Passo 3 I IN UN MONDO SCORAGGIATO
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Città del Vaticano - 3 dicembre 2019 (aggiornato a marzo 2023) San Francesco Saverio - 175 anni di Apostolato della Preghiera
CARI AMICI NEL
SIGNORE
Il Cammino del Cuore è l'itinerario spirituale proposto dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa. È il fondamento della nostra missione, una missione di compassione per il mondo. Fa parte del processo avviato da Papa Francesco con l'Evangelii Gaudium, "La Gioia del Vangelo". È il risultato di un lungo processo spinto da P. Adolfo Nicolás, allora Superiore Generale della Compagnia di Gesù. All'inizio, con un'équipe internazionale guidata da padre Claudio Barriga SJ, è stata elaborata una bozza, qui chiamata "quadro di riferimento". Abbiamo presentato questo itinerario a Papa Francesco che lo ha approvato nell'agosto 2014; poi lo abbiamo pubblicato in un documento intitolato: "Un cammino con Gesù, in disponibilità apostolica" (dicembre 2014 - Doc. 1). Questo documento ha presentato un nuovo modo di intendere la missione
dell'Apostolato
della
Preghiera,
in
una
dinamica
di
disponibilità apostolica, come era all'inizio. Il Cammino del Cuore è essenziale per la ri-creazione di questo servizio ecclesiale, oggi Rete Mondiale di Preghiera del Papa. È un approfondimento della tradizione spirituale dell'Apostolato della Preghiera e articola in modo originale gli elementi essenziali di questo tesoro spirituale con la devozione al Cuore di Gesù. Può essere visto come un adattamento degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio. Il Cammino del Cuore è la chiave di lettura della nostra missione. Il commento scritto nel 2017 voleva aiutare le équipe nazionali della Rete di Preghiera del Papa ad approfondire ogni passo del Cammino del Cuore e ad entrare nelle sue dinamiche interne, in modo da poter proporre, con la propria creatività, materiali adatti al proprio contesto locale. Troviamo questo testo in ogni libro sotto il titolo "Dinamica interna del passo".
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Ci siamo presto resi conto che era importante aiutare le équipe nazionali ad approfondire Il Cammino del Cuore, senza il quale sarebbe stato difficile avanzare nel processo di ricreazione di quest'opera pontificia. Pertanto, nel 2018 abbiamo iniziato a scrivere 11 libri con un'équipe internazionale. Questa équipe era coordinata da Bettina Raed, oggi Coordinatrice Internazionale del Cammino del Cuore. È dalla terra di Papa Francesco, con il sostegno di diversi compagni gesuiti e laici, che abbiamo portato avanti questo lavoro. Nel 2020 abbiamo pubblicato questo lavoro in spagnolo, sotto forma di un sito web con 86 video, 86 podcast e diverse centinaia di schede di presentazione: www.caminodelcorazon.church. Qui trovate la traduzione in italiano dei libri del Cammino del Cuore. Una traduzione è sempre limitata e lasciamo a voi il compito di adattarla localmente. Ci auguriamo che questo materiale vi aiuti a proporre questa missione di compassione per il mondo con creatività (ritiri spirituali, sessioni di formazione, incontri del primo venerdì del mese, ecc). È il nostro modo di entrare nella dinamica del Cuore di Gesù.
P. Frederic Fornos SJ Direttore Internazionale
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Schema per orientare il passo Parola chiave: SCOPRIRE. Obiettivo: Contemplare le diverse dinamiche del mondo e la mia partecipazione in esse. Chiavi attitudinali: Collaborare all’interno di un processo di umanizzazione/incarnazione. Cosa ho fatto? Cosa sto facendo? Cosa sono chiamato a fare per Cristo? Ciò che desidero ottenere – frutto: Umanizzazione, uscire da sé. Dinamica interna del passo: Da “complicità inconsapevole” a “umanità che esce da sé”, aprirsi agli altri.
Quadro di riferimento Contempliamo con ammirazione la bellezza del nostro mondo e le grandi imprese realizzate dall’intelligenza umana nel corso della storia. Ma il mondo che abitiamo è anche ferito da dolorose contraddizioni che causano morte e distruzione. La vita e l’amore sono spesso soffocati dalla violenza e dall’egoismo. I piccoli e i vulnerabili subiscono le aggressioni dei potenti, le risorse naturali vengono saccheggiate, c’è tristezza e solitudine. Ci siamo allontanati dalle vie dell’amore di Dio e dal suo progetto per l’umanità.
Dinamica interna del passo Le sfide del nostro mondo sono numerose: economiche, climatiche e sociali, i fondamentalismi religiosi e molte altre. Di fronte a queste sfide, invece di speranza, si incontra spesso il disincanto. L’uomo occidentale sembra essere ossessionato dalla fine del mondo, il suo mondo. Basti pensare ai film che affrontano temi che rivelano i timori di oggi circa il progresso della scienza, la robotica e l’intelligenza artificiale (Terminator, Matrix), biotecnologie o virus e mutazioni (L’esercito delle 12 scimmie, Il giorno del giudizio, World War Z, Il contagio, I figli degli uomini, Prometheus), meteoriti (Armageddon, Deep Impact), o trattano di extraterrestri che vengono a distruggere l’umanità (La guerra dei mondi, Edge of Tomorrow, Oblivion ecc.), altre volte di disastri globali (Divergent, Hunger Games ecc.). La fine del mondo è quasi sempre presentata come un quasi annientamento o distruzione della specie umana. Oggi un’altra fine del mondo sembra più plausibile: il riscaldamento globale (Avatar, L’alba del giorno dopo, 2012), per cui si prevede un cambiamento globale che porterà a conseguenze irreversibili nel corso di una o due generazioni. Anche se fanno meno scalpore, tuttavia ci sono speranze nel nostro mondo, uomini e donne generosi e solidali, lontani dalle telecamere e dalle interviste, ma che ci mostrano la luce. Tutti conosciamo qualche persona di questo genere. Il piano di Dio per l’umanità è un
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progetto di amore «sin dalla creazione del mondo». Non solo lo Spirito del Signore genera l’umanità nel corso dei secoli, ma, come dice san Paolo, «la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi», e noi «gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli [di Dio]» (Rm 8,22-23). Partecipiamo a questa opera di procreazione di tutta la storia, che trasforma non solo l’umanità, ma l’intero cosmo. Con la risurrezione niente può ostacolare l’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo! Questo amore, vulnerabile e fragile, ma più forte perfino della morte, rivela un futuro nuovo per l’umanità. Con il suo Spirito, che è Amore, Dio ci genera a una nuova vita, e ci rende simili a Lui. L’Amore può essere compreso solo guardando e ascoltando Gesù, seguendo la Sua strada fino alla fine. Poniamo la nostra fiducia in Lui.
➔ Per approfondire. Risorse. Allegato 1: “Il disegno di Dio. Crescere nella saggezza”
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Entrata dalla Prospettiva Biblica L’ambiguità che abita il cuore umano si manifesta anche nel mondo che abitiamo. La bellezza del mondo è insondabile, dall’enormità e dalla magnificenza della natura – nei suoi grandi elementi, come i mari, i fiumi, le pianure, le foreste, la diversità degli animali, gli uomini e le donne di etnie, colori e culture diverse, con diversità di doni e talenti – alle espressioni più piccole e apparentemente insignificanti, come gli aromi, i sapori, i piccoli insetti, i fiori con i loro colori, e ci vorrebbero diverse pagine per descrivere la bellezza culturale che l’uomo, con la sua creatività e il suo ingegno, ha diffuso in questo mondo da sempre... La bontà, la gentilezza e la bellezza hanno conquistato la terra in modo diffuso e germinale. La bontà è ovunque. «Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sapienza 13,5). Dio ci ha dato questo mondo da abitare, da godere e da far diventare la nostra casa comune: «Le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo all’intelligenza attraverso le opere da lui compiute» (Romani 1,20). «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buono" (Libro della Genesi cap. 1, 31). Inoltre, appena ci guardiamo intorno, i sintomi della malattia si manifestano ovunque: nel suolo, nell’acqua, nell’aria; numerose specie in estinzione; foreste abbattute senza possibilità di recupero; inondazioni; mari inquinati; centinaia di migliaia di uomini e donne che abitano mondo come indegni sopravvissuti, come se il mondo appartenesse a pochi che hanno deciso che centinaia di migliaia di altri esseri umani debbano vivere come chiedendo il permesso di esistere; malattie incurabili; bambini che non vedono mai la luce; altri che muoiono senza assaporare l’incomparabile bellezza di abitare questo mondo in modo dignitoso e umano. E allo stesso tempo centinaia di migliaia di persone che ogni giorno offrono la loro vita con generosità e senza misurare gli sforzi personali, per continuare ad abbellire il mondo e mitigare i danni e il dolore, anche senza vederne frutti immediati, ma con la fiducia che l’amore e la misericordia avranno l’ultima parola. Non basterebbe un viaggio intorno al mondo attraverso i social network e la comunicazione virtuale per riconoscere questa tavolozza di colori in situazioni in cui la natura in tutte le sue componenti subisce le manifestazioni della vita e della morte, frutto dell’ambiguità che alberga nel cuore degli uomini e delle donne di tutti i tempi. La Bibbia può aiutarci a comprendere questo mistero del male e del bene che coesistono nel mondo, come quando il Signore rimprovera i suoi figli: «Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Geremia 2,13).
