Il Camino del Cuore - Passo 2: "Il cuore umano inquieto e bisognoso”

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Passo 2 I IL CUORE UMANO INQUIETO E BISOGNOSO

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Città del Vaticano - 3 dicembre 2019 (aggiornato a marzo 2023) San Francesco Saverio - 175 anni di Apostolato della Preghiera

CARI AMICI NEL

SIGNORE

Il Cammino del Cuore è l'itinerario spirituale proposto dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa. È il fondamento della nostra missione, una missione di compassione per il mondo. Fa parte del processo avviato da Papa Francesco con l'Evangelii Guadium, "La Gioia del Vangelo". È il risultato di un lungo processo spinto da P. Adolfo Nicolás, allora Superiore Generale della Compagnia di Gesù. All'inizio, con un'équipe internazionale guidata da padre Claudio Barriga SJ, è stata elaborata una bozza, qui chiamata "quadro di riferimento". Abbiamo presentato questo itinerario a Papa Francesco che lo ha approvato nell'agosto 2014; poi lo abbiamo pubblicato in un documento intitolato: "Un cammino con Gesù, in disponibilità apostolica" (dicembre 2014 - Doc. 1). Questo documento ha presentato un nuovo modo di intendere la missione

dell'Apostolato

della

Preghiera,

in

una

dinamica

di

disponibilità apostolica, come era all'inizio. Il Cammino del Cuore è essenziale per la ri-creazione di questo servizio ecclesiale, oggi Rete Mondiale di Preghiera del Papa. È un approfondimento della tradizione spirituale dell'Apostolato della Preghiera e articola in modo originale gli elementi essenziali di questo tesoro spirituale con la devozione al Cuore di Gesù. Può essere visto come un adattamento degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio. Il Cammino del Cuore è la chiave di lettura della nostra missione. Il commento scritto nel 2017 voleva aiutare le équipe nazionali della Rete di Preghiera del Papa ad approfondire ogni passo del Cammino del Cuore e ad entrare nelle sue dinamiche interne, in modo da poter proporre, con la propria creatività, materiali adatti al proprio contesto locale. Troviamo questo testo in ogni libro sotto il titolo "Dinamica interna del passo".

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Ci siamo presto resi conto che era importante aiutare le équipe nazionali ad approfondire Il Cammino del Cuore, senza il quale sarebbe stato difficile avanzare nel processo di ricreazione di quest'opera pontificia. Pertanto, nel 2018 abbiamo iniziato a scrivere 11 libri con un'équipe internazionale. Questa équipe era coordinata da Bettina Raed, oggi Coordinatrice Internazionale del Cammino del Cuore. È dalla terra di Papa Francesco, con il sostegno di diversi compagni gesuiti e laici, che abbiamo portato avanti questo lavoro. Nel 2020 abbiamo pubblicato questo lavoro in spagnolo, sotto forma di un sito web con 86 video, 86 podcast e diverse centinaia di schede di presentazione: www.caminodelcorazon.church. Qui trovate la traduzione in italiano dei libri del Cammino del Cuore. Una traduzione è sempre limitata e lasciamo a voi il compito di adattarla localmente. Ci auguriamo che questo materiale vi aiuti a proporre questa missione di compassione per il mondo con creatività (ritiri spirituali, sessioni di formazione, incontri del primo venerdì del mese, ecc). È il nostro modo di entrare nella dinamica del Cuore di Gesù.

P. Frederic Fornos SJ Direttore Internazionale

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Schema per orientare il passo Parola chiave: SVEGLIARSI Obiettivo: Osservo ciò che muove il mio cuore. Dove sono? Cosa mi muove? Chiavi attitudinali: Conoscenza interiore. Per verificare e imparare. Cercare la luce. Cosa vogliamo ottenere – frutto: Orientare la nostra vita. Dinamica interna del passo: Dal “disorientamento” all’“orientamento”. Le coordinate della mia esistenza.

Quadro di riferimento Noi aspiriamo alla felicità e la cerchiamo in tanti modi. Riceviamo da Dio il dono di amare e di vivere con generosità. Tuttavia facciamo spesso l’esperienza di essere poveri e disorientati, tra frustrazioni e desideri profondi, incapaci di risolvere le nostre crisi personali e di trovare la pace interiore. Proponiamo qui un itinerario di fede, di preghiera e di vita, per tutti coloro che sono in ricerca interiore, che avvertono la loro sete spirituale e desiderano accogliere Gesù Cristo nel proprio cuore. È il cammino dei piccoli, la cui debolezza e vulnerabilità non sono un ostacolo, ma piuttosto la migliore risorsa per incontrare un Dio che si rende vicino al povero.

Dinamica interna del passo Tutti vogliamo amare ed essere amati, ma sappiamo che spesso ciò è molto difficile, pieno di incomprensioni: «In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Romani 7, 18-19), dice san Paolo nella sua lettera ai cristiani a Roma. Tutti lo abbiamo sperimentato. Nonostante il nostro desiderio di amare, di essere in armonia con gli altri, il nostro desiderio di benessere e di felicità, quante volte ci troviamo su sentieri di morte, che danneggiano gli altri e ci distruggono? Quanti gesti, parole, pensieri, invece di aprirci alla vita, ci portano sulla via della morte? Il rifiuto dell’amore, l’egoismo, l’orgoglio, l’odio, il disprezzo possono essere così forti che possono farci chiudere in noi stessi e separarci dagli altri e da Dio. E questo “isolamento-inferno” conduce alla morte… Come dice il libro del Deuteronomio: «Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui» (Deuteronomio 30, 19-20). Scegliere Cristo è scegliere la vita. Dio non vede il nostro peccato. Vede piuttosto il nostro amore, il nostro desiderio di tornare da Lui, come ci ha raccontato Gesù nella parabola del figliol prodigo (Luca 15). Gesù dà più importanza alla fede che all’applicazione della legge: «Andate a imparare che cosa vuol dire: «"Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Matteo 9, 13).

