Il Camino del Cuore - Passo 6: Cristo dimora in noi

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Passo 6 I CRISTO DIMORA IN NOI

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Città del Vaticano - 3 dicembre 2019 (aggiornato a marzo 2023) San Francesco Saverio - 175 anni di Apostolato della Preghiera

CARI AMICI NEL

SIGNORE

Il Cammino del Cuore è l'itinerario spirituale proposto dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa. È il fondamento della nostra missione, una missione di compassione per il mondo. Fa parte del processo avviato da Papa Francesco con l'Evangelii Gaudium, "La Gioia del Vangelo". È il risultato di un lungo processo spinto da P. Adolfo Nicolás, allora Superiore Generale della Compagnia di Gesù. All'inizio, con un'équipe internazionale guidata da padre Claudio Barriga SJ, è stata elaborata una bozza, qui chiamata "quadro di riferimento". Abbiamo presentato questo itinerario a Papa Francesco che lo ha approvato nell'agosto 2014; poi lo abbiamo pubblicato in un documento intitolato: "Un cammino con Gesù, in disponibilità apostolica" (dicembre 2014 - Doc. 1). Questo documento ha presentato un nuovo modo di intendere la missione dell'Apostolato della Preghiera, in una dinamica di disponibilità apostolica, come era all'inizio. Il Cammino del Cuore è essenziale per la ri-creazione di questo servizio ecclesiale,

oggi

Rete

Mondiale

di

Preghiera del Papa. È un

approfondimento

della

tradizione

spirituale dell'Apostolato della

Preghiera e articola in modo originale gli elementi essenziali di questo tesoro spirituale con la devozione al Cuore di Gesù. Può essere visto come un adattamento degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio. Il Cammino del Cuore è la chiave di lettura della nostra missione. Il commento scritto nel 2017 voleva aiutare le équipe nazionali della Rete di Preghiera del Papa ad approfondire ogni passo del Cammino del Cuore e ad entrare nelle sue dinamiche interne, in modo da poter proporre, con la propria creatività, materiali adatti al proprio contesto locale. Troviamo questo testo in ogni libro sotto il titolo "Dinamica interna del passo".

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Ci siamo presto resi conto che era importante aiutare le équipe nazionali ad approfondire Il Cammino del Cuore, senza il quale sarebbe stato difficile avanzare nel processo di ricreazione di quest'opera pontificia. Pertanto, nel 2018 abbiamo iniziato a scrivere 11 libri con un'équipe internazionale. Questa équipe era coordinata da Bettina Raed, oggi Coordinatrice Internazionale del Cammino del Cuore. È dalla terra di Papa Francesco, con il sostegno di diversi compagni gesuiti e laici, che abbiamo portato avanti questo lavoro. Nel 2020 abbiamo pubblicato questo lavoro in spagnolo, sotto forma di un sito web con 86 video, 86 podcast e diverse centinaia di schede di presentazione: www.caminodelcorazon.church. Qui trovate la traduzione in italiano dei libri del Cammino del Cuore. Una traduzione è sempre limitata e lasciamo a voi il compito di adattarla localmente. Ci auguriamo che questo materiale vi aiuti a proporre questa missione di compassione per il mondo con creatività (ritiri spirituali, sessioni di formazione, incontri del primo venerdì del mese, ecc). È il nostro modo di entrare nella dinamica del Cuore di Gesù.

P. Frederic Fornos SJ Direttore Internazionale

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Schema per orientare il passo Parola chiave: VIVERE. Obiettivo: Stare con Gesù. Chiavi attitudinali: Docilità alla vita dello Spirito. Vedere - Ascoltare. Cosa vogliamo ottenere - Frutto: Intimità e familiarità con il Cuore di Gesù. Dinamica interna del passo: Entrare nella vita dello Spirito che ci apre alla vita in abbondanza.

Quadro di riferimento Nella sovrabbondanza del Suo amore per noi, Dio desidera abitare nei nostri cuori. È la promessa sorprendente che il Cristo fece ai Suoi amici prima di morire. Dio vuole stabilire la Sua dimora in ognuno di noi. San Paolo ne dà testimonianza, dicendo che non è più lui che vive, ma il Cristo che vive in lui (Cfr Lettera ai Galati, cap. 2,20). È verso quest’ultimo orizzonte che lo spirito desidera condurre il cristiano: una identificazione totale con il Cristo. Questo è ciò che desideriamo e per cui preghiamo ogni giorno, con un cuore di povero, sapendo che raggiungere il Cristo non sarà mai il frutto dei nostri sforzi. Noi crediamo che questa identificazione con Cristo ci è donata in modo privilegiato attraverso l’Eucaristia. Lui stesso viene da noi nel Suo Corpo e nel Suo Sangue, e ci trasforma interiormente secondo il Suo Cuore, affinché possiamo essere e agire come Lui.

Dinamica interna del passo Come discepolo di Gesù, il mio compito è di rimanere in Lui, il più vicino al Suo cuore. Preghiera e Parola di Dio Questo è possibile solo rimanendo nella Parola di Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Vangelo secondo Giovanni 14, 23). «Fate la vostra dimora in me, fate la vostra dimora nel mio amore» , dice ancora. Per stare il più vicino possibile al Suo cuore, è necessario meditare la Sua parola, vederla e ascoltarla nei Vangeli, stare in profonda comunione con Lui, come il tralcio e la vite, e lasciarsi trasformare da Lui. Si, è necessario dimorare nella Sua Parola per conoscerLo con tutto il cuore, per entrare nel Suo Amore e riconoscere la Sua voce in mezzo ai tanti rumori che ci invadono. Quanto tempo dedico ogni giorno alla preghiera, per stare con Lui e meditare la Sua Parola? Chi si nutre della Sua Parola, chi medita le Scritture, la Bibbia, entra in tutta l’altezza, l’ampiezza e la profondità del suo Amore.