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Il mondo subisce le conseguenze dell’illusione dell’essere umano di appropriarsene: una tendenza che affligge tutta l’umanità, ma contro la quale possiamo agire con libertà, sentendoci amministratori di un mondo offerto a tutti gli uomini, e non solo ad alcuni, per farlo crescere, abbellirlo e portarlo alla pienezza. «Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le uova, non prenderai la madre che è con i figli» (Deuteronomio 22,6). «Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno» (Amos 8,12). Ma il desiderio di possesso ha creato scompiglio, e così, in una dinamica perversa, il mondo del dono viene comprato e venduto, alcuni esseri umani se ne sentono proprietari, costringendo gli altri a vivere “pagando” per abitare il mondo. Abbiamo perso di vista l’aiuto che ci dà il mondo e siamo rimasti nel mondo desiderandolo in modo disordinato, reificando tutto – terra, acqua, vegetali, animali, persone –, per poterlo assoggettare, possedere e disporne a nostro piacimento. E in questa dinamica tutti noi subiamo il danno, perché il mondo si snatura e la nostra casa comune viene compromessa e distrutta. «Svegliati! Perché dormi, Signore? Destati, non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?» (Salmo 44,23-24). «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra» (Genesi 6,5). Nel libro del Levitico vediamo che nel popolo d’Israele c’erano già delle norme per l’amministrazione dei beni anche a favore dei più poveri: «Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero» (Levitico 19,9-10). Nella lettera ai Romani, san Paolo ci dice che la creazione, sottoposta alla caducità, soffre e ripone la sua speranza negli uomini e nelle donne, perché possano umanizzare il mondo con la bontà e la bellezza: «L’ardente aspettativa della creazione [...] è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sia liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Romani 8,19-23).
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Siamo chiamati a discernere e a scegliere la via da seguire, a decidere se vogliamo collaborare o meno con il piano di Dio, se vogliamo seguire il cammino della vita o della morte: «Vedi: io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore, tuo Dio, ti benedica nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, oggi io vi dichiaro che certo perirete» (Deuteronomio 30,15-18).
«Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Geremia 2:13) ● «Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno» (Amos 8:12) ● «Svegliati! Perché dormi, Signore? Destati, non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?» (Salmo 44:24-25) ● «Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto» (Giovanni 1:11)
➔ Per approfondire. Risorse. Allegato 3: “Imparare a vivere”.
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Entrata dalla Prospettiva della Fede «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Genesi 1:31) Oggi, in un mondo in cui migliaia di vite sono sconvolte da disastri naturali; in cui milioni di persone vivono in situazioni di guerra; in cui miliardi di persone nascono, vivono e muoiono in condizioni di povertà scandalose, è probabile che ci chiediamo cosa stesse guardando Dio quando, completando la creazione, disse che quanto aveva fatto era cosa molto buona. La risposta è semplice: Dio stava guardando la creazione e noi, esseri umani, creati a sua immagine e somiglianza, invitando l’uomo a «riempire la terra e soggiogarla» (Genesi 1,28). Essendo creati a immagine di Dio, noi siamo esseri liberi e capaci di amare e, nell’uso di questi doni preziosi con cui Dio ci ha creati, diveniamo concreatori del mondo. Teilhard de Chardin affermava che la comparsa dell’uomo aveva significato l’inizio del processo di umanizzazione dell’universo, perché siamo noi esseri umani a dare un senso a ciò che esiste. Nel corso della nostra vita, scopriamo che il libero arbitrio ci pone di fronte a un’alternativa cruciale: non tanto quella di scegliere, sullo stesso piano, tra il bene o il male, quanto quella di rinunciare o meno all’opportunità di una sintesi più ricca di creatività, distacco e amore, che sarebbe una sintesi più umanizzante. In altre parole, si tratta di scegliere se essere più liberi nelle nostre azioni, e quindi collaboratori dell’amore, oppure no. Il male non viene mai scelto in quanto tale; la persona non sceglie mai ciò che percepisce come cattivo, ma lo sceglie come buono, vedendolo nel modo sbagliato. In realtà, scegliere “il male” consiste nel lasciare che le difficili sintesi di maggiore impegno o, come direbbe sant’Ignazio, «l’oblazione di maggiore valore e di maggiore importanza» (ES 97) seguano i soliti cammini di impegno povero, semplicistico, moralmente o mentalmente “a buon mercato”, cioè di tornare indietro nel percorso di umanizzazione dell’universo; o, in altre parole, rifiutare o distorcere le possibilità di sintesi d’amore più ricche. L’amore, forza divina e umanizzante dell’uomo, richiede sempre che venga risolta la tensione fra i percorsi conosciuti e quelli nuovi della creazione, tra caricature dell’amore e un amore creativo, che ricerca un bene sempre più grande. Le guerre che tolgono la vita, la povertà che disumanizza, gli abusi di alcune persone su altre, il consumo eccessivo che reifica le persone, le risposte violente a ciò che non
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ci piace, l’attaccamento alle nostre comodità... non sono altro che il risultato di scelte di persone che, rinunciando a sintesi ricche di amore e di umanità, optano per la propria comodità, cedendo a paure profonde, che rendono difficile vedere la mano di Dio nella creazione. È la nostra mancanza di fede e di fiducia nel Dio che abita in noi che ci porta ad adottare comportamenti abituali, privi di amore e di creatività, con cui, consciamente o inconsciamente, collaboriamo con il “male” in cui non crediamo e che non vogliamo scegliere. Ogni volta che giudichiamo il comportamento degli altri in modo non benevolo ed egocentrico, senza prestare la dovuta attenzione alla nostra responsabilità di concreatori con Dio, rinunciamo, involontariamente, alle nostre scelte di maggiore creatività e amore. Il fatto che ci sia più o meno amore nell’universo dipende dalle nostre scelte quotidiane: ognuno di noi è artefice del mondo in cui viviamo. Dio è presente: per questo possiamo dire oggi, senza timore di sbagliarci, che ciò che è stato creato da Dio è molto buono (cfr Genesi 1,31), perché è una sua manifestazione. Che Dio si manifesti o meno nel concreto quotidiano, attraverso la vita creata, dipende anche dalle nostre scelte.
➔ Per approfondire. Risorse. Allegato 5: “La conquista più grande”.
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Entrata dalla Prospettiva Spirituale Il cuore e il mondo: campi di battaglia Numerosi autori spirituali hanno versato fiumi di inchiostro sulla lotta che la vita spirituale comporta. Ma che cosa vuol dire combattimento spirituale? C’è qualcosa per cui combattere? Chi intende prendere sul serio la propria vita spirituale deve sapere che s’impegna a forgiare un cuore combattivo, capace di lottare contro ogni ostacolo che gli impedisce di lasciarsi amare dal Signore, scoprendo, con il suo aiuto, i trucchi e le astuzie con cui “il nemico della natura umana” vuole impedirgli di avvicinarsi all’amore del Signore. Nella tradizione cristiana, il male ha diverse figure, come “Satana”, che in ebraico significa “avversario”, o “Diabolos”, che in greco significa “colui che divide” o semina discordia. La tradizione biblica e spirituale parla anche del “seduttore del mondo”, del “padre della menzogna”, di “Lucifero”, ossia di colui che si presenta come angelo di luce e, sotto l’apparenza del bene, induce al male. Questa è una vera lotta affinché Dio conquisti i nostri cuori e noi non ci lasciamo ingannare da ciò che si presenta a noi come attraente e apparenza di vita, ma che porta alla morte. È la lotta contro il nemico della natura umana, il diavolo, il padre della menzogna, l’accusatore, il tentatore, che non vuole che ci avviciniamo al Cuore di Gesù. In questo combattimento, è il Signore che prende l’iniziativa e ci aiuta nella lotta, è Lui che ha vinto la morte. Così siamo noi a implorare la sua grazia e la sua assistenza in questa battaglia per riconoscere i segni della vita e quelli della morte, accettando i primi e rifiutando i secondi. Nella lettera agli Efesini, san Paolo ci parla in modo analogico di questo combattimento spirituale e ci dice come prepararci ad esso; le armi di Cristo saranno anche le nostre armi: «Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l'armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. In ogni
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occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi» (Efesini 6:10-18) Fatto sta che nel cuore dell’uomo ci sono forze che si fanno sentire. Sono pensieri, sentimenti, movimenti interiori che vanno in direzioni diverse e talvolta opposte. Queste forze interiori ci spingono e ci tirano, si mescolano e si muovono. E in base ai loro movimenti, ci conducono in una direzione o in un’altra. È importante saperle riconoscere, “sentirle” dentro di noi e capire dove ci stanno portando. Per riconoscere questi pensieri, desideri, sentimenti che si muovono all’interno di noi, dobbiamo imparare a guardarci dentro, a prenderci del tempo per entrare in contatto con tali forze, per osservare come sono, come si muovono, dove ci portano, senza schierarci con loro, ma solo guardandole senza giudicarle o scartarle, almeno in un primo momento. È un percorso di meditazione, di silenzio, di prendersi del tempo, di apprendimento dell’ascolto del sé interiore. Ed è una grazia che dobbiamo chiedere a Dio con insistenza nella preghiera. Il discernimento nel combattimento spirituale è un dono del Signore. Questo percorso non si fa in un batter d’occhio, né si impara da un giorno all’altro: è necessario un processo graduale di sintonia con il nostro mondo interiore e un atteggiamento di supplica, per ricevere questa luce e questa grazia dal Signore. Osservando, impareremo ad accettare le forze che ci abitano e a capire come agiscono, e così saremo in grado di distinguere ciò che ci aiuta a lasciarci amare dal Signore. Per comprendere meglio il discernimento, si veda il paragrafo del passo 2: “Conoscere i movimenti della nostra interiorità”. Se vogliamo veramente che il Signore dimori nel nostro cuore, dobbiamo lasciare che le forze che ci indirizzano a Lui e che Lui sostiene fluiscano dentro di noi. Perciò è necessario che combattiamo nel nostro cuore con le Sue armi. E quali sono le Sue armi? Il brano della lettera di san Paolo agli Efesini ci offre la possibilità di riconoscere i criteri di Dio: ●
La forza proviene dal Signore, che viene in aiuto alla nostra debolezza. Il male è più grande delle nostre forze; perciò dobbiamo appoggiarci al Signore.
