’analisi delle correlazioni tra morfologia urbana e incrementi di temperatura.
Termografia e carta della vegetazione I dati utilizzati sono stati acquisiti dal sensore aviotrasportato MIVIS (Multispectral Infrared and Visible Imaging Spectrometer), nell’ambito del Progetto di collaborazione tra l'Istituto del CNR LARA e il Sistema Informativo Territoriale della Provincia di Napoli. Il MIVIS é un sensore che opera con un’elevata risoluzione spettrale e spaziale che registra la radiazione proveniente dalla superficie terrestre. L’elevata risoluzione spettrale deriva dall’elevato numero di canali di acquisizione: infatti la radiazione proveniente dalla superficie terrestre viene suddivisa in 102 canali, ciascuno con un piccolo intervallo della lunghezza d’onda. L’elevata risoluzione spaziale delle immagini ottenute dal sensore MIVIS, invece, permette di avere un maggior dettaglio nel numero e nelle caratteristiche geometriche degli elementi che compongono le immagini, con una dimensione del pixel di 3x3m che consente un’analisi più precisa e dettagliata dei fenomeni. L’elaborazione dei dati é stata effettuata con il software ENVI 4.7 (Environment for Visualizing Image della “Research System Inc”), che permette la visualizzazione e l’analisi di dati in formati differenti. La realizzazione della termografia ha interessato l’intera provincia di Napoli che consta di 92 comuni. Il territorio oggetto d’analisi, data la sua dimensione, non è stato rilevato in un’unica levata, ma in un periodo che va dal 28 giugno 2005 al 27 luglio 2005. Ciò ha dato luogo ad evidenti differenze di temperature tra gruppi di strisciate realizzate in giornate diverse, di ciò si è tenuto conto nella selezione delle aree campione, selezionando aree che appartengono ad una singola levata. L’intera copertura aerea è composta da 116 strisciate necessarie a coprire i 1170 km2 della provincia di Napoli. Da tali dati si é ottenuta una termografia, ovvero un’immagine bidimensionale in grado di rappresentare la temperatura attraverso la misurazione dell’intensità della radiazione infrarossa emessa dai corpi in esame. La termografia è stata realizzata analizzando il canale 93 di ogni strisciata il quale fornisce valori di temperatura che, in voli a quota non elevata (quota di volo media di 1500 metri), é approssimabile alla temperatura misurata al suolo (Mauro e Di Lullo, 2005). Il canale 93 di ogni strisciata, comprende l’intervallo di lunghezza d’onda che va da 8,2 μm a 8,6 μm non visibile all’occhio umano perché appartenente all’infrarosso termico. L’importanza del canale 93 risiede non solo nel fatto che la banda di acquisizione dell’infrarosso termico rileva la temperatura dei corpi ma anche perché in questo intervallo l’energia elettromagnetica rilevata é solo la radianza emessa dai corpi. Infatti, la quantità di energia emessa per unità di superficie e per unità di intervallo di lunghezza d’onda non risente della radiazione solare riflessa. Inoltre l’intervallo 8,2 ÷ 8,6 μm del canale 93 ricade nella finestra atmosferica che va da 8 μm a 14 μm dove l’interposizione dell’atmosfera tra la superficie terrestre e il satellite é quasi del tutto insignificante. In questo intervallo le particelle componenti l’atmosfera si lasciano attraversare dalla radiazione elettromagnetica e quella che giunge al sensore é quindi proprio la radianza emessa dai corpi terrestri senza l’interferenza dell’atmosfera che si manifesta attraverso i fenomeni di assorbimento o diffusione. Un’operazione propedeutica all’analisi di un territorio vasto come quello della provincia di Napoli è stata la mosaicatura in un’unica immagine delle numerose strisciate che compongono il rilievo MIVIS. L’immagine mosaicata ottenuta, inquadrata nel sistema di riferimento Gauss-Boaga Roma40 (vigente all’epoca dell’esecuzione del rilievo) è stata poi convertita nell’attuale sistema di riferimento UTM-WGS 84. La rappresentazione dell'immagine mosaicata in classi di temperatura garantisce un’immediata lettura dei valori presenti, evidenziando valori elevatissimi di alcuni elementi, oltre i 50 ºC, che stanno a testimoniare delle anomalie termiche che sono alla base dello sviluppo del fenomeno Isola di Calore Urbana. Grazie all’elevata risoluzione geometrica è possibile individuare i singoli manufatti che raggiungono tali picchi anomali. L’elevata risoluzione geometrica, quindi, gioca un ruolo fondamentale per un'analisi di maggior dettaglio che permette di ricavare le proprietà termiche dei diversi elementi naturali o antropici presenti nella termografia (fig.1) (Akbari e Konopaki, 1998). Dal confronto in sovrapposizione tra ortofoto digitale e la termografia (fig.1) risulta evidente il ruolo svolto dai materiali edilizi: nell'ambito della stessa area troviamo superfici che superano i 50°C accanto a superfici al di sotto dei 35°C. Raggiungono le temperature maggiori i tetti con manto bituminoso di colore nero e i grandi spazi asfaltati (parcheggi, piazze). Per quanto riguarda la carta della vegetazione, si è rilevato che la maggior parte degli indici di vegetazione esistenti in letteratura sono basati sulle differenze significative di riflettanza all’interno dello spettro elettromagnetico riscontrabili nella firma spettrale e si basano sull’analisi del rapporto tra determinate bande dove vi sono diversi comportamenti di riflessione e assorbimento (Bresciani et al., 2009).