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Nascere alla vita nello Spirito Per dimorare in Cristo e affinché Lui permanga in me, a tal punto che io possa dire come San Paolo: «e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Lettera ai Galati cap. 2,20), devo entrare nella vita dello Spirito. Ricordate l’uomo che chiese a Gesù: «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?» (Cfr Vangelo secondo Marco cap. 10,17- 21). Gesù, dopo aver guardato con amore quest’uomo che aveva rispettato tutti i comandamenti fin dalla sua giovinezza, gli rispose: «Una cosa sola ti manca: va, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Gesù invita quest’uomo che osserva fedelmente la Legge di Dio, la Torah, a passare dall’obbedienza della legge alla vita nello Spirito. Essere fedeli alla legge di Dio è cosa buona, però è necessario andare oltre. La legge, i comandamenti possono rimanere rigidi. Posso pensare che basti osservare la legge alla lettera per vivere pienamente la vita, ma così corro il rischio di volere controllare la mia vita, credendo che posso raggiungere la felicità solo con le mie forze. Gesù ci invita ad andare oltre. Ci invita a seguirlo. Dove? Non lo dice. Devi seguirlo e basta. «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (dal Vangelo secondo Giovanni cap. 3,8). Seguire Gesù è entrare nella vita dello Spirito. È lasciare il porto per andare in acque profonde, passare dalla sicurezza all’ignoto, dalla stabilità al movimento; la vita è un movimento. «Seguimi», «Dove?», «Il Figlio dell’uomo, non ha dove posare il capo». È necessario mettersi in cammino senza sapere dove andare. Bisogna essere docili allo Spirito Santo senza cercare di dirigere la propria vita. Posso farlo con fiducia, perché ho scoperto nella mia vita che Lui è fedele. Essere un discepolo di Gesù Cristo è entrare nello Spirito per discernere costantemente, in contesti diversi, come essere fedeli al Vangelo. In effetti, come disse Gesù a Nicodemo (cfr. Vangelo secondo Giovanni, cap. 3), si tratta di «nascere di nuovo», «nascere dall’alto». Nicodemo è un uomo della Torah. Lui conosce la Legge, ma pur avendo tanta saggezza è nell’oscurità, come suggerisce l’evangelista. Perché entrare nel Regno di Dio, in un nuovo mondo, non è una questione di osservanza o conoscenza, bensì di nascita. Non basta praticare questa o quella virtù, o obbedire alla legge e ai comandamenti per aprirsi pienamente alla vita spirituale; è necessario familiarizzarci con la nostra vita interiore e, a poco a poco, imparare a decifrarla per diventare docili allo Spirito Santo.

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Questo implica che bisogna ascoltare. Viviamo spesso nell’esteriorità, nel fare, in costante agitazione, in un chiacchiericcio interiore, ma non ascoltiamo quello che ci sta succedendo nel nostro intimo. Sappiamo che lo Spirito Santo ci parla attraverso la risonanza emotiva degli eventi e degli incontri della nostra vita. Tutto ciò che viviamo genera in noi pace, allegria, tristezza, o chiusura. Come l’uomo ricco che «divenne molto triste» quando ascoltò l’invito di Gesù. È in questo modo che lo Spirito del Signore cerca di parlarci e noi dobbiamo discernere. Colui che entra nella vita dello Spirito Santo impara ad accogliere questi movimenti interiori, prende confidenza con la sua vita interiore e riesce, a poco a poco a capire, discernere e riconoscere la voce dell’Altro che sta cercando di parlargli. Si dice che Sant’Ignazio «seguiva lo Spirito, non andava avanti, non sapeva dove era diretto … lui Lo seguiva con inconsapevole prudenza, offriva il suo cuore a Cristo con semplicità». Lo Spirito Santo ci conduce il più vicino possibile al Cuore di Gesù. Vicino al Cuore di Gesù Lo Spirito Santo ci aiuta a discernere quello che veramente è l’Amore: l’amore per i nemici e per il perdono delle offese. Ci conduce alle profondità del Cuore di Gesù. È il suo interprete. Questo eccesso d’Amore trova la sua massima espressione nella Croce di Gesù. «Davanti alla Croce, dobbiamo lasciarci trasformare dalla forza dell’amore che si esprime in questa morte offerta e nel perdono dato ai carnefici. È in questa follia d’amore che dobbiamo trarre la forza per seguire con fedeltà la richiesta dello Spirito nella nostra Vita» (Michel Rondet S.I., Laissez-vous guider par l’Esprit, Ed. Bayard). Per questo il Cuore di Gesù trafitto per la nostra salvezza è il simbolo dell’Amore. San Paolo, dopo la sua folgorante Conversione, gridò: «Il Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me» (Lettera ai Galati, cap. 2,20) (Dany Dideberg, Le Coeur de Jésus, source de vie). Il “cuore” è il simbolo dell’“amore” per eccellenza. «Nessuno può conoscere a fondo Gesù Cristo, se non penetra nel suo Cuore, cioè nell’intimo della sua Persona divino-umana» (San Giovanni Paolo II, Angelus, 20 giugno 2004). «Essere cristiano è possibile solo con lo sguardo rivolto alla Croce del nostro Redentore, “a Colui che hanno trafitto” (Gv. 19,37; cfr. Zc. 12,10)» (Benedetto XVI, Lettera al Preposito Generale della Compagnia di Gesù in occasione del 50° anniversario dell’enciclica Haurietis aquas, 15 maggio 2006).

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«Il Cuore del Buon Pastore non è soltanto il Cuore che ha misericordia di noi, ma è la misericordia stessa. Lì risplende l’amore del Padre; lì mi sento sicuro di essere accolto e compreso come sono; lì, con tutti i miei limiti e i miei peccati, gusto la certezza di essere scelto e amato. Guardando a quel Cuore rinnovo il primo amore: la memoria di quando il Signore mi ha toccato nell’animo e mi ha chiamato a seguirlo, la gioia di aver gettato le reti della vita sulla Sua Parola» (cfr. Vangelo secondo Luca 5,5) (Papa Francesco, Omelia nella Messa del Santissimo Cuore di Gesù, 3 giugno 2016). Il discepolo che Gesù amava, quello che conosceva meglio il Cuore di Gesù, trovandosi tavola al fianco di Gesù (cfr. Vangelo secondo Giovanni, cap. 13,23), fu lui il primo a riconoscere Gesù risuscitato sulla riva del lago di Galilea (cfr. Vangelo secondo Giovanni, cap. 21,7). Più siamo si è vicini al Cuore di Gesù, più si percepiscono la sua gioia e le sue sofferenze per gli uomini, le donne e i bambini di questo mondo, più si riconosce la sua presenza, oggi come ieri, che agisce nel mondo. «Dov’è Dio? Dov’è Dio, se nel mondo c’è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dov’è Dio, quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre? Dov’è Dio, quando malattie spietate rompono legami di vita e di affetto? O quando i bambini vengono sfruttati, umiliati, e anch’essi soffrono a causa di gravi patologie? Dov’è Dio, di fronte all’inquietudine dei dubbiosi e degli afflitti nell’anima? (…). E la risposta di Gesù è questa: "Dio è in loro", Gesù è in loro, soffre in loro, profondamente identificato con ciascuno. Egli è così unito ad essi, quasi da formare “un solo corpo”» (Papa Francesco, Discorso nella Via Crucis dei giovani a Cracovia, 29 luglio.) Quanto più siamo vicini al Cuore di Gesù, meno indifferenti saremo a ciò che ci circonda, desiderando impegnarci con Gesù in questo mondo, al servizio della sua missione.

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Entrata dalla Prospettiva Biblica Gli amici avranno sperimentato talvolta che i legami si coltivano con il tempo, il tempo per essere, il tempo per condividere, il tempo dedicato a stare in compagnia di un amico. Questo tempo ci permette soprattutto di conoscere noi stessi, di imparare chi siamo, cosa ci piace, cosa speriamo, cosa ci appassiona, cosa ci fa battere il cuore in profondità. E più condividiamo, più arriviamo a una comprensione più profonda dell'esistenza dell'altro e impariamo ad amarlo così com'è, non come lo immaginiamo. Le amicizie maturano con il tempo, nella conoscenza e nell’accettazione dell’altro, l’amore nell'amicizia cresce stando con l'amico, condividendo con lui la propria esistenza. In questa condivisione, una delle esperienze più profonde che possiamo fare è renderci conto che nel cuore del nostro amico batte profondamente ciò in cui crediamo, ciò che desideriamo profondamente, ciò che ci fa vibrare. Riconoscendo che i nostri sentimenti più profondi battono vividamente nel cuore dell'amico, l'amicizia si approfondisce. Allo stesso modo, possiamo maturare nell'esperienza dell'amicizia con Gesù solo nella misura in cui trascorriamo del tempo con lui, conoscendolo, prendendoci del tempo per guardare e contemplare il suo modo di vivere, quello che ha fatto, le sue decisioni, le sue scelte. Conosciamo Gesù attraverso i racconti delle comunità che hanno scritto della sua vita nei Vangeli.

