Atelier 4.
Rischio sismico e urbanistica della ricostruzione Coordina: Matteo di Venosa con Roberto Di Ceglie Discussants: Valter Fabietti e Rosario Pavia
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Crediti
Comitato scientifico della XV Conferenza Nazionale SIU: Alessandro Balducci (Segretario SIU), Massimo Angrilli (Responsabile), Alberto Clementi, Roberto Bobbio, Daniela De Leo, Luca Gaeta (Tesoriere), Elena Marchigiani, Daniela Poli, Michelangelo Russo, Maurizio Tira Segreteria organizzativa della XV Conferenza Nazionale SIU: Massimo Angrilli (Coordinamento), Cesare Corfone, Antonella de Candia, Claudia Di Girolamo, Federico Di Lallo, Fabio Mancini, Mario Morrica, Patriza Toscano, Ester Zazzero (Mostra Piani di ricostruzione), Luciano Di Falco (Assistenza tecnica) La pubblicazione degli atti della XV Conferenza Nazionale SIU è il risultato di tutti i papers accettati alla conferenza. Solo gli autori regolarmente iscritti alla conferenza sono stati inseriti nella presente pubblicazione. La pubblicazione degli atti della XV Conferenza Nazionale SIU è stata curata dalla redazione di Planum. The Journal of Urbanism: Giulia Fini e Salvatore Caschetto con Marina Reissner Progetto grafico: Roberto Ricci Segreteria tecnica SIU: Giulia Amadasi, DiAP - Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano L’immagine della copertina della pubblicazione e delle copertine dei singoli Atelier sono tratte da opere di Francesco Millo ©. Francesco Camillo Giorgino in arte Millo nasce a Mesagne (BR) nel 1979. Consegue la Laurea in Architettura e parallelamente porta avanti una personale ricerca estetica nel campo della pittura, spaziando dalla micro alla macroscala “rivelando la labilità dell’esistenza umana, sospesa a metà tra ciò che conosciamo e ciò che si nasconde dentro di noi” (Ziguline). Riceve diversi premi e riconoscimenti in ambito nazionale, fra cui il prestigioso “Premio Celeste” nel 2011.
Abstract La complessità del progetto della ricostruzione impone una riflessione critica sui limiti dell’urbanistica convenzionale, ma soprattutto invita ad esplorare la possibilità di innovare le forme e le pratiche correnti della pianificazione urbanistica e territoriale. In tal senso l’esperienza dei piani di ricostruzione in corso per i centri storici colpiti dal sisma del 6 Aprile 2009 si inquadra all’interno di una strategia condivisa di sviluppo territoriale che, cogliendo l’opportunità dell’investimento pubblico straordinario, mira ad invertire i processi di abbandono e di degrado di numerosi contesti urbani. L’Atelier propone un dibattito intorno ad alcuni temi-chiave, in particolare quelli della sicurezza, del rischio sismico e della vulnerabilità urbana, della multidisciplinarietà ed interscalarità degli interventi e della governance dei processi multilivello che regolano le attività di ricostruzione dei territori colpiti dal sisma.
Indice
Atelier 4.
Rischio sismico e urbanistica della ricostruzione Coordina: Matteo di Venosa con Roberto Di Ceglie Discussants: Valter Fabietti e Rosario Pavia
Strategie di sviluppo per i territori colpiti dal sisma Strategie territoriali per i comuni montani dell’Area Omogenea 9 Cristina Imbroglini Un progetto di territorio per la ricostruzione dell’Aquila Lucio Zazzara, Federico D’Amico Le politiche di svilippo territoriale per la valle del Belice Ignazia Pinzello, Lorenzo Canale, Annalisa Giampino, Maria Laura Scaduto, Vincenzo Todaro Piani e progetti. Prove di innovazione per la ricostruzione post sisma in Abruzzo Il progetto startegico delle reti infrastrutturali nella riorganizzazione dei territori colpiti dal sisma in Abruzzo Emilia Corradi Una nuova governance per la ricostruzione de L’Aquila Fabio Andreassi Strategie insediative per la pianificazione dell’emergenza Gabriella De Angelis Vulnerabilità sismica e complessità del progetto di prevenzione Prevenzione e ricostruzione per la riduzione del rischio sismico Giacomina Di Salvo, Margherita Giuffré, Piera Pellegrino, Barbara Pizzo Pianificare l’emergenza e la prevenzione Mariano Gesualdi Spazi collettivi sicuri per una urbanistica della prevenzione Paola Branciaroli La valutazione della Vulnerabilità Urbana Complessiva. Metodi a confronto Salvatore Losco, Luigi Macchia, Pietro Marino La Struttura Territoriale Minima Riccardo Bonotti, Claudia Confortini, Maurizio Tira Tecniche e modelli di valutazione per la ricostruzione post sisma Il rilievo integrato per la ricostruzione di Paganica (Aq) Rosa Grazia De Paoli, Domenico Mediati Modelli di valutazione per la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma Matteo Scamporrino Rischio e pianificazione. Tutela, prevenzione e sicurezza nella programmazione urbanistica Luana Di Lodovico, Luca Iagnemma Restauro e Ricostruzione. Riflessioni sui centri della valle Subequana Claudio Varagnoli, Lucia Serafini, Clara Verazzo L’urbanistica che cambia. Rischi e sostenibilità Ester Zazzero
Ricostruzione di territori: progetti per i comuni montani della provincia dell'Aquila colpiti dal sisma del 2009
Ricostruzione di territori: progetti per i comuni montani della provincia dell'Aquila colpiti dal sisma del 2009 Cristina Imbroglini Facoltà di Architettura Sapienza Università di Roma Email: cristina.imbroglini@uniroma1.it
Abstract I piani di ricostruzione che il gruppo di ricerca della Facoltà di Architettura della Sapienza ha redatto insieme agli uffici tecnici dei Comuni di Ovindoli, Rocca di Mezzo, Rocca di Cambio e Lucoli sono esito di un rapporto di collaborazione iniziato subito dopo il terremoto. Tutta l'attività di ricerca è stata guidata dalla consapevolezza che la ricostruzione degli edifici danneggiati è una condizione necessaria ma non sufficiente a riavviare le economie e le relazioni vitali che il terremoto ha indebolito o compromesso. Sin dalla prima fase di ricerca, svolta a titolo volontario e conclusasi nel dicembre 2010, emerge con chiarezza la necessità di unire la ricostruzione dei centri a strategie complessive di rilancio del territorio in cui i centri storici costituiscano i fulcri vitali. I piani di ricostruzione, completati nel dicembre 2011 vogliono costituire un'occasione per rendere più sicure non solo le case, ma l'intero centro urbano e migliorare la qualità e la funzionalità complessive supportando i progetti di rilancio economico e territoriale.
I significati della ricostruzione I Piani di Ricostruzione dell'area omogenea 9 (comuni di Ovindoli, Rocca di Mezzo, Rocca di Cambio e Lucoli ) nella provincia dell'Aquila sono stati redatti da un gruppo interdipartimentale della facoltà di Architettura della Sapienza 1 in collaborazione con le Amministrazioni comunali. I piani attribuiscono alla ricostruzione i seguenti significati, coerenti anche con gli obiettivi definiti nell'art 5 del DCD 3 del 9 marzo 2010: messa in sicurezza e recupero di edifici, reti e spazi pubblici danneggiati intesi non come mero ripristino delle condizioni antecedenti al sisma ma come miglioramento delle condizioni di sicurezza complessive e riduzione dei rischi (ineliminabili in territori sismici) riqualificazione dell'intero centro storico e delle parti adiacenti attraverso azioni progettuali a scala urbana e in particolare interventi pubblici su strade, piazze, vuoti urbani, urbanizzazioni primarie e secondarie rilancio economico territoriale attraverso interventi strategici per la rivitalizzazione economica e sociale, il potenziamento ecologico e la valorizzazione paesistica, il miglioramento delle relazioni tra centri storici e contesto .
La messa in sicurezza dello spazio urbano L'obiettivo della messa in sicurezza di edifici e spazi aperti all'interno dei centri storici permea tutte le indicazioni, contenute nei piani, relative agli interventi sul patrimonio edilizio (pubblico e privato) e caratterizza il progetto degli spazi aperti (sia pavimentati che verdi) . Per garantire la sicurezza di un patrimonio edilizio storicamente stratificato si è proceduto ad un rilievo accurato delle unità edilizie ovvero di porzioni di edificato caratterizzate da una propria individualità tipo-morfologica, 1
Convenzione tra i comuni di Lucoli, Ovindoli, Rocca di Cambio e Rocca di Mezzo e il Dipartimento di Architettura e Progetto della Sapienza – Università di Roma (DIAP), Responsabile Scientifico: Lucina Caravaggi, Coordinamento Scientifico: Susanna Menichini (DIAP); Coordinamento Strutture, Geologia, geotecnica sismica: Luigi Sorrentino (DISG); progetto urbanistico e valutazioni ambientali: Cristina Imbroglini (DATA), consulenti: Orazio Carpenzano (DIAP); Renato Masiani (DISG); Luis Decanini (DISG); Alfredo Fioritto (Università di Pisa)
Cristina Imbroglini
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Ricostruzione di territori: progetti per i comuni montani della provincia dell'Aquila colpiti dal sisma del 2009
architettonica, costruttiva e funzionale, individuando le connessioni strutturali tra porzioni differenti (aggregati edilizi). Alle singole unità edilizie (a cui sono associate tutte le informazioni quantitative e qualitative contenute anche all'interno di un sistema informativo territoriale appositamente ideato per la ricostruzione) si riferiscono le categorie di intervento, mentre agli aggregati edilizi si riferiscono gli interventi unitari di rafforzamento o miglioramento sismico. Anche gli interventi di rifacimento delle reti e dei sottoservizi danneggiati dal sisma sono volti alla messa in sicurezza e in particolare alla eliminazione di cavi elettrici aerei , alla sostituzione degli elementi in muratura, etc. La sicurezza complessiva dell'abitato è garantita dalla messa a punto di un sistema di percorsi e spazi sicuri in grado di migliorare le condizioni di funzionamento e le capacità prestazionali dei sistemi urbani e territoriali in occasione di un evento calamitoso, in particolare sismico. L'impossibilità di eliminare il rischio deve condurre ad una sua metabolizzazione all'interno della dimensione quotidiana, metabolizzazione che i piani perseguono proponendo spazi e strutture di emergenza che contribuiscano simultaneamente a garantire il buon funzionamento urbano durante le fasi di normalità. Aree di ricovero e di ammassamento coincidono con spazi verdi fruibili e parcheggi, necessari al buon funzionamento dei centri e al loro rilancio turistico ed economico. Tali spazi sono in genere individuate in corrispondenza di aree già parzialmente attrezzate o comunque prossime ai nuclei edificati, in maniera da limitare l’onere economico della loro realizzazione nonché il consumo di territorio. (cfr. figura 1).
Figura 1. Sistema dei percorsi e spazi sicuri, Rovere (Rocca di Mezzo)
La riqualificazione del centro abitato La ricostruzione deve costituire un'occasione per la riqualificazione complessiva dei centri: in primo luogo per dare un senso alla ricostruzione stessa, garantire che all'interno dei centri storici recuperati ritornino gli abitanti e con essi le attività e le relazioni vitali, che nelle aree montane si erano indebolite anche prima del sisma. In secondo luogo perchè proprio la scarsità di risorse pubbliche (che rischia di penalizzare il processo di ricostruzione in Abruzzo rispetto alle esperienze del Friuli, dell'Umbria e delle Marche) impone l'ottimizzazione degli investimenti e la massima integrazione degli interventi pubblici e privati . Riqualificazione e messa in sicurezza sono inoltre strettamente connesse: degrado, abbandono, sistemazioni incongrue dal punto di vista paesistico-ambientale e storico e architettonico (sia negli edifici che negli spazi aperti) sono elementi che aumentano la vulnerabilità e quindi il rischio. L'eliminazione di questi elementi (superfetazioni, coperture rigide, elementi non solidali dal punto di vista strutturale, pavimentazioni sdrucciolevoli, recinzioni precarie, etc) contribuisce al miglioramento della qualità urbana e della sicurezza e non può essere rimandato a momenti successivi. Cristina Imbroglini
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Ricostruzione di territori: progetti per i comuni montani della provincia dell'Aquila colpiti dal sisma del 2009
Alla Riqualificazione e rivitalizzazione dello spazio pubblico sono specificamente rivolti i rilievi relativi alle attività presenti all'interno dei centri storici, ai rapporti, storici e consolidati, tra spazi aperti e spazi edificati nonché alle caratteristiche funzionali di reti tecnologiche e spazi pavimentati e al loro stato di degrado e danneggiamento. Il progetto di riqualificazione affronta temi chiave per la ripresa dei centri storici e in particolare: - il tema dell'accessibilità, che comporta la necessità di riconsiderare il rapporto tra centri storici e contesto tenendo conto delle esigenze contemporanee legate alla mobilità su auto , della necessità di collegamenti agevoli con le strutture di servizio pubblico (in particolare socio-sanitarie, scolastiche, ecc.), ma anche l’obbligo di salvaguardare gli spazi storici rispetto a usi impropri in particolare traffico e parcheggio (se si intende veramente fermare lo spopolamento e avviare un processo di rivitalizzazione endogena); - il tema della rivitalizzazione contemporanea degli spazi pubblici caratterizzati da una maggiore densità di significati urbani, storici e simbolici: tracciati di relazione primaria caratterizzati in passato da una concentrazione di funzioni commerciali e di servizio e ancora oggi riconosciuti come “assi principali” del funzionamento urbano, simboli della riconoscibilità dei centri; aree storico-archeologiche caratterizzate in passato da una elevata continuità di usi e da una forte concentrazione di significati collettivi (rocche, castelli, ecc.) oggi generalmente in stato di isolamento e prive di funzioni vitali. L’ipotesi delineata dai piani (nel quadro delle opere previste dalla ricostruzione) è quella di favorire inserimenti puntuali di funzioni a carattere collettivo, anche attraverso interventi pubblici diretti (acquisizioni e ristrutturazioni di immobili e spazi aperti tali da determinare un aumento della vitalità commerciale e della socialità. - il tema dei piccoli spazi di relazione, dove relazioni pubbliche e private si incontrano e spesso si fondono. Si tratta di slarghi, piazzette, cortili e sottoportici compresi generalmente nell’orditura secondaria dei tracciati urbani, residui di modifiche e aggiunte edilizie lontane nel tempo, aggiustamenti parziali nati da esigenze di esposizione (al sole) e dalla necessita di adattamento ai ritmi stagionali. - Si tratta di spazi di prossimità e di socialità che mostrano un elevata sorprendente continuità anche nel presente. Sono spazi raccolti, ben tenuti, spesso caratterizzati dalla presenza di aiuole e vasi da fiori, popolati di oggetti che richiamano immediatamente gli usi di “prossimità” per cui sono nati, e che ancora oggi continuano a supportare: panche in pietra, sedute ricavate dal dislivello di un pianerottolo (gradini adattati a sedute), spazi di ingresso alle abitazioni che coinvolgono la strada o l’ingresso dell’abitazione vicina, nicchie con immagini votive, piccoli ripari per la pioggia, ecc. A questa famiglia di spazi è stata rivolta una attenzione particolare, assumendoli come rete connettiva della socialità da rafforzare, e in qualche caso, nodi della rivitalizzazione, nei quali favorire l’inserimento di nuove funzioni collettive. Questi interventi che necessariamente si riferiscono all'intero centro abitato hanno una maggiore specificazione all'interno degli ambiti perimetrati del Piano di ricostruzione così come di seguito sinteticamente descritti.
Interventi su spazi pavimentati pubblici La sistemazione e il rifacimento delle pavimentazioni, del sistema di convogliamento e smaltimento delle acque meteoriche, di arredi e manufatti degli spazi aperti pubblici costituiscono un obiettivo prioritario della ricostruzione dei centri storici. Gli interventi sono tesi a garantire: vivibilità di strade, piazze e slarghi, intesa come garanzia di comfort e di fruizione sicura nelle diverse stagioni, da perseguire attraverso la scelta di materiali e modalità costruttive che tengano conto delle caratteristiche climatiche e ambientali dell’area montana, e delle esigenze di differenti tipi di utenti (anziani,bambini, persone con ridotte capacità motorie, ecc.); stabilità e funzionalità idraulica attraverso il recupero di situazioni di degrado aggravate dal sisma e suscettibili di ulteriori peggioramenti a causa dell’apertura dei cantieri di ricostruzione che coinvolgeranno pesantemente gli spazi pubblici nei prossimi anni; riqualificazione del centro storico nel suo insieme attraverso il restauro e la riqualificazione di elementi tradizionali e di pregio, la rimozione di elementi incongrui e poco funzionali, etc. rivitalizzazione dello spazio pubblico attraverso interventi funzionali ad un auspicabile riqualificazione pubblica in termini di vivibilità per i residenti, vitalità delle attività commerciali e degli usi legati soprattutto alla ricettività e al tempo libero. Queste variabili hanno permesso di definire i diversi interventi all’interno del piano di ricostruzione. (cfr. figura 2). In generale laddove sono previsti interventi di ristrutturazione (in corrispondenza di rifacimenti di reti, creazione di condizioni di sicurezza, eliminazione di disfunzionamenti nella captazione delle acque meteoriche, ecc.) ma anche di riqualificazione (eliminazioni di elementi di degrado, recupero di condizioni di sicurezza e comfort,ecc.) si procederà attraverso la riproposizione di materiali e modalità costruttive consolidate nella tradizione locale. Non tanto e non solo in osservanza alla necessità di ricomposizione e reintegrazione dell’immagine storica, ma come riconoscimento di una razionalità dispersa in anni recenti: razionalità ambientale (intesa come capacità di adattamento alle condizioni climatiche della montagna) e razionalità di usi Cristina Imbroglini
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(intesa come aderenza dello spazio pubblico di strade e piazze alle esigenze di uso, secondo ritmi quotidiani, settimanali e stagionali). Appare tuttavia evidente la necessità di integrare l’eredità del passato con le esigenze contemporanee (connesse in gran parte al traffico auto veicolare e alla necessità di ispezione delle reti sotterranee). In questa direzione le “nuove” pavimentazioni saranno caratterizzate dalla rilettura di alcuni elementi consolidati (elementi della continuità storica) e contemporaneamente dal loro “adattamento” alle esigenze attuali (innovazione contemporanea).
Figura 2. Simulazione di un intervento di riqualificazione degli spazi pavimentati pubblici a Rocca di Cambio
Interventi su spazi verdi pubblici La sistemazione, la messa in sicurezza e la valorizzazione degli spazi aperti verdi, degli arredi e dei manufatti che li caratterizzano sono stati interpretati come una grande potenzialità (troppo spesso sottovalutata nei processi di riqualificazione e dei centri storici danneggiati). In particolare è stata perseguita l’integrazione degli interventi rivolti allo spazio verde con i temi della sicurezza e della prevenzione del rischio, e con quelli della rivitalizzazione complessiva dei centri, riaffermando la centralità dell’ambiente come motore di identità delle comunità insediate nei contesti montani. Gli interventi rivolti allo spazio verde tendono a perseguire i seguenti obiettivi: migliorare l’accessibilità al centro storico attraverso il recupero e la sistemazione di spazi verdi marginali con la previsione di strutture per la sosta e lo scambio ad elevata sostenibilità (parcheggi verdi, fasce attrezzate,etc.) che possono trasformarsi, in fase di emergenza, in spazi sicuri (aree di attesa sicura, aree di ricovero multifunzionali, etc.)
Cristina Imbroglini
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riconsiderare il ruolo dello spazio verde all’interno e ai margini dei centri storici attraverso l’inserimento di strutture minimali atte a supportare attività commerciali, ricreative, di pratica sportiva, etc. utilizzabili soprattutto nelle stagioni in cui è possibile stare all’aria aperta; contribuire a recuperare il senso dei paesaggi periurbani un tempo inscindibili dalle attività dei centri (agricoltura, allevamento, ,ecc), che si è andata perdendo nel corso degli anni, recuperando situazioni di degrado e abbandono ed eliminando elementi incongrui, per far si che tali spazi non vengano percepiti come spazi residuali e di risulta, ma come parte integrante dei centri storici e della loro storia; affermare il ruolo primario degli spazi verdi, ed in particolare quelli ai margini dell’abitato, in rapporto al mantenimento della stabilità idro-geomorfologica del suolo; affermare il valore storico-simbolico degli spazi verdi pubblici che permangono all’interno del centro storico, in particolare le aree sommitali intorno alle Rocche e alle chiese madri, con interventi volti a restituire la loro leggibilità storico paesistica (anche in chiave archeologica), e le loro relazioni con il contesto. Ai fini del perseguimento di questi obiettivi sono state rilevate tutte le aree verdi, pubbliche e private, presenti all’interno e ai margini dei centri storici, evidenziando in modo ravvicinato i diversi gradi di abbandono, disfunzionamento, degrado, ed in particolare: mancanza di manutenzione o abbandono degli spazi, dissesto degli elementi di sistemazione del suolo, presenza di vegetazione infestante, scarsa qualità o incuria di arredi, manufatti e recinzioni. Sulla base dei dati relativi allo stato di fatto e attraverso il confronto diretto con le Amministrazioni Comunali e gli abitanti dei centri, sono stati discusse e valutate le principali questioni che hanno poi indirizzato la messa a punto delle categorie di intervento. In primo luogo è stato discusso il ruolo potenziale delle aree marginali, spesso presenti ai bordi dei centri storici, al fine non solo di un recupero complessivo dell’immagine dei centri stessi ma di un miglioramento delle condizioni di vivibilità connesse alla sosta e allo scambio modale, nonché alla esigenza di poter usufruire di spazi verdi attrezzati nelle vicinanze dei centri storici, soprattutto da parte di categorie di utenti deboli (anziani, bambini, soggetti diversamente abili, ecc.). In secondo luogo è stato analizzato il tema delle aree verdi di rilevanza storico-archeologica interne o ai margini dei centri, che si trovano oggi in uno stato generalmente insoddisfacente, sia come immagine che come funzionalità. si tratta delle aree sommitali delle rocche e degli insedimenti fortificati, che racchiudono al loro interno differenti valori molto sentiti dalle popolazioni ma poco evidenti nell’assetto fisico-spaziale (valori storico testimoniali e popolari, valori di ricerca storico-archeologica, valori paesistico ambientali legati alla percezione “panoramica” dei contesti montani, ecc.). Anche in questo caso la coincidenza con le previsioni relative alla sicurezza e alla prevenzione del rischio permette di collocare razionalmente questi spazi all’interno di un piano di ricostruzione, contribuendo a quell’integrazione di intenti e di risorse che costituisce la base per una riqualificazione duratura. In questi casi l’attribuzione della categoria di restauro segnala non solo la concentrazione di valori storico-archeologici e di memoria collettiva, ma anche la possibilità di interventi innovativi basati sul criterio della leggibilità critica delle permanenze (principi ascrivibili alla teoria della “reintegrazione dell’immagine”).
Il rilancio economico e territoriale La preoccupazione per il futuro del proprio territorio, per le ricadute del terremoto sulla sopravvivenza di centri storici caratterizzati da un progressivo abbandono, su un economia basata sul turismo e sul patrimonio ambientale hanno guidato scelte coraggiose, che hanno spinto i piccoli comuni a rinsaldare i legami reciproci e ad affrontare la ricostruzione attraverso un progetto condiviso e condivisibile, che uscisse dai confini dei centri storici danneggiati per rimettere in campo risorse e progettualità di scala territoriale. Fin dall’avvio della collaborazione tra Comuni e Sapienza-Università di Roma nel settembre 2009, durante la fase di lavoro volontaristico 2 imperniato sui temi del rilancio economico-territoriale dell’altipiano delle Rocche e della vallata di Lucoli, il riferimento a politiche innovative di coesione territoriale, insieme alla valorizzazione delle differenti identità locali hanno costituito il filo conduttore per la discussione dei progetti di interesse comune, pubblicati nel libro Ricostruzione di Territori 3 e presentati in diverse sedi pubbliche (Festarch 2011 Festival internazionale 2
cfr. Progetto RITSS (Rete Interfacoltà Terremoti e Sviluppo Sostenibile), Laboratori sperimentali (Abruzzo InterLab) Comune capofila: Rocca di Mezzo -Attività di ricerca volontaria all'interno di una rete intersede promossa nel Seminario dell’Aquila del 5 maggio 2009 e finalizzata ad approfondire i temi della ricerca e della sperimentazione relativamente ai temi posti dal terremoto e dalla ricostruzione con particolare riferimento al territorio abruzzese colpito dal sisma del 6 aprile; responsabile del progetto intersede prof. Alberto Clementi; unità di ricerca della Sapienzacoordinamento generale: prof. Susanna Menichini; coordinamento scientifico: prof. Lucina Caravaggi; coordinamento operativo del gruppo di ricerca e delle indagini sul territorio: Cristina Imbroglini 3 L.Caravaggi (a cura di), Ricostruzione di territori. Progetti a supporto dei comuni di Ovindoli, Rocca di Mezzo, Rocca di Cambio e Lucoli nella provincia di L'Aquila, Alinea, Firenze, 2010 Cristina Imbroglini
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Ricostruzione di territori: progetti per i comuni montani della provincia dell'Aquila colpiti dal sisma del 2009
di architettura,Visioni del futuro, Perugia–Assisi,2-5 giugno 2011; Convegno Ricostruzione di territori, Auditorium della Regione Abruzzo, L’Aquila , 15 luglio 2011) anche nell'intento di sottoscrivere un impegno a tenere insieme dimensione strategica territoriale e dimensione locale in un processo di ripianificazione rivolto al futuro, oltre la “mera logica dell'emergenza". In questo quadro sono state individuate tre famiglie di interventi rivolte rispettivamente a potenziare la coesione territoriale; rinnovare e qualificare l'offerta turistica; migliorare le prestazioni e l'immagine dei centri urbani. (cfr. figura 3) Il termine infrastruttura utilizzato per questi interventi tende a sottolineare il ruolo di dispositivi di supporto allo sviluppo e alla rivitalizzazione complessiva, in grado di dare soluzione a problemi e questioni anche antecedenti il sisma e in particolare:lo svuotamento dei centri storici e la marginalità delle espansioni residenziali recenti; la scarsità dell’offerta turistica in termini di attrezzature e organizzazione funzionale; i conflitti tra esigenze di conservazione paesistico-ambientale e istanze di trasformazione .
Figura 3. Progetto territoriale Le infrastrutture di coesione territoriale comprendono gli interventi che tendono a identificare l'area omogenea come un vero comprensorio territoriale; si tratta di progetti già realizzati o in fase di realizzazione, come la pista ciclabile dell'altipiano e la galleria di Serralunga (che connetterà, una volta ultimata l'altipiano delle Rocche e la vallata di Lucoli), ma anche di progetti su cui si discute da anni come il collegamento tra i due comprensori sciistici di Campo Felice e Monte Magnola. L'avvio di un percorso di ricostruzione territoriale comune appare un'occasione unica per valutare le possibili ricadute economiche e ambientali di questo progetto tra i diversi soggetti coinvolti (Comuni, Provincia, Regione, Ente Parco).Tra le “infrastrutture di coesione” sono state inserite anche le strade paesaggio, intendendo con questo sottolineare il ruolo affidato alla rilettura di alcuni percorrenze storiche che legavano il territorio dell'altipiano con la vallata di Lucoli e la valle subequana o sentieri e percorsi Cristina Imbroglini
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escursionistici che si sviluppano lungo le vie d'acqua che alimentano gli scambi ecologici tra territori collinari e vallivi. Obiettivo dei progetti è quello di rinnovare e migliorare le possibilità di fruizione e percezione dei caratteri paesistico .ambientali dei contesti attraversati. Le infrastrutture per il rinnovamento dell'offerta turistica comprendono interventi destinati a qualificare e differenziare l'offerta turistica, garantire maggiore flessibilità stagionale di spazi e attrezzature, valorizzare le risorse territoriali in una prospettiva di sviluppo integrata e interconnessa all'interno dell'area omogenea. Questi interventi che tendono a valorizzare vocazioni e specificità comunali ( come nel caso del polo ippico di Ovindoli o del campo di volo a Lucoli); a assumere attese e progettualità in corso ( come il campo da golf di Rocca di Mezzo) o a suggerire nuove possibilità più rispondenti alle esigenze contemporanee ( come nel caso del polo d'acqua di Rocca di Cambio) potranno essere oggetto di specifici approfondimenti e verifiche anche nella ultima fase della Ricostruzione (ai sensi del DCD3/2010 e della Convenzione tra Comuni e Università) specificamente rivolta alla ripianificazione territoriale. Le infrastrutture per il miglioramento dei centri urbani comprendono i progetti di riconnessione spaziale e funzionale, localizzati prevalentemente ai bordi dei centri storici, con l’intento di ricucire la frattura esistente tra questi e le zone esterne più recenti. Gran parte di questi progetti sono stati sviluppati all'interno degli interventi di riqualificazione nei Piani di Ricostruzione. Ricostruzione, riqualificazione e ripianificazione territoriale all'interno della ricerca svolta dalla Sapienza costituiscono una sorta di percorso circolare , in cui ciascuna fase alimenta e supporta le altre .
Cristina Imbroglini
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The Territorial Project as a Condition for Post-Earthquake
The Territorial Project as a Condition for Post-Earthquake Reconstruction of L’Aquila Lucio Zazzara, University of Chieti Email: lucio.zazzara@tin.it Federico D’Amico University of Chieti Email: damico.federico@gmail.com
Preamble The numbers that can be sharply drawn from the L’Aquila Earthquake (2009, M w =6.3) 1 are certainly less extensive than those that have characterized other similar disasters: The Great East Japan Earthquake (2011, M w =9), The Haiti Earthquake (2010, M w =7), The Kashmir Earthquake (2005, M w =7.6), The Gujarat Earthquake (2001, M w =7.7), but also with respect to other seismic catastrophes that the same area has undergone in the past. An example is The Marsica Earthquake (1915, M w =7): 30,000 people lost their lives out of a total of 120,000 residents, old town centers were destroyed including Avezzano as well as a vast number of individual buildings, palaces, churches, fortifications. This catastrophic event happened a few years after what is considered the most devastating event of the XX century in Italy: The Messina Earthquake (1908 M w =7.2), followed by Tsunami that destroyed 90% of the city and caused the deaths of over 100,000 residents. But damages caused by The L'Aquila Earthquake takes on much more weight when you consider that a cultural and historical heritage of great importance was hit. 6,000 buildings (Casarotti et al., 2009), 199 churches and 50 palaces (Calderini, 2011) were seriously damaged. L’Aquila is a city encompassing a vast territory dotted with numerous small nuclei - as well as some recent suburbs formed along the main roads - gravitating around the inner city based on a clear and strong Roman Castrum. The District 2 of L’Aquila represents a significant monumental complex comprising 989 assets worthy of protection by virtue of their architectural features. Table 1. Distribution of the category "Architectural Heritage" belonging to each Mountain Community of L’Aquila District. Legend: A Archeological areas - C Churches - E rural Buildings - F Castles - N Borough - P Palaces - I Other monuments. Source: CRESA 2008
1 L’Aquila (population 72.696) is the capital of the province of the same name and of Abruzzo, one of Italy’s 20 regions. The seismic event occurred at 03:32 local time on Monday 6 April 2009 and had an epicenter 3.4 km southwest of the city of L’Aquila. 2 The District of L’Aquila coincides with the Territorial Framework of Reference (LR 70/95). It comprises the town of L'Aquila and municipalities that belong to the Mountain Communities: Amiternina, Campo Imperatore – Navelli Plain, Sirentina
Lucio Zazzara, Federico D’Amico
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The Territorial Project as a Condition for Post-Earthquake
District of L’Aquila
A C
Amiternina Campo Imperatore – Navelli Plain Sirentina L'Aquila Municipality
2 5 4 2
Total
E
I
Total
11 10 16 26
242 262 195 290
13 563 17 88 20 225 63
989
170 7 131 4 111 151 6
F
N P
13 39 31 14 67 25 5 34 19 1 85
Almost one third of this architectural heritage is located in the city of L’Aquila which, by extension, represents less than 25% of the district (CRESA, 2008). These complexes that date back to XI century, have developed and integrated harmoniously until the first half of the XX century. The heyday belongs to the period between the XIII and the XVI century.
Figure 1. The Duomo Cathedral of San Massimo is seen damaged in the town center of L'Aquila, central Italy, on Tuesday, April 7, 2009. (AP Photo/Alessandra Tarantino)
General Data of the L’Acquila Eartquake The city of L'Aquila was not the only one to be hit. The 2009 earthquake caused devastating effects on an even larger area: the so-called “Crater”. According to official estimates 57 Municipalities have been hit, 308 inhabitants were killed, 1,500 injured, 202 of them seriously (Volpini, 2009) and 67,500 people were left homeless. Almost all economic activities have been interrupted: 1800 commercial and craft companies were forced out of business out of a total of 2000 (STM, 2011); the production capacity of industrial plants in operation has fallen for several weeks after the earthquake, to 60-70% of their potential (CRESA, 2011); social services stopped: health, safety, public administration, school; University lost most of its teaching and research Lucio Zazzara, Federico D’Amico
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venues as well as services for students (19,000 enrolled of which around 10,000 were residents). It is as if all the old clusters were hit by a series of explosions, with more or less severe effects on building structures, blocking the collective life and functional organization of Municipalities. As well known internationally, emergency operations worked well, helping people from the first moment and then - within the first six months - building hundreds of good quality accommodation, able to bring people housed in temporary accommodation 3 close to the affected urban areas. At the beginning of 2010, built accommodation in the town of L'Aquila were 7,000, organized in small neighborhoods and built with innovative earthquake-proof solutions. At the same time, all the 249 damaged monuments and most of the buildings were made secure, with the adoption of techniques and materials mostly tested after the Umbria Earthquake (1997, M w =6.1). It is not purpose of this paper to report the details of these challenging and expensive operations that, however, have been extensively discussed in the “34th International Symposium on the Conservation and Restoration of Cultural Property - Reconstruction Process and Cultural Heritage” (Tokyo, January 2011). What we wish to emphasize is that: a) this disaster hit a great cultural heritage as well as the lives and economies of the population; b) the risk posed by the effects of The L'Aquila Earthquake cover almost the entire territory of historical and cultural heritage of Italy (see Figure [3]); c) the characteristics of these assets are such that a complex treatment, able to correctly interpret the strong integration between monumental buildings, urban historical context, quality of the natural environment and landscape, identity and culture of the local communities, is needed.
Figure 2. Seismic Risk Map of Italy (b/w version - G.U. n.108, 11/05/2006 - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)
3 According to Alexander (2010) roughly a third were temporarily re-housed in hotels on the Adriatic Sea coast of Abruzzo and about a third were accommodated in 171 tent camps. Most of the others found alternative accommodation on their own initiative.
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Issues related to the affected heritage Emergency response operations have worked well both in protecting people's basic needs and avoiding further possible loss of architectural heritage. Although many Reconstruction Plans have had a positive reception by the Struttura Tecnica di Missione (STM) are on track to final approval, the next phase, the organization and the start of reconstruction, has not yet been concluded for several reasons. On the one hand the complexity of political, decision-making and administrative-operational processes that chronically afflict this country; the other, the objective difficulty to deal with reconstruction work where you need to recover the entire not only individual buildings but the entire urban fabric, and the need to exercise constant vigilance on the effective heritage protection. It is known, for example, the operational difficulties which have affected the management of the estimated 1.5–3 million cubic meters of debris (Di Coma C., 2010) which had to be removed along with a accurate cataloging and were deposited at regional sorting and disposal sites (Brown et al., 2010). After, debris were reused in careful interventions of reconstruction, rehabilitation able to restore the individual buildings and monuments to a condition that allows the understanding of the constructive qualities, historical events and the relationship with the environment. The issue of correct heritage recovery is central, especially in this context because it is the greatest resource not only for what it represents itself but also for the relationship with the local culture, for the integration with the environment and the territory. The complexity of the heritage affected by The L’Aquila Earthquake is represented by the tight integration between the individual parts of buildings, the urban fabric, the richness of the geography and the natural environment (Abruzzo is the Green Region of Europe, with its 3 National Parks, 14 State Reserves, 25 Regional Reserves, 10 Special Protected Areas). This heritage comprises not only single building or architectural complexes, but should be interpreted as a whole including the territory with all its resources. The reconstruction costs, referred only to works of restoration, were estimated at approximately euro 12 billion (OCSE, 2010), a surprising amount that must be summed up to the costs of many other natural disasters that every year, affect the entire country. The causes are different, in part related to the particular nature of geographical contexts, in part due to the lack of prevention and maintenance, often due to the abandonment by residents, especially in inner areas. Abandonment (of agricultural land, houses, entire neighborhoods and ancient villages, including churches, convents and monasteries) is the main cause of the structural weakening and degradation of the heritage, of its tragic fragility in the face of disastrous events such as the earthquake. The action against this phenomenon 4 is not easy, it requires policies and programs that cannot be based on the commitment of public money in an unproductive way but should stimulate private interest to stay in place, to invest in new activities and maintenance of assets. It is thus clear that any process of reconstruction can be addressed with a restricted vision, nor strictly localist, but should be put within a structural view able to indicate the prospects for rehabilitation of the territories through the revival of economies. The territory of L'Aquila has environmental resources that if properly exploited can play a decisive role in this regard. The mountains surrounding the city of L'Aquila are not only rich in natural areas of great interest but also comprise two major basins for winter sports: Gran Sasso and Altopiano delle Rocche.
4 In Abruzzo, 76.6% of the total area is classified as mountainous. 37% of the total population lives in mountainous areas. The aging index in the mountain areas is equal to 172.8%, a value much higher than the national average (131.4%). The net migration rate is positive (3.9 per thousand), but not high enough to compensate for a negative natural growth (-4.3 per thousand), so the population in these areas is declining, in contrast to the increase in rest of the region (EIM, 2010)
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Figure 3. Shattered roofs of collapsed houses are seen against the backdrop of snow-covered mountains after an earthquake in the Italian village of Onna April 6, 2009. (REUTERS/Chris Helgren)
The role of architects and the commitment of university The commitment of architects is crucial in the treatment of many categories of the reconstruction project, but a special role should be played by planners in two types of project: a) The preparation of Reconstruction Plans for the establishment of new municipal structures in which the protection of historical and environmental heritage, the highest standards of collective security, space and technical models targeted to a general improvement of living and production quality are integrated; b) The preparation of strategic plans that offer visions for the political reorganization of infrastructures and key local services, highlighting the possibility of developing new economies (as well as the recovery of pre-existing ones. See STM (2010) for a detailed overview). The University "G. D'Annunzio" of Chieti-Pescara was immediately made available to authorities and people after the earthquake, forming groups that have technical personnel drawn mainly from the Faculty of Architecture and Geology. Professors & architects have been involved in this commitment that, in June 2009, led to the signing of an initial agreement with the Region of Abruzzo for more structured assistance to some of the municipalities affected by the earthquake. We have coordinated a group of teachers, researchers and students who worked for the Municipalities of Altopiano delle Rocche.
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Figure 4. Masterplan for L’Aquila Metropolitan Area (Interlab Group: Rocca di Mezzo) After an initial phase of assistance to the Council for surveys and administrative procedures for cataloging the damage, efforts were aimed at studies and proposals for regional Reconstruction Plans. The study of population movements and changes of urban structures formulated proposals for future scenarios for the urban renewal area of Altopiano delle Rocche and the entire metropolitan system of L'Aquila. One of the first conclusions reached is that action taken during the first emergency phase to give the people a chance to stay in their places of residence, while being constructive and valuable episodes that will last over time, have substantially changed urban structure and spatial relations. If before the earthquake, the city of L'Aquila was the reference nucleus in a complex composed of small urban units substantially closed and almost totally dependent on the central city, today it is one of the several nuclei that integrate into a completely different territorial system. From a hierarchical model and based on a network of autonomous settlements we have moved to a nebulous system, in which old suburbs located on the main roadways, play a major role. The implementation of the C.A.S.E. 5 plan in L'Aquila, and localization of MAP 6 nuclei have contributed to this process of morphological change through criteria of pure seismic proofness and soil characteristics. The only element of aggregation between pre-existing and new locations is almost always the road, possibly endowed with underlying utilities.
The new territorial scenery: from the compact city to the sprawl city Various administrative measures have changed the rules: to facilitate the planning of new residential complexes or locations and the individual operations of private citizens willing to build their new homes; to identify reference nodes around the old city and the centers of affected towns. More specifically, Deliberation of City Council n° 58, May 25, 2009 intended to meet the temporary housing needs of citizens and those relating to the development of activities related to the residence by establishing criteria and procedures for locating, building and then removing temporary buildings, given their provisional characteristic (trans. by Author). The result has been the production of an uncontrollable phenomenon of consolidation of peripheral settlement through many public and private interventions connected to major roads (SS 16).
5 The Project C.A.S.E. is a plan that provides for the construction of "Seismic-Proof Sustainable Eco-friendly Complexes" in the town of L'Aquila. The government authorizes the Commissioner appointed to design and build in record time: - New houses; - Not only houses, but durable and technologically advanced areas (this includes all services). 6 The temporary housing units, also called MAP, are the houses built in the municipalities affected by the earthquake, apart from L'Aquila, and intended for all those who have unsafe houses.
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Although Deliberation n° 58 was revoked by Deliberation of City Council n° 145 of 16 November 2010, it is estimated that in the entire crater there are about 4 000 abusive buildings, compared with the 1046 7 wooden buildings authorized and constructed 8 . The results of this radical change are still largely unknown but it is very likely that the future scenario (3-5 years) will show us a territory organized in a manner substantially different from the original, an urban area where a cloud of settlements of various types will be aggregated along a linear structure east-west oriented tangent to the ancient city. Because of the lengthy reconstruction process, the old town of L'Aquila has now become an impenetrable island around which not only thousands of new homes were built but most of the numerous functions that were within its perimeter have been relocated. The old town today has no aggregation and identification areas capable of evoking a sense of the centrality. It is clear that this system cannot be replaced by new buildings or the aggregation scheme of seismic proof complexes. Each part of this new periphery is a closed fence around which unvaried interventions of all kinds and for every need are located. The problem of mobility - already evident in the pre-earthquake condition, mainly because of the lack of a complete east-west corridor capable of directing the cross traffic away from the center- has reached such levels that it could considered a new emergency. The difficulty of movement around the city today has become unbearable and certainly a strong contrast to the smooth recovery of productive activities, but also contrary to the simple residential function, because of long travel times and dispersion of the service centers. In the new structure, peripheral towns and consolidated urban nuclei, which have not undergone an excessive damage, quickly assumed a relatively central role in the district of L'Aquila. The Masterplan of L’Aquila will deal with an entirely new and essentially unplanned organization of the territory. A situation in which: new centers will be considered; an urban system will be organized taking into account that the Old Town will have a marginal role for several years (8-12). In addition to urban areas, individual buildings and monuments, many of the original functions will be recovered, but surely the resident population will be much smaller than before the earthquake and this raises important questions about the future.
Local themes of recovery The issue of how to intervene in the historical center of L'Aquila is so dominant in the set of issues tragically emerged after the earthquake that damages in the other 56 municipalities of the Crater seem to be of little significance. But if the pre-eminent position and the significant role at the regional level of L'Aquila is not questioned, the same is not true for the other municipalities. The earthquake has reported dramatic evidence of the problems that small towns and inner city centers are facing. They relate on the one hand the absolute necessity to make the complex secure, the other the chronic difficulty in finding the necessary resources for this and for the protection of the enormous historical and architectural heritage. What emerges from the positions expressed by the Mayors with the first acts of the reconstruction is the constant need to find opportunities for raising funds not only for its buildings but also for urbanization. The widespread fear is that the available resources may generate a sporadic reconstruction mainly entrusted to the will and initiative of individuals. For many Municipalities it will be difficult to go beyond limited processes of reconstruction and recovery, but for those that have retained some vitality, thanks to their position in areas served by the most important infrastructures or simply because influenced by the proximity to the most dynamic areas, it will be possible to activate more complex and more pervasive mechanisms. That said, the whole Planning & Public Works System is clearly inadequate, while shares for strategic planning and design of neuralgic works aimed at raising funds and realization are growing in importance. The risk of losing the image of a cohesive area, in which every part plays an important but not decisive role in the allocation of a particular character and identity, is very serious. Losing sight of the importance of a unified perception of these places can be fatal not only to smallest and weakest towns but also to the capital and its suburbs. The aim
7 437 in San Giacomo-Pile; 158 in Pianola-Monticchio-Bagno; 47 in Roio Poggio; 35 in Preturo Colle; 70 in SassaBrecciasecca; 45 Assergi-Camarda; 243 in Paganica ed Onna; 11 in Arischia. 8 http://www.consiglio.regione.abruzzo.it/rassegna-notizie/guerra-alle-casette-abusive-controlli-dal-cielo
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of the architects who are now engaged in the reconstruction of new buildings and especially in the preparation of new planning instruments, is to demonstrate the ability to combine restoration with better protection of heritage and the life of the population for the future. To achieve this goal, improvement of the technical tools is needed, but also collaborate with other experts (geologists, engineers, environmental experts, geographers, sociologists, restoration experts, economists) and cultivate a special relationship with the people, to be sure "to rebuild and improve".
A scenario for the future: security, innovation, sustainability Compared to the background perspective outlined above, several initiatives have been promoted: some aimed to rapidly mature the competitive capacity of the system, by promoting convergence among groups of municipalities, regional governments, universities and businesses. In particular, the following actions were initiated: a) the definition of a first program for the dissemination of knowledge and building consensus around plans and projects; b) the formalization of an agreement Municipalities-Region-Struttura Tecnica di Missione of the Commissioner for the Reconstruction-University, for the promotion of a unified planning program, based on research, experimentation and training, for innovation in the field of environmental sustainability and recovery processes of city centers; c) the opening of negotiation tables among Municipalities-Region-Companies to establish a Thematic Agenda for Companies, aimed at creating a specialized chain in the sustainable construction and conversion of existing historic town in a safe and sustainable city; d) the provision of an integrated communications program, designed to raise awareness of the commitment of municipalities and other actors both to local populations and outside the territory of L'Aquila; e) the development of Reconstruction Plans, able to effectively promote the approach to sustainability in collaboration among government, universities and businesses. It is important to note that technology and science continue to bear the weight of a subordinate role to history and philosophy in the division of the two cultures, the scientific and the humanistic one (Snow, 1963). A help through a desirable unitary reunion of cultures seems to come by the emergence of well-known concept of sustainability, often abused and mainly recall in relation to climate change problems. In an era of globalization, sustainability can act as an antidote to this difficulty in combining protection, enhancement and development of cultures, economies and lifestyles. For anyone who has a responsibility to the Cultural Heritage, sustainability means firstly to respect the cultural identity of places and consider the compatibility of its operations with the particular social and intellectual structures, the philosophical conceptions, religious and aesthetic sentiments of the place where he intervenes. Sustainability should characterize the reconstruction process. Furthermore, technological innovation (with new investigative techniques and new materials) together with the innovation of planning process (with new models of protection, prevention and conservation) should help reduce the degradation or at least delay the cost of reconstruction, in line with a philosophy of sustainable territorial development. Beyond the technology, planning rules also need to become sustainable, balanced between tradition and innovation, without sacrificing the valuable contribution of methods, materials and tools already available from research, that improve the quality of the processes of conservation and make more sustainable costs in the long run, contributing to the low environmental impact of operations and construction.
References Alexander, David E. (2010): The L'Aquila Earthquake of 6 April 2009 and Italian Government Policy on Disaster Response, Journal of Natural Resources Policy Research, 2:4, 325-342 Brown C., Milke M., Seville E. & Giovinazzi S. (2010): Disaster Waste Management on the Road to Recovery: L’Aquila Earthquake Case Study (14th European Conference On Earthquake Engineering) Lucio Zazzara, Federico D’Amico
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Calderini, C. (2011): Solo messa in sicurezza e solo venti adozioni, Il Giornale dell'Architettura n° 94, May 2011 Casarotti, C., Pavese, A., & Peloso, S. (2009): The seismic response of the San Salvatore hospital of Coppito (L’Aquila) during the earthquake of April 6th, 2009, Progettazione Sismica, 3, pp. 159–172 CRESA (2008): Alla ricerca dell'identità culturale del comprensorio aquilano CRESA (2011): L’Abruzzo e il Cratere Sismico: Economie a Confronto Prima e Dopo il Terremoto (Supplemento al n° 1 - 2011 di Congiuntura Economica Abruzzese) Di Coma C. (2010): Procedure e strumenti per la gestione delle macerie da crolli e demolizioni e da interventi di ristrutturazione immobiliare, Direzione di Comando e Controllo funzione tutela ambientale & Il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Protezione Civile EIM (2010): L’Abruzzo Montano (Ente Italiano della Montagna) Snow V. Charles (1963): The Two Cultures and a Second Look STM (2011): Linee di Indirizzo Strategico per la Ripianificazione del Territorio, Struttura Tecnica di Missione Volpini, A. (2009): L’Ospedale nel Sistema dei Soccorsi Sanitari (Rome: Dipartimento Nazionale della Protezione Civile).
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Pianificazione e ricostruzione. Opportunità e strategie per il rilancio della Valle del Belice
Pianificazione e ricostruzione. Opportunità e strategie per il rilancio della Valle del Belice Ignazia Pinzello Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: ignazia.pinzello@unipa.it Tel. 091.60790109 Lorenzo Canale Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: lorenzo.canale@unipa.it Tel. 091.60790109 Annalisa Giampino Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: annalisa.giampino@unipa.it Tel. 091.60790109 Maria Laura Scaduto Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: l.scaduto@libero.it Tel. 091.60790109 Vincenzo Todaro Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Email: vincenzotodaro@hotmail.it Tel. 091.60790109
Abstract A 44 anni dal terremoto, la situazione socioeconomica e l’attuale assetto territoriale dei comuni della Valle del Belice evidenziano una condizione di crisi non risolta. La dicotomia tra programmazione economica e pianificazione urbanistico-territoriale fanno della “questione Belice” un problema tutt’altro che superato, non adeguatamente affrontato dalla politica locale e regionale. Il progetto di ricostruzione va rifondato a partire dal riconoscimento delle risorse endogene in grado di configurarsi quale tessuto connettivo. Beni culturali e sistema agricolo produttivo rappresentano gli elementi portanti per l’avvio di tale processo a partire dal superamento del tradizionale ambito di riferimento degli strumenti di intervento e dal riconoscimento di una differente unità territoriale che trova nel fiume Belice l’elemento di unificazione e connessione.
Introduzione Il sisma del 1968, del nono grado della scala Mercalli, che causò la totale distruzione dei centri urbani di Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago e la parziale distruzione di Calatafimi, Camporeale, Contessa Entellina, Menfi, Partanna, Salemi, Sambuca, Santa Margherita Belice, Santa Ninfa e Vita, colpiva un’area Ignazia Pinzello, Lorenzo Canale, Annalisa Giampino, Maria Laura Scaduto, Vincenzo Todaro
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interna della Sicilia che già registrava un disagio socio-economico per carenza di attività produttive che aveva causato l’emigrazione della popolazione giovane. Nei mesi che seguirono il terremoto sembrò che lo Stato affrontasse tempestivamente e con responsabilità i problemi non solo della ricostruzione, ma anche quelli dello sviluppo economico della Valle, con l’approvazione di leggi finalizzate alla soluzione di problemi che il sisma aveva reso indifferibili. Purtroppo l’intervento dello Stato e i provvedimenti adottati nel tempo hanno messo in luce gli errori di una politica centralista che ha esautorato le popolazioni locali della loro partecipazione. Molto è stato scritto sugli interventi di ricostruzione nel Belice, addossando spesso la responsabilità agli abitanti, accusandoli di inerzia e di non essere stati protagonisti nell’attività del dopo terremoto, circostanza smentita dalle manifestazioni che vedevano uniti i belicini, i consigli comunali e le forze politiche progressiste che chiedevano non solo la ricostruzione ma anche la creazione di posti di lavoro per frenare il processo di emigrazione già in atto prima del terremoto. Il rapporto campagna/centro abitato era molto stretto, rafforzato dalla prossimità casa-lavoro, ed il disastro causato dal terremoto imponeva un intervento rapido sia per dare una casa alle migliaia di cittadini che ne erano rimasti privi sia per affrontare il problema occupazionale.