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Figura 1. La prima area campione: a) termografia; b) ortofoto; c) mappa NDVI; d) mappa degli spazi aperti Un indice molto utilizzato é l’indice NDVI (Normalized Difference Vegetation Index) che é basato sulla differenza normalizzata tra i BV (brightness value) dei pixel della banda del rosso ( ROSSO ) (0,6 – 0,7 μm ) e quelli della banda dell’infrarosso vicino ( IR ) ( 0,7 – 0,8 μm ): NDVI = ( IR – ROSSO ) / ( IR + ROSSO ) Valori tipici dell’NDVI, che risulta limitato nell’intervallo (-1 + 1), sono: 0,2 ÷ 0,6 per la vegetazione; -0,1 ÷ 0,1 per suoli e rocce; -0,2 per l’acqua. La carta dell’indice di vegetazione l’NDVI é stata realizzata con gli stessi dati del sensore MIVIS utilizzati per la realizzazione della termografia. Di ogni strisciata sono stati considerati due canali di acquisizione necessari per calcolare l’NDVI: il Canale 13 per la banda del rosso con un intervallo di lunghezza d’onda che va da 0,673 μm a 0,693 μm, e il Canale 20 per la banda dell’infrarosso vicino che va da 0,813 μm a 0,833 μm. Per ottenere una carta tematica che mostri la vegetazione è stato necessario sostituire i valori decimali dell’NDVI con valori interi; effettuando un'operazione di stretching lineare che consiste nel trasformare l’immagine originaria da 32bit di risoluzione colore a 8bit dove i BV dei pixel assumono valori che vanno da 0 a 255 ( cioé si passa da 232 a 28 gradazioni di colore). Dalla carta emerge tutta la copertura vegetale del territorio provinciale di Napoli. L’elevata risoluzione geometrica permette di effettuare un’analisi molto dettagliata, individuando anche il singolo albero che presenta comunque una significativa influenza sul valore di temperatura poiché interagisce con la radiazione solare. Infatti, in presenza di vegetazione la temperatura registrata é sensibilmente più bassa, la vegetazione urbana ha un effetto sostanziale sulla riduzione della temperatura urbana e il suo incremento va considerato come una delle misure più efficaci per contrastare il fenomeno dell'Isola di Calore Urbana. Stanganelli, Soravia
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La struttura urbana delle aree campione Dalla cartografia ufficiale della Provincia di Napoli sono stati ricavati i valori dei principali indicatori della struttura urbana per ciascuna area, riportati in tabella I. Per il calcolo degli indicatori è stato utilizzato lo shapefile dell'edificato riportante in tabella anche i valori delle altezze degli edifici. Attraverso una operazione di "erase" tra area di studio ed edificato, si è ricavata la mappa degli spazi aperti (fig.1), dal cui computo ai fini del calcolo dell'indice delle aree non permeabili, sono stati successivamente sottratti gli spazi verdi. Per ciascun indicatore si è studiata la correlazione con la temperatura media dell'area ricavata dalla distribuzione gaussiana dei valori di temperatura presente all’interno della termografia ed espressa in C°. Tra rapporto di copertura e temperatura media esiste una correlazione diretta: nelle aree interne, un incremento di circa 0,26 del rapporto di copertura territoriale, determina un gradiente di temperatura di circa 4,4 ºC. Si passa infatti da un rapporto di copertura territoriale pari a 0,18 e una temperatura di 38,1 ºC, rappresentativi dell'area 3, a valori pari rispettivamente a 0,44 e 42,5 ºC delle stesse grandezze.