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È quello che disse anche Isacco il Siro (VII secolo): «Può Dio perdonarmi queste cose che mi affliggono e per la quali la mia memoria mi tormenta? […] Non ci sono dubbi per la tua salvezza… La sua misericordia è immensa più di quanto si possa immaginare, la sua grazia è più grande di quanto tu abbia il coraggio di chiedere. Cerca sempre il minimo pentimento Cerca sempre il minimo pentimento in colui che si è lasciato derubare di una parte della sua giustizia nella lotta con le passioni e il peccato.» (Discorso 40) Papa Francesco afferma: «Il perdono di Dio per i nostri peccati non conosce confini. Nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, Dio rende evidente questo suo amore che giunge fino a distruggere il peccato degli uomini. Lasciarsi riconciliare con Dio è possibile attraverso il mistero pasquale e la mediazione della Chiesa. Dio quindi è sempre disponibile al perdono e non si stanca mai di offrirlo in maniera sempre nuova e inaspettata» (Misericordiae Vultus, n. 22).

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Entrata dalla Prospettiva Biblica Dio è un Padre buono, pieno di amore e di tenerezza per i suoi figli. L’esperienza di questo amore, espresso attraverso le cose e le persone della nostra vita, attraverso la natura, attraverso l’amore che diamo e riceviamo, attraverso le innumerevoli cose buone che ci accadono, risveglia la nostra gratitudine e ci spinge interiormente a rispondere con la nostra vita per tutto il bene che riceviamo. Tuttavia, nonostante questa innegabile prova d’amore che ci avvolge e ci circonda, ci rendiamo presto conto che le nostre risposte non sono sempre fedeli al bene ricevuto. Desideriamo fare del bene, vorremmo rispondere con amore e tenerezza, con verità, con gioia agli altri, essere giusti e solidali, e abbiamo tanti desideri buoni che cerchiamo di mettere in pratica. Ma non sempre agiamo come vorremmo, e quindi ci mostriamo incoerenti, contraddittori tra ciò che desideriamo e ciò che facciamo. È che sperimentiamo la nostra fragilità, la nostra impotenza, ci svegliamo e ci rendiamo conto che siamo capaci di fare del male, di mentire, insomma di peccare; che i nostri atteggiamenti offuscano il bene che abita in noi e con essi diventiamo complici del male che opera anche fuori di noi. Non siamo bravi come vorremmo essere, né siamo come vorremmo essere visti. Siamo pervasi da forze che ci allontanano dall’amore che abbiamo ricevuto, ci allontanano dal cammino, ci rendono meno persone e ci trasformano in collaboratori della disumanizzazione delle nostre relazioni. Il peccato ci danneggia e danneggia gli altri. Che cosa ci dice la Bibbia su questa esperienza che viviamo ogni giorno? Come può la parola di Dio accompagnarci nella nostra esistenza? La Bibbia, come storia d’amore tra Dio e gli uomini, ci riferisce le storie di infedeltà, di deviazioni e di disumanizzazione che gli uomini e le donne hanno sperimentato nel corso della storia. I personaggi ci raccontano come, pur essendo consapevoli e avendo sperimentato la promessa di Dio che si realizza, l’amore creativo e infinito con cui Dio li amava, le loro risposte e i loro comportamenti non sempre corrispondevano a quell’amore. Tuttavia, in questo gioco di amore e infedeltà, Dio, il sempre Fedele, non ha mai abbandonato, non si è mai allontanato e non ha mai lasciato al loro destino i figli che nella loro fragilità hanno cercato di continuare a costruire questa storia d’amore con Dio. La Bibbia nelle sue pagine ci racconta come Dio, con affetto e tenerezza, ci avvicini sempre all’altro che ci apre e ci risveglia alla consapevolezza dell’infedeltà e all’esperienza della promessa sempre presente di Dio, che continua a cercare e ad amare per rinnovare la vita dei suoi figli.

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Il secondo libro di Samuele narra l’episodio in cui il re Davide, abbagliato dalla bellezza della moglie di Uria, cercando di nascondere la realtà e la sua infedeltà non solo nei confronti di Dio, che lo aveva consacrato re del suo popolo, ma anche dei suoi generali e delle loro famiglie, che lo sostenevano nella lotta per la liberazione del popolo d’Israele contro i suoi nemici, arriva a far uccidere Uria, uno dei suoi migliori servitori nell’esercito, per salvare se stesso e nascondere il proprio peccato. Natan interroga il re Davide sulla sua condotta, portandolo a riflettere su un caso immaginario, e allora Davide, con la sua saggezza, risponde giustamente al caso, condannando colui che ha causato il danno: “Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà”. A questo punto Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo! […] Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi (Secondo libro di Samuele, 12, 5-9). Dio ci rimprovera come un Padre e ci manda un aiuto lungo il cammino, come ha mandato Natan al re Davide per fargli prendere coscienza del suo errore e del danno che questo ha provocato. Il peccato e il male non hanno mai l’ultima parola. La Bibbia ci racconta come Dio, nonostante gli uomini e le donne insistessero nel loro comportamento che li allontanava dall’amore verso di Lui, abbia sempre cercato i suoi figli e mantenuto la sua promessa di misericordia eterna, amore e salvezza per tutti. Dio promette il suo Amore eterno, e l’uomo lo cerca con un cuore fragile e bisognoso, consapevole che il suo unico rifugio è quell’Amore che lo sostiene, che è sempre vicino e che è solidale con il male e il dolore che gli uomini e le donne subiscono e provocano: “Dal profondo a te grido, o Signore, Signore, ascolta la mia voce” (Libro dei salmi 130, 1). L’amore di Dio guarisce le ferite, rinnova la vita, ricostruisce i legami e ci permette di reinserirci nel nostro ambiente. Ecco come l’evangelista Marco ci racconta la guarigione della suocera di Pietro: «Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva» (Vangelo secondo Marco 1, 31). Anche nella guarigione di un paralitico, lo sguardo di Gesù non si concentra sull’impossibilità o sulla fragilità, ma sulla fede di chi ricorre a lui: «Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”. […] “Dico a te – disse al paralitico –: alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua”. Quello si alzò e subito, presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò» (Vangelo secondo Marco 2,5-12). Nella guarigione dell’uomo con la mano paralizzata, Gesù. «guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: “Tendi la mano!”. Egli la tese e la sua mano fu (Vangelo secondo Marco 3,5).