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Siamo penetrati da Gesù, e il seme del Regno, con tutto il suo potenziale di giustizia e di compassione, cerca di prevalere in noi.
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La fede che ci salva è credere in Lui, in ciò che ci promette e che vuole stabilire nel nostro cuore. Gesù è il vincitore, e questa ferma convinzione è la nostra sicurezza al di là di ogni lotta.
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La nostra preghiera semplice e fiduciosa, lasciandoci afferrare da Lui, è la nostra arma più potente. Una preghiera che non è altro che quell’incontro disponibile in
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cui cerchiamo solo di essere per il Signore, alla sua presenza, perché ci conquisti e ci afferri. Ogni persona è amata da Dio, è dotata di quelle forze interiori che non scompariranno, perché la vita spirituale è sempre una lotta per scegliere la vita. La vittoria avviene quando permettiamo al Signore di regnare nei nostri cuori. Il mondo è anche un luogo di lotta per queste forze che riconosciamo presenti nel cuore umano e che Gesù vuole conquistare per sé e per il suo Regno. Nessuna trasformazione del mondo è possibile se non inizia prima nel cuore nostro e di ogni persona. La pace e il bene che desideriamo nel mondo devono prima essere accolti in noi, nella nostra lotta interiore, permettendo a Gesù di trasformarci a sua immagine. Nei nostri atteggiamenti e nei nostri comportamenti verso i fratelli e le sorelle, nelle nostre decisioni possiamo essere complici del male che vediamo o collaborare con le forze della vita che si manifestano nel mondo. Imparare a discernere tali forze, a guardare e distinguere dentro di noi ciò che ci spinge ad agire, ci aiuterà, con la grazia del Signore, a scegliere ciò che ci apre alla vita. Per questo possiamo dire che il mondo è il luogo in cui si concretizza la nostra lotta interiore, dove possiamo associarci alla missione di Gesù di compassione per tutti gli uomini o diventare complici delle forze che lo distruggono. Sta a noi decidere. Nell’esortazione apostolica Gaudete et exultate (GE), Papa Francesco ci dà alcune indicazioni riguardo a questo combattimento spirituale: «La vita cristiana è un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita. Non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia. Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male. Gesù stesso festeggia le nostre vittorie. Si rallegrava quando i suoi discepoli riuscivano a progredire nell’annuncio del Vangelo, superando l’opposizione del Maligno, ed esultava: «A vida cristã é uma luta permanente. Requer-se força e coragem para resistir às tentações do demónio e anunciar o Evangelho. Esta luta é magnífica, porque nos permite cantar vitória todas as vezes que o Senhor triunfa na nossa vida. Não se trata apenas de uma luta contra o mundo e a mentalidade mundana, que nos engana, atordoa e torna medíocres, sem empenho e sem alegria. Nem se reduz a
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uma luta contra a própria fragilidade e as próprias inclinações (cada um tem a sua: para a preguiça, a luxúria, a inveja, os ciúmes, etc.). Mas é também uma luta constante contra o demónio, que é o príncipe do mal. O próprio Jesus celebra as nossas vitórias. Alegrava-se quando os seus discípulos conseguiam fazer avançar o anúncio do Evangelho, superando a oposição do Maligno, e exultava: "Eu via Satanás cair do céu como um relâmpago" (Vangelo secondo Luca 10, 18)» (GE 158-159).. «Non pensiamo dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea. Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più esposti. Lui non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi. E così, mentre riduciamo le difese, lui ne approfitta per distruggere la nostra vita, le nostre famiglie e le nostre comunità, perché «come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1 Pt 5,8). La Parola di Dio ci invita esplicitamente a “resistere alle insidie del diavolo” (Efesini 6,11) e a fermare “tutte le frecce infuocate del maligno” (Efesini 6,16). Non sono parole poetiche, perché anche il nostro cammino verso la santità è una lotta costante. Chi non voglia riconoscerlo si vedrà esposto al fallimento o alla mediocrità. Per il combattimento abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà: la fede che si esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la celebrazione della Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l’impegno missionario. Se ci trascuriamo ci sedurranno facilmente le false promesse del male, perché, come diceva il santo sacerdote Brochero: “Che importa che Lucifero prometta di liberarvi e anzi vi getti in mezzo a tutti i suoi beni, se sono beni ingannevoli, se sono beni avvelenati?”. In questo cammino, lo sviluppo del bene, la maturazione spirituale e la crescita dell’amore sono il miglior contrappeso nei confronti del male. Nessuno resiste se sceglie di indugiare in un punto morto, se si accontenta di poco, se smette di sognare di offrire al Signore una dedizione più bella. Peggio ancora se cade in un senso di sconfitta, perché «chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. […] Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male» (GE 161-163). «Come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo è il discernimento, che non richiede solo una buona capacità di ragionare e di senso comune, è anche un dono che bisogna chiedere. Se lo chiediamo con fiducia allo Spirito Santo, e allo stesso tempo ci sforziamo di coltivarlo con la preghiera, la riflessione, la lettura e il buon consiglio, sicuramente potremo crescere in questa capacità spirituale» (GE166).
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Riassumendo: Cos’è il discernimento spirituale? È l’arte di interpretare in quale direzione ci spingono i desideri del cuore, senza lasciarsi sedurre da ciò che ci porta dove non avremmo mai voluto andare. Discernimento è il termine generico per indicare la pratica di prendere decisioni nella nostra situazione di vita concreta per cercare la volontà di Dio. Sei cose da sapere sul discernimento spirituale: 1.
Ci sono due forze all’opera nei nostri sentimenti che dobbiamo riconoscere: lo spirito buono e lo spirito cattivo.
2. Dobbiamo riconoscere dove ci portano i movimenti (sentimenti, pensieri). 3. Ognuna di queste forze si muove nella propria direzione: alcune mozioni ci aprono alla vita e altre ci chiudono e ci conducono nella via della morte. 4. Le influenze esterne trovano connivenza in noi, e le riconosciamo come opera dello spirito buono o dello spirito cattivo da “dove ci conducono”. 5. Lo spirito buono ci spinge alla libertà e all’amore di Dio e dei fratelli, mentre lo spirito cattivo ci spinge alla schiavitù. 6. Per scegliere bene, è indispensabile imparare a distinguere queste forze e avere la libertà interiore. ➔ Per approfondire. Risorse. Allegato 7: “Parole del Papa: Attenzione ai ‘demoni educati’, che conducono allo spirito di mondanità”.
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Entrata tramite le Parole del Papa «L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente. Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità. Questo cambiamento epocale è stato causato dai balzi enormi che, per qualità, quantità, velocità e accumulazione, si verificano nel progresso scientifico, nelle innovazioni tecnologiche e nelle loro rapide applicazioni in diversi ambiti della natura e della vita. Siamo nell’era della conoscenza e dell’informazione, fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo. Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in sé stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”» (Evangelii gaudium, nn. 52-53). ➔ Para aprofundar. Recursos. Anexo seis: «Palavras do Papa. Alguns desafios do mundo atual»
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Entrata dalla Prospettiva della Preghiera Ammirare
«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Vangelo secondo Luca 1:46-48) Ammirare è un’azione molto quotidiana. È un atteggiamento semplice che è nascosto agli occhi degli altri, perché avviene dentro di noi. Alcuni dicono che è la qualità dei santi che hanno gustato le cose, come Maria, madre di Gesù, e le hanno conservate nel loro cuore. Infatti, la “sapienza” – termine che deriva dal verbo latino sapĕre, “gustare” – si riferisce a colui che assapora le cose dentro di sé. Chi ammira e gusta gli eventi della propria vita interiormente può oltrepassare il confine della conoscenza intellettuale per unirsi misticamente a Dio. Da che cosa dipende l’ammirazione? Dalla capacità di guardare gli eventi della nostra vita con la volontà interiore di essere grati e di imparare. È una ricettività attiva, che ci permette di capire come i fatti, gli eventi e le situazioni che ci circondano risuonino dentro di noi. Lo stupore fa sì che la vita quotidiana riecheggi in noi sotto una nuova luce, per renderci consapevoli di come ciò che accade intorno a noi abbia un impatto su di noi e di come ci mobiliti. La “nuova intelligenza” che emerge ci aiuta a capire come agiamo in relazione agli eventi che si verificano nella nostra vita quotidiana. Rompe, in un certo senso, il guscio della realtà che era nascosto ai nostri occhi, per rivelarci il grado di coinvolgimento che abbiamo in ciò che vediamo e osserviamo. Intorno a noi ci sono tante dinamiche di vita quante di morte. Ci sono tante persone piene di Spirito di Dio, che desiderano collaborare al progetto del Regno, quante sono quelle che sembrano cercare la degradazione degli esseri umani e la loro distruzione. Qual è la nostra posizione di fronte a tale realtà? L’amore che si esprime nel mondo ci spinge a fare il bene, ci attira e ci chiama, ma ci sono anche altre forze che possono assoggettare il nostro cuore e orientarci verso la morte. A atitude de admiração ajuda-nos a situar-nos numa das grandes batalhas da nossa vida: viver segundo o projeto de Deus ou morrer mediante a degradação do ser humano. É uma batalha espiritual, aquela que temos de travar no mundo. O mundo padece das mesmas doenças que o coração humano, visto serem as nossas desordens interiores que fazem adoecer o mundo. Por exemplo, uma das forças mais destrutivas e mortíferas para o ser humano e o reino de Deus é a inveja.