La ricostruzione La ricostruzione fu affidata all’“Ispettorato delle zone terremotate”, che dipendeva dal Ministero dei LL.PP.. Tale Ente assolveva a tutti i compiti, dall’impegno di spesa, alla gestione e appalto delle opere ed alla liquidazione delle spese. All’ISES (Istituto per lo Sviluppo dell’Edilizia Sociale), con sede a Roma, venne affidato l’incarico di promuovere e progettare la ricostruzione edilizia sia dei paesi a totale trasferimento che di quelli a parziale trasferimento. Questa decisione si rivelò presto inopportuna in quanto esautorò i Comuni del loro potere decisionale e diede luogo ad una progettazione non condivisa ed imposta dall’alto. I modelli di città, estranei ai luoghi, si ispiravano a tipologie abitative con lunghi isolati (Figura 1 e Figura 2) che non favorivano la pedonalizzazione né i rapporti di vicinato facilitati viceversa nei vecchi centri dalla struttura a cortili.
Figura 1. Gibellina. Piano di trasferimento totale
Figura 2. Vita. Piano di trasferimento parziale
Si è assistito ad una omogeneizzazione del modello urbanistico che non si è preoccupato delle esigenze e delle abitudini della popolazione né delle reali condizioni socio-economiche e dei luoghi, ma si è ispirata a modelli astratti destinati ad utenti diversi dalla popolazione contadina del Belice. Certamente non furono messe in atto quelle che oggi vengono chiamate best practices e prima tra tutte la partecipazione delle popolazioni locali. Probabilmente questa sarebbe stata una pratica difficile da attuare data la drammaticità dell’evento; è mancata la volontà di attuare procedure partecipative, percorrendo strade più facili come il trasferimento totale di centri abitati in località lontane dal posto di lavoro (è il caso di Gibellina ricostruita a circa 20 km dal sito originario). Il disinteresse dello Stato nei confronti di un territorio così gravemente colpito si è manifestato con l’approvazione, in tempi differenti, di leggi per lo stanziamento di somme per la ricostruzione. Gli anni che intercorrono tra le leggi e l’esiguità degli stanziamenti sono alcune delle cause del ritardo degli interventi. Nei primi otto anni furono realizzate solo opere di urbanizzazione primaria e baracche di legno o metallo pertanto la popolazione abitava ancora nelle baracche. Ignazia Pinzello, Lorenzo Canale, Annalisa Giampino, Maria Laura Scaduto, Vincenzo Todaro
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Lo Stato ignorò la necessità primaria della realizzazione di case e la richiesta di provvedimenti per l’occupazione, ma ignorò anche l’istanza dei Sindaci dei Comuni parzialmente danneggiati che sollecitavano la predisposizione dei piani particolareggiati dei centri storici, danneggiati ma recuperabili. Nonostante le sollecitazioni dei Sindaci questi non furono ascoltati e la conseguenza di ciò fu che oggi, non essendo stato fatto alcun intervento di recupero, ai danni del terremoto si sono aggiunti quelli dell’abbandono. La lentezza degli interventi e l’indifferenza dello Stato furono giudicate in maniera severa dalla Commissione di indagine del Belice che operò tra il 1978 ed il 1981. La prima grande svolta si ebbe nel 1981 e successivamente negli anni ’90 quando i Presidenti della Regione, del tempo, asserirono con forza la indifferibilità del completamento della ricostruzione del Belice, ottenendo in tempi diversi somme sempre insufficienti per la ricostruzione e che spesso venivano trasferite agli esercizi finanziari degli anni successivi. La situazione si aggravò quando fu soppresso l’ISES e le competenze passarono al Provveditorato OO.PP. di Palermo. All’urgenza della ricostruzione si associava la richiesta sempre più pressante di individuare azioni che mettessero in moto lo sviluppo economico della Valle. Anche questa istanza sembrò essere stata accolta con sollecitudine dai Governi nazionale e regionale con emanazione di specifiche leggi e la presentazione di progetti. Nonostante il susseguirsi di piani ed interventi legislativi tuttavia si registra l’indifferenza degli organi di governo e la non volontà a risolvere i problemi che ancora oggi affliggono gli abitanti della Valle. Con l’approvazione della L.R.n.1/68 “Primi provvedimenti legislativi per la ripresa civile ed economica delle zone colpite dai terremoti del 1967 e 1968” venne introdotto il “Comprensorio” e con questo venne individuato il Piano Comprensoriale come strumento di pianificazione, con valore di P.R.G. Il Comprensorio doveva costituire un’unità economica e territoriale autosufficiente per l’avvio ad un nuovo sistema di pianificazione finalizzato all’integrazione tra l’assetto urbanistico e lo sviluppo economico. Questa sarebbe dovuta essere l’occasione per avviare un nuovo assetto del territorio ed individuare azioni per uno sviluppo economico invocato dalle popolazioni. Tuttavia, le delimitazioni dei Comprensori non hanno tenuto conto delle differenze tra i Comuni non raggiungendo l’obiettivo della legge. I Piani Comprensoriali si configuravano come la nuova figura pianificatoria che nel superamento dei vecchi programmi di fabbricazione avrebbe dovuto coordinare e razionalizzare gli interventi sul territorio. Anche questo obiettivo venne vanificato. Nei piani, seppure declinato in modo differente, obiettivo comune era il riequilibrio socio-economico per il miglioramento del reddito delle fasce più deboli intervenendo sul settore occupazionale, sul potenziamento del sistema infrastrutturale, sugli interventi nel comparto agricolo. Gli obiettivi, certamente condivisibili, prevedevano per la loro attuazione alcuni interventi che destavano molta perplessità sia per la tipologia dell’intervento sia per la localizzazione. Per le zone interne si punta ad uno sviluppo integrato delle risorse naturali, dell’agricoltura, delle emergenze storico-paesaggistiche. In conclusione, ancora una volta si registra un fallimento nella politica del dopo terremoto la cui responsabilità ricade soprattutto sulla Regione che non ha avuto la capacità di cogliere l’occasione per rilanciare una nuova gestione e pianificazione del territorio.
La Valle del Belice oggi Il progressivo invecchiamento e la diminuzione della popolazione giovanile sollecitano politiche mirate al radicamento dei giovani nei paesi di origine ed a favorire il ricambio generazionale nelle attività come l’agricoltura che non hanno più attrattività. Alla luce degli esiti negativi della ricostruzione si impongono alcune riflessioni finalizzate ad individuare quali strategie occorre mettere in atto per cercare di migliorare non solo la condizione abitativa ma soprattutto incidere sul sistema produttivo, economico, occupazionale. L’appartenenza a tre differenti province contribuisce spesso a rendere più difficile il sistema di relazione tra i comuni e l’attivazione di politiche territoriali e occorre ridare centralità al fiume Belice guardando ad un territorio più ampio e prefigurare uno scenario strategico nel superamento dei confini amministrativi. Il fiume Belice con tutto il sistema idrografico, quindi, rappresenta la spina dorsale del territorio e non va visto come elemento di frammentazione e separazione del sistema territoriale. Esso assume il ruolo di elemento di connessione del territorio e pertanto è più corretto riferirsi al suo bacino idrografico. Tale unità morfologica è considerata l’ambito geografico ottimale e unitario cui riferire le analisi e le proposte di pianificazione così da superare la frammentazione amministrativa dei singoli territori comunali attraversati. Il Fiume Belice per il ruolo di elemento strutturante dell’intero bacino, dovrà garantire nuove relazioni spaziali, funzionali, infrastrutturali ed ecologiche tra le città e tra queste ed il territorio. Esiste infatti una relazione biunivoca e inscindibile tra il fiume e il territorio circostante ed ogni azione o attività che si svolge all’interno del territorio ha inevitabilmente delle ripercussioni sull’ecosistema fluviale. Allo stesso modo ogni alterazione Ignazia Pinzello, Lorenzo Canale, Annalisa Giampino, Maria Laura Scaduto, Vincenzo Todaro
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dell’equilibrio e della funzionalità ecologica del sistema fiume avrà inevitabilmente un “effetto feedback“ sull’equilibrio del territorio circostante. Un’attenta analisi del territorio ha messo in evidenza alcune criticità. Il fiume Belice attualmente si configura come elemento di separazione del territorio che si manifesta in un’ assenza di relazione tra i Comuni ad est e ad ovest dell’asta fluviale. La centralità maggiore è espressa dal Comune di Castelvetrano benché già siano in atto aggregazioni di comuni nell’ottica di rafforzare il policentrismo. E’ auspicabile il rafforzamento del policentrismo anche per un utilizzo più razionale delle attrezzature e dei servizi e per l’attivazione di sinergie che contrastino la polverizzazione territoriale. Il sistema infrastrutturale non favorisce le relazioni tra i Comuni sia per il mancato completamento di alcune infrastrutture sia per le condizioni di arretratezza che le caratterizzano. Tuttavia il Piano Provinciale dei Trasporti di Trapani prevede altri interventi di collegamento stradale con la viabilità veloce ed il miglioramento della viabilità esistente. Anche il sistema ferroviario risulta obsoleto e per questo scarsamente utilizzato; sono previsti interventi di ammodernamento finalizzati anche all’aumento della velocità e la trasformazione di alcune tratte (CastelvetranoMazara del Vallo-Trapani) in metropolitana leggera. Sono previsti interventi sul sistema portuale che risulta scarsamente specializzato e non adeguatamente collegato con l’entroterra. Il miglioramento del sistema di mobilità locale e regionale rafforzerebbe le relazioni tra i Comuni e tra questi e l’intero sistema regionale. Il terremoto, dal punto di vista della produttività, ha influito sull’agricoltura del Belice cambiando l’assetto e le direttrici di sviluppo. Da un paesaggio caratterizzato dal seminativo si è passati, per un’estensione maggiore, al paesaggio della vite e dell’ulivo. La coltura prevalente, nell’area settentrionale della valle, rimane il seminativo e nell’area centrale e meridionale si hanno colture di qualità come vigneti, oliveti e frutteti con marchio DOP, DOC, IGP e IGT. In particolare i vigneti e gli uliveti restituiscono paesaggi agrari di notevole pregio che, oltre ad avere un valore produttivo hanno anche un valore identitario. L’agricoltura rappresenta quindi una parte rilevante dell’economia agricola ed il suo mantenimento è pertanto indispensabile anche per il suo valore come attività tradizionale che è testimonianza di usi e costumi locali. Essa rappresenta oggi il settore economico maggiormente sviluppato, pur tuttavia registra anche in queste zone la crisi che attraversa il comparto agricolo. Sempre più si diffonde la sfiducia per la soluzione della crisi, con il conseguente progressivo abbandono delle terre a favore di più redditizie destinazioni d’uso come la localizzazione di parchi eolici, parchi solari, i processi di urbanizzazione, ecc. Viene meno il ruolo dell’agricoltura come “controllore del territorio”, come risorsa del paesaggio, come risorsa per il turismo. Se non si mettono in moto azioni funzionali al suo mantenimento, alla qualità ed alla differenziazione del prodotto, alla sua commercializzazione e trasformazione, si rischia l’abbandono delle terre con un conseguente danno per l’economia ed una progressiva perdita di valori paesaggistici. Per le caratteristiche della Valle e per contrastare eventuali fenomeni di abbandono o di trasformazione, ed assecondando il principio della multifunzionalità si ritiene utile l’ individuazione di aree da destinare a parchi agricoli e a forme di agricoltura sociale. Questi possono contribuire al mantenimento dell’attività agricola ed al recupero del rapporto con la collettività insediata attribuendo all’agricoltura oltre che un valore produttivo, un valore sociale e culturale. Il territorio del Belice è ricco di beni culturali: aree archeologiche, riserve naturali, il sistema delle grotte, le Zone di Protezione Speciale e i Siti di Interesse Comunitario. Ed ancora i centri storici alcuni dei quali distrutti totalmente, ma di cui rimangono in alcuni casi significative tracce come a Poggioreale e a Montevago. Infine il patrimonio rurale sparso che testimonia la storia di una antica civiltà. Nonostante la presenza di una così rilevante ricchezza di beni culturali e di musei, il territorio manca di attrattività ed esiste, quindi, la necessità di mettere in rete i beni culturali che attraverso un sistema integrato di fruizione possano diventare occasione per lo sviluppo del territorio. Quindi integrazione tra le differenti tipologie di beni culturali (naturali, archeologici, antropici, centri storici), integrazione con i servizi culturali, integrazione tra le differenti forme di gestione, dotazione di servizi aggiuntivi. In tal modo il patrimonio culturale diventa una risorsa turistica ed economica per la Valle del Belice per i suoi risvolti occupazionali per la gestione, fruizione e promozione dei beni culturali. Il comparto turistico tuttavia non riesce ad avere un ruolo trainante anche per l’assenza di una politica ad esso indirizzata ; è necessario promuovere un turismo legato alla storia del territorio, del paesaggio, dei centri abitati. Anche i tratti di costa libera, ormai residuale, che garantiscono il rapporto di continuità tra mare e terra rientra tra quei beni che vanno considerati irrinunciabili. Si impone quindi un controllo del territorio perché non vengano alterati o cancellati i suoi caratteri identitari che lo strutturano e che visti come sistema costituiscono la matrice di costruzione di un processo di riqualificazione e rilancio del patrimonio esistente. Occorre un approccio integrato non solo nel processo di conoscenza ma anche nelle politiche attivate dai diversi Enti. Nonostante i numerosi Piani ed Programmi che interessano questo territorio I Comuni hanno perso l’occasione di attivare un processo di pianificazione di area vasta che avrebbe potuto strutturare il territorio in modo più Ignazia Pinzello, Lorenzo Canale, Annalisa Giampino, Maria Laura Scaduto, Vincenzo Todaro
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Pianificazione e ricostruzione. Opportunità e strategie per il rilancio della Valle del Belice
razionale distribuendo attrezzature e servizi, tenendo conto anche della prossimità dei centri abitati e di alcuni processi di conurbazione già in atto. Esistono delle criticità e prima fra tutte l’appartenenza a Province diverse per cui sullo stesso territorio insistono sia due Piani Provinciali1 (Trapani ed Agrigento) non ancora approvati, che due Piani Strategici (P.S. Terre Sicane e P.S. Valle del Belice)e tre PIT (Progetti Integrati Territoriali). Le politiche pianificatorie e programmatiche che interessano i comuni del Belice restituiscono un quadro complesso e frammentato, che evidenzia uno “scollamento” tra pianificazione e programmazione, aggravato dall’aggregazione apparentemente casuale di comuni con differenti caratteristiche. Alla luce delle suddette considerazioni è possibile prefigurare uno scenario di assetto del territorio (fig. 3), individuando alcune linee strategiche che devono diventare irrinunciabili se si vuole raggiungere l’obiettivo di rinascita della Valle del Belice e perché questa possa diventare componente importante dell’economia dell’intera Sicilia.
Figure 3. Valle del Belice. Scenario di sviluppo territoriale Le linee strategiche che dovrebbero essere seguite possono riassumersi in: 1. Messa in rete dei beni culturali e creazione di un sistema integrato per la fruizione e valorizzazione. 2. Tutela e riqualificazione della qualità ambientale del fiume Belice e di tutto il sistema idrografico. 3. Completamento della ricostruzione, recupero dei centri storici, rafforzamento del sistema di relazione tra i centri abitati e tra questi ed il territorio. 4. Potenziamento del sistema della mobilità e dei trasporti. 5. Potenziamento e rilancio del comparto agricolo; realizzazione di industrie per la trasformazione dei prodotti agricoli. Accrescimento della competitività del settore agricolo forestale attraverso l’incentivazione di investimenti rivolti alla crescita del capitale umano, alla ristrutturazione ed allo sviluppo del capitale fisico, all’innovazione ed al rafforzamento della qualità dei prodotti agricoli. 6. Attivazione di sinergie fra produttori agricoli ed amministrazioni per la fruizione del patrimonio architettonico rurale con la individuazione di itinerari culturali integrati. 7. Interventi di riqualificazione della fascia costiera, contenimento della diffusione abitativa non pianificata. Redazioni di piani di recupero. 8. Azioni immateriali per la crescita culturale, professionale della popolazione insediata. 9. Interventi per la promozione di un turismo sostenibile. Valorizzazione, promozione e publicizzazione di iniziative ed eventi legate alla fruizione e salvaguardia dell’ambiente. 1
Per la Provincia di Trapani è stato approvato il Progetto di Massima del Piano Territoriale Provinciale (D.G.P. n. 386 del 20.10.2003). Per la Provincia di Agrigento è stato approvato il Rapporto preliminare (D.C.P. del 19.10.2001).
Ignazia Pinzello, Lorenzo Canale, Annalisa Giampino, Maria Laura Scaduto, Vincenzo Todaro
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Pianificazione e ricostruzione. Opportunità e strategie per il rilancio della Valle del Belice
10. Coordinamento degli interventi previsti dagli strumenti di pianificazione e programmazione.
Bibliografia Libri Giuseppe Abbate, Annalisa Giampino, Marilena Orlando, Vincenzo Todaro (a cura di) (2000). Territori costieri, Milano, FrancoAngeli. Angela Badami, Marco Picone, Filippo Schilleci (a cura di) (2008). Città nell’emergenza, Palermo, Palumbo. Alessandro Dal Piaz (2004). Questioni di urbanistica, Napoli, Graffiti. Giuseppe Gangemi (1979). Costruzione e Progetto. La Valle del Belice, Milano, Clup. Antonio Renna, Antonio De Bonis, Giuseppe Gangemi (1979), Costruzione e Progetto. La Valle del Belice, Milano, Clup. Michele Rostan (1998), La terribile occasione. Imprenditorialità e sviluppo in una comunità del Belice, Bologna, Il Mulino. Articoli ISES (1972). Valle del Belice. La ricostruzione dopo il terremoto del gennaio 1968. Quaderni di edilizia sociale, 6. I. Pinzello, D. Costantino (1980). Valle del Belice: gennaio 1968. Urbanistica Informazioni, 5(2/3). B. Zevi (1970). Il mistero delle baracche pubbliche. Bruno Zevi. Cronache di Architettura, Bari, Laterza, 782.
Riconoscimenti I grafici e le gli elaborati dei paragrafi Il Belice oggi e Per un nuovo scenario sono stati elaborati con gli studenti del laboratorio di pianificazione II del Corso di Laurea Magistrale in PTUA.
Ignazia Pinzello, Lorenzo Canale, Annalisa Giampino, Maria Laura Scaduto, Vincenzo Todaro
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Piani di Emergenza e Piani di Ricostruzione
Piani di Emergenza e Piani di Ricostruzione Nuove modalità di manutenzione e trasformazione del territorio delle infrastrutture a partire dalla ricostruzione nel doposisma Emilia Corradi Università degli Studi “G.D’Annunzio” di Chieti Email: corradie@tiscali.t Tel/fax 0871.551976
Abstract Il presente intervento, principalmente, intende mettere in evidenza, attraverso la lettura critica del sistema infrastrutturale e paesaggistico, il possibile progetto di territorio programmabile in caso di emergenza, e come nel caso della trasformazione urbana e nel ridisegno delle reti infrastrutturali, alcune modalità di approccio ad un possibile piano di riorganizzazione di territorio sostenibile in cui trasformazione e riscrittura restituiscono capacità di identificazione qualitativa del paesaggio. Obiettivo primario della riflessione è quello di comprendere caratteristiche e struttura dei territori attraversati dalle infrastrutture o interagenti con edifici o luoghi strategici e nell’individuare le categorie progettuali interessate dai Piani di Ricostruzione nella messa in sicurezza del territorio. La questione diviene di cruciale importanza se si tiene conto delle diverse interazioni che può assumere in relazione alla scala, alla morfologia insediativa, alla sostenibilità ambientale, alla sostenibilità economica e all’incidenza sulle trasformazioni paesaggistiche che può generare. Pertanto si ritiene fondamentale legare i due strumenti e comprenderne le valenze applicative sulla forma e governo del territorio.
Premessa Asincronia. È la condizione primaria che caratterizza la trasformazione del territorio. Con essa si può definire il processo che determina la forma e la condizione dell’abitare lo spazio opposto a quello dei programmi o dei piani. E se “il fallimento a fronte delle profonde distorsioni conosciute dal territorio contemporaneo” è il risultato di dinamiche di trasformazione spesso autogenerate e poco governate dai piani o dai programmi, l’asincronia delle trasformazioni contro le forme di adattamento dell’abitare degli uomini, è drammatica conseguenza nel caso di eventi drammatici quali alluvioni, terremoti ecc…. e parlare di governo o di forma del territorio diviene esercizio di retorica. La condizione di caos che in genere segue questi eventi è ampliata dalla scarsa conoscenza e pianificazione delle procedure operative, in sintesi poche le regioni italiane che hanno recepito la L. 152/2005 che trasferisce alle regioni le competenze di protezione civile, e di conseguenza la mancata redazione di piani di emergenza di fatto generano un handicap ulteriore nella gestione del governo delle emergenze. E se non possiamo definire i piani di emergenza veri e propri strumenti urbanistici, questi ne assumono la valenza quando determinano ranghi e priorità di sviluppo, manutenzione e trasformazione di infrastrutture ed edifici strategici. La notevole complessità dei temi da affrontare induce a inquadrare l’intervento relativamente allo spazio delle infrastrutture in quanto raramente rientrano nelle valutazioni dei PdR e ancor meno la loro importanza viene inquadrata in relazione alla SUM. Il presente intervento quindi, principalmente, intende mettere in evidenza, attraverso la lettura critica del sistema infrastrutturale e paesaggistico, il possibile progetto di territorio programmabile in caso di emergenza, e come nel caso della trasformazione urbana e nel ridisegno delle reti infrastrutturali, alcune modalità di approccio ad un possibile piano di riorganizzazione di territorio sostenibile in cui trasformazione e riscrittura restituiscono capacità di identificazione qualitativa del paesaggio.
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Piani di Emergenza e Piani di Ricostruzione
Le recenti scelte nel campo dell’intervento di emergenza che ha privilegiato la ricostruzione pesante come mezzo “provvisorio” non ha avuto altro criterio se non quello della localizzazione in aree agricole prontamente disponibili. Infatti i “tecnici dei Comuni coinvolti hanno accertato l’idoneità delle aree dal punto di vista della sicurezza sismica, idraulica e idrogeologica, nonché della viabilità di accesso e di un’adeguata integrazione con gli spazi destinati ai servizi e al verde pubblico. Nella localizzazione degli insediamenti si è inoltre ritenuto necessario tenere conto della necessità dei destinatari dei moduli abitativi di rimanere nelle vicinanze delle abitazioni di provenienza, rese inagibili dal terremoto” 1 , aggravando così la già fragile condizione del territorio e introducendo la necessità di ulteriori infrastrutturazioni dello stesso. Obiettivo primario della riflessione è quello di comprendere caratteristiche e struttura dei territori attraversati dalle infrastrutture o interagenti con edifici o luoghi strategici e nell’individuare le categorie progettuali interessate dai Piani di Ricostruzione nella messa in sicurezza del territorio. La questione diviene di cruciale importanza se si tiene conto delle diverse interazioni che può assumere in relazione alla scala, alla morfologia insediativa, alla sostenibilità ambientale, alla sostenibilità economica e all’incidenza sulle trasformazioni paesaggistiche che può generare. Pertanto si ritiene fondamentale legare i due strumenti e comprenderne le valenze applicative sulla forma e governo del territorio.
Preturo
Aeroporto d’Abruzzo
Figura 1. Il telaio infrastrutturale nelle aree del sisma
Figura 2. Lo stato dei manufatti autostradali A24/25 alla data del 7 aprile 2009 1
Decreto n° 6 dell’11 maggio 2009 “Piano CASE”
Emilia Corradi
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Piani di Emergenza e Piani di Ricostruzione
La ricognizione postsisma Il recente sisma che ha sconvolto il comprensorio aquilano e non solo, ha evidenziato come lo stato del territorio infrastrutturale a qualunque scala, basilare nel governo di un’emergenza, fosse completamente incapace di assorbire gli eventi sismici sia dal punto di vista fisico, che dal punto di vista della percorribilità. Si sono constatati due ordini di problemi: uno a scala regionale l’altro a scala locale. A scala regionale si è evidenziata la condizione di blocco complessivo di un’intera regione per un periodo troppo lungo, sia per la difficoltà di far giungere in tempi brevissimi i soccorsi, sia per l’impossibilità di organizzare in tempi brevi percorsi alternativi o dedicati, costringendo per quasi un mese un’intera regione a organizzare e a modificare il proprio sistema di collegamenti in tempi rapidi. A ciò si aggiunge la non capacità del sistema dei piccoli aeroporti regionali come quello di Preturo e di Pescara di supportare in caso di emergenza il sistema dei soccorsi e della ricostruzione. Ma è soprattutto a scala locale che tutt’oggi si ravvisa una difficoltà organizzativa e di organizzazione viabilistica, sia per effetto delle macerie non ancora rimosse o in fase iniziale di rimozione, sia per la convulsa e frenetica attività di ricostruzione temporanea messa in atto dalla Protezione Civile.
Aspetti strutturali La condizione presisma Una rapida valutazione dello stato del sistema infrastrutturale in Abruzzo e le sue criticità prima del 6 aprile 2009, è necessaria al fine di costruire il quadro complessivo e le sue condizioni sia fisiche che organizzative del territorio. In una ricerca promossa dalla Regione Abruzzo nel 2004, in relazione ad uno “Studio di fattibilità” 2 sul sistema Infrastrutturale” promosso dall’Assessorato alle Attività Produttive” si evidenziava il forte dinamismo dell’economia abruzzese in relazione alla possibilità della Regione Abruzzo di rappresentare l’unica opportunità per la localizzazione del corridoio Adriatico. Tale ricerca, di taglio economico geografico, individuava nell’esistente e in una serie di progetti di ampliamento delle reti infrastrutturali esistenti, il telaio su cui impostare una serie di azioni di organizzazione e strategia di sviluppo economico. Nello studio, però non veniva ne evidenziato, ne affrontato lo studio dello stato e della consistenza del patrimonio infrastrutturale, sia viario, portuale, aeroportuale che di reti tecniche (gasdotti, elettrodotti, acquedotti ecc…) esistente dandolo per adeguato e performante in termini sia funzionali che tecnici. Anche il PRIT (Piano regionale integrato dei Trasporti 3 ) redatto dalla regione Abruzzo, si limitava ad una ricognizione di tipo trasportistico tecnicistico, non considerando affatto lo stato e la consistenza dei manufatti. E su queste premesse individuava una serie di dati e di proiezioni economiche finanziarie che prescindevano dalla reale consistenza dei manufatti di tutte le reti non ritenendo necessario valutare non solo l'efficienza dei collegamenti pre-sisma, ma anche le modalità di costruzione del paesaggio e del territorio e la loro capacità di organizzazione dello spazio.
La ricognizione La ricognizione post sisma ha messo in luce una situazione del sistema infrastrutturale disastrosa sia dal punto di vista della manutenzione e consistenza fisica dei manufatti, sia dal punto di vista delle caratteristiche tecniche e funzionali delle stesse, la documentazione fotografica acquisita e divulgata dai vari blog sorti subito dopo l’evento sismico, mettono in evidenza ciò che le fonti istituzionali e ufficiali hanno evitato di rendere noti. Il sisma del 6 aprile, ha reso evidente invece, tutta la fragilità del sistema infrastrutturale, sia viario che aeroportuale e delle reti di distribuzione, evidenziando criticità tali documentate in una serie di dossier. I danni principali si sono avuti soprattutto sulla rete stradale secondaria, soprattutto nei ponti, muri di sotto e sovra scarpa, alla rete dei sottoservizi, compromessa sia nelle strutture principali che nella distribuzione secondaria, mentre si è rivelato assolutamente insufficiente l’aeroporto di Preturo sia per inconsistenza della pista e per inesistente collegamento viario con le principali strutture viarie. I danni rilevati, hanno evidenziato una diffusa alla vetustà del patrimonio infrastrutturale, ma anche, per quanto riguarda i manufatti più recenti, un’insufficiente approfondimento progettuale e soprattutto l’assenza di un quadro ricognitivo della consistenza complessiva della dotazione infrastrutturale della regione Abruzzo.
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Aa.Vv, Per una politica industriale delle infrastrutture in Abruzzo, Pescara, 2004 PRIT (Piano regionale integrato dei Trasporti) della regione Abruzzo 2006
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Piani di Emergenza e Piani di Ricostruzione
Figura 3. Lo stato della viabilità ordinaria subito dopo il sisma
Le scale delle infrastrutture Nel sistema delle gerarchie funzionali l’infrastruttura favorisce lo sviluppo delle potenzialità dei luoghi in cui s’inseriscono e con i quali, costruiscono un sistema di opportunità e di criticità. Le strade costituiscono “luoghi”, che recepiscono modi e forme dell’abitare il territorio. A seconda della loro scala di relazioni possono indurre opportunità e nuovi significati d’uso del territorio e dello spazio dell’abitare. È evidente che il nuovo assetto determinato dalla localizzazione dei MAP, degli alloggi del progetto CASE e della necessaria riorganizzazione degli eventi per la ricostruzione stanno già determinando nuove forme d’uso e di funzionamento del territorio del cratere, con un’evidente ricaduta anche su tutto il territorio regionale.
Infrastrutturazioni primarie Nella logica del telaio infrastrutturale la gerarchizzazione individuata sui 14.503 km (anno di riferimento 1998) di rete viaria complessiva restituisce una dotazione del 33% superiore alla media nazionale. Tale dato non trova riscontro, nella qualità delle stesse, dove risultano per caratteristiche tecniche e dimensionali, sottodimensionate e fuori standard, e sicuramente non rispondenti al dm 5/11/2001. Si evidenziano nel telaio primario i tre tratti autostradali A24/25 e A/14 la linea ferroviaria adriatica, l’aeroporto d’Abruzzo (San Giovanni Teatino), i Porti di Pescara e Ortona. Di questi le azioni del sisma hanno evidenziato prevalentemente danni dovuti a scarsa manutenzione, inadeguatezza a sostenere flussi di traffico di emergenza e mancanza di tracciati alternativi. La loro territorializzazione ha inciso profondamente sulla configurazione e sull’assetto territoriale dell’intera regione e la loro scala d’influenza, in caso di potenziamento, determina, comunque una ricaduta di effetti sulle forme urbane e territoriali, sia deboli che forti, tali da richiedere una riflessione progettuale, non solo trasportistica, ma anche ambientale, paesaggistica. Mentre per quanto concerne l'aeroporto d'Abruzzo se il “Programma Regionale di Sviluppo 1998-2000, partendo proprio dall'analisi a livello nazionale del sistema aeroportuale e in considerazione delle potenzialità del traffico aereo nelle regioni del mezzogiorno, assegna all'aeroporto di Pescara il ruolo di fondamentale porta d'accesso internazionale e di infrastruttura per nuove opportunità turistiche tenendo conto della posizione nodale che l'Aeroporto ha rispetto all'intero sistema produttivo e relazionale abruzzese.” 4 Di fatto stabilisce interventi di ampliamento della capacità operativa dell'aeroporto, come il prolungamento della pista di volo per 220 mt non ancora realizzati.
Infrastrutturazioni secondarie Le infrastrutture secondarie, sia viarie che impiantistiche, strutturano principalmente la scala urbana e territoriale del comprensorio a partire dalla SS: 17 con la sua stratificazione di relazioni storiche e sociali, sulle quali si sono costruite economie e figure del territorio agrario. In realtà sono quelle che hanno subito il maggior numero di danni, e che risentono di più delle nuove configurazioni territoriali dovute agli insediamenti dei MAP Musp ecc…I nuovi ordini di relazione introdotti dal nuovo assetto, seppur provvisorio, rendono necessaria una riflessione ampia sulla loro configurazione sia tecnica che formale, che a partire comunque da una riqualificazione sia tecnica che funzionale, abbiano le capacità di interagire in equilibri fragili e delicati come quelli che in un territorio agricolo e montano attraversano. Particolare importanza riveste il rapporto che queste stabiliscono con il tracciato e con il paesaggio attraversato, e il loro adeguamento non può prescindere da un’attenzione ad una trasversalità di relazioni che stabiliscono con i margini più o meno prossimi.
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Regione Abruzzo Piano Regionale Integrato Dei Trasporti- 2006.
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Piani di Emergenza e Piani di Ricostruzione
Mentre l’aeroporto di Preturo, nel piano regionale dei trasporti, viene destinato ad un’attività secondaria prevalente di addestramento volo e poco più, ma di fatto continua a mantenere la struttura di un aeroporto precario.
Infrastrutture deboli Paradossalmente risultano essere quelle che hanno retto meglio all’azione del sisma, e che vengono riscoperte come strutture alternative ad un uso del territorio in fase di emergenza. Di fatto sistemi secondari, sia viari che di reti e servizi, su cui si sono attestati i nuclei insediativi provvisori, generando dei rizomi abitativi, pressoché privi di qualunque relazione con il nucleo di origine, elevando di rango l’infrastruttura sebbene solo per minuscoli intervalli e riversandoli in circuiti e dinamiche d’uso estranee alla loro natura, consuetudine e codice genetico. Questa nuova condizione ha generato dinamiche diverse nell’uso e nella forma dello spazio generando una serie di criticità non solo funzionali, ambientali e sociali ma anche di percezione del territorio e dello spazio. A ciò si aggiunge, la non remota possibilità che gli insediamenti abitativi provvisori, diventeranno permanenti, come permanenti sono le piastre di infrastrutturazione che li supportano (vedi l’esempio di Gibellina) determinando delle permanenze capaci di generare nuove opportunità (o disopportunità) di trasformazione delle infrastrutture.
Il piano di emergenza Da una veloce ricognizione dello stato della strumentazione di emergenza attuata in Abruzzo è evidente che non esiste un piano delle emergenze tale da classificare e valutare l’assetto sia delle risorse esistenti che quelle da programmare, il cui deficit è emerso fin dalle prime ore dell’emergenza sismica. Si intende valutare e comparare l’esperienza abruzzese con quella di altre regioni che hanno predisposto in ottemperanza alla normativa del 2005 (L 152/2005), piani di emergenza, per individuare possibili azioni del progetto e delle criticità infrastrutturali, tali da garantire un controllo della processualità ad ogni scala.
Lo stato attuale Appare fondamentale, comprendere come l’emergenza sia anche uno strumento di controllo delle infrastrutture e del territorio tra le cui maglie potrebbero determinarsi fenomeni di modificazione non sostenibile dello stesso mascherata da rigidità normativa, mancanza di conoscenze tecniche e cattiva comprensione della fragilità del territorio relativamente a scale del paesaggio incapaci di assorbire qualunque tipo di trasformazione indotta. Di fatto la regione Abruzzo a tuttora non ha ottemperato alla redazione di uno strumento di prevenzione o piano della Protezione Civile. Prioritario è quindi il censimento della consistenza del patrimonio infrastrutturale, in un’ottica di prevenzione di valutazione della vulnerabilità sismica dei manufatti e delle reti. Non esiste una ricognizione esaustiva dello stato delle infrastrutture, sia viarie che dei sottoservizi, ne esiste un “albo” o censimento sistematico delle manutenzioni o modificazioni che nel tempo le stesse hanno subito.
Esperienze comparative Attualmente solo alcune regioni (Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, trentino Alto Adige e Campania) hanno redatto piani di Emergenza. Questi individuano, per quanto concerne le infrastrutture una serie di azioni che a partire dal censimento quale “primo passo indispensabile nella stesura del piano di emergenza; infatti, gli scenari di rischio ed il modello di intervento sono strettamente connessi alla presenza di edifici vulnerabili o strategici, strade, mezzi e materiali. Nella rappresentazione cartografica, ai simboli che individuano la tipologia delle infrastrutture devono essere associati dei colori che ne identifichino l’utilizzabilità o meno in determinate situazioni di pericolo, valutate per ciascuno scenario di evento; per esempio, una struttura di accoglienza potrebbe essere considerata strategica, quindi disponibile, in caso di rischio incendio boschivo e, viceversa vulnerabile quindi indisponibile, in caso di rischio idrogeologico. Sulle carte degli scenari di rischio tale differenza deve essere evidenziata con la differente colorazione del medesimo elemento” 5 . Anche la Svizzera, nonostante l’ultimo terremoto rilevato risale al 1365 si è dotata di un Piano di Emergenza per le infrastrutture, calibrandolo su una serie di eventi calamitosi molto ampio (alluvioni, sisma, inquinamenti di 5
Regione Lombardia, Direttiva Regionale per la Pianificazione di Emergenza degli enti Locali (L.R. 16/2004 art. 7, comma 11), 2007.
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Piani di Emergenza e Piani di Ricostruzione
falde acquifere, incendi, radiazioni ecc…) su di uno schema di “Protezione delle infrastrutture critiche Secondo rapporto all'attenzione del Consiglio federale” e misure per il periodo 2009-2011
Il ruolo delle infrastrutture di emergenza nei Pdr. Ciò che di fatto appare sconcertante è come nelle”Linee di Indirizzo Strategico per la Ripianificazione del Territorio” 6 non solo non venga assolutamente affrontata la questione, ma di fatto tutte le indicazione atte a strutturare le direttive relative ai PdR ignorino la dimensione del problema, sia a scala locale sia a scala regionale. Un problema centrale per esempio sorge nella classificazione degli edifici strategici, sulla cui definizione e classificazione insidiosa, si nascondono infinite ambiguità interpretative. E se tale difficoltà appare evidente negli edifici diviene magistralmente diabolica nel campo delle infrastrutture e degli spazi pubblici, dove a d una vaghezza della definizione di SUM si associa un’assoluta assenza del ruolo infrastrutturale nella messa in sicurezza, ancor più evidente quando questa assenza si confronta con le modalità di calcolo economico delle risorse necessarie alla ricostruzione, dove non è assolutamente contemplata, se non per piccoli episodi marginali, la valutazione preventiva della piccola e media scala infrastrutturale. Si aggiunga inoltre una mancanza completa dello stato fisico dei manufatti infrastrutturali, che per primi dovrebbero garantire funzionalità strategica in caso di eventi calamitosi. Si ritiene importante individuare all’interno dei Pdr le sequenze necessarie per programmare preventivamente l’emergenza in una fase complessa di ricostruzione di un territorio sicuro.
Bibliografia Libri AAVV (2004), Per una politica industriale delle infrastrutture in Abruzzo, Pescara. Bernard L. (2004), Couleur, Lumiere, Paris, Paysage, Editions du Patrimoine, Monum. Bernard L. (2003), Autostrade e paesaggio, in AAVV, Nuove infrastrutture per nuovi paesaggi, Skira, Milano. Leyrit C. (1994), Autoroute et paysages, Ed. du Demi-Cercle, Paris. Articoli: AAVV, “Infrastrutture e paesaggio”, in KINEO n. 16/1998 Claverie G. (2000), “Le costruzioni di nuovi paesaggi lungo il percorso del TGV", in Architettura del Paesaggio, Inserimento delle infrastrutture nel paesaggio francese, Quaderno 1, Alinea Editrice, Firenze. Lassus Bernard, “La rete autostradale e i nuovi valori paesaggistici”, T&C Trasporti e Cultura, 6, maggio-agosto 2003. Materiali Piano di Emergenza Emilia Romagna Piano di Emergenza Lombardia Piano di Emergenza Friuli Venezia Giulia Piano di Emergenza infrastrutturale Svizzera
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Il Commissario delegato per la Ricostruzione Presidente della Regione Abruzzo, STM- Linee di indirizzo strategico per la ripianificazione del territorio,L’Aquila, 20 luglio 2010 e succ.
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Dalla città evento al rifiuto urbanistico
Dalla città evento al rifiuto urbanistico Fabio Andreassi Università degli Studi di L’Aquila DAU - Dipartimento di Architettura ed Urbanistica Email: fabio@proteoassociati.it Tel. 0862.401965
Abstract Le città periodicamente subiscono traumi di origine naturale (terremoti) e di origine umana (guerre) che ne modificano le caratteristiche morfologiche e funzionali. In tali occasioni vengono rivoluzionate le forme di governo della città e le procedure di trasformazione del territorio urbanizzato ed agricolo. Inoltre nel caso del sisma aquilano del 2009, la perdita di cittadinanza è stata forzosamente imposta dalla Protezione Civile per raggiungere finalità autocelebrative efficientiste a discapito della volontà della popolazione che chiedeva un rapido avvio della ricostruzione. L’Amministrazione Comunale ha aggravato tale quadro con iniziative anarchiche negli effetti, delegittimando se stessa ed il ruolo del Piano. Si forma così una nuova città, definita evento, che contiene al proprio interno parti urbane che producono rifiuti urbanistici che destabilizzano sia la cultura del Piano che il ruolo della politica nella determinazione dei modelli di sviluppo urbano e declassano, infine, il cittadino a semplice abitante spettatore.
Premessa I traumi che colpiscono periodicamente le città causano una serie di “rivoluzioni” settoriali che riguardano principalmente i temi della coesione sociale e del modello di governo, temi strettamente correlati ed interconnessi alle trasformazioni fisiche del territorio. La prima fase emergenziale che può durare diversi mesi, in alcuni casi diversi anni, viene gestita esclusivamente da una architettura istituzionale militarizzata, dove i livelli rappresentativi locali vengono esautorati del potere e del ruolo sia per le umane difficoltà degli stessi rappresentanti e dell’apparato amministrativo, che per la incapacità nell’affrontare problemi straordinari. Ma la struttura centralizzata di governo opera con “maglie larghe” che non hanno ricadute sul livello minimo di controllo operato verso le trasformazioni urbane sia dagli enti locali che dagli abitanti in quanto cittadini. Pertanto si instaura da un lato una macchina amministrativa “alta” che si occupa dei grandi numeri con un approccio muscolare ed efficientista al problema (popolazione assistita, pasti al giorno, personale impegnato), dall’altro un allentamento della coesione sociale da cui derivano approcci individualistici legati al soddisfacimento di bisogni primari da attuare in assenza o sospensione delle regole comuni. Tutto ciò determina una rivoluzione della struttura urbana preesistente con interventi di notevole portata economica concentrati un poco tempo e proposti da 2 attori (il governo centrale e il singolo abitante) posti all’estremità del panorama rappresentativo istituzionale e sociale, rilevando l’assenza delle amministrazioni pubbliche intermedie (ad esempio la Provincia, l’Ente Parco, la Soprintendenza dei Beni Culturali), degli organismi di categoria e dell’associazionismo.
La città evento Tale premessa ha trovato conferma nel sisma abruzzese del 2009, dove la centralità gestionale governativa e della Protezione Civile ha imposto modelli urbani asociali e tipi edilizi autoreferenziali senza tener conto del DNA urbanistico aquilano, caratterizzato, sin dalle sue origini, da una straordinaria partecipazione nella determinazione della propria storia urbana grazie ad un approccio anticentralistico che prevedeva la sommatoria
Fabio Andreassi
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Dalla città evento al rifiuto urbanistico
armonizzata di autonomie urbane ed identità locali, indirizzate verso l’acquisizione dei privilegi della cittadinanza e formalizzata in una visione di città partecipata nella stesura e condivisa nella sua realizzazione. Anche se con modalità diverse, si ripete la triste storia della ricostruzione pesante non partecipata già vista a Monteruscello (Pozzuoli) e Bucaletto (Potenza) in occasione del post sisma irpino degli anni ‘80, con soluzioni imposte dall’alto e giustificate come le uniche capaci di dare una risposta rapida e confortevole al problema della prima casa. Nella sola città di L’Aquila in 15 mesi la Protezione Civile, delegando all’Amministrazione Comunale (in seguito A.C.) la scelta dei terreni da valorizzare e la redazione dei planivolumetrici, ha realizzato circa 5.700 alloggi definitivi, classificati in Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili e in Moduli Abitativi Provvisori. Inoltre circa 4.000 abitanti hanno costruito altrettante “casette” ad un costo unitario medio stimato di 25 mila euro, anche se, per l’assenza di un censimento, il fenomeno non ha una quantificazione e localizzazione certificata. Ambedue i soggetti (Protezione Civile e singoli abitanti) hanno scelto autonomamente i tipi edilizi, i relativi modelli aggregativi ed i terreni agricoli ritenuti più interessanti per l’operazione immobiliare. Il totale dell’investimento è stato di circa 1,1 miliardi di euro. Questa città, definita evento in una recente ricerca (Andreassi, 2012), si contrappone per valori urbani alla città pre-sisma, caratterizzata da una distinzione morfologica e sociale tra la città identitaria murata, la città esterna consolidata nata nel secondo dopoguerra e quella regolamentata, nella sua recente formazione, dall’ancora vigente PRG del 1975. Si rilevano quindi una pluralità di trasformazioni che creano degli scenari nuovi per la vita degli abitanti, anche in virtù di un lasco controllo sociale operato sulle trasformazioni fisiche che hanno interessato il territorio. Tale quadro è stato aggravato dalla decisione della A.C. di consentire la costruzione di ben 4.000 alloggi monofamiliari anche su terreni agricoli, fuori dalle previsioni del PRG e dai regimi vincolistici di natura paesaggistica ed ambientale, formando una nuova città in perenne allestimento e dismettendo il ruolo che il Piano ha nello sviluppo sociale ed urbano. Si tratta della delibera del Consiglio Comunale di L’Aquila n. 58/2009 con la quale si consente ai privati di costruire semplici residenze, dette “casette”, di una superficie massima pari a 95 mq distribuite anche su due piani. Gran parte di queste “casette” attualmente non sono utilizzate per la residenza prima, ma per la seconda o per finalità ricreative. Secondo gli ingenui o rei estensori della delibera, terminata l’esigenza abitativa, i privati a proprie spese devono demolire quanto costruito con fondi propri anche su terreni non edificabili. Questa delibera instaura 7 nuovi scenari relativamente al rapporto tra l’abitante, la città ed il Piano. Primo scenario: la città fluida. Si attua un passaggio da una città “dura” ad una “fluida” dove si destrutturano le forme di coesione sociale garantite dal Piano e che interessano sia le possibilità offerte alle azioni individuali, che i controlli pubblici volti a garantire la conformità al Piano delle suddette azioni, nonché l’adesione ai modelli di sviluppo accettati dalla società. Questa nuova forma urbana non riesce a mantenere la sua struttura diluendosi rapidamente senza trovare stabilità, pertanto non ha il tempo per consolidarsi e non può essere utilizzata per le lunghe strategie di vita individuale da parte dei proprietari, estinguendosi per consunzione. E’ l’ingenuo intento della A.C. che ha rinnegato se stessa destrutturando la coesione sociale rappresentata dalla condivisione quotidiana degli obiettivi del Piano. Secondo scenario: il divorzio. La delibera in questione sancisce il divorzio tra gli interessi pubblici e quelli privati, nonché la delegittimazione della funzione equilibratrice espressa dal Piano. La A.C. rinuncia alla suo ruolo di poter intervenire con efficacia sulle trasformazioni urbane privandosi della capacità di decidere il contenitore tecnico-giuridico entro il quale le azioni dei singoli devono confrontarsi con l’interesse pubblico. La rinuncia al ruolo politico determina un vuoto di poteri che influisce negativamente nei confronti dei rapporti istituzionali con gli altri enti operanti sul territorio. La Istituzione viene delegittimata, pertanto gli abitanti sono sempre di più distanti e distinti da essa. Questo divorzio obbliga il Pubblico ad esternalizzare le proprie funzioni delegando ad altri, privati compresi, le funzioni che riusciva ad assicurare in precedenza. In tale quadro è da inserire anche la decisione di istituire la cosiddetta “filiera” formata da istituti di diritto privato quali Fintecna, Cineas e ReLuis per la istruttoria tecnica ed economica delle richieste di contributo destinate alla ricostruzione degli edifici ed il coinvolgimento di Abruzzo Engineering per la istruttoria edilizia dei singoli progetti. Terzo scenario: la divisione sociale. La progressiva ritirata del Pubblico nel governo del territorio riduce il ruolo di garante collettivo nei confronti dei successi o insuccessi individuali, minando in profondità la coesione sociale. In tale scenario, oltre alle cosiddette “casette”, rientra anche la scelta di frammentare l’intervento pubblico residenziale del progetto C.A.S.E. in 36 aree poste a corona del sistema insediativo, formato, prima del sisma, dalla città alla quale si aggiungevano, in maniera distinta e distante, 35 centri abitati e 15 nuclei abitati. Un ulteriore aspetto destabilizzante è nella diversità di trattamento assistenziale a cui è stata sottoposta la popolazione: la minoranza Fabio Andreassi
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ospitata nei C.A.S.E. e nei M.A.P., mentre la maggioranza è stata lasciata sola alla ricerca delle poche abitazioni libere dotandola solo di un ridotto ombrello difensivo formalizzato da un contributo statale a parziale copertura dei costi di locazione. L’esposizione di parte degli abitanti alle intemperie del libero mercato è contraddetta dalla copertura statale per la restante parte. In tal modo il Pubblico incoraggia la divisione sociale e la competizione tra gli individui, abdicando il ruolo di garante imparziale; la società è sempre più intesa una come rete formata da aste di connessioni e da nodi individuali con una infinità di possibili combinazioni. Tale aspetto rende la A.C. non credibile quando propone il ritorno allo strumento del Piano quale luogo di decantazione dei contrastanti interessi privati. Il Piano per essere condiviso nella sua attuazione deve essere riconosciuto come rete di sicurezza nei confronti delle derive individualistiche. Solo a seguito di questo riconoscimento nasce il coinvolgimento delle risorse private per il raggiungimento degli obiettivi del Piano. Accogliendo la minoranza degli sfollati ed espellendo di fatto 12mila abitanti nei comuni vicinori, ove hanno trovato residenza in maniera autonoma, la A.C. ha destrutturato i valori di cittadinanza. Quarto scenario: la città temporanea. L’abbandono della sequenza pensiero, progettazione e gestione di lungo periodo delle trasformazioni del territorio, con conseguente notevole riduzione delle strutture sociali e del ruolo dei portatori di interesse che consentono alla suddetta sequenza di inserirsi nel processo di Piano, riduce, tale abbandono, sia la credibilità della politica di saper amministrare il territorio, che la credibilità del Piano inteso come contenitore dei processi di sviluppo individuali. Tutto si traduce in una serie di progetti a breve termine che, per loro natura, sono brevemente ripetibili all’infinito e che sono in contraddizione con i concetti di sviluppo e di progresso a medio e lungo termine messi in ordine ed in sequenza dal Piano. Si ha quindi una vita frammentata della città (e dei suoi abitanti) ove vengono demoliti i vecchi processi di conquista sociale, economica e di rappresentazione evergetica dello status acquisito ed attuata tramite la magnificenza degli edifici. Quinto scenario: l’anarchia. La politica e gli amministratori hanno scaricato ai singoli individui la responsabilità di risolvere i problemi derivanti dal sisma, delegando la libertà di scegliere i terreni da valorizzare secondo processi di finanziarizzazione degli interventi edilizi legati alla rendita fondiaria. Il valore che viene esplicitato per dare la possibilità agli interessi individuali di esprimersi al meglio non è la conformità a norme e a forme di coesione sociale rappresentate dal Piano, ma è la temporaneità degli interventi. Il tutto in attesa di un populista che scambia il consenso elettorale con la sanatoria delle “casette”, previo loro inserimento in nuovi processi di recupero urbano, dimenticando gli obiettivi della delibera che, in ultima analisi, risultano essere transitori nei tempi ma anarchici negli effetti. Sesto scenario: la paura ed il voto. Mentre il Piano sottintende una idea di progresso verso una “felicità” riconosciuta, condivisa e maturata dai cittadini, con la delibera comunale n. 58/2009 si è preferito destrutturare l’idea condivisa di città, abolendo ogni demarcazione territoriale per raccogliere una popolazione impaurita, incapace di difendersi in maniera collettiva, lasciando alla singola iniziativa la soluzione ai problemi della città. Si determina così una pericolosa ingiustizia tra coloro che hanno potuto accedere ai benefici speculativi e coloro che ne sono rimasti fuori a discapito di una perduta coesione sociale. Il machiavellico obiettivo della delibera sta nel voler amplificare la paura della insicurezza della propria abitazione, spingendo gli abitanti ad approcci difensivi dove la paura si autoalimenta, demolendo scelte morfo-tipologiche urbane preesistenti (densità 120 ab\ha e prevalenza di edifici in linea) a favore di altre meno accessibili e più dispersive (densità 70 ab\ha e case unifamiliari). Insicurezza e paura sono molto remunerativi in caso di elezioni amministrative considerato il peso delle 4.000 famiglie che hanno beneficiato della delibera in questione. Inoltre si è spostata l’attenzione dalla incapacità dello Stato di garantire pari trattamento a tutti gli aventi diritto (le C.A.S.E. ed i M.A.P. coprono solo il 40% della “domanda”) alla incolumità personale, imponendo tipi edilizi più sicuri e lasciando l’iniziativa alle stravaganze del mercato. Il fatto che le pubbliche politiche assicurative contro le avversità dell’individuo (altrimenti dette Stato Sociale) sono state ridotte dalle stesse Istituzioni, lascia ancora più aperta la questione della legittimazione del Piano come strumento pubblico di raccolta di un nuovo patriottismo cittadino contro le disuguaglianze del ricco mercato della ricostruzione, disuguaglianze che si concretizzano in una lotta intestina tra i fruitori dei benefici derivanti dall’intero sistema della ricostruzione e coloro che ne rimarranno fuori. Infatti il governo cittadino con la delibera in questione ha rigettato le indicazioni del Piano ancora in vigore, rifiutando tutto il sistema protettivo che il Piano stesso sottintende nei confronti della coesione sociale che rappresentava. Ecco perché la A.C. non risolverà nei prossimi anni il problema della proroga o meno della delibera, avendo come unico obiettivo il mantenimento di se stessa attraverso le periodiche fasi delle elezioni. Settimo scenario: la finanza prevalente. La A.C. approfitta del pesante intervento fuori dal Piano per mettere a sistema l’implemento delle entrate fiscali derivanti dalla tassazione patrimoniale della seconda casa. Preferisce soddisfare i propri fabbisogni finanziari anche se ciò va a discapito del corretta gestione della città. Stimando una dimensione media delle “casette” di 60 Fabio Andreassi
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mq composte da 3,5 vani con una rendita catastale di 390 euro, si ha una Imposta Municipale Unica (IMU) di circa 500 euro; estendendo tale valore abbiamo una tassazione complessiva annuale di 2 milioni di euro, dei quali circa il 50% incrementa la cassa comunali mentre la rimanente metà viene incamerata dallo Stato. Inoltre l’introduzione di tali alloggi nel mercato edilizio, finalità non nascosta dei proponenti privati, drogherà la competizione a causa della disuguaglianza del peso della rendita fondiaria nei confronti del patrimonio abitativo esistente. A tutto ciò bisogna aggiungere che il notevole incremento di offerta (tra C.A.S.E., M.A.P. e “casette” ci sono 9.700 alloggi in più a fronte delle 30.000 famiglie residenti e in gran parte proprietarie della propria abitazione) comporterà un notevole decremento del valore degli immobili, bruciando in tal modo i presunti benefici speculativi attesi. Tale overdose di offerta inoltre comporterà il soffocamento del Piano.