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● «Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne, in terra arida, assetata, senz’acqua (Libro dei salmi 63:1) ● «Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce» Libro dei Salmi 130,1). ● «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Vangelo secondo Matteo 5:3) ● «Dove mai ti celasti, qui lasciando il mio cuore tramortito?» (San Giovanni della Croce, Cantico Spirituale). ●

«Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te»

(Sant’Agostino, Le Confessioni). ● «Allora Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo!”» (Secondo Libro di Samuele 12,7). ● «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio…» (Lettera ai Romani 7:19-25)

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Entrata dalla Prospettiva della Fede Riconosciamo la bella, grandiosa e al tempo stesso delicata avventura di un Dio che crea un essere limitato, alla cui porta Lui, l’Onnipotente, deve fermarsi e bussare, e aspettare rispettoso e ansioso di vedere se la libertà dell’uomo lo invita o meno a entrare, e se gli offre o meno amicizia. Un Dio che ha fatto un universo incompleto per avere davanti a sé una libertà umana che decide, non può amare un mondo di robot, un mondo-macchina, privo di personalità e libertà, perché l’amore personalizza, libera e responsabilizza. Nel passo delle tentazioni di Gesù nel deserto (cfr. Vangelo secondo Matteo 4,1-11 e par.), il semplice fatto che la tentazione è possibile sta a indicare che Dio corre il rischio della libertà dell’uomo fino in fondo, e che non possiamo concepire un intervento salvifico di Dio che elimini il rischio della libertà e della responsabilità umana. Il trionfo di Dio può consistere solo nella consacrazione della libertà dell’uomo con la sua libera risposta. E questa libertà, in quanto liberata, non consiste tanto nella possibilità di dire “sì” o “no”, ma nel fatto che il suo “sì” non è condizionato da altro che dall’amore. Noi siamo la nostra libertà o, se preferiamo, il mio essere è il risultato di ciò che la mia libertà ha deciso, cioè è la storia delle mie decisioni che esprime la profondità della mia persona e che permette agli altri di conoscerla. In ogni caso, «non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. […] In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. […] Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra» (Lettera ai Romani cap. 7, 15-23). La consapevolezza del peccato è buona e necessaria, in quanto ci deve ricordare che la nostra realtà di creature è sempre un miscuglio di amore ed egoismo e peccato. Ogni nostra azione porta con sé i due semi opposti: quelli del grano e della zizzania. Se il senso di colpa ci incute una paura che ci fa sentire fuori della storia, il peccato è, come afferma san Paolo nella lettera ai Romani, la radice della nostra schiavitù, del nostro rifiuto di essere concreatori con Dio. E così la paura del peccato ci porta all’angoscia, alla mancanza di fede e, cosa più terribile, al peccato sotto forma di falsa religiosità.

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Se dimentichiamo la nostra responsabilità di creare un mondo che in parte è stato affidato anche alle nostre mani di artigiani e preferiamo tenere il conto dei nostri meriti davanti a Dio, per quanto bene possiamo adempire a tutti i precetti ricevuti, peccheremo. Perché non siamo stati creati per questo, allora verremmo meno all’intenzione del Dio creatore nei nostri riguardi. Tra questi due estremi – l’ossessione della colpa, da un lato; e l’apatia che porta a lasciare le cose così come stanno, dall’altro - si trova lo spazio in cui l’uomo deve collocarsi secondo il piano di Dio. Nessun uomo può essere così peccatore da essere tentato dal male. In generale, le nostre risposte sono forme abituali – povere, facili o disperate – che adottiamo, illudendoci, come realizzazioni del bene, ma che possono sfociare nelle più grandi e pericolose aberrazioni della condotta umana. In definitiva, gli esseri umani hanno due alternative: a) L’egocentrismo, che è ciò che Paolo chiama «soddisfare i desideri della carne» (cf. Lettera ai Galati 5, 19-21), cioè la fragilità umana, il cui cammino inizia con la cupidigia delle ricchezze, prosegue con la ricerca del vano onore del mondo e giunge alla superbia (cfr. Esercizi Spirituali 142). Ciò avviene quando l’uomo divora l’uomo. b) Il dono di sé, da cui emergono i frutti dello Spirito: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Lettera ai Galati 5, 22), A questo corrisponde il cammino che ha inizio dalla povertà e, passando attraverso il disprezzo di sé, giunge all’umiltà (cfr. Esercizi Spirituali 146). La nostra realtà peccaminosa ha un aspetto molto positivo, che è stato illustrato chiaramente nei Vangeli: la redenzione operata da Cristo per tutta l’umanità. Afferma san Paolo: «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!» (Lettera ai Romani 7, 24-25).

➔ Per approfondire • Risorse. Appendice 2: “San Giovanni Battista e il tempo di crisi’”. • Appendice 3: “Crescere nella disillusione”.