Area campione
Rapporto di copertura
% di aree verdi
Indice aree non-permeabili
Temperatura media C°
Localizzazione
Altezza media degli edifici (m)
Densità edilizia (m3/m2)
Quota altimetrica media
Tabella I. Valori degli indicatori delle aree campione
1 2 3 4 5 6 7 8
0.441 0.25 0.18 0.425 0.43 0,192 0,5 0,11
13.05 31.55 51.94 18.51 15 49,98 2,35 73,83
42.88 43.4 30.53 39 41,61 30,81 47,806 14,92
42.88 39 3801 40.48 36 35,5 39,75 34,5
Inland Plain Inland Plain Inland Plain Inland Plain Coastal Area Coastal Area Coastal Area Coastal Area
7,49 5.01 4.92 5.34 12.35 6,94 21,65 6,87
4,17 2.016 1.23 2.67 6.45 1,71 12,25 1,14
97 111 112 102 49 62 19 86
Nelle aree costiere in presenza di rapporti di copertura analoghi si hanno temperature inferiori da 3° fino a 6°C a conferma dell'effetto benefico che il mare ha sulla mitigazione delle temperature. La “Percentuale di aree verdi” incide in maniera positiva sulla diminuzione della temperatura. Nelle aree costiere il valore della temperatura passa da 39,75 ºC a 34,5 ºC in corrispondenza rispettivamente di percentuali di aree verdi del 2,35% e 73,83 %. La correlazione inversa nelle aree costiere non è di tipo lineare in quanto sulla temperatura incide notevolmente anche l'esposizione rispetto al mare. Nelle aree interne, invece, l’andamento decrescente é pressoché lineare: qui la riduzione di temperatura é influenzata solo dalla superficie vegetale. Ad una temperatura media di 42,5 ºC corrisponde una superficie coperta dalla vegetazione pari a 13,05%, mentre ad una temperatura di 38,1 ºC corrisponde un 51,98% di superficie vegetata. Al crescere della superficie coperta vegetata di circa al 40% corrisponde una diminuzione della temperatura di circa 4 unità (fig.2).
a)
b)
Figura 2. Grafico dell’andamento della temperatura delle aree campione interne in funzione: a) della superficie coperta da vegetazione; b) della densità edilizia territoriale Stanganelli, Soravia
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Consumo energetico e caratteristiche della morfologia urbana
Per l'altezza media dell'edificato, si nota un andamento della temperatura crescente al crescere indicatore. Infatti quanto più alti risultano essere gli edifici, tanto più difficile risulta disperdere il calore nell’atmosfera, poiché questo rimane a lungo intrappolato nei contesti edilizi alimentando l’effetto canyon. Nelle aree interne, si passa da una temperatura di 38,1ºC con un’altezza di 4,92m ad una temperatura di 42,5ºC con un’altezza di 7,49m. Nelle aree costiere si passa da una temperatura di 34,5ºC ad una di 39,75ºC cui corrispondono valori dell’altezza media dell’edificato rispettivamente pari a 6,87m e 21,65m. Anche per tale indicatore l’andamento non é approssimabile a quello lineare e facendo un confronto tra aree interne e costiere, nelle prime la temperatura di 39ºC é raggiunta con un’altezza pari a 5,01m, mentre in area costiera una tale temperatura é raggiunta con un’altezza nettamente superiore pari a circa 21m. Ciò dimostra, ancora una volta, l’azione dissipativa del calore da parte del mare. L’indicatore “densità edilizia territoriale” è un indicatore di incrocio che lega l'altezza alla superficie coperta. Naturalmente, come i due indicatori primari da cui deriva, mostra un andamento crescente al crescere della temperatura: pressoché lineare per le aree interne (fig.1), spezzato per le aree costiere. Analogo andamento si riscontra per l'indice delle aree non-permeabili.
Conclusioni Il lavoro è ancora in progress e procede con l’incremento delle aree campione utile a validare i risultati conseguiti. Quanto sinora esposto ha un valore metodologico e di indirizzo. I primi risultati evidenziano, per le aree interne una forte correlazione positiva tra valori della temperatura e caratteristiche della morfologia urbana per quanto riguarda gli indicatori "rapporto di copertura", "indice delle aree non-permeabili", "altezza media degli edifici", "densità edilizia". Esiste invece una forte correlazione inversa tra temperatura e percentuale di aree verdi. Tali correlazioni sono confermate anche nelle aree costiere dove però acquistano maggiore peso le caratteristiche di esposizione ai venti e agli effetti di mitigazione del mare. Il fattore di esposizione fa sì che le correlazioni individuate perdano in parte quell'andamento pressoché lineare che caratterizza le aree interne meno esposte all'effetto delle brezze costiere.