Il rifiuto urbanistico In conclusione gli interventi edilizi della città evento determinano un “rifiuto urbanistico” inteso quale insieme di parti di territorio urbanizzato la cui realizzazione è avvenuta fuori dalle indicazioni del Piano vigente, ma a seguito di autorizzazione pubblica, provvisoria, emergenziale e deregolativa. La durata è limitata in una prima fase al soddisfacimento del fabbisogno momentaneamente assente, successivamente al soddisfacimento di altri fabbisogni (elettoralistici, speculativi, finanziari). L’autorizzazione, conseguente alla dichiarazione di emergenza per calamità naturale, non impone vincoli alla libera scelta degli interessi privati riguardanti i terreni da valorizzare. Non entra in tale contesto la quotidiana produzione di edilizia abusiva in quanto è una attività strutturale che in Italia nel corso degli ultimi 60 anni ha prodotto 5 milioni di edifici ed ogni anno il 17% della produzione edilizia complessiva. Dal rifiuto urbanistico deriva il rifiuto del Piano, che nasce dalla delegittimazione operata dal Pubblico verso la cultura del piano. Ogni tentativo di rientro nella gestione ordinaria delle trasformazioni urbane dovrà superare l’indifferenza sociale attualmente esplicitata verso quegli auspicati processi di partecipazione e di condivisione dei sistemi di contrappesi tra gli interessi pubblici e quelli privati tipici di un normale processo di pianificazione.
Bibliografia Libri Andreassi F. (2012), La città evento. L’Aquila ed il terremoto: riflessioni urbanistiche. Aracne edizioni, Roma.
Fabio Andreassi
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Interventi post catastrofe
Interventi post catastrofe Gabriella De Angelis
Universidad Politécnica de Cataluña. UPC. Barcellona, Spagna Email: gabri.deangelis@gmail.com Tel. 347.1761004
Abstract Calamità e disastri naturali sono una costante. Ciò che li rende più o meno dannosi è il rapporto con le forme dell'insediamento. E' possibile costruire strategie rapide, flessibili e soprattutto efficaci per affrontare i primi momenti successivi al manifestarsi dell'evento? E' possibile costruire strategie e soluzioni che siano in grado di risolvere l'emergenza abitativa immaginando contesti alternativi di sviluppo? L’aumento dei danni derivati da eventi catastrofici naturali o il diffondersi di fenomeni antropici migrazionali pone la necessità di dare risposte rapide e sostenibili a domande nuove e diversificate di forme dell'abitare e di uso di parti della città consolidate. Occorre pianificare strategie insediative per l’abitare temporaneo che possano offrire spazi vivibili e di relazione dotati di alta qualità ambientale, architettonica e tecnologica. Il saggio esplora, in relazione a questa finalità, forme insediative e soluzioni costruttive innovative per l'abitabilità transitoria, a partire dal ri-uso e dal ri-ciclo di strutture edilizie e infrastrutture esistenti in prossimità dei centri colpiti o interessati dall’emergenza.
L’emergenza abitativa nelle città contemporanee Nelle città contemporanee, dove si concentra la maggior parte della popolazione, il verificarsi di un evento naturale, anche di lieve entità, si traduce spesso in catastrofe, sconvolgendo l’ordine naturale delle vicende umane. In realtà non è l’evento di per sé che costituisce il rischio, ma è l’uomo che, ignorando gli avvisi della natura, lo trasforma in tale. L’entità del danno dipende, infatti, non solo dalla pericolosità del sito, ma anche dall’esposizione degli elementi potenzialmente investiti e dalla loro vulnerabilità. Il ripetersi ciclico di un evento calamitoso e la progressiva e inconsapevole rimozione della sua memoria storica portano a trascurare lo studio e l’applicazione delle necessarie misure di prevenzione. Gli eventi di eccezionale gravità degli ultimi anni hanno fatto maturare la necessità di mettere in campo strategie d’intervento post-catastrofe atte, se non ad evitare il rischio, almeno a ridurne gli effetti. Per raggiungere questo obiettivo e quindi diminuire i danni alla Comunità, si dovrebbero privilegiare siti a minor pericolosità locale e soluzioni strutturali e funzionali che abbassino la vulnerabilità e l’esposizione. Essendo gli eventi imprevedibili, con un tempo di allerta pari a zero, interessando un ampio territorio e provocando un impatto generalizzato, rischiano di essere totalmente distruttivi. È quindi necessario pensare non solo ad un progetto interscalare, ma anche interdisciplinare, che unisca gli aspetti scientifici con quelli tecnici ed esperienziali, concentrandosi sulla mitigazione del rischio e sulla riqualificazione e rivitalizzazione urbana, sociale ed economica. Nonostante le ricerche e le analisi sul campo consentano di tracciare un quadro generale di riferimento metodologico, le tecniche di mitigazione del rischio non sono ancora consolidate e univocamente condivise, ben lontane da divenire un riferimento per la costruzione di un luogo sicuro. Le azioni dovrebbero perseguire, quindi, obiettivi di sicurezza, efficienza, qualità e vivibilità, che sono alla base di un rapporto equilibrato tra scelte insediative ed esigenze della collettività, finalizzate rispettivamente all’ottimizzazione dell’impianto urbano e al potenziamento dei rapporti sociali. Le operazioni da mettere in atto a breve e medio termine devono tendere verso interventi ex-ante di mitigazione e riduzione del rischio, evitando soluzioni rigide e specifiche legate alla contingenza, privilegiando, invece, quelle volte al miglioramento prestazionale del sistema, con particolare attenzione agli aspetti governabili. La questione della governabilità, legata ai fattori di esposizione e vulnerabilità, deve rimandare a strumenti della pianificazione incisivi che prevedano effetti a medio e lungo temine. Gabriella De Angelis
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Interventi post catastrofe
Il concetto di “emergenza” intesa come situazione critica emergente in seguito ad un evento catastrofico naturale come un terremoto, un’inondazione, un’alluvione… o ad improvvisi fenomeni antropici quali migrazioni, sfollamenti, delocalizzazioni… pongono l’attenzione sulle strategie di intervento che, superata la prima fase dell’emergenza, favoriscono la realizzazione di habitat temporanei in attesa del ristabilimento delle condizioni quo ante e di nuove condizioni abitative ritenute adeguate e definitive. Gli eventi catastrofici, in aumento a causa del cambiamento climatico e per mutamenti geopolitici, pongono la necessità di dare risposte rapide e sostenibili a domande, nuove e diversificate, di forme dell'abitare e di uso di parti della città consolidata. Il tema dell’abitare temporaneo è da sempre legato all’emergenza abitativa e, solo di rado, in maniera strutturale all’interno di processi di pianificazione ordinaria. Le trasformazioni della città contemporanea, la diffusione di nuovi modi di vivere e di nuove forme abitative, l’affermarsi di nuove forme di mobilità con la diffusione di pratiche nomadiche anche in culture tradizionalmente stanziali come quella europea, lo sviluppo di reti fisiche e immateriali che rendono diversificati e diffusi i livelli di utenza, collocano sotto una nuova luce il tema della temporaneità dell’abitare.
L’housing temporaneo Pianificare l’emergenza suona come un ossimoro, eppure le pratiche del “day after” e gli interventi provvisori, pianificati in seguito a eventi calamitosi, sono forse tra i più deleteri e irreversibili per le comunità colpite e per i territori spesso già disastrati. Tralasciando le primissime fasi post-emergenziali, che sono appannaggio della Protezione Civile e della Croce Rossa, c’è una seconda fase dell’emergenza che non può essere gestita se non attentamente pianificata. Quel “tempo di mezzo”, tra il primo ricovero e il ritorno nella propria abitazione (riparata, ricostruita in sito o fuori sito, restaurata, …), che dovrebbe durare fisiologicamente da tre mesi ad un massimo di tre anni, ma che purtroppo, a causa appunto dell’assenza di pianificazione e di adeguata prevenzione, può durare anche decenni. L’housing temporaneo è definito “provvisorio”, una fase "a tempo" dell'insediamento, in attesa che sia raggiunta una soluzione permanente. Tale fase si stima possa andare da tre mesi dopo l’evento ad un massimo di tre anni (Figura 1). Gli stili di vita, il sistema infrastrutturale, il tessuto urbano, gli spazi pubblici, giocano un ruolo importante nella complessità di una strategia per l’housing temporaneo e vanno considerati come elementi fondanti e non complementari delle strategie progettuali. Dopo un evento calamitoso, la fase della seconda emergenza non può durare più di tre anni. Gli interventi devono quindi avere carattere transitorio (devono cioè consentire agli utenti di transitare da una modalità abitativa ad un’altra) e temporaneo (devono cioè essere smontati dopo l’uso contingente o reimpiegati per altri usi e finalità previste dalla pianificazione urbana). Gli sfollati non devono essere allontanati, per quanto possibile, dal luogo di appartenenza ma messi in condizione di continuare a vivere e a “usare” la città che si rigenera; non è più sostenibile realizzare interventi fatti per durare pochi anni consumando altro suolo, ma occorre pensare a strategie di “ecologia urbana” che puntino al riutilizzo e al riciclo di “materiali urbani dismessi”. Per quanto possa apparire come un paradosso, l’emergenza deve essere “pianificata e progettata”. E’ possibile e necessario, quindi, pensare e pianificare strategie insediative per l’abitare temporaneo che possano offrire spazi abitabili e di relazione dotati di alta qualità ambientale, architettonica e tecnologica, attraverso la realizzazione di interventi che mirino a creare “luoghi” provvisori posti in prossimità delle zone colpite, caratterizzati dalla densità degli spazi abitabili e dalla possibile relazione con gli spazi pubblici della città. L’housing temporaneo è una fase transitoria in attesa di una soluzione permanente. La prossimità di tali insediamenti temporanei ai quartieri e alle parti urbane di origine può consentire alle comunità colpite di partecipare attivamente ai processi di pianificazione di lungo periodo e di riattivare progressivamente la vita sociale ed economica della città. La sperimentazione attuata nella dimensione della progettazione delle unità abitative temporanee dimostra come queste debbano assolvere molteplici funzioni ed essere sia versatili, ovvero concepite per permettere pratiche di autocostruzione, sia rendere possibile il ‘riconoscimento’ delle forme insediative risultanti da parte dei loro abitanti. L'alloggio temporaneo deve quindi soddisfare alcuni requisiti specifici, quali modularità, facilità di montaggio, prefabbricazione, leggerezza, flessibilità, adattabilità, reversibilità, sostenibilità (ambientale, economica e sociale), auto-sufficienza energetica. Il tema della prevenzione del rischio contempla aspetti e problematiche che devono essere tenuti in considerazione nei processi di pianificazione e di governo delle trasformazioni urbane, ambientali e territoriali. La pianificazione dell’emergenza è una fase, o meglio un insieme di fasi, dalla quale è impossibile prescindere. L’ottenuta consapevolezza della dimensione temporale dei processi di pianificazione in situazioni di rischio comporta ad esempio un più corretto approccio al tema dell’housing temporaneo, non solo garantendo che la realizzazione di alloggi provvisori risulti opportunamente integrata (sotto il profilo dell’offerta infrastrutturale, delle condizioni operative, della sostenibilità sociale ed economica) agli altri interventi programmati, ma facendo in modo che, una volta esaurito il proprio compito, quella stessa area che aveva ospitato alloggi provvisori sia
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pronta ad assumere una nuova funzione, coerente con le dotazioni urbanistiche e con i valori immobiliari ormai acquisiti. In tale prospettiva, il tema della progettazione di habitat temporanei sarà collocato all’interno di una visione ampia e problematica che mette in campo programmaticamente la questione del governo del territorio in condizioni di emergenza, che cerca di proteggersi dal “rischio” all’interno di una gamma molto ricca di alternative di intervento. La pianificazione dell’emergenza si pone come “disegno strategico” delle possibili soluzioni progettuali in relazione ai caratteri e alle risorse dei luoghi, agli usi temporanei e permanenti degli spazi, ai tempi della trasformazione ed al rapporto tra emergenza e sviluppo. La necessità di assicurare un adeguato bilanciamento tra le componenti e le fasi di una strategia territoriale che punta, a seconda delle situazioni, alla prevenzione del rischio o al governo di un territorio investito da calamità di origine non necessariamente naturale, implica l’assunzione di un approccio sistematico, ma al tempo stesso anche pragmatico, in grado di coordinare lo svolgimento di approfondimenti specifici e la definizione di adeguati protocolli (operativi, decisionali, tecnico-amministrativi) in una molteplicità di materie o campi di interesse. Tra questi ultimi si segnala: l’individuazione delle problematiche connesse alla messa in sicurezza di uno specifico territorio dai principali rischi che lo interessano (sismico, idrogeologico, ambientale, industriale), anche mediante l’identificazione di parametri/indicatori indispensabili per l’attività di monitoraggio delle trasformazioni e per la valutazione degli effetti prevedibili; l’indicazione delle procedure analitiche necessarie alla elaborazione di una "Carta del Rischio" e di un SIT di supporto scientifico e amministrativo agli Enti statali e territoriali preposti alla tutela del territorio e del patrimonio culturale. In particolare questo Sistema Informativo Territoriale dovrà essere in grado di esplorare, sovrapporre ed elaborare informazioni intorno ai potenziali fattori di rischio, adottando a tale scopo un approccio statistico, opportunamente visualizzato, atto a valutare il livello di vulnerabilità a cui la popolazione e le principali risorse del territorio sono sottoposte; la previsione di linee di intervento finalizzate al risanamento e alla messa in sicurezza del territorio già urbanizzato mediante la programmazione di interventi di demolizione, di demolizione e ricostruzione e di trasferimento di volumetrie a seconda del particolare regime (urbanizzazione spontanea o abusiva, concessione illegittima, ecc.) in cui è avvenuta l’edificazione dei territori a rischio. Queste particolari discipline comportano nella maggioranza dei casi processi radicali di rigenerazione urbana, la cui fattibilità dovrà essere supportata pertanto da una attenta valutazione del contesto normativo, socio-economico e amministrativo in cui potranno svilupparsi; la necessità di promuovere politiche di messa in sicurezza o di ricostruzione di un determinato sistema insediativo implica conseguenze spesso traumatiche per luoghi densamente occupati, che conservano importanti testimonianze degli uomini che lo hanno abitato e trasformato in passato, e che dovranno essere attentamente valutati prima dell’intervento.
Figura 1. Le fasi dell’emergenza Osservando, a titolo esemplificativo, il terremoto de L’Aquila è possibile rilevare, in Italia, un cambio di paradigma in tema di emergenza e ricostruzione. Per la prima volta, saltando la tradizionale strategia di intervento post catastrofe, si è passati dalle tende, fornite dalla Protezione Civile, alle case definitive attraverso il piano C.A.S.E. proposto dal governo (Figura 2). Uno sviluppo satellitare di insediamenti situati lontano dai centri urbani - dove è impossibile raggiungere un livello di densità in grado di generare nuovi usi collettivi dello spazio - sprovvisti di servizi essenziali e spesso privi delle necessarie urbanizzazioni, infrastrutture e reti. Un intervento che, per le sue caratteristiche intrinseche, stenta a far riprendere la vita sociale, economica e produttiva di un’intera comunità.
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Figura 2. Strategia alternativa di intervento a L’Aquila.
Pianificare l’emergenza È necessario individuare nuove strategie di pianificazione per l’emergenza che affianchino al tema della temporaneità quello della flessibilità, presupponendo una risposta articolata ai problemi posti dall’emergenza che contempli una molteplicità di stili differenti di pianificazione e di possibilità progettuali. Le strategie insediative che si intendono sperimentare costituiscono un aggiornamento delle attuali pratiche tecnico-produttive e politico-gestionali per gli interventi provvisori post-emergenziali, una sensibile riduzione dei fenomeni di esclusione sociale generati dalle pratiche correnti in materia di edilizia transitoria, un incentivo in termini di competitività per il settore dell’industria delle costruzioni e della produzione per l’edilizia, settori tradizionalmente trainanti per l’economia di molti paesi europei, ma oggi in forte crisi perché incapaci di immaginare scenari alternativi di sviluppo e nuove forme di innovazione di prodotto e di processo in sintonia con le ragioni della sostenibilità ambientale. La temporaneità di funzioni anche complesse, non solo legate alla residenzialità, è sempre più spesso un dato strutturale delle politiche di trasformazione delle città ad ogni latitudine. Ma l’uso temporaneo di parti di città o di territorio si scontra con i condizionamenti fondiari, con le normative sull’uso del suolo, con l’inerzia funzionale di strutture e infrastrutture e con le resistenze degli operatori economici. Il progetto della città deve confrontarsi con nuovi problemi legati all’abitare, elaborando strategie innovative che si presentano come risposte concrete, perseguibili e sostenibili sotto il profilo economico, ambientale e sociale al tema del degrado delle periferie e di aree interne ma marginali. Non è solo un problema dimensionale e di scala degli interventi: molti progetti si basano su un atteggiamento e una posizione culturale verso la città in cui la costruzione e la trasformazione partono da piccole operazioni, spesso sollecitate e governate dagli stessi abitanti. Si tratta di strategie che riflettono sulle periferie dimenticate, sui margini abbandonati per re-immetterle in uso, senza occupare altro spazio. Strategie che operano attraverso pratiche di ri-uso e di ri-ciclo di edifici, infrastrutture e parti di città in disuso o appena abbandonate per soddisfare nuove esigenze di servizi collettivi, di spazi abitabili e di relazione provenienti da comunità e city users che abitano dentro la città ma si trovano spesso ai margini delle grandi operazioni di trasformazione urbana. Costruire dentro strutture esistenti, dimenticate o da poco abbandonate, che hanno messo radici e stabilito relazioni con l’intorno; operare sull’esistente senza sostituzione ma senza radicamento; occupare temporaneamente un’area in attesa di destinazione o di costruzione, esclusa da progetti o di risulta perché tagliata fuori dalle geometrie dei piani. Questi nuovi atteggiamenti verso la trasformazione “ecologica” e controllabile di spazi urbani di scarto intercettano il tema della temporaneità d’uso dello spazio e contribuiscono a determinare nuove ed interessanti occasioni progettuali per programmare e gestire in modo consapevole le emergenze abitative causate da eventi improvvisi e contingenze di diversa natura che sempre più caratterizzano l’attualità e la quotidianità delle città. La temporaneità si pone quindi come dimensione progettuale che può fornire risposte non definitive ai rapidi ed imprevedibili cambiamenti dei fenomeni urbani, travalicando le fasi emergenziali successive ad eventi catastrofici o contingenti per diventare paradigma della trasformazione “ecologica” e della ri-generazione della città contemporanea.
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Prevenzione e ricostruzione per la riduzione del rischio sismico
Prevenzione e ricostruzione per la riduzione del rischio sismico Giacomina Di Salvo Email: disalvo.giacomina@gmail.com Margherita Giuffré Email: mar.giuffre@gmail.com Piera Pellegrino Email: piera.pellegrino@gmail.com Barbara Pizzo Email: barbara.pizzo@uniroma1.it Dipartimento di Pianificazione, Design e Tecnologia Sapienza Università di Roma Tel.+39.06.4991 9071
Abstract Il contributo sostiene, sulla base di alcune importanti esperienze maturate a livello regionale, che prevenzione e ricostruzione non possano che essere intese come complementari nell’ambito di una politica unitaria e coerente indirizzata alla riduzione del rischio sismico e alla tutela dell’ambiente urbano -della città- inteso nella sua interezza e complessità. Per tale motivo, entrambe necessitano di un ripensamento all’interno di una prospettiva di planning che metta al centro, tenendole insieme, una questione ‘sostantiva’ – ovvero l’interpretazione della città pubblica come luogo in cui si concentrano e si sovrappongono diversi significati e ruoli: di tipo funzionale, relazionale e identitario, e di sicurezza, da considerare nelle reciproche interrelazioni; e una questione ‘procedurale’ – che ripensi criticamente il rapporto tra politiche ‘straordinarie’, di tipo emergenziale, e politiche urbane ‘ordinarie’, che dovrebbero costituirne il quadro di riferimento.
Introduzione Il dibattito disciplinare intorno al rischio sismico urbano pone spesso in contrapposizione, e comunque su binari distinti, gli obiettivi di prevenzione e quelli di ricostruzione chiamando in causa diverse competenze e capacità. Questo contributo si propone di mettere in evidenza come i due momenti, quello della prevenzione, come risposta ai problemi di riduzione del rischio sismico, e quello della ricostruzione, come risposta all’evento, debbano invece essere intesi come complementari nell’ambito di una politica unitaria e coerente. Per tale motivo necessitano di un ripensamento all’interno di una prospettiva di planning che sappia tenere insieme le questioni legate alla prevenzione, attraverso strumenti urbanistici e ai metodi dell’ingegneria strutturale, e quelle riguardanti la ricostruzione, che implicano anche una particolare efficienza amministrativa, fino alla ripresa. La ricostruzione deve pertanto essere pensata nell’ottica della prevenzione e, viceversa, la prevenzione deve tener conto di come assecondare i processi di ricostruzione in caso di sisma. Si tratta di reimpostare una riflessione sulla prevenzione non solo rispetto al danno fisico ma anche rispetto alle procedure della ricostruzione. Più in particolare, ci si propone qui di chiarire cosa significhi concretamente pensare la prevenzione nella ricostruzione, rispetto a tre ‘livelli’ o campi di intervento: quello urbanistico, quello edilizio e quello procedurale. Giacomina Di Salvo, Margherita Giuffré, Piera Pellegrino, Barbara Pizzo
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Prevenzione e ricostruzione per la riduzione del rischio sismico
Sulla base di alcune importanti esperienze maturate a livello regionale, e a fronte di oltre un decennio di sperimentazioni di metodi urbanistici di riduzione del rischio sismico, di confronto e valutazione qualitativa con i metodi strutturali, di riflessione sul loro significato all’interno di piani e programmi urbanistici portati avanti dal gruppo di ricerca del Dipartimento ex-DPTU 1 per la Regione Umbria si propongono tre strade percorribili: per il livello o campo di intervento urbanistico, una soluzione praticabile attraverso strumenti di gestione ordinaria del territorio è quella di introdurre elementi di ridondanza all’interno della Struttura urbana minima (Sum); a livello edilizio, si evidenzia come forme consorziali volte ad assicurare interventi unitari sugli aggregati si siano rivelate più efficaci degli interventi sulla singola unità immobiliare; infine, dal punto di vista procedurale (di procedura amministrativa), vale senz’altro la pena approfondire il tema delle premialità e delle compensazioni. Pertanto, dopo una considerazione generale sulla non-centralità del tema della prevenzione nell’agenda nazionale, e dopo un regesto delle esperienze regionali che più, a nostro avviso, hanno provato a trattare il tema della riduzione del rischio tra prevenzione e ricostruzione, argomentata anche attraverso la produzione normativa, si metteranno in luce gli aspetti nodali della questione, tanto a livello di esperienze concrete quanto a livello di riflessione teorica. Il contributo è così strutturato: 1. Inquadramento del problema: il quadro nazionale e le articolazioni regionali 2. Contenuto e implicazioni operative della produzione normativa regionale (selezione) 3. Alcune strade percorribili: proposte e conclusioni La ridondanza nella Struttura urbana minima Forme consortili e interventi unitari Premialità e compensazioni
Inquadramento del problema: il quadro nazionale e le articolazioni regionali Il tema della ricostruzione sismica si riaffaccia in emergenza nelle agende politiche nazionali ogni volta che un evento sismico colpisce il territorio italiano. Così è stato dal secondo dopoguerra ad oggi, dal Belice nel 1968 fino all’ultimo de l’Aquila nel 2009. Ogni sisma ha visto la definizione di una propria legge nazionale per la ricostruzione, senza che si riuscisse a definire una competenza nazionale, attraverso pochi e fondamentali principi guida che potessero derivare dalle esperienze accumulate nel tempo e che potessero essere utilizzati e adattati per ogni evento catastrofico (Nimis, 2009). Le ricostruzioni che oggi possono essere valutate positivamente sono quelle del Friuli (sisma del 1976) e delle Marche e Umbria (1997), poiché sono riuscite a portare avanti in tempi relativamente brevi un processo di ricostruzione concreto che partisse dal territorio stesso e che restituisse agli abitanti città e territori, secondo la formula del “dov’era e com’era”. All’epoca dell’evento friulano non si parlava ancora di prevenzione, termine e concetto entrati a far parte del linguaggio corrente e della legislazione negli ultimi decenni, con riferimento ai rischi naturali, sismici e idrogeologici. “Prevenzione” assume però spesso un’accezione legata esclusivamente all’operato della protezione civile, e quindi all’interno di un approccio che pone al centro l’emergenza. Diverso è invece pensare alla prevenzione come approccio strutturale volto a prevenire, ad esempio, i danni connessi ai fenomeni sismici con un quadro di strumenti per la ricostruzione che non siano da re-inventare ad ogni terremoto, ma che si possano adattare ogni volta alle diversità territoriali (Nimis, 2009). E pensare alla ricostruzione già come forma di prevenzione. All’interno di questo scenario, ciò che manca a nostro avviso a livello nazionale non è solo una politica – e un quadro di riferimento per la pianificazione – post-sisma, ma anche e specialmente un quadro di riferimento per la pianificazione pre-sisma, dove si consideri la riduzione del rischio sismico a livello urbano come un obiettivo primario. In seguito ad una analisi delle politiche e delle azioni rivolte esplicitamente alla prevenzione si può rilevare che tali contenuti sono ancora deboli nelle normative nazionali. Le ultime proposte di legge nazionali risultano sempre virate sulla ricostruzione emergenziale e post-emergenziale prevedendo essenzialmente interventi di tipo economico-finanziario e fiscale. La prima domanda che ci si pone, quindi, è di cosa e come le proposte di legge nazionale parlano relativamente ai due aspetti (della prevenzione e della ricostruzione), e perché (in particolare rispetto al primo) tendono a rimanere in superficie. Sono state prese in esame le principali leggi emanate negli ultimi anni in seguito ad eventi sismici importanti (la L. n.61/1998 per il terremoto dell’Umbria e delle Marche nel 1997, e la L. n.77/2009 del terremoto in Abruzzo 1
Il gruppo di lavoro del Dipartimento DATA (ex – DPTU), coordinato da M. Olivieri, è composto da: M.S. Benigni, G. Di Salvo, F. Fazzio, F. Fiorito, M. Giuffré, R. Parotto, P. Pellegrino, B. Pizzo.
Giacomina Di Salvo, Margherita Giuffré, Piera Pellegrino, Barbara Pizzo
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nel 2009), e quattro progetti di legge per la ricostruzione dei territori abruzzesi colpiti dal sisma del 2009, presentati alla Camera tra la fine di dicembre 2010 e febbraio 2011, ancora in esame alla Commissione VIII Ambiente della Camera per giungere alla redazione di un testo unificato 2 . E’ stato verificato che lo scopo principale di tali leggi è quello di rispondere con urgenza agli eventi sismici appena accaduti; di conseguenza, la natura dei provvedimenti è mirata a risolvere le immediate questioni legate alla ricostruzione. Non è presente in modo esplicito alcuna misura riguardante la prevenzione sismica da attuare in prospettiva di una gestione ordinaria del rischio. Un aspetto fondamentale che caratterizza la politica del post-terremoto del 1997 è quella di affidare alla legge nazionale la definizione delle opzioni generali e di principio, lasciando poi alle ordinanze ministeriali e commissariali la regolamentazione degli aspetti operativi, così più facilmente articolabili. In particolare la L. n.61/1998 recante “ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi” disciplina esplicitamente gli interventi di ricostruzione nei territori danneggiati dal sisma. Un forte ruolo viene affidato alle Regioni, che assumono la regia dell’intero processo, dalla predisposizione del quadro dei danni e del programma finanziario, alla definizione dei “criteri omogenei” per la pianificazione, la progettazione e la realizzazione degli interventi. Ma uno degli aspetti di maggior rilievo riguarda gli strumenti attuativi, scelta molto rilevante ai fini della riduzione del rischio sismico a scala edilizia, che fa riferimento a “progetti unitari”, riguardanti l’insieme di edifici o complessi di edifici collegati strutturalmente tra loro. Tali strumenti, i Programmi di Recupero, appositamente introdotti dalla L. n.61/1998 e mai adoperati a questi fini prima di allora, vengono redatti dai Comuni e applicati ai centri e ai nuclei in cui i danni subiti dagli edifici superano il 40% del patrimonio edilizio. Questi programmi, in linea con la L. n.179/1992, prevedono l’integrazione della ricostruzione, o del recupero, di edifici pubblici, edilizia residenziale pubblica e privata, e opere di urbanizzazione primaria e secondaria distrutti o danneggiati dal terremoto (cfr. art. 3, comma 1). L’utilizzo dei programmi complessi risulta una buona opzione ai fini della mitigazione della vulnerabilità urbana: gli strumenti che mette a disposizione possono essere interpretati come veri programmi di riqualificazione urbana, e in tale ottica intervengono non solo sugli edifici residenziali, ma anche su quelli pubblici, sulle strade prospicienti, sugli spazi aperti, sulle reti, agendo su parti complesse di città che possono essere riprogettate anche con interventi di una certa rilevanza. I Programmi di Recupero comprendono una varietà di categorie di intervento che vanno dal recupero edilizio alla rigenerazione (demolizione e ricostruzione), coinvolgendo attori pubblici e privati (anche se in questo caso il pubblico interviene in misura più consistente) affrontando il tema della ricostruzione tramite progetti organici di isolati edilizi strutturalmente connessi e rispondendo a necessità di programmazione, con determinazione dei costi e tempi 3 . Nel caso del terremoto abruzzese, la L. n.77/2009 recante “interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile”, tiene insieme disposizioni di varia natura, che vanno dall'apprestamento di moduli abitativi “destinati ad una durevole utilizzazione”, localizzati in aree del territorio comunale anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche (cfr. art.2), alle misure per la concessione di contributi e indennizzi per la ricostruzione e la riparazione di abitazioni private e di immobili ad uso non abitativo (cfr. art. 3). Sono definite poi al capo quarto le “misure per la prevenzione del rischio sismico”, in cui si istituisce un “Fondo per la prevenzione del rischio sismico” nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dove si autorizza una spesa annuale da effettuarsi a partire dal 2010 fino al 2016, ma non si specifica alcuna metodologia o criterio con cui effettuare la prevenzione indicata. Solo lo scorso febbraio tale disposizione è stata esplicitata da un’Ordinanza della Protezione Civile (OPCM) n. 4007 che disciplina i contributi per gli interventi di prevenzione del rischio sismico relativamente all’anno 2011. In particolare è da sottolineare, all’art.18, l’incentivo dato alle iniziative volte al miglioramento della gestione delle attività di emergenza nella fase immediatamente successiva al terremoto: si parla quindi ancora e sempre di emergenza, nonostante si stia ricorrendo a fondi per la prevenzione 4 . In particolare, si riduce del 25% il cofinanziamento del costo degli studi di microzonazione e contestualmente viene aumentato il contributo statale, se vengono svolte le analisi della
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Lavoro svolto all’interno del Gruppo di lavoro nazionale INU “Vulnerabilità sismica urbana”, coordinato da I. Cremonini e V. Fabietti. 3 Come vedremo successivamente, è però solo a livello regionale che queste indicazioni hanno assunto una connotazione maggiormente mirata sia agli obiettivi della ricostruzione che a quelli della prevenzione. E’ interessante notare come la volontà delle singole amministrazioni possa modificare sostanzialmente la natura di uno stesso strumento. 4 E’ da notare come queste iniziative vengano sempre specificate in funzione di condizioni di emergenza, vengano proposte e finanziate dalla Protezione Civile e continuino a ragionare nella prospettiva dell’intervento “straordinario” e mai nella gestione ordinaria del territorio, di fatto deresponsabilizzando le Amministrazioni comunali. Inoltre, sono indicazioni molto schematiche che non hanno un vero risvolto urbanistico, e che dovrebbe essere comunque coordinato meglio a livello amministrativo. Giacomina Di Salvo, Margherita Giuffré, Piera Pellegrino, Barbara Pizzo
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Condizione Limite di Emergenza (CLE) 5 dell’insediamento urbano (cfr. art. 18). Le Regioni determinano successivamente come recepire tali analisi negli strumenti urbanistici e di pianificazione vigenti. La L. n.77/2009 dispone la redazione di “Piani di Ricostruzione del centro storico delle città” 6 al fine di assicurarne la ripresa socio-economica, la riqualificazione dell’abitato, nonché la facilitazione del rientro delle popolazioni sfollate nelle abitazioni danneggiate dagli eventi sismici dell’aprile 2009. Non è un caso che tali strumenti sono inclusi tra le disposizioni di carattere fiscale e di natura finanziaria 7 , poiché si tratta essenzialmente di programmi di spesa, successivamente regolati dal D.L. n.3 del 2010 del Commissario delegato per la ricostruzione Presidente della Regione Abruzzo, per disciplinare gli interventi su centri storici e su centri e nuclei urbani e rurali che rivestono carattere storico e artistico 8 . Particolarmente significativo, a nostro parere, il fatto che questa medesima legge introduce lo strumento delle Zone Franche Urbane (ZFU) 9 , come dispositivo di incentivazione fiscale ed economica per fronteggiare la situazione emergenziale e per agevolare la ripresa attraverso il rafforzamento e inserimento delle attività imprenditoriali sul territorio. Il CIPE ha approvato, su proposta del Ministero dello Sviluppo Economico in intesa con la Regione Abruzzo, la delimitazione della ZFU facendola coincidere con l’intero territorio del Comune dell’Aquila e con l’obiettivo di ricostituire un nuovo tessuto produttivo endogeno capace di garantire opportunità, occupazione ed un’economia sospinta da una nuova e giovane classe imprenditoriale (Pellegrino, 2011). Di questi ultimi giorni la notizia che il Governo, successivamente alla discussione all’interno del parlamento europeo, non finanzierà tale strumento fiscale. E’ comunque indubbio che la L. n.77/2009 si occupi principalmente dell’emergenza abitativa post-terremoto, e che si differenzi in maniera sostanziale dalla legge del 1998 per la ricostruzione emanata dopo il sisma di Marche e Umbria. Successivamente sono stati presentati alla Commissione Ambiente della Camera quattro progetti di legge per la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma, tra la fine di dicembre 2010 e febbraio 2011, per giungere alla redazione di un testo unificato. Una lettura critica e comparativa delle proposte di legge ha evidenziato la debolezza del tema della prevenzione del rischio sismico a livello urbano all’interno di quasi tutte le proposte 10 . Tre delle quattro proposte 11 presentano alcuni elementi di convergenza con la L. n.61/1998. Ma, per quanto riguarda la prevenzione sismica alla scala urbana, l’unico elemento comune sulla vulnerabilità e la riduzione del 5
La CLE è definita come “quella condizione al cui superamento, a seguito del manifestarsi dell'evento sismico, pur in concomitanza con il verificarsi di danni fisici e funzionali tali da condurre all'interruzione delle quasi totalità delle funzioni urbane presenti, compresa la residenza, l'insediamento urbano conserva comunque, nel suo complesso, l'operatività della maggior parte delle funzioni strategiche per l'emergenza, la loro accessibilità e connessione con il contesto territoriale”. Tale analisi comporta: a) l'individuazione degli edifici e delle aree che garantiscono le funzioni strategiche per l'emergenza; b) l'individuazione delle infrastrutture di accessibilità e di connessione con il contesto territoriale, degli oggetti di cui al punto a) e gli eventuali elementi critici; c) l'individuazione degli aggregati strutturali e delle singole unità strutturali che possono interferire con le infrastrutture di accessibilità e di connessione con il contesto territoriale. 6 Cfr. L. n.77/2009 art. 14, comma 5 bis. 7 L’attuazione del piano avviene a valere sulle risorse annuali disposte dal CIPE nell’ambito della dotazione del Fondo per le aree sottoutilizzate per il periodo di programmazione 2007-2013. 8 Gli interventi che i piani individuano all’interno della perimetrazione tengono conto della microzonazione sismica effettuata e mirano alla messa in sicurezza per la successiva ricostruzione, alla definizione di una stima economica degli interventi previsti, all’individuazione dei soggetti interessati e alla costituzione di un cronoprogramma degli interventi con l’individuazione delle priorità. 9 Lo strumento delle ZFU, è stato introdotto in Italia con la legge finanziaria n.296/2006, modificata dalla legge finanziaria 2008 n.244/2007 ma mai finanziato dallo Stato italiano, prevedeva agevolazioni fiscali e previdenziali per rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale nelle piccole imprese di nuova costituzione o esistenti in una specifica area colpita da problematiche di degrado urbano e sociale, delimitata dalle Amministrazioni Comunali (Pellegrino, 2011). 10 Questa comparazione critica tra le proposte di legge qui sintetizzata è parte del lavoro svolto dal gruppo nazionale INU sulla vulnerabilità sismica urbana sopra citato, di cui chi scrive fa parte. 11 1. Nella proposta di legge n.3811 del 26.10.2010 (gruppo UDC): la riduzione della vulnerabilità sismica, e la prevenzione del rischio sismico, è uno dei due obiettivi fondamentali (il secondo è il restauro e ricostruzione del patrimonio pubblico e privato, storico e monumentale). Nella sostanza però la legge si esprime solo su questioni legate all’emergenza e alla sicurezza immediata delle persone e cose, e non affronta la questione in un’ottica urbanistica. Più approfondita, invece, è la parte sulla ricostruzione, dove si affida alla Regione il compito di predisporre un piano strategico per i territori colpiti dal sisma e in base ad esso -come per la legge Marche e Umbria- definire linee guida per la pianificazione, la progettazione e la realizzazione degli interventi di ricostruzione degli edifici distrutti. 2. Nella proposta di legge n.3993 del 27.12.2010 (gruppo misto Radicali e PD) l’attenzione posta alla prevenzione non è solo di carattere formale, in quanto fa esplicito riferimento alla necessità di verifiche speditive finalizzate alla realizzazione di interventi volti alla riduzione del rischio sismico (prevedendo una spesa di 1,5 milioni di euro annui, a Giacomina Di Salvo, Margherita Giuffré, Piera Pellegrino, Barbara Pizzo
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rischio sismico alla scala urbana è il riferimento alla microzonazione sismica, per la quale tutte e tre le proposte di legge prevedono l’attuazione di indagini urgenti 12 .
Contenuto e implicazioni operative della produzione normativa regionale Si deve perciò constatare che, rispetto alla produzione normativa nazionale, come esplicitazione di un orientamento culturale che non mette al centro la prevenzione, e di un approccio essenzialmente orientato all’emergenza, a nostro avviso problematici e non risolutivi dei temi del rischio sismico a scala urbana, ci sono invece a livello regionale delle esperienze che sono riuscite a rispondere agli eventi sismici con leggi adeguate, in particolare perché in grado di tenere insieme la prevenzione e la ricostruzione. Come anticipato nel paragrafo precedente, la L. n.61/1998 per le Regioni Marche e Umbria è stata attuata con leggi, delibere e regolamenti molto mirati all’obiettivo della riduzione del rischio sismico, sia nella fase di prevenzione che nelle metodologie di ricostruzione. Le Regioni hanno definito gli indirizzi vincolanti e i criteri omogenei a cui i Comuni dovevano attenersi per l’individuazione dei centri da perimetrare e da sottoporre a Programmi di Recupero. Oltre al criterio del danno superiore al 40%, ogni Regione ha specificato criteri diversi, che hanno portato a differenti soluzioni e contributi al tema dell’integrazione tra prevenzione e ricostruzione. In particolare nella Regione Marche, in una successione di provvedimenti, ha individuato una strada originale che ha reso possibile l’analisi e la valutazione della vulnerabilità urbana, e quindi la realizzazione di interventi mirati alla sua mitigazione, almeno sul 40% dei Programmi di Recupero approvati. La L. n.61/1998, che subordinava gli interventi di ricostruzione alla redazione dei Programmi di Recupero, ha permesso di governare con molta attenzione le trasformazioni e le ricostruzioni necessarie, in particolare rispetto a tre aspetti: 1. Per la ricostruzione e la prevenzione del rischio sismico, è stata emessa una Delibera della Giunta Regionale, la n.198/1998, in cui si stabilivano criteri aggiuntivi per la perimetrazione dei centri da sottoporre a Programma di Recupero oltre quello stabilito dalla legge relativo al livello di danno del 40% del patrimonio edilizio: i centri maggiori (con più di 2000 abitanti) dovevano individuare aree ampie, corrispondenti a zone censuarie, con strade e spazi pubblici, edilizia residenziale, opere di urbanizzazione, almeno due edifici pubblici danneggiati o distrutti, oppure due edifici d’uso pubblico, o con vincolo monumentale, in tal modo permettendo di avere a disposizione aree complesse e atte a svolgere una vera analisi di vulnerabilità urbana (secondo i criteri della Regione Emilia Romagna); nella perimetrazione dei centri minori, si privilegiavano criteri legati agli aspetti storico-monumentali, paesaggistico-ambientali, di occupazione del patrimonio edilizio, di disagio delle famiglie residenti, e si sottoponevano spesso alla redazione di piani attuativi per poter approfondire le modalità di intervento che il PRG vigente non specificava13 . 2. Nonostante i contenuti minimi dei PR 14 non rendesse obbligatoria l’analisi della vulnerabilità sismica urbana, nella fase progettuale sono stati introdotti criteri per la mitigazione dell’esposizione degli edifici pubblici e strategici, il miglioramento dell’accessibilità dei mezzi di soccorso, l’individuazione delle vie di fuga. Inoltre, con successive ordinanze 15 si è specificato come affrontare la progettazione degli “interventi unitari”, prendendo a riferimento la metodologia di analisi e di rilievo sperimentata dalla Regione Emilia Romagna nell’ambito dei propri programmi per il recupero dei centri storici (D.C.R. n.1036/1986 e L.R. Emilia Romagna n.6/1989). partire dal 2011) e di piani di investimento finalizzati alla prevenzione e all’educazione/formazione delle popolazioni locali. Vengono inoltre previste agevolazioni fiscali per i privati che mettono in sicurezza gli immobili in via preventiva. 3. La proposta di legge n.4107 del 21.2.2011 (gruppo PD) assume come riferimento generale la legge del 1998: considera la scala urbana e territoriale nella ricostruzione, in particolare nella predisposizione degli interventi attraverso progetti unitari sugli aggregati e non sui singoli edifici, e di un piano di interventi urgenti per i dissesti idrogeologici. La prevenzione è però affidata alla predisposizione di linee guida, in collaborazione col Ministero dell’Interno, dedicate a ridurre i rischi alle persone, e per l’educazione nelle scuole e la formazione nell’ambito dell’amministrazione pubblica, mentre non c’è ancora attenzione per la prevenzione sismica dal punto di vista urbanistico. La quarta, in cui non si riconosce tale convergenza con gli obiettivi precedentemente espressi dalla legge del 1998, è la proposta di legge n.4675 del 6.10.2011 (Cicchitto ed altri), "Disposizioni per accelerare la ricostruzione nel territorio della regione Abruzzo colpito dal sisma del 6 aprile 2009”. 12 E’ da notare però che non sempre la microzonazione sismica risolve le questioni legate alla vulnerabilità urbana, né tantomeno a quella edilizia, se non sono correlate con altri studi più approfonditi sulla storia sismica locale, sulle vulnerabilità edilizie e sull’esposizione degli edifici e delle reti. 13 Le modalità di attuazione dei Programmi di Recupero avvengono infatti con modalità dirette, in linea con gli strumenti urbanistici vigenti, o tramite piano particolareggiato in Variante al PRG approvato con la procedura dell’Accordo di Programma (art. 27 L. n.142/90). 14 Individuati dalla D.G.R. n.1224/1998. 15 D.G.R. n.2347/1998 e D.G.R. n.2976/1999. 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3. Altro aspetto importante nell’attuazione di tali strumenti sono stati gli incentivi e i finanziamenti offerti anche ai proprietari degli edifici non danneggiati, purché appartenenti ad aggregati edilizi da ricostruire, in modo da poter svolgere un intervento unitario più proficuo ed efficiente possibile, proprio nella prospettiva della prevenzione. Nonostante non fossero obbligatorie, circa il 40% dei 95 programmi ha affrontato il tema della vulnerabilità sismica urbana, sollecitato fortemente dal Comitato Tecnico scientifico e dall’Ufficio Regionale Programmi di Recupero. L’uso di questi programmi ai fini della riduzione del rischio sismico può essere considerato soddisfacente sia per aver introdotto interventi specifici di riduzione della vulnerabilità urbana, sia per aver contribuito alla qualificazione degli operatori edilizi e dell’amministrazione nel campo sismico: un risultato importante in direzione dell’aumento di competenze e capacità. Anche la Regione Umbria è considerata esemplare, sia per l’esperienza maturata con i Programmi Integrati di Recupero – PIR (ex n.61/1998), interpretati qui in modo leggermente diverso rispetto a quanto avvenuto nelle Marche, sia per la successiva emanazione della L.R. n.11/2005 che prescrive l’inserimento nei PRG di obiettivi e strumenti per la riduzione del rischio sismico alla scala urbana, integrando di fatto pianificazione e prevenzione. Nella Regione Umbria il compito affidato ai comuni dalla L. n.61/98 di redigere i programmi di recupero è stato attuato tramite il Regolamento regionale n.15/1998 16 che stabilisce le linee guida per la perimetrazione dei centri e dei nuclei 17 . Successivamente la Regione Umbria ha compiuto un passo decisivo in direzione della prevenzione nella (e attraverso la) pianificazione. Infatti, la L.R. n.11/2005 prescrive l’integrazione degli obiettivi e degli interventi per la riduzione di vulnerabilità sismica a scala urbana con gli strumenti di pianificazione e nello specifico nel PRG – sia nella fase strutturale che operativa – da attuare eventualmente anche con programmi attuativi e settoriali. Nell’art.3, comma 3, introduce nel processo di formazione del PRG, il concetto di Struttura urbana minima (Sum) da realizzare sia tramite il PRG nella parte strutturale come in quella operativa, ed anche attraverso gli altri strumenti urbanistici e programmi attuativi e settoriali. La Sum è definita come “il sistema di percorsi, spazi, funzioni urbane ed edifici strategici per la risposta urbana al sisma in fase di emergenza, e per il mantenimento e la ripresa delle attività urbane ordinarie, economico-sociali e di relazione in fase successiva all’evento sismico”. La Sum costituisce il sistema essenziale per la tenuta dell’organismo urbano, anche in seguito alla possibile concatenazione di eventi collaterali causati dal sisma (incendi, frane, dissesti e fenomeni idrogeologici, ecc.). Dalla definizione di Struttura urbana minima discende che al suo interno non possono esistere elementi ‘aggiuntivi’ o ‘secondari’; per definizione, appunto, la struttura comprende le componenti minime indispensabili, nessuna delle quali può essere sottratta senza comprometterne il funzionamento complessivo (Figura 1). La Sum è, insieme, una categoria analitica e di progetto: rispetto alla risposta urbana all’evento sismico, infatti, legge e interpreta l’esistente, considerando anche le trasformazioni previste o consentite dagli strumenti di pianificazione, e rispetto ad entrambi, si ‘dimensiona’ e si organizza, anche prevedendo il necessario miglioramento o potenziamento di funzionalità. Il suo contenuto è, perciò, eminentemente previsionale 18 . La Struttura urbana minima costituisce parte integrante del PRG poiché l’individuazione delle componenti che la costituiscono è finalizzata a definire un insieme sistematico di azioni e interventi urbanistici strategici e integrati, sia pubblici che pubblico-privati, che devono far parte dell’ossatura delle previsioni di Piano: di conseguenza le scelte dello strumento urbanistico comunale devono essere definite anche dall’intento di migliorare il comportamento urbano sotto sisma e in fase di ricostruzione. 16
Cfr. Regolamento regionale n.15/1998 “Eventi sismici del 26.9.1997 e giorni successivi in Umbria e Marche” – Linee guida per la perimetrazione dei centri e nuclei e criteri per la predisposizione dei programmi di recupero di cui all’art. 3 del decreto legge 30 gennaio 1998, n. 6, convertito con modificazione nella legge 30 marzo 1998, n. 61. 17 Secondo il regolamento tali centri e nuclei sono definiti di "particolare interesse" qualora presentino caratteristiche riconducibili al valore storico-monumentale, paesaggistico-ambientale, socio-economico, disagio conseguente al terremoto. Costituiscono comunque centri e nuclei di "particolare interesse" quelli nei quali gli edifici distrutti o gravemente danneggiati superino l’80 per cento degli edifici esistenti. 18 Cfr. Regione Umbria - DPTU- Dipartimento di Pianificazione Territoriale e Urbanistica, Sapienza Università di Roma. Gruppo operativo per le Linee Guida: F. Fazzio, M. Olivieri (Coord.), R. Parotto, B. Pizzo, “Linee guida per la definizione della Struttura urbana minima all’interno del PRG – parte strutturale” (dicembre 2009). - Cf. p. 3 - Ricerca Por-Fesr 2007-2013: Linee guida per l’individuazione della Struttura urbana minima e le valutazioni di vulnerabilità urbana. Da anni la Regione Umbria sostiene una serie di azioni per concretizzare i propri obiettivi di prevenzione sismica commissionando al gruppo di ricerca del Dipartimento DPTU (ora DATA) della Sapienza Università di Roma ricerche e studi, anche all’interno di Progetti Europei, che hanno consentito l’individuazione e la sperimentazione di un metodo speditivo per la riduzione della vulnerabilità sismica a scala urbana. Il frutto di tali sperimentazioni è stata la stesura, nel 2009, delle Linee guida per l’individuazione della Struttura urbana minima (Sum) all’interno degli strumenti di pianificazione sopra citate, come previsto dalla L.R. n.11/2005, ad uso dei tecnici delle amministrazioni locali e dei progettisti dei piani urbanistici. Giacomina Di Salvo, Margherita Giuffré, Piera Pellegrino, Barbara Pizzo
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Prevenzione e ricostruzione per la riduzione del rischio sismico
Figura 1. La Struttura urbana minima della Città di Castello e di Gubbio, sperimentazioni per l’individuazione di un metodo speditivo per la riduzione della vulnerabilità sismica a scala urbana.
