Altrove
magazine
Illustrazione interno copertina di Majid Bita
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19.55 a cura di Majid Bita
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Illustrazione di Majid Bita
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R. a cura di Silvia Righetti
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Illustrazione di Mina Pourramezan
IL MIO POSTER PREFERITO di Majid Bita Era una giornata nuvolosa di metà autunno del 1996.
la polvere. Avevo schiacciato il mio poster preferito
elementare e aspettavo solo che suonasse la campanel-
ur-lare né piangere. Sentii dietro di me il campanello
Ero a lezione di matematica al quinto anno di scuola la. Erano solo due settimane che mi ero trasferito in
quella scuola. I miei genitori avevano cambiato casa
e io dovevo studiare in una scuola vicino alla casa nuova. Quando la campanella suonò uscii da scuola da solo. Per tornare a casa potevo prendere due direzioni. Quella che mio padre mi aveva indicato iniziava
dal marciapiede di fronte a scuola e continuava fino in fondo alla strada, proseguiva su per la passerella
pedonale arrivando così nel nostro quartiere. Era una
strada troppo noiosa, vedevo solo i muri, due scuole e una moschea. Al massimo per divertirmi sulla passerella avrei potuto trovare un inferno infinito di macchine, fumo, inquinamento e clacson. Mi ricordo anche i tabelloni con i ritratti dei leader della rivoluzione
insieme ai vari slogan politici. Ero costretto a prendere quella direzione. L’altra mi costringeva a passare per
un grande Bazar. Era pericoloso e vietato. Solo una volta, tre giorni prima, tornammo a casa prendendo
quella strada per fare la spesa. Proprio quel giorno, passando davanti ad una cartoleria, vidi un poster che
mi piaceva un sacco. Così per comprarlo avevo deci-
so di andare al Bazar. Entrai in un corridoio enorme e completamente coperto, sentivo le urla dei venditori
di frutta che urlavano i prezzi e le qualità della mer-
ce. I macellai erano molto più tranquilli al contrario dei loro volti ruvidi. Camminavo in mezzo alla gente
tra le mani, ma non l’avevo lasciato. Non potevo né di una bici che si avvicinava. Girai la testa e la vidi.
C’era un’ombra che usciva dalla nebbia. Provavo a
liberarmi, ma le mie gambe erano bloccate. Quando arrivò la bici riuscii a liberarmi cadendo per terra.La
bici passò senza notarmi. La guardai dal basso. La guidava un corvo enorme, grande come un uomo, ve-
stito coi vestiti degli uomini. Suonava continuamente il campanello e si allontanava. Stavo congelando per terra. Mi alzai e la seguii. La seguivo con paura mentre
piangevo. Il corvo stava per sparire, ma io lo seguivo ancora. Mentre spariva iniziavo a sentire le voci degli
uomini. Avvicinandomi alla folla mi accorsi che anche loro erano corvi. I corvi vestiti da uomini guardavano
le vetrine dei gioiellieri che brillavano nel buio. Non
riuscii a sbattere le palpebre finché un’altro fortissi-
mo fulmine mi fece vedere un’ uscita proprio accanto a me. Non guardai più in avanti e uscii dal mercato.
Fuori mi aspettava mia madre. Volevo chiederle scusa per essermi perso, ma rimasi ancora muto. Lei sa-
peva cos’era successo. Guardò il poster che avevo tra le mani e capì perché ero venuto qui. Non mi chiese
niente. Ricordo che mi afferrò la mano e mi portò a casa. Una volta arrivato aprii il mio poster e lo misi
sopra la caldaia finché si asciugò. Roberto Baggio mi sorrideva con un pallone d’oro tra le mani.
e nessuno mi notava. Per fortuna trovai la cartoleria
e riuscii a comprare il mio poster preferito. Non co-
stava tanto. Appena uscito il cielo iniziò a tuonare e cominciò a piovere forte. Arrotolai subito il mio poster per non bagnarlo e mi misi a correre sotto la pioggia.