Figura 3. Abaco dell’incremento della temperatura di un’area campione interna in funzione dell’incremento unitario degli indici. La definizione delle relazioni che evidenziano l’incremento o decremento di temperatura ∆T(u) correlato ad un incremento unitario degli indicatori esaminati ∆..u, può trovare giustificazione nella realizzazione di un abaco che consente di stimare le variazioni di temperatura attese all’incremento di ciascun indicatore. A parità di condizioni morfologiche, ovvero per un'area interna di pianura con altezze sul livello del mare intorno ai 100 metri, e materiali utilizzati omogenei, tale abaco, implementato e validato con gli ulteriori risultati della ricerca, può essere utile per stimare gli incrementi di temperatura desumibili da alcuni parametri di progettazione urbanistica. Nell’immediato, gli interventi principali per ridurre sensibilmente il fenomeno delle Stanganelli, Soravia
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Consumo energetico e caratteristiche della morfologia urbana
Isole di Calore Urbane risultano essere: l’aumento delle aree verdi e alcuni interventi volti ad utilizzare materiali con un maggiore grado di riflettanza per il raffreddamento delle superfici più esposte quali tetti e pavimentazioni urbane.
Bibliografia Articoli Akbari H., Konopaki S. (1998), “The impact of reflectivity and emissivity of roofs building cooling and heating energy use”, Thermal performance of the Exterior Envelopes of Building , VII Conference, Miami. Bresciani M., Stroppiania D., Fila G., Montagna M., Giardino C. (2009), “Monitoring reed vegetation in environmentally sensitive areas in Italy”, Rivista italiana di Telerilevamento, vol.41 Mauro G., Di Lullo A. (2005), “L’utilizzo dei dati iperspettrali MIVIS per un’analisi geografico – territoriale: la Media Valle del Tagliamento come caso studio”, Bollettino dell’Associazione Italiana di Cartografia, n.123, pp. 124-125. Goward S. (2009), “The thermal behavior of urban landscapes and urban heat island”, Physical Geography, vol.2. Zhang H. (2009), “Remote sensing evaluation of UHI and spatial pattern of the Shanghai metropolitan area, China”, Ecological Complexity.
Riconoscimenti I paragrafi 2 e 3 sono stati redatti da M. Soravia; i paragrafi 1, 4 e 5 sono stati redatti da M. Stanganelli.
Stanganelli, Soravia
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Città lievi, nervature di foglia
Città lievi, nervature di foglia Concetta Fallanca De Blasio Università Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento di Architettura e Analisi della Città Mediterranea Email: cfallanca@unirc.it Tel. 0965.3222201/0965.3222231
Abstract Il contributo presenta i presupposti e i percorsi per lo sviluppo della ricerca CityMob 2011-2013: La valorizzazione del patrimonio urbanistico attraverso modelli innovativi di mobilità urbana sostenibile, Dipartimento Cultura, Istruzione, Alta Formazione, Ricerca della Regione Calabria. Le specifiche tematiche affrontate si rivolgono all’individuazione di modelli innovativi di mobilità sostenibile, idonei a incentivare l’uso del trasporto pubblico locale per favorire ampie ricadute nei contesti urbani in termini di maggiore qualità ambientale e degli spazi. La ricerca vuole definire e sperimentare a scala urbana scenari di nuovo assetto e di gestione finalizzati ad una più efficace fruizione ed utilizzazione dei principali magneti urbani ipotizzando i possibili diversi usi futuri delle aree di connessione e degli spazi di relazione, attraverso una progettualità leggera e sostenibile nella logica dell’ottimizzazione delle reti già esistenti assumendo le polarità come punti di centralità e di diffusione principale.