Per quanto riguarda l’Abruzzo, con i Piani di Ricostruzione, si prova a sperimentare strumenti operativi diretti alla individuazione degli aggregati. Questi rispondono ad obiettivi di mitigazione della vulnerabilità edilizia, ma sono meno efficaci rispetto alla vulnerabilità urbana: in particolare poiché i perimetri individuati per le unità di intervento risultano troppo rigidamente definiti, e pertanto non sempre riescono a trattare le questioni alla scala più adeguata per il raggiungimento di un’azione soddisfacente di mitigazione 19 . La Regione Emilia Romagna, con la L.R. n.19/2008, persegue l’obiettivo della tutela dell’incolumità della collettività introducendo analisi di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione sismica negli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, e in questa linea individua le scelte localizzative, le previsioni e i processi di trasformazione urbana. A tal fine, il quadro conoscitivo degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica mira all’approfondimento delle componenti che determinano il rischio sismico e a fornire criteri di scelta finalizzati alla sua prevenzione e riduzione, secondo un approccio incrementale alle varie scale e ai vari livelli di pianificazione. Gli strumenti di pianificazione urbanistica comunale individuano il grado di pericolosità locale di ciascuna parte del territorio e realizzano la microzonazione sismica definendo così prescrizioni per la riduzione del rischio e fissando per le diverse parti del territorio le soglie di criticità, i limiti e le condizioni per la realizzazione degli interventi di trasformazione. La Regione dispone, inoltre, l’adeguamento dei Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE) da parte delle Amministrazioni comunali alla normativa sismica e alle disposizioni in merito agli interventi sul patrimonio edilizio esistente. Lo scopo di queste disposizioni normative è quello di orientare le scelte urbanistiche di sviluppo verso aree caratterizzate da minore pericolosità sismica e di evitare l’insorgenza di nuovi rischi attraverso la localizzazione di interventi in aree adatte. Il rapporto stretto tra momento della prevenzione e momento legato al post-evento è sostenuto con la D.G.R. n.1661/2009 nella quale la Regione prevede verifiche tecniche per specifiche categorie di edifici di interesse
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Le modalità di delimitazione delle aree di intervento comprendono una o più parti del tessuto edilizio, che si configurano come ambiti urbanistici ed edilizi significativi finalizzati al perseguimento di un insieme di interventi integrati, aventi ad oggetto uno o più aggregati edilizi; sono compresi inoltre ambiti ricadenti in strade o altri spazi pubblici ed includenti, oltre al patrimonio edilizio da ricostruire o recuperare, eventuali opere di urbanizzazione primaria e secondaria (cfr. art. 4, comma 1, DCDR n.3/2010). Tuttavia l’area di intervento contenuta nei perimetri di tali piani è piuttosto restrittiva e non perette di intervenire anche sui territori adiacenti, limitando di fatto le analisi e le proposte di scala urbana più ampia.
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strategico (strutture amministrative, sanitarie e edifici caratterizzati da affollamenti significativi) e opere infrastrutturali la cui funzionalità è rilevante ai fini della sicurezza urbana.
Alcune strade percorribili: proposte e conclusioni Le diversità che emergono a livello regionale, determinate dai contesti specifici, anche e specialmente di pianificazione, fanno emergere ancora una volta la necessità di una legge quadro che sappia fissare pochi ma fondamentali criteri all’interno di una prospettiva di prevenzione che ponga al centro insieme il territorio, la città e i suoi abitanti. Al contrario, si constata una produzione legislativa nazionale sempre nuova che continua a mettere al centro il tema dell’emergenza piuttosto che quello della prevenzione, e che in un evidente “deficit di cumulazione di conoscenza”, sembra non considerare le esperienze precedenti (neppure quelle che si sono dimostrate particolarmente positive, efficaci e con forte potenziale rispetto al trattamento del tema del rischio sismico a scala urbana): rispetto a questa restano ancora molte perplessità. La comparazione critica tra le diverse esperienze regionali e il confronto con l’esperienza diretta maturata come attività di ricerca-azione per la Regione Umbria ci permette di proporre qualche riflessione di sintesi e alcune strade percorribili per provare a trattare (più) efficacemente il tema del rischio sismico urbano. Si tratta di tre possibili modi, ciascuno riferibile ad un livello di intervento diverso. In particolare: 1) il concetto di ridondanza nella Struttura urbana minima può essere utile per affrontare il tema della riduzione del rischio a livello urbanistico; 2) il ricorso e la promozione di forme consortili e di interventi unitari possono essere utili per trattare il tema a livello edilizio, mentre 3) l’utilizzo di meccanismi (sia urbanistici che fiscali) quali forme di premialità e compensazione possono avere un senso, a livello procedurale, all’interno di un quadro complessivo di pianificazione orientata alla prevenzione anche in fase di ricostruzione. Proponiamo qui alcuni “appunti di lavoro”: 1. La ridondanza nella Struttura urbana minima 20 : “Per assicurare un miglioramento della funzionalità della Sum potrebbe essere utile prevedere la ridondanza di alcuni suoi elementi. Con il concetto di ridondanza si esprime qui la capacità del sistema di rispondere all’evento sismico (particolarmente, nella fase di emergenza e in quella immediatamente successiva all’evento), anche nel caso di collasso di una delle sue componenti. Il sistema deve essere ridondante per due ragioni principali: l’ampiezza e la varietà di situazioni a cui il sistema urbano potrebbe trovarsi a rispondere, che si può sintetizzare nell’incertezza rispetto all’evento sismico e alle possibili concatenazioni con altri eventi collaterali indotti; l’incertezza rispetto al comportamento del sistema che, ai fini della sicurezza, deve sempre essere considerato come caratterizzato da margini di imperfezione. In presenza di particolari criticità o incertezze riguardo la tenuta di un elemento appartenente alla Sum, è necessario prevedere un certo numero di elementi equivalenti dal punto di vista della risposta al sisma. Gli elementi ridondanti – essenziali al pari degli altri – sono pertanto quelli generalmente riconosciuti o introdotti in fase di pianificazione, per assicurare il funzionamento della Sum in caso di crisi di altri elementi particolarmente sensibili: in questo modo la Sum nel suo complesso può continuare a funzionare. Ad esempio, si consideri un centro urbano in cui la percorribilità interna e i collegamenti con l’esterno possono essere assicurati o da un unico percorso principale esistente, o da una rete di percorsi minori che, nel loro insieme, assolvono la stessa funzione, o ancora da un nuovo percorso di progetto. Nel caso in cui il percorso principale esistente presenti elementi di criticità non facilmente eliminabili, la rete di percorsi minori o il nuovo percorso entrano a far parte della Sum come elementi ridondanti” 21 . La “ridondanza”, intesa come “la capacità del sistema di rispondere all’evento sismico (particolarmente, nella fase di emergenza e in quella immediatamente successiva all’evento), anche nel caso di collasso di una delle sue componenti”, emerge quindi come carattere necessario per rispondere alla varietà di incertezze presenti in caso di sisma: l’incertezza rispetto all’evento sismico e alle possibili concatenazioni con altri eventi collaterali indotti, e l’incertezza rispetto al comportamento del sistema (Figura 2). Sia in fase di pianificazione che in fase di ricostruzione si potrebbe, ad esempio, porre particolare attenzione alla possibilità di modellare e pensare la rete degli spazi pubblici in modo che abbia, oltre alla propria valenza
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Il concetto di “ridondanza” in riferimento alla Struttura urbana minima (Sum), è stato elaborato dal gruppo di ricerca exDPTU (cf. nota 1) negli anni di sperimentazione della Sum come categoria interpretativa e progettuale promossa dalla Regione Umbria. Questo concetto è stato approfondito in particolare per la redazione delle Linee Guida, dalle quale è tratta la definizione qui riportata.
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Cfr. “Linee guida per la definizione della Struttura urbana minima all’interno del PRG…”, cit., p. 6.
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urbana, anche un ruolo di rafforzamento del funzionamento della Sum attraverso l’introduzione di elementi ridondanti. Alcuni esempi sono presentati attraverso schemi.
Figura 2. La ridondanza nella Sum, intesa come la capacità dell’organismo urbano di rispondere all’evento sismico. 2. Forme consortili e interventi unitari: Queste sono state sperimentate, in particolare, nella Regione Umbria (attraverso i PIR), e nella Regione Marche. Si tratta di privilegiare, con apposite politiche e meccanismi, quegli interventi sul patrimonio edilizio che partano da valutazioni di tipo strutturale piuttosto che dalle singole unità immobiliari, considerando in particolare connessioni strutturali e interrelazioni tra le diverse parti di un edificio o aggregato edilizio. 3. Premialità e compensazioni: Questo tema, strettamente connesso al precedente, dovrebbe essere riconsiderato all’interno di un approccio ‘strategico’ – che superi definitivamente quello ‘a pioggia’: attraverso politiche e meccanismi urbanistici o fiscali si potrebbero creare condizioni per ottenere, da ciascun singolo intervento, maggiori benefici collettivi. Gli accordi che si potrebbero sperimentare sono molti, e potrebbero arrivare alla possibilità di favorire il trasferimento di cubatura, nel caso in cui un’unità immobiliare non sottoposta ad interventi adeguati di recupero fosse riconosciuta come pericolosa per l’aggregato o per la parte di insediamento all’interno del quale è localizzata – se questo di dimostrasse utile o necessario alla riduzione del rischio a scala urbana. Altri incentivi potrebbero riguardare la possibilità di rendere accessibili alcuni spazi o percorsi, nell’ottica di assicurare forme di ridondanza sopra accennate. E’ piuttosto evidente che i tre diversi tipi di azioni, corrispondenti ai tre distinti livelli, i quali devono essere pensati e attuarsi nei due momenti della prevenzione e della ricostruzione, presentano delle sovrapposizioni irrinunciabili, che dimostrano della necessità concreta e operativa (oltre che culturale e metodologica) di un approccio davvero “integrato”.
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Riferimenti normativi Legge finanziaria n.296/2006, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) Legge finanziaria 2008 n.244/2007, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008) Legge n.142/90, Ordinamento delle autonomie locali Legge n.179/92, Norme per l'edilizia residenziale pubblica Legge n.61/1998, recante ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi Legge n.77/2009, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile Proposta di legge n.3811 del 26.10.2010 (gruppo UDC) Proposta di legge n.3993 del 27.12.2010 (gruppo misto Radicali e PD) Proposta di legge n.4107 del 21.2.2011 (gruppo PD) Proposta di legge n.4675 del 6.10.2011 (Cicchitto ed altri) Legge Regionale Umbria n.11/2005, Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale Legge Regionale Emilia Romagna n.6/1989 Legge Regionale Emilia Romagna n.19/2008, Norme per la riduzione del rischio sismico Delibera della Giunta Regionale Marche n.198/1998 Giacomina Di Salvo, Margherita Giuffré, Piera Pellegrino, Barbara Pizzo
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Delibera Consiglio Regionale Emilia Romagna n.1036/1986 Delibera della Giunta Regionale Emilia Romagna. n.1661/2009 Delibera della Giunta Regionale Marche n.1224/1998 Delibera della Giunta Regionale Marche n.2347/1998 Delibera della Giunta Regionale Marche n.2976/1999 Regolamento regionale n.15/1998 “Eventi sismici del 26.9.1997 e giorni successivi in Umbria e Marche – Linee guida per la perimetrazione dei centri e nuclei e criteri per la predisposizione dei programmi di recupero di cui all’art. 3 del decreto legge 30 gennaio 1998, n. 6, convertito con modificazione nella legge 30 marzo 1998, n. 61 OPCM n. 4007 del 29 febbraio 2012: contributi per gli interventi di prevenzione del rischio sismico per l'anno 2011
Riconoscimenti Questo contributo è frutto di un intenso scambio tra le quattro autrici, che hanno ormai maturato una consuetudine al lavoro nel campo della prevenzione sismica attraverso metodi urbanistici, e alla riflessione comune sugli esiti delle ricerche condotte. L’introduzione, con l’impostazione dell’argomentazione, e le conclusioni sono stati scritti da Barbara Pizzo, che ha curato anche la revisione generale; Giacomina Di Salvo ha curato il paragrafo dedicato al quadro nazionale, con Piera Pellegrino che ha approfondito in particolare il tema degli strumenti fiscali e degli incentivi, mentre con Margherita Giuffré, ha curato il paragrafo dedicato alle esperienze regionali. Le elaborazioni grafiche sono di Margherita Giuffré e del gruppo di ricerca ex-DPTU della Sapienza. Un ringraziamento a tutti coloro che dentro e fuori l’ambito accademico, condividono con noi l’interesse per questo tema e la cui esperienza specifica continuamente ci arricchisce e ci stimola. Un ringraziamento particolare in questo caso va a Caterina Carocci e a Irene Cremonini alle quali abbiamo sottoposto alcuni specifici nodi di questo contributo.
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Pianificazione dell’emergenza. L’urbanistica nella prevenzione e mitigazione del rischio sismico
Pianificazione dell’emergenza. L’urbanistica nella prevenzione e mitigazione del rischio sismico. Mariano Gesualdi Email: mariano.gesualdi@gmail.com Tel. 328.8728632
Abstract Partito inizialmente con l’intento di proporre una mia personale idea di ricostruzione, da concretizzare in un progetto architettonico/urbanistico integrato con l’esigenze della comunità, mi rendevo conto che il problema principale di un approccio che potrei definire “a valle” del problema era legato principalmente all’assenza di prevenzione nei piani urbanistici ordinari, o comunque di un deficit di essa derivante da molteplici situazioni. La domanda della mia tesi di laurea era: “ è possibile inserire nella pianificazione urbanistica ordinaria a tutte i livelli di governo, strumenti che gestiscano tutta la fase dell’emergenza (pianificazione ex ante, gestione dell’emergenza, gestione ex post), sia in ambito urbano che territoriale e dialoghino bene tra di loro?” Per rispondere a questo mio quesito ho ricercato le esperienze più interessanti, naturalmente a mio modo di vedere, in ambito nazionale, con la precisa intenzione di riattualizzare e integrare eventuali “vecchie buone proposte”, nell’attuale quadro pianificatorio.
Urbanistica e prevenzione sismica Sono trascorsi vent’anni da quando, la prevenzione del rischio sismico è stata introdotta nell’adeguamento e nella formazione degli strumenti urbanistici 1 . Ciò come diretta conseguenza degli esiti devastanti del terremoto irpino del 1980 e più in generale, di un atteggiamento di crescente domanda di sicurezza nei confronti dei rischi naturali e antropici cui continuamente il Paese è sottoposto. Nel frattempo le pratiche urbanistiche si sono arricchite di esperienze con la messa a punto di nuove tecniche, nuove strategie, nuovi elementi riformatori (come i programmi complessi) e leggi regionali di ultima generazione, tutte con l’obiettivo di superare le difficoltà proprie dell’urbanistica tradizionale. Sembra quasi un assurdo che oggi, la gestione del dopo terremoto dell’Aquila ne è l’esempio lampante, la risposta disciplinare è debole a fronte delle molteplici occasioni di rigenerazione e riqualificazione dei tessuti urbani. La prevenzione è affidata prevalentemente alla normativa tecnica sulle nuove costruzioni e ai programmi straordinari di finanziamento per la ricostruzione post-evento piuttosto che a procedure che possano consentire la trasformazione dei contesti urbani in condizioni ordinarie. Se poi pensiamo, che nel post terremoto dell‘Aquila, la competenza urbanistica è stata tolta agli enti locali e centralizzata nelle “mani” del Dipartimento della Protezione Civile, siamo alla negazione non solo degli assunti disciplinare conquistati faticosamente nell’ultimo decennio ma ad un ritorno di “urbanistica impositiva”, non dico di stampo ottocentesco, ma di sicuro che non tiene conto dei governi locali (non dimentichiamo che il governo del territorio è materia concorrente Stato-Regioni) e soprattutto dei cittadini. Nel mese di marzo del ’99, all’incirca allo scadere del quadro comunitario di sostegno 1994/1999, l’allora Ministero del Tesoro lanciava un appello alle amministrazioni dello Stato per la predisposizione degli strumenti e progetti innovativi a valere sui fondi strutturali per l’assistenza tecnica non utilizzati dalle Regioni. L’INU, insieme al SSN 2 , si fa promotore di una ricerca che coinvolge molti ricercatori, coordinati da Walter Fabietti, e diverse sezioni regionali. La sperimentazione tende ad esplorare nuove possibilità d’approccio alla prevenzione e alla riduzione del rischio sismico, partendo dalle procedure di concertazione e dalle logiche integrate dei programmi complessi fino alle nuove ricerca sulla vulnerabilità di area vasta e soprattutto ricollocando al centro 1
L. 10 dicembre 1981, n.741, (Snellimento di procedure di cui alla legge 2 febbraio 1974, n.64), Art. 20, comma 2, “Le Regioni emanano altresì norme per l’adeguamento degli strumenti urbanistici generali e particolareggiati vigenti, nonché sui criteri per la formazione degli strumenti urbanistici ai fini della prevenzione del rischio sismico”. 2 Servizio sismico nazionale Mariano Gesualdi
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Pianificazione dell’emergenza. L’urbanistica nella prevenzione e mitigazione del rischio sismico
della costruzione del piano, e quindi del territorio, i cittadini; una proposta che mirava ad un superamento, oltre che degli aspetti tecnici/progettuali/procedurali consolidati, del ruolo della popolazione, da “destinatario” a elemento “costruttore” di prevenzione, garante di maggiore consapevolezza diffusa e strumento fondamentale per garantire accoglimento e formazione dal “basso”. Nonostante le “enormi” dimensioni del problema rischio sismico nel nostro Paese, le reazioni sono sempre state in chiave di risposta all’emergenza, mai di tipo preventivo, e come appreso soprattutto in riferimento al dopo L’Aquila del 2009, l’approccio, il metodo e le politiche sembravano lontane da una corretta pratica di pianificazione. Scorrendo l’evoluzione legislativa e normativa degli ultimi decenni, si osserva che le nuove leggi in materia, soprattutto quelle regionali, spingono fortemente almeno sul piano teorico verso una transizione dalla cultura dell’emergenza a quella della prevenzione/mitigazione, alla ricerca sempre di maggiore integrazione tra gli atti di pianificazione alle varie scale e le problematiche relative al rischio sismico. Le esperienze di piano a scala comunale specificatamente orientate alla messa in campo di strategie di prevenzione/mitigazione degli impatti del sisma sono ancora limitate. Alla luce di tali considerazioni sembra opportuno proseguire il cammino verso la costruzione di percorsi metodologici attenti a considerare, da un lato, le possibili “concatenazioni” tra diversi fattori di rischio con l’obiettivo di rilevarne possibili effetti sinergici e amplificativi, dall’altro, le possibili catene di danni e guasti che a partire da un evento possono verificarsi, considerando l’insieme dei danni che un contesto urbano può subire a seguito di un evento sismico (da quello fisico a quello funzionale, economico, sociale, ambientale, ecc.) in una prospettiva temporale estesa. 3 E’ mia intenzione approfondire la riflessione sui metodi, sulle tecniche e sulle procedure atte ad individuare e misurare la “fragilità” di un sistema urbano o territoriale a fronte di un evento sismico; fragilità derivante indubbiamente dalle caratteristiche tipologiche, strutturali e tecnologiche dei manufatti (definita come vulnerabilità fisica o edilizia) che lo costituiscono ma, anche, delle relazioni che si instaurano tra molteplici elementi costitutivi del sistema - spazi, attività, attori - definita come “vulnerabilità funzionale”. A queste due va aggiunta un’ulteriore componente di vulnerabilità, quella “ambientale”, molto spesso sottovalutata, ma che incide in modo considerevole sugli effetti derivanti da un sisma; basti pensare alle numerose frane che si sono verificate in Calabria in seguito anche a movimenti tellurici di lieve entità, il cui effetto disastroso è stato amplificato da un problema idrogeologico preesistente sottovalutato. Adeguate indagini urbanistiche possono consentire la preventiva identificazione, anche attraverso metodi speditivi, di “aree critiche” in cui, a parità di condizioni di pericolosità, si riscontra una più elevata concentrazione di patrimonio esposto in termini di vite umane, di manufatti, di attività necessarie al funzionamento della città, di attività economiche o di risorse identitarie. Le prime sperimentazioni urbanistiche in tema di prevenzione e mitigazione del rischio sismico sono della fine degli anni ’80, condotte nell’ambito delle attività del Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti e riguardano l’esposizione delle vite umane e dei beni sul territorio nazionale e la vulnerabilità dei sistemi urbani ed extraurbani italiani. Tali studi, incentrati sull’adozione di un approccio sistemico allo studio dei fenomeni urbani e territoriali, evidenziano inoltre, soprattutto attraverso il concetto di “vulnerabilità urbana”, come il danno fisico dei manufatti sia solo una delle molteplici tipologie di danno che l’impatto di un terremoto determina su un sistema territoriale. Non mancano tuttavia i tentativi d’integrazione tra i due orientamenti menzionati che, alla scala dei piccoli centri storici, hanno dato vita ad esperienze in cui alle metodologie d’indagine urbanistica volte a definire le caratteristiche di esposizione e vulnerabilità del tessuto urbano nel suo complesso si affianca l’indagine sul comportamento strutturale degli aggregati 4 . Nel corso degli anni ‘90, decennio in cui la nostra disciplina ha sperimentato molto da questo punto di vista, la ricerca si è incentrata prevalentemente sui contesti urbani, focalizzando l‘attenzione su: L’affermazione teorica della dimensione “sistemica” e “complessa” dell’impatto del sisma sulla città; La ricerca di modalità operative per la conoscenza delle condizioni di rischio del sistema urbano; La definizione di azioni preventive per la mitigazione del rischio. Rispetto a tali nodi problematici si svilupperanno due principali filoni di ricerca: il primo ha come riferimento l’esperienza condotta dalla Regione Emilia-Romagna e relativa al “Progetto Recupero” attivato con il Programma regionale di sviluppo 1986-1988 (Cremonini, 1994); il secondo, gli studi promossi dal Servizio Sismico Nazionale e dall’INU per alcuni centri storici della Regione Calabria (Caldaretti, 2001). Ulteriore elemento d’interesse è l’applicazione di tali metodi in ambiti urbani di particolare estensione, sia per complessità dell’area di studio sia per l’unicità dei casi; infatti nel territorio italiano sono diverse le città collocate in area identificate ad alto rischio sismico, ma nessuno dei Comuni in questione né tantomeno l’area metropolitana ha predisposto piani di prevenzione del rischio, se non in via del tutto sperimentale. 3 4
Che tenga conto, oltre che del danno immediato, degli effetti differiti e di lungo periodo che un sisma può provocare. Per approfondire: Giuffrè e Parotto, 2002; Lazzari e Vecchietti, 1999; Papini e Parigino, 1999).
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Pianificazione dell’emergenza. L’urbanistica nella prevenzione e mitigazione del rischio sismico
Quando il rischio sismico esprime il confronto fra i diversi livelli di rischio esistenti all’interno di una determinata area di studio è definito come “relativo”, perché dipende da tre fattori (pericolosità, esposizione, vulnerabilità), questo tipo di informazione risulta molto utile nelle indagini e predisposizione di piani d’area vasta di riduzione del rischio sismico. Si parla di “rischio sismico assoluto”, quando i dati esprimono quantità assolute, come edifici distrutti o danneggiati, elementi molto utili per la prevenzione del rischio perché indispensabili per individuare e dimensionare le aree dedicate all’emergenza e per l’identificazione degli scenari di rischio 5 . Tra i parametri di valutazione del rischio, probabilmente è sulla vulnerabilità che bisogna maggiormente soffermarsi per apportarvi innovazioni sia sui metodi di analisi ma anche sui suggerimenti per la mitigazione. Il concetto di vulnerabilità inteso in senso tradizionale “del singolo manufatto” si rivela insufficiente per descrivere le reali condizioni di vulnerabilità di un sistema urbano dove interagisce una variabile indefinita di fattori che contribuisce a determinare il danno complessivo in seguito ad un evento sismico. Nell’ambito della ricerca “Esposizione, vulnerabilità e rischio sismico a Messina”, Giuseppe Fera (1991) sintetizza i parametri di vulnerabilità di un sistema urbano 6 Vulnerabilità fisica dei sistemi spaziali e dei sistemi a rete; valutabile in gran parte attraverso la vulnerabilità fisica dei singoli elementi. Vulnerabilità funzionale, o capacità di un sistema di svolgere a pieno e correttamente la propria funzione anche in assenza di danni ad uno o più elementi. Vulnerabilità economico sociale, o capacità della popolazione residente di far fronte all’emergenza in termini sociali, psicologici e finanziari 7 . Avviare valutazioni di vulnerabilità così in dettaglio all’interno di un sistema urbano, non sempre è realizzabile, non solo per evidenti difficoltà economiche ma anche per l’irreperibilità o per la mancanza dei dati necessari. L’idea di indirizzare le indagini di vulnerabilità sugli elementi “strategici” di un sistema urbano individuandone un sistema “minimo” su cui concentrare gli interventi di messa in sicurezza, diventa un espediente per una risoluzione più agevole e spedita, utile allo stesso tempo per avviare la messa in sicurezza dei centri urbani e definire gli elementi per una pianificazione dell’emergenza. Il limiti degli strumenti, sia strategici che operativi, è la scarsa integrazione fra le diverse discipline che unitamente concorrono allo studio e predisposizione di elementi di prevenzione, mitigazione e pianificazione del rischio sismico; a cui si aggiungono rilevanti difficoltà di attribuzione di competenze della gestione dell’emergenza e della successiva fase di ricostruzione. Un recente approccio urbanistico, invece, si pone in direzione contraria, individuando nella Struttura Urbana Minima (SUM) uno strumento metodologico in grado di dare una duplice risposta sia all’esigenza di recuperare un centro urbano, sia di renderlo preparato ad un evento sismico in termini di gestione dell’emergenza 8 . La definizione della SUM nasce da una duplice considerazione: non esistono risorse sufficienti per mettere in sicurezza l’intero patrimonio edilizio sia pubblico che privato e pertanto, nell’approntare piani e programmi di mitigazione del rischio, è necessario fissare adeguati criteri di priorità per una più efficace allocazione delle risorse disponibili; le capacità d’azione e d’intervento dei pubblici poteri nel campo delle politiche urbane sono maggiori e più efficaci quando riguardano interventi sul patrimonio immobiliare e degli spazi pubblici; gli interventi, invece, sul patrimonio edilizio privato possono essere incentivati, guidati, orientati (solo raramente resi prescrittivi) ma comunque subordinati alla volontà e alla convenienza del privato ad intervenire (G. Fera, 2002). Il metodo della SUM non consiste, quindi, in un ulteriore criterio di valutazione della vulnerabilità urbana ma si colloca a priori, individuando gli elementi su cui indirizzare le valutazioni ed eventualmente gli interventi per la messa in sicurezza. Questa metodologia non ha riscontrato particolare successo, né dal punto di vista applicativo, sono pochi i casi di applicazione sul territorio, né da un punto di vista di discussione meramente disciplinare, basti pensare che si inizia a parlare di SUM negli anni ’90 e non ha mai suscitato particolari interessi, almeno a livello nazionale, non c’è mai stato un avanzamento metodologico/applicativo. Solo recentemente, una sperimentazione coordinata da Adriana Galderisi dell‘Università “Federico II” di Napoli, ha proposto una metodologia (RUE) che attinge sicuramente alle SUM ma da cui differisce in alcuni aspetti, soprattutto in termini di ambiti di applicazione (Galderisi, 2010). Il lavoro svolto su Napoli, rimasta solo una sperimentazione, offre a mio modo di vedere molti spunti interessanti perché riempie il vuoto lasciato dall’applicazione della SUM. L’area metropolitana di Napoli, per dimensioni e complessità, non poteva essere affrontata con la metodologia della SUM utilizzata invece per i piccoli Comuni di Rosarno e Melicucco, da qui l’idea di suddividere il 5
Per maggiori dettagli in merito confrontare G. Fera (1991) e R. De Paoli (2010) Molto simili a quelli individuati da T. Benerjee nel 1981 7 T. Benerjee individua dieci indicatori di vulnerabilità urbana 8 La metodologia della SUM (struttura urbana minima) è filiazione americana, californiana per la precisione; Giuseppe Fera, Walter Fabietti, Giuseppe Imbesi, probabilmente sono stati i primi ad inserire questo tipo di sperimentazione nel nostro Paese. Importanti contributi nel corso degli anni sono stati dati da Caldaretti e Sarlo (2001), Caldaretti (2002). 6
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Pianificazione dell’emergenza. L’urbanistica nella prevenzione e mitigazione del rischio sismico
territorio del Comune di Napoli (dal centro fino ai quartieri collinari Arenella e Vomero) in aree omogenee dal punto di vista geomorfologico e “ritagliate” sulle sezioni censuarie per meglio poter gestire l’enorme mole di dati (in buona parte derivanti dagli archivi ISTAT e da rilievi sul campo). Non potendo intervenire in modo sistematico e uniforme su tutto il centro storico (sarebbe auspicabile su tutto il territorio comunale) come la metodologia della SUM, il gruppo napoletano costruisce una serie di indici (esposizione funzionale, esposizione strategica, esposizione storico-architettonico, vulnerabilità) che da un lato mostrano la concentrazione di elementi a rischio presenti in ogni area e dall’altro quantificano la possibilità di effetti dannosi indotti dall’evento sismico e la concatenazione di più eventi 9 . Questo metodologia permette di individuare delle aree in cui bisogna intervenire prioritariamente, perché a parità d’evento sismico, maggiori saranno gli effetti indotti sull’intero sistema territoriale e più difficile e più lungo risulterà il processo di “ritorno alla normalità” dell’intero sistema (diminuisce la resilienza territoriale). Le due esperienze (SUM e RUE), esposte sinteticamente, possono essere integrate e dare importanti risposte di tipo preventivo al problema del rischio sismico, affrontando la tematica in modo integrato in tutte le fasi dell’evento. Nota dolente delle due metodologie è l’integrazione nella pianificazione vigente, che si articola come sappiamo su tre livelli amministrativi locali – Regione, Provincia, Comune – sulle quali fanno da “quadro” le leggi nazionali (appunto definite leggi Quadro). La legge 225/92 stabilisce che le attività di prevenzione e di mitigazione sono attribuite agli enti locali, con particolare riferimento alla Protezione Civile nei compiti di gestione dell’emergenza (secondo la letteratura di riferimento la fase d’emergenza ha un arco temporale di non più di 72 ore post evento, tempo necessario alla predisposizione delle aree di accoglienza). Allo stato attuale le varie sperimentazioni in questa direzione non hanno trovato pieno riscontro nel quadro di pianificazione, sia da un punto di vista legislativo, sono poche infatti le Regioni che hanno legiferato specificatamente sul tema, e nei pochi esempi “virtuosi” manca una reale applicazione sul territorio, frenata spesso dall’assenza di fondi. L’esperienza di Rosarno e Melicucco ha evidenziato la possibilità di uno strumento strategico-operativo a scala comunale che permette di intervenire in un ottica di “recupero” in senso ampio, la sperimentazione su Napoli ci fornisce elementi per allargare questo discorso ad ambiti più vasti e complessi, concentrando gli interventi di pianificazione-mitigazione su sistemi reticolari (strade, spazi aperti da mettere in sicurezza, lifelines, ecc.) e ambiti omogenei. In questo lavoro si cerca di dare una possibile distribuzione dei compiti e delle competenze per un’ordinata predisposizione dei ruoli e dei programmi; innanzitutto tenendo in considerazione tutti gli attori in gioco: Regione, Province, Comuni.
Livello Regionale La legge regionale urbanistica deve essere considerata come il volano di tutte le possibili politiche di pianificazione che si vogliono perpetrare, e la mitigazione e prevenzione dei rischio sismico non fa accezione. Lo strumento integrato che meglio si pone alla risoluzione del problema è il piano paesaggistico a valenza territoriale, in quanto strettamente dedicato alla tutela del territorio. Nella redazione del piano paesaggistico, e in particolare nella costruzione dei quadri conoscitivi e nell’individuazione degli ambiti, è necessario introdurre analisi d’esposizione e vulnerabilità in modo da individuare ambiti omogenei d’intervento (come fatto nell’area metropolitana di Napoli), che possano meglio indirizzare gli strumenti attuativi di livello inferiore (come la SUM) e stabilire priorità d’intervento. Alla scala regionale può risultare soddisfacente una misura dell’esposizione che identifica i grandi “segni” dell’antropizzazione 10 : gli agglomerati urbani; gli insediamenti produttivi e gli impianti tecnologici di rilievo; le infrastrutture a rete e le vie di comunicazione di rilevanza strategica; il patrimonio ambientale ed i beni culturali di interesse rilevante; le sedi di servizi pubblici e privati, di impianti sportivi e ricreativi, le strutture ricettive e le infrastrutture primarie; Queste informazioni, sono presenti nei quadri conoscitivi regionali, laddove assenti possono essere agilmente integrate; il passo successivo deve essere quello di affiancare ad un’indagine d’esposizione, cioè della quantità e qualità, quella di concentrazione e livelli di strategicità, la vulnerabilità appunto. La conoscenza generale del territorio risulta evidentemente fondamentale, solo una attenta fase di analisi in sede di redazione da parte dell’ufficio di piano può ben indirizzare queste metodologie; dal punto di vista tecnico, 9
Naturalmente la costruzione degli indici è molto più complessa ed articolata, per approfondire suggerisco la lettura di Adriana Galderisi, Città e terremoti, 2010. Che spiega ampiamente e in modo chiaro tutta l’esperienza condotta. 10 In parte proposta già dal DPCM del 29 settembre 1998 Mariano Gesualdi
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visto la consistente mole di informazioni, è consigliabile usare strumenti di analisi spaziali (GIS, Idrisi, Grass) che permettono di gestire al meglio l’elaborazione dei dati. Il livello regionale, per mezzo di analisi d’esposizione e vulnerabilità, individua aree a rischio in cui i piani comunali dovranno costruire la SUM. Naturalmente è auspicabile che tutte le Regioni si dotino di piano territoriale-paesaggistico, o almeno integrino al meglio le due pianificazioni se distinte. In assenza di questo le indicazioni possono essere integrate nei Piani Territoriali Regionali o Provinciali (con declinazioni e istanze diverse dettate dalle leggi urbanistiche regionali), prestando particolare attenzione alle incongruenze rispetto agli altri piani, in particolar modo ai piani della Protezione Civile, non di stampo prettamente urbanistico ma indispensabili ai fini di della gestione della prima emergenza. Un esempio di integrazione da questo punto di vista è la legge urbanistica della Calabria (LUR 19/02) che obbliga i Comuni a individuare le aree di emergenza della protezione civile (sia comunali che provinciali) in sede di costruzione del piano comunale.
Il livello comunale Il depositario degli strumenti strategici-operativi e in particolare della costruzione della SUM non può che essere il piano comunale, sia nella sua parte strutturale-statutaria che in quella operativa. Fornire delle linee guida per l’individuazione della Struttura Urbana Minima può essere un valido contributo per i Comuni, per rendere il più agevole possibile la messa in pratica della metodologia. La costruzione della SUM come strumento integrato persegue congiuntamente sia la messa in sicurezza e il recupero della rete urbana/territoriale individuate come fondativa del sistema, ma anche obiettivi di sviluppo e riqualificazione. Le possibilità che offre questo strumento sono importanti, perché coinvolge tutti gli attori locali, dall’amministrazione comunale, alla protezione civile fino ai cittadini. Innanzitutto l’amministrazioni comunale, in sede di costruzione della SUM si avvale delle competenze della protezione civile, assorbendo così il piano d’emergenza (a questo punto inutile) ottenendo un duplice beneficio: Una semplificazione del piano, che elimina alla radice eventuali problemi di incongruenza con i piani di protezione civile; sono molti i casi in cui si sono verificate diverse destinazioni d’uso per le aree utilizzate dalla protezione civile per i soccorsi, molte volte incompatibili tra loro. Una semplificazione gestionale e di attribuzione delle competenze, che con la dovuta disciplina regionale e delibere comunali, attribuisca alla protezione civile solo ed esclusivamente la gestione della fase dell’emergenza, privandola delle competenze in materia di pianificazione (a partire dalla ricostruzione) che allo stato attuale possiede ed esercita come “protesi” del governo nazionale. La SUM identifica già le operazioni da perpetrare nella fase di ricostruzione, divise in ambiti e orizzonti temporali, non stabiliti dall’alto ma costruiti dall’amministrazione e dai cittadini. L’ultimo e forse più importante attore coinvolto nella metodologia della SUM è la cittadinanza. Da questo punto di vista il riferimento non può che essere il piano sperimentale di recupero antisismico di Rosarno e Melicucco che prevedeva già allora laboratori di progettazione partecipata. La partecipazione è ormai entrata di diritto nelle pratiche di pianificazione urbanistica, sono diversi gli esempi di Leggi Regionali che disciplinano la partecipazione come parte integrante della formazione del piano comunale. Un processo partecipativo è un’operazione complessa che non può essere confusa né con una serie d’assemblee nei quartieri per presentare proposte, o per sentire le attese degli abitanti, né con una serie d’incontri con gli attori principali. Un processo partecipativo finalizzato (o almeno in parte) alla costruzione della SUM con politiche e ad azioni perseguirà i seguenti compiti 11 coinvolgere la comunità locale nella costruzione di una visione condivisa della città che affronti i temi essenziali del processo di trasformazione e riqualificazione; realmente capace di cogliere le diverse dimensioni della situazione locale; utilizzare la conoscenza specifica del territorio da parte degli abitanti, che costituisce una fonte essenziale per la formulazione di un progetto realmente capace di cogliere le diverse dimensioni della situazione locale; contribuire a fare della costruzione del Piano un evento nel quale la comunità, ai suoi diversi livelli, sia effettivamente mobilitata con continuità. 11
Non si vuole entrare nel dettaglio della costruzione del processo partecipativo, cosa assai lunga e complessa, che merita uno studio “ad hoc” a seconda del luogo e della comunità con cui si lavora, come nel caso di Rosarno e Melicucco. La scuola fiorentina di partecipazione è sicuramente un’avanguardia nazionale in questo settore v. G.Paba, C. Perrone, A. Pecoriello.
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I laboratori di partecipazione contribuiranno ad accrescere la consapevolezza del problema rischio sismico nella comunità locale, questo sarà un imponente incentivo alla applicazione di politiche ed azioni in condizioni di “normalità” all’interno della pianificazione urbanistica e territoriale ordinaria.
Il livello provinciale e le aree metropolitane Alla provincia vengono attribuite funzioni di approfondimento delle aree a rischio, individuate tramite l’esposizione e la vulnerabilità a livello regionale, con particolare riferimento alla rete infrastrutturale che risulta di particolare importanza in fase d’emergenza e sono di primo piano nella costruzione della SUM. Le province, occupano un’area geopolitica di dimensioni tali da contenere i territori interessati dal sisma (o al massimo più province), risultando essenziale nel coordinamento della protezione civile e dei Comuni oltre che nel dialogare con i prefetti (cha hanno il compito di mobilitare tutti i corpi e mezzi di competenza nazionale). Un discorso a parte meritano sicuramente le aree metropolitane visto la grande complessità che presentano, soprattutto in termini di rischi, in quanto strettamente legati all’elevata concentrazione di cittadini presenti. La sperimentazione di Napoli, che ha come obiettivo ultimo quello di costruire una Rete Urbana dell’Emergenza e metodologie di valutazione d’esposizione e della vulnerabilità funzionale, era inizialmente orientata a tutta l’area metropolitana napoletana. Effettivamente le aree metropolitane meriterebbero un lavoro specifico, dettato sia da motivi di difficoltà d’indagine che d’importanza per tutta la Regione; inoltre non è da sottovalutare il fatto che diverse sono le aree metropolitane che ricadono in territori classificati ad elevato rischio sismico, come quelle di Napoli, Reggio Calabria, Messina e Catania.
Bibliografia Libri Anzalone M. (2008), L’urbanistica dell’emergenza, Alinea editrice, Firenze. Campo G.(2000), Città e territori a rischio sismico. Analisi e piani di prevenzione civile, Gangemi editore, Roma. Cremonini I. (1994), “Il progetto recupero: finalità e strumenti”, in Vecchi L. (a cura di), Rischio sismico e pianificazione nei centri storici, Alinea Editrice, Firenze. Demartino A. (2000),Valutazione e riduzione del rischio sismico, Falzea Editore, Reggio Calabria. De Paoli R. (2010), Rischio sismico e centri urbani. Verso nuove di pianificazione del territorio e di recupero dei centri urbani, Franco Angeli, Milano. Fabietti W (ed., 2001), Linee guida per la riduzione urbanistica del rischio sismico. Il recupero dei centri storici di Rosarno e Melicucco (a cura di), Edizioni INU, Roma. Fabietti W. (ed, 1999), Vulnerabilità sismica e trasformazione dello spazio urbano, Alinea, Firenze. Fera G. (a cura di, 1991), La Città Antisismica. Storia strumenti e prospettive per la riduzione del rischio sismico, Gangemi Editore, Roma. Fera G. (2002), “La salvaguardia dei centri storici nelle aree ad elevato rischio sismico” in XXII Conferenza italiana di scienze regionali, Reggio Calabria. Frisch G. J. (2009), L’Aquila non si uccide così una città?, Clean, Napoli. Galderisi A. (2004), Città e terremoti. Metodi e tecniche per la mitigazione del rischio sismico, Gangemi Editore, Roma. Nimis G. P. (2009), Terre mobili. Dal Belice al Friuli dal’Umbria all’Abruzzo, Donzelli editore, Roma. Pastorelli E. (1986), La protezione civile oggi, Rusconi Libri, Milano. Segnalini O. (2001), “La costruzione del progetto pilota” in Linee Guida per la riduzione urbanistica del rischio sismico. Il recupero dei centri storici di Rosarno e Melicucco, INU edizioni srl, Roma. Articoli Fera G. (1994), ” La città sicura”, in Urbanistica informazioni, n. 144. Segnalini O. (2001), “Rischio e pianificazione urbanistica” (dossier), in Urbanistica n. 117.
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av) Salvatore Losco Seconda Università di Napoli Dipartimento di Ingegneria Civile Email: salvatore.losco@unina2.it Tel. 347.2427963 Luigi Macchia Email: ing.luigi.macchia@gmail.com Tel. 392.2661042 Pietro Marino Email: ing.pietro.marino@gmail.com Tel. 329.6972120
Abstract I criteri utilizzati per la riduzione della vulnerabilità sismica di un insediamento risultano ancora oggi troppo legati alla scala edilizia (metodo DPC-GNDT) e non interpretano la città come un sistema complesso di spazi adattati. Gli studi condotti sulla Struttura Urbana Minina (SUM), aprono nuove e interessanti prospettive interpretative. Il paper attraverso la comparazione di due metodi (DPC-GNDT e SUM), finalizzati alla valutazione della vulnerabilità sismica, applicati ad un caso di studio emblematico, il comune di Bisaccia (Av), cercherà di evidenziarne potenzialità e limiti nonché il ruolo che può essere attribuito alla pianificazione fisica sia nell’analisi della vulnerabilità degli insediamenti che nella mitigazione del rischio sismico.
Territorio, vulnerabilità e rischio sismico L’Appennino centro-meridionale è senza dubbio una regione a forte pericolosità sismica ma, meno elevata, di altre aree del Mediterraneo. Il territorio italiano è però molto più vulnerabile per l’alta densità di popolazione, per la presenza di centri storici particolarmente estesi, per l’età e le tecnologie costruttive del patrimonio urbanistico/edilizio, queste condizioni innalzano il rischio sismico a valori non più ragionevolmente accettabili. Nella seconda metà del secolo appena trascorso e, nei primi anni del nuovo, eventi sismici di magnitudo Richter non particolarmente elevata, hanno cancellato interi paesi nella Valle del Belice (1968, magnitudo 5,9), nella Valle del Tagliamento (1976, magnitudo 6,5), in Irpinia (1980, magnitudo 6,9), in Umbria (1997, magnitudo 6,1/6,9) e in Abruzzo (2009, magnitudo 6,3/5,8).
La valutazione del rischio sismico Il processo di valutazione del rischio sismico di un’area si avvia con lo studio della pericolosità locale, mediante il quale sarà possibile conoscere l’entità e le caratteristiche degli eventi sismici prevedibili e tutti gli effetti, diretti e indotti. Sulla base di queste conoscenze viene definito uno scenario sismico scelto tra i numerosi possibili eventi che potrebbero colpire l’area di indagine. Le metodologie di elaborazione e correlazione dei fattori che concorrono alla definizione del rischio sismico possono essere molteplici e conducono a risultati differenti. Si parla di rischio sismico assoluto quando la valutazione è effettuata attraverso una stima assoluta dei danni determinati mediante precisi valori numerici come, ad esempio, il numero di morti o feriti previsti, il Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
numero totale di edifici distrutti o danneggiati. La valutazione assoluta del rischio presenta tuttavia alcuni inconvenienti: la maggior parte dei dati cui si fa riferimento, non sono valori certi, ma sono frutto di calcoli probabilistici o statistici, spesso ottenuti con elevati livelli di approssimazione. Per risolvere questo inconveniente è stata introdotta la metodologia di valutazione del rischio relativo. In questo caso il rischio è valutato per confronto tra le varie aree in cui è stato suddiviso il territorio studiato. Vengono definiti dei livelli di rischio indicativi (alto, medio, basso) che vengono successivamente attribuiti alle varie aree in funzione della loro pericolosità, esposizione e vulnerabilità. Molto importante per un’efficace pianificazione territoriale è il concetto di rischio accettabile (As Low As Reasonable Acceptable - ALARA). Appare evidente che un annullamento del rischio sismico su una determinata area sia da ritenersi assolutamente inattuabile tanto per ragioni tecniche e pratiche che economiche. Negli ultimi decenni si sta tentando di transitare da una cultura dell’emergenza ad una della prevenzione che inevitabilmente punta ad una stretta integrazione tra le problematiche connesse al rischio sismico e gli strumenti di pianificazione alle diverse scale. Risultano, peraltro, limitate le esperienze di piano a scala comunale specificatamente orientate alla messa in campo di strategie di prevenzione/mitigazione degli impatti del sisma, soprattutto riferite a grandi aree urbane: situazione di particolare gravità in Italia, atteso che sono numerosi i centri urbani a rischio sismico depositari, tra l’altro, di un rilevante patrimonio di valori storici e culturali. Studi recenti sono orientati alla messa a punto di strumenti conoscitivi e di linee guida per la mitigazione del rischio sismico si devono, alla regione Emilia Romagna, all’ufficio rischio sismico del Dipartimento della Protezione Civile, i primi implementano azioni di prevenzione/mitigazione del rischio sismico all’interno dei Piani di Recupero sulla base di approfondimenti dei concetti di esposizione e vulnerabilità dei sistemi urbani, i secondi mirano all’individuazione della Struttura Urbana Minima (SUM), ovvero l’insieme delle attrezzature in grado di consentire un’efficace tenuta del centro urbano in caso di evento sismico e una condizione di funzionalità residua in caso di emergenza favorendo, nel contempo, un più rapido ritorno alla normalità dell’organismo urbano. La metodologia deve consentire la valutazione del danno temuto per individuare le criticità presenti nel territorio, per definire azioni di programmazione, pianificazione e gestione del territorio nel tempo ordinario e per l’emergenza in modo da favorire l’intervento diretto da parte della protezione civile. Le indagini urbanistiche possono consentire la preventiva identificazione di aree critiche in cui, a parità di condizioni di pericolosità, si riscontra una più elevata concentrazione di patrimonio esposto, in termini, di vite umane, di manufatti, di attività necessarie al funzionamento della città o a fronteggiare una condizione di emergenza, di attività economiche o di risorse identitarie, oppure, di aree in cui si rileva una mancata rispondenza tra la domanda di attività che può generarsi in caso di evento e le caratteristiche di organizzazione spaziale e funzionale del contesto. La metodologia per l’individuazione delle fragilità di un sistema urbano di fronte all’evento sismico, presuppone la messa a punto di un quadro conoscitivo delle possibili interazioni tra i diversi sottosistemi insediativi, infrastrutturali e funzionali, tenendo conto della mobilità per la dinamica degli spostamenti da cui dipendono possibili ricadute in termini di danni sistemici e/o gestionali. A tal fine l’approccio metodologico preso a riferimento è articolato intorno a due obiettivi prioritari: - delineare un metodo speditivo per la misura delle caratteristiche di esposizione e vulnerabilità funzionale del sistema urbano all’evento sismico; - definire una procedura per l’individuazione e l’ottimizzazione della prevenzione e gestione dell’emergenza. A partire dall’integrazione di tali conoscenze sarà possibile disegnare un possibile processo di governo delle trasformazioni urbane in ragione della mitigazione del rischio sismico. Il metodo di lavoro preso in esame consente di: - graduare le priorità di intervento in ambito urbano; - effettuare scelte in materia di destinazioni, intensità e forma d’uso del territorio comunale atte a ridurre gli impatti di un evento sismico; - valutare l’efficacia delle azioni urbanistiche implementate ai fini della riduzione delle caratteristiche di esposizione e di vulnerabilità del sistema urbano; - implementare, in condizioni di emergenza, azioni preventivamente definite nell’ambito di una strategia unitaria di evoluzione del sistema urbano. La città, in quanto organismo unitario, può essere analizzata considerandola organizzata in partizioni urbane viste come sottosistemi di funzioni che consentono, durante la crisi susseguente all’evento sismico, lo svolgimento, anche se a ritmo ridotto, di tutte le attività necessarie alla vita urbana Pertanto la graduazione dei livelli di esposizione del sistema urbano sarà effettuata in relazione: - alle caratteristiche di efficienza delle diverse partizioni urbane, intesa come capacità di ciascuna di garantire l’erogazione dei servizi e lo svolgimento delle attività che sono alla base della vita urbana; - alla funzionalità delle diverse partizioni urbane, riconducibile alla presenza di insediamenti ed attività, che consentono al sistema di far fronte alla fase di emergenza; - alla presenza di risorse identitarie. Questo paper focalizza l’attenzione sulla vulnerabilità funzionale dei tessuti edilizi, intesa come rispondenza dell’organizzazione spaziale del tessuto urbano all’incremento della domanda di attività che si può generare a seguito di un evento sismico nettamente percepito dalla popolazione, anche in presenza di danni lievi o nulli ai Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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manufatti edilizi. Tale caratteristica risulta quindi dipendente dall’organizzazione spaziale del tessuto edilizio: la struttura delle relazioni esistenti tra gli elementi fisici della città, che costituisce la regola di formazione dell’edificato, determina la minore o maggiore propensione alla crisi funzionale, intesa come perdita di accessibilità, riduzione delle possibilità di esodo dall’area interessata o di accesso a luoghi sicuri. La procedura delineata, finalizzata alla misura della vulnerabilità funzionale, ottenuta mediante parametri di tipo urbanistico, presenta caratteristiche tali da renderla applicabile a sistemi urbani di grandi dimensioni, permettendo l’individuazione di partizioni urbane il cui sistema, in ragione delle sue modalità di organizzazione spaziale, potrebbe presentare cadute o perdita di funzionalità, non riuscendo a soddisfare la domanda di attività determinata dall’evento sismico. La misura è effettuata su ambiti territoriali omogenei per epoca di formazione del tessuto edilizio, tipologie edilizie prevalenti, morfologia del territorio e destinazione d’uso prevalente, attraverso due indici parziali il cui prodotto fornisce l’indice sintetico di vulnerabilità (IVF). Il primo indice (IVM) (Tabella 1), in riferimento alle caratteristiche morfologiche del tessuto urbano, misura la regolarità delle diverse tipologie di tessuto. Classe tipologica
Criteri di classificazione IVM
T1 – T2 – T3 T1 – T2 – T3 – T4 T4 – T5 T4 – T5
Maglia viaria con intersezioni perpendicolari Maglia viaria con intersezioni non perpendicolari Maglia viaria con intersezioni non perpendicolari
Geometria dei lotti Lotti a geometria regolare Lotti a geometria quasi regolare Lotti a geometria irregolare
Tortuosità viaria Tortuosità viaria nulla: 1 Tortuosità viaria bassa: 1.35 Tortuosità viaria media: 1.65
Maglia viaria con intersezioni non perpendicolari
Lotti a geometria irregolare
Tortuosità viaria alta: 2
Tabella 1. Attribuzione dell’indicatore IVM per classe tipologica del tessuto edificato Il secondo indice (IVA) fa riferimento alle modalità di aggregazione degli elementi costitutivi di ciascuna tipologia di tessuto utilizzando parametri urbanistici, che ne misurano l’intensità d’uso (densità territoriale, rapporti tra spazi edificati, spazi aperti pubblici e privati, sedi viarie e superficie territoriale dell’ambito di riferimento), e parametri che ne esprimono la forma d’uso (altezze degli edifici, distanze tra cortine edilizie). Una volta individuate le tipologie di tessuto prevalenti, esse sono classificate in quattro classi di regolarità (regolare, quasi regolare, irregolare e molto irregolare) in riferimento al tipo di intersezioni della maglia viaria, alla forma del lotto e al livello di tortuosità della rete viaria. L’indicatore assume valori variabili tra 1, valore attribuito alle UTO classificate come regolari, e 2, attribuito alle UTO costituite da tessuti classificati come molto irregolari. La procedura assegna uguale importanza agli indicatori IVM e IVA nella determinazione della misura della vulnerabilità funzionale. Il secondo indicatore, IVA, è ottenuto come sommatoria di sei indicatori di base, ciascuno di valore variabile tra 0 e 1. Un primo gruppo di indicatori di base da I1 a I4, discretizza l’area oggetto di analisi nelle sue componenti planimetriche fondamentali (spazi costruiti, spazi aperti privati, spazi aperti pubblici, canali della mobilità) e ne misura le modalità di aggregazione attraverso il rapporto di tali elementi con la superficie totale della UTO oppure, a seconda dei casi, con la superficie in essa costruita, mentre l’indicatore I5 è riferito alla densità edilizia territoriale. L’ultimo indicatore di base, I6, è riferito alla forma d’uso della UTO e misura le distanze esistenti tra le cortine edilizie che insistono sui canali della viabilità sia locale sia di livello superiore. I valori ricavati dall’applicazione degli indicatori di base risultano, quindi, eterogenei (Tabella 2). ID I1
I2
Descrizione Rapporto tra la superficie coperta degli edifici (Sc) e la superficie territoriale UTO (St) Rapporto tra la superficie coperta degli edifici (Sa) (corti interne, giardini privati, ecc..) e la superficie territoriale (Sc) della UTO
Formula di misura √(Sc /St )
[1- (Sa/Sc )]2
I3
Rapporto tra la superficie di spazi aperti pubblici (Sp) e la superficie territoriale (St) della UTO
[1- (Sp/St )]2
I4
Rapporto tra la superficie occupata dai canali di mobilità (Sm) e l a superficie territoriale (St) della UTO
[1- (Sm/St )]2
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
I5 I6
Densità territoriale (Dt) espressa in m3 di edificato su m2 di superficie territoriale della UTO
√(Dt/10)
Distanza media espressa in metri (Lm) tra le cortine che insistono sui canali di mobilità
-
Tabella 2. Definizione dei sei indicatori di base e relative formule di misura dell’indice IVA Come in tutte le valutazioni quantitative multicriterio, si rende dunque necessaria un’omogeneizzazione dei valori ottenuti, in questo caso variabile tra 0 e 1. Definiti gli indicatori IVM e IVA, è possibile definire attraverso il loro prodotto, per ciascuna Unità Territoriale Omogenea (UTO), la misura della vulnerabilità funzionale del tessuto urbano, IVF, che assume un valore variabile tra 0 e 12.