Inciampavo tra la gente, ma dopo un po’ mi accorsi
che non c’era nessuno intorno a me. Mi fermai. Ero ancora nel Bazar, ma ovunque guardassi vedevo solo
nuovi corridoi. Mi ero perso. Volevo tornare davanti alla scuola e tornare a casa prendendo la solita direzio-
ne, ma non sapevo come. Guardai verso l’alto. L’acqua entrava da mille buchi nel soffitto del Bazar. Avevo il
fango fino alle ginocchia. Non potevo più muovermi. Di fronte a me vedevo solo il grigio della nebbia e del-
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CAFFÈ SARA di Mina Pourramezan Dopo tutto il trambusto e la calca della metropolitana, aver cambiato treno dopo una lunga attesa, alla fine, arrivi. Sali le scale, finalmente puoi respirare. Dietro di te c’è un vecchio edificio, il teatro Shahr, il migliore della zona, anzi, il migliore di tutta la città. La metro è esattamente all’angolo dell’incrocio Valiasr. Se attraversi la strada Valiasr e vai verso nord, esattamente dopo il secondo incrocio arrivi a un bar: il caffè Sara. Di fianco al caffè c’è un supermercato. Per un caffè avere accanto un supermercato non è proprio il massimo, ma con tutti quei vasi di fiori e quella bella porta di legno è il caffè stesso ad invitarti ad entrare. Non appena entri , DLING DLONG! E poi silenzio: tutti si girano a guardarti, ti ritrovi al centro dell’attenzione, poi tutti si rigirano e rincominciano a parlare. Ma prima di tutti è il barista a guardarti e a sorridere e ti garantisco che in tutti questi anni il suo sorriso è rimasto lo stesso. Alla tua destra c’è una tenda spessa e bordò, due poltrone verdi e un tavolo rettangolare di legno, questo angolo del caffè è bellissimo da vedere, ma non altrettanto comodo per sedersi perchè è davanti alla vetrina. Si può dire che la strada di Valiasr connetta il nord e il sud di Teheran, inutile dire quanto sia affollata, perciò prova a pensare di essere seduto con un tuo amico a parlare e che chiunque passi ti può vedere anche senza volerlo, e anche tu guardi loro pur non avendone l’intenzione e perdi il filo del discorso. Questa situazione è fastidiosa anche solo da immaginare. Sali tre o quattro scalini e arrivi alla seconda zona del caffè, qui i tavoli e le sedie sono polacche, il pavimento e la metà inferiore dei muri sono di legno. La particolare bellezza dei poster sul muro ti colpisce subito, ce ne sono a centinaia, di tutti i tipi, artisti, musicisti, attori, da Van Gogh a Bach, come se tu fossi davvero in loro compagnia . Quasi su ogni tavolo c’è un posacenere di legno. Mi dispiace per i poveri alberi che hanno usato, ma sono belli davvero. Su tutti i tavoli ci sono delle tovaglie lunghe e strette. Se vuoi un posacenere ti portano anche un accendino e se non te lo portano e sei seduto nel tavolo da due nell’angolo di sinistra, di fronte a te, sulla libreria, ce ne sono molti a disposizione per i clienti. L’odore del caffè e del fumo sono gli unici che senti nell’aria e anche se sei uno dell’antidroga non puoi dire che non ti piaccia questa fusione. Senti il suono di una musica pura di tutte le lingue e di tutti i tempi. C’è poco spazio nel caffè, ma è sempre pieno. Questo affollamento non è come quello della metro, è più come essere in una famiglia numerosa. Mi ricordo una volta in cui alcuni clienti volevano fare un selfie e per colpa del poco spazio non ci riuscivano. Noi che eravamo in tre ed eravamo accanto al loro tavolo gli abbiamo chiesto se potevamo fargliela noi la foto, ci hanno risposto di fare un selfie tutti assieme. Il selfie di noi nove che non ci conoscevamo nemmeno è come una vecchia foto di famiglia in cui non riconosci nessuno. Ma a parte tutto, se lasciamo stare che il caffè è piccolo… chi può dire no a un buon caffè in compagnia di Van Gogh?
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Corte Nova di NeroVite
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Il tassita di Mina Pourramezan
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Going Nowhere di Braio
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Illustrazione di Silvia Righetti
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Illustrazione di NeroVite
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Nel prossimo numero: - il Flemarkt di Eppendorf Weg - l’antibagno di Casa Crespi a Bologna - il decadimento della sagra di Madonna in Cerreto: l’opinione dell’illustre Germano Gambuti - cinque nuove storie a fumetti In edicola dal 18 febbraio
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