Città lievi, nervatura di foglia Gli straordinari progressi tecnologici che hanno introdotto opportunità inimmaginabili solo qualche decennio fa nei costumi dell’umanità, stentano a sedimentare un “lascito” autenticamente innovativo nelle realtà urbane così come sperimentazioni di portata epocale per le energie investite non vengono debitamente assunte come esperienze-guida per la soluzione di questioni annose che riguardano le città tutte. Grandi energie, patrimoni di idee, preziose acquisizioni che in sostanza non riverberano reali avanzamenti nella società e che comunque, anche nei casi in cui il trasferimento tecnologico dalla ricerca alla realtà delle cose si verifica, risulta limitata e raramente sistematica la diffusione dei percorsi, dei metodi, degli esiti. Per correggere il tiro, il programma Orizzonte 2020 (2014-20) raggruppa i finanziamenti dell’UE per la ricerca e l’innovazione in un unico quadro di riferimento appositamente al fine di favorire “le possibilità di tradurre il progresso scientifico in prodotti e servizi innovativi” destinati a migliorare la vita di tutti “con la promessa di una società più intelligente, sostenibile, inclusiva”. I geni della città ecologica intelligente sono sparsi tra vecchio e nuovo continente, in tutte le città che hanno saputo affrontare questioni urbane in profondità conseguendo risultati avanzati e che hanno saputo affinare l’ascolto verso le diverse esperienze urbane, cogliendone l’essenza e contestualizzandone a proprio favore la sostanza. La regia degli atti, la governance complessiva è il coordinamento che crea la differenza per la vita della città, che garantisce il fluire della quotidianità, lo svolgimento delle occasioni urbane settimanali, il godimento degli eventi che ne rafforzano l’identità culturale. La percezione di progresso, di benessere, di qualità dei luoghi è legata ai percorsi di miglioramento più che alle effettive condizioni del momento. In tal senso significativa è la definizione di città sana del programma internazionale “Healthy cities” dell’Oms che parte dal principio di base che “la pianificazione di una città non può prescindere dalla salute dei suoi abitanti” e mette a disposizione della rete delle città sane le buone pratiche sulla creazione di ambienti urbani salubri con un rinnovato coinvolgimento di progettisti e architetti 1 : “la Città Sana non è quella che ha 1
Il quadro di riferimento è quello tracciato dalla Carta di Ottawa del 1986, in cui l’OMS ha definito i prerequisiti fondamentali (pace, l’abitazione, l’istruzione, il cibo, un reddito, un ecosistema stabile, le risorse sostenibili, la giustizia sociale e l'equità) e le correlazioni con gli stili di vita e le prestazioni della città.
Concetta Fallanca De Blasio
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Città lievi, nervature di foglia
raggiunto un particolare livello di salute, ma quella che sceglie con energia di migliorarla” (…) “che costantemente crea e migliora i contesti fisici e sociali ampliando le risorse della comunità, permettendo ai cittadini di aiutarsi a migliorare tutti gli aspetti della vita ed a sviluppare al massimo il proprio potenziale.” Le città ecologiche intelligenti puntano sulle reti, sul software, sulla valorizzazione dell’esistente, sulla prevalenza dell’interesse collettivo rispetto all’individuale, su tutte le iniziative a costo zero o comunque a basso investimento che innalzano l’offerta di servizi materiali e immateriali della città. Investono sull’innovazione tecnologica per utilizzare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e restituire al cittadino il tempo inutilmente speso per tutto ciò che può essere risolto telematicamente e offrire sempre nuovi servizi mettendo a disposizione il patrimonio di conoscenza accumulato collegialmente con l’impiego di fondi pubblici. Le innovazioni legati al digitale, alla banda larga e alla banda larghissima, alle oasi telematiche di copertura Wi-Fi, alle informazioni disponibili in tempo reale, stanno già delineando un futuro della città easy, che estende alla collettività urbana, ai sistemi urbani le potenzialità della fascia più evoluta degli utenti della città. Un modo nuovo di concepire la forma e le funzioni urbane sempre più legate a nuove regole di relazione tra sistema pubblico e privato e sempre più orientato verso la pienezza del tempo di vita con la valorizzazione del potenziale educativo degli spazi urbani, a partire dalle Teche (biblioteche, pinacoteche, museoteche, mediateche, cartoteche, ludoteche) quelle aule didattiche decentrate che integrate dagli ecosistemi urbani naturali che costituiscono la rete ecologica urbana, costituiscono gli alfabeti culturali di una educazione continua e permanente (Frabboni, 2006). Prestazioni avanzate dei sistemi urbani presuppongono un discreto funzionamento del respiro vitale, essenziale della città, quelle appunto che innervano i flussi essenziali che ne garantiscono i cicli e le connessioni.