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Esta doença da alma, como é conhecida na tradição monástica, constitui uma forma degenerada da admiração. Diz Jesus no Evangelho: , «A lâmpada do corpo são os olhos; se os teus olhos estiverem sãos, todo o teu corpo andará iluminado. Se, porém, os teus olhos estiverem doentes, todo o teu corpo andará em trevas. Portanto, se a luz que há em ti são trevas, quão grandes serão essas trevas!» (Vangelo secondo Matteo cap. 6, 22-23). La persona invidiosa soffre di una malattia che oscura la sua anima. Come la persona che sa ammirare si stupisce della grandezza, della maestosità, della bellezza di ciò che contempla, così l’invidioso ne sente il fascino, ma come qualcosa che gli pesa sulle spalle. L’invidioso non può andare oltre ciò che vede, perché in realtà vede solo sé stesso e non ciò che è lì per essere ammirato e che lui non deve possedere. L’invidioso è un egocentrico che guarda il mondo dalla sua esclusiva prospettiva. Non crede che esista qualcosa di buono al di fuori di sé. L’invidia è un sentimento così amaro per l’anima che le fa perdere il gusto della vita. «L’invidia è un sentimento che purtroppo nasce già nell’infanzia, soprattutto nei rapporti familiari, e in particolare là dove ci sono fratelli o sorelle. La Bibbia ce ne dà numerosi esempi: Caino invidia Abele (cfr. Libro della Genesi cap. 4,3-5), i figli di Giacobbe invidiano il fratello Giuseppe (cfr. Libro della Genesi cap. 37,5-8)... L’invidioso è colui che si sente escluso da un bene che l’altro che gli sta accanto possiede; il bene dell’altro è sofferto come male proprio! Chi è preso da questa patologia guarda con occhio cattivo (il termine “invidia” deriva dal verbo latino da in-vidēre) la felicità, il bene, la virtù dell’altro, fino a sfigurarne l’immagine e la realtà, fino a concentrare tutti i propri desideri su ciò che gli altri possiedono. In definitiva, che cos’è l’invidia se non un contravvenire al comandamento: «Non desiderare la roba d’altri» (cfr. Libro dell'Esodo cap. 20,17; Libro del Deuteronomio cap. 5,21)? Oggi i sociologi dicono che l’invidia è un male sociale assai diffuso, soprattutto nei confronti di chi è più ricco, di chi guadagna di più» (E. Bianchi, Una lotta per la vita, San Paolo, Cinisello Balsamo [Mi], 2012, 164). Un’altra dinamica del mondo che ammala e degrada l’essere umano e il progetto del Regno di Dio è la “tristezza”. «La tristezza – definita da Evagrio Pontico “verme del cuore” – si insinua nel cuore dell’uomo e lentamente corrode tutta la sua vita, come fa la tignola con il vestito (cfr. Libro dei Proverbi cap. 25,20): se non viene combattuta, essa finisce per abitarci come un inquilino stabile e sempre più difficile da scacciare. Sì, la tristezza è il non-piacere per eccellenza: essa “spoglia da ogni piacere e fa inaridire il cuore”; la tristezza è alla radice della depressione nervosa, perché conduce al sentimento del non-senso della vita, a uno stato di letargo in cui la vita appare senza luce, senza speranza: in una parola, invivibile. È significativo che due salmi presentino come ritornello il versetto: “Perché sei triste, anima mia, perché sei turbata?” (Dal
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Libro dei Salmi 42,6.12; 43,5). Perché la tristezza permane come un’ombra nel nostro profondo, come un brusio che non cessa di tormentarci? Di volta in volta sono le sofferenze
ingiustamente
patite,
le
contraddizioni
reali
alla nostra vita, la
constatazione della frustrazione dei nostri desideri, anche quelli più nobili e giusti, a generare in noi la tristezza» (ivi, 158-159). Come possiamo combattere la tristezza? La vita e la realtà ci contraddicono certamente in molti modi, ma guai a chi crede di poter vivere in un mondo dorato e privo di frustrazioni! Guai a chi si nutre di nostalgie immaginarie o di aspettative impossibili! D’altra parte, se impariamo ad accettare le nostre contraddizioni quotidiane, se, nonostante le nostre sofferenze, sappiamo accettare e curare le nostre ferite, allora saremo anche in grado di aprirci alla consolazione che viene da Dio e dalla comunione con i nostri fratelli e sorelle. «Occorre inoltre ricordare che per i cristiani la gioia non è il frutto di una disposizione interiore di tipo psichico o emotivo, ma è coniugata all’imperativo, è un comando apostolico: “Rallegratevi, siate nella gioia!” (chairete: Seconda Lettera ai Corinzi 13,11; Lettera ai Filippesi cap. 2,18; 3,1; 4,4; Prima Lettera ai Tessalonicesi cap. 5,16; cfr. Lettera ai Romani cap. 12, 12.15; Prima Lettera ai Corinzi cap. 12,26). Essa non è dunque un vago e spontaneo sentimento, ma uno stato da ricercare con sforzo e impegno. È gioia “nel Signore” (Filippesi 4,4.10), in quanto gioia del Signore innanzitutto, del Dio che si rallegra e comunica la sua gioia ai suoi amati; e nel cristiano tale gioia nasce dall’essere “in Cristo”, dal sapere che Cristo vive in lui (cfr. Lettera ai Galati cap. 2,20). [...] Sì, occorre obbedire risolutamente al comando della gioia ed esercitarsi a essa vivendo in pienezza il momento presente, così da sperimentare che né il passato né il futuro possono determinarci, ma solo l’oggi di Dio. Davvero il cristiano dovrebbe aprire ogni sua giornata con le parole del salmista: “Ascoltate oggi la voce del Signore!” (cfr. Salmi 95,7), disponendosi nel contempo a ringraziare Dio per essere stato creato» (ivi, 161-162). «Esiste un antidoto all’invidia e alla gelosia? Sì, la gratitudine, ossia il saper rendere grazie, il saper stupirsi del bene, da chiunque venga compiuto, il saper vedere con occhio buono tutto ciò che fiorisce intorno a noi... Solo chi sa riconoscere ed essere grato per il bene fatto dagli altri è capace di “fare il bene”, di purificare il proprio operare, di cantare il proprio ringraziamento a Dio per tutto ciò che opera nella storia e nella vita di ogni uomo. Ha ucciso il sentimento di invidia in sé chi sa dire: “Ciò che ho potuto fare di bene, l’ho fatto grazie agli altri che sono con me: senza questi miei fratelli, senza questi miei amati, non avrei potuto fare quel poco di bene che ho operato”» (ivi, 166). L’“avidità” è un’altra delle malattie dell’anima che affliggono la vita delle persone e distruggono il progetto di amore per gli altri, e il consumismo ne è una delle modalità.