Il caso di Bisaccia (Av) Il territorio del Comune di Bisaccia appartiene alla Provincia di Avellino ed è situato in prossimità del margine orientale del territorio provinciale, ai confini con la Puglia e la Basilicata. Dopo il terremoto del 1930, venne edificata Bisaccia nuova a sud delle colline Serroni. Il terremoto provocò gravissimi danni al centro abitato, tanto che si decise la sua delocalizzazione nella zona cosiddetta Piano Regolatore, ma tale iniziativa ebbe scarso successo tra la popolazione che continuò a costruire sia in prossimità del centro storico, lungo la strada di accesso da sud, sia all'interno di esso nelle poche aree libere.
Analisi della vulnerabilità sismica con metodologia DPC - GNDT Tale analisi, utilizzando la cartografia esistente del territorio, simula il livello di vulnerabilità del ricostruito centro storico in funzione della concentrazione di edifici vulnerabili e dei parametri tipologico-strutturali che li caratterizzano. La metodologia DPC - GNDT (Dipartimento della Protezione Civile - Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti) prevede la redazione di quattro analisi cartografiche tematiche connesse: - Cartografia delle coperture e/o degli orizzontamenti - Cartografia dell’altezza degli edifici - Cartografia della distribuzione tipologico-strutturale dell’edificato - Cartografia della vulnerabilità sismica Per la conoscenza della composizione tipologico-strutturale dell’edificato di territori estesi e ad elevato affollamento, dove la raccolta dei dati puntuali risulta onerosa sia sotto l’aspetto economico che temporale, il problema viene affrontato attraverso il riconoscimento aerofotogrammetrico delle tipologie strutturali più frequenti nell’area, secondo una classificazione riconducibile ai comportamenti di risposta sismica degli edifici ed eventualmente assimilabili alle classi tipologiche individuate dalle scale macrosismiche. Il diagramma di flusso (Fig. 1), sintetizza la metodologia DPC - GNDT utilizzata per la simulazione della vulnerabilità sismica del centro storico di Bisaccia. La cartografia tematica risultante (Figura 2) sintetizza la simulazione della vulnerabilità sismica del centro storico del Comune di Bisaccia, con l’utilizzo della metodologia speditiva messa a punto dal Dipartimento della Protezione Civile in collaborazione con il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti - C.N.R. L’analisi di base della metodologia è incentrata prevalentemente sulla caratterizzazione tipologica del patrimonio edilizio, considerando, implicitamente e in modo poco significativo, tutti gli altri fattori ed elementi che contribuiscono alla valutazione della vulnerabilità sismica di un centro urbano. D’altra parte il metodo, propriamente riferito alla scala edilizia, ha lo scopo, nell’immediato, di riferire di zone dove maggiore è la concentrazione di elementi a rischio, in modo da pianificare la priorità degli interventi cui destinare le maggiori risorse per la mitigazione del rischio sismico nelle aree più vulnerabili. Le cartografie prodotte, oltre a fornire gli strumenti di supporto per la redazione dei Piani di Protezione Civile, possono rivelarsi un importante ausilio per intraprendere analisi di sicurezza strutturale di dettaglio delle tipologie edilizie esposte a maggior rischio, allo scopo di definire interventi preventivi di mitigazione sul centro urbano.
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
Figura 1. Valutazione della vulnerabilità sismica del centro storico di Bisaccia (Av), con il metodo DPC GNDT, diagramma di flusso La pianificazione urbanistica, in ragione della complessità del sistema territoriale, può interviene in diverse forme all’interno delle politiche complessive di mitigazione del rischio sismico, soprattutto in termini della dinamica di interazione funzionale delle diverse attività antropiche presenti, assumendo la centralità del recupero e della conservazione dell’integrità fisica del territorio, con l’obiettivo prevalente di salvaguardare la sicurezza della popolazione e degli insediamenti ai rischi. Il metodo denominato urbanistico applicato alla stessa realtà ed esposto nel successivo paragrafo, perviene ad una diversa valutazione della vulnerabilità sismica, considerando tutte le variabili ed i fattori che influenzano il mantenimento delle funzioni dell’organismo urbanizzato nell’evento post-sisma.
Figura 2. Centro Storico di Biscaccia (Av), cartografia tematica della Vulnerabilità sismica complessiva risultante dall’applicazione del metodo GNDT Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
Analisi dei fattori di rischio e valutazione della vulnerabilità sismica alla scala urbana L’analisi dei principali fattori di rischio per l’insediamento urbano in caso di sisma, costituisce il passo successivo alla fase conoscitiva delle informazioni raccolte con le operazioni di rilievo a tappeto, la consultazione e la rielaborazione delle fonti disponibili. In base a questi risultati si caratterizza la Struttura Urbana Minima (SUM), individuando i principali parametri rappresentativi dei fattori di vulnerabilità urbana, ossia di potenziale perdita di funzionalità e di organizzazione complessiva di Bisaccia e dei suoi sistemi componenti in caso di terremoto. Gli obiettivi principali dell’analisi dei fattori di rischio consistono nell’identificazione degli elementi e degli ambiti contraddistinti da maggiore vulnerabilità urbana e la valutazione della loro influenza sui sistemi che costituiscono la SUM. La valutazione della vulnerabilità urbana impostata su questi obiettivi è stata svolta in base ai seguenti criteri: - la raccolta e l’elaborazione dei parametri di valutazione dei diversi fattori di rischio, sono state effettuate basandosi sulle conoscenze acquisite nelle analisi e sono state impostate secondo una procedura di valutazione speditiva, a partire da informazioni di facile rilevazione e su elaborazioni semplici; - l’analisi dei fattori di rischio riguarda l’intero insediamento urbano del centro storico di Bisaccia, suddiviso in quatto ambiti (o zone), per facilitare l’analisi del tessuto urbano e la valutazione degli elementi critici dei percorsi delle strade interne all’edificato urbano; - i parametri utilizzati per descrivere i diversi fattori di rischio sono costituiti da valori numerici, ognuno dei quali associato a situazioni determinate, crescenti al crescere del grado di rischio che rappresentano. L’attribuzione dei valori permette di determinare gli ambiti caratterizzati da livelli più alti dei singoli fattori di rischio e, successivamente, di integrare i singoli fattori per la valutazione della vulnerabilità urbana complessiva del centro storico. La sequenza delle operazioni compiute, suddivise in blocchi, può essere sintetizzata secondo una progressione lineare, anche se in realtà i risultati delle singole fasi sono connessi e i tempi sono in parte sovrapposti: - selezione, raggruppamento ed eventuale integrazione dei dati raccolti durante le analisi e loro ordinamento in apposite schede sintetiche di tessuto e di isolato; - definizione dei fattori di rischio e dei valori dei rispettivi indicatori; - compilazione di tabelle distinte per fattori di rischio, temi, sistemi, ambito urbano di riferimento; - accorpamento e integrazione dei risultati delle diverse tabelle relative ai singoli fattori di rischio nelle tabelle di valutazione della vulnerabilità urbana complessiva; - compilazione delle tabelle e determinazione dei diversi livelli di vulnerabilità urbana; - redazione di cartografia tematica illustrativa dei risultati della valutazione. Mentre la tabella di valutazione della vulnerabilità urbana complessiva costituisce il punto di arrivo del processo di analisi dei fattori di rischio, le prime tabelle, riferite ai singoli fattori di rischio, sono di servizio. In quanto tale, sono considerabili in modo unitario e aggregato, o come riferimento generale da cui estrarre valutazioni di ambiti o temi particolari, ad esempio limitate alla valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture edificate (tessuti, edifici strategici e critici, emergenze architettoniche), o alla criticità dei percorsi. Le modalità di valutazione dei singoli fattori di rischio, per la valutazione della vulnerabilità urbana complessiva, è riferita a gradi di approfondimento e ambiti di indagine impostati sulla conoscenza acquisita sul sito, di buona parte degli edifici, strade e spazi aperti, sulla base dell’individuazione delle caratteristiche dei tessuti delle quattro zone e del loro ruolo all’interno dell’insediamento complessivo. Il metodo si basa sulla definizione dei livelli relativi dei diversi fattori di rischio, ossia vulnerabilità sismica, pericolosità sismica locale, esposizione urbana, questa definita da una serie rappresentativa ma abbastanza limitata di parametri. La vulnerabilità urbana complessiva di ogni tessuto si ottiene come semplice sommatoria dei livelli dei tre fattori di rischio. La procedura consente di individuare sinteticamente ambiti a maggior rischio secondo un ragionevole grado di approfondimento; si tratta di un metodo che può essere impiegato per la valutazione di vulnerabilità urbana in contesti di complessità non rilevante, o come valutazione preliminare in ambiti più complessi. La sequenza delle operazioni da compiere può essere sintetizzata come segue, distinguendo tra elaborazioni di servizio e momenti di sintesi: - Raccolta e organizzazione dati delle analisi registrate - Determinazione dei singoli fattori di rischio tramite le tabelle di servizio: - compilazione della tabella di valutazione della pericolosità sismica locale dei tessuti (riferiti alle quattro zone di studio); - compilazione della tabella di valutazione della vulnerabilità sismica dei tessuti; - compilazione della tabella di valutazione dell’esposizione urbana dei tessuti; - compilazione della tabella di valutazione degli elementi critici dei percorsi e degli spazi aperti; - Valutazione della vulnerabilità urbana complessiva: - sommatoria dei valori di pericolosità sismica locale, vulnerabilità sismica ed esposizione urbana (comprensiva delle criticità dei percorsi e degli spazi aperti) per ogni tessuto e determinazione dei valori relativi di vulnerabilità urbana complessiva; Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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- normalizzazione rispetto al valore massimo relativo e distinzione dei tessuti in classi relative di vulnerabilità complessiva. Lo schema che segue rappresenta il metodo per la determinazione dei livelli relativi di vulnerabilità urbana complessiva delle diverse parti costituenti l’insediamento urbano.
Figura 3. Valutazione speditiva dei livelli relativi di vulnerabilità sismica urbana complessiva dei tessuti, con il metodo urbanistico diagramma di flusso La cartografia tematica risultante sintetizza la simulazione della vulnerabilità sismica del centro storico, applicando il metodo urbanistico o della scala urbana: - Cartografia della suddivisione in zone del centro storico; - Cartografia dell’esposizione urbana del tessuto, con percorsi e spazi aperti; Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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Cartografia della vulnerabilità sismica del centro storico (Figura 4); Cartografia della vulnerabilità urbana complessiva (Figura 5)
Figura 4. Centro storico di Bisaccia (Av), vulnerabilità sismica dei tessuti risultante dall’applicazione del metodo urbanistico Anche se le prime tre carte consentono una lettura autonoma del contesto urbano esse sono di servizio per l’ultima cartografia in cui viene sintetizzata, graficamente, la classe alta dell’indice di vulnerabilità urbana complessiva, parimenti a quanto verificato con la metodologia GNDT.
Figura 5. Centro storico di Bisaccia (Av), vulnerabilità urbana complessiva risultante dall’applicazione del metodo urbanistico.
Confronto tra i due metodi Il metodo GNDT può essere utilizzato come uno studio preliminare per la pianificazione fisica dell’insediamento urbano, dove emerge la necessità di mettere in atto, accanto alle cosiddette opere di difesa attiva, tutte le possibili misure di difesa passiva che attengono alla gestione e alla manutenzione degli insediamenti e che investono la pianificazione territoriale, urbanistica e la protezione civile. In quest’ottica, la conoscenza e la difesa dai rischi, le criticità tipologiche del tessuto edificato, dei percorsi e spazi aperti, della densità abitativa, presuppongono un approccio multilaterale ed interdisciplinare dello studio non solo dell’evento sismico ma anche del contesto urbano sul quale tale evento agisce. La metodologia alla scala urbana (metodo urbanistico), una volta individuata la SUM, è finalizzata all’analisi della vulnerabilità dei sistemi funzionali, insediativi, infrastrutturali e di tipo viario, al verificarsi di un evento sismico, in una prospettiva temporale estesa che tenga conto, oltre del danno immediato, degli effetti differiti e di lungo periodo. La metodologia urbanistica, parimenti a quella GNDT, consente la valutazione del danno temuto Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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per individuare le criticità presenti nel territorio, per definire azioni di programmazione, pianificazione e gestione nel tempo ordinario (prevenzione/mitigazione) e per l’emergenza in modo da favorire l’intervento diretto da parte della protezione civile. In più, la metodica urbanistica, approfondisce le tecniche e le procedure per misurare la criticità del sistema urbano di fronte all’evento sismico; criticità che possono derivare tanto dalle caratteristiche tipologiche del tessuto edilizio (vulnerabilità fisica o edilizia), tanto dalle relazioni che interagiscono tra gli elementi costitutivi del sistema (spazi, densità abitativa) (vulnerabilità funzionale), vulnerabilità di edifici strategici (edifici pubblici, monumentali, ospedali). Proprio per la lettura ed interpretazione di tali vulnerabilità, le analisi urbanistiche possono consentire la preventiva identificazione di aree critiche in cui, a parità di condizioni di pericolosità, si riscontra una più elevata concentrazione di patrimonio esposto, in termini, non solo di vite umane, ma di manufatti, di attività necessarie al funzionamento della città (o a fronteggiare una condizione di emergenza), di attività economiche e di risorse identitarie, oppure, di aree in cui si rileva una mancata rispondenza tra la domanda di attività che può generarsi in caso di evento e le caratteristiche di organizzazione spaziale e funzionale del contesto. Un evento sismico può ingenerare (anche in presenza di danni fisici di modesta entità) una domanda di attività (esodo verso luoghi sicuri, accesso ad attrezzature ospedaliere, accesso dei mezzi di soccorso) cui il sistema, per sue caratteristiche intrinseche, compattezza edificato, mobilità, distribuzione delle attrezzature strategiche, non riesce a far fronte entrando in una condizione di crisi funzionale. L’individuazione delle aree critiche può consentire, altresì, la messa a punto di scelte urbanistiche di mitigazione del rischio improntate ad una considerazione integrata del danno diretto, misurabile in termini di perdite di vite umane o di manufatti, e del danno differito, specie di carattere funzionale ed economico, che il sisma può indurre compromettendo la stessa capacità di ripresa del sistema urbano. La metodologia urbanistica, per l’individuazione delle fragilità di un sistema urbano di fronte all’evento sismico, ovvero delle caratteristiche di organizzazione spaziale e funzionale del sistema in grado di incidere sulla sua capacità di risposta, immediata o differita, presuppone la messa a punto di un quadro conoscitivo delle possibili interazioni tra i diversi sottosistemi insediativi, infrastrutturali e funzionali, tenendo conto della mobilità per la dinamica degli spostamenti da cui dipendono possibili ricadute in termini di danni sistemici e/o gestionali, aspetti non rilevati dall’applicazione della metodologia GNDT. Una nota conclusiva va dedicata alle NTC 2008 che innovano le prescrizioni relative alle costruzioni civili in zona sismica rispetto a quanto imposto dal precedente D.M. 1996, in linea con lo spirito prestazionale della nuova norma, alcune prescrizioni della previgente normativa scompaiono o vengono sostituite da limitazioni provenienti dalla calcolazione effettiva della specifica struttura resistente, un quadro sintetico di quanto si riferisce è riportato nella Tabella 3. La stessa normativa al punto 8.7.1. - Costruzioni in muratura, introduce il concetto degli edifici in aggregato, contigui, a contatto od interconnessi con edifici adiacenti, avvertendo che i metodi di verifica di uso generale per gli edifici di nuova costruzione possono non essere adeguati e che nell’analisi di un edificio facente parte di un aggregato edilizio occorre tenere conto delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità strutturale con gli edifici adiacenti. A tal fine dovrà essere individuata l’unità strutturale (US) oggetto di studio, evidenziando le azioni che su di essa possono derivare dalle unità strutturali contigue. L’US dovrà avere continuità da cielo a terra per quanto riguarda il flusso dei carichi verticali e, di norma, sarà delimitata o da spazi aperti, o da giunti strutturali, o da edifici contigui strutturalmente ma, almeno tipologicamente, diversi. Oltre a quanto normalmente previsto per gli edifici non disposti in aggregato, dovranno essere valutati gli effetti di: spinte non contrastate causate da orizzontamenti sfalsati di quota sulle pareti in comune con le US adiacenti, meccanismi locali derivanti da prospetti non allineati, US adiacenti di differente altezza. L’introduzione degli edifici in aggregato sposta per la prima volta il confine della verifica dall’unità edilizia o, peggio, dall’unità immobiliare, ad unità significativa dal punto di vista urbano, riconoscendo nei fatti una relazione forte tra edifici e spazio urbano che li accoglie. Affiora un’idea di città non più somma di edifici ma sistema complesso di spazi adattati con le conseguenti difficoltà insite nella perimetrazione di tale aggregato. Non è un caso che siano state pubblicate più versioni delle Linee guida per il rilievo, l’analisi ed il progetto di riparazione e consolidamento di edifici in muratura in aggregato a cura del Dipartimento di Protezione Civile e di ReLUIS (Rete di Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica). Studi impostati sull’identificazione della SUM in condizione di funzionamento ordinario, di emergenza e postsisma e sulla valutazione della vulnerabilità urbana complessiva dell’insediamento, possono costituire una sperimentazione di un metodo speditivo di valutazione e riduzione del rischio applicabile all’interno dei processi ordinari di pianificazione. La disciplina urbanistica, attraverso la sua visione sistemica e gli strumenti della pianificazione ordinaria, può contribuire in modo determinante tanto all’individuazione dell’aggregato edilizio che della SUM per la mitigazione del rischio sismico, attraverso la redazione di piani urbanistici che indirizzino e/o prescrivano, in funzione della scala, trasformazioni del territorio volte alla riduzione della vulnerabilità sismica nel breve (contenuti operativi dei piani) e nel lungo periodo (contenuti strutturali dei piani).
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D.M. 16 gennaio 1996 Limitazione dell’altezza in funzione della larghezza stradale
L≤3m
H=3m
3 m ≤ L ≤ 11 m
H=L
L>3m
H = 11 + 3 · (L – 11)
Distanza tra gli edifici contigui
Giunto tecnico
Forma del complesso architettonico
“..Gli edifici non devono essere ne troppo snelli, né sbilanciati nel rapporto L1/L2, ma piuttosto compatti.” Rapporto planimetrico consigliato:
d (h) = h/100
“Per ciascun fronte dell’edificio verso strada, i regolamenti e le norme definiranno la distanza minima tra la proiezione in pianta del fronte stesso ed il ciglio opposto della strada.”
d > ∑ spostamenti SLV
Giunto tecnico
H/100 · a g · S/0.5 g
Tipologia strutturale Legno Altezza massima dei nuovi edifici
D.M. 14 gennaio 2008
Muratura ordinaria Muratura armata Pannelli portanti Struttura intelaiata
1 ≤ L1/L2 ≤ 2,5
Classificazione Sismica / Altezza Massima (m)
S3
S6
S9
10
7
7
16
11
7.5
25
19
13
32
25
16
Nessuna limitazione
“Le costruzioni devono avere, quanto più possibile, struttura iperstatica caratterizzata da regolarità in pianta e in altezza. Se necessario ciò può essere conseguito suddividendo la struttura, mediante giunti, in unità tra loro dinamicamente indipendenti.” * “I regolamenti e le norme di attuazione degli strumenti urbanistici possono introdurre limitazioni all’altezza degli edifici in funzione della larghezza stradale” Numero di piani massimo fuori terra =
2 Numero di piani massimo entro e fuori terra =
3**
Numero di piani massimo entro e fuori terra =
4**
“..l’altezza massima degli edifici deve essere opportunamente limitata, in funzione delle loro capacità deformative e dissipative e della classificazione sismica del territorio”
* Per i criteri di regolarità strutturale si rimanda al cap. 7.2.2 “Caratteristiche generali delle costruzioni” del D.M. 14 gennaio 2008. ** Cap. 4.5.6.4 del D.M. 14 gennaio 2008 Tabella 3. D.M. 1996 e D.M. 2008 a confronto, prescrizioni e limitazioni per le costruzioni civili in zona sismica
Bibliografia Monografia Fera G., (1991), La città antisismica. Storia, strumenti e prospettive per la riduzione del rischio sismico, Gangemi Edizioni, Roma. Galderisi A., (2004), Città e terremoti - Metodi e tecniche per la mitigazione del rischio sismico, Gangemi Edizioni, Roma. Monaco A., Monaco R., (2005), Urbanistica e rischio sismico, S. E. Gruppo Editoriale Esselibri S.p.a., Napoli. Olivieri M (coordinatore), Fazzio F., Parotto R., Pizzo B. (2010), Linee guida per la definizione della Struttura urbana minima (Sum) nei PRG, per la riduzione della vulnerabilità sismica urbana, Regione Umbria Dipartimento di Pianificazione Territoriale e Urbanistica - Università di Roma La Sapienza. Petrini L., Pinho R., Calvi G.M., (2006), Criteri di progettazione antisismica degli edifici vol.1, IUSS, Pavia. Sicignano E., Nigro E., (2001). Progettazione edile antisismica, Maggioli Editore, Repubblica di San Marino. Ugolini P., (2004), Rischio sismico. Tutela e valorizzazione del territorio e del centro storico, Franco Angeli, Milano. Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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Curatela Angeletti P., (a cura di, 2007), Dieci anni dal sisma. Oltre la calamità: sviluppo e innovazione Terremoto 199798. Normativa, ricerche, sviluppi, volume n. 6, Quattroemme, Perugia. Cherubini A., Petrazzuoli S.M., Zuccaro G., (a cura di, 2001), Vulnerabilità sismica dell’Area Vesuviana, DPCGNDT, Roma. Corsi E., Franco C. (a cura di, 1991), Dal terremoto al futuro: la ricostruzione a Napoli. Il titolo VIII della legge 219/81, voll. 1-2, Electa, Milano. Cremonini I., (a cura di, 1999), Analisi preliminare e valutazione dell’esposizione e vulnerabilità sismica dei sistemi urbani, Regione Emilia Romagna, Bologna. Di Leo L. G., Locurzio M (a cura di, 1985), Messina una città ricostruita, Edizioni Dedalo, Bari. Fabietti V., (a cura di, 2001), Linee guida per la riduzione del rischio sismico. Il recupero dei centri storici di Rosarno e Melicucco, INU Edizioni, Roma. Fabietti V., (a cura di, 2007), Vulnerabilità sismica e trasformazione dello spazio urbano, Alinea, Firenze. Mazzoleni D., Sepe M., (a cura di, 2005), Rischio sismico, paesaggio, architettura: l’Irpinia, contributi per un progetto, Centro Regionale di Competenza Analisi e Monitoraggio del Rischio Ambientale, Napoli. Menoni S., (a cura di, 2006), La salvaguardia dei valori storici, culturali e paesistici nelle zone sismiche italiane, Gangemi Edizioni, Roma. Ministero Beni e Attività Culturali (a cura di, 2006-2010), Linee guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale, Gangemi Edizioni, Roma. Nigro G., Fazzio F., (a cura di, 2007), Il territorio rinnovato. Uno sguardo urbanistico sulla ricostruzione postsismica in Umbria 1997-2007, Quattroemme, Perugia. Nigro G., Sartorio F.S., (a cura di, 2002), Ricostruire nella complessità. I PIR e la ricostruzione in Umbria, Alinea, Firenze. Olivieri M. (a cura di), Regione Umbria. Vulnerabilità e prevenzione urbanistica degli effetti del sisma: il caso di Nocera Umbra, Urbanistica Quaderni n. 44, Inu-Edizioni, Roma.
Saggio su volume Sarlo A., (2002), “Criteri e linee guida per le politiche urbane e di mitigazione del rischio sismico a Melicucco e Rosarno”, in: Caldaretti S. (a cura di), Politiche insediative e mitigazione del rischio sismico. Un’esperienza su Rosarno e Melicucco, Rubettino, Soveria Mannelli.
Articolo su rivista: AA.VV., (2004), “Analisi del comportamento del sistema urbano di Nocera Umbra sotto il sisma del 1997”, Università degli Studi di Roma - Dipartimento di Pianificazione Territoriale e Urbanistica (DPTU), in: Urbanistica Informazioni Quaderni n. 44, Roma. Ceudech A., Forte G., (2001), “Una procedura per la misura della vulnerabilità del sistema urbano ai rischi naturali: il caso Napoli.”, in Atti della XXII Conferenza Italiana di Scienze Regionali. Cremonini I., (1998), “Emilia Romagna: un approccio urbanistico alla riduzione del rischio sismico”, in Urbanistica Informazioni n. 158. Cremonini I., Galderisi A., (2007), “Rischio sismico e processi di piano: verso l’integrazione”, in Urbanistica. Landrini C., (1997), “Il rischio e i programmi di previsione e prevenzione.”, in DPC informa: periodico informativo del Dipartimento della Protezione Civile, pp. 4-9. Olivieri M., (2004), “Vulnerabilità urbana e prevenzione urbanistica degli effetti del sisma: il caso di Nocera Umbra”, in Urbanistica. Valente A., Fornaro M., Borra C., Strobbia C., Ferrarotti A., (2005), “Rischio sismico e problematiche urbanistiche relative ai centri storici: il caso di Bussana Vecchia (Comune di Sanremo)”, in Giornale di Geologia Applicata, pp. 289-294.
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av) Salvatore Losco Seconda Università di Napoli Dipartimento di Ingegneria Civile Email: salvatore.losco@unina2.it Tel. 347.2427963 Luigi Macchia Email: ing.luigi.macchia@gmail.com Tel. 392.2661042 Pietro Marino Email: ing.pietro.marino@gmail.com Tel. 329.6972120
Abstract I criteri utilizzati per la riduzione della vulnerabilità sismica di un insediamento risultano ancora oggi troppo legati alla scala edilizia (metodo DPC-GNDT) e non interpretano la città come un sistema complesso di spazi adattati. Gli studi condotti sulla Struttura Urbana Minina (SUM), aprono nuove e interessanti prospettive interpretative. Il paper attraverso la comparazione di due metodi (DPC-GNDT e SUM), finalizzati alla valutazione della vulnerabilità sismica, applicati ad un caso di studio emblematico, il comune di Bisaccia (Av), cercherà di evidenziarne potenzialità e limiti nonché il ruolo che può essere attribuito alla pianificazione fisica sia nell’analisi della vulnerabilità degli insediamenti che nella mitigazione del rischio sismico.
Territorio, vulnerabilità e rischio sismico L’Appennino centro-meridionale è senza dubbio una regione a forte pericolosità sismica ma, meno elevata, di altre aree del Mediterraneo. Il territorio italiano è però molto più vulnerabile per l’alta densità di popolazione, per la presenza di centri storici particolarmente estesi, per l’età e le tecnologie costruttive del patrimonio urbanistico/edilizio, queste condizioni innalzano il rischio sismico a valori non più ragionevolmente accettabili. Nella seconda metà del secolo appena trascorso e, nei primi anni del nuovo, eventi sismici di magnitudo Richter non particolarmente elevata, hanno cancellato interi paesi nella Valle del Belice (1968, magnitudo 5,9), nella Valle del Tagliamento (1976, magnitudo 6,5), in Irpinia (1980, magnitudo 6,9), in Umbria (1997, magnitudo 6,1/6,9) e in Abruzzo (2009, magnitudo 6,3/5,8).
La valutazione del rischio sismico Il processo di valutazione del rischio sismico di un’area si avvia con lo studio della pericolosità locale, mediante il quale sarà possibile conoscere l’entità e le caratteristiche degli eventi sismici prevedibili e tutti gli effetti, diretti e indotti. Sulla base di queste conoscenze viene definito uno scenario sismico scelto tra i numerosi possibili eventi che potrebbero colpire l’area di indagine. Le metodologie di elaborazione e correlazione dei fattori che concorrono alla definizione del rischio sismico possono essere molteplici e conducono a risultati differenti. Si parla di rischio sismico assoluto quando la valutazione è effettuata attraverso una stima assoluta dei danni determinati mediante precisi valori numerici come, ad esempio, il numero di morti o feriti previsti, il Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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numero totale di edifici distrutti o danneggiati. La valutazione assoluta del rischio presenta tuttavia alcuni inconvenienti: la maggior parte dei dati cui si fa riferimento, non sono valori certi, ma sono frutto di calcoli probabilistici o statistici, spesso ottenuti con elevati livelli di approssimazione. Per risolvere questo inconveniente è stata introdotta la metodologia di valutazione del rischio relativo. In questo caso il rischio è valutato per confronto tra le varie aree in cui è stato suddiviso il territorio studiato. Vengono definiti dei livelli di rischio indicativi (alto, medio, basso) che vengono successivamente attribuiti alle varie aree in funzione della loro pericolosità, esposizione e vulnerabilità. Molto importante per un’efficace pianificazione territoriale è il concetto di rischio accettabile (As Low As Reasonable Acceptable - ALARA). Appare evidente che un annullamento del rischio sismico su una determinata area sia da ritenersi assolutamente inattuabile tanto per ragioni tecniche e pratiche che economiche. Negli ultimi decenni si sta tentando di transitare da una cultura dell’emergenza ad una della prevenzione che inevitabilmente punta ad una stretta integrazione tra le problematiche connesse al rischio sismico e gli strumenti di pianificazione alle diverse scale. Risultano, peraltro, limitate le esperienze di piano a scala comunale specificatamente orientate alla messa in campo di strategie di prevenzione/mitigazione degli impatti del sisma, soprattutto riferite a grandi aree urbane: situazione di particolare gravità in Italia, atteso che sono numerosi i centri urbani a rischio sismico depositari, tra l’altro, di un rilevante patrimonio di valori storici e culturali. Studi recenti sono orientati alla messa a punto di strumenti conoscitivi e di linee guida per la mitigazione del rischio sismico si devono, alla regione Emilia Romagna, all’ufficio rischio sismico del Dipartimento della Protezione Civile, i primi implementano azioni di prevenzione/mitigazione del rischio sismico all’interno dei Piani di Recupero sulla base di approfondimenti dei concetti di esposizione e vulnerabilità dei sistemi urbani, i secondi mirano all’individuazione della Struttura Urbana Minima (SUM), ovvero l’insieme delle attrezzature in grado di consentire un’efficace tenuta del centro urbano in caso di evento sismico e una condizione di funzionalità residua in caso di emergenza favorendo, nel contempo, un più rapido ritorno alla normalità dell’organismo urbano. La metodologia deve consentire la valutazione del danno temuto per individuare le criticità presenti nel territorio, per definire azioni di programmazione, pianificazione e gestione del territorio nel tempo ordinario e per l’emergenza in modo da favorire l’intervento diretto da parte della protezione civile. Le indagini urbanistiche possono consentire la preventiva identificazione di aree critiche in cui, a parità di condizioni di pericolosità, si riscontra una più elevata concentrazione di patrimonio esposto, in termini, di vite umane, di manufatti, di attività necessarie al funzionamento della città o a fronteggiare una condizione di emergenza, di attività economiche o di risorse identitarie, oppure, di aree in cui si rileva una mancata rispondenza tra la domanda di attività che può generarsi in caso di evento e le caratteristiche di organizzazione spaziale e funzionale del contesto. La metodologia per l’individuazione delle fragilità di un sistema urbano di fronte all’evento sismico, presuppone la messa a punto di un quadro conoscitivo delle possibili interazioni tra i diversi sottosistemi insediativi, infrastrutturali e funzionali, tenendo conto della mobilità per la dinamica degli spostamenti da cui dipendono possibili ricadute in termini di danni sistemici e/o gestionali. A tal fine l’approccio metodologico preso a riferimento è articolato intorno a due obiettivi prioritari: - delineare un metodo speditivo per la misura delle caratteristiche di esposizione e vulnerabilità funzionale del sistema urbano all’evento sismico; - definire una procedura per l’individuazione e l’ottimizzazione della prevenzione e gestione dell’emergenza. A partire dall’integrazione di tali conoscenze sarà possibile disegnare un possibile processo di governo delle trasformazioni urbane in ragione della mitigazione del rischio sismico. Il metodo di lavoro preso in esame consente di: - graduare le priorità di intervento in ambito urbano; - effettuare scelte in materia di destinazioni, intensità e forma d’uso del territorio comunale atte a ridurre gli impatti di un evento sismico; - valutare l’efficacia delle azioni urbanistiche implementate ai fini della riduzione delle caratteristiche di esposizione e di vulnerabilità del sistema urbano; - implementare, in condizioni di emergenza, azioni preventivamente definite nell’ambito di una strategia unitaria di evoluzione del sistema urbano. La città, in quanto organismo unitario, può essere analizzata considerandola organizzata in partizioni urbane viste come sottosistemi di funzioni che consentono, durante la crisi susseguente all’evento sismico, lo svolgimento, anche se a ritmo ridotto, di tutte le attività necessarie alla vita urbana Pertanto la graduazione dei livelli di esposizione del sistema urbano sarà effettuata in relazione: - alle caratteristiche di efficienza delle diverse partizioni urbane, intesa come capacità di ciascuna di garantire l’erogazione dei servizi e lo svolgimento delle attività che sono alla base della vita urbana; - alla funzionalità delle diverse partizioni urbane, riconducibile alla presenza di insediamenti ed attività, che consentono al sistema di far fronte alla fase di emergenza; - alla presenza di risorse identitarie. Questo paper focalizza l’attenzione sulla vulnerabilità funzionale dei tessuti edilizi, intesa come rispondenza dell’organizzazione spaziale del tessuto urbano all’incremento della domanda di attività che si può generare a seguito di un evento sismico nettamente percepito dalla popolazione, anche in presenza di danni lievi o nulli ai Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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manufatti edilizi. Tale caratteristica risulta quindi dipendente dall’organizzazione spaziale del tessuto edilizio: la struttura delle relazioni esistenti tra gli elementi fisici della città, che costituisce la regola di formazione dell’edificato, determina la minore o maggiore propensione alla crisi funzionale, intesa come perdita di accessibilità, riduzione delle possibilità di esodo dall’area interessata o di accesso a luoghi sicuri. La procedura delineata, finalizzata alla misura della vulnerabilità funzionale, ottenuta mediante parametri di tipo urbanistico, presenta caratteristiche tali da renderla applicabile a sistemi urbani di grandi dimensioni, permettendo l’individuazione di partizioni urbane il cui sistema, in ragione delle sue modalità di organizzazione spaziale, potrebbe presentare cadute o perdita di funzionalità, non riuscendo a soddisfare la domanda di attività determinata dall’evento sismico. La misura è effettuata su ambiti territoriali omogenei per epoca di formazione del tessuto edilizio, tipologie edilizie prevalenti, morfologia del territorio e destinazione d’uso prevalente, attraverso due indici parziali il cui prodotto fornisce l’indice sintetico di vulnerabilità (IVF). Il primo indice (IVM) (Tabella 1), in riferimento alle caratteristiche morfologiche del tessuto urbano, misura la regolarità delle diverse tipologie di tessuto. Classe tipologica
Criteri di classificazione IVM
T1 – T2 – T3 T1 – T2 – T3 – T4 T4 – T5 T4 – T5
Maglia viaria con intersezioni perpendicolari Maglia viaria con intersezioni non perpendicolari Maglia viaria con intersezioni non perpendicolari
Geometria dei lotti Lotti a geometria regolare Lotti a geometria quasi regolare Lotti a geometria irregolare
Tortuosità viaria Tortuosità viaria nulla: 1 Tortuosità viaria bassa: 1.35 Tortuosità viaria media: 1.65
Maglia viaria con intersezioni non perpendicolari
Lotti a geometria irregolare
Tortuosità viaria alta: 2
Tabella 1. Attribuzione dell’indicatore IVM per classe tipologica del tessuto edificato Il secondo indice (IVA) fa riferimento alle modalità di aggregazione degli elementi costitutivi di ciascuna tipologia di tessuto utilizzando parametri urbanistici, che ne misurano l’intensità d’uso (densità territoriale, rapporti tra spazi edificati, spazi aperti pubblici e privati, sedi viarie e superficie territoriale dell’ambito di riferimento), e parametri che ne esprimono la forma d’uso (altezze degli edifici, distanze tra cortine edilizie). Una volta individuate le tipologie di tessuto prevalenti, esse sono classificate in quattro classi di regolarità (regolare, quasi regolare, irregolare e molto irregolare) in riferimento al tipo di intersezioni della maglia viaria, alla forma del lotto e al livello di tortuosità della rete viaria. L’indicatore assume valori variabili tra 1, valore attribuito alle UTO classificate come regolari, e 2, attribuito alle UTO costituite da tessuti classificati come molto irregolari. La procedura assegna uguale importanza agli indicatori IVM e IVA nella determinazione della misura della vulnerabilità funzionale. Il secondo indicatore, IVA, è ottenuto come sommatoria di sei indicatori di base, ciascuno di valore variabile tra 0 e 1. Un primo gruppo di indicatori di base da I1 a I4, discretizza l’area oggetto di analisi nelle sue componenti planimetriche fondamentali (spazi costruiti, spazi aperti privati, spazi aperti pubblici, canali della mobilità) e ne misura le modalità di aggregazione attraverso il rapporto di tali elementi con la superficie totale della UTO oppure, a seconda dei casi, con la superficie in essa costruita, mentre l’indicatore I5 è riferito alla densità edilizia territoriale. L’ultimo indicatore di base, I6, è riferito alla forma d’uso della UTO e misura le distanze esistenti tra le cortine edilizie che insistono sui canali della viabilità sia locale sia di livello superiore. I valori ricavati dall’applicazione degli indicatori di base risultano, quindi, eterogenei (Tabella 2). ID I1
I2
Descrizione Rapporto tra la superficie coperta degli edifici (Sc) e la superficie territoriale UTO (St) Rapporto tra la superficie coperta degli edifici (Sa) (corti interne, giardini privati, ecc..) e la superficie territoriale (Sc) della UTO
Formula di misura √(Sc /St )
[1- (Sa/Sc )]2
I3
Rapporto tra la superficie di spazi aperti pubblici (Sp) e la superficie territoriale (St) della UTO
[1- (Sp/St )]2
I4
Rapporto tra la superficie occupata dai canali di mobilità (Sm) e l a superficie territoriale (St) della UTO
[1- (Sm/St )]2
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
I5 I6
Densità territoriale (Dt) espressa in m3 di edificato su m2 di superficie territoriale della UTO
√(Dt/10)
Distanza media espressa in metri (Lm) tra le cortine che insistono sui canali di mobilità
-
Tabella 2. Definizione dei sei indicatori di base e relative formule di misura dell’indice IVA Come in tutte le valutazioni quantitative multicriterio, si rende dunque necessaria un’omogeneizzazione dei valori ottenuti, in questo caso variabile tra 0 e 1. Definiti gli indicatori IVM e IVA, è possibile definire attraverso il loro prodotto, per ciascuna Unità Territoriale Omogenea (UTO), la misura della vulnerabilità funzionale del tessuto urbano, IVF, che assume un valore variabile tra 0 e 12.
Il caso di Bisaccia (Av) Il territorio del Comune di Bisaccia appartiene alla Provincia di Avellino ed è situato in prossimità del margine orientale del territorio provinciale, ai confini con la Puglia e la Basilicata. Dopo il terremoto del 1930, venne edificata Bisaccia nuova a sud delle colline Serroni. Il terremoto provocò gravissimi danni al centro abitato, tanto che si decise la sua delocalizzazione nella zona cosiddetta Piano Regolatore, ma tale iniziativa ebbe scarso successo tra la popolazione che continuò a costruire sia in prossimità del centro storico, lungo la strada di accesso da sud, sia all'interno di esso nelle poche aree libere.
Analisi della vulnerabilità sismica con metodologia DPC - GNDT Tale analisi, utilizzando la cartografia esistente del territorio, simula il livello di vulnerabilità del ricostruito centro storico in funzione della concentrazione di edifici vulnerabili e dei parametri tipologico-strutturali che li caratterizzano. La metodologia DPC - GNDT (Dipartimento della Protezione Civile - Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti) prevede la redazione di quattro analisi cartografiche tematiche connesse: - Cartografia delle coperture e/o degli orizzontamenti - Cartografia dell’altezza degli edifici - Cartografia della distribuzione tipologico-strutturale dell’edificato - Cartografia della vulnerabilità sismica Per la conoscenza della composizione tipologico-strutturale dell’edificato di territori estesi e ad elevato affollamento, dove la raccolta dei dati puntuali risulta onerosa sia sotto l’aspetto economico che temporale, il problema viene affrontato attraverso il riconoscimento aerofotogrammetrico delle tipologie strutturali più frequenti nell’area, secondo una classificazione riconducibile ai comportamenti di risposta sismica degli edifici ed eventualmente assimilabili alle classi tipologiche individuate dalle scale macrosismiche. Il diagramma di flusso (Fig. 1), sintetizza la metodologia DPC - GNDT utilizzata per la simulazione della vulnerabilità sismica del centro storico di Bisaccia. La cartografia tematica risultante (Figura 2) sintetizza la simulazione della vulnerabilità sismica del centro storico del Comune di Bisaccia, con l’utilizzo della metodologia speditiva messa a punto dal Dipartimento della Protezione Civile in collaborazione con il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti - C.N.R. L’analisi di base della metodologia è incentrata prevalentemente sulla caratterizzazione tipologica del patrimonio edilizio, considerando, implicitamente e in modo poco significativo, tutti gli altri fattori ed elementi che contribuiscono alla valutazione della vulnerabilità sismica di un centro urbano. D’altra parte il metodo, propriamente riferito alla scala edilizia, ha lo scopo, nell’immediato, di riferire di zone dove maggiore è la concentrazione di elementi a rischio, in modo da pianificare la priorità degli interventi cui destinare le maggiori risorse per la mitigazione del rischio sismico nelle aree più vulnerabili. Le cartografie prodotte, oltre a fornire gli strumenti di supporto per la redazione dei Piani di Protezione Civile, possono rivelarsi un importante ausilio per intraprendere analisi di sicurezza strutturale di dettaglio delle tipologie edilizie esposte a maggior rischio, allo scopo di definire interventi preventivi di mitigazione sul centro urbano.
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
Figura 1. Valutazione della vulnerabilità sismica del centro storico di Bisaccia (Av), con il metodo DPC GNDT, diagramma di flusso La pianificazione urbanistica, in ragione della complessità del sistema territoriale, può interviene in diverse forme all’interno delle politiche complessive di mitigazione del rischio sismico, soprattutto in termini della dinamica di interazione funzionale delle diverse attività antropiche presenti, assumendo la centralità del recupero e della conservazione dell’integrità fisica del territorio, con l’obiettivo prevalente di salvaguardare la sicurezza della popolazione e degli insediamenti ai rischi. Il metodo denominato urbanistico applicato alla stessa realtà ed esposto nel successivo paragrafo, perviene ad una diversa valutazione della vulnerabilità sismica, considerando tutte le variabili ed i fattori che influenzano il mantenimento delle funzioni dell’organismo urbanizzato nell’evento post-sisma.
Figura 2. Centro Storico di Biscaccia (Av), cartografia tematica della Vulnerabilità sismica complessiva risultante dall’applicazione del metodo GNDT Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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Analisi dei fattori di rischio e valutazione della vulnerabilità sismica alla scala urbana L’analisi dei principali fattori di rischio per l’insediamento urbano in caso di sisma, costituisce il passo successivo alla fase conoscitiva delle informazioni raccolte con le operazioni di rilievo a tappeto, la consultazione e la rielaborazione delle fonti disponibili. In base a questi risultati si caratterizza la Struttura Urbana Minima (SUM), individuando i principali parametri rappresentativi dei fattori di vulnerabilità urbana, ossia di potenziale perdita di funzionalità e di organizzazione complessiva di Bisaccia e dei suoi sistemi componenti in caso di terremoto. Gli obiettivi principali dell’analisi dei fattori di rischio consistono nell’identificazione degli elementi e degli ambiti contraddistinti da maggiore vulnerabilità urbana e la valutazione della loro influenza sui sistemi che costituiscono la SUM. La valutazione della vulnerabilità urbana impostata su questi obiettivi è stata svolta in base ai seguenti criteri: - la raccolta e l’elaborazione dei parametri di valutazione dei diversi fattori di rischio, sono state effettuate basandosi sulle conoscenze acquisite nelle analisi e sono state impostate secondo una procedura di valutazione speditiva, a partire da informazioni di facile rilevazione e su elaborazioni semplici; - l’analisi dei fattori di rischio riguarda l’intero insediamento urbano del centro storico di Bisaccia, suddiviso in quatto ambiti (o zone), per facilitare l’analisi del tessuto urbano e la valutazione degli elementi critici dei percorsi delle strade interne all’edificato urbano; - i parametri utilizzati per descrivere i diversi fattori di rischio sono costituiti da valori numerici, ognuno dei quali associato a situazioni determinate, crescenti al crescere del grado di rischio che rappresentano. L’attribuzione dei valori permette di determinare gli ambiti caratterizzati da livelli più alti dei singoli fattori di rischio e, successivamente, di integrare i singoli fattori per la valutazione della vulnerabilità urbana complessiva del centro storico. La sequenza delle operazioni compiute, suddivise in blocchi, può essere sintetizzata secondo una progressione lineare, anche se in realtà i risultati delle singole fasi sono connessi e i tempi sono in parte sovrapposti: - selezione, raggruppamento ed eventuale integrazione dei dati raccolti durante le analisi e loro ordinamento in apposite schede sintetiche di tessuto e di isolato; - definizione dei fattori di rischio e dei valori dei rispettivi indicatori; - compilazione di tabelle distinte per fattori di rischio, temi, sistemi, ambito urbano di riferimento; - accorpamento e integrazione dei risultati delle diverse tabelle relative ai singoli fattori di rischio nelle tabelle di valutazione della vulnerabilità urbana complessiva; - compilazione delle tabelle e determinazione dei diversi livelli di vulnerabilità urbana; - redazione di cartografia tematica illustrativa dei risultati della valutazione. Mentre la tabella di valutazione della vulnerabilità urbana complessiva costituisce il punto di arrivo del processo di analisi dei fattori di rischio, le prime tabelle, riferite ai singoli fattori di rischio, sono di servizio. In quanto tale, sono considerabili in modo unitario e aggregato, o come riferimento generale da cui estrarre valutazioni di ambiti o temi particolari, ad esempio limitate alla valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture edificate (tessuti, edifici strategici e critici, emergenze architettoniche), o alla criticità dei percorsi. Le modalità di valutazione dei singoli fattori di rischio, per la valutazione della vulnerabilità urbana complessiva, è riferita a gradi di approfondimento e ambiti di indagine impostati sulla conoscenza acquisita sul sito, di buona parte degli edifici, strade e spazi aperti, sulla base dell’individuazione delle caratteristiche dei tessuti delle quattro zone e del loro ruolo all’interno dell’insediamento complessivo. Il metodo si basa sulla definizione dei livelli relativi dei diversi fattori di rischio, ossia vulnerabilità sismica, pericolosità sismica locale, esposizione urbana, questa definita da una serie rappresentativa ma abbastanza limitata di parametri. La vulnerabilità urbana complessiva di ogni tessuto si ottiene come semplice sommatoria dei livelli dei tre fattori di rischio. La procedura consente di individuare sinteticamente ambiti a maggior rischio secondo un ragionevole grado di approfondimento; si tratta di un metodo che può essere impiegato per la valutazione di vulnerabilità urbana in contesti di complessità non rilevante, o come valutazione preliminare in ambiti più complessi. La sequenza delle operazioni da compiere può essere sintetizzata come segue, distinguendo tra elaborazioni di servizio e momenti di sintesi: - Raccolta e organizzazione dati delle analisi registrate - Determinazione dei singoli fattori di rischio tramite le tabelle di servizio: - compilazione della tabella di valutazione della pericolosità sismica locale dei tessuti (riferiti alle quattro zone di studio); - compilazione della tabella di valutazione della vulnerabilità sismica dei tessuti; - compilazione della tabella di valutazione dell’esposizione urbana dei tessuti; - compilazione della tabella di valutazione degli elementi critici dei percorsi e degli spazi aperti; - Valutazione della vulnerabilità urbana complessiva: - sommatoria dei valori di pericolosità sismica locale, vulnerabilità sismica ed esposizione urbana (comprensiva delle criticità dei percorsi e degli spazi aperti) per ogni tessuto e determinazione dei valori relativi di vulnerabilità urbana complessiva; Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
- normalizzazione rispetto al valore massimo relativo e distinzione dei tessuti in classi relative di vulnerabilità complessiva. Lo schema che segue rappresenta il metodo per la determinazione dei livelli relativi di vulnerabilità urbana complessiva delle diverse parti costituenti l’insediamento urbano.