Nel corso dei Vangeli entriamo in quella vita di familiarità e intimità che Gesù e i suoi discepoli hanno costruito. «Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: "Perché parli loro in parabole?". Egli rispose: "Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato”» (Vangelo secondo Matteo cap. 13,10-11). «Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea» (Vangelo secondo Marco cap. 3,7). «Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui» (Vangelo secondo Marco cap. 3,13-14). Gesù non solo ha scelto i suoi discepoli, ma li ha formati, li ha accompagnati e ha mostrato loro lo stile e il modo in cui si realizza il progetto del Regno del Padre suo. «Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi» ((Vangelo secondo Marco cap. 6,7). E in questo rapporto di amicizia coloro che li seguivano tornavano da Gesù per il suo consiglio, per la sua accoglienza, per affidargli il loro cuore, cercando una mano che li sostenesse e li ristorasse nel loro cammino. «Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato» (Vangelo secondo Marco cap. 6,30).

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«Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Vangelo secondo Luca cap. 10,1).. «I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: "Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome"» (Vangelo secondo Luca cap. 10,17). «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli"» (Vangelo secondo Luca cap. 11,1). E Gesù insegnò ai suoi discepoli a pregare come lui pregava il Padre suo: "Padre, sia santificato il tuo nome...". In numerosi racconti evangelici troviamo che Gesù, dopo una giornata di intensa attività, si ritirava con i suoi amici intimi, i suoi discepoli, con i quali condivideva momenti di solitudine e di profonda amicizia, per "stare e condividere". Momenti che sicuramente avranno segnato le loro vite per sempre. Così, dopo aver sfamato la folla affamata con alcuni pani e pesci, San Marco ci dice che Gesù «salì poi sulla barca con i suoi discepoli e andò dalle parti di Dalmanùta» (Vangelo secondo Marco cap. 8,10). «Poi prese con sé i Dodici e disse loro» (Vangelo secondo Luca cap. 18,31). Questo stare e vivere in intimità con Gesù plasmava la vita e lo stile dei suoi discepoli. Possiamo immaginare le chiacchierate amichevoli, i lunghi pasti, le risate, il lavoro e il cammino con il Maestro. Esperienze che li hanno impregnati dello stile di Gesù, fino ad arrivare a sentire come il loro Maestro, a gustare ciò che a Lui piaceva, a fare e scegliere come Lui. Questa identificazione con Cristo ha portato l'apostolo Paolo ad esclamare nella sua lettera ai Galati: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Lettera ai Galati cap. 2,20). «Riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine» ((Seconda lettera ai Corinzi cap. 3,18).). Nel suo ultimo saluto Gesù chiederà ai suoi amici di non allontanarsi dal suo Amore, di rimanere fedeli all'Amore che hanno condiviso: «Rimanete in me e io in voi… Rimanete nel mio amore» (Vangelo secondo Giovanni cap. 15,4-9). Proprio come ha fatto con i suoi discepoli, siamo invitati da Gesù a stare con lui, a condividere la sua vita, il suo stile, il suo modo di procedere. Gesù vuole stare con noi più di quanto noi vogliamo stare con lui, vuole contare su di noi, vuole accompagnarci nel cammino, che assumiamo il suo stile, che lo aiutiamo nella costruzione del Regno di suo Padre, che ci configuriamo con lui in una nuova nascita che viene dall'alto, come ha invitato a fare Nicodemo. Dedicate del tempo ai Vangeli, passate del tempo a immaginare i racconti della vita di Gesù, lasciate che il vostro cuore sia permeato da queste immagini. Camminate con Lui, conversate, fate domande, entrate nei diversi momenti della vita di Gesù. È una parola viva ed efficace, sempre attuale. In altre parole, sono momenti della storia di Gesù sulla terra che oggi hanno un messaggio rinnovato per la vostra

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vita e attraverso i quali Cristo parla al vostro cuore. Lasciatevi innamorare e tutto sarà diverso. ● In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi (Vangelo secondo Giovanni cap.14,20). ● Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Vangelo secondo Giovanni cap.14,23). ● Rimanete in me e io in voi…Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore (Vangelo secondo Giovanni cap.15,4 e 9). ● Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Lettera ai Gálati cap. 2,20). ● Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (Prima lettera ai Corinzi cap.3,16-17). ● Quanto a voi, tutto ciò che avete udito da principio rimanga in voi. Se rimane in voi quel che avete udito da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre (Prima lettera di Giovanni cap. 2,24). ● Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori … (Lettera agli Efesini cap. 3,17). ● Riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine… (Lettera ai Corinzi cap.3,18)

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Entrata dalla Prospettiva della Fede In Cristo, con Cristo, in missione

“In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti degli Apostoli cap. 17,28) Cosa c'è all'origine della nostra esistenza? Quale impulso vitale ci dà l'essere, ci smuove? Sono una mia creazione o sono la ricezione permanente di una forza vitale che mi abita? O entrambi? Potremmo dividere la nostra vita in due parti, attiva e passiva. In generale, dal nostro punto di vista, la parte attiva viene prima, perché tende a essere più piacevole e percepibile per noi. Ma in realtà la seconda è infinitamente più ampia e profonda. È così naturale per noi crescere che di solito non pensiamo a distinguere la nostra azione dalle forze che la alimentano, né dalle circostanze che ne favoriscono il successo. Eppure, se siamo onesti, cosa possediamo che non abbiamo già ricevuto? L'uomo, dice la Scrittura non può aggiungere un'ora sola alla sua vita. E ancor meno può accrescere di una sola unità il ritmo fondamentale che regola la maturazione del suo spirito e del suo cuore. In definitiva, la vita fondamentale, la vita nascente, ci sfugge del tutto. Ma di fronte all'angoscia, al turbamento o alla paura che possono nascere in noi dall'esperienza di questo "non controllo" della vita che scorre e ci sfugge, risuonano con forza le parole del Signore: "Non temere, perché io sono con te". È Lui che è all'origine dell'impulso, che anima la mia esistenza con la sua onnipresenza. Nella vita che nasce in noi, nell'universo che ci sostiene, troviamo qualcosa ancora migliore dei doni del Signore, troviamo Lui stesso; Lui che ci rende partecipi del suo Essere e allo stesso tempo ci plasma con le sue mani. Ciò che c'è di più divino in Dio è che non siamo assolutamente nulla fuori di Lui. Egli si è rivelato in Gesù Cristo affinché noi possiamo essere abitati in pienezza da Lui. Il Figlio ci mostra noi stessi, figli alla maniera del Figlio. Cristo dimora in noi, noi dimoriamo in Cristo. Cristo dimora in noi per nascere a noi stessi. Dalla parte attiva della nostra vita, vediamo che Dio, fedele alla sua promessa, ci aspetta davvero in ogni cosa, quando non è già uscito, in fretta, per incontrarci. San Paolo afferma chiaramente che qualunque cosa facciamo, se la facciamo nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, è santificabile.. La Chiesa dichiara santificabile l'intera vita umana, in tutte le sue sfumature, da quella