Il valore delle nervature, sistemi a rete e prestazioni capillari Il sistema linfatico delle città è costituito dall’insieme delle reti che la innervano e che servono puntualmente ogni sua parte. Nervature quindi come capillarità dei flussi che una città intelligente deve impegnarsi ad esprimere al meglio a partire dalle più avanzate tecnologie disponibili in reti infrastrutturali e, in attesa di interventi sistematici e innovativi, con sistemi organizzativi ottimizzati dalle nuove opportunità tecnologiche. Un rapido cenno va fatto per i grandi sistemi a rete che hanno un ruolo fondamentale nella forma e nella struttura urbana della città che si evolve. Il primo grande sistema a rete che direttamente determina il modo di essere di una città, la quantità e qualità delle aree verdi e della frequenza del rapporto tra luoghi pubblici e presenza di acqua, è appunto il sistema idrico la cui efficienza nobilita lo spazio insediato. Siamo al volgere del Decennio dell’Acqua (2005-2015) che ha delineato il tema “L’acqua come elemento di sviluppo sostenibile” dell’Expo che ha portato alla sigla della Carta di Saragozza per la difesa della preziosa risorsa e che ha sorpreso con l’allestimento del Digital Water Pavilion, realizzato esclusivamente di acqua governata con logiche digitali concepite dal Massachusetts Institute of Technology (MIT), e ideate “inizialmente come installazione urbana” . Le pareti a cascata “che occupano un’area di 400 metri quadri” mediante l’impiego di sensori che interrompono il getto in punti definiti costituiscono “una sorta di schermo nel quale i pixel che disegnano le immagini non sono luminosi, ma fatti di aria e acqua. L'intera superficie diventa quindi un display digitale che scorre continuamente verso il basso". Le sperimentazioni di Valdespartera 2 legate al rapporto tra acqua e spazio urbano hanno aggiunto un ulteriore tassello alle esperienze di Portland, che nel 2007 ha messo in pratica un progetto per la gestione sostenibile delle acque piovane secondo il concetto generale del water-management innovativo e all’impegno della città di Filadelfia, teso a rispettare le misure del Clean Water Act, ma anche a porre rimedio ai dilavamenti e ai frequenti allagamenti, volto alla trasformazione di un terzo delle superfici impermeabili in infrastrutture verdi in grado di garantire il deflusso per infiltrazione e il riutilizzo delle acque piovane. In particolare a Portland si è ottenuto quello che viene invocato da decenni per le città italiane riuscendo a effettuare una sorta di “raccolta differenziata delle acque” riducendo sensibilmente le acque meteoriche di dilavamento e la parte di esse destinata a confluire nella rete fognaria. Un metodo che non ha richiesto costose infrastrutture e che utilizza ogni rivolo di raccolta attraverso le superfici permeabili di fasce verdi lungo le strade, giardini filtranti, tetti giardino, realizzate per assorbire, filtrare, fitodepurare e eventualmente accumulare l’acqua piovana. Il concorso partecipato dei privati viene garantito dalla concessione di incentivi e dalla consulenza tecnica progettuale gratuita per la realizzazione di giardini nelle aree di pertinenza private. Vengono gestiti 140 milioni di litri di acqua piovana all’anno, utilizzati per usi domestici e di giardinaggio, ma soprattutto si sono creati nuove superfici verdi, in spazi pubblici e privati che rendono più sana e accogliente la città delle quali le più preziose sono la rete formata dalle green streets che costituisce una vera e propria rete ecologica urbana. Nelle cittadine italiane si avviano le sperimentazioni in tal senso, a partire da un approccio “regolativo”, così città come Cerete, in provincia di Bergamo, dispongono di regolamenti per la gestione sostenibile e il recupero 2
L’esperienza di Valdespartera di Saragoza, come quella di Hammarby a sud di Stoccolma ha un respiro ampio, riguarda la bonifica di una vasta area industriale e i temi dell’autosufficienza energetica con la produzione di energia da fonti rinnovabili di tipo fotovoltaico, solare termico ma anche di microeolico e geotermici.
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delle acqua ad uso civile da applicare per le nuove costruzioni e per le ristrutturazioni che rendono obbligatoria la realizzazione di sistemi di raccolta per il riuso delle acque meteoriche. Il secondo grande sistema a rete che risulta efficiente solo se innerva capillarmente la città è il sistema di raccolta dei rifiuti solidi urbani, assumendo come principio di base la considerazione di come l’utilizzo dei cassonetti non risulti compatibile con il decoro urbano e le esigenze di salubrità di alcuna area urbana, che sia pieno centro storico o estrema periferia. L’efficienza percepita dal cittadino servito può essere simile nei sistemi a costo minimo di investimento infrastrutturale, come per la raccolta differenziata porta a porta, purché puntuale e capillare, e nei sistemi a tecnologia avanzata e ad alto costo di investimento iniziale quale le reti pneumatiche a centralina aspirante interamente interrate, sistemi più adatti quindi alla realizzazione di nuovi quartieri ma anche