Figura 3. Valutazione speditiva dei livelli relativi di vulnerabilità sismica urbana complessiva dei tessuti, con il metodo urbanistico diagramma di flusso La cartografia tematica risultante sintetizza la simulazione della vulnerabilità sismica del centro storico, applicando il metodo urbanistico o della scala urbana: - Cartografia della suddivisione in zone del centro storico; - Cartografia dell’esposizione urbana del tessuto, con percorsi e spazi aperti; Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
-
Cartografia della vulnerabilità sismica del centro storico (Figura 4); Cartografia della vulnerabilità urbana complessiva (Figura 5)
Figura 4. Centro storico di Bisaccia (Av), vulnerabilità sismica dei tessuti risultante dall’applicazione del metodo urbanistico Anche se le prime tre carte consentono una lettura autonoma del contesto urbano esse sono di servizio per l’ultima cartografia in cui viene sintetizzata, graficamente, la classe alta dell’indice di vulnerabilità urbana complessiva, parimenti a quanto verificato con la metodologia GNDT.
Figura 5. Centro storico di Bisaccia (Av), vulnerabilità urbana complessiva risultante dall’applicazione del metodo urbanistico.
Confronto tra i due metodi Il metodo GNDT può essere utilizzato come uno studio preliminare per la pianificazione fisica dell’insediamento urbano, dove emerge la necessità di mettere in atto, accanto alle cosiddette opere di difesa attiva, tutte le possibili misure di difesa passiva che attengono alla gestione e alla manutenzione degli insediamenti e che investono la pianificazione territoriale, urbanistica e la protezione civile. In quest’ottica, la conoscenza e la difesa dai rischi, le criticità tipologiche del tessuto edificato, dei percorsi e spazi aperti, della densità abitativa, presuppongono un approccio multilaterale ed interdisciplinare dello studio non solo dell’evento sismico ma anche del contesto urbano sul quale tale evento agisce. La metodologia alla scala urbana (metodo urbanistico), una volta individuata la SUM, è finalizzata all’analisi della vulnerabilità dei sistemi funzionali, insediativi, infrastrutturali e di tipo viario, al verificarsi di un evento sismico, in una prospettiva temporale estesa che tenga conto, oltre del danno immediato, degli effetti differiti e di lungo periodo. La metodologia urbanistica, parimenti a quella GNDT, consente la valutazione del danno temuto Salvatore Losco - Luigi Macchia - Pietro Marino
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per individuare le criticità presenti nel territorio, per definire azioni di programmazione, pianificazione e gestione nel tempo ordinario (prevenzione/mitigazione) e per l’emergenza in modo da favorire l’intervento diretto da parte della protezione civile. In più, la metodica urbanistica, approfondisce le tecniche e le procedure per misurare la criticità del sistema urbano di fronte all’evento sismico; criticità che possono derivare tanto dalle caratteristiche tipologiche del tessuto edilizio (vulnerabilità fisica o edilizia), tanto dalle relazioni che interagiscono tra gli elementi costitutivi del sistema (spazi, densità abitativa) (vulnerabilità funzionale), vulnerabilità di edifici strategici (edifici pubblici, monumentali, ospedali). Proprio per la lettura ed interpretazione di tali vulnerabilità, le analisi urbanistiche possono consentire la preventiva identificazione di aree critiche in cui, a parità di condizioni di pericolosità, si riscontra una più elevata concentrazione di patrimonio esposto, in termini, non solo di vite umane, ma di manufatti, di attività necessarie al funzionamento della città (o a fronteggiare una condizione di emergenza), di attività economiche e di risorse identitarie, oppure, di aree in cui si rileva una mancata rispondenza tra la domanda di attività che può generarsi in caso di evento e le caratteristiche di organizzazione spaziale e funzionale del contesto. Un evento sismico può ingenerare (anche in presenza di danni fisici di modesta entità) una domanda di attività (esodo verso luoghi sicuri, accesso ad attrezzature ospedaliere, accesso dei mezzi di soccorso) cui il sistema, per sue caratteristiche intrinseche, compattezza edificato, mobilità, distribuzione delle attrezzature strategiche, non riesce a far fronte entrando in una condizione di crisi funzionale. L’individuazione delle aree critiche può consentire, altresì, la messa a punto di scelte urbanistiche di mitigazione del rischio improntate ad una considerazione integrata del danno diretto, misurabile in termini di perdite di vite umane o di manufatti, e del danno differito, specie di carattere funzionale ed economico, che il sisma può indurre compromettendo la stessa capacità di ripresa del sistema urbano. La metodologia urbanistica, per l’individuazione delle fragilità di un sistema urbano di fronte all’evento sismico, ovvero delle caratteristiche di organizzazione spaziale e funzionale del sistema in grado di incidere sulla sua capacità di risposta, immediata o differita, presuppone la messa a punto di un quadro conoscitivo delle possibili interazioni tra i diversi sottosistemi insediativi, infrastrutturali e funzionali, tenendo conto della mobilità per la dinamica degli spostamenti da cui dipendono possibili ricadute in termini di danni sistemici e/o gestionali, aspetti non rilevati dall’applicazione della metodologia GNDT. Una nota conclusiva va dedicata alle NTC 2008 che innovano le prescrizioni relative alle costruzioni civili in zona sismica rispetto a quanto imposto dal precedente D.M. 1996, in linea con lo spirito prestazionale della nuova norma, alcune prescrizioni della previgente normativa scompaiono o vengono sostituite da limitazioni provenienti dalla calcolazione effettiva della specifica struttura resistente, un quadro sintetico di quanto si riferisce è riportato nella Tabella 3. La stessa normativa al punto 8.7.1. - Costruzioni in muratura, introduce il concetto degli edifici in aggregato, contigui, a contatto od interconnessi con edifici adiacenti, avvertendo che i metodi di verifica di uso generale per gli edifici di nuova costruzione possono non essere adeguati e che nell’analisi di un edificio facente parte di un aggregato edilizio occorre tenere conto delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità strutturale con gli edifici adiacenti. A tal fine dovrà essere individuata l’unità strutturale (US) oggetto di studio, evidenziando le azioni che su di essa possono derivare dalle unità strutturali contigue. L’US dovrà avere continuità da cielo a terra per quanto riguarda il flusso dei carichi verticali e, di norma, sarà delimitata o da spazi aperti, o da giunti strutturali, o da edifici contigui strutturalmente ma, almeno tipologicamente, diversi. Oltre a quanto normalmente previsto per gli edifici non disposti in aggregato, dovranno essere valutati gli effetti di: spinte non contrastate causate da orizzontamenti sfalsati di quota sulle pareti in comune con le US adiacenti, meccanismi locali derivanti da prospetti non allineati, US adiacenti di differente altezza. L’introduzione degli edifici in aggregato sposta per la prima volta il confine della verifica dall’unità edilizia o, peggio, dall’unità immobiliare, ad unità significativa dal punto di vista urbano, riconoscendo nei fatti una relazione forte tra edifici e spazio urbano che li accoglie. Affiora un’idea di città non più somma di edifici ma sistema complesso di spazi adattati con le conseguenti difficoltà insite nella perimetrazione di tale aggregato. Non è un caso che siano state pubblicate più versioni delle Linee guida per il rilievo, l’analisi ed il progetto di riparazione e consolidamento di edifici in muratura in aggregato a cura del Dipartimento di Protezione Civile e di ReLUIS (Rete di Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica). Studi impostati sull’identificazione della SUM in condizione di funzionamento ordinario, di emergenza e postsisma e sulla valutazione della vulnerabilità urbana complessiva dell’insediamento, possono costituire una sperimentazione di un metodo speditivo di valutazione e riduzione del rischio applicabile all’interno dei processi ordinari di pianificazione. La disciplina urbanistica, attraverso la sua visione sistemica e gli strumenti della pianificazione ordinaria, può contribuire in modo determinante tanto all’individuazione dell’aggregato edilizio che della SUM per la mitigazione del rischio sismico, attraverso la redazione di piani urbanistici che indirizzino e/o prescrivano, in funzione della scala, trasformazioni del territorio volte alla riduzione della vulnerabilità sismica nel breve (contenuti operativi dei piani) e nel lungo periodo (contenuti strutturali dei piani).
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D.M. 16 gennaio 1996 Limitazione dell’altezza in funzione della larghezza stradale
L≤3m
H=3m
3 m ≤ L ≤ 11 m
H=L
L>3m
H = 11 + 3 · (L – 11)
Distanza tra gli edifici contigui
Giunto tecnico
Forma del complesso architettonico
“..Gli edifici non devono essere ne troppo snelli, né sbilanciati nel rapporto L1/L2, ma piuttosto compatti.” Rapporto planimetrico consigliato:
d (h) = h/100
“Per ciascun fronte dell’edificio verso strada, i regolamenti e le norme definiranno la distanza minima tra la proiezione in pianta del fronte stesso ed il ciglio opposto della strada.”
d > ∑ spostamenti SLV
Giunto tecnico
H/100 · a g · S/0.5 g
Tipologia strutturale Legno Altezza massima dei nuovi edifici
D.M. 14 gennaio 2008
Muratura ordinaria Muratura armata Pannelli portanti Struttura intelaiata
1 ≤ L1/L2 ≤ 2,5
Classificazione Sismica / Altezza Massima (m)
S3
S6
S9
10
7
7
16
11
7.5
25
19
13
32
25
16
Nessuna limitazione
“Le costruzioni devono avere, quanto più possibile, struttura iperstatica caratterizzata da regolarità in pianta e in altezza. Se necessario ciò può essere conseguito suddividendo la struttura, mediante giunti, in unità tra loro dinamicamente indipendenti.” * “I regolamenti e le norme di attuazione degli strumenti urbanistici possono introdurre limitazioni all’altezza degli edifici in funzione della larghezza stradale” Numero di piani massimo fuori terra =
2 Numero di piani massimo entro e fuori terra =
3**
Numero di piani massimo entro e fuori terra =
4**
“..l’altezza massima degli edifici deve essere opportunamente limitata, in funzione delle loro capacità deformative e dissipative e della classificazione sismica del territorio”
* Per i criteri di regolarità strutturale si rimanda al cap. 7.2.2 “Caratteristiche generali delle costruzioni” del D.M. 14 gennaio 2008. ** Cap. 4.5.6.4 del D.M. 14 gennaio 2008 Tabella 3. D.M. 1996 e D.M. 2008 a confronto, prescrizioni e limitazioni per le costruzioni civili in zona sismica
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Vulnerabilità sismica metodi a confronto: Il caso di Bisaccia (Av)
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Ri-pianificazione Territoriale a L’Aquila e Struttura Territoriale Minima
Ri-pianificazione Territoriale a L’Aquila e Struttura Territoriale Minima Riccardo Bonotti Università degli studi di Brescia Facoltà di Ingegneria. DICATA Email: riccardo.bonotti@ing.unibs.it Tel. 030.3711266 Claudia Confortini Università degli studi di Brescia Facoltà di Ingegneria. DICATA Email: claudia.confortini@ing.unibs.it Tel. 030.3711305 Maurizio Tira Università degli studi di Brescia Facoltà di Ingegneria. DICATA Email: maurizio.tira@ing.unibs.it Tel. 030.3711304
Abstract A tre anni dal sisma a L’Aquila si sta portando avanti un procedimento di ricostruzione lungo e faticoso atto a garantire il rispetto di procedure sovra ordinate rivelatesi astratte e farraginose. Il lavoro, svolto presso gli Atelier progettuali organizzati dal LaUrAq all’interno della facoltà di ingegneria di L’Aquila, propone una strategia territoriale più concreta, coerente con le indicazioni espresse dalle “linee di indirizzo strategico per la ripianificazione del territorio”. Ad integrazione di questo lavoro si propone di individuare la Struttura Territoriale Minima nella città de L’Aquila prima dell’evento sismico del 6 aprile 2009, per valutare le sue componenti danneggiate dal sisma. Infine si sono formulate delle riflessioni sulla possibilità di una loro nuova localizzazione nell’ottica di riduzione della vulnerabilità e delle particolarità del tessuto urbanistico in esame, anche alla luce della realizzazione dei complessi C.A.S.E..
A tre anni dal sisma a L’Aquila si sta portando avanti un procedimento di ricostruzione lungo e faticoso atto a garantire il rispetto di procedure sovra ordinate rivelatesi astratte e farraginose. Questo a dimostrare come l’intervento straordinario tanto efficiente durante la fase di emergenza non si sta rivelando altrettanto efficace per governare e gestire la fase successiva di ricostruzione. Nella sostanza manca ancora un disegno politico chiaro sul ruolo dell’Aquila, ma soprattutto manca un concreto disegno urbanistico, con il rischio reale che la città si trasformi in una periferia lunga 14 km, senza un centro, senza un cuore (Romano, 2010). Manca in definitiva una visione del destino della città. Il presente lavoro, elaborato presso il Laboratorio Urbanistico di L’Aquila nato da un accordo tra ANCSA ed INU, affronta il problema connesso alla pianificazione e ricostruzione della città di L’Aquila, in relazione alle sue frazioni ed alle nuove centralità sorte (Lauraq, 2010a). Tra i principali problemi da affrontare, oltre le disfunzioni urbanistiche già presenti ante terremoto, molti sono sorti dopo la risposta insediativa straordinaria rappresentata dal progetto Case. I nuovi nuclei urbani sono stati realizzati senza che ne sia stato ripensato il ruolo e le funzioni della struttura urbana complessiva, la quale rischia di crescere senza regole attorno le nuove centralità. Inoltre l’ordinanza n.58/2009 “Criteri per la localizzazione e
Riccardo Bonotti, Claudia Confortini, Maurizio Tira
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Ri-pianificazione Territoriale a L’Aquila e Struttura Territoriale Minima
realizzazione di manufatti temporanei” ha prodotto 1500 villette ed una pesantissima compromissione del territorio, in quanto le strutture sono state autorizzate anche in deroga a vincoli paesaggistici ed ambientali. Si è cercato pertanto di affrontare le conseguenze negative di un consumo di suolo eccessivo, del traffico paralizzato, di una mobilità pubblica in evidente difficoltà, costituendo un nuovo policentrismo urbano che superasse una sorta di ghettizzazione di alcune parti di città, ricomponendo i progetti di vita in un disegno unitario. Lo scopo è quello di mettere ordine ad un sistema urbano già prima del terremoto complesso, composto da nuclei storici, tessuti consolidati, parti di città in formazione, aree dimesse e notevoli parti residuali di una naturalità che partecipa dei parchi naturali del Gran sasso e del Velino Sirente, e reso ancora più complesso dalle sopra citate strategie post terremoto che rischiano di compromettere pesantemente l’intero sistema ambientale interrompendo la continuità vegetazionale e consumando suolo con uno sprawl di iniziative. Il lavoro è proceduto per livelli operativi graduali iniziando da una fase analitico conoscitiva per poi proseguire ad una fase propositiva di elaborato. Il primo processo ha riguardato la compilazione e la valutazione di griglie che affrontassero, per ciascun tema inerente l’oggetto di studio, le relative problematicità, i pericoli ma anche le opportunità (Tabella I). Questo ha permesso una lettura critica dello stato di fatto che potesse generare, attraverso l’integrazione dei diversi temi di progetto emersi, la nascita di uno o più scenari coerenti con gli obiettivi condivisi. Tabella I. Stralcio delle griglie analitico conoscitive inerenti i temi di studio. Tema
Problemi
Pericoli
Obiettivi
Opportunità
Identità - Storicizzata - Emergente
Bambini e ragazzi: svilupperanno una identità delle frazioni ma non del capoluogo? …
Da sistema complesso a sistema banale delle relazioni …
Ricomposizione e riqualificazione dei centri storici: quali spazi di relazione? …
Riconoscimen to del CS come polarità forte, voglia di riapertura e di recarsi nei luoghi centrali …
Organismo urbanoterritoriale: - Interrelazioni - Equilibrio - Resilienza
Rapporto tra pieni e vuoti, rapporto tra le polarità, rapporti di scala … Non sono capaci di definire una struttura e di dare un limite est-ovest alla città …
Sprawl, dispersione, isolamento, vuoti urbani, margini …
Contenimento consumo di suolo …
Risolvere problemi antecedenti al sisma …
Macchia d’olio / di leopardo dovuta anche all’inefficienza degli elementi strutturanti …
Ridefinizione telaio strutturante …
Presenza della ferrovia e della stazione …
Razionalizzar ei finanziamenti e le risorse; necessità di stabilire gerarchia interventi e priorità in base alle risorse
Sprecare i finanziamenti …
Sostenibilità economica della ricostruzione …
Opportunità di lavoro per società locale …
Invarianti strutturali
Quantità in gioco: - Fisiche - Finanziarie (perequazione,…)
Riccardo Bonotti, Claudia Confortini, Maurizio Tira
Temi di progetto Spazi pubblici e spazi di relazione; servizi capillari, di quartiere (sociale, sportivo, sanitari); ... Struttura urbana …
Utilizzare le invarianti strutturali come scheletro per il territorio sistema a pettine … Ridefinire le quantità del PRG del 1975 (tramite anche strumenti perequativi) …
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Ri-pianificazione Territoriale a L’Aquila e Struttura Territoriale Minima
Linee di indirizzo dello sviluppo locale
finanziarie … Consumo indiscriminato delle aree agricole …
Crisi dell’agricoltura, abbandono delle attività agricole e tradizionali, arretratezza …
Promuovere il territorio tramite la rifunzionalizzazion e dell’agricoltura; tutelare le aree agricole …
Tempi
Tempi lunghi e incerti …
Malfunzionamento complessivo dell’organismo città …
Stabilire cosa sia provvisorio e cosa permanente …
Strumenti (STU, PRUSST, nuovi strumenti)
Inadeguatezza degli strumenti tradizionali …
Incapacità di gestire la pianificazione e dare una risposta concreta …
Definizione di uno strumento adeguato, difficilmente pensabile come semplice integrazione al PRG …
Pubblico-Privati
Conflitto di interessi; conciliazione delle diverse attese …
Immobilismo …
Partecipazione, comunicazione, condivisione …
Mosaico ambientale: complessità di sistemi faunistici, floristici unica in tutto il mediterraneo … I tempi sono lunghi e gli interventi tanti: possibilità di pensare alle cose e di correggerle in itinere … Creazione di uno strumento adeguato che concepisca un’idea territoriale, esportandolo da altri modelli … Portare avanti un progetto condiviso …
Progetto dei 21 paesaggi identitari regionali …
Cronoprogra mma degli interventi …
Definizione di uno strumento urbanistico adeguato …
Partecipazio ne …
Un secondo passaggio di tipo conoscitivo è stato l’individuazione dei temi strutturanti che hanno definito la forma e l’assetto attuale del territorio aquilano. Nell’area del comune di L’aquila oggetto di analisi (Figura 1) sono stati riconosciuti invarianti e vincoli quali il fiume Aterno con la sua fascia di rispetto, i parchi, i Siti d’Importanza Comunitaria (SIC), le zone a protezione speciale (zps), il tratturo, il tracciato ferroviario e le autostradale e le reti stradali principali. Sono stati inoltre tenuti in considerazione elementi puntuali detentori di un potenziale ruolo chiave nelle strategie di assetto territoriale presenti e future. Questi elementi sono stati individuati quali i caselli autostradali, l’aeroporto, le nuove strutture sorte in seguito al terremoto (CASE, MAP, MUSP) e le zone rosse. Si è provveduto in secondo luogo a perimetrare i centri abitati di quelle frazioni candidate ad essere interessate dall’avvento di nuove centralità (Sassa e il nuovo nucleo industriale), frazioni che tutt’ora gravitano (Bazzano e il nucleo industriale) e frazioni che invece gravitavano attorno a centralità non più esistenti (es. Roio ed il suo polo universitario). Una volta preso atto della realtà morfologica e infrastrutturale aquilana, si è andati a investigare le quantità in gioco che interessano le parti di territorio aquilano. Innanzitutto si è andati a riconoscere quelle porzioni omogenee di territorio che compongono il comune. Ci si è resi conto come la struttura territoriale aquilana sia in realtà la sommatoria di forme che per loro consistenza e struttura assumono identità morfologiche peculiari ben definite e identificabili in sostanza in forme aggregative e satellitari. Più nello specifico si è andati a individuare il centro storico (polarità consolidata, avente ruolo identitario ed aggregante di tutto il sistema), la prima periferia (anello di espansione sorta a partire dagli anni ’70) e la seconda periferia (sviluppata dagli anni 80 che comprende il grande polo di servizi ad ovest). Quest’ultima ha la grande potenzialità di essere elemento collante con le altre parti del sistema ora che il centro storico ha perso quasi completamente il suo eco attrattore.
Riccardo Bonotti, Claudia Confortini, Maurizio Tira
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Ri-pianificazione Territoriale a L’Aquila e Struttura Territoriale Minima
Figura 1. Invarianti ed equilibri territoriali. Attorno vi sono le frazioni che col centro storico mantengono un forte rapporto di sinecismo e per le quali è stata effettuata un’analisi quantitativa del loro peso strategico valutando: La popolazione che attualmente risiede nelle frazioni: comprendente quella rientrata a seguito della ricostruzione leggera e quella ospitata negli alloggi “temporanei” (CASE, MAP); La superficie urbanizzata; La quantità di servizi intesi come standard presenti; L’attrattività ipotizzata in funzione della loro posizione e relazione col sistema ed i poli attrattivi presenti o previsti. Questo permette, in chiave di definizione di assetti e strategie territoriali, di trovare soluzioni bilanciate che possano creare un equilibrio agli estremi rispetto al nucleo insediativo e infrastrutturale centrale. Dei mini sistemi, quindi, che possano essere strutturati per creare sinergie di scala e che permetta una loro riconoscibilità attorno ad una funzione forte che può emergere riqualificando e sviluppando realtà già presenti ma in fase di degrado funzionale. Conclusa la fase di analisi, per definire un progetto strategico di assetto del territorio, ci si interroga preventivamente sull’effettivo valore e l’utilizzabilità dell’attuale modello ad arcipelago. Questo genera infatti una domanda insostenibile di mobilità oltre che un completo stravolgimento dell’assetto pre-sisma. Le frazioni satelliti hanno infatti da sempre avuto una funzione tipicamente coerente con l’ambito agricolo di appartenenza. Il progetto C.A.S.E. e M.A.P. ha distribuito un peso insediativo, dando un ruolo di struttura urbana ad elementi di appartenenza agricola. L’identità urbana è dunque completamente franata creando un sistema caotico che ci si pone di surrogare. Sunto di fondo è il rigetto dell’idea di trasformare il sistema delle frazioni in un’unica città integrante, cercando invece di trasformare la “città” delle frazioni attorno a polarità interdipendenti. Attrattività, welfare e relazioni sono la mission del lavoro: un sistema attrattivo per l’esterno, performante per sé stesso. Per conseguire tale obiettivo si prevede di valorizzare le specifiche vocazioni delle frazioni creando dei microsistemi di welfare locale. Ciò è possibile analizzando le relazioni e le connessioni con le prossimità di completamento valutando il loro livello di integrazione siano esse di tipo forte o di tipo debole. Inoltre, per scongiurare un’ulteriore espansione disgregata, oltre che per rispondere all’esigenza comunitaria di spazi a uso collettivo di svago si è ipotizzata la creazione di nuclei di verde a est e ovest di contenimento. Si tratta, in sostanza, di un riequilibrio del sistema territoriale visto come sistema policentrico interdipendente connesso ad un progetto di rete ecologica. Per collegare tale sistema, le direttici trasversali di ciascuna polarità intercettano lo sviluppo longitudinale del tracciato ferroviario, interpretando questi nodi di connessione tra le parti come nuove fermate metropolitane.
Riccardo Bonotti, Claudia Confortini, Maurizio Tira
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In Figura 2 si scorge la volontà di affermazione della centralità dei centri storici minori nel processo di riconoscimento identitario, la valorizzazione dei centri storici minori esistenti e gli interventi di ricostruzione del patrimonio storico-artistico ove possibile.
Figura 2. Metaprogetto: attrattività, welfare, relazioni Successivamente si è effettuato un confronto con lo strumento di disciplina attuale (PRG 1975) per la verifica delle aree non attuate, al fine del contenimento dell’occupazione del suolo. Ciò ha comportato: Un ripensamento delle destinazioni in funzione delle specifiche esigenze locali; Una ricollocazione di aree di espansione previste dal PRG che comportano un ulteriore dispersione della forma in contrapposizione e espansioni che ne definiscono i margini; L’individuazione di un’area di periferia da ripensare in vista di un possibile ruolo centrale per la città (masterplan della periferia consolidata); L’individuazione di frange urbane; L’individuazione di aree da assoggettare ad interventi di riqualificazione urbana; Gli interventi di saldatura nei centri disgregati. In tutto questo particolare attenzione è stata posta alla dimensione temporale della ricostruzione. Sono stati individuati tre diversi stati temporali: lo stato attuale, uno tempo coincidente con il momento di riattivazione del sistema urbano periferico ed un tempo corrispondente alla riattivazione del centro storico. Questo ha permesso una maggiore flessibilità di strategia fornendo spazio a valutazioni di possibili trasferimenti e trasformazioni d’uso ai vari istanti temporali. Uno studio di carattere tipologico evidenzia i peculiari caratteri della periferia e delle frazioni. Questo può suggerire un’appropriata strategie di intervento per ciascuna realtà. Infine un’analisi della viabilità ha messo in evidenza i sistemi della mobilità su ferro e su gomma allo stato attuale ma con un’interpretazione già in chiave progettuale. Il sistema della mobilità su ferro, attualmente sottoutilizzato, connette L’Aquila a Rieti e a Sulmona. La proposta è accostare il sistema esistente ad altri due livelli di mobilità: uno in chiave di mobilità locale con fermate intermedie, l’altro invece che prevede di fare dell’Aquila una piattaforma di snodo Roma-Pescara. Allo stesso modo la città può essere attraversata in senso est-ovest anche dall’autostrada funzionale sia al sistema sovra locale Roma-Pescara che al sistema locale di attraversamento veloce della città in senso est-ovest, che poi prosegue verso Bazzano. Il sistema si completa a sud con la Mausonia che permette il collegamento della frazione di Pile con Bagno che verrà ben presto collegato con San Gregorio. In conclusione il progetto si propone di integrare in modo sinergico le varie componenti del sistema progettuale così come le singole frazioni interagiranno in maniera sinergica attraverso le loro relazioni in modo da realizzare quell’equilibrio di assetto che permetta di rilanciare l’intera Aquila ad un nuovo ruolo nel livello territoriale di cui fa parte a scala più ampia (relazioni strategiche e di potere con Roma e Pescara). Riccardo Bonotti, Claudia Confortini, Maurizio Tira
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Ri-pianificazione Territoriale a L’Aquila e Struttura Territoriale Minima
Data la complessità dell’area oggetto di studio, il lavoro necessità di ulteriori approfondimenti su altri temi non ancora messi in luce quali: L’adeguata strumentazione urbanistica da utilizzare per attuare le scelte di progetto (di coordinamento, generale, attuativa e di settore); L’analisi delle scelte mediante Valutazione Ambientale Strategica. Coerentemente con il lavoro illustrato viene di seguito individuata la Struttura Territoriale Minima (STM) del Comune di L’Aquila. È noto come il rapporto emergenza - ricostruzione e straordinarietà - ordinarietà è cruciale nel processo di ricostruzione di L’Aquila. In questo senso la STM si candida come il collegamento esplicito tra pianificazione ordinaria e di emergenza, ampiamente auspicato a livello teorico ed in letteratura (Lauraq, 2010b). Nei riguardi del ruolo che una oculata pianificazione urbanistico-territoriale riveste nella riduzione del rischio futuro e nell’orientare lo sviluppo e la ricostruzione - decisivo nella maniera in cui, in sede teorica, renda priva di significato una distinzione netta tra pianificazione post e pre evento (Tira, 1997) - la Regione Umbria ha per prima deciso di muovere passi concreti, decidendo di realizzare una direttiva apposita per l’individuazione della Struttura Urbana Minima (SUM) all’interno del Piano Regolatore Generale 1 . La SUM per definizione è costituita dal sistema di percorsi, spazi, funzioni urbane ed edifici strategici per la risposta urbana al sisma in fase di emergenza, e per il mantenimento e la ripresa delle attività urbane ordinarie, economico-sociali e di relazione in fase successiva all’evento sismico. Nel territorio oggetto di studio sono presenti frazioni separate dal Capoluogo, alcune delle quali con un ruolo significativo nella organizzazione, funzionamento e distribuzione delle persone. Questo rende necessaria l’individuazione e l’analisi della Struttura Urbana Minima non solo del Capoluogo ma anche delle sue frazioni. Da cui l’individuazione di una Struttura Territoriale Minima (STM) di valenza strategica, in cui la messa in sicurezza è necessaria per la tenuta complessiva delle SUM individuate e degli altri centri nuclei relazionati a tale struttura territoriale di riferimento (si veda l’esempio di Comune di Castiglione del Lago, 2007). Secondo questo approccio le SUM costituiscono dei “segmenti” funzionali della STM , la quale a sua volta rappresenta per esse il sistema di coerenze e relazioni essenziali, e ne formano le componenti strategiche (se pure di valenza diverse tra loro) ai fini della funzionalità e della resistenza complessive del territorio aquilano. Le caratteristiche della SUM dipendono fortemente dalla morfologia del territorio, dalle dimensioni del centro urbano, dalle caratteristiche economiche e sociali identitarie locali e dalle relazioni col il territorio adiacente. Ne deriva che ogni esperienza è un caso più o meno complesso a sé stante. Per il caso studio del Comune di L’Aquila è stata analizzata la SUM prima e dopo il sisma. Si è proceduto a considerazioni circa i beni “materiali”, a seguito delle quali l’area oggetto di studio è stata suddivisa in tre zone strategiche per funzioni e servizi, localizzazione ed identità storica. Le aree così suddivise sono state rinominate zona “Coppito”, zona “L’Aquila centro” e zona “Paganica”. L’analisi dei beni “immateriali” ha rilevato elementi propulsori economici sociali caratterizzanti il territorio nonché attrattori di persone e servizi la scuola Sottoufficiali della Guardia di Finanza e le università; mentre all’interno del centro storico sono stati riconosciuti, quali luoghi identitari e di incontro sociale, la Chiesa di S. Bernardino e la Basilica di Collemaggio (si pensi all’importanza della “Festa della Perdonanza”), la Piazza del Duomo e Piazza Regina Margherita. Nel post sisma giocano un ruolo ancora più forte ulteriori elementi quali il Terminal Bus per la sua funzione di raccordo strategico per la mobilità collettiva ed i centri commerciali aventi attualmente funzione di surrogati del centro storico. La zona denominata “L’Aquila centro” prima del sisma era caratterizzata oltremodo dalla presenza di importanti servizi amministrativi attualmente delocalizzati poiché situati all’interno della zona rossa. In questa stessa area la maggior parte degli edifici considerati strategici ai fini della SUM sono inagibili, così come i collegamenti al suo interno, data la presenza della zona rossa. Data l’alta vulnerabilità del centro storico, sia per tessuto edilizio compatto che per la tipologia di collegamento, si è ipotizzato di delocalizzare i servizi strategici della SUM (quali gli uffici comunali e provinciali) nei pressi della Basilica di Collemaggio, luogo in cui è stata allestita la tendopoli durante l’emergenza, data la bassa pericolosità sismica locale, la presenza di punti di raccolta e di ricovero e una posizione strategica vicina al Termina Bus.
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Legge Regione Umbria n. 11 del 22-02-2005 “Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale”.
Riccardo Bonotti, Claudia Confortini, Maurizio Tira
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Figura 3. La Struttura Territoriale Minima di L’Aquila Allo stesso modo, per la facoltà di ingegneria di Roio, data la vulnerabilità non solo della struttura ma anche del collegamento, si è ipotizzato una delocalizzazione in zona “Coppito”, nell’ipotesi della creazione di un campus universitario, lasciando nella struttura originaria funzioni prevalentemente di ricerca. La zona “Paganica” è caratterizzata dalla presenza delle zone rosse che interessano le frazioni di Paganica, Tampera e Onna. Le principali funzioni strategiche sono però situate presso l’area industriale di Bazzano con particolare riguardo alla stazione ferroviaria situata in area a rischio idrogeologico. Una sua rilocalizzazione piuttosto che una riqualificazione con opere di difesa sono da valutare in relazione al ruolo di metropolitana territoriale precedentemente discusso. Infine la zona “Coppito” è caratterizzata dai grandi servizi strategici quali l’aeroporto di Preturo, l’ospedale San Salvatore e le facoltà universitarie, i quali hanno resistito al sisma sia dal punto di vista fisico che funzionale. Infine si è proceduto all’analisi della criticità della STM post sisma in modo da poter avanzare suggerimenti risolutivi. Si evidenziano criticità riguardanti le strutture strategiche: Criticità dirette a strutture ed edifici strategici primari e operativi per i quali è da prevedere una ricostruzione sia mediante la rigorosa osservanza delle norme antisismiche secondo il “decreto Abruzzo” decreto 39 del 28 aprile 2009) sia attraverso sistemi innovativi (es. sistema “a pendolo” sviluppato nel progetto C.A.S.E.); Riccardo Bonotti, Claudia Confortini, Maurizio Tira
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Criticità indirette per gli edifici inagibili presenti all’interno della zona rossa. Si auspica per gli edifici civili una rapida esecuzione dei piani di ricostruzione (Lauraq, 2010c; Properzi, 2011) e la rilocalizzazione delle funzioni strategiche della STM al di fuori del tessuto compatto del centro storico; Criticità derivante da debolezza sistemica per le strutture accessibili mediante percorsi altamente vulnerabili e che dunque necessitano di particolare tutela. Per quel che concerne le criticità che riguardano il sistema delle infrastrutture viarie si evidenziano criticità localizzate come ad esempio sovrappassi per i quali sono necessari interventi strutturali. Infine si evidenziano debolezze strutturali sistemiche quali: Danneggiamento diretto, come macerie lungo le strade della direttrice nord sud della Sum, per i quali urgono interventi per ottimizzare la sezione stradale (ad esempio indietreggiando i volumi degli edifici più alti); Sovraccarico di flussi, per i quali si può ipotizzare la realizzazione di un senso unico di marcia con percorso parallelo alternativo o, dove possibile, l’allargamento del numero di corsie per senso di marcia. In definitiva dall’analisi svolta emergono le seguenti considerazioni: Gli elementi della SUM danneggiati dal sisma sono state tutti prontamente ripristinati in strutture temporanee. Questo a conferma effettiva importanza gestionale che tali funzioni assumono anche in fase di emergenza; Il centro storico è notoriamente un elemento urbano particolarmente critico e l’evento sismico lo ha sottolineato in tutta la sua gravità. Data la vulnerabilità intrinseca del sito, si ritiene opportuno la rilocalizzazione degli elementi SUM al di fuori della cinta muraria in un area più accessibile e meno vulnerabile anche in funzione delle mappe di rischio sismico (microzonazione sismica) e idrogeologico; Le aree C.A.S.E non hanno aggiunto ulteriori servizi, ma hanno solo delocalizzato la popolazione (Bonotti, 2010). Per tale motivo non hanno dato apporti alla SUM; Il sisma ha portato una dispersione centrifuga non solo della popolazione ma anche dei luoghi di relazione sociale. Il sisma a L’Aquila ha sottolineato come l’analisi beni “immateriali” sia importante quanto quella dei beni “materiali”. Inoltre emergono le chiari potenzialità della STM in stretto rapporto con la pianificazione territoriale inizialmente proposta. Oltre a concreto collante tra pianificazione urbana e di emergenza da fornire ai tecnici comunali, la STM può orientare le priorità degli interventi urbanistici data la sua natura di strumento flessibile e “reale” esplicitamente calato sulle caratteristiche locali.
Bibliografia Libri Bonotti R. (2010), Evoluzione dell’assetto urbanistico dell’area aquilana a seguito della realizzazione dei quartieri, C.A.S.E. Comune di Castiglione del Lago (2008), Documento Programmatico. Relazione. Elaborato espositivo. Comune di Castiglione del Lago (Pg) Lauraq (2010b), “Dio salvi L’Aquila. Una ricostruzione difficile”. Libro Bianco, Urbanistica Dossier Maurizio Tira (1997), Pianificare la città sicura, Ed. Librerie Dedalo, Roma Articoli: Romano M. (2010), “Quando tra dieci anni sarà ricostruita, L’Aquila non esiterà più”, Il Messaggero 29 ottobre Properzi P. (2011), “A Urbanpromo il punto sulla ricostruzione dell’Aquila”. INU comunicato stampa. Siti web Lauraq (2010a). Atelier progettali. [Online] Disponibile su: www.laboratoriourbanisticoaquila.eu/atelier.html Lauraq (2010c). Emergenza L’Aquila. [Online] Disponibile su: http://www.laboratoriourbanisticoaquila.eu
Riconoscimenti Si ringrazia il gruppo di lavoro “Pianificare Infrazioni” composto da: Riccardo Bonotti, Martina Casarini, Daniela Corsini, Andrea Rebecchi, Giulia Rosaria Taraschi, Laura Vivola; tutors: Filippo Lucchese, Luca Iagnemma.
Riccardo Bonotti, Claudia Confortini, Maurizio Tira
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Tecniche integrate per il rilievo e il recupero dei centri storici. Il caso di Paganica (AQ)
Tecniche integrate per il rilievo e il recupero dei centri storici. Il caso di Paganica (AQ) Rosa Grazia De Paoli Università Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento DASTEC Email: rosa.depaoli@unirc.it Tel. 0965.891504 Domenico Mediati Università Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento AACM, Email: domenico.mediati@unirc.it Tel. 0965.036105
Abstract Al tradizionale tema del rilievo come strumento di conoscenza del contesto urbano, si aggiungono complessità metodologiche e procedurali nelle aree distrutte da calamità naturali. L’attività di rilievo segue procedure differenti a seconda delle caratteristiche del manufatto oggetto di rilievo. La dimensione e la natura dell’oggetto, ad esempio, ma anche lo stato di degrado e di conservazione, possono indurre all’uso di metodi di rilievo differenti e a forme di rappresentazione e di organizzazione dei dati. Il rilievo condotto a Paganica, ha coinvolto unità operative provenienti da più Università italiane tra cui la facoltà di Architettura e di Ingegneria di Reggio Calabria 1 . La ricerca si colloca in ambiti disciplinari differenti, inerenti sia all’area del disegno che ha sperimentato un approccio conoscitivo speditivo attraverso la misura, il disegno e l’interpretazione del reale, che a quella urbanistica che trova in questo preciso contesto le condizioni “ideali” per l’applicazione di innovative metodologie di valutazione della vulnerabilità urbana per un recupero integrato tra conservazione e restauro architettonico, adeguamento antisismico, recupero sociale.
Introduzione Le finalità del rilievo di un qualsiasi manufatto incidono, inevitabilmente, sui processi e sulle metodologie adottati: finalità di documentazione richiedono procedure e strumenti differenti rispetto ad un rilievo mirato ad un intervento di restauro. Allo stesso modo, la dimensione e la natura dell’oggetto, lo stato di degrado e di conservazione, suggeriscono l’uso di metodi e strumenti di rilievo differenziati e forme di rappresentazione, organizzazione e analisi dei dati confacenti al manufatto in oggetto. Il rilievo effettuato a Paganica 2 dall’Unità operativa di Reggio Calabria 3 , mirava alla raccolta di dati metrici e qualitativi sul tessuto urbano del centro storico volti ad un’attenta valutazione della conformazione urbana ed 1
Paganica è una frazione della città dell’Aquila di origini medioevali, che è stata fortemente interessata dai danni strutturali del terremoto del 6 aprile 2009. Il rilievo effettuato nel centro storico tra il 27 e il 31 Luglio 2009 che ha impegnato unità operative provenienti da più Università italiane, s’inserisce nell’ambito del Progetto PRO.PAGA “Progetto Paganica – Proposta di un piano di lavoro sulla città storica”, promosso dalla Re LUIS (Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica). La campagna d’indagine, nell’integrazione di più discipline, non ha seguito metodologie tradizionali ma percorsi innovativi anche in virtù delle particolari condizioni post-sisma del patrimonio abitativo del centro storico. 2 Il centro storico di Paganica (Aquila), è disabitato in seguito al terremoto del 2009 che ne ha danneggiato e distrutto gran parte degli edifici. 3 Per l’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria i gruppi operativi erano così composti: 1. Domenico Mediati Manuela Bassetta - Tindara Maimone; 2. Stefano Briganti - Arianna De Paola - Antonia Orlando - Giuseppe Romeo; 3. Rosa Grazia De Paoli, Domenico Mediati
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Tecniche integrate per il rilievo e il recupero dei centri storici. Il caso di Paganica (AQ)
architettonica e delle condizioni di degrado e dissesto, tali da fornire gli elementi necessari ad una successiva fase di definizione degli interventi di recupero del tessuto urbano. Non si è trattato, pertanto, di un rilievo di tipo tradizionale ma di un approccio conoscitivo speditivo innovativo, in cui la necessità di coordinamento di unità operative di rilievo eterogenee, la peculiarità dei luoghi e degli eventi, i tempi stretti dell’intervento e le finalità ancora in fase preliminare, hanno condotto ad un risultato “intermedio”, ma che rappresenta un prezioso punto di partenza per ogni successivo approfondimento e per la formulazione di un intervento mirato ad un saggio ed attento “governo” del territorio.
Obiettivi della ricerca L’obiettivo della ricerca era diretto all’individuazione di una metodologia di recupero che integrasse saperi legati alla conservazione e al restauro architettonico con saperi legati alla messa in sicurezza dei singoli edifici e del sistema urbano ma anche al recupero sociale volto al ripopolamento del centro urbano abbandonato dopo il sisma. L’impianto urbano del centro storico di Paganica, di origine medioevale, gravita concentricamente attorno a un colle sulla cui sommità è ubicata una chiesa del 1600 “Santa Maria del Presepe” sui resti di un antico Castello distrutto nel 1400. Sui tracciati viari attualmente visibili dell’epoca romana, sono state individuate 13 unità morfogenetiche omogenee sulle quali i tecnici si sono concentrati per l’attività di rilievo e su ognuna delle quali nella fasi di progetto, saranno scelti 2 casi studio: uno di ricostruzione; uno di miglioramento antisismico. La priorità nelle attività di rilievo, è derivata dall’esigenza di trarre lo stato del danno dell’edificato e del sistema urbano immediatamente dopo l’evento. Per questo motivo circa 50 rilevatori provenienti da più Università italiane hanno svolto direttamente sul campo una prima attività di rilievo, finalizzata alla raccolta e all’elaborazione di dati per la composizione del quadro di intervento sia alla scala dell’edificio che a quella urbana. Al livello urbano, l’idea trainante è quella di rafforzarne il sistema attraverso l’individuazione della Struttura Urbana Minima (SUM) 4 , attraverso: indagini di vulnerabilità degli edifici e del sistema urbano; indagini della pericolosità sismica che potrebbero influire in materia determinante sulle scelte di recupero e di messa in sicurezza; il riconoscimento del sistema dell’emergenza (individuazione della security line, delle aree di raccolta esistenti e da progettare in seguito ad interventi di ristrutturazione urbanistica); la regolamentazione di interventi operativi e normativi per la messa in sicurezza della SUM anche attraverso un Piano Particolareggiato; la rivitalizzazione del centro, attraverso la ricostruzione delle relazioni sociali, urbane e produttive (per arginare il possibile spopolamento).
Considerazioni di “rilievo” Il rilievo non è altro che un processo di conoscenza storica, metrica, strutturale, morfologica, qualitativa, etc. di una data realtà; una sorta di “pensiero in itinere” che si forma attraverso l’osservazione e l’interpretazione del reale. Esso non può prescindere dalle peculiari condizioni del contesto, dalla cultura visiva, dalle capacità e dalle finalità interpretative del rilevatore. Sarà pertanto probabile trovarsi di fronte a rilievi di uno stesso oggetto, realizzati da più rilevatori, che presentano delle diversità anche considerevoli. Livio Sacchi lo rivela attraverso le parole di Antoine Desgodets, che nel 1682 pubblica a Parigi Les Édifices antiques de Rome, frutto di una straordinaria campagna di rilievo dei monumenti dell’antichità di Roma, compiuta nell'arco di poco più di un anno, tra il 1676 e il 1677. Quando Desgodets confronta i suoi rilievi con quelli di altri illustri rilevatori, si accorge di palesi inesattezze contenute nel lavoro dei suoi predecessori. Pertanto – egli afferma –, allorché ho intrapreso a misurare con precisione le antichità di Roma, la mia intenzione è stata di sapere quale di questi autori, che godono riputazione, doveva essere seguito, come quello che avesse dato le più vere misure … Sono rimasto sorpreso … di vedere che quelli che hanno misurato fino
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Domenico Tosto - Anna Ferraiuolo - Giuseppe Mazzacuva - Daniela Sidari. Consulenza urbanistica: arch. Rosa De Paoli. Responsabile per l’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria del Progetto PROPAGA: prof. Adolfo Santini. Si tratta di una metodologia volta a individuare i sistemi “vitali” di in centro urbano (produttivo, storico, sociale, dell’emergenza ecc.) e su di essi focalizzare gli interventi di messa in sicurezza (R.G. De Paoli, 2010).
Rosa Grazia De Paoli, Domenico Mediati
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ad ora gli edifici, non l’hanno fatto con precisione … e che tra i disegni non havvene alcuno in cui non si trovino degli errori considerevolissimi (A. Desgodets, 1682). Quelli che Antoine Desgodets chiama errori, in realtà, non sono altro che inevitabili conseguenze dell’interpretazione soggettiva connessa alle operazioni di rilievo. Qualsiasi attività di conoscenza contiene in sé, per la natura stessa del processo in atto, un margine più o meno ampio di soggettività, che si restringe nel caso di un rilievo geometrico, sia pur mantenendo dei margini rilevanti, e si amplia notevolmente in quegli ambiti di rilievo in cui l’interpretazione soggettiva assume un ruolo decisivo. Non di oggettività occorre parlare, pertanto, ma piuttosto, secondo le riflessioni di Paolo Bertalotti, di intersoggettività. Oggettivo – egli afferma – deve essere allora inteso non come esatto, assoluto, ma come intersoggettivo, convenzionale, riferito all’oggetto, realizzato nel rispetto delle leggi scientifiche, delle regole e delle convenzioni interpretative, spinto al grado di approfondimento e di approssimazione richiesti (Bertalotti, 2001). Soggettività dell’interpretazione e oggettività del rappresentato sono, quindi, i termini di qualsiasi rappresentazione del costruito. L’osservatore, il disegnatore, il rilevatore, con la molteplicità dei parametri che introduce nella interpretazione del reale – cultura, sensibilità, struttura psicologico-emotiva, posizione nello spazio, etc. – diventa, la determinante essenziale per la comprensione e la rappresentazione dell’oggetto. Se ciò è vero per un qualsiasi tipo di rilievo, tali riflessioni e la componente soggettiva che ne deriva, assumono un peso estremamente decisivo nei rilevi più ampiamente svincolati dalla determinane geometrica. Nel rilievo urbano e in contesti particolarmente difficili come quello di Paganica, i parametri e le valutazioni che entrano in gioco lasciano vasti campi di esercizio all’interpretazione soggettiva, ma consentono una lettura critica del contesto capace di coglierne più agevolmente la complessità. Si definisce, così, una schedatura tematica del tessuto urbano e delle sue unità abitative che in sé contiene l’analisi ma anche la sintesi di un corretto approccio progettuale. Un’osservazione attenta e puntuale della realtà aiuta a tracciare linee guida d’intervento più saldamente ancorate al contesto in cui si opera e maggiormente rispondenti alle aspettative della popolazione e delle istituzioni. Non è necessaria, per questa finalità, la “precisione del disegno”, non è utile, in questa fase, la definizione metricamente esatta del contesto, ma appare insostituibile un’adeguata capacità di lettura dei fatti urbani e architettonici. Precisione – afferma Roberto De Rubertis – non significa solo banalmente esattezza geometrica, ma significa soprattutto saper circoscrivere con chiarezza l’obiettivo della rappresentazione per distinguere gli elementi rappresentabili da quelli trascurabili. Precisione significa saper mettere a fuoco le ragioni del disegno e saper evidenziare quella sezione del reale sul quale concentrare l’attenzione. Si tratta quindi più di precisione nel colpire il bersaglio che nel misurarlo. È preciso il disegno che sa esporre ‘esattamente’ una cosa tra le tante, che sa costruire una dimostrazione ineccepibile, che sa dimostrare un’ipotesi, legittimare un’idea. Ne consegue che precisione vuol dire anche osservare con acutezza, valutare il ruolo dei dettagli, suddividere ordinatamente lo spazio. Vuol dire indagare nella realtà con atteggiamento scientifico e documentare le ragioni delle scelte (R. De Rubertis, 1994).