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L’avidità è un’affezione che trasforma una persona in un essere avido di ottenere cose e di accumulare quanto più può. È un essere che vive “soffocato” ed è insensibile ai bisogni degli altri. Non ha la capacità di assaporare o godere di ciò che riceve, è sempre alla ricerca di “qualcosa in più da possedere”. Vive nel timore che ciò che accumula gli “sfugga” e che le sue bisacce si svuotino, per cui non riesce a condividere ciò che ha. L’avarizia è una malattia dell’anima che si manifesta nella brama di possedere beni materiali, ma è presente anche nel desiderio di acquisire “beni spirituali” con l’unico obiettivo di ottenere prestigio agli occhi degli altri. L’avaro “spirituale” vive cercando di essere considerato un santo. Pensa di essere una persona forte, ma in realtà è molto fragile e vulnerabile, e vuole fare affidamento solo su ciò che ha. L’uomo e la donna materialisti avviliscono il mondo. Rovinano la cosa più bella che hanno. Il mondo è il luogo creato da Dio per sperimentare, assaporare, godere con gli altri delle cose buone. È un luogo dove imparare cosa significa “amare”. Chi teme di perdere ciò che possiede ha deciso di dare alle cose un potere su di sé. È uno schiavo dei suoi beni, un essere posseduto dalle cose. L’avaro “spirituale” può essere esteriormente austero, ma in realtà esige di essere considerato “speciale”. Ritiene di dover essere trattato in modo diverso dagli altri a causa delle ricchezze spirituali che custodisce in sé. Si affida alle lusinghe e alla considerazione degli altri per sentirsi sicuro. L’avidità, materiale o spirituale, è una delle forme più comuni di schiavitù. L’avaro è un uomo miserabile, sotto la maschera della ricchezza. Un uomo ricco materialmente, ma povero spiritualmente. È una persona che si percepisce fragile e che ha bisogno di affidarsi alla forza dei suoi beni. Ha un’immagine corrosa e offuscata di sé, e così nasconde la sua bruttezza dietro le sue conquiste. Queste tre malattie, delle nove che esistono nella tradizione monastica secondo il padre del deserto Evagrio Pontico, sono quelle che danneggiano le nostre relazioni, i legami, gli ambienti e, in definitiva, il mondo. Riconoscerle in noi stessi e nel mondo ci aiuta a decidere di respingerle e a scegliere le dinamiche di vita, che danno la vera letizia e gioia spirituale, che è procurata da Dio e dai suoi angeli" [Libro degli Esercizi Spirituali n. 329]. ➔ Per approfondire. Risorse. Allegato 4: “Imparare a disimparare” Allegato 2: “Imparare la saggezza”
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Esercizio – Pratica della rilettura Approfondimento del terzo momento di rilettura Contemplare il mondo – Pensare al domani Negli Esercizi Spirituali, sant’Ignazio di Loyola ci invita a contemplare «come le tre divine Persone osservano tutta la superficie o rotondità di tutto mondo piena di uomini, e come, vedendo che tutti scendevano all’inferno, decidono nella loro eternità che la seconda Persona si faccia uomo, per salvare il genere umano; e così, giunta la pienezza dei tempi, inviano l’angelo san Gabriele al nostra Signora» (ES 102)..
«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Vangelo secondo Giovanni 1, 14). Anche noi siamo invitati a contemplare il nostro mondo con le sue sfide, gioie e sofferenze, paure e speranze, e a presentarlo nelle nostre preghiere. Davanti alla croce, come faceva sant’Ignazio, possiamo chiederci e meditare: «Cosa ho fatto per Cristo, cosa faccio per Cristo, cosa devo fare per Cristo?» (ES 53).
Pratica della rilettura tematica Ricerca, desideri e futuro Vi proponiamo un esercizio di rilettura che può aiutare il vostro atteggiamento di ricerca e le vostre buone intenzioni. Trovate un luogo tranquillo, rilassatevi e respirate lentamente. Lasciate che il Signore vi guardi, siete alla sua presenza. Ringraziatelo per avervi accompagnato in questo momento di preghiera. C’è qualcosa per cui volete ringraziarlo in modo particolare? Guardate il vostro cuore e lasciate che in esso risuoni una domanda di Gesù: “Che cosa cercate?” (Vangelo secondo Giovanni 1,38; cfr. Vangelo secondo Giovanni 20,15). Ponete questa domanda alle persone, ai luoghi, alle attività che riempiono la vostra giornata. Lasciate che risuoni nel vostro cuore.
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E poi parlate con il Signore dei vostri desideri e della vostra famiglia, dei vostri amici, dei vostri studi, del vostro lavoro, dei vostri divertimenti. Fate spazio al Signore e lasciate che Lui vi dica una parola su ciò che avete portato alla sua presenza. Alla luce di questa rilettura, mettete nelle mani del Signore il domani, con le decisioni che volete prendere per vivere più secondo il suo spirito. Ringraziate, prendete nota di ciò che è rimasto nel vostro cuore e concludete la preghiera. ➔ Per approfondire. Risorse. Allegato 8: “Come fare l’‘esame’ (pausa)”.
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Risorse Allegato 1 “Il disegno di Dio. Crescere nella saggezza” «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo, che un uomo trovò e nascose di nuovo; e per la gioia che ne provava, andò a vendere tutto quello che aveva e comprò quel campo. Il regno dei cieli è anche come un mercante che cerca perle pregiate e, trovando una perla di grande valore, va a vendere tutto quello che ha e la compra. Il regno dei cieli è anche come una rete gettata in mare, che raccoglie pesci di ogni genere. Quando fu piena, la tirarono a riva; si sedettero e raccolsero i pesci buoni in ceste, ma scacciarono quelli cattivi. Così sarà alla fine del mondo; gli angeli usciranno e sceglieranno i malvagi tra i giusti e li getteranno nella fornace di fuoco; ci sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose? “Sì”, gli risposero. Allora Gesù disse loro: “Perciò ogni scriba che è diventato discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie”» (Vangelo secondo Matteo 13:44-52). «Quando ero piccolo, mi piaceva sedermi ai piedi di mia madre e guardarla mentre ricamava. Un giorno le dissi che non capivo i suoi lavori di cucito, pieni di fili colorati che apparivano affastellati in modo disordinato. Lei mi invitò a sedermi sulle sue ginocchia, e mi disse: “Figlio mio, dal basso questo sembrerebbe confuso e disordinato, ma non ti sei accorto che sopra c’è un progetto?”. Molte volte, nel corso degli anni, ho alzato gli occhi al cielo, e ho detto: “Padre, cosa stai facendo?”. Egli mi ha risposto: “Sto ricamando la tua vita. Un giorno ti porterò in cielo, ti farò sedere sulle mie ginocchia e vedrai il piano da qui. Allora capirai”».
Allegato 2 “Imparare la saggezza” Viviamo in un’epoca in cui sappiamo sempre di più su tutte le cose. Ci sono più specialisti in tutte le materie, tanto che possiamo conoscere un numero ingente di cose, ma non in modo approfondito. Come mai prima d’ora, abbiamo molte più informazioni, più conoscenza, più dati. Viviamo in una cultura con maggiori informazioni disponibili, ma con poca profondità di riflessione. I nostri giudizi e
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ragionamenti sono superficiali. Riflettiamo poco ed esprimiamo le nostre opinioni molto rapidamente e su tutte le cose. In questo contesto, c’è una cosa che non dobbiamo dimenticare: la conoscenza contenuta nei rapporti, nei dati, nelle analisi che facciamo è strettamente intellettuale. Si tratta di dati che si possono trasmettere e che insegniamo nelle nostre scuole e università. Tuttavia, le informazioni non rendono una persona saggia. Noi, come tutti gli esseri umani, dobbiamo imparare dalle nostre esperienze per essere persone saggi. Cosa rende un uomo saggio? «La saggezza – dice José Antonio García-Monge – è lucidità e forza di vivere la realtà; di essere sé stessi, di sapersi relazionare, di capire e, soprattutto, di comprendere sé stessi in modo autentico e profondo. Una fonte di saggezza molto importante è l’esperienza stessa: se sappiamo ascoltarla, se impariamo anche dai nostri stessi errori, essa sarà per noi una sorgente luminosa di saggezza. La saggezza ci illumina, spingendoci a un cambiamento coerente nel nostro modo di vita, ma implica una conversione verso l’Essere. La saggezza è luce per imparare a vedere e a contemplare. In breve, è imparare a vivere». Come può nascere in noi la saggezza, se non può essere insegnata? Come possiamo “accendere” la saggezza per “apprenderla”? Per lo più, a questo punto della nostra vita, abbiamo al nostro attivo tanti successi quanti fallimenti, tanti successi quanti errori, e tanti obiettivi raggiunti quanti percorsi abbandonati. Quanto abbiamo riflettuto sui nostri successi e quanto sui nostri fallimenti e sui nostri errori?
Allegato 3 “Imparare a vivere” La realtà in cui viviamo è complessa, e a volte questa complessità si accresce, quando si connette con la nostra storia o con la nostra esperienza di vita, il che la rende ancora più difficile. Vivere in modo cristiano significa mettersi in cammino con tutto ciò che siamo, aprendo spazi nella nostra vita per riconciliare la nostra debole umanità con la grazia che Dio sempre ci dona. Solo se smettiamo di aspettare che prima si siano prima realizzate tutte le condizioni possibili, inizieremo a camminare, altrimenti resteremo rassegnati, aspettando che “qualche angelo scenda dal cielo” per cambiare la nostra vita. Dobbiamo imparare a vivere con tutto ciò che è in noi, con le sue ferite e i suoi
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fallimenti. Non importa se la vostra vita è stata dura come la pietra, fredda come il marmo o fragile come l’argilla, non importa cosa scegliamo di farne. Avere a cuore la propria vita significa credere che Dio realizza di nuovo la sua incarnazione in noi, quella congiunzione degli opposti in una sola persona. Dobbiamo liberarci dalle illusioni che noi stessi ci creiamo su come la vita “dovrebbe essere”. L’autostima passa attraverso il riconoscimento della nostra dignità di esseri umani creati a immagine del Figlio amato di Dio. È un comandamento di Gesù quello di amare il prossimo come sé stessi, e ciò significa riconciliarsi con la propria storia di vita.