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interamente spirituali a quelle interamente umane "quando mangiate o bevete..." dice San Paolo. In virtù dell'incarnazione del Verbo, la nostra anima è totalmente donata a Cristo, centrata su di Lui. Dio, nostro Padre, è accessibile, inesauribilmente, in tutto il nostro agire. In ciò che ha di più vivo e incarnato, non è lontano da noi, fuori dalla sfera del tangibile, ma ci aspetta

in

ogni

momento

nell'azione,

nell'opera

del

momento.

Potremmo

tranquillamente dire che è sulla punta della mia penna, del mio piccone o della mia pala, del mio pennello, del mio ago, del mio cuore e del mio pensiero. Portando al loro ultimo naturale compimento la linea, il colpo, il punto in cui sono impegnato, comprenderò il Fine ultimo a cui tende la mia volontà profonda. Dimorare in Cristo, essere abitati da Cristo, implica anche uno "stare con Lui". Una relazione intima che porta a una conoscenza interiore della propria persona. Tuttavia, questa intimità, questa relazione personale e profonda, non deve portarci all'equivoco di credere che sia solo un'intimità passiva; al contrario, è una rivelazione per la missione: "perché sia manifestata agli uomini", cioè perché non rimanga chiusa in un'intimità, ma sia il mezzo con cui gli uomini possano arricchirsi delle grazie dell'incontro con Cristo. Essere con Lui implica una conoscenza interiore, un grado di identificazione tale da arrivare ad avere gli stessi sentimenti che ha avuto Cristo, che non ritenne un privilegio la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò sé stesso come servo; che ci invita a servirlo negli altri, desideroso di incontrarci negli altri. La grazia di una conoscenza interiore o vitale di Cristo, che si è fatto uomo per noi, grazie alla quale possiamo arrivare ad avere i suoi stessi sentimenti, è una conoscenza data dallo Spirito, che penetra in profondità; non è quindi meramente intellettuale, né sentimentale; questa conoscenza interiore è Amore, che si manifesta più nei fatti che nelle parole. Gesù è percepito in modo più pieno e indivisibile in ogni momento della sua vita, se lo guardo nella prospettiva della croce - risurrezione. Tutto ciò che fa e dice in ogni episodio ci dà la piena misura della sua interiorità, della sua infinita coerenza divino-umana, della sua persona pienamente votata alla missione ricevuta dal Padre, di ciò che sente e sperimenta, al di là delle parole. Questo mondo interiore di Cristo è quello che siamo invitati a raggiungere e manifestare. Dio non crea nulla di completo, ma permette che tutto si realizzi a poco a poco. Nel corso di tutti i suoi giorni terreni, l'uomo realizza la sua anima; e allo stesso tempo

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contribuisce a un'altra opera, che trascende in modo infinito, dominando da vicino le possibilità di successo individuale: il culmine della creazione. Con la nostra collaborazione che Egli stesso suscita in noi, il Cristo si consuma, raggiunge la sua pienezza, a partire da ogni creatura. Ce lo insegna san Paolo. Forse credevamo che la Creazione fosse da tempo terminata: è un errore, perché continua a perfezionarsi. Ed il nostro compito è quello di collaborare in questa opera anche con il più umile lavoro delle nostre mani. Nelle

nostre

azioni,

siamo

strumenti della creazione del mondo e della

manifestazione della pienezza di Gesù Cristo. La nostra passione in questo lavoro, di fronte a Dio, è l'arte della nostra fedeltà. Nella consapevolezza di questo intimo legame con Cristo che dimora in me, nel fare, agiamo con Lui e lo incontriamo in ciò che facciamo.

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Entrata dalla Prospettiva Spirituale La vita nello Spirito Il discepolo di Gesù Cristo è chiamato ad entrare nella vita dello Spirito, è chiamato a discernere come seguire Gesù nel mondo di oggi. Come discernere la voce del Signore tra le tante voci che oggi ci stordiscono e si confondono con la Sua voce? San Giovanni ci dice in una delle sue lettere: «Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio.» (Prima lettera di Giovanni cap. 4,1-3). Pertanto, entrare nella vita dello Spirito significa ascoltare la Parola e discernere il suo eco in noi, distinguendola dalle "altre voci". Il discernimento ci chiede di "contemplare" la Parola di Gesù fatta carne, fatta vita sulla terra. Da Lui proviene ogni discernimento della volontà del Padre in noi. Guardando Gesù e ascoltando la sua parola, posso riconoscere il vero volto di Dio. Egli è andato fino all'estremo dell'amore, fino alla fine con il dono della sua stessa vita, fino al punto in cui non è più possibile amare, per liberarci dalle immagini perverse di Dio. In Gesù Cristo "Dio esce (dal Tempio) dal luogo sacro in cui fu rinchiuso. Egli ci libera dal peso della religione e del sacro con tutti i terrori ad esso attribuiti e tutta la schiavitù che ne deriva" (J. Moingt) per "adorare il Padre in spirito e verità". È un Dio che si rivela a noi in Gesù, che ama la vita e desidera la felicità dell'umanità. Un Padre che ci vuole come suo Figlio, uomini e donne profondamente liberi, nel respiro della "libertà dei figli di Dio". Chi è questo Dio che si rivela a noi in Gesù? A quale Dio ci rivolgiamo? Un Dio che avrebbe tracciato da tutta l'eternità la strada la strada verso ciò che ci manda? Un Dio che avrebbe deciso il nostro posto e ciò che è giusto per noi nella vita e nella Chiesa? No, questo non è il Dio che si rivela in Gesù. Il Dio che chiama, la cui voce siamo chiamati ad ascoltare e a distinguere dalle altre voci, è il Dio che riporta sempre l'uomo al proprio desiderio: "che cosa cerchi?", "chi vuole venire dietro a me", "se vuoi entrare nella vita", "chi vuole essere mio discepolo", e così via. È cercare e trovare. La sua volontà è quella di andare in profondità in noi stessi, nelle profondità del nostro desiderio. La volontà di Dio non è estranea alla nostra vita, non si tratta di cercarla lontano da noi stessi, al di là dei mari dove non possiamo raggiungerlo; ma Egli si unisce a noi nel profondo del nostro desiderio, nel nostro cuore, per poterlo realizzare, concretizzare. Non scopro la Sua volontà come se trovassi qualcosa in una "caccia al tesoro". La sua volontà è che ogni uomo sia completamente felice e