Le indagini L’organismo urbano di Paganica è il risultato dell’aggregazione conclusasi nel XV secolo, di circa ventiquattro “nuclei urbani” di origine medievale. La particolare morfologia del territorio e le aggregazioni urbane hanno consentito la suddivisione del centro storico in 13 Unità Morfogenetiche Omogenee (UMO) (Figure 1-3), ciascuna delle quali identifica un particolare tessuto storico e edilizio. L’identificazione delle UMO ha permesso, inoltre, una maggiore semplicità di rilievo sia delle condizioni conservative che dell’incidenza del danno, facilitando l’adozione di strategie e metodi di rilievo ad hoc sui manufatti. Le UMO oggetto d’indagine dell’Unità operativa di Reggio Calabria, pur presentando danni tali da impedire l’ispezione degli ambienti interni, mostravano, da una lettura dell’involucro esterno, buone condizioni (Fig. 3). Gli edifici presenti, invece, nelle UMO poste a monte della città di Paganica sono stati totalmente distrutti dal terremoto. Ad una lettura più attenta appare chiaro, però, che l’apparente solidità degli edifici posti a valle, cela spesso un equilibrio precario delle strutture non immediatamente rilevabile da una lettura esterna. Solo l’accesso agli spazi interni ha fornito una valutazione oggettiva dello stato del danno e di conservazione di tali manufatti (Figura 4), spesso interessati dal crollo dei solai, se non addirittura da rotazioni, traslazioni e spanciamenti degli elementi strutturali verticali. In un tale scenario, nei tempi estremamente limitati e in riferimento alle finalità “intermedie” del rilievo in oggetto, si è ritenuto opportuno non dare preminenza alla componente geometrica del rilievo come, altrimenti, si converrebbe ad un approccio di tipo tradizionale. Rosa Grazia De Paoli, Domenico Mediati
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Figura 1. Paganica (AQ), tracciati regolatori dello sviluppo urbano e individuazione delle Unità Morfologiche Omogenee. Dalla documentazione fornita dalla ReLUIS.
Figura 2. Paganica (AQ), Unità Morfogenetiche Omogenee. Le planimetrie catastali e le ortofoto, sono state assunte come base per le verifiche in loco, riportando variazioni rispetto allo stato di fatto, larghezza di vie e spazi urbani, dimensione dei fronti e altezze degli edifici, etc. L’attenzione prevalente è stata concentrata su un’analisi qualitativa piuttosto che geometrica dei manufatti, in particolare sulla lettura del tessuto urbano e sulla conformazione degli spazi collettivi: assi murari, rotazioni, disassamenti che delimitano le pubbliche vie. Ci si è indirizzati, inoltre, sulla lettura della consistenza urbana attraverso il rilievo del numero dei piani delle unità abitative e l’entità delle superfici per piano. La maggiore attenzione è stata dedicata, infine, all’interpretazione dello stato di degrado e dell’entità del danno, classificata in cinque livelli progressivi che ne definiscono l’entità e la suscettibilità di recupero per ogni singola unità abitativa. Il rilievo è stato eseguito per ciascuna particella abitativa del centro storico di Paganica utilizzando differenti schede: 1. dati generali (n. particella, indirizzo, tipologia di rilevamento); 2. relazioni con il contesto (posizione dell’edificio, tipologia di connessione, modalità di aggregazione, caratteristiche del sito, caratterizzazione edilizia, emergenze architettoniche, proprietà); 3. caratteristiche geometrico-morfologiche (tipologia edilizia, pianta, dati metrici); 4. caratteristiche strutturali (tipologia delle strutture verticali, orizzontali e delle coperture); 5. valutazione del danno (lettura del quadro fessurativo: lesioni profonde, risarcite, espulsione di materiale, rigonfiamenti, tessitura muraria allentata, rotazioni fuori piano, schiacciamento, cedimenti del terreno, ecc.).
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Figura 3. UMO n. 9, profilo edilizio.
Proposte progettuali In generale, il patrimonio edilizio maggiormente vulnerabile è concentrato negli antichi tessuti urbani meglio conosciuti come centri storici. Si tratta, come sappiamo, di antiche città che rappresentano oggi la memoria di chi le ha vissute e per tale motivo l’intento generale è quello di preservarle il più possibile. Le metodologie messe in atto in questi ultimi anni per salvaguardare e recuperare i centri storici sono le più svariate; tutte, però, tendono ad affrontare il tema del recupero in maniera integrata coinvolgendo più aspetti: quello sociale, favorendo, ad esempio, incrementi della popolazione residente attraverso iniziative legate a bassi costi di affitto e di acquisto delle abitazioni; quello economico, favorendo iniziative commerciali legate per lo più al potenziamento dell’artigianato locale come possibile volano di sviluppo; quello culturale, legato ad iniziative volte a incentivare il turismo nazionale ed internazionale; quello legato al recupero fisico del patrimonio edilizio avviato, per lo più, attraverso incentivi economici e sgravi fiscali. Oggi, però, si comprende come il recupero fisico dei singoli edifici sia insufficiente a preservare l’integrità di un centro storico soprattutto se ubicato in zone ad alta sismicità. Il rischio sismico, infatti, costituisce una delle cause che alimenta il processo di degrado e progressivo abbandono dei centri storici soprattutto in seguito ad un evento sismico. Di recente, tale problema è stato al centro di studi e ricerche nel campo urbanistico volte proprio a definire nuove strategie di recupero di tipo integrato. Tra queste, la Struttura urbana minima rappresenta la metodologia, di impronta urbanistica, che affronta il tema del recupero dei centri storici in zona sismica, recependone tutti gli aspetti coinvolti. L’esperienza di ricostruzione del centro storico di Paganica sopraggiunge, quindi, in un momento di rinnovamento disciplinare in campo urbanistico in cui si propugna l’attivazione di nuove politiche di mitigazione del rischio sismico a scala urbana dirette al superamento di desuete e fallimentari strategie già sperimentate e riferite essenzialmente alla messa in sicurezza dei singoli edifici. Tale esperienza è finalizzata ad introdurre nella “prassi” urbanistica nuovi obiettivi di mitigazione del rischio sismico e di recupero con finalità antisismiche anche seguendo nuove formule come quelle della concertazione e della partecipazione finanziaria dei privati volute dai programmi complessi. Pertanto, ai fini del recupero integrato del centro storico, la metodologia della Sum che trova concreta realizzazione attraverso un Piano di Recupero Urbanistico con finalità antisismiche coniuga esigenze di messa in sicurezza sia degli edifici che dell’intero sistema urbano, attraverso la messa a punto di: un Piano normativo che ha l’obiettivo di definire il futuro assetto del centro storico anche attraverso vincoli e prescrizioni relative all’uso del suolo e alle trasformazioni edilizie all’interno dell’area di piano; un Programma operativo, nel quale dovranno essere individuate ed organizzate le iniziative e le azioni Rosa Grazia De Paoli, Domenico Mediati
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amministrative, anche di concerto con l’imprenditoria privata.
Figura 4. Paganica (AQ), distribuzione del danno (classificazione tratta dalla documentazione fornita dalla ReLUIS): livello 1 - edifici o parti consistenti di essi che presentino leggere fessurazioni, degradi di elementi di superficie (pareti esterne, intonaci, infissi etc.); livello 2 - edifici o parti consistenti di essi che presentino fessurazioni passanti non verticalizzate, dissesti delle murature portanti, lacune dei paramenti esterni, lievi fessurazioni nelle strutture orizzontali; livello 3 - edifici che, nonostante l’elevato stato di degrado, conservano ancora, anche se parzialmente crollati, le unità di immagine storica con suscettività di recupero. L’elevato stato di degrado è caratterizzato dalla presenza di fessurazioni passanti e verticalizzate, dissesti gravi delle murature portanti, rotazioni dei muri, deformazioni geometriche degli elementi verticali e orizzontali; livello 4 - edifici che, a causa dell’elevato stato di degrado fisico, presentano una bassa suscettività di recupero. L’elevato stato di degrado è caratterizzato dal distacco di elementi strutturali, disgregazione delle murature, mancanza di balconi e inferriate, collasso parziale o totale di tetti e solai; livello 5 - edifici che, a causa del grave stato di degrado fisico, presentano una suscettività di recupero veramente limitata. Lo stato degrado è caratterizzato da una percentuale delle murature verticali crollate superiore a 50.
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Conclusioni I dati grafici e fotografici, insieme ai quadri riassuntivi e alle schede di catalogazione e analisi dei manufatti, hanno offerto un quadro “intermedio” di valutazione che ha consentito di leggere le caratteristiche urbane e lo stato di degrado del centro storico di Paganica. Le indagini di rilievo, svolte in maniera integrata, tra l’esigenza di coniugare letture del danno sugli edifici ma anche del sistema urbano, configurano un quadro completo e ideale per impostare programmi di intervento più efficaci per il recupero e la rivitalizzazione del centro storico di Paganica. Qui, come in tutti i centri storici, è rilevante la vulnerabilità agli effetti di un terremoto, pertanto, nelle aree sismiche dovrebbero essere attivate preventivamente forme di “protezione” dirette, non solo ai singoli edifici, ma all’intero sistema urbano. La metodologia della Struttura Urbana Minima si colloca in modo ideale nei contesti storici poiché è diretta al recupero integrato di tutti gli aspetti, sociali, produttivi, strutturali, che potrebbero risultare anche definitivamente compromessi dall’azione sismica. La metodologia della S.U.M. riconosce, infatti, l’importanza della conservazione della memoria storica, mediante la conservazione e la messa in sicurezza dei luoghi, degli spazi pubblici e degli edifici che rappresentano la testimonianza del “vissuto” di un centro urbano. Soluzioni più o meno temporanee come quelle sin ora adottate a l’Aquila, sia pur rispondendo alle immediate necessità di salvaguardia dell’integrità fisica, non soddisfano pienamente le implicite esigenze di identificazione con i luoghi e le culture locali. Soltanto interventi sapienti di ricucitura e sostituzione del tessuto urbano che derivano da metodologie corrette di rilievo, analisi e progettazione urbana, possono garantire quelle esigenze minime di vivibilità funzionale, sociale e culturale che possano innescare processi virtuosi di ripopolamento dei centri storici abbandonati.
Bibliografia Libri De Paoli R.G. (2010), Centri storici e rischio sismico, Franco Angeli Editore, Roma. Desgodets A. (1994), Les édifices antiques de Rome, Paris 1682. Norberg-Schultz C. (1979), Genius Loci. Paesaggio Ambiente Architettura, (tradotto da NorbergSchultz Anna Maria), 5ª ed., Electa, Milano. Norberg-Schultz C. (1974), Il significato in architettura, (tradotto da Gossi Giorgio), Dedalo, Bari. Sacchi L. (1994), L’idea di rappresentazione, Edizioni Kappa, Roma. Articoli Bertalotti P. (2001), “Oggettività e soggettività del rilievo (Intersoggettività e soggettività)”, Disegno n. 8, anno VI, settembre 1984.
Rosa Grazia De Paoli, Domenico Mediati
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Le ricostruzioni post-sisma in Italia.
Le ricostruzioni post-sisma in Italia. L’Abaco dei modelli come base per il progetto di ricostruzione. Matteo Scamporrino Università degli studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione della Città, del Territorio e del Paesaggio Email: matteo.scamporrino@unifi.it Tel: 339.2218196
Abstract Dopo un sisma, passata la fase di prima emergenza e la messa in sicurezza, ci si chiede subito come dare una risposta alle crisi multilivello che interessano il territorio colpito. Il nodo centrale non è tanto il “cosa” fare, cioè ricostruire, ma il “come” farlo. Si procede alla delineazione di un modello che rappresenti la base per il “Progetto di Ricostruzione”. L’individuazione di un modello il più condiviso possibile e idoneo, evita un andamento ondivago e incoerente del processo di ricostruzione sicuramente dannoso per lo sviluppo e la rigenerazione territoriale. Ma come rendere i modelli logici, riconoscibili e comunicabili? Questo Paper propone un percorso in tre fasi: l’abaco, che fornisce gli elementi; il grafico riassuntivo, che relaziona gli elementi precedentemente emersi; i modelli, che sono la sintesi delle prime due fasi. L’individuazione dei modelli italiani studiati saranno poi rapportati alla ricostruzione de L’Aquila.
Introduzione Il dibattito sulle ricostruzioni post disastro è molto acceso sia in Italia che all’estero. L’incontro tra la ricostruzione e il territorio è un nodo cruciale del successo o l’insuccesso del processo stesso. La proposta che viene avanzata è quella di riuscire a codificare i metodi di ricostruzione Italiani degli ultimi cinquanta anni come apporto a tale dibattito in maniera sperimentale. Nimis in “Terre mobili” del 2009, in concomitanza con l’avvio della ricostruzione aquilana, afferma che “è perlomeno singolare che in un paese come il nostro, così frequentemente devastato da eventi calamitosi, tardi tanto a profilarsi un’idea-guida di ricostruzione” (Nimis 2009), mentre già nel 1977 Kates affermava che il processo di ricostruzione dovesse essere “ordinato, conoscibile e prevedibile” (Hass, Kates & Bowden, 1977). Partendo da queste due considerazioni è nata l’idea di codificare dei modelli ricostruttivi che servano sia da supporto decisionale, che da guida nei percorsi di ricostruzione. L’attenzione è focalizzata su quattro aspetti: il tipo di governance, il ruolo degli attori, gli strumenti e la localizzazione degli interventi, in quanto nodali nei processi ricostruttivi. L’abaco e la sua analisi sono un tassello di un percorso di ricerca più ampio, ma possono comunque essere visti in maniera a se stante come si è tentato di illustrare di seguito. Lo schema base è il seguente: l’abaco che fornisce gli elementi; il grafico riassuntivo, che mette in relazione gli elementi precedentemente emersi; i modelli, che sono la sintesi delle prime due fasi. In ultimo si è tentato di mettere in relazione i modelli derivati dai casi studio con la ricostruzione de L’Aquila, nel tentativo di verificare i modelli individuati in un caso concreto.
Matteo Scamporrino
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L’abaco Lo strumento scelto è quello dell’abaco poiché sintetico e comparativo (Figura 1). Si è consapevoli che, a causa della complessità dei processi di ricostruzione, l’analisi potrà risultare parziale in quanto è da leggersi come uno step intermedio di una ricerca più ampia. I casi studio sono quattro e rappresentano le maggiori ricostruzioni compiute in Italia negli ultimi cinquanta anni. Anche L’Aquila è stata inserita come caso studio, ovviamente non parteciperà all’individuazione dei modelli, ma la sua presenza nella matrice d’ordine faciliterà la verifica finale. Sono stati scelti quattro ambiti di confronto: il contesto, il ruolo degli attori, gli strumenti e la localizzazione degli interventi; all’interno di ognuno di essi si è provveduto a individuare gli indicatori più opportuni per il confronto. Per aiutarne la comprensione andremo a spiegare di seguito, per ogni ambito, il perché della scelta e l’importanza all’interno dell’abaco.
Figura 1. Abaco delle ricostruzioni
La cornice Per analizzare i processi di ricostruzione è opportuno comprendere il contesto e lo scenario in cui questa avviene, selezionando degli elementi quantitativi che assieme delimitano la cornice entro la quale si svolge la ricostruzione. Sono stati scelti cinque indicatori: i danni, l’estensione del cratere, la vulnerabilità, le risorse e i tempi; la scelta è stata compiuta sulla base del modello proposto da Kates nel testo “Recostruction Following Disaster” del 19771 . La magnitudo 2 rappresenta l’entità della minaccia a cui è stato sottoposto il territorio; questo dato letto assieme all’estensione del cratere (Guidoboni & Valensise, 2011), espresso in numero di enti amministrativi coinvolti, dà l’ordine di grandezza del disastro. La vulnerabilità è rappresentata dalla percentuale di sfollati rispetto al totale della popolazione colpita. I fondi (Nimis, 2009) danno, invece, la misura delle risorse messe in campo per la ricostruzione; essi non comprendono però la fase di emergenza e di ricovero. Infine, per quanto riguarda la tempistica si fa riferimento alle tre fasi post disastro: emergenza, ricovero, ricostruzione (Nimis, 2009; Hass, Kates & Bowden, 1977; Guidoboni & Valensise, 2011).
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Ritengo, infatti, che questo testo sia seminale sotto il profilo dell’analisi dei processi ricostruttivi: nel corso degli anni è stato alla base degli studi compiuti circa il Disaster risk reduction (DRR) e il concetto di resilienza. 2 Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ( http://www.ingv.it/terremoti/terremoti-storici/ ) Matteo Scamporrino
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La definizione della cornice necessiterebbe, però, un'integrazione con dati qualitativi riferiti al contesto politico, sociale ed economico in cui la ricostruzione avviene, ma in questa sede si è ritenuto opportuno rimanere su dati quantitativi lasciando sullo sfondo gli altri.
Ruolo di attori Il ruolo degli attori è un aspetto nodale per il processo ricostruttivo e definisce il “chi fa cosa”. Nell’abaco si indicano i ruoli all’interno del processo ricostruttivo individuandoli e distinguendoli tra i vari livelli istituzionali; un focus è stato fatto su quello della popolazione riportandolo all’interno del processo in base al grado di partecipazione. Salzano, assieme al Comitatus Aquilanus, nell’introduzione al libro “L’Aquila. Non si uccide così una città” (Comitatus Aquilanus, 2009) evidenzia come l’esautorazione degli attori locali porti a una sostanziale passività rispetto alla ricostruzione. Gli attori locali e la popolazione, immediatamente dopo il sisma, sono shoccati e impotenti di fronte ad una condizione improvvisa che altera in primis la loro quotidianità, ma anche la loro condizione di cittadini. Essi, infatti, perdono tutti i riferimenti sociali e spaziali all’interno della città, che lo scenario post-disastro destruttura. Qualora non ci siano state prevenzione e preparazione al disastro, le amministrazioni e i tecnici locali si ritrovano in una condizione di impreparazione ed impotenza; per questo dopo ogni disastro interviene lo stato, e in epoca moderna la Protezione Civile, a sopperire a tali mancanze. Qua nasce il problema del rapporto tra attori locali e sovralocali, dove il rischio è quello proprio dell’esautorazione dei primi in nome dell’emergenza, intesa come bisogno di rapidità nelle scelte e risolutezza (Puliafito, 2010). In proposito ci sembra importante citare Kates quando afferma che in realtà esiste già un piano di ricostruzione nella percezione degli attori locali, che non è altro che la città pre-sisma. Essi, infatti, conoscono bene il territorio precedente al disastro e, quindi, il loro ruolo dovrebbe essere quello di attori primari. Inoltre, una volta terminata la ricostruzione, il territorio rimarrà agli attori locali. Il rischio è che attori sovralocali non riescano a vedere la ricostruzione nel suo complesso, focalizzando troppo la loro attenzione su una risposta rapida alle condizioni di emergenza abitativa ed economica, agendo in maniera tecnocratica e decontestualizzata. È una contemperazione d’interessi da parte dei due attori, che si sostanzia e si palesa nella divisione dei compiti, dei ruoli e nella gestione dei fondi. Comprendere i rapporti di forza e i ruoli nel processo è un punto nodale della ricostruzione.
Strumenti e Pianificazione I casi presi in esame sono diversi tra loro e distanti nel tempo, conseguentemente caratterizzati da contesti normativi differenti; quindi in questa sede ci limiteremo a riportare gli strumenti indicandone l’ordinarietà o la straordinarietà. Occorre, inoltre, ricordare che spesso la normativa urbanistica e pianificatoria ha utilizzato le ricostruzioni come momento di correzione o implementazione dei suoi strumenti: si pensi all’utilizzo dei Piani Comprensoriali nel caso del Belice (Cannarozzo, 1996) o dei Piani Integrati di Recupero nel caso di Umbria e Marche (Nigro & Sartorio, 2002). La scelta dello strumento è legata al ruolo degli attori: il nodo è non tanto come si ricostruisce, quanto chi decide e con quali strumenti (Ventura, 2010). Il contesto in cui si pianifica la ricostruzione, si individuano le aree, si determinano le priorità, è radicalmente diverso negli equilibri e nelle finalità rispetto a condizioni di normalità. La partecipazione della popolazione e la rapidità sono due aspetti prioritari nella pianificazione post disastro, conseguentemente gli strumenti tradizionali mal riescono ad essere inclusivi ed efficaci in tempi brevi. Inoltre, l’utilizzo di strumenti sovralocali che spesso si attivano per la ricostruzione rende difficoltoso il passaggio, in un secondo momento, agli strumenti locali tradizionali. Infine si osserva che nelle fasi di Emergenza e Ricovero spesso vengono operate scelte di dislocamento della popolazione nel territorio, modificando le polarità e alterando molti contesti, e ciò può mettere in crisi l’utilizzo di strumenti tradizionali (Puliafito, 2010).
Localizzazione degli interventi Ultimo aspetto considerato è quello relativo alla localizzazione degli interventi di emergenza e di ricovero in un regime di transitorietà, e quelli di ricostruzione destinati a rimanere permanenti nel territorio. Le scelte compiute nelle fasi emergenziali e di ricovero, nonostante siano temporanee, in realtà determinano effetti permanenti nella geografia del territorio. Infatti uno dei rischi maggiori è il fenomeno dell’abbandono dei territori colpiti da disastro. La sistemazione della popolazione lontano dal luogo di origine per un tempo prolungato, unito alla perdita del lavoro a causa dello stop della produttività, possono suscitare la voglia di ritorno a una normalità e, quindi, all’adattamento al nuovo luogo. Cercare di mantenere il presidio del territorio anche nelle fasi precedenti al processo di ricostruzione è un nodo cruciale per il successo del processo stesso. Matteo Scamporrino
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Inoltre, la vicinanza ai propri luoghi nella fase di ricostruzione costituisce uno stimolo a includere la popolazione nel processo stesso e a monitorare le modalità e la tempistica in maniera diretta. Per quanto riguarda la localizzazione degli interventi della ricostruzione, in sostanza, si cerca di evidenziare in quali sia stato considerato il principio del “dov’era com’era”, ricostruendo principalmente in situ, e in quali si è compiuta la scelta di rilocalizzazione dei nuclei abitati o la creazione, come nel caso dell’Irpinia (Nimis, 2009), di nuove centralità industriali.
Il grafico L’abaco individua quindi gli elementi che compongono una ricostruzione ma, per arrivare all’individuazione dei modelli, occorre indagare come questi elementi si rapportino tra loro. Si è ritenuto importante riassumere gli elementi dell’abaco in un grafico. L’asse principale è quello della governance che può risultare centralizzata, secondo lo schema top-down, o decentrata, quindi bottom-up. Ovviamente le gradazioni intermedie sono molte, infatti, nei casi presi in esame, questa può variare anche durante le varie fasi del processo. L’asse verticale indica il grado di straordinarietà degli strumenti utilizzati nel processo. Anche in questo caso c’è da rilevare una variazione durante le varie fasi del processo; si è cercato, quindi, di localizzare il caso in base al peso e all’importanza degli strumenti utilizzati. I costi sono rappresentati dalla grandezza del simbolo e si riferiscono a quelli impiegati per la ricostruzione e non per l’emergenza e il ricovero. I tempi sono rappresentati da una scala di colore graduata e considerano il lasso temporale intercorso dall’inizio della fase ricostruttiva fino al termine degli interventi previsti nei piani che rientravano nel processo. La forma individua il tipo di localizzazioni che si sono previste nella ricostruzione. C’è da precisare che non si è considerato la totalità degli interventi, ma piuttosto se il criterio delle rilocalizzazioni sia stato usato come metodo sistematico. E’ stata rappresentata anche una condizione mista che individua il caso in cui vi siano state localizzazioni di nuovi insediamenti rilevanti all’interno del processo ricostruttivo. Ultimo elemento rappresentato è quello che fa riferimento ai fenomeni di abbandono, qualora siano stati documentati come legati al processo di ricostruzione. Elemento aggiuntivo è quello rappresentato dalla presenza o meno della fase di ricovero, aspetto fondamentale della ricostruzione Aquilana.
Figura 2. Grafico riassuntivo delle ricostruzioni
I Modelli Primo modello. Decentrato con ricostruzione in sito Osservando il grafico (Figura 2) si nota che sia il Friuli che Umbria-Marche si trovano nel riquadro in basso a destra, quello dove la governance è decentrata e gli strumenti utilizzati per la ricostruzione sono in prevalenza straordinari. Il ruolo degli attori locali in entrambi i casi è stato nodale, c’è stata infatti una partecipazione molto attiva delle comunità, nel caso del Friuli tramite i Comitati delle Tendopoli e nel caso di Marche-Umbria con il ruolo dei Comuni come interlocutori con cittadini ed imprese. Matteo Scamporrino
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È importante notare come l’utilizzo dello strumento straordinario sia stato usato nel caso del Friuli come l’occasione per iniziare un percorso di Pianificazione in un territorio che ancora non prevedeva tali strumenti, e nel caso di Marche-Umbria per sperimentare, tramite i P.I.R. (Nigro & Sartorio, 2002), migliorie e innovazioni all’interno dei piani di Recupero che sono poi stati utili a livello nazionale. I tempi di ricostruzione risultano brevi per entrambi, le risorse impiegate contenute e non si rilevano fenomeni di abbandono dei luoghi colpiti, risultati più incoraggianti in merito a costi e benefici. I due casi sono inoltre gli unici ad aver affermato con forza il principio del dov’era com’era. Tali casi sono avvenuti in tempi e contesti politici, sociali ed economici molto diversi e differiscono inoltre per danni subiti e estensione del cratere. Questo induce a credere che le scelte comuni vincenti siano state proprio quelle relative all’inclusione degli attori locali, all’utilizzo di strumenti straordinari e ad-hoc e alla ricostruzione in situ. Potremmo definire il modello derivato da questi due casi come Decentrato con ricostruzione in sito, essendo queste due le caratteristiche comuni di maggiore rilevanza. Alla domanda “chi fa cosa”, quindi, nel caso di questo modello, tutti gli attori locali, compresa la popolazione, in maniera sussidiaria gestiscono, pianificano e progettano una ricostruzione In Sito.
Il secondo modello. Centralizzato con rilocalizzazioni I casi del Belice, totalmente, e dell’Irpinia, per buona parte, si trovano nel quadrante in alto a destra dove la governance è centralizzata e gli strumenti utilizzati sono ordinari. I piani utilizzati in Belice, i piani comprensoriali, hanno mostrato i loro limiti e la loro inadeguatezza non soddisfacendo le aspettative che vi erano state riposte. Gli strumenti usati in Irpinia furono di tipo ordinario ed ebbero il limite di rimanere frenati dalla burocrazia. I tempi delle due ricostruzioni sono i più lunghi e i costi nel caso dell’Irpinia sono molto elevati, nell’odine di tre volte superiori alla madia degli altri. Entrambi hanno optato per nuove localizzazioni degli interventi ricostruttivi: nel caso del Belice in maniera esplicita e codificata nell’ottica del riassetto del territorio compiuta dai piani comprensoriali; nel caso dell’Irpinia in maniera manifesta per gli insediamenti industriali e in maniera “coatta” tramite l’implementazione dei programmi di edilizia popolare. Presentano, inoltre, fenomeni di abbandono delle aree colpite: nel primo caso addirittura incentivato dallo stato nelle prime fasi della ricostruzione; nel secondo principalmente generato dal mix tra la lentezza della ricostruzione nelle aree rurali e nella creazione contestuale di nuove aree residenziali nei centri maggiori. In questo caso la centralizzazione delle scelte, assieme ad una pianificazione ordinaria, ha sortito effetti negativi nell’ordine dei tempi e dei costi ma anche di successo della ricostruzione, portando all’abbandono di molte aree oggetto di interventi e il fallimento dei piani di sviluppo economico. Questo secondo modello potrebbe essere definito come Centralizzato con Rilocalizzazioni; in entrambi i casi tutte le decisioni più importanti sono state decise in maniera centralizzata non lasciando pochi margini di gestione e pianificazione agli attori locali, inclusa la popolazione, creando nuovi assetti e centralità tramite interventi ex novo in fase ricostruttiva.
Figura 3. Grafico riassuntivo di modelli di ricostruzione con l’inserimento del caso de L’Aquila.
Matteo Scamporrino
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Le ricostruzioni post-sisma in Italia.
Il posizionamento de L’Aquila Nonostante non sia conclusa la ricostruzione de L’aquila, e quindi non possa essere stata considerata per la definizione dei modelli ricostruttivi, si è cercato di posizionarla nel grafico riassuntivo. Già dalla sua collocazione all’interno del grafico (Figura 3), in base agli elementi individuati nell’abaco, ci si rende conto della sua vicinanza al modello Centralizzato con rilocalizzazioni. Nelle fasi di Emergenza e Ricovero la governance è stata sicuramente improntata all’accentramento delle decisioni nelle mani degli attori sovralocali, in special modo il Governo e la Protezione Civile. Analizzando anche la scelta delle 19 New Town si rivedono molte delle criticità del modello Centralizzato con rilocalizzazioni. Di fatto, però, la ricostruzione vera e propria deve ancora partire, si è ancora in tempo a deviare su un modello più decentrato che preveda il recupero e la rigenerazione del territorio. I rischi in cui può incorrere questa ricostruzione sono quelli emersi dall’analisi del secondo modello e cioè tempi lunghi, costi elevati e fenomeni di abbandono. La scarsità di risorse rischia di bloccare la ricostruzione, tra l’altro i fondi finora spesi sono stati quasi del tutto assorbiti dal Piano CASE (Comitatus Aquilanus, 2009). Anche lo sviluppo socio economico risente molto della lentezza del processo di ricostruzione, ponendo le basi per possibili fenomeni di abbandono, soprattutto nei contesti rurali. Dal 2010 il commissario per la ricostruzione è diventato il presidente della Regione Abruzzo; questo elemento potrebbe determinare, tramite un decentramento delle competenze, in tandem con la previsione di piani straordinari di ricostruzione che includano la popolazione nel processo, come avvenuto in Friuli, Marche e Umbria e nella seconda fase della ricostruzione Irpina, un cambiamento di rotta. Infatti, dall’analisi dei modelli risulta che il coinvolgimento della popolazione giochi un ruolo fondamentale per la riuscita dei processi di ricostruzione.
Conclusioni e possibili sviluppi La graficizzazione, come l’individuazione dei modelli, presenta al suo interno, seppur con i limiti posti alla base del metodo, una coerenza nei risultati. Entrambi i casi generatori dei modelli individuati presentano caratteristiche ed esiti simili, frutto però non di una analisi argomentata ma di una analisi metodica e per questo conoscibile e criticabile. Inoltre è possibile, a seguito di una analisi approfondita del contesto, utilizzare il modello proposto per prevedere quali scenari di governance siano più idonei in caso di disastro per un dato territorio. Inoltre, conoscendo preventivamente il modello da utilizzare può essere mirata una divisione di ruoli e dei compiti ex-ante, con una conseguente preparazione e formazione nelle fasi preventive più efficace. L’obiettivo, una volta individuato il modello più idoneo di ricostruzione, è quello di poter calibrare le due precedenti fasi, prevenzione ed emergenza, su questo e non viceversa. A L’Aquila, ad esempio, molte delle scelte compiute in emergenza, essendo state fatte in maniera spesso estemporanea senza sapere che tipo di ricostruzione si sarebbe previsto, hanno finito per rendere lo scenario frammentato e complesso, allungando i tempi e creando tensioni sociali. Certamente il metodo proposto non può essere considerato come esaustivo e sicuramente dovrà essere soggetto a uno sviluppo; proprio per questo ritengo sia opportuno non considerare le mie delle vere e proprie conclusioni. Mi piacerebbe, invece, indicare delle criticità riscontrate nell’elaborazione e indicare i possibili sviluppi in maniera da aiutare chi voglia comprendere, integrare o criticare il metodo qua proposto. La principale criticità è quella di rendere i casi studio comparabili, a causa della complessità dei processi analizzati. Il tentativo è stato quello di selezionare circoscritti ambiti e indicatori che fossero il più oggettivi e semplici possibile. In secondo luogo c’è da rilevare la difficoltà nel rendere le varie fasi che accompagnano i processi ricostruttivi; questo aspetto va considerato sia negli ambiti che nei singoli indici. Per non rendere troppo pesante l’abaco si dovrebbe non condensare le fasi in un solo abaco ma farne uno per ogni fase del processo. Per finire ritengo che sarebbe opportuno allargare i casi studio sia a ricostruzioni non derivanti necessariamente da eventi sismici, sia a casi di paesi diversi, in maniera da arricchire l’analisi.
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Matteo Scamporrino
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Le ricostruzioni post-sisma in Italia.
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Matteo Scamporrino
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Rischio e Pianificazione. Tutela, prevenzione e sicurezza nella programmazione urbanistica
RISCHIO E PIANIFICAZIONE Tutela, prevenzione e sicurezza nella programmazione urbanistica Luana Di Lodovico Università dell’Aquila Dipartimento di Architettura ed Urbanistica Email: luanadilodovico@hotmail.it Luca Iagnemma Università dell’Aquila Facoltà di Ingegneria Email: lucaiagnemma@virgilio.it
Abstract Il rischio, nella sua accezione più ampia, può essere visto non solo come minaccia incombente ma anche come una possibilità con cui convivere. Partendo da questo concetto l’informazione e la conoscenza del rischio si può tradurre in difesa da catastrofi ed in contenimento al minimo dei danni, affinando le tecniche di prevenzione. Perché questo avvenga è necessario avere una visione urbana e territoriale del rischio, costruendo un intreccio solidale con la pianificazione, questo a maggior ragione a seguito di un evento calamitoso come un sisma. Proprio la ricostruzione può e deve ricreare, o meglio, migliorare le condizioni di sviluppo di un territorio attraverso obiettivi ben più ambiziosi della semplice riparazione degli edifici, individuando, al fianco di strumenti quali i Piani di Ricostruzione, strumenti efficaci che permettano trasformazioni sostenibili ed adeguati livelli di sicurezza urbana e territoriale. Partendo dalla Conoscenza essi devono curare la relazione tra infrastrutture, spoazi pubblici e sicurezza, promuovere interventi di riduzione della vulnerabilità del patrimonio edilizio esistente, definire modalità di attuazione di prevenzione.
La difficile definizione del Rischio Definire il concetto di Rischio non è semplice. Possiamo considerare il rischio come la probabilità di conseguenze dannose, o perdite prevedibili risultanti dall’interazione tra pericoli naturali o indotti dall’uomo e condizioni più o meno vulnerabili (studio dell’ONU: “Living with risk: a global review of disaster reduction” 2002), ed aggiungere la considerazione che «oltre ad esprimere una probabilità di un danno fisico, è fondamentale riconoscere che i rischi sono sempre creati o esistono all’interno di sistemi sociali. È importante considerare i contesti sociali in cui i rischi insorgono e che le persone, quindi, non necessariamente condividono le stesse percezioni di rischi e le loro cause fondanti» (ISDR2, 2002, p.341). L’Aspetto fondamentale è considerare l’uomo come «oggetto e soggetto del rischio», in un equilibrio tra progresso scientifico e mitigazione delle conseguenze dannose dello stesso è un punto di partenza fondamentale. Anche all’interno della disciplina urbanistica, in questi ultimi anni, si è iniziato a considerare rischio come elemento centrale nella pianificazione e «dove ci sono minacce di danno serio o irreversibile, la carenza di piena certezza scientifica non deve essere usata a pretesto per rinviare, in funzione del rapporto costi-efficacia, le misure per prevenire il degrado ambientale» (UNCED, 1992).
Luana Di Lodovico, Luca Iagnemma
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Rischio e Pianificazione. Tutela, prevenzione e sicurezza nella programmazione urbanistica
La Valutazione scientifica del Rischio La Legge n. 225/1992 fornisce alcune definizioni dei termini che ci permettono di valutare scientificamente il rischio. Nella legge suddetta si considerano aree vulnerabili le aree potenzialmente interessate da fenomeni di rischio (inondazioni, frane, mareggiate, terremoti, etc) che potrebbero arrecare danno alle persone ed ai beni. Ogni singola manifestazione del fenomeno temuto costituisce un evento. In un'area vulnerabile possono essere identificati gli elementi a rischio, cioè le persone ed i beni che possono subire danni quando si verifica un evento. In corrispondenza di un evento, il danno D può essere calcolato come: D = EV dove E definisce l'entità degli elementi a rischio, misurandoli in modo diverso a seconda della loro natura (numero di persone, valore economico bene, etc) presenti nell'area vulnerabile. Nel caso di beni ambientali, storici o culturali di rilevante interesse per i quali non è accettabile la monetizzazione, E può indicare il numero di beni che appartengono a categorie da identificare caso per caso. Il valore di E corrisponde al danno che si subisce in caso di perdita completa del bene. Mentre V è la vulnerabilità ovvero l’attitudine dell’elemento a rischio a subire danni per effetto dell'evento e più precisamente indica l’aliquota dell'elemento a rischio che viene danneggiata. V oscilla tra 0 (nessun danno) ed 1 (distruzione, perdita totale) ed è adimensionale. In un periodo di t anni possono verificarsi N t eventi e il danno totale relativo a tale periodo è dato da: Nt
Dt= ∑ Di dove Di = EiVi i=1
Valutando infine congiuntamente la distribuzione di probabilità di tre variabili (pericolosità, esposizione e vulnerabilità) possiamo calcolare il rischio R t , relativo ad un determinato elemento a rischio e ad un prefissato valore di t, il valore atteso di D t ossia il danno che mediamente può subire l'elemento considerato in più anni: R t = EV m H t dove V m è il valore medio della vulnerabilità dell'elemento a rischio ed H t rappresenta la pericolosità, e cioè la probabilità di avere nel periodo t almeno un evento calamitoso. La pericolosità H t è strettamente connessa al periodo di ritorno t, che esprime l’intervallo di tempo nel quale l’evento si verifica in media una volta. Tale equazione del rischio ci permette di inquadrare, in uno schema razionale, le azioni di protezione civile volte alla difesa del rischio ed in particolare a comprendere meglio le azioni di prevenzione e protezione.
Il Rischio nella Legislazione Nazionale A partire dagli anni Novanta del secolo scorso si è verificato, nel panorama urbanistico nazionale, un profondo rinnovamento legislativo: i principi della prevenzione dei rischi e della difesa dei valori ambientali e paesaggistici sono stati assunti come base della sostenibilità della pianificazione territoriale e urbanistica. Particolare riguardo merita la Legge n. 183/1989 in materia di difesa del suolo, che obbliga l’amministrazione pubblica, alla quale compete governare città e territorio, (lo Stato, le Regioni a statuto speciale ed ordinario, le Province autonome di Trento e di Bolzano, le Province, i Comuni, le Comunità montane, i Consorzi di bonifica ed irrigazione e quelli di bacino imbrifero montano) di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi, svolgendo altresì ogni opportuna azione di carattere conoscitivo, di programmazione e pianificazione degli interventi, di loro competenza. Nascono, così, sul territorio italiano i bacini idrografici di livello nazionale e di livello regionale, con relativo riparto di competenze e l‘obbligo di formazione di appositi Piani di Bacino. Tali piani hanno prevalenza su qualunque altro strumento della pianificazione di qualunque altro Ente che governa il territorio. Nasce un nuovo approccio urbanistico nel quale si affronta la questione del rischio nella pianificazione locale e territoriale tramite una valutazione secondo molteplici criteri integrati tra loro, ed in cui si inizia a parlare di interdisciplinarietà di saperi che permettono di conoscere il territorio, individuare su di esso gli elementi di rischio e stabilire indirizzi guida, regole di prevenzione e manutenzione, ma anche la definizione di opere di messa in sicurezza (copianificazione). Dal 1995 in poi sono state varate importanti leggi regionali di riforma urbanistica, modificando sia il contesto locale che globale della pianificazione, e molti passi in avanti sono stati compiuti nella direzione di migliorare piani e politiche territoriali.
Il Rischio nei Quadri Conoscitivi. L’esempio della CLeP
Luana Di Lodovico, Luca Iagnemma
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Rischio e Pianificazione. Tutela, prevenzione e sicurezza nella programmazione urbanistica
La riforma delle Leggi Urbanistiche Regionali ha introdotto una maggiore attenzione al ruolo di Quadri Conoscitivi nell’ambito dei processi di pianificazione, ed in particolare a tutti quei fattori ambientali, paesaggistici e territoriali che determinano rischi e pericolosità. In particolare, alcune Regioni hanno proposto Sistemi delle conoscenze strutturati che, oltre ad assumere un mero ruolo analitico, hanno assunto anche il ruolo di Sistemi di Valutazione, ex ante ed in itinere, dei processi di trasformazione del territorio. Tra questi Sistemi, in Abruzzo è stata proposta la Carta dei Luoghi e dei Paesaggi (CLeP). “La costruzione della CLeP, base conoscitiva nel nuovo Piano Paesaggistico Regionale dell’Abruzzo (nPPR), ha avuto l’obiettivo di reintrodurre nel processo di piano i fattori di conoscenza che partecipano alla costruzione dei progetti di sviluppo sottesi alla nuova pubblica utilità della pianificazione, creando, così, un sistema di valutazione, alla scala regionale, che consenta ai soggetti preposti al controllo (verifiche di compatibilità e verifiche di coerenza) di affrontare i loro impegni partendo da un patrimonio cognitivo delineato e condiviso” (Di Ludovico, 2008). Tale carta è prevista anche dal Progetto di Legge regionale per il governo del territorio (Approvato dalla G.R. con Delibera n.380/C del 21/07/09) che la individua come formalizzazione istituzionale dei processi formativi della conoscenza (interazione, perfezionamento) come previsto dal Codice Urbani. In tale contesto, la CLeP rappresenta una carta delle “garanzie”, che evidenzia la capacità di trasformazione di un territorio, con tutte le sue peculiarità (compresi i rischi) e che, quindi, è capace di definire i regimi d’intervento dello stesso. Essa viene costruita attraverso processi di condivisione, ed è una carta flessibile (quindi aggiornabile), che tiene conto delle evoluzioni disciplinari, che aiuti al colloquio, cioè una carta dinamica e aggiornabile, fondata su una struttura dati digitale codificata ed ampliabile (SIT: Sistema Informativo Territoriale) che descrive il grado di trasformabilità di un territorio. La CLeP si identifica come lo strumento efficiente ed efficace che aiuta la pianificazione, che tiene conto della transcalarità dei temi considerati, che permette l’integrazione disciplinare e la gestione dinamica (per es. attraverso i SIT- Sistemi Informativi Territoriali) per la risoluzione di contrasti e interferenze (verifica di compatibilità) tra lo strumento urbanistico e il substrato ambientale. La costruzione del Sistema delle conoscenze relativo all’ambito naturalistico-ambientale, costruito secondo il modello della CLeP, è articolato nelle seguenti Carte Tematiche: Carta dei Valori, che individua parti di territorio caratterizzate da particolari e specifiche qualità naturalistico-ambientali, paesaggistiche, storico-artistiche, archeologiche ed agronomiche che singolarmente o nel loro insieme contribuiscono alla definizione della identità territoriale; Carta dei Rischi, che individua parti del territorio caratterizzati da fattori di instabilità, fragilità e perdita di qualità riconosciute, che ne compromettono una o più caratteristiche costitutive; Carta dell’Abbandono, del Degrado e delle Fratture, che individua le parti del territorio caratterizzate da fenomeni di abbandono degli usi antropici e dal conseguente degrado dei fattori costitutivi e che, inoltre, indica le interruzioni della continuità ambientale e/o delle reti ecologiche del territorio; Carta dei Vincoli, che individua le parti di territorio per le quali sono già vigenti azioni di tutela derivanti dall’applicazione di Leggi; Carta della Conflittualità, che individua parti di territorio caratterizzate da situazioni di conflittualità (criticità ambientali e paesaggistiche) tra qualità riconosciute (ambiti di Valore) e fattori di Rischio e/o di Degrado e di Abbandono. quello relativo all’ambito insediativo-relazione, è rappresentato nella: Carta dell’Armatura urbana e Territoriale, che individua i cosiddetti suoli, cioè quelle porzioni di territorio per le quali è previsto un livello di trasformazione, differenziandole in Suoli Urbanizzati (cioè attuati), Suoli Urbanizzati e Programmati (cioè non attuati), Suoli Riservati all’Armatura Urbana e Territoriale (cioè la parte pubblica della città) e Suoli non Urbanizzati. La Carta dei Rischi, che riporta rischi di origine geo-morfologia, di origine idraulica, ma anche di origine sismica, interagisce con le vulnerabilità del territorio e del paesaggio rappresentate nella Carta dei Valori e nella Carta dell’Armatura Urbana e Territoriale, per porre in evidenza e “misurare” le cosiddette Conflittualità, cioè le criticità ambientali, paesaggistiche, urbane e territoriali. Non ci si può limitare, però, ai Rischi convenzionali poc’anzi individuati. La riflessione sui pericoli e sulle vulnerabilità territoriali, e quindi anche i contenuti della CLeP, si devono estendere anche ai rischi generati dall’Abbandono e del Degrado (mancanza di manutenzione), come meglio rappresentato nel paragrafo successivo.
Urbanistica, Prevenzione e Sicurezza. Responsabilità e Costi. Il nostro territorio (che ricordiamo esser risorsa limitata), risulta essere densamente popolato e costruito e allo stesso tempo scarsamente conservato e difeso. “Il territorio scarsamente antropizzato, per secoli dedicato all’utilizzo agricolo e alle continue opere manutentive che vi erano connesse, è stato oggetto di abbandono in quegli stessi anni, e poi ripopolato secondo modalità abitative e produttive che solo recentemente sono tornate a farsi carico della cura tanto puntuale (opere agrarie minori, difesa dei sottoboschi, salvaguardia delle regimazioni Luana Di Lodovico, Luca Iagnemma
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Rischio e Pianificazione. Tutela, prevenzione e sicurezza nella programmazione urbanistica
idrauliche) e complessiva (relazioni fra ambiti collinari e vallivi, fra boschi e pianure, etc) “(Viviani, 2011). Si tratta, dunque, di contrastare non solo la diffusione insediativa, ma anche di tutte quelle pratiche di governo e trasformazione dei territori che producono effetti diretti sulle risorse naturali ed antropiche impoverendole. Non dobbiamo poi dimenticare di incentivare l’investimento, soprattutto del privato, che riguardano la manutenzione e la sicurezza territoriale. Dobbiamo iniziare a parlare di manutenzione ordinaria e non straordinaria del nostro territorio. L’ordinarietà dev’essere la parola d’ordine che deve entrar a far parte del vocabolario di un urbanistica e di tutti quelli enti che si occupano del governo del territorio. Tenendo in considerazione tutti quelli che sono le conoscenze interdisciplinari a livello climatico (l’allarme sui cambiamenti climatici ribadito anche alla recente conferenza di Durban 2011), economici (la minore disponibilità di fondi per gli investimenti sia da parte pubblica che da parte privata), sociali e politici dobbiamo iniziare a ripensare a modelli di pianificazione, nei quali i Sistemi delle Conoscenze abbiamo un ruolo essenziale, che vadano a mitigare tutti quei processi che riguardano la metropolitanizzazione, la continua crescita della città diffusa che genera alti consumi di suolo, diseconomie di scala e una progressiva disarticolazione delle funzioni urbane. Non dimentichiamoci delle spese affrontate per ricostruire aree distrutte da terremoti, alluvioni, frane, etc, che fanno immediatamente impennare il PIL del Paese verso l’alto. Pensiamo che negli ultimi 100 anni in Italia ci sono state 7.000 alluvioni e 17.000 frane ed i costi stimati per l’emergenza sono di circa 25 miliardi di euro solo negli ultimi 25 anni. Questa consapevolezza fa riconoscere la convenienza economica di interventi preventivi piuttosto che riparativi (come ad esempio l’adeguamento sismico che può mettere in moto un processo di sviluppo edilizio e produrre ricchezza), nonché il ruolo centrale della Conoscenza.
Ricostruzione come motore di Sviluppo e Sicurezza. Un terzo contesto entro cui il tema della sicurezza deve essere affrontato, oltre quelli della Conoscenza e della Prevenzione, appartiene all’esperienza progettuale post-sisma della ricostruzione aquilana. La ricostruzione può e deve ricreare e migliorare le condizioni di sviluppo di una città, di un territorio. Perché si possa parlare di sviluppo bisogna eliminare, prima di tutto, gli ostacoli precedentemente legati al cattivo stato delle risorse antropiche siano essi abitazioni, infrastrutture, beni monumentali, beni paesaggistici e/o naturali, ma anche alla mancanza di Conoscenza e di Prevenzione dei fenomeni. Bisogna, quindi, perseguire obiettivi che vadano oltre la riparazione dei danni subiti o del dov’era com’era ma puntare ad un sviluppo ed un rilancio della città in condizioni di sicurezza (non solo sismica).
Il Piano di Riscostruzione: la Varianza del caso Aquilano. La Legge n. 77/09 ed il successivo Decreto del Commissario n. 3 emanato a seguito del sisma che ha colpito L’Aquila ed i comuni limitrofi, hanno inquadrato il Piano di Ricostruzione (PdR) quale strumento di ripianificazione della Città. Il PdR sembra farsi carico, contemporaneamente di una funzione strategica (programmazione) e attuativa (pianificazione) “non più, quindi, uno strumento urbanistico di carattere generale, ma specificatamente uno strumento particolareggiato in quanto orientato alla Ricostruzione, anche se consapevole delle numerose tematiche ad essa connesse” (Properzi, 2011) Il PdR ricomprende due principali tipologie di intervento che possono corrispondere a uno o più Ambiti in relazione ai finanziamenti: quelle di prevalente interesse pubblico che riguardano l’Armatura Urbana (nei quali il Piano si attua per bandi pubblici, (Art. 4 comma 1 lett. b DC n. 3, 9 marzo 2010) e che nel Centro Storico dell’Aquila rappresentano aree ampie e riconoscibili, e quelle di prevalente interesse privato (stesso comma lett. a) nelle quali il piano si attua con contributi erogati ai Consorzi privati e dove il Piano ha come principale obiettivo l’integrazione dei nuovi assetti derivanti dalle proposte private con le scelte spaziali e temporali del processo di ricostruzione pubblico (es. rifunzionalizzazione dei sottoservizi). Gli interventi esterni alle aree interessate dal PdR, possono essere effettuati direttamente, previa verifica della cantierabilità anche se interessano edifici di tipo ‘E’ completamente inagibili. L’effetto di questo modello di PdR ha portato ad un’adesione elevata di tutti quei comuni del cratere più interessati a nuove previsioni insediative che al recupero dei danni del terremoto. Il Comune dell’Aquila, con un centro storico per i 180 ettari di beni di architettonico-monumentale e paesaggistica, che è bene ricordarlo è quello principalmente interessato dai danni e quello con maggiori problemi di Ripianificazione (considerata la vetustà del PRG e le problematiche indotte dallo sprawl post sisma e dalla riclassificazione delle aree bianche) si è arroccato su una interpretazione di minima e incrementale: definizione della ricostruzione possibile senza PdR + valutazione parametrica del danno complessivo + interventi pubblici finanziati nelle aree di primo intervento e rinvio ai PdR solo delle aree più complesse. Sembra che in questa inutile diatriba, che si sia un perso il filo conduttore: ricostruire la città attraverso piani e progetti urbani che fungano anche da motore di rilancio e non siano meri contenitori di più proposte tra loro scollegate. Mancano dei Piani Attuativi in grado di trasformare tutte le “buone intenzioni” riportate negli schemi di assetto generali dei PdR in azioni concrete di ricostruzione,
Luana Di Lodovico, Luca Iagnemma
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di riqualificazione, di recupero e di sviluppo ed in particolare di intervento strutturale sulla sicurezza insediativa generale.
Piano di Riqualificazione-Sviluppo Errori o mancate attuazioni dell’urbanistica degli anni passati hanno contribuito a creare città per molti versi insoddisfacenti, con livelli di sicurezza insediativa sconosciuti, dove sono sotto gli occhi di tutti le carenze infrastrutturali e la sottodotazione di servizi ed attrezzature producendo bassa se non pessima qualità di vita per i suoi abitanti. Bisogna ripensare le forme tradizionali di progettazione della città, inserendo in esse il tema fondamentale della sicurezza, considerando anche forme di collaborazione innovative, attraverso interventi capaci di rimediare alle carenze di servizi ed opere di urbanizzazione del tessuto edilizio, di progettare forme di interevento capaci di mobilitare operatori, istituzioni e risorse. La riqualificazione, quindi, non deve mirare solo a azioni di recupero e miglioramento dell’esistente, ma deve porsi soprattutto come processo di innovazione delle tecniche di intervento, delle modalità di progettazione delle politiche, delle forme di cooperazione e di coinvolgimento delle forze sociali, di superamento delle inerzie di carattere burocratico-amministrativo. La riqualificazione urbana deve essere vista come e un “processo” di progettazione coordinata, di azione concertata tra i diversi interessi pubblici e privati, di mediazione tra i grandi obiettivi di interesse generale e gli interessi particolari, di concezione della progettazione urbanistica e della pianificazione diversa rispetto al passato. Parliamo di riqualificazione anche come motore strategico di sviluppo sostenibile, sociale ed economico per le nostre città, applicando un concetto di sviluppo sostenibile che significa anche sicurezza dell’insediamento. Oggi, alla luce anche della crisi mondiale, i processi di recupero e riqualificazione urbana non sono più solo una opportunità, ma stanno diventando l’unica modalità possibile di intervento nelle città, ed è quindi su questi che bisogna concentrare le nuove esigenze ed i nuovi fattori della qualità della vita, ma anche orientare le nuove istanze conoscitive e di prevenzione.