Allegato 4 “Imparare a disimparare” Il cambiamento o la maturità, in qualsiasi dimensione avvenga, non consiste solo nell’acquisizione di nuove conoscenze, informazioni o idee, ma nella sostituzione del modello di apprendimento, fatto di esperienze, cognitive, affettive o vitali, con dimensioni personali adeguate alla nuova e più profonda percezione della realtà. Abbiamo bisogno, come Gesù disse a Nicodemo, di nascere dall’alto: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Vangelo di Giovanni cap. 3,5) Tutti nascono da genitori umani, ma i figli di Dio nascono solo dallo Spirito. Questa dinamica di cambiamento nell’apprendimento dà origine a conflitti tra il vecchio e il nuovo: conflitti che non sono generati solo dalla moda (che può apparire banale, frivola, del tipo di «usa e getta»), ma dall’adattamento alla nuova realtà. È necessario imparare a disimparare, se vogliamo adattarci, evolvere, crescere e aprirci adeguatamente alla realtà. Ci sono verità passeggere, utili per un tratto della nostra vita, verità “in scatole” (di cui dimentichiamo di guardare la data di scadenza), alle quali, per preservare il dinamismo della “verità”, dobbiamo imparare a dire addio, se vogliamo rimanere profondamente fedeli alla realtà in tutte le sue dimensioni. Dire addio significa disimparare: in altre parole, staccarsi dal modello di conoscenza che avevamo, ossia dai i nostri pensieri e desideri, per accogliere la voce e la Parola di Dio, che ci rivela un approccio diverso alla nostra vita, un approccio che prima non avevamo considerato. Questo atteggiamento di apertura è faticoso, e non deve mai portarci a una relativizzazione universale. Una volta imparavamo per vivere, oggi viviamo per imparare, mentre ciò che impariamo ci fa vivere.
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Ci sono persone che trattengono tutto e trovano estremamente difficile liberarsi di qualcosa che poi non useranno mai. Altri si sbarazzano rapidamente di quasi tutto: usano e poi gettano via. La stessa cosa accade con il nostro apprendimento: con idee, comportamenti, emozioni, informazioni, interpretazioni ecc. Spesso è un segno di immaturità liquidare qualcosa come inutile, perché la moda o la fretta ci chiedono di farlo. L’importante è conoscere, valutare, distinguere e discernere ciò che non è più valido e dare spazio al flusso della vita vissuta responsabilmente.
Allegato 5 “La conquista più grande” Qualche tempo fa, mentre facevo una bella lettura, mi sono imbattuto in un proverbio latino che dice: “Chi vuol un cavallo senza difetti, vada a piedi”. L’ho trovato meraviglioso. Ci sono persone che credono che il cammino della vita spirituale consista nell’eliminare i propri difetti, nell’estirpare la zizzania o nell’essere perfetti: non nella misericordia e nella compassione che sono proprie di Dio, ma nel sentirsi migliori degli altri e nel rimproverare con “autorità” i difetti degli altri. Dobbiamo riconoscere che nessuno nasce senza difetti e che la vita spirituale non consiste nell’eliminarli o nel prendersela con i vizi, ma nel coltivare l’amore, la misericordia, la compassione: in definitiva, nel rivestirci dei sentimenti di Gesù, perché egli ci dice di cercare anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e poi tutto il resto ci sarà dato in aggiunta (cfr. Vangelo secondo Matteo 6,33). Dobbiamo essere umili e ragionevoli, riconoscere che possiamo essere capaci di eliminare alcuni difetti dalla nostra vita e dal nostro modo di procedere, ma che difficilmente riusciremo a eliminarli completamente dalla nostra anima, o almeno non ci riusciremo se ne saremo ossessionati. Purtroppo ci sono coloro che credono che la santità sia il risultato della conquista di virtù personali e di azioni eroiche, indipendentemente dall’amore e dal servizio ai più poveri e bisognosi. Essi si sforzano di essere migliori, ma non escono da sé stessi. Vivono centrati su sé stessi e ruotano intorno alle loro colpe e ai loro peccati, facendo delle loro miserie il fulcro della loro vita spirituale. Ma il centro della vita spirituale non dev’essere costituito dalle nostre colpe, bensì da Gesù Cristo. Ci sono anche quelli che si rifugiano e “si schermano” in bei ragionamenti, per coprire la loro mediocrità e la mancanza di autocritica, tanto necessaria per una sana
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maturità. Chi procede in questo modo acquisisce una maggiore conoscenza delle proprie miserie, ma non cresce né umanamente né spiritualmente. Le nostre mancanze, i nostri limiti, le nostre debolezze sono solo minacce, quando ci impediscono di coltivare l’amore. Non concentratevi su di loro. Concentrate la vostra vita su Gesù e ricordate ciò che il Signore disse a san Paolo che gli aveva chiesto di liberarlo dalla debolezza che lo affliggeva:: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza», e ciò che poi disse l’Apostolo: «Mi vanterò delle mie debolezze, perché dimoiri in me la potenza di Cristo» (2 Cor 12, 9). La grande sfida della nostra vita spirituale è quella di appropriarci dei sentimenti di Gesù, di accettare e fare nostro il suo stile di vita. È riconoscere che ciò che ci rende veramente esseri umani ed eredi del regno è la capacità di amare nel suo duplice aspetto – amare noi stessi e gli altri –, che è il risultato dell’amare Dio «con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente» (Vangelo secondo Luca cap. 10, 27).
Allegato 6 “Parole del Papa: Alcune sfide del mondo attuale” «In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza.
Quasi
senza
accorgercene,
diventiamo
incapaci
di provare
compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo. Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è
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una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo. Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta. Dietro questo atteggiamento si nascondono il rifiuto dell’etica e il rifiuto di Dio. All’etica si guarda di solito con un certo disprezzo beffardo. La si considera controproducente, troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere. La si avverte come una minaccia, poiché condanna la manipolazione e la degradazione della persona. In definitiva, l’etica rimanda a un Dio che attende una risposta impegnativa, che si pone al di fuori delle categorie del mercato. Per queste, se assolutizzate, Dio è incontrollabile, non manipolabile, persino pericoloso, in quanto chiama l’essere umano alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da qualunque tipo di schiavitù. L’etica – un’etica non ideologizzata – consente di creare un equilibrio e un ordine sociale più umano. In tal senso, esorto gli esperti finanziari e i governanti dei vari Paesi a considerare le parole di un saggio dell’antichità: «Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro». Una riforma finanziaria che non ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici, che esorto ad affrontare questa sfida con determinazione e con lungimiranza, senza ignorare, naturalmente, la specificità di ogni contesto. Il denaro deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono aiutare i poveri,
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rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano. Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci si può attendere un futuro migliore. Siamo lontani dalla cosiddetta “fine della storia”, giacché le condizioni di uno sviluppo sostenibile e pacifico non sono ancora adeguatamente impiantate e realizzate. I meccanismi dell’economia attuale promuovono un’esasperazione del consumo, ma risulta che il consumismo sfrenato, unito all’inequità, danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal modo la disparità sociale genera prima o poi una violenza che la corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti. Alcuni semplicemente si compiacciono incolpando i poveri e i paesi poveri dei propri mali, con indebite generalizzazioni, e pretendono di trovare la soluzione in una “educazione” che li tranquillizzi e li trasformi in esseri addomesticati e inoffensivi. Questo diventa ancora più irritante se gli esclusi vedono crescere questo cancro sociale che è la corruzione profondamente radicata in molti Paesi – nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni – qualunque sia l’ideologia politica dei governanti» (Papa Francesco, Evangelii gaudium, nn. 54-60). «Il mondo è lacerato dalle guerre e dalla violenza, o ferito da un diffuso individualismo che divide gli esseri umani e li pone l’uno contro l’altro ad inseguire il proprio benessere. In vari Paesi risorgono conflitti e vecchie divisioni che si credevano in parte superate. Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere
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specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13,35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù al Padre: “Siano una sola cosa … in noi … perché il mondo creda” (Giovanni 17,21). Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti. A coloro che sono feriti da antiche divisioni risulta difficile accettare che li esortiamo al perdono e alla riconciliazione, perché pensano che ignoriamo il loro dolore o pretendiamo di far perdere loro memoria e ideali. Ma se vedono la testimonianza di comunità autenticamente fraterne e riconciliate, questa è sempre una luce che attrae. Perciò mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti? Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere la legge dell’amore. Che buona cosa è avere questa legge! Quanto ci fa bene amarci gli uni gli altri al di là di tutto! Sì, al di là di tutto! A ciascuno di noi è diretta l’esortazione paolina: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Romani 12,21). E ancora: “Non stanchiamoci di fare il bene” (Galati 6,9). Tutti abbiamo simpatie ed antipatie, e forse proprio in questo momento siamo arrabbiati con qualcuno. Diciamo almeno al Signore: “Signore, sono arrabbiato con questo, con quella. Ti prego per lui e per lei”. Pregare per la persona con cui siamo irritati è un bel passo verso l’amore, ed è un atto di evangelizzazione. Facciamolo oggi! Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno!» (Papa Francesco, Evangelii gaudium, nn. 99-101).
Allegato 7 “Parole del Papa: Attenzione ai ‘demoni educati’, che conducono allo spirito di mondanità” Dalla strategia del diavolo, che fa «l’educato» e suona persino il campanello di casa presentandosi come amico, Papa Francesco ha messo in guardia celebrando la messa venerdì 12 ottobre a Santa Marta. Preghiera, esame di coscienza, oltre a «vigilanza e calma» come insegnava Isaia, sono le risposte giuste per smascherare le astuzie del diavolo e non finire «sulla strada della mediocrità e della mondanità».