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Entrata dalla Prospettiva Spirituale Uno sguardo riconoscente per i doni ricevuti Sapere che siamo amati incondizionatamente da Dio ci apre alla gratitudine e al desiderio di prenderci cura dei doni che abbiamo ricevuto. La scoperta che la vita e tutto ciò che è in essa è un dono grandioso, del quale non abbiamo alcun merito e per il quale non è prevista alcuna ricompensa, ci apre al desiderio di ringraziare e di custodire questi doni. La consapevolezza del dono invita a prendersi cura con amore, e quindi a riconoscere tutte quelle volte in cui trascuriamo ciò che ci è stato donato. Si apre così una dinamica all’interno del cuore, in cui la persona riconosce il dono e ne è grata. Inoltre, essa diventa consapevole del valore di ciò che ha ricevuto e dell’amore di chi lo ha donato; e, d’altra parte, di non essere stata sempre fedele nel prendersi cura dei doni preziosi che ha ricevuto. Non si tratta però di sentirsi in colpa per aver commesso qualcosa di sbagliato, né di fare un elenco di peccati o di mancanze; si tratta invece di avere uno sguardo riconoscente per così grandi beni ricevuti; di riconoscere che, per fragilità, disattenzione, negligenza, malizia e altre mancanze, abbiamo trascurato tali doni, privando noi stessi della possibilità di goderne appieno e privandone anche altri nostri fratelli e sorelle. Non si tratta di un semplice esercizio intellettuale, ma di un esercizio della ragione illuminato dalla grazia del Padre. Per questo dobbiamo chiedere al Signore di illuminarci, di darci la grazia di vedere l’amore con cui Egli si prende cura di noi e, d’altra parte, la mancanza di amore con cui rispondiamo a tale amore. Pertanto, il cammino che ci porta dalla nostra ingratitudine al riconoscimento del bene ricevuto deve essere compiuto con l’aiuto del Padre, e sotto il suo sguardo, chiedendo che sia Lui a mostrarci ciò che dobbiamo operare con fedeltà e con attenzione per il nostro bene e per quello dei nostri fratelli e sorelle. È quindi un esercizio fatto alla presenza di Dio, una preghiera che cerca l’incontro con il Signore. Sotto l’influsso della grazia e della luce del Padre, possiamo ripercorrere ciò che vogliamo esaminare: una parte della nostra giornata, un’attività, un incontro, una conversazione, e fare l’esame quotidiano alla fine della giornata. Ripercorreremo allora nel nostro cuore ciò che abbiamo vissuto, lo ripercorreremo come in un film, come chi chiede “all’anima di rendere conto” di ciò che ha vissuto, per renderlo attuale e vedere, alla luce di Dio, com’è andata la giornata. E scoprire in quello sguardo i momenti in cui abbiamo trascurato ciò che ci è stato dato, provocando danni agli altri, a noi stessi e al mondo creato: ad esempio, trascurando coloro che avevano bisogno di noi; attuando rifiuti o omissioni con noncuranza; non prendendoci cura della nostra salute; tenendo conversazioni oziose, che ci rendono tristi, privandoci della vera gioia; non godendo di

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un incontro con i nostri cari a causa delle ansie del lavoro; non dando tempo alla preghiera. Per noi sarebbe utile prendere nota di ciò di cui vogliamo ringraziare, perché lo riconosciamo come un dono del Signore, e considerare il modo in cui ci prendiamo cura di questi doni, li facciamo fruttare, ne traiamo beneficio, e il modo in cui facciamo del bene agli altri con ciò che abbiamo ricevuto. E dobbiamo considerare anche come trascuriamo il bene che Dio opera per noi. Scriverlo ci aiuterà a valutare e calibrare il nostro cuore. Il cuore che è entrato nella chiarezza della “sua verità” alla luce della grazia e agli occhi di Dio desidera chiedere perdono e aiuto. La verità su noi stessi ci libera, perché ci rende trasparenti davanti al Signore, per il quale non ci sono segreti. La disponibilità del cuore a mostrarsi così com’è davanti al suo Creatore non solo ci “alleggerisce dai pesi”, ma ci fa guadagnare in intimità, rafforza il nostro legame con Colui che, nonostante le nostre fragilità, scommette su di noi e confida nel bene che ci ha affidato, perché Lui stesso si incarica di coltivarlo e di farlo crescere. Dopo aver chiesto con fiducia perdono a Colui che ci ama e continuerà ad amarci, intraprendiamo il cammino di prenderci cura dei doni che abbiamo ricevuto da Dio, di farli crescere e di condividerli. Questa decisione ci aprirà a ricevere la grazia, che ci darà la forza di ricominciare. L’esame calibra il nostro cuore, mettendolo in sintonia con la visione che il Creatore ha di noi, che è in definitiva l’unica visione che stabilisce la verità nel nostro cuore, potenzia i nostri talenti e ripristina i danni che abbiamo causato con le nostre fragilità e il nostro peccato. Conoscere i movimenti della nostra interiorità Entrare nella vita di preghiera, iniziare un cammino spirituale non è facile. Fin dai primi passi noteremo che ci sono in noi movimenti spirituali, ossia inizieremo a sperimentare cambiamenti nei nostri sentimenti, nei pensieri – alcuni compaiono e poi si ritirano, altri sono più persistenti – nei desideri e nelle inclinazioni. Il mondo interiore ha una sua vita, che si manifesta in quelli che nella tradizione spirituale vengono chiamati movimenti spirituali. Per questo è importante e utile notarli, cioè riconoscerli e distinguere le reazioni che suscitano in noi. Perché hanno significati diversi, essi ci indirizzano e ci orientano in modi diversi e ci spingono a prendere decisioni diverse. Questi movimenti interiori sono necessari per la salute spirituale, e noi possiamo imparare qualcosa da loro. L’importante è capirne bene il significato, in modo da poterli usare per rafforzare la nostra amicizia con il Signore.