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completamente vivo. Dio non fa nulla per noi, non ci sostituisce. Pertanto, qualsiasi decisione che ci renda più vivi, che ci faccia crescere nella libertà e che ci metta in comunione con gli altri sarà adeguata al piano di Dio e al Vangelo. Gesù chiede: Cosa vuoi che faccia per te? In modo che la persona possa esercitare la sua libertà, possa esprimere il suo desiderio. «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.» (Vangelo secondo Matteo, cap. 7, 7-8). Esprimere ciò che desideriamo ci permette di riconoscere il nostro desiderio, ed è Dio stesso che viene ad unirsi ad esso. Riconoscere questo desiderio è come trovare il tesoro di cui parla il Vangelo. Questo desiderio nascosto non lo si scopre con l'introspezione, ma è un desiderio che si realizza nella realtà dell'esistenza, nell'azione e nel servizio agli altri. Decidersi per Cristo Chi desidera seguire Cristo, per amarlo e servirlo di più, è chiamato a decidersi per Lui. Gesù ci chiede: «E voi chi dite che io sia?» (Vangelo secondo Marco, cap. 8, 29). Così, decidersi in relazione a Cristo significa decidere di vivere il Vangelo, con le sue conseguenze: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Vangelo secondo Marco, cap. 8, 34). Pertanto, diventare veramente discepoli di Gesù e vivere alla luce del Vangelo ci conduce a una lotta spirituale. Anche questa lotta spirituale è un criterio di fedeltà a Gesù, perché «un servo non è più grande del suo padrone» (Vangelo secondo Giovanni, cap. 13, 16). Tutti noi ne facciamo esperienza. In noi c'è connivenza con il male, con la menzogna, con tutto ciò che è rifiuto della vita, ma Cristo non ci lascia soli. Ha mandato lo Spirito Santo, lo Spirito di Verità, che procede dal Padre, che smaschera l'avversario e ci fa scegliere la vita. Per essere discepoli di Cristo dobbiamo essere docili allo Spirito, discernendo costantemente gli "inganni del nemico", e essere fedeli al Vangelo nei diversi contesti. Essere docili allo Spirito Per entrare in questa docilità allo Spirito, la revisione o la rilettura durante il giorno sono di grande aiuto e beneficio. Questa rilettura, come abbiamo visto nei passi precedenti, ci insegna a riconoscere tra gli eventi della giornata, il lavoro, gli incontri, quello che ci apre alla vita, alla gioia, alla pace. Riconoscendolo in questo modo, rendiamo grazie al Signore. La Scrittura dice che ciò che ci indirizza alla vita ci indirizza a Dio. Gesù, infatti, dice: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.» (Vangelo secondo Giovanni 10, 10). Questa è la bussola del discernimento.

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In un secondo momento potremo riconoscere, come semplice dato, senza giudicare da parte nostra, i momenti in cui ci siamo sentiti chiusi, divisi, in cui siamo entrati nella desolazione. Se abbiamo peccato, chiederemo perdono al Signore. Infine, in un terzo momento, offriremo al Signore il giorno successivo, chiedendo aiuto per scegliere la vita e rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di essere fedeli al Vangelo. Entrare nelle vie dello Spirito del Signore comporta considerare la vita spirituale prestando attenzione agli echi emotivi lasciati in noi dagli eventi e dagli incontri della giornata. La vita spirituale è "sentire", "riconoscere" e "prendere posizione". "Sentire" significa lasciarsi coinvolgere: sentire il gusto, la pace, la dolcezza, ecc. Ma non basta sentire, bisogna saper "riconoscere", cioè distinguere, nominare, interpretare, il che è proprio del discernimento. Infine, ci porta a "prendere posizione" perché scopriamo in noi "pensieri", "movimenti interiori", che ci aprono alla vita e quelli mortiferi che ci chiudono alla vita. Così possiamo discernere gli inganni del nemico e scegliere la vita. L'amore nei fatti Infine, parliamo di come "entrare nella vita dello Spirito" ci porti a essere disposti al fatto che il Signore si faccia spazio nella nostra realtà, con la nostra decisione. La decisione di Dio di incarnarsi nella nostra umanità, nella nostra concreta esistenza quotidiana, attende la nostra decisione. Nessuna vita cresce senza il rischio di una decisione, piccola o grande che sia. Il passaggio dal desiderio alla realtà è un rischio. Ci può essere molto amore e generosità, ma se non si incarna in una decisione, rimane vuoto. Ma se questo amore e questa generosità si inseriscono in una decisione, per quanto piccola, questa può scuotere il mondo intero. Questo è il movimento dell'incarnazione. Il sì di Maria ci ha portato la salvezza. Le piccole decisioni danno gradualmente uno stile alla nostra esistenza, lo stesso stile di Gesù, il ritmo del Vangelo. Per Ignazio di Loyola "la decisione evangelica, cioè la decisione che apre alla vita, che umanizza, secondo lo Spirito di Cristo, è il luogo anche dell'unione con Dio". La nostra sensibilità definisce Abbiamo detto finora che entrare nella vita dello Spirito significa ascoltare la voce del Signore, per accoglierla in noi e prendere posizione per ciò che essa ispira nel nostro cuore. Ma dobbiamo essere lucidi e non ingenui. Posso credere di aprirmi al Signore, ma forse sto inventando una storia, che non è la voce del Signore, ma la realizzazione delle mie aspettative. Ecco perché è così importante, per non ingannarmi, imparare ad accedere alla realtà come fa il Signore. Perché se riesco a lasciare che le cose entrino in me come Lui le vede, le sente, le assapora, le odora, le tocca, sarò in grado di connettermi con le persone e gli eventi in modo più simile a Gesù e la mia sequela

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sarà più reale. Perché sarò in grado di giudicare, di pensare, di elaborare ciò che passa attraverso i miei sensi, come fa Gesù. E infine di prendere decisioni e scelte come il Signore farebbe al mio posto. Ma raggiungere lo stile del Signore non è il risultato di uno sforzo di volontà, bensì una grazia che il Signore stesso ci dona. Un modo per lasciarsi trasformare da Lui. Pertanto, da parte mia, non mi resta che essere pronto a ricevere la grazia nella preghiera, contemplando la vita del Signore e imparando dallo stile che Egli mi comunica. Per approfondire questo cammino, tramite lo stile del Signore, il suo modo di fare, le sue idee, i suoi giudizi, la sua sensibilità, può esserci di aiuto un modo di pregare che Sant'Ignazio di Loyola ci propone nel suo Libro degli Esercizi Spirituali: l'applicazione dei cinque sensi. Questo modo di pregare vuole aiutare a educare la nostra sensibilità affinché diventi più simile a quella di Gesù. La sensibilità è ciò che definisce la sequela del Signore, perché i nostri sensi sono la porta d'accesso alla realtà in cui viviamo. Ho un modo di guardare, un modo di ascoltare, mi piacciono o non mi piacciono certe cose, accolgo o respingo situazioni e persone in base al significato che do loro quando entrano attraverso i miei sensi. Allora, Il fatto di seguire Gesù e che questa sequela sia reale, cioè che io faccia le mie scelte secondo quelle di Gesù, che io sia mosso dalle stesse cose che muovono Lui, dipenderà in definitiva dalla mia sensibilità che assomiglia alla Sua. E la sensibilità non è trasformata da idee o sentimenti, ma da realtà concrete, che entrano attraverso i nostri sensi. Da ciò che tocco, guardo, odoro, ascolto, assaggio. Ho bisogno di trasformare la mia sensibilità al modo di Gesù. Per questo mi si propone di "applicare i 5 sensi", cioè di disporre i miei sensi in modo che attraverso la mia immaginazione entrino in contatto con le realtà che Gesù ha vissuto nei racconti evangelici. E in questo guardare, gustare, toccare, odorare, ascoltare con e come Gesù, la mia sensibilità si va trasformando. Allora potrò avvicinarmi e toccare la mano della suocera di Pietro quando Gesù «Gesù, accostatosi, la sollevò prendendola per mano» (cfr. Vangelo secondo Marco cap. 1, 31). E cercherò di immaginare Gesù quando «mosso a compassione, stese la mano, toccò» (Vangelo secondo Marco cap. 1,41) il lebbroso che si era inginocchiato davanti a Lui implorando di essere guarito, e con l’immaginazione cercherò di fare l'esercizio di toccare il lebbroso. E in ogni racconto che prenderò in considerazione per pregare, per immaginare e per collocarmi nella scena toccando, guardando, odorando, ascoltando, gustando, sentendo come farebbe il Signore.