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«Il demonio, quando prende possesso del cuore di una persona, rimane lì, come a casa sua e non vuole uscirne» ha affermato il Pontefice. «Per questo tante volte quando Gesù scaccia i demoni, questi cercano di rovinare la persona, di fare del male, anche fisicamente» ha detto, suggerendo di pensare «a quel ragazzino, che il papà presenta a Gesù perché sia guarito, cioè perché il demonio sia scacciato via. E quando esce il demonio lo lascia come morto sul pavimento. Non vuole uscire da noi quando è dentro. Non vuole uscire». «Gesù tante volte nei Vangeli ha scacciato i demoni, che erano i suoi veri nemici e nemici nostri» ha fatto presente Francesco. «La lotta fra il bene e il male – ha spiegato – a volte sembra troppo astratta: la vera lotta è la prima lotta fra Dio e il serpente antico, fra Gesù e il diavolo». E «questa lotta si fa dentro di noi: ognuno di noi è in lotta, forse a nostra insaputa, ma siamo in lotta». Riferendosi al passo evangelico di Luca (11,15-26) proposto dalla liturgia, il Papa ha fatto notare appunto che «Gesù scaccia questo demonio», ma «sempre ci sono le cattive lingue che incominciano a dire: “ma questo è un guaritore, anche lui ha un patto segreto con il demonio; questa è una farsa: lui li scaccia via col permesso del capo loro, cioè di Beelzebùl”». Proprio così, ha ricordato il Papa, «incomincia questo passo del Vangelo, con una discussione fra Gesù e questa gente». Ma «lasciamo da parte questa discussione — ha proseguito il Pontefice — e andiamo alla fine del passo evangelico. Cosa succede? Alla fine il demonio è scacciato via e se ne va. E quell’uomo, quella donna, quel ragazzo, quella ragazza, diventa libera, liberata, felice, guarito, ma guarito proprio nella ferita più profonda dell’anima». A questo punto però «che cosa fa il demonio? Alcuni fanno strage; pensiamo a quelli che si chiamavano “legione”, perché erano tanti, e quando Gesù li scaccia via gli chiedono di andare dai porci e lì fanno una strage di maiali, perché il compito del demonio è distruggere. Questa è la sua vocazione: distruggere l’opera di Dio». In realtà, ha rilanciato Francesco, «nessuno può dire “no, io conosco un diavolo che non si comporta così”» perché «l’essenza del demonio è distruggere». Eppure «noi siamo come bambini, tante volte ci succhiamo il dito e crediamo: “no, ma non è così, sono invenzioni dei preti, no, non è vero”». «Nel Vangelo il diavolo distrugge – ha spiegato il Pontefice – e quando non può distruggere faccia a faccia, perché di fronte c’è una forza di Dio che difende la persona, il demonio è più furbo di una volpe, è astuto, e cerca il modo di riprendere possesso di quella casa, di quell’anima, di quella persona». Il passo evangelico di Luca ci ripropone le parole di Gesù: «Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo – cioè non sa cosa fare, non sa cosa distruggere – e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa – da dove era stato cacciato da Gesù – da cui sono uscito”».
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Il diavolo, ha fatto notare il Papa, «anche nel parlare si presenta educatamente», tanto che dice: «sono uscito». No, in realtà «sei stato scacciato». Il brano evangelico prosegue facendo presente che il diavolo, una volta rientrato nella casa da cui era stato cacciato, «la trova spazzata e adorna – oh, gli piace! – e allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora, e la condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima». Egli infatti, ha insistito Francesco, «prima era, per così dire, un indemoniato, perché il demonio era lì dentro e non lo lasciava; adesso continua a essere un indemoniato, ma a sua insaputa». «Quando il diavolo – ha affermato il Pontefice – non può imporsi per la forza, non può distruggere una persona per i vizi chiari, non può distruggere un popolo con le guerre, le persecuzioni, pensa un’altra strategia e, cari fratelli e sorelle, è la strategia che usa con tutti noi» E infatti «noi siamo cristiani, cattolici, andiamo a messa, preghiamo: sembra tutto in ordine, sì, abbiamo i nostri difetti, i nostri peccatucci, ma sembra tutto in ordine». Così il diavolo «fa “l’educato”: va, vede, cerca una bella cricca, bussa alla porta – “permesso? posso entrare?” – suona il campanello e questi demoni educati sono peggiori dei primi, perché tu non ti accorgi che li hai a casa». E «questo è lo spirito mondano, lo spirito del mondo». «Il demonio o distrugge direttamente con i vizi, con le guerre, con le ingiustizie direttamente – ha spiegato ancora il Papa – o distrugge educatamente, diplomaticamente in questo modo delineato da Gesù». Insomma, ha aggiunto, «non fanno rumore, si fanno amici, ti persuadono – “No, va, non fa tanto, no, ma fino a qui sta bene” – e ti portano sulla strada delle mediocrità, ti fanno un “tiepido” sulla strada della mondanità». E non è facile rendersene conto: «“Padre, io a casa non ho un nemico” – “Ma guarda, quando tu vai a letto, fra le lenzuola c’è lo scorpione” – “Ma è uno scorpione amico, non fa del male”». E così facendo «noi cadiamo in questa mediocrità spirituale, in questo spirito del mondo: “Ma non sono tanto male queste cose”». E «lo spirito del mondo ci rovina, ci corrompe da dentro». «Io vi dico: ho più paura di questi demoni che dei primi» ha affermato Francesco. E così «quando mi dicono: “abbiamo bisogno di un esorcista perché una persona è posseduta dal diavolo”, non mi preoccupo tanto come quando vedo questa gente che ha aperto la porta ai demoni educati, a quelli che persuadono da dentro di non essere tanto nemici: “Siamo amici”». Perché, come dice il Vangelo odierno, «l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima». Così il Pontefice ha rilanciato: «Io tante volte mi domando cosa è peggiore nella vita di una persona: un peccato chiaro o vivere nello spirito del mondo, della mondanità? Che il demonio ti butti su un peccato – anche, non uno, venti, trenta peccati, ma chiari, che tu ti vergogni – o che il demonio sia a tavola con te e viva, abiti con te ed è tutto normale, ma lì, ti dà le insinuazioni e ti possiede con lo spirito della mondanità?».
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«Mi viene in mente – ha confidato il Papa – la preghiera di Gesù nell’ultima cena: “Padre, io ti chiedo per questi, difendili dallo spirito del mondo”». E «lo spirito della mondanità è questo: quello che portano i demoni educati». «Preghiamo, senza paura» è l’invito del Pontefice, che ha voluto ricordare l’avvertimento di Isaia ad Acaz. “Quando una volta, il popolo di Israele ha visto venire contro di lui un esercito grande, capace di distruggere tutto, si è impaurito e il profeta, nel nome di Dio disse: ‘Vigilanza e calma’”. E così, ha affermato Francesco, «davanti a questi demoni educati che vogliono entrare per la porta di casa come invitati a nozze, diciamo: “vigilanza e calma”». Dunque «vigilanza è il messaggio di Gesù, la vigilanza cristiana». E in conclusione il Papa ha suggerito anche alcune domande per un esame di coscienza su questo punto: «Cosa succede nel mio cuore? Perché sono così mediocre? Perché sono così tiepido? Quanti “educati” abitano a casa senza pagare l’affitto?» (Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, 12 ottobre 2018, in www.vatican.va)
Allegato 8 “Come fare l’‘esame’ (pausa)” «Se volete gestire bene il vostro tempo nella vita, forse vi basta una cosa semplice come una pausa». (Tommaso Moro) Viviamo in un tempo che induce a essere distratti, come assenti, con lo sguardo un po’ perso verso l’orizzonte. È vero che il nostro sguardo si è allargato, ma non perché siamo più consapevoli delle necessità degli altri, sebbene non possiamo negare che ci siano molte persone che abbiano un vero interesse ad aiutare e servire i più bisognosi. Tuttavia, spesso guardiamo gli altri con il desiderio di fare paragoni. Ammiriamo gli altri, ma non sempre con l’intenzione di gioire dei loro successi, bensì con invidia e gelosia. Oggi non siamo più tanto consapevoli del nostro mondo interiore quanto immersi nei nostri pensieri, che girano in tondo, incapaci di trovare una via d’uscita. Sebbene ci siano persone che hanno scoperto il proprio valore personale e sono impegnate a coltivare il proprio mondo interiore, che è la fonte della vita, ce ne sono tante altre che ancora non sanno di avere un’anima. All’uomo di oggi piace ciò che è “più veloce”, “più nuovo”, “più spettacolare”. Egli pensa che avrebbe una vita migliore di quella attuale se potesse soddisfare tutti i suoi desideri e le sue aspettative, ma non è sufficientemente consapevole di quella che ha e non è pienamente cosciente di ciò che compie.