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C’è un primo gruppo di movimenti interiori che percepiamo come idee o sentimenti quando progrediamo nella vita spirituale, quando abbiamo deciso di prendere sul serio un cammino di amicizia con Gesù e ci siamo proposti di coltivare nella preghiera l’incontro con Lui e, nella vita quotidiana, atteggiamenti più simili ai suoi. In questo caso, noteremo due tipi di movimenti interiori. Da una parte, quelli che provengono dal “nemico della natura umana o spirito malvagio”, che ci perseguita e che mette ostacoli e intralci sulla nostra strada, per impedirci di avanzare nella vita spirituale, così che rinunciamo alle nostre buone intenzioni e ci allontaniamo da Gesù. Si tratta di idee che ci fanno pensare di aver intrapreso un percorso difficile, se non impossibile, che non possiamo proseguire, o un percorso inutile; oppure di qualsiasi altro pensiero simile che ci fa allontanare, chiudere o isolare dagli altri. Questo porta allo scoraggiamento e alla mancanza di speranza nel cammino proposto. Dall’altra parte, lo spirito buono ci incoraggia a continuare, a cercare aiuto quando le cose diventano difficili, a superare gli ostacoli, concentrandoci sui risultati e sui progressi piuttosto che sulle difficoltà, a confidare che se Gesù ci ha chiamato, ci aiuterà nel cammino. Si tratta di sentimenti che ci danno incoraggiamento, e di idee pervase da ottimismo, che ci aprono alla vita. C’è poi un secondo gruppo di movimenti interiori che si presentano nell’anima di coloro che restano fermi o che non hanno preso sul serio la loro crescita spirituale. In questi casi, lo spirito cattivo facilita il cammino di allontanamento dal Signore, rendendolo precipitoso. Favorisce la pigrizia, incoraggia una vita comoda senza preghiera, con la soddisfazione di appetiti sensibili disordinati. Lo spirito buono, invece, agisce in modo opposto: stimola la coscienza, pungendola per riportarla sulla retta via. Imparare a riconoscere questi movimenti interiori e a prendere nota di ciò che man mano scopriamo ci aiuta a capire le circostanze in cui li percepiamo, cosa ci accade ogni volta, a cosa ci sentiamo portati. Non si tratta però solo di riconoscere e prendere atto dei movimenti, ma anche di accogliere quelli che ci avvicinano alla vita dello Spirito Santo, e di respingere o di scacciare invece quelli che ce ne allontanano. Si tratta di entrare nel linguaggio della vita dello Spirito, di essere attenti a quei movimenti spirituali che ci danno vita, per accoglierli e seguirli, e di scartare invece ciò che non viene dallo spirito buono.

➔ Per approfondire. Risorse. Allegato 1: “L’anima pesante”.

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Gli improvvisi cambiamenti che l’anima subisce Giovanni Cassiano, un padre del deserto vissuto in Egitto nel IV secolo, ha introdotto nel mondo occidentale i principali elementi della tradizione monastica orientale. I suoi scritti sulla preghiera e sul discernimento spirituale hanno avuto un grande influsso. In questo testo l’autore presenta, con il linguaggio e le immagini del suo tempo, le dinamiche del discernimento spirituale, cioè i movimenti interiori che ci aprono allo Spirito del Signore, alla vita, e anche quelli che costituiscono un ostacolo al discernimento spirituale. Dobbiamo tener presente che la tradizione biblica e sapienziale ci dice che i movimenti interiori provengono da influenze esterne a noi, da cose che vediamo, sentiamo, percepiamo e che hanno un impatto affettivo su di noi. È quello che in questa stessa tradizione viene chiamato “spirito buono” e “spirito cattivo”: il primo ci apre alla vita, il secondo ci conduce alla morte. Tuttavia, i cosiddetti “spiriti buoni” e “spiriti cattivi” non si identificano con il Signore e con il diavolo (il principe del male). Non si tratta cioè di una lotta tra Dio e il diavolo, perché il Creatore è onnipotente e ha già sconfitto il male. Come ci dice la tradizione spirituale, il diavolo, chiamato anche “Satana” (cioè l’“avversario”), e “padre della menzogna” è solo una creatura e non può competere con Dio. Nel combattimento interiore, spirituale, sono in gioco forze interne (la nostra psicologia) e altre forze che provengono da influenze esterne (spirito buono e spirito cattivo). Lo Spirito del Signore favorisce l’influsso dello “spirito buono” in noi, in quanto ci conduce alla vita e alla libertà, ma non si identifica con esso. D’altra parte, lo “spirito cattivo”, che ci spinge verso la schiavitù, può essere influenzato dal diavolo. Ed ecco il testo di Cassiano: «Tra gli eroi della filosofia cristiana, da noi visitati nel deserto, ci fu anche l’abate Daniele. In nessuna virtù egli era inferiore agli altri santi uomini che abitavano l’eremo di Scito, però si distingueva fra tutti per la grazia dell’umiltà. Al beato Daniele noi domandammo come mai qualche volta, mentre ce ne stiamo ritirati nella nostra cella, sentiamo il nostro cuore riempirsi di un piacere ineffabile e di sentimenti elevati che traboccano da ogni parte, tanto che non si trovano parole per dire un tale stato, e la mente stessa è incapace a capirlo. La preghiera in quei momenti è pura e facile, l’anima abbonda di frutti spirituali, sente che le sue preghiere (continuate anche nello stato di dormiveglia) giungono lievi e accette fino a Dio.

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Poi, all’improvviso e senza alcun motivo, accade che ci sentiamo pieni d’angoscia e di una tristezza della quale non si sa dare spiegazione. La sorgente delle esperienze spirituali s’inaridisce, la cella ci diventa insopportabile, la lettura divina produce nausea, la preghiera si fa instabile e vacillante come se fosse ubriaca. Piombati in questa condizione, noi gemiamo e ci sforziamo di condurre l’anima nostra alla sua prima direzione, ma tutti gli sforzi sono vani. Quanto più cerchiamo di ritornare alla contemplazione divina, tanto più la mente si smarrisce nei suoi vagabondaggi. Siamo caduti nella sterilità: né il desiderio del cielo, né il timore dell’inferno possono svegliarci da questo sonno di morte. Il venerabile Daniele ci rispose: “I nostri Padri hanno indicato tre ragioni per spiegare la sterilità della quale voi state trattando: essa può derivare dalla nostra negligenza, da una tentazione del demonio, da una prova mandataci da Dio. L’aridità può venire dalla negligenza. Per nostra colpa noi, in passato, abbiamo agito senza vigilanza e senza impegno, per una malaugurata pigrizia ci siamo nutriti di cattivi pensieri, facendo così germogliare nel campo del nostro cuore triboli e spine. In conseguenza di ciò siamo diventati sterili, completamente privi di frutti spirituali e di contemplazione. La sterilità può venire anche da tentazione del demonio. Talvolta, mentre siamo tutti occupati in santi desideri, il nostro scaltro nemico s’insinua nell’anima e, senza che noi lo sappiamo e lo vogliamo, ci distrae dai pensieri più nobili e alti. La prova ci viene talvolta da Dio, il quale agisce così per due ragioni. Ecco la prima. Trovandoci abbandonati dal Signore per un certo tempo e considerando umilmente la nostra fragilità, non ci insuperbiremo della purezza di cuore con la quale Dio ci aveva ornati durante la sua visita precedente. Accorgendoci inoltre, mentre stiamo in questo abbandono, che i gemiti e gli sforzi non bastano a farci riconquistare il nostro primo stato di gioia e di purezza, comprenderemo che la nostra contentezza passata non era frutto del nostro zelo, ma dono della divina misericordia. Ci convinceremo infine che quel dono dobbiamo chiederlo a Dio, fonte di grazia e di luce. L’altro motivo per cui Dio manda l’aridità di spirito è che egli vuole mettere alla prova la perseveranza, la costanza, il desiderio dell’anima nostra: vuole farci capire con quale ardore e con quale perseveranza nella preghiera dobbiamo chiedergli il ritorno dello Spirito Santo, dopo che si è allontanato da noi. Vuole insomma – col farci sperimentare quanto costa riacquistare la gioia spirituale e l’allegrezza della purità – insegnarci a difendere quei tesori con cura più attenta, prima di farceli strappare; vuole anche insegnarci a conservarli con maggiore sollecitudine, dopo che li avremo ritrovati. Noi infatti siamo portati a custodire con minore diligenza ciò che pensiamo di poter riavere con maggior facilità.