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E potrò chiedermi come toccare, odorare, guardare, ascoltare, gustare, con l'immaginazione. Come si fa? Solo esperienza. E non si tratta tanto di fare da soli, quanto di lasciare che il Signore ci conduca nella scena. È una preghiera in cui cerco di essere lì e di percepire con i sensi dell'immaginazione ciò che sta accadendo lì. Non sappiamo bene come avvenga, perché non dipende dai nostri sforzi. Ma dobbiamo pregare perché, mentre ci disponiamo e ci immaginiamo presenti nel racconto stesso della vita di Gesù, il Signore ci conceda la grazia di sentire con i nostri sensi alla sua maniera. La trasformazione della nostra sensibilità in una più simile alla sua determinerà tutto, cambierà tutto, e la nostra sequela sarà più reale, con un modo di procedere più simile al suo. E perché possiate fare questa esperienza e approfondire questo modo di pregare, vi lasciamo una preghiera del padre gesuita Pedro Arrupe S.J., affinché possiate pregarla e gustarla con i vostri tempi e con calma, e riuscire in questo modo ad applicare i cinque sensi alla preghiera, affinché il Signore trasformi la vostra sensibilità. ➔ Per approfondire: Risorse. Appendice 1. "Preghiera di Arrupe: Signore, insegnami".. ➔ Per ulteriori letture. Risorse. Appendice 2. "Il nostro modo di essere".

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Entrata Tramite le Parole del Papa In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione. In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr. Vangelo secondo Matteo 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di

evangelizzazione

e

sarebbe

inadeguato

pensare

ad

uno

schema

di

evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione, dal momento che, se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”. Se non siamo convinti, guardiamo ai primi discepoli, che immediatamente dopo aver conosciuto lo sguardo di Gesù, andavano a proclamarlo pieni di gioia: «Abbiamo incontrato il Messia» (Vangelo secondo Giovanni 1,41). La samaritana, non appena terminato il suo dialogo con Gesù, divenne missionaria, e molti samaritani credettero in Gesù «per la parola della donna» (Vangelo secondo Giovanni 4,39). Anche san Paolo, a partire dal suo incontro con Gesù Cristo, «subito annunciava che Gesù è il figlio di Dio» (Atti 9,20). E noi che cosa aspettiamo? Certamente tutti noi siamo chiamati a crescere come evangelizzatori. Al tempo stesso ci adoperiamo per una migliore formazione, un approfondimento del nostro amore e una più chiara testimonianza del Vangelo. In questo senso, tutti dobbiamo lasciare che gli altri ci evangelizzino costantemente; questo però non significa che dobbiamo rinunciare alla missione evangelizzatrice, ma piuttosto trovare il modo di comunicare

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Gesù che corrisponda alla situazione in cui ci troviamo. In ogni caso, tutti siamo chiamati ad offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza, e dà senso alla nostra vita. Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri. La nostra imperfezione non dev’essere una scusa; al contrario, la missione è uno stimolo costante per non adagiarsi nella mediocrità e per continuare a crescere. La testimonianza di fede che ogni cristiano è chiamato ad offrire, implica affermare come san Paolo: «Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla ... corro verso la mèta» (Filippesi 3,12-13).

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Entrata dalla Prospettiva della Preghiera Rimanere nell'amore Non c'è nulla che una persona innamorata desideri di più che stare con la persona che ama. Chi ama vuole stare con la persona amata. Desidera cioè essere alla sua presenza, condividerne la sua vita, ascoltare la sua parola, i suoi sogni e i suoi progetti. Dire a una persona "ti amo" non è solo un'espressione teorica, ma l'annuncio di come voglio vivere con lei: rimanendo in sua presenza. Amare è un'azione e una decisione. È un'azione che fa uscire da me stesso per andare incontro all'altro. È una decisione, perché decidere a chi offrire tutto ciò che sono è la massima espressione della libertà. Amare è un'azione che comprende l’esercizio di gesti, parole e atteggiamenti. Nessuno può dire a un'altra persona che la ama veramente se trascura le espressioni che manifestano l'amore che prova per lei. È vero che possiamo rinchiudere la parola "amore" in formalità e " svuotare di contenuto il mio ti amo" come dice una canzone, ed è per questo che dobbiamo essere consapevoli che l'amore richiede una decisione quotidiana. La grande tentazione che abbiamo nella Chiesa è quella di "assicurarci" la salvezza dietro formule e pratiche religiose che eseguiamo, ma senza molto senso. Le pratiche religiose sono intimamente legate a gesti di amore per Dio. Se svuotiamo di amore le nostre pratiche spirituali, avremo corrotto una parte della nostra fede. Rimanere nel suo amore non significa rimanere legati al formalismo religioso, ma nutrirci del Vangelo. Come è possibile rimanere innamorati di Gesù? Una cosa che non dobbiamo mai dimenticare è che è stato Gesù a venirci incontro, a trovarci e ad invitarci a seguirlo. Questo è il significato della sua affermazione: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Vangelo secondo Giovanni, cap. 15, 16). Il suo AMORE ci ha scelti. Non sono i nostri meriti ad averci avvicinato a Gesù, ma l'amore gratuito del Padre. "Egli ci ha amati" (Prima Lettera di Giovanni cap. 4,19). Per questo le nostre pratiche religiose non devono diventare una ricerca egocentrica del riconoscimento di Dio, ma un'espressione del desiderio di rimanere nel suo amore, alla sua presenza. La preghiera con la Parola di Dio è un modo per rimanere nel suo amore. Dedicare del tempo a sé stessi per pregare è una decisione concreta di desiderare di stare con Gesù e di rimanere nel suo amore. Raramente ci "concediamo" del tempo per calibrare il cuore, pulire l'anima e purificare lo spirito attraverso la meditazione della Parola di Dio. Forse la mancanza di tempo per stare con sé stessi e per