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Alcune persone sembrano avere paura dell’“agenda vuota”. Sono impegnate tutto il giorno, ma con una continua lamentela sulle labbra: “Non ho abbastanza tempo”. Cosa otteniamo vivendo in questo modo? Una vita basata sulla fretta, sulla realizzazione personale e sulla produttività ha un caro prezzo: molte cose preziose vengono sacrificate per il gusto di essere troppo occupati. Per il troppo da fare diciamo: “Non ho tempo” alle persone più importanti per noi. Tutto questo, perché non sappiamo come fermarci e fare una pausa. Vogliamo continuare a vivere così? Siamo disposti a pagarne il prezzo? La pausa è un invito, come dice Terry Hershey, a «fare di meno ed essere di più». Terry, citando Il potere del mito di Joseph Campbell, afferma: «Dovete avere un luogo nel vostro cuore, nella vostra mente o nella vostra casa, a cui potete rivolgervi ogni giorno, un luogo in cui non dovete niente a nessuno e nessuno deve niente a voi, un luogo che permetta semplicemente a qualcosa di nuovo e pieno di speranza di sbocciare». Possiamo dire che ci sono due momenti di pausa. In un primo momento, più passivo, mi fermo, sono tranquillo ed espiro. Questo è il momento di diventare consapevole di una cosa così essenziale e vitale come il respiro, di cui di solito non mi accorgo abbastanza. E lo stesso posso fare a proposito di molte altre cose essenziali che la pausa mi aiuterà a scoprire. In un secondo momento, più attivo, sarò attento ai miei sensi, consapevole del momento affettivo in cui mi trovo. Mi prenderò del tempo per caratterizzarlo: ad esempio, mi sento stanco, sopraffatto, preoccupato, felice, calmo, rilassato ecc. Sant’Ignazio ha raccomandato molto ai gesuiti di fare la pausa o l’esame, al punto che quelli che sono impegnati in attività apostoliche possono essere esentati dalla preghiera quotidiana, ma mai dall’esame o dalla pausa della giornata. Egli era solito esaminare le attività che andava svolgendo durante la giornata, cercando di scoprire come Dio gli avesse parlato e si fosse reso presente in quel determinato tempo e in quella determinata azione che stava prendendo in considerazione. Con la pausa o l’esame sant’Ignazio ci insegna a essere consapevoli della presenza di Dio, del suo passaggio nella nostra vita. Ciò comporta “cercare e trovare Dio in tutte le cose”. Questo desiderio presuppone uno spirito, un atteggiamento e un metodo di discernimento. La pausa non è una bilancia che ci indica, alla fine della giornata, il peso o la misura di ciò che abbiamo fatto di buono o di sbagliato. Non è nemmeno un’istanza per considerare i nostri errori e accusarci per ciò che abbiamo fatto di sbagliato, o per cercare una “perfezione” nevrotica di noi stessi. Se non sei sicuro di evitare questi due possibili errori dell’esame, ti consiglio di non farlo. Infatti, nulla potrebbe essere più contrario allo scopo di sant’Ignazio di un metodo che faccia
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sorgere in noi sensi di colpa e nevrosi. Questo strumento degli Esercizi Spirituali ci spinge a coltivare e alimentare una relazione stretta e intima con Dio, vedendo come Egli agisce in noi e come noi assumiamo il suo stile di vita nella nostra vita ordinaria. La pausa o esame rafforza le nostre coscienze, rendendoci consapevoli dei moti che si verificano nell’anima e delle scelte che facciamo. 1. Essere consapevoli della presenza di Dio ●
Trovate un posto dove fare una pausa o esame. Questo lo si può farlo ovunque, ma all’inizio probabilmente ci sarà bisogno di trovare un luogo in cui sentirsi tranquilli.
●
Rilassatevi. Iniziate a respirare per un momento, essendo consapevoli di ciò che state facendo. Poi fate il segno della croce, per rendervi conto che siete alla presenza di Dio. Potete ripetere, se vi aiuta, questa giaculatoria: “Signore sei qui, con me, ora”, più volte, mentre respirate.
●
Ricordate una cosa molto importante. Che vi piaccia o meno lo stato spirituale, emotivo, fisico o psicologico in cui vi trovate nel momento in cui fate una pausa, siatene sempre grati. Prendete coscienza e riflettete su quanto avete vissuto durante la giornata. Perché dare spazio anche ai momenti spiacevoli della giornata? Perché dobbiamo imparare a cercare e trovare Dio in tutte le cose, e non solo là dove noi vogliamo trovarlo.
2. Ringraziare e prestare attenzione ●
Rivedere la giornata. Questo è un primo momento per identificare lo stato spirituale (affettivo, fisico o psicologico) in cui vi trovate. Iniziate a chiedervi: “Come sto ora?”, e fate una pausa mentre respirate. Poi potete chiedervi: “Con quale parola o frase posso caratterizzare ciò che sto vivendo qui e ora?”. Non abbiate fretta di rispondere alla domanda. Lasciate che la risposta emerga da dentro di voi. Tra una domanda e l’altra, fate una pausa e respirate. Potete porvi anche altre domande: “Cosa ho fatto oggi? Con chi ero? Quale conversazione ho avuto che ricordo in modo particolare? Dove sono andato? Quali imprevisti ho avuto? Cosa faccio, quando mi rendo conto di perdere il controllo di me stesso?”. Ricordate di fare sempre una pausa dopo ogni domanda, di respirare e di ascoltare. Prestate attenzione alle risposte che verranno da dentro di voi. Siamo nella fase di ripercorrere con l’immaginazione ciò che abbiamo vissuto durante la giornata e di essere grati per i momenti vissuti, siano essi piacevoli o meno. Non formulate un giudizio morale – questo è stato un bene o un male –, ma limitatevi a rievocare ciò che avete vissuto. È necessario avere a disposizione della propria coscienza ciò che si è vissuto durante la giornata.
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Identificare pensieri e sentimenti. La nostra vita quotidiana, come la preghiera, ha un inizio, un cammino e una fine, e tutto è una questione di discernimento per scoprire dove Dio ci sta conducendo. Per questo è importante ricordare come abbiamo iniziato la giornata e come l’abbiamo conclusa. All’inizio della giornata: “Con quali pensieri e sentimenti ho iniziato la mia giornata? Ci sono stati tracce affettive del giorno precedente?”. Durante il giorno: “Quali pensieri o sentimenti si sono succeduti dentro di me per tutto il giorno? Quelli del giorno precedente hanno influenzato questa mia giornata? Durante la giornata è emerso qualcosa di nuovo che mi ha accompagnato a lungo? Ho avuto cambiamenti emotivi significativi durante la giornata? C’è stato qualche evento particolare che ha influenzato ciò che poi ho fatto? Ho avuto reazioni “sproporzionate” alla realtà? So riconoscerne l’origine? Cosa esse hanno suscitato in me?”. Alla fine della giornata: “Noto qualche cambiamento in me stesso in questo momento di pausa? Come posso descrivere ciò che sento ‘qui e ora’? Il momento della pausa ha un ruolo per me? Con quale nome o frase posso caratterizzare “ciò” che sento?”. Ricordate di fare una pausa e di respirare tra una domanda e l’altra, prendendo del tempo per ascoltare il vostro cuore.
3. Chiedere scusa ●
Quando arrivate a questa fase della pausa, vi rendete conto di essere più consapevoli di ciò che avete vissuto. E tutto il cammino che avete fatto culmina in un atteggiamento, un movimento, uno stato o un sentimento interiore che potreste riassumere, ponendovi, ad esempio, queste domande: “Di che cosa Dio mi ha reso consapevole in questa pausa? C’è qualcuno a cui io devo chiedere scusa? Lo dovrò fare domani? Con quale spirito mi ritrovo ora per iniziare a vivere il nuovo giorno? Con quali pensieri e sentimenti voglio viverlo? Se dovessi dare un titolo alla giornata, quale sarebbe?”.
4.- Terminare la giornata ringraziando Ringraziare per la giornata, per le esperienze, gli incontri, i luoghi, le persone ecc. La ricchezza della vita consiste nella varietà di cose, persone e incontri con cui abbiamo a che fare, e la saggezza interiore deriva dal saper riconoscere il passaggio di Dio nella propria vita. Ricordate il motto di sant’Ignazio: «Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente» (ES 2).
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Passo 3 I IN UN MONDO SCORAGGIATO
INDICE PASSO 3 IN UN MONDO SCORAGGIATO
5
Schema per orientare il passo
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Quadro di riferimento
6
Dinamica interna del passo
6
Entrata dalla Prospettiva Biblica
8
Entrata dalla Prospettiva della Fede
12
Entrata dalla Prospettiva Spirituale
15
Il cuore e il mondo: campi di battaglia
16
Entrata tramite le Parole del Papa
21
Entrata dalla Prospettiva della Preghiera
23
Ammirare Esercizio – Pratica della rilettura
24 28
Approfondimento del terzo momento di rilettura
28
Contemplare il mondo – Pensare al domani
28
Pratica della rilettura tematica
28
Ricerca, desideri e futuro
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Risorse
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Allegato 1
31
“Il disegno di Dio. Crescere nella saggezza”
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Allegato 2
31
“Imparare la saggezza”
31
Allegato 3
32
“Imparare a vivere”
32
Allegato 4
33
“Imparare a disimparare”
33
Allegato 5
34
“La conquista più grande”
34
Allegato 6
35
“Parole del Papa: Alcune sfide del mondo attuale”
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Allegato 7
38
“Parole del Papa: Attenzione ai ‘demoni educati’, che conducono allo spirito di mondanità”
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Allegato 8
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“Come fare l’‘esame’ (pausa)”
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INDICE
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Passo 3 I IN UN MONDO SCORAGGIATO
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