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Tutto quel che abbiamo detto prova con evidenza che sono la grazia e la misericordia di Dio a operare in noi ogni bene. Se Dio ci abbandona, a nulla valgono le nostre fatiche e i nostri sforzi. Per quanti sforzi facciamo, non potremo riprodurre lo stato antecedente finché Dio non ci doni di nuovo il suo aiuto. Così vediamo avverarsi in noi le parole di san Paolo, che dice: ‘Non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che ha misericordia’ (Romani 9,16). Ma talvolta avviene che la grazia ci visiti con le sue sante ispirazioni e susciti in noi abbondanza di pensieri spirituali, proprio mentre viviamo sprofondati nella negligenza e nel rilassamento. Allora la grazia ci ispira, anche se siamo indegni, ci sveglia dal sonno, ci illumina nell’accecamento della nostra ignoranza, ci rimprovera e ci castiga con clemenza, si effonde nei nostri cuori, affinché, penetrati dalla compunzione, siamo sollecitati a svegliarci dal torpore della nostra inerzia. Spesso anche accade che, in occasione di queste visite della grazia, ci sentiamo improvvisamente inondati da certi profumi che superano in soavità ogni arte umana, cosicché l’anima nostra, come sopraffatta dal piacere, è rapita e trasportata fuori di sé e dimentica di essere ancora unita alla carne”» (Giovanni Cassiano, Conferenze spirituali, Paoline, Milano, 1965, IV Conferenza)..

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Entrata tramite le Parole del Papa «Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. Anche se con la dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti, e ricordare quello che disse il Signore a san Paolo: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Corinzi 12,9). Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male. Il cattivo spirito della sconfitta è fratello della tentazione di separare prima del tempo il grano dalla zizzania, prodotto di una sfiducia ansiosa ed egocentrica» (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 85).

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Entrata dalla Prospettiva della Preghiera Risvegliare il mondo interiore che ci abita «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora. Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni...» (Vangelo secondo Matteo 25:13-14). Oggi si parla molto di “vivere con attenzione”, di vivere nel “qui e ora” o di acquisire un atteggiamento che ci permetta di “vivere con piena consapevolezza”. Questo interesse, che nasce dalla spiritualità orientale e dalla riscoperta della nostra tradizione spirituale, è dovuto alla consapevolezza che viviamo senza sapere dove avviene il vero cambiamento che vogliamo vedere in noi stessi e nel mondo. Gesù ci invita a vigilare, a prestare attenzione, a essere attenti alla sua presenza in noi e a prenderci cura del nostro cuore. Noi viviamo molto “distratti”, disattenti a ciò che accade dentro di noi. Questo ci porta a non essere consapevoli delle decisioni che prendiamo, delle parole che diciamo e degli atteggiamenti con cui viviamo. Critichiamo facilmente gli altri e ne sottolineiamo gli errori, ma non ci fermiamo a esaminare e controllare ciò che diciamo e facciamo noi stessi. Quando preghiamo, sviluppiamo una maggiore capacità di comprendere e ponderare ciò che accade dentro di noi e intorno a noi. La preghiera ci fa capire realtà interiori che altrimenti rimarrebbero nascoste in noi. Il risveglio interiore alle dinamiche interiori che abitano in noi è la condizione di possibilità per amare liberamente. Dobbiamo prestare maggiore attenzione a ciò che ci impegniamo a realizzare nella nostra vita. Essere “vigili” significa essere svegli e attenti al cuore. Dobbiamo prestare maggiore attenzione ai cambiamenti di umore e ai pensieri che disturbano e contristano l’anima, ma anche alle manifestazioni dello Spirito di Dio che portano pace, gioia, speranza e amore. Se saremo attenti a ciò che accade dentro di noi, svilupperemo una maggiore capacità di ascoltare la voce di Gesù e di seguirlo. In questo secondo passo del “Cammino del Cuore”, dobbiamo riconoscere, insieme ai figli di Dio, che in noi ci sono dinamiche interiori che si oppongono a questa realtà. Sono voci diverse, che ci seducono e ci spingono a costruire una vita egoista a scapito degli altri. D’altra parte, dobbiamo stare molto attenti anche a non giudicare con durezza il nostro comportamento, le nostre azioni e i nostri modi di procedere, ma riconoscerci innanzitutto come persone amate da Dio. Chi sa di essere amato da Dio è capace di cambiare la propria vita. La tradizione monastica, e in particolare i Padri

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orientali, ci invitano a prenderci cura del nostro cuore. Sant’Ignazio di Loyola, facendo eco a questa raccomandazione, propone la pratica dell’esame del giorno – la lettura quotidiana – come strumento per scoprire la voce dello spirito buono nel nostro cuore e accogliere le sue mozioni (movimenti interiori o spirituali) e, d’altra parte, per riconoscere la voce dello spirito cattivo e respingerne le mozioni.