I Nuovi strumenti di Pianificazione – Sviluppo – Sicurezza: nPPS La Ricostruzione, come la Riqualificazione, può e deve ricreare o meglio migliorare le condizioni di sviluppo di un territorio attraverso obiettivi ben più ambiziosi della semplice riparazione degli edifici. Perché questo avvenga bisogna individuare strumenti operativi che, affiancati agli attuali Piani di Ricostruzione (così come pensati dal L. 77/2009), permettano previsioni di trasformazioni sostenibili (nel senso allargato del termine proposto nel precedente paragrafo) ed adeguati livelli di sicurezza di un territorio, di una città. Partendo da una conoscenza del territorio condivisa, aggiornabile ed implementale (come la Carta dei Luoghi e dei Paesaggi prodotta dalla Regione Abruzzo per il nPPR), i nuovi strumenti devono permettere la localizzazione di aree ed infrastrutture per la sicurezza ed il soccorso, promuovere interventi di riduzione della vulnerabilità del patrimonio edilizio esistente, definire modalità di attuazione di prevenzione e caratterizzare il livello di “antisismicità” degli edifici nuovi ed esistenti. A questi obiettivi si affianca la creazione o l’aumento di spazi sicuri di attesa fruibili in caso di emergenza riutilizzando, magari spazi preesistenti o creatisi a seguito di un evento calamitoso. E’ necessario considerare la sicurezza come valore “misurabile” (certificati, titoli abitativi, bollino fabbricati, valori immobiliari), rendere riconoscibili (forme-colori) le componenti spaziali della sicurezza (edifici, percorsi per non vendenti, etc), rendere l’edilizia storica sicura attraverso una normativa specifica ordinaria e con Linee guida “condivise”. Coinvolgere gli operatori privati nel sostegno agli interventi normativi e progettuali indirizzati alla rigenerazione urbana deve essere uno dei punti cardine su cui innestare la formazione degli nPPS. Particolare attenzione avrà, quindi, in questi piani, la riduzione preventiva del rischio in quanto si potrà integrare i quadri di Conoscenza già esistenti con le conoscenze costruite in rapporto all’emergenza, intraprendere azioni progettuali, con compartecipazione pubblico-privato, per ridurre la vulnerabilità urbana e territoriale e per individuare le prestazioni da richiedere alle trasformazioni territoriali e ai singoli interventi edilizi. Tale visione non si fermerà alla sola dimensione urbana, ma riguarderà l’intero contesto territoriale, alla stregua dei PIAT (Progetti Integrati per le Aree maggiormente colpite dal Terremoto) utilizzati nella fase di ricostruzione dopo il Terremoto Umbria - Marche. Uno degli obiettivi è mettere a sistema progetti strategici di sviluppo e sicurezza locali, creando una rete tra i diversi territori.
La necessità di una normativa di riferimento nazionale Collegare urbanistica e sicurezza - come si sta oggi facendo - è molto, ma potrebbe non bastare. Occorre investire nella messa in sicurezza laddove le condizioni di rischio siano tali da non poter più operare in termini di prevenzione, occorre investire in opere manutentive, a carico dell’intera società, del pubblico che governa e del privato che utilizza i suoli, ma occorre anzitutto investire in Conoscenza e Prevenzione. Necessario è, altresì, un Luana Di Lodovico, Luca Iagnemma
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Rischio e Pianificazione. Tutela, prevenzione e sicurezza nella programmazione urbanistica
piano di sicurezza nazionale sul quale far convergere, come priorità, le scarse risorse pubbliche che sono rimaste nel nostro Paese e permettere l’accesso attivo della componente privata per la manutenzione e la sicurezza del nostro territorio. Tuttavia una sola Legge Nazionale non basta. Bisogna scardinare il sistema burocratico farraginoso e complesso che attanaglia il nostro Paese. Bisogna ragionare in termini di programmazione nazionale unica che coordini, attraverso un riordino e semplificazione delle procedure, la pianificazione territoriale ed urbanistica dando peso ai temi della sicurezza, della prevenzione, dello sviluppo sostenibile di tutto il territorio Nazionale pensando a Piani e Programmi di Area Vasta su cui si modelleranno i nPPS locali in un ottica di formazione di una “Rete di città Sicure” oltre che “intelligenti” (Smart City). Certo non sarà una legge o un nuovo modello di piano che potrà controllare un evento calamitoso, ma potrà essere la base di partenza per far tendere a zero il danno che una città, un territorio potrà subire, garantendo un livello alto di sicurezza per i suoi abitanti.
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Luana Di Lodovico, Luca Iagnemma
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Restauro e Ricostruzione. Riflessioni sui centri della valle Subequana
Restauro e Ricostruzione. Riflessioni sui centri della valle Subequana Claudio Varagnoli Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti Pescara Dipartimento di Architettura Email: cvaragnoli@tiscali.it Tel. 085.4537263 Lucia Serafini Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti Pescara Dipartimento di Architettura Email: lucia.serafini@tiscali.it Tel. 085.4537263 Clara Verazzo Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti Pescara Dipartimento di Architettura Email: claraverazzo@tiscali.it Tel. 085.4537263
Abstract Il terremoto del 6 aprile 2009, che ha colpito l’Abruzzo e la provincia dell’Aquila in particolare, ha prodotto una nuova cesura nella storia di lunga durata della regione. A rimanerne gravemente colpiti sono stati, come noto, non solo la città dell’Aquila, ma numerosi centri storici minori, costituenti una fitta rete di città mediopiccole, ancora in buona parte conservate nel loro tessuto edilizio ed urbanistico. Le provvidenze per la ricostruzione prese all’indomani del sisma sono a tutt’oggi argomento di grande dibattito nel panorama nazionale e regionale, anche per la oggettiva difficoltà di definire metodologie di intervento applicabili alla ricca e articolata identità locale. Il contributo che qui si propone fa riferimento a questo dibattito, e ad una vicenda che va dalle fase di avvio della ricostruzione agli esiti ad oggi raggiunti. A supportare tale vicenda è l’esperienza maturata dagli autori nella elaborazione di alcuni Piani di ricostruzione e nella messa a punto dell’approccio metodologico più rispondente alle tematiche del recupero del patrimonio danneggiato.
Nel contesto della regione Abruzzo e della provincia dell’Aquila in particolare, la valle Subequana gode di una forte caratterizzazione ambientale e paesaggistica 1 . Il suo territorio, prevalentemente collinare e steso su una direttrice NE-SO a quote variabili tra 500 e 1000 m, è compreso nell’area del Parco Regionale Sirente-Velino e nella Comunità Montana Sirentina, ed è anche segnato dal paesaggio creato dal fiume Aterno, che con i suoi affluenti stringe tutti i centri in un’unica grande realtà territoriale, meritevole di un’azione complessiva di potenziamento e sviluppo. Castelvecchio Subequo, Gagliano Aterno, Goriano Sicoli, Secinaro e Castel di Ieri, strutturano questa realtà, riassumendo nel loro patrimonio i tratti peculiari dell’Appennino abruzzese, in uno scenario naturale e artificiale fitto di tracce del passato agricolo e pastorale e della maniera tradizionale di abitare: borghi spesso compatti, su ripidi pendii, a loro volta contrappunto di importanti presenze archeologiche sparse sul territorio. 1
La valle Subequana è raggiungibile mediante la SS 5 Tiburtina Valeria che da Popoli arriva fino ad Avezzano intercettando un paesaggio di straordinaria bellezza. Si tratta di un vasto territorio prevalentemente collinare, segnato dalla presenza di due importanti picchi, il monte Sirente nella parte meridionale e il monte Velino nella parte occidentale.
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Il condizionamento delle caratteristiche orografiche ha fatto sì che la maggioranza dei centri siano borghi fortificati, ossia strutture urbane munite di recinto difensivo entro il quale si distribuisce l’abitato, con assenza quasi totale di piazze e cortili, laddove le stesse strade - disposte secondo le curve di livello o perpendicolarmente ad esse - si riducono per quantità e dimensione a fare da spine funzionali e prospettiche alle case che vi si dispongono, strutturando il tutto in un sistema a gradinata. A seconda del pendio e delle circostanze morfologiche cambia la geometria dell’abitato, più o meno allungata o concentrata su poggi o linee di crinale, ma non la sua forma a testuggine, assicurata dalla presenza di case ponte a copertura delle strade, principali e/o di raccordo. Al rapporto tra pendenza e compattezza del tessuto, fa riscontro la dipendenza fra assi viari e struttura delle unità abitative a formare cortine continue e composte secondo un sistema modulare di 20-30 mq, fatto di ambienti rettangolari secondo il processo di aggregazione lungo le vie. Il risultato è un impianto a maglie strette dove i singoli elementi si perdono a favore di un organismo complessivo dalla resistenza unitaria: una sorta di graticcio costituito da cellule a schiera reciprocamente collaboranti al massimo contenimento degli sforzi. Delle parti costituenti tale graticcio, i muri di spina tra le cellule hanno funzioni di sostegno di solai e coperture, i muri longitudinali ruoli di delimitazione dello spazio e controllo del confort ambientale. La destinazione dei muri di facciata a elementi di definizione delle schiere di case lungo strade e vicoli, utili a portare l’ingresso e le aperture, di ampiezza peraltro esigua, e la loro assunzione ad elementi poco collaboranti alla struttura dell’insieme, ha favorito l’ampia diffusione di pareti tirate a scarpa fino all’attacco del tetto. E’ quanto si riscontra soprattutto sulla cerchia di case di confine dei centro storici, e che in origine facevano da “case mura”, con cellule edilizie alte fino a quattro-cinque livelli fuori terra. Come il resto del territorio abruzzese, anche i centri della valle Subequana hanno avuto una struttura urbanistica ed edilizia rimasta sostanzialmente immutata fino alla fine dell’Ottocento. Tratti di innovazione infrastrutturale si sono avuti solo nell’ultimo secolo. L’operazione di asfalto delle strade di collegamento con i centri limitrofi risale al periodo tra le due guerre, come anche le fognature e i sistemi di irrigazione. Purtroppo dopo la seconda guerra anche questi centri, che pure non avevano subito grossi danni, hanno sofferto di un grosso movimento di emigrazione che da allora non ha più avuto termine, lasciando ad oggi in gran parte vuoto il tessuto edilizio. La situazione di abbandono che i centri della valle subequana condividono con tutta la provincia abruzzese, soprattutto quella più lontana dai flussi di traffico e rinnovamento, è vera anche per i Castelvecchio Subequo e Castel di Ieri, accomunati dalla volontà e necessità di governare in tempi brevi il processo di ricostruzione dei rispettivi territori comunali, nell’ambito di un discorso di più largo orizzonte volto a confermarne il ruolo nell’area aquilana e nell’intera regione Abruzzo. A partire dalla constatazione dei danni provocati dal sisma, i piani elaborati per questi centri hanno assunto come prioritaria la necessità di avviare un processo di recupero degli alloggi e di messa in sicurezza dei centri, ma anche di dotare le amministrazioni locali di una serie di strumenti e metodologie congruenti. Strettamente complementare a questi obiettivi c’è anche quello di avviare un processo di ripresa economica che a partire dalla ricostruzione edilizia possa generare linee di sviluppo compatibile con l’ambiente e il tessuto sociale. In linea con l’impostazione generale, la conoscenza propedeutica alla elaborazione dei Piani si è fondata in primo luogo sulle risultanze dei danni causati dal sisma e dei provvedimenti di perimetrazione stabiliti ai sensi delle leggi. La fase conoscitiva dello stato dei luoghi a seguito del sisma è stata condotta attraverso l’elaborazione di cartografie tematiche per l’identificazione e classificazione degli edifici, degli spazi pubblici e degli elementi ambientali; la valutazione dei danni presenti, la determinazione della consistenza degli immobili e degli spazi aperti, lo stato di efficienza delle reti; nonché le condizioni di trasformazione potenziali leggibili attraverso le carte della pianificazione comunale, e di quelle inerenti rischi, pericolosità, vincoli e tutele, possibili interazioni tra pericolosità ambientale e danno, volta per volta espressi alle scale più opportune alla loro rappresentazione 2 .
Il caso di Castelvecchio Subequo Castelvecchio Subequo, dal nome dell’antica Superæquum, è un centro sito a 496 m sulle pendici del Sirente, con abitanti che ammontano a circa 1099 (ISTAT 2010) 3 . La forma dell’abitato è caratterizzata dalla presenza di
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Sono state anche predisposte schede di analisi dello stato di danno strutturale, con relative indicazioni degli interventi di consolidamento per il miglioramento sismico degli immobili danneggiati in accordo con le indicazioni contenute nelle OPCM 3779, 3790, 3820 e s.m.i.. Contestualmente sono state indagate le principali tecniche costruttive esistenti, fondamentali per la messa a punto di schede di intervento compatibili (tradizionali ed innovative), tenendo conto dei criteri di economicità della scelta progettuale e delle prestazioni conseguibili per la sicurezza sismica. Sulla stessa linea sono e con gli stessi intenti sono stati concepiti da chi scrive Indirizzi generali per la ricostruzione, stabiliti in ordine agli esiti di agibilità e dei valori storico-architettonici-ambientali puntualmente individuati su fabbriche e contesti. Superæquum viene fatto coincidere dalla storiografia con uno dei tre municipii Peligni nella IV Regio Augustea (oltre a Corfinium e Sulmo), di cui sono stati scoperti resti di abitazioni con pavimenti mosaicati di pregiata qualità, lacerti di
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un asse principale di crinale, a tutt’oggi riconoscibile, a cui si collega una viabilità secondaria fatta di vicoli, spesso a gradinata e coperti da archi soprastrada. L’imponente volume di palazzo Castellato, con l’ingresso arretrato rispetto alla chiesa di S. Giovanni, costituisce il culmine architettonico del nucleo antico, sebbene le continue trasformazioni da questo subite nel corso del tempo ne abbiano in parte alterato l’originario assetto medievale, ancora evidente nella facciata a sinistra della chiesa e nelle due facciate verso nord. E’ proprio la sua rilevanza nel contesto urbano, oltre che la sua specificità storica e architettonica, a fare del palazzo Castellato, d’intesa con l’Amministrazione comunale, la fabbrica che il Piano di ricostruzione ha scelto per un Progetto Pilota capace di fare da elemento trainante della ricostruzione dell’intero centro (Figura 1). Nato probabilmente come mastio nel corso dei secoli XI-XII alla sommità del colle, il palazzo è stato il nucleo attorno al quale si è poi sviluppato l’intero abitato, accompagnandone la storia con presenze di alto lignaggio: fino al XVIII secolo è stato dimora di tutti i feudatari di Castelvecchio, dai conti di Celano, ai Piccolomini, ai Colonna, ai Barberini ai Pietropaoli. Dal 2003 ospitava negli ambienti del primo piano una pinacoteca dedicata ad opere di pittori locali. Numerose, oltre al palazzo suddetto, sono le emergenze architettoniche che spiccano nel contesto urbano e ne rafforzano l’identità. Tra questi è la già menzionata chiesa di S. Giovanni, risalente al secolo XI, la più antica di Castelvecchio. Una segnalazione speciale meritano la chiesa e il convento di San Francesco, la cui fondazione tuttavia, tradizionalmente attribuita all’intervento personale del Santo, non è suffragata da documenti. Il convento, che godeva di una collocazione strategica nel cuore della valle Subequana, è uno dei più importanti della custodia Aquilana, e conserva ad oggi un impianto ben riconoscibile nei suoi tratti originali, nonostante le trasformazioni subite. E’ inoltre tra i pochi conventi abruzzesi di fondazioni urbane dei primi secoli che abbiano mantenuto la funzione originaria, come S. Bernardino dell’Aquila e gli altri conventi di Chieti, Lanciano, Tagliacozzo.
Figura 1. Castelvecchio Subequo (Aq), Progetto Pilota. Tra gli edifici civili, emergono il palazzo Ginnetti-Lucchini in via S. Caterina, frutto della ricostruzione settecentesca, voluta dai Ginnetti, di cellule edilizie preesistenti, con ampliamenti progressivi realizzati in più fasi; il palazzo Valeri, su corso Umberto I, fabbrica rimasta incompiuta ma di impianto XVIII secolo; palazzo Angelone, con accesso posto in Campo dei Fiori, documentato sin dalla fine del XVI secolo. A causa dello spopolamento che la città ha subito a partire dalla fine del XIX sec., a causa del fenomeno dell’emigrazione, il patrimonio edilizio è rimasto in gran parte abbandonato con l’innesco conseguente di gravi strade lastricate e spoglie di edifici sacri, tra cui quello intitolato ad Ercole Vincitore ha riconsegnato numerosi bronzetti ed iscrizioni votive. Claudio Varagnoli, Lucia Serafini, Clara Verazzo
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fenomeni di degrado, spesso responsabili ben prima del 2009 di crolli di edifici nell’area occidentale del centro storico. A questa situazione si è aggiunto il terremoto del 1984, che ha causato danni al tessuto edilizio del nucleo storico. Tuttavia ben più incisiva è stata l’azione successiva dei consolidamenti, che hanno diffuso la pratica delle cordolatura in c.a., le placcature armate, accompagnate da massicce sostituzioni di infissi e di elementi accessori, come scale, davanzali, ecc. Ne è nata una vera e propria campagna di intonacatura del centro storico, che ha visto snaturare i propri caratteri più autentici. Inoltre si è reso necessario demolire alcune cellule edilizie, che presentavano danni strutturali consistenti, con la creazione di slarghi e la sistemazione dei ruderi che si avviava a conclusione proprio poco prima del sisma del 2009. Come in molti centri del cratere, il sisma è intervenuto a Castelvecchio su una situazione molto depressa, e di fatto assai poco risollevata dalle iniziative in corso promosse dalla collettività per invertire la tendenza in atto, mediante azioni di riscoperta delle tradizioni popolari capaci di attrarre turisti e far rientrare abitanti nel centro storico. Sulla base del decreto del Commissario per la Ricostruzione n. 3/2010, art. 2, la perimetrazione delle zone danneggiate dal terremoto di Castelvecchio Subequo ha incluso le parti di carattere storico, artistico e di pregio ambientale di cui al comma 1.1, e i nuclei ed insediamenti del territorio rurale. In particolare, dentro la città la perimetrazione riprende sostanzialmente il confine del centro storico del PRG, sebbene il sisma non lo abbia colpito in modo omogeneo. In generale, i danni sono maggiori (esiti E delle verifiche di agibilità) su via S. Caterina, in particolare lungo il fianco settentrionale, dove sono crollati interi edifici con collasso delle murature e sfilamento dei solai. Danni gravi anche alle case attorno alla piazza S. Giovanni e particolarmente gravi, con vistose lesioni dovute al taglio su edifici già consolidati con tiranti sul versante settentrionale, lungo la via che fiancheggia palazzo Valeri. Il sisma ha evidenziato uno dei tratti problematici dell’agglomerato urbano di Castelvecchio, consistente nella viabilità, che è stata impedita lungo via S. Caterina da crolli di porzioni di murature, cornicioni, ma anche mostre di porte e finestre 4 . All’interno della perimetrazione che include il centro storico sono stati individuati 9 ambiti di intervento e 28 aggregati strutturali, stabiliti in funzione dell’omogeneità dei tessuti urbani e delle caratteristiche tecnicostrutturali del costruito storico, anche come risposta alle sollecitazioni provenienti dai sismi. Fondamentale nella predisposizione del Piano è stata per Castelvecchio Subequo la definizione di una Struttura Urbana Minima all’interno dell’abitato 5 , stabilita in due unità e fatte rispettivamente coincidere con l’area della piazza Vittorio Emanuele II, dentro la perimetrazione del centro storico, dove sono presenti attività di commercio al minuto ed esercizi pubblici (ristorazione, bar, negozi), connesse con l’importante emergenza architettonica di S. Francesco, e con quella, esterna alla perimetrazione, incentrata sulla piazza del mercato, dove sono collocati edifici strategici come la sede del Municipio, gli edifici scolastici, l’impianto sportivo, oltre ad altri esercizi commerciali. Gli edifici compresi nella SUM sono collegati da spazi aperti liberi facilmente accessibili, serviti dall’asse territoriale della Tiburtina Valeria e dalla strada per Secinaro, in modo tale da costituire un sistema di percorsi strategico in situazione di emergenza, soprattutto come via di fuga e come accesso per i mezzi di soccorso. Gli spazi indicati, inoltre, appaiono idonei anche a costituire aree di raccolta, anche per la presenza degli edifici strategici, oltre che costituire luoghi fortemente identitari e simbolici della comunità cittadina. Alla perimetrazione del centro storico, si aggiungono quelle dei due borghi pastorali d’altura, denominati “Case Colananni” e “Case La Cona”.
Il caso di Castel di Ieri Situato all’imbocco della valle Subequana da ovest, Castel di Ieri è a 519 m di altezza sulla costa del Monte Urano, con un numero di abitanti ammontante a 343 (ISTAT 2010), risultato di una situazione di spopolamento molto marcata. Il nucleo originario corrisponde all’area nota alla toponomastica come “castello”, raccolta intorno alla torre a pianta quadrata, analoga per posizione e tipologia ai numerosi esempi consimili, quasi tutti di età normanna, 4
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L’emergenza creata dal terremoto è stata gestita dall’amministrazione con la chiusura totale del centro storico, e la successiva riapertura di alcune parti a seguito di interventi di messa in sicurezza su fabbricati danneggiati dal sisma, attualmente è interdetta all’accesso una porzione abbastanza rilevante del centro storico. Sono stati richiesti e costruiti 13 MAP, localizzati nella zona pianeggiante del centro abitato lungo la strada Provinciale per Gagliano Aterno. Prima del terremoto abitavano a Castelvecchio circa 1150 abitanti. Di questi circa 30 nuclei familiari sono stati costretti a lasciare le proprie abitazioni a seguito delle inagibilità prodotte dall’evento sismico. Si intende per SUM (FABIETTI, 1999) un insieme di edifici strategici, di percorsi e spazi che siano essenziali per la sopravvivenza della città colpita da terremoto, anche in previsione di calamità causate o comunque connesse al sisma (incendi, frane, inondazioni, dissesti, ecc.). La SUM è quindi costituita da un insieme di spazi aperti e spazi edificati che deve resistere al terremoto e che sia in grado di assicurare funzione vitale al centro urbano, favorendo la ripresa delle normali attività sociali ed economiche.
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concepiti come mastio all’interno di una struttura fortificata: si vedano gli esempi prossimi di Introdacqua, di Cocullo, di Goriano Sicoli con il campanile di S. Maria Nova. Il nucleo originario appare definito dalle vie Sanguine, Macello e degli Archi, che formano l’attuale via Roma, controllato, come in altri casi abruzzesi, da passaggi coperti. Molte abitazioni nella parte alta del centro sono organizzate in aggregazioni attorno a “rue”, spazi tra le abitazioni con compito distributivo, in molti casi coperte a loro volta in modo da servire più abitazioni. Si creano così interessanti contaminazioni con la tipologia “marsicana” riscontrabile in un’ampia area tra Avezzano Sulmona e l’Aquila, che vede due o più case servite da un unico androne. Caratteristica di Castel di Ieri è la fascia palaziata posta a sud del nucleo castellato, frutto di ampliamenti e accorpamenti succedutisi tra Seicento e Settecento, con l’importazione di modelli di residenza cittadina, dall’Aquila o direttamente da Roma durante la signoria dei Colonna. Il risultato è una nucleo edificato compatto, costituito da più edifici, tutti segnati da mura alte e regolari e aperto da bucature stilisticamente omogenee. Purtroppo scarseggiano i dati bibliografici e documentari per poter assegnare tali edifici a specifiche committenze. Il nucleo antico mostra in questo caso un caratteristico impianto a spirale, a tutt’oggi ben conservato nel suo impianto. Numerose le emergenze architettoniche. Ai margini del centro storico è posta la chiesa Madre di Santa Maria Assunta, ricostruita dopo i terremoti di inizio XVIII secolo ed intitolata anche a S. Donato, di cui conserva le spoglie traslate nel 1753. Alla sommità dell’abitato è la torre realizzata nel XII-XIII secolo con funzione di avvistamento e di difesa della Via Valeria. Nei pressi della torre, oltrepassato un arco lapideo si raggiungono i resti della chiesa della S. Croce, risalente al XV secolo, devastata dal sisma del 1915 i cui effetti ne determinarono l’abbandono. Da segnalare lungo via Simonetti la casa Simonetto, costruita nel corso del Trecento, rilevante esempio di residenza gentilizia di età medievale. Anche a Castel di Ieri il terremoto del 2009 è intervenuto su una situazione depressa, soprattutto a causa dello spopolamento degli ultimi decenni, nonostante negli ultimi tempi si sia assistito ad una ripresa delle attività artigianali, con l’insediamento di un mobilificio e un’intensificazione dell’attività turistica, con la conseguente compravendita di immobili, testimoniata dall’apertura di apposite agenzie, soprattutto rivolta ad acquirenti stranieri o di altre regioni. Motore di questo rinnovato interesse turistico sono le attrattive naturalistiche e paesaggistiche, ma anche iniziative come il “Castel di Ieri Rock Night” in luglio (dal 2002) o la festa di San Donato in settembre: a questo fervore di iniziative corrisponde anche l’apertura del Museo Abruzzese di Arti Grafiche e la valorizzazione dei resti del tempio italico presso il cimitero, conclusa nei primi anni 2000 da parte della competente Soprintendenza. Va anche segnalato che dopo la campagna di consolidamenti e di restauri intrapresa a seguito del sisma del 1984, cui si è fatto riferimento per Castelvecchio, non si registravano programmi di recupero e sistemazione del centro storico prima del terremoto del 2009. L’intervento principale è stato quello alla chiesa di S. Croce, distrutta nel 1915 e lasciata allo stato di rudere fino al 1998, quando un restauro filologico ha provveduto a proteggere reintegrando lo spazio originario del luogo di culto. Le zone perimetrate in seguito al sisma del 2009, stabilite in base alla definizione di cui all’art. 2, comma 1.1 del DCD 3/2010, hanno riguardato l’area designata dal PRG come “centro storico”, individuabile per l’elevato valore storico-architettonico dei singoli episodi e dell’insieme, nonché per le evidenti testimonianze dell’evoluzione della comunità cittadina. I danni maggiori (schede E) si sono concentrati nel nucleo antico, in particolare lungo il fianco settentrionale. Danni gravi anche alle case attorno alla piazza antistante la chiesa di Santa Maria Assunta e particolarmente gravi, con vistose lesioni dovute al taglio su edifici già consolidati con tiranti sul versante settentrionale, lungo gli assi viari storici. All’interno della perimetrazione sono stati individuati 8 ambiti e 9 aggregati, stabiliti in funzione degli stessi principi di omogeneità formale e strutturale segnalata per Castelvecchio. All’interno dell’area perimetrata, il piano ha individuato come Struttura urbana minima (SUM) il sistema della piazza antistante la chiesa di Santa Maria Assunta, nella quale sono presenti attività di commercio al minuto, connessa con l’importante emergenza architettonica di Santa Maria Assunta, la sede del Municipio, edificio strategico, e il museo Museo Abruzzese di Arti grafiche, un’intelligente iniziativa culturale che merita di essere valorizzata. Si tratta di edifici collegati da spazi aperti liberi facilmente accessibili, serviti dall’asse territoriale della Tiburtina Valeria, in modo tale da costituire un sistema di percorsi strategico in situazione di emergenza, soprattutto come via di fuga e come accesso per i mezzi di soccorso. Lo slargo indicato, inoltre, appare idoneo anche a costituire aree di raccolta per la presenza dell’edificio strategico (municipio), oltre ad essere il principale luogo di aggregazione del comune con un alto valore identitario, sottolineato dallo svolgimento delle principali ricorrenze religiose e dalla quotidiana frequentazione da parte dei cittadini. Complementare e in linea con quanto detto è il Progetto Pilota (Figura 2), che per Castel di Ieri è stato individuato e proposto nell’area comprendente l’edificio comunale, la chiesa di Santa Maria Assunta, ed in più un aggregato, nel caso specifico corrispondente alle residenze strutturate in una stecca prospicienti la piazza. Grazie alla posizione lungo l’asse principale di accesso alla città e in asse con il percorso storico che conduce al nucleo della torre medioevale, l’area si presta certamente ad un intervento di restauro e valorizzazione che lo ponga quale punto di riferimento per l’intera strategia di rinascita del centro storico. Fermo restando la specificità di ogni singolo centro e la modularità che il Piano di ricostruzione dovrà usare rispetto alle circostanze contingenti, si possono individuare interventi impostati su percorsi metodologici comuni e diretti agli stessi obiettivi, essenzialmente coincidenti con la definizione e organizzazione delle azioni Claudio Varagnoli, Lucia Serafini, Clara Verazzo
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necessarie alla restituzione delle destinazioni e delle condizioni d’uso del patrimonio edilizio precedenti il terremoto del 6 aprile 2009, alla prevenzione del rischio sismico, alla conservazione e valorizzare dei caratteri architettonici e ambientali: il tutto nel comune intento di migliorare le condizioni economiche, culturali e sociali della comunità residenti. Fatto caratterizzante tale strategia è la stretta relazione con le analisi intraprese dall’Istituto di Geologia ambientale e Geoingegneria (IGAG), partner fondamentale nella definizione dei piani. Le analisi intraprese dal prof. Farbizio Galadini hanno rivelato con chiarezza per Castelvecchio Subequo una conformazione del suolo di fondazione data sostanzialmente da costoni rocciosi attraversati da faglie, che entrano fortemente in risonanza con le onde sismiche, come nel casa di pendoli rovesci. Ciò fa sì che gli effetti del terremoto, anche a distanza di circa 50 km dall’epicentro aquilano, siano stati particolarmente lesivi, soprattutto sul fianco nord dell’abitato. Anche lo sperone su cui sorge Castel di Ieri appare conformato in modo analogo, anche se gli effetti del sisma appaiono contrati in un’area più ridotta. Tali risultati condizionano fortemente le possibilità e i modi di ricostruzione del patrimonio edilizio, e portano a prefigurare interventi di ingegneria ambientale per ora ancora in una fase di studio.
Figura 2. Castel di Ieri (Aq), Progetto Pilota. I valori architettonici e paesaggistici dei centri in questione motivano la particolare attenzione da riservare alla conservazione del patrimonio storico e artistico locale (Figura 3), inteso come fattore di sviluppo di attività produttive e culturali, in ottemperanza di quanto più volte manifestato dalle amministrazioni e comunità locali. In tal senso, i Piani si inseriscono in una strategia di rinascita dei centri già da tempo avviata nel contesto dell’intera Valle Subequana, di cui i centri di Castelvecchio Subequo e Castel di Ieri costituiscono poli storicamente emergenti, in armonia con il contesto paesaggistico del monte Sirente e del relativo Parco Claudio Varagnoli, Lucia Serafini, Clara Verazzo
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naturalistico. Le possibilità consistono nel potenziamento e valorizzazione dei sistemi locali e delle peculiarità agroalimentari; la riqualificazione e valorizzazione dei sistemi ambientali e storico-culturali per l'incentivazione di forme di turismo di nicchia; la riorganizzazione consortile dei servizi legati all'offerta turistica (albergo diffuso, pacchetti per le utenze deboli, sistemi integrati di organizzazione e commercializzazione della residenzialità turistica tradizionale); la razionalizzazione dei sistemi di mobilità territoriale. Quest’ultimo punto assume per l’area subequana un risultato particolare, poiché va ricordato che la valle, ben definita dai confini orografici, è in realtà attraversata da linee di comunicazione viaria e ferroviaria (ferrovie L’Aquila-Sulmona e Roma- Pescara) che potrebbero facilmente proiettarla in un contesto non ristretto alla provincia aquilana, ma interregionale e nazionale. Per quanto importante per l’economia locale il turismo non può assumersi a unico elemento di rilancio, essendo come noto un’attività intermittente e stagionale, soggetta a condizionamenti derivanti da dinamiche esterne all’offerta. Sembra fondamentale invece combinare insieme diverse possibilità di sviluppo e sulla formazione di alleanze tra centri, appartenenti al contesto della Comunità montana, configurate nella forma di reti di cooperazione tra comuni. L’ipotesi è che in contesti marginali come quelli dell’Appennino abruzzese le opportunità di riavvio delle economie e delle forme di socialità capaci di trattenere i residenti rimasti, di indurre al rientro i residenti saltuari e di attrarre nuovi abitanti, dipendano in particolar modo, oltre che dalle opportunità lavorative, anche dalla presenza di servizi in grado di attenuare, per quanto possibile, i disagi abitativi legati al contesto. E’ il caso di sperimentare quindi modelli di aggregazione tra comuni, che attribuiscano a ai vari centri funzioni volta per volta complementari, con questi ripensati come nuclei di un insediamento diffuso e policentrico che offra servizi differenziati in ciascuno dei suoi quartieri, ricostituendo in questo modo la varietà e complessità dell’offerta tipiche di una città di piccole-medie dimensioni. Le reti potranno differenziarsi anche per temi: quello energetico; quello già citato del turismo ambientale e religioso; quello della produzione agricola. Lo scenario rurale è del resto rilevante, come più volte sottolineato, e la formazione di reti di cooperazione sembra più che mai decisivo se si vuole raggiungere una efficace valorizzazione delle produzioni e del loro contesto sociale e culturale.
Figura 3. Castelvecchio Subequo (Aq), Rilievo architettonico su via S. Caterina con individuazione elementi costruttivi.
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Restauro e Ricostruzione. Riflessioni sui centri della valle Subequana
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L'urbanistica che cambia. Rischi e sostenibilità
L'urbanistica che cambia. Rischi e sostenibilità Ester Zazzero Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara Email: esterzazzero@hotmail.it Tel. 349.1788263/085.4510696
Abstract Il paper si propone di delineare una prospettiva di lavoro, definita dall’incontro da domande di trasformazione del territorio connesse alla gestione dei rischi e le prospettive d’innovazione dell’ urbanistica, tenendo conto anche della necessità di coinvolgere attivamente le popolazioni locali e le loro istituzioni. La complessità del progetto della ricostruzione impone infatti una riflessione critica sui limiti dell’urbanistica convenzionale, e al tempo stesso apre la possibilità di innovare le forme e le pratiche correnti della pianificazione urbanistica. Prendendo atto di questo stato delle cose, la ricerca propone di contribuire all’impostazione di una nuova urbanistica, in grado di integrare la molteplicità dei profili di rischio e di sostenibilità, e di ricondurli criticamente alle strategie di trasformazione, in una visione esplicitamente processuale e generativa del progetto, il quale è chiamato a indirizzare l’evoluzione degli assetti urbani nel segno della responsabilizzazione nei confronti dei rischi e dello sviluppo sostenibile.
Premessa Il paper muove dalla tematizzazione degli effetti che la presenza crescente della dimensione del rischio profetizzato da Beck genera sulle attività di pianificazione e progettazione delle città. Riguarda sotto questo profilo le pratiche di prevenzione correnti rispetto alle categorie di rischio più comuni. Afferma la complessità del progetto della ricostruzione, che non può essere affrontato con gli strumenti dell’urbanistica convenzionale mirati al controllo degli assetti fisici e funzionali della città. Esplora la possibilità di innovare le forme e le pratiche della pianificazione urbanistica alla luce dei principi di precauzione e anche degli obiettivi di sostenibilità ambientale introdotti nel Protocollo di Kyoto e nella successiva dichiarazione di Copenaghen. Le esperienze di pianificazione della ricostruzione sviluppate nel territorio abruzzese colpito dal sisma del 6 aprile 2009 vengono considerate come un’ occasione importante per tentare d’innovare la cultura dell’urbanistica corrente, con l’ambizione di restituire al piano un ruolo efficace ai fini della ripresa sociale ed economica di quei territori. Più in generale, nei confronti dei rischi che incombono nella contemporaneità e del perseguimento della sostenibilità nello sviluppo, si auspica che l’urbanistica sappia ritrovare un ruolo già assunto nella modernità, come precursore del mutamento, anche di fronte alle sfide epocali imposte dai cambiamenti climatici e dal progressivo esaurimento delle fonti fossili. Alla luce di queste riflessioni sulle possibili evoluzioni disciplinari, viene riletta l’esperienza del piano di ricostruzione di Popoli. Questa s’inquadra all’interno di una strategia condivisa di sviluppo territoriale che, cogliendo l’opportunità dell’investimento pubblico straordinario, mira a invertire i processi di degrado verso la ripresa e lo sviluppo sostenibile, valorizzando in particolare il patrimonio di risorse identitarie inutilizzate o sottoutilizzate, quali l’acqua, il clima, il vento, il verde.
L’urbanistica che cambia “Il Piano di Ricostruzione non è un piano urbanistico, tanto più se si fa riferimento all’urbanistica convenzionale” (A.Clementi, 2011). Affinchè il PdR sia un piano innovativo occorre muovere dal riconoscimento che la ricostruzione non è urbanistica tradizionale, bensì convergenza di strategie d’intervento multisettoriali, mirate a fronteggiare situazioni di criticità generate dall’evento sismico. Ester Zazzero
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Il vero cambiamento dell’urbanistica è dato la capacità di far convergere localmente le strategie d’intervento associate alle singole sfide, sperimentando un approccio di maggiore integrazione reciproca. Questo approccio di urbanistica innovativa, si caratterizza per l’intensità delle interdipendenze generate tra campi problematici anche eterogenei, accomunati dall’obiettivo di migliorare le prestazioni di uno spazio urbano, agendo sulle molteplici variabili che determinano il suo funzionamento prima ancora che sulle sue forme. La nuova urbanistica nasce dunque dall’ integrazione dei suoi obiettivi e delle strategie di rigenerazione dei paesaggi, riciclaggio delle ecologie, rivitalizzazione delle infrastrutture e dei beni comuni, riduzione della vulnerabilità. Proprio l’integrazione delle diverse strategie può produrre quel valore aggiunto che accresce l’intensità e la pervasività delle trame relazionali da cui dipende la nostra esperienza dell’urbano. “Il Piano di Ricostruzione è l’espressione di un programma urbano strategico di carattere innovativo” (A.Clementi, 2011). Alla luce di queste riflessioni, si delinea con maggiore chiarezza cosa dobbiamo intendere per Piano di Ricostruzione, secondo cui la nuova cultura del progetto urbano sustainability sensitive richiede di aprire già la fase dell’ideazione all’ integrazione tra le diverse dimensioni della sostenibilità e del rischio, con un approccio più consapevole che fin dall’inizio del processo di costruzione del progetto si propone di contribuire a rendere il metabolismo urbano più sicuro e coerente agli obiettivi della sostenibilità. Assumendo effettivamente che –come vuole la Commissione Europea- “obiettivo globale delle strategie urbane è di migliorare le prestazioni ambientali e la qualità degli spazi urbani, offrendo ai cittadini europei un quadro di vita sano attraverso il potenziamento del contributo ambientale ai fini dello sviluppo urbano sostenibile, senza tralasciare le questioni economiche e sociali” (Comunicazione della C.E. al Parlamento europeo, COM 2004). La proposta muove dunque dal riconoscimento dell’importanza di un approccio realmente integrato, che consente ad urbanisti, architetti, ingegneri, ambientalisti, sociologi ed economisti, di interiorizzare la dimensione della sostenibilità e del rischio fin dall’avvio del processo di ideazione del progetto, quando nel concept iniziale devono essere già presenti in nuce tutte le scelte di contemperamento critico tra le diverse dimensioni in gioco che portano alla sintesi tradotta in forme fisiche e assetti funzionali dello spazio. In questo senso l’approccio proposto è l’espressione di un programma urbano strategico di carattere innovativo che non guarda alla città come un insieme di processi ambientali da scomporre e da riprogettare in funzione degli specifici indicatori di sostenibilità e sicurezza. Al contrario, riafferma la necessità di una visione globale sia dello spazio urbano con le sue qualità morfolologiche, funzionali, figurative e simboliche, sia del processo di progettazione che deve integrare e portare a sintesi le diverse dimensioni in gioco. Dunque, un’ulteriore complessificazione del progetto urbano, che dovrebbe portare alla riformulazione della strategia evocata in precedenza. Così il PdR è l’espressione di un programma urbano strategico di carattere innovativo, con un’ innovazione sostanziale dei quadri cognitivi e delle modalità di costruzione del progetto.
Rischio e sostenibilità “Il PdR ha in definitiva la natura di uno speciale Programma Urbano Integrato, inteso come convergenza sul territorio tra una molteplicità di strategie multilivello pubbliche e private, mirate in particolare agli obiettivi di ripristino urgente del patrimonio insediativo danneggiato dal sisma, di messa in sicurezza della struttura insediativa, di ripresa tempestiva dello sviluppo economico e sociale del Sistema Territoriale Locale nel segno della sostenibilità” (A.Clementi, 2011). Alla luce delle considerazioni, prendono forma alcune indicazioni della ricerca sotto forma di una proposta di indirizzi di progettazione che dovrebbero fungere da riferimento ad un nuovo modo d’intendere il progetto urbano sostenibile in condizioni di rischio. La nozione di progetto urbano assunta apprende dall’avanzamento delle tecnologie della sostenibilità, le nuove clean tech, che hanno ormai configurato un campo di saperi e tecniche notevolmente avanzato, fondato su conoscenze scientifiche di particolare complessità per studiare il funzionamento degli ecosistemi e i loro specifici metabolismi urbani di cui il progetto deve tener conto per non oltrepassare le capacità di carico ambientale e sicurezza dell’area d’intervento. Al tempo stesso apprende dalla migliore tradizione dell’urbanistica della modernità la capacità di trovare nel contesto le condizioni che di volta in volta consentono di stabilire il corretto rapporto con i valori della natura, evitando per quanto possibile trasformazioni che snaturano gli equilibri esistenti. Ma il nuovo progetto urbano è orientato a trovare una sintesi più avanzata tra la maggiore complessità acquisita dalle tecnologie della sostenibilità e l’accresciuta consapevolezza delle condizioni di rischio a cui il contesto è predisposto.
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Contrastare il rischio La crescente insicurezza dell’abitare si manifesta in una molteplicità di modi, alcuni indotti dalla vulnerabilità ai disastri naturali aggravati dai mutamenti climatici ma anche più in generale dall’abbandono territoriale e dal progressivo disinvestimento dello Stato rispetto alle politiche di difesa del suolo e di manutenzione dei territori a rischio. Tuttavia non c’è dubbio che un nuovo paradigma dell’urbanistica attiene al miglioramento preventivo dei profili di sicurezza da porre a base dei piani e dei progetti per le città. In particolare occorre mettere a frutto le ricerche condotte sulla vulnerabilità urbana ai terremoti, da cui abbiamo appreso le modalità con cui rafforzare preventivamente la “Struttura Urbana Minima”, un sistema di attività e di spazi che dovrebbe mantenere la sua funzionalità anche in condizioni di collasso indotto da un forte sisma. Si dovrebbe agire preventivamente al fine di ridurre la vulnerabilità delle strutture urbane e territoriali, attraverso norme e programmi di messa in sicurezza che incorporano le strategie della protezione civile risolvendole in chiave urbanistica, cioè attraverso un’adeguata sistemazione degli spazi e dei percorsi di valenza strategica. Tutto ciò genera tra l’altro nuove e interessanti occasioni di ridefinizione degli spazi aperti della città, potendosi immaginare un uso flessibile e reversibile dei percorsi e degli spazi da mettere in sicurezza ai fini della vulnerabilità.
Prospettive d’innovazione Il paper si propone di delineare una prospettiva di lavoro, definita dall’incontro da domande di trasformazione del territorio connesse alla gestione dei rischi e alle prospettive d’innovazione dell’ urbanistica, tenendo conto anche della necessità di coinvolgere attivamente le popolazioni locali e le loro istituzioni. La complessità del progetto della ricostruzione impone infatti una riflessione critica sui limiti dell’urbanistica convenzionale, e al tempo stesso apre la possibilità di innovare le forme e le pratiche correnti della pianificazione urbanistica. Prendendo atto di questo stato delle cose, la ricerca propone di contribuire all’impostazione di una nuova urbanistica, in grado di integrare la molteplicità dei profili di rischio e di sostenibilità, e di ricondurli criticamente alle strategie di trasformazione, in una visione esplicitamente processuale e generativa del progetto, il quale è chiamato a indirizzare l’evoluzione degli assetti urbani nel segno della responsabilizzazione nei confronti dei rischi e dello sviluppo sostenibile. Il PdR diventa banco di prova di alcune importanti innovazioni, che è da immaginare in futuro potranno avere significative ricadute nei riguardi delle forme di pianificazione territoriali e urbanistiche correnti. Il dibattito che ha accompagnato l’evoluzione del PdR di Popoli, ha lentamente portato a consolidare alcuni principi di fondo a cui dovrebbero essere ispirate le strategie della pianificazione sostenibile in condizioni di rischio. Limitandoci a quei principi che attengono più da vicino alle pratiche del progetto urbano e della prevenzione del rischio sismico, ovvero concentrando l’attenzione sugli aspetti più propriamente urbanistici della progettazione, richiamiamo di seguito quattro innovazioni salienti, che sono alla base del Piano di Ricostruzione di Popoli. Oltre le quattro innovazioni salienti, che sono alla base dei Piani per i sette comuni dell’area omogenea 5, (forma del piano, interscalarità, multidisciplinarità, tempestività). Altre due innovazioni (globalità, processualità) proposte fungono implicitamente da selezione dei requisiti di fondo a cui risponde il Piano di ricostruzione proposto per Popoli. Globalità Il progetto urbano innovativo deve inevitabilmente misurarsi con la totalità dei contesti a cui si applica, per contribuire con i suoi strumenti a ricostituire il funzionamento d’insieme e le forme complessive degli spazi urbani, si distingue dalle pratiche correnti perché non mira ad accumulare le diverse dimensioni settoriali della sostenibilità all’interno di un’impostazione che mantiene l’approccio tradizionale. Piuttosto le traguarda verso una prospettiva d’intervento complessiva, che consente di definire criticamente le relazioni e i rispettivi apporti dei settori in gioco nella loro convergenza su un risultato finale integrato. Il Piano di Ricostruzione non è il semplice esito della sommatoria degli interventi edilizi da parte di quanti hanno sofferto danni, e delle opere pubbliche necessarie al funzionamento della città(A.Clementi, 2011). Del resto, sappiamo bene che la ricostruzione non riguarda soltanto il ripristino di funzionalità di singoli oggetti, assortiti casualmente in considerazione del danno sofferto. Riguarda piuttosto la ripresa di efficienza del sistema urbano nel suo complesso, e la sua evoluzione verso una visione che si assume intenzionalmente per il futuro dell’insediamento colpito dal sisma. Il Piano è in questo senso lo strumento necessario a superare la logica del programma di opere, nella prospettiva di una strategia complessiva di rilancio delle attività economiche e sociali che sostanziano la città e il territorio. Questa consapevolezza induce ad oltrepassare gli specialismi disciplinari, assumendo la combinazione innovativa dell’apporto di urbanisti, architetti, ingegneri, ambientalisti, sociologi ed economisti, come Ester Zazzero
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condizione indispensabile per dare sostanza al principio di globalità ai fini del progetto urbano sostenibile in condizioni di rischio. Processualità Un secondo requisito attiene al rapporto tra il Piano,il progetto e i tempi della ricostruzione. Come avviene per i progetti di paesaggio, il progetto urbano innovativo non dovrebbe mirare a produrre forme compiute, che rischiano di ostacolare l’evolutività dei processi naturali e la riorganizzazione progressiva dei cicli metabolici di consumo e rigenerazione delle risorse. La ricostruzione urbana verso la sostenibilità va considerata necessariamente come un processo incrementale, di cui vanno progettati inizialmente i dispositivi enzimatici che contengono in sé le possibili evoluzioni successive, senza pretendere di regolarle in modo troppo deterministico. Il progetto stesso tende così a mutare la sua natura, essendo meno condizionato dall’approccio dell’autore e dalla volontà di configurazione definitiva degli assetti fisici e funzionali della città e delle sue parti, e più portato ad innescare processi virtuosi ben sapendo che questi nel tempo tendono a sfuggire alla razionalità di un singolo attore della trasformazione, sia esso il progettista o l’amministrazione committente. In questa prospettiva, il programma urbano strategico di carattere innovativo si caratterizza come un dispositivo che tende a fungere da incubatore iniziale di processi di trasformazioni dello spazio orientati alla sostenibilità e alla sicurezza, da seguire nel tempo con sistemi di monitoraggio e apprendimento continuo che consentono di agire sulla traiettoria di evoluzione della città, e di ricondurla quanto più possibile agli obiettivi prefigurati.
Obiettivi per il PdR di Popoli Il Piano di Ricostruzione di Popoli individua gli obiettivi e le strategie prioritarie che qualificano la manovra multisettoriale ipotizzata. In particolare fa riferimento alle strategie per l’innovazione e alle strategie per la sostenibilità. Muovendo dalla considerazione delle opportunità connesse alla straordinarietà dei piani e delle risorse messe a disposizione dallo Stato per la ricostruzione, e insieme dalla debolezza dei profili tradizionali di sviluppo locale che penalizzano gran parte dei territori in oggetto, il PdR propone di assumere come obiettivo di fondo la sperimentazione di un modello di intervento che incentiva l’innovazione ai fini di uno sviluppo più sostenibile ambientalmente, più inclusivo socialmente e più competitivo economicamente. Data la complessità delle questioni in gioco, per la varietà dei rischi cui è esposta Popoli (sismico, idraulico, idrogeologico-ambientale, d’incendio, inquinamento, e perdita d'identità) e al fine di circoscrivere in modo più puntuale il campo della ricerca, la tesi propone un dibattito intorno ad alcuni temi-chiave. In particolare i temi della sicurezza rispetto alla vulnerabilità urbana, della necessaria multidisciplinarietà delle competenze e dell’interscalarità degli interventi, rinviando a una governance multilivello dei processi che regolano le attività di ricostruzione dei territori colpiti dal sisma. In altri termini si propone di assumere Popoli, e in prospettiva tutti i comuni del cratere, come territori dell’innovazione, sperimentando qui le soluzioni che potranno essere collaudate e poi estese agli altri territori abruzzesi ma anche nazionali. Nel programma urbano strategico di carattere innovativo di Popoli, l’obiettivo è di istituire una “Città delle Gole” che funge da testata occidentale del sistema metropolitano lineare della Valpescara, aprendosi alle relazioni con la Conca Peligna e con il sistema dei parchi nazionali circostanti. Questa prospettiva di territorio-snodo di livello subregionale è rafforzata dalla valorizzazione del sistema fluviale Pescara-Tirino, deputato a fungere da spina dorsale del sistema insediativo Popoli-Bussi Officine-Bussi, oltre che offrire l’opportunità di creare un Grande Parco Fluviale fino alla foce di Pescara.
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“Antropocene” Millo 2012 ®
Atti della XV Conferenza Nazionale SIU Società Italiana degli Urbanisti Pescara, 10-11 maggio 2012
L’Urbanistica che cambia. Rischi e valori
by Planum. The Journal of Urbanism ISSN 1723-0993 | n. 25, vol. 2/2012