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approfondire la propria vita, sul principio e sul fondamento della propria esistenza, è una delle più grandi povertà che affliggono l'umanità. Posso aspettarmi che un'altra persona sia a suo agio con me, se io stesso non posso passare del tempo da solo con la persona che amo? Quando non riesco a ritagliarmi del tempo per immergermi nella preghiera e per entrare nel mio mondo interiore e, come raccomanda Gesù, entrare nella stanza e chiudere la porta, non sarò in grado di ascoltare la voce del Padre. Così non imparerò a conoscere e a distinguere i pensieri e i sentimenti dentro di me, cosa così importante per acquisire l'abilità del discernimento spirituale. L'assertività nelle mie decisioni dipende molto dalla conoscenza della diversità dei moti spirituali che si agitano dentro di me. Un altro aspetto del desiderio di rimanere nell'amore di Gesù è quello di crescere nel discernimento spirituale. Un modo per gestire la propria vita, per viverla pienamente, è imparare a discernere tra le voci dentro di me, quali sono quelle dello spirito buono e quelle dello spirito cattivo, e verso dove mi stanno portando, e quelle che sono le mie voci che nascono dalla mia libertà. A volte si incontrano persone che sono estranee a sé stesse. Non sono in grado di capire cosa succede dentro di sé. La riflessione personale, la meditazione o la preghiera sono un modo per comunicare con sé stessi in Dio, per approfondire la propria esistenza e la relazione filiale con il Signore. Mi aiuta ad apprezzare e celebrare i successi, a godere del lavoro svolto, e mi dà anche un'ampia capacità di riconoscere i miei errori e di fare ammenda per gli errori commessi. Quando mi manca la capacità di riconoscere la voce di Dio, che la meditazione o la preghiera invece mi danno, divento estraneo a me stesso o me stessa. Il mio cuore diventa una casa occupata, abitata, usurpata da inquilini invadenti e indesiderati. Quando ho una comunicazione con Gesù all'interno del mio cuore, entro in contatto con la fonte della Sapienza che abita in ogni essere umano. La riflessione, la meditazione e la preghiera mi aiutano a trovare nuove intuizioni o prospettive che mi arricchiscono come persona. Senza comunicazione interiore attraverso la vita alla cieca. La preghiera e il discernimento spirituale mi avvicinano molto al Cuore di Gesù, mi aiutano a posare il mio capo, come il discepolo amato, sul petto del Maestro. Lo psichiatra austriaco Viktor Frankl ha detto che "c'è molta saggezza in Nietzsche quando dice: chi ha una ragione di vita può sopportare quasi tutto". La vicinanza al Cuore di Gesù riempie di significato la nostra vita. Per molte persone la loro vita finisce quando raggiungono i loro obiettivi o realizzano i loro scopi immediati. Quando non si ha un motivo che trascende il tempo e lo spazio, o quando non si ha la disponibilità del cuore a "sentire e gustare" la vita con gli altri, la vita stessa diventa insipida e pesante. Quando le mie motivazioni di vita sono in sintonia con lo scopo di Dio, in sintonia con il Cuore di Gesù, accade qualcosa di diverso. La fede mi dà una

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prospettiva di vita più ampia rispetto agli obiettivi immediati e mi permette di avere una visione creativa della realtà. Per creare ho bisogno di credere. Nel Cuore di Gesù ascolto i desideri, i sogni, le suppliche, le grida di aiuto e di libertà che vengono rivolte al cielo da un'umanità bisognosa di amore e di compassione. La devozione al Sacro Cuore di Gesù, così presente nella nostra fede, non è un invito alla preghiera statica o intimista, ma un impulso alla missione. Ascoltando il Cuore di Gesù non posso rimanere indifferente a ciò che c'è nel Suo cuore. Rimanere nell'amore significa ascoltare la sua Parola, discernere la sua voce e mettersi in moto per collaborare con Lui nella sua missione di compassione per il mondo.

➔ Per approfondire. Risorse. Appendice 3: "Adorazione".

Proposte di Esercizi Esercizio Ti invitiamo a fare il seguente esercizio. Prenditi un po' di tempo per tornare a quei momenti di questo passo sei “Cristo dimora in noi”, per scoprire quelle parole, frasi o immagini che riecheggiano nel tuo cuore. Ciò che è risuonato in te. Renditi conto che sei davanti allo stesso Cristo che ti ha chiamato. Davanti al Cuore di Gesù mi chiedo: "Dove è diretto il mio cuore?" "Dove è fisso il mio cuore? Dove punta, qual è il tesoro che cerca? Perché", dice Gesù, «là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Vangelo secondo Matteo, cap. 6,21). (Papa Francesco, Omelia nella Messa del Sacratissimo Cuore di Gesù, 3 giugno 2016) Pratica della rilettura tematica Vicino al Cuore di Gesù Proponiamo un'esperienza "da cuore a cuore", per imparare a rimanere vicini al Cuore di Gesù. È una pratica per entrare nel silenzio del cuore ed essere attenti alla voce del Signore. Non si ottiene da un momento all'altro, ma con la Sua grazia e la tua disposizione personale sarai in grado di fare dei passi. Imparare a stare con Lui significa prendere l'abitudine di stare lì, con Lui, per amore. Ti diamo alcuni suggerimenti per coltivare "il silenzio del cuore" che aiuta l'incontro. Esercitati e rileggi ogni volta, per vedere se sei riuscito a mettere in pratica questi consigli. Rimanere nella Parola di Dio Il discepolo è colui che cammina dietro, colui che segue il Maestro, ma anche colui

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che rimane fedele alla Parola del Maestro. Il discepolo gusta questa Parola, la mastica giorno e notte, fino a lasciarsi trasformare da essa e a diventare come Lui. Prenditi del tempo per assaporare questa Parola, per gustarla, senza cercare di capirla a tutti i costi, semplicemente lasciandola risuonare in te. Forse non succederà nulla, nulla che illumini il tuo cuore o che tu possa sentire, ma resta vicino a Lui, per amore. La chiave della vita spirituale è "rendersi disponibili" Se mi affretto a meditare un testo evangelico, a parlare con il Signore, a pregare, corro il rischio di ritrovarmi solo con me stesso, in un monologo interiore: io/il testo/io. La prima cosa da fare è "prepararsi", preparare il corpo e il cuore all'incontro. Se non prendo del tempo per essere presente a me stesso, corro il rischio di non essere presente all'altro. Per prima cosa devo prestare attenzione alla mia posizione corporea, alla mia presenza corporea, respirando lentamente e profondamente, e così risvegliarmi gradualmente a un'altra Presenza. Passare dalla testa al cuore In effetti, il problema è che siamo così pieni di noi stessi, del nostro chiacchiericcio interiore, dei nostri pensieri, desiderando con tale fervore di fare bene, che arriviamo al

punto

di

voler

dominare la preghiera stessa e accumuliamo ostacoli.