Esercizio – Pratica di rilettura Approfondimento del secondo tempo di rilettura Luce e perdono Alla luce dell’amore del Signore, guardo tutto ciò che mi rinchiude in me stesso, mi rattrista, mi inaridisce, mi divide, tutto ciò che è rifiuto dell’amore. Non si tratta qui di fare un elenco dei miei peccati o una sorta di indagine inquisitoria interiore, ma di individuare come semplice constatazione, senza voler giudicare, ciò che mi rinchiude in me stesso, ciò che mi allontana dal Creatore e dai miei fratelli e mi toglie la vita, di individuare dove avviene il combattimento spirituale. Questo è il luogo in cui il Signore mi chiama ad andare avanti per aprirmi maggiormente alla vita. Perché il peccato mi separa da Dio, che è la fonte della vita. Posso chiedere il Suo perdono e accettare la Sua misericordia. «Pietoso e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso. Il Signore protegge i piccoli: ero misero ed egli mi ha salvato. Ritorna, anima mia, al tuo riposo, perché il Signore ti ha beneficato. Sì, hai liberato la mia vita dalla morte, i miei occhi dalle lacrime, i miei piedi dalla caduta. Io camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi» (Salmo 116:5-9).

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Pratica di rilettura tematica Paure e attaccamenti Proponiamo un esercizio di “esame” impegnativo. Ricorda che questo è un momento di preghiera; quindi cerca di trovare un tempo tranquillo, un luogo appartato e rimani in silenzio. Entra alla presenza del Creatore, che ti guarda e ti aspetta per un nuovo incontro con te. Considera ogni grazia speciale che hai ricevuto in questo tempo, ringrazia il Signore e gusta il dono di Dio. Chiedi a Dio la grazia di aiutarti a vedere quelle paure e quegli attaccamenti che influenzano la tua vita. Chiedi al Signore di mostrarti quali sono le cose che ti spaventano. Ricorda che le paure più profonde sono nascoste, difficili da vedere (paura della solitudine, della morte, della malattia, del fallimento, di non essere amati, di non essere accettati, della condanna, del vuoto ecc.) Prendi nota di ciò che vai scoprendo. Chiedi di nuovo al Signore di mostrarti che cosa ti impedisce di essere libero, qual è la realtà a cui leghi il tuo cuore. Potrebbe essere una persona, un dolore che ti colpisce, un luogo, una situazione. Sono cose a cui ti aggrappi e che ti tolgono la libertà di pensiero e di azione, che intrappolano la tua attenzione e nelle quali si fissa il tuo cuore. Gli attaccamenti ti rendono schiavi e rendono schiavi gli altri. Prenditi il tempo necessario affinché il tuo cuore possa dettarti le cose di cui potrai prendere nota. Offri al Signore ciò che hai scoperto, per ricevere da Lui una parola e i Suoi suggerimenti. Il Signore parlerà al tuo cuore. Chiedi perdono al Signore per le tue fragilità e immagina come sarebbe il domani se tu non agissi sotto il Suo influsso. Chiedi a Dio di far crescere in te il desiderio di libertà interiore, per essere più disponibile al suo Amore.

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Risorse Allegato 1 “L’anima pesante” «In larga misura, la mancanza di realizzazione (o felicità) con cui viviamo oggi è dovuta al fatto che abbiamo un’“anima pesante”. Sovraccarichiamo la nostra vita con troppe cose, che il più delle volte non sono nemmeno utili. E non ci rendono persone migliori. Abbiamo difficoltà a riconoscere che la felicità non sta in ciò che abbiamo o possediamo. La pesantezza dell’anima è dovuta al fatto che ci sono questioni irrisolte, che rimangono tali. E può avvenire che, quando restiamo in silenzio, le voci interiori affiorino per richiedere attenzione. Forse è per questo che cerchiamo dei modi per far tacere il nostro io interiore. Ci mettiamo a fare ogni sorta di cose per evitare di rispondere alla domanda che ci aiuterebbe a uscire dalla situazione in cui ci troviamo: “Chi sono?”. Perché è importante rispondere a questa domanda? Perché la nostra identità non data da ciò che abbiamo, ma da dove veniamo e verso dove siamo chiamati ad andare. Perché è conoscendo chi siamo che possiamo capire meglio il nostro destino e il senso della nostra esistenza. Ci sono persone che hanno paura della propria interiorità. Hanno paura di incontrare sé stessi. Pensano che, tacendo, sentiranno solo lamentele dall’interno, e questo è falso. In noi c’è una voce che dobbiamo ascoltare, ed è quella che dice: “Tu sei il Figlio mio, l’amato” (Mc 1,11). Se smettessimo di fuggire da noi stessi, come sarebbe diversa la nostra vita... Se smettessimo di cercare all’esterno ciò che dobbiamo scoprire dentro di noi, come sarebbe diversa la storia... Se smettessimo di cercare all’esterno ciò che dobbiamo scoprire dentro di noi, come sarebbe diversa la storia... Se fossimo spinti ad ascoltare di più, invece di parlare tanto, forse potremmo comprendere che quelle parole che il Padre ha rivolto a Gesù erano per tutta l’umanità: “Tu sei il Figlio mio, l’amato”. Quando ci riconosciamo come figli, smettiamo di vivere come orfani senza una casa».

Allegato 2 “San Giovanni Battista e il tempo di ‘crisi’ ” «Chi di noi non ha attraversato, una volta o l’altra, un momento di difficoltà? Chi non ha provato, una volta o l’altra, quella “strana” sensazione di fallimento? In più di un’occasione abbiamo visto crollare i nostri piani, progetti, desideri ecc. E quando questo accade, sprofondiamo nella tristezza o diventiamo aggressivi. Perché? Perché in questi momenti sperimentiamo pienamente la nostra impotenza. Quando le cose non vanno come desideriamo o pianifichiamo, ci dobbiamo confrontare con i nostri