Figura 1. Metrò dell’Arte, Napoli 2012 per la città esistente nel caso di una opportunità di ristrutturazione complessiva dei sottoservizi. Certo non può dirsi città lieve, nervatura di foglia e tantomeno bio-logic city, città ecologica intelligente quella che non sia in grado di governare con determinazione l’efficienza del funzionamento di raccolta dei propri rifiuti e che non si predisponga ad anticipare possibili miglioramenti per il futuro. Le società più responsabili sono orientate alla sempre minore produzione di rifiuti, in particolare della parte più inquinante del secco non riciclabile -anche modificando le abitudini di acquisto, privilegiando l’essenzialità delle confezioni e i vuoti a rendere- fino alla rigorosa selezione differenziata e la piena valorizzazione del riciclo. L’investimento incrementale di città come Stoccolma, Londra, Barcellona verso l’efficienza dello smaltimento dei rifiuti non si riproduce in pochi anni e a costi contenuti, il riferimento ad esse può valere per nuove sperimentazioni, come sta avvenendo nel campo della raccolta e trasporto pneumatico nel nuovo quartiere di Varesine-Porta Nuova a Milano, all’edificio dell’Euro Sky di Roma e per la nuova Bagnoli di Napoli. Per quanto riguarda le reti energetiche, le Smart Grids potrebbero permettere l’impiego ottimale delle infrastrutture esistenti con l’ausilio di nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione finalizzate a innalzare l’offerta di fonti di energia rinnovabili, predisponendo le condizioni per una potenziata offerta di servizi rivolti a nuovi obiettivi di sostenibilità. Infine un cenno alle nervature della mobilità pubblica la cui efficienza in termini di estensione, frequenza, capillarità, amplifica ogni valore della città enfatizzando l’attrattività dei magneti urbani e integrando le connessioni con la rete ecologica urbana. Il sistema di trasporto intelligente invocato dall’Unione europea utilizza le tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni per migliorare la fluidità gli spostamenti, innalzare Concetta Fallanca De Blasio
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la sicurezza e ridurre l’inquinamento. Le innovazioni tecnologiche possono garantire informazioni sullo stato della circolazione in tempo reale, sugli elementi di scambio intermodale, sulla sicurezza dei percorsi, sui tempi di attesa e sui tempi più favorevoli di percorrenza della città. Il sistema della rete della mobilità pubblica potrebbe tendere ad obiettivi ambiziosi come quelli conseguiti con il Metrò dell’Arte della linea 1 della metropolitana di Napoli, con il contributo di illustri architetti e artisti che hanno creato ambienti di incontro con l’arte contemporanea, luminosi, coloratissimi e estremamente gradevoli (Figure 1-2). Pura immaterialità nell’innovazione della mobilità sostanzia il sistema Jungo che considera “il traffico un flusso continuo di sedili vuoti che viaggiano in ogni direzione” e con un sistema autogestito di riconoscimento garantito di utenti che possono alternativamente ospitare nel proprio veicolo altrui passeggeri o esserne ospiti, consentono spostamenti a “pieno carico” o comunque senza troppi sedili vuoti.
Figura 2. La stazione Università, di Karim Rashid e Alessandro Mendino, 2012
City Mob-Modelli innovativi di mobilità per la messa in valore del patrimonio urbano Un breve paragrafo conclusivo per presentare i presupposti e i percorsi in corso d’opera per lo sviluppo nell’ambito degli interessi del Dipartimento di Architettura e Analisi della città Mediterranea dell’Università degli Studi di Reggio Calabria, della ricerca CityMob per il biennio 2011-2013: La valorizzazione del patrimonio urbanistico attraverso modelli innovativi di mobilità urbana sostenibile, coordinata dall’autore del presente scritto e selezionata, approvata e finanziata dal Dipartimento Cultura, Istruzione, Alta Formazione, Ricerca della Regione Calabria. Le specifiche tematiche che la ricerca affronta sono relative all’individuazione di modelli innovativi di mobilità sostenibile, identificabili nella più ampia definizione di soft mobility, coerenti con i sistemi insediativi e urbani con cui si confrontano, idonei a favorire e incentivare l’uso del trasporto pubblico locale. Un modello sostenibile di mobilità, oltre a rappresentare un fattore di qualificazione sociale, innesca contemporaneamente più processi relativi alla migliore efficienza dei costi economici e sociali del trasporto che si manifestano innanzitutto con la riduzione della congestione dei flussi di traffico e dell’occupazione del suolo da parte degli autoveicoli privati. Per l’ottimizzazione dell’efficienza e dell’efficacia economica si mira, in termini di sicurezza stradale e per innalzare le condizioni di salubrità urbana, alla riduzione della sinistrosità e delle emissioni inquinanti e acustiche. Concetta Fallanca De Blasio