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limiti. Una situazione difficile può aiutarci a crescere e a maturare come persone? Possiamo sfruttare le “situazioni spiacevoli” a nostro vantaggio? Sì. Ma non dobbiamo adagiarci nel dolore e nel rimpianto. Le crisi sono cerniere che aprono e chiudono momenti particolari della nostra vita. Sono soglie che danno il via a un modo nuovo e certamente diverso di percepire noi stessi e la realtà. La cosa decisiva delle crisi è che ci costringono ad aprire gli occhi sulla realtà e a non negarla. In definitiva, le crisi sono quelle situazioni che ci permettono di correggere, modificare, ridefinire, riorientare la nostra vita. Giovanni Battista era un profeta del tempo di “crisi”. Ha interpellato il popolo d’Israele e ha risvegliato molte persone assopite. Nel suo messaggio, la crisi diventa un momento di conversione del cuore, un invito al rinnovamento della mente e del cuore, un’occasione per guardare alla realtà della propria vita e chiedersi se si è veramente autentici. La predicazione di Giovanni ha rivelato l’ambiguità dei cuori. Ha messo in luce il fatto che si può essere obbedienti alla legge e nello stesso tempo ingiusti. Ha rivelato che dietro la maschera della religiosità si nascondono l’avidità e il desiderio di potere. Ha dimostrato che la religione, quando viene pervertita, causa enormi danni alle persone. La predicazione di Giovanni ha smascherato molti lupi travestiti da pecore. Ha condannato duramente coloro che si vantavano di essere religiosi nel tempio o nelle sinagoghe, ma poi si comportavano con egoismo o con cattiveria verso gli altri. Le parole di Giovanni erano una spada affilata che scrutava il cuore della religione del suo tempo e mostrava il bisogno di un rinnovamento interiore. A volte Dio fa sorgere accanto a noi un Giovanni Battista che “interpella” la nostra vita. Si tratta di quelle persone che ci fanno capire che spesso ci adagiamo sulle nostre fantasie e sulle nostre illusioni; di quelle persone che ci interrogano e ci fanno scoprire il bisogno di conversione».

Allegato 3 “Crescere nella disillusione” «Penso che essere delusi da qualcuno non sia poi una cosa così negativa. Anzi, sono propenso a pensare che a volte è bene che ciò accada. Forse è una cosa necessaria – ma non l’unica – per scoprire il mistero che è ogni essere umano e per costruire legami più autentici con gli altri. Possiamo essere disillusi perché qualcuno non ha mantenuto una promessa, ha tradito un’amicizia o non ha detto la verità, ma non mi riferisco qui a tale disillusione, che sappiamo che ferisce profondamente. Intendo parlare invece della disillusione che deriva dalla verifica del proprio “io” che pensa di sapere tutto, di conoscere tutto, di controllare tutto. Il proprio “io” vuole che gli altri

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siano come egli si immagina che siano. Vuole che gli altri si conformino alle proprie esigenze, richieste e necessità. Come Procuste nel mito greco, vuole che tutti abbiano le dimensioni che lui si immagina. Se uno non è conforme alle sue aspettative, lo “allunga” e, se è troppo grande, lo “accorcia”. Quindi, le delusioni che abbiamo non sono sempre causate dall’altro; tante volte dipendono da noi per aver giocato con gli altri, per non aver rispettato l’identità dell’altro, il mistero che è l’altro, per non aver avuto un desiderio sincero di scoprire chi è veramente l’altro. Quindi, la prossima volta che diremo: “Mi hai disilluso”, assicuriamoci di non esserci comportati come Procuste. Mi sento male quando mi rendo conto che qualcuno non ha dimostrato nei miei confronti un vero interesse per conoscermi. Non erano interessati a scoprirmi come persona unica e irripetibile, ma volevano piuttosto che io rispondessi alle loro esigenze personali, al modello di persona che loro avevano immaginato. Tendiamo a proiettare sugli altri ciò che vogliamo che essi siano per noi, dimenticando chi essi sono realmente. Spesso carichiamo gli altri dei nostri desideri, voglie, pretese, sogni, pretendendo di plasmarli secondo i nostri capricci come ‘bambole di cera’, per soddisfare aspettative personali. Quante relazioni o legami abbiamo spezzato perché non abbiamo saputo rinunciare alla fantasia di trasformare l’altro in un oggetto? Traditore non è colui che si pretende non abbia soddisfatto le aspettative egocentriche, ma colui che ha detto a un altro: “Tu sei importante per me”, senza però poi avere un reale interesse a scoprire la bellezza che esiste nell’altro. A volte ci chiediamo se non continuiamo a costruire “amici immaginari”, come facevamo nell’infanzia, e a dialogare con l’immagine che ci costruiamo dell’altro in un monologo infruttuoso. Quanto è difficile costruire legami autentici e duraturi rispettando il mistero che è ogni persona! Chi non è disposto a riconoscere gli altri come persone, difficilmente troverà qualcuno da amare veramente e da cui essere amato veramente. Perché amare è lasciare che l’altro sia sé stesso e, mentre si esprime questo mistero, aiutarci a vicenda affinché possa emergere la versione migliore di noi stessi. Dobbiamo guardarci dall’“io” malvagio che pensa di poter giocare a “fare il dio”, riducendo gli altri per far realizzare i propri desideri di grandezza. Nel mistero dell’uomo scopriamo la bellezza del Creatore».

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INDICE

PASSO 2 IL CUORE UMANO INQUIETO E BISOGNOSO

6

Schema per orientare il passo

5

Quadro di riferimento

5

Dinamica interna del passo

5

Entrata dalla Prospettiva Biblica

8

Entrata dalla Prospettiva della Fede

12

Entrata dalla Prospettiva Spirituale

15

Uno sguardo riconoscente per i doni ricevuti

16

Conoscere i movimenti della nostra interiorità

17

Gli improvvisi cambiamenti che l’anima subisce

19

Entrata tramite le Parole del Papa

22

Entrata dalla Prospettiva della Preghiera

24

Esercizio – Pratica di rilettura

26

Approfondimento del secondo tempo di rilettura

26

Luce e Perdono

26

Pratica di rilettura tematica

27

Paure e attaccamenti

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Risorse

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Allegato 1

29

“L’anima pesante”

29

Allegato 2

29

“San Giovanni Battista e il tempo di ‘crisi’ ”

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Allegato 3

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“Crescere nella disillusione”

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