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Dalla concomitanza e sinergia di questi processi, pur se apparentemente riferiti al solo segmento della mobilità e dei trasporti, ne derivano ampie ricadute nei contesti urbani in termini di maggiore qualità ambientale e degli spazi (fruizione, accessibilità, sicurezza, qualità dell’aria). La volontà di valorizzare il patrimonio urbanistico attuando i principi dello sviluppo sostenibile ha favorito la diffusione, nella gestione del governo del territorio, di pratiche e strumenti finalizzati all’implementazione di interventi che risultino compatibili con l’ambiente e tra questi, particolarmente interessanti, sono quelli che riguardano il settore dei trasporti. Questi ultimi, infatti, in termini di accessibilità e mobilità urbana sono strettamente connessi alla valorizzazione del patrimonio urbanistico, ma si inseriscono in più ampie riflessioni sul progetto della città (sia come progetto di nuovi insediamenti che come riqualificazione di quelli esistenti), ed in particolare alle tematiche relative alla qualità urbana e allo sviluppo urbano sostenibile. In effetti, l’uso dei mezzi di trasporto privato individuale, gli altissimi costi esterni generati dal traffico privato (impatto ambientale e salute dei cittadini), la mancanza di risorse per contrastare il trasporto individuale con un’offerta di servizi pubblici quantitativamente e qualitativamente adeguata, sono problematiche che interessano oramai in maniera più o meno consistente la gran parte dei contesti urbani in ambito mediterraneo e interferiscono negativamente sulla fruizione dei servizi e più in generale sulla qualità della vita. Inoltre, la commistione veicoli-pedoni genera condizioni di conflittualità nell’uso delle strade e delle piazze, rendendo sempre più difficile non solo la coesistenza tra flussi pedonali e veicolari ma anche lo svolgimento delle numerose attività legate al tempo libero e all’aggregazione sociale (dal fare acquisti, all’incontrarsi, al godere della bellezza di un manufatto o di un paesaggio). Strade e piazze sono quindi certamente destinati alla mobilità ma sono, anzitutto, luoghi urbani che si prestano ad usi molteplici, e che possono utilmente concorrere a favorire i legami sociali o viceversa, se non adeguatamente resi fruibili, contribuire ad accrescere il senso di insicurezza e di esclusione all’interno del contesto urbano. In ragione della complessità delle valenze e dei ruoli che tali spazi possono assumere nei contesti urbani, appare evidente che, al fine di promuovere sistemi di mobilità sostenibile, sia prioritario guardare a strade e piazze non solo come elementi di supporto alla mobilità, ma, soprattutto, come luoghi urbani che, o già rappresentano di per sé luoghi centrali, o sono gli spazi su cui si attestano centralità morfologiche e funzionali, e pertanto necessitano di essere valorizzati in termini di attrattività e fruibilità. È sulla base di tali considerazioni che la ricerca CityMob, con il ricorso alla definizione di un sistema di soft mobility da sperimentare in un preciso contesto urbano, mira a delineare linee guida ed elementi di metodo per la messa a punto di un progetto d’uso degli spazi urbani, volto non soltanto a garantire una migliore coesistenza tra le diverse attività e tra i diversi utenti (automobilisti – pedoni), ma anche ad accrescere la rispondenza tra usi previsti e caratteristiche spaziali dei luoghi. Nello specifico la ricerca mira a definire un modello di gestione urbana che individui il sistema delle connessioni ovvero il complesso degli interventi sulla mobilità, (intesa come insieme dei percorsi, carrabili, pedonali, ciclabili, a valenza naturalistica/paesaggistica, delle aree di sosta e dei nodi di scambio plurimodale) volti a favorire l’accessibilità ai siti e alle polarità urbane, al sistema dei servizi e delle attrezzature (musei, teatri, biblioteche, scuole, servizi) e più in generale ai luoghi cospicui che caratterizzano i contesti urbani. L’individuazione di questi sistemi può consentire la realizzazione di veri e propri corridoi di connessione idonei a costituire l’armatura connettiva sulla quale la valorizzazione del patrimonio urbanistico, attraverso la fruizione, si struttura. Essi sono appoggiati sia alla viabilità esistente, sia al reticolo ambientale inteso come parchi, fiumi, fossi, aree verdi di pregio, rete ecologica urbana (concetto molto diffuso nelle politiche di programmazione europea, nazionale e regionale) assumendo, come si è detto, le polarità come punti di centralità e di diffusione principale.
Bibliografia Libri Frabboni F. (2006), Educare in città, University Press, Scienze dell’Educazione, Editori Riuniti, Roma. Siti web: Regolamento recupero acque piovane comune di Cerete Bg http://www.comune.cerete.bg.it/UnioneComuni/comuniWeb.nsf/vw41/8C52C8CEAF5CFF7EC12574D80040D 7AB/$FILE/regolamento%20recupero%20acque%20piovane.pdf Gli architetti italiani dell’acqua http://senseable.mit.edu/news/resources/20080616_NewsItaliaPress.pdf
Concetta Fallanca De Blasio
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“Antropocene” Millo 2012 ®
Atti della XV Conferenza Nazionale SIU Società Italiana degli Urbanisti Pescara, 10-11 maggio 2012
L’Urbanistica che cambia. Rischi e valori
by Planum. The Journal of Urbanism ISSN 1723-0993 | n. 25, vol. 2/2012