Fortunatamente, nulla ferma lo Spirito Santo o l'amore! Tuttavia, "rendersi disponibili" può essere d'aiuto. Si tratta di scendere dalla testa al cuore, affinché i pensieri se ne vadano e si stabilisca il silenzio. Il "cuore" è il centro dell'essere umano. Non si tratta solo di emozioni e affetti, ma del centro della vita, da cui proviene e in cui converge tutta la vita spirituale. In altre parole, "il cuore" è l'uomo profondo. Per "passare dalla testa al cuore", dobbiamo prestare attenzione alla nostra posizione corporea. In effetti, si tratta di assumere una posizione corporea che aiuti e permetta di trovare ciò che cerco e desidero. L'obiettivo non è trovare una posizione comoda o una posizione che mi permetta di dimenticare il mio corpo per meditare, ma trovare una posizione corporea che mi renda presente a Colui che è la fonte della vita, il Signore. Entrare nel silenzio Rimanere in silenzio mi permette di ascoltare ciò che non sento più: tutto ciò che prima avevo trascurato, tutto ciò che mi circonda, tutte quelle piccole cose che sembrano senza importanza e attraverso le quali un Altro viene a parlarmi. Nella tradizione spirituale cristiana, infatti, silenzio e ascolto vanno di pari passo. Si tratta, infatti, di permettere al silenzio di approfondire la nascita della Parola dell'Altro. Il silenzio è sempre la promessa di un incontro.

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I Padri del deserto insistono non solo sul silenzio esteriore, il silenzio delle parole, ma anche sul silenzio interiore, il silenzio del cuore. Il silenzio ci rende presenti nel presente. E a poco a poco ci risveglia a un silenzio più profondo, un silenzio che ci viene concesso da Colui che è lì e che desidera incontrarci. Spesso, però, basta rimanere in silenzio perché molti pensieri si agitino dentro di noi. Che cosa dobbiamo fare allora? Per aiutarci a entrare nel silenzio interiore, i maestri spirituali insistono sulla percezione. Si tratta infatti di ascoltare, vedere, toccare, sentire e gustare "Ciò che è" per entrare nella Presenza "di Colui che è". Pregare non è pensare a Dio, lo sappiamo, ma è rendersi presenti a Colui che ci cerca e vuole comunicare con noi. Nel deserto, l'accessorio scompare e si rivela l’essenziale. La percezione, e non il pensiero discorsivo, è il modo di incontrare Colui che è la fonte della vita. Ti invito a ripetere questo esercizio. Fai una passeggiata, prestando attenzione al tuo respiro, al tuo corpo, ai tuoi sensi, e semplicemente sii lì, nella percezione. Se percepisci dei pensieri, va bene, torna alla percezione. Ascolta il silenzio! Anche in mezzo al rumore lo si può sentire. Scoprire il silenzio del cuore significa scoprire la chiave dell'incontro.

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Risorse Allegato 1 La preghiera di Arrupe1: "Signore, insegnami” Signore: meditando sul nostro modo di procedere, ho scoperto che l'ideale del nostro modo di procedere è il tuo modo di procedere. Per questo motivo, fisso i miei occhi su di te (Lettera agli Ebrei cap. 12, 2), gli occhi della fede, per contemplare la tua figura illuminata come appare nel Vangelo. Sono uno di quelli di cui San Pietro dice: "voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa." (Prima Lettera di Pietro cap. 1, 8). Signore, tu stesso ci hai detto: "Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi." (Vangelo secondo Giovanni, cap. 13, 15). Voglio imitarti al punto da poter dire agli altri: "Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (Prima lettera ai Corinzi, cap. 11, 1). Poiché non posso dirlo fisicamente come San Giovanni, vorrei almeno poter proclamare con l'ardore e la saggezza che tu mi concedi, ciò che ho udito, ciò che ho visto con i miei occhi, ciò che ho toccato con le mie mani riguardo al Verbo della Vita; poiché la Vita si è manifestata e io l'ho vista e ne rendo testimonianza (cfr. Prima Lettera di Giovanni cap. 1, 3; cfr. Vangelo secondo Giovanni cap. 20, 25.27; 1, 14; Vangelo secondo Luca cap. 24, 39; Vangelo secondo Giovanni cap. 15, 27). Dammi, soprattutto, il sensus Christi (Prima Lettera ai Corinzi cap. 2, 16) che Paolo possedeva: affinché io senta con i tuoi sentimenti, i sentimenti del tuo Cuore con cui hai amato il Padre (Vangelo secondo Giovanni cap. 14, 31) e gli uomini (Vangelo secondo Giovanni cap. 13, 1). Nessuno ha mai avuto una carità più grande di Te, che hai dato la vita per i tuoi amici (Vangelo secondo Giovanni cap. 15, 13), culminando con la tua morte in croce l'abbassamento totale (Lettera ai Filippesi cap. 2, 7), la kenosi, della tua incarnazione. Voglio imitarti in questa disposizione interiore e suprema e anche nella vita quotidiana, agendo, per quanto possibile, come hai fatto tu. Mostrami il tuo modo di trattare con i discepoli, con i peccatori, con i bambini (Vangelo secondo Luca cap. 7, 16), con i farisei, o con Pilato ed Erode; anche con Giovanni Battista prima ancora che nascesse (Vangelo secondo Luca cap. 1, 41-45) e dopo al Giordano (Vangelo secondo Matteo cap. 3, 17). Come ti sei comportato con i tuoi discepoli, soprattutto con quelli più intimi: con Pietro (Vangelo di Matteo cap. 10, 2), con Giovanni (Vangelo secondo Marco cap. 3, 16; Vangelo secondo Giovanni cap. 19, 26-27) e anche con il traditore Giuda (Vangelo secondo Giovanni cap. 13, 26; 1

Pedro Arrupe s.j., “El modo nuestro de proceder”, (18 de enero de 1979), en La identidad del jesuita en nuestros tiempos, (Santander: Sal Terrae, 1981), 80 – 82

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Vangelo secondo Luca cap. 22, 48). Fammi conoscere la gentilezza con cui li hai trattati sul lago di Tiberiade, preparando loro il cibo (Vangelo secondo Giovanni cap. 21, 9), o quando hai lavato loro i piedi (Vangelo secondo Giovanni cap. 13, 1-20). Che io possa imparare da Te, come fece Sant'Ignazio, il Tuo modo di mangiare e di bere (Vangelo secondo Marco cap. 2, 16; 3, 20; Vangelo secondo Giovanni cap. 4, 8.31-33); come prendevi parte alle feste (Vangelo secondo Giovanni cap. 2, 1; 12, 2); come ti sei comportato quando avevi fame e sete (Vangelo secondo Matteo 4, 2); quando ti sentivi stanco dopo i viaggi apostolici (Vangelo secondo Giovanni cap. 4, 6), quando dovevi riposare e dare tempo al sonno (Vangelo secondo Marco cap. 4, 38). Insegnami ad essere compassionevole verso coloro che soffrono; verso i poveri, i lebbrosi, i ciechi, i paralitici (Vangelo secondo Matteo cap. 9, 36; 14, 14; 15, 32; 20, 34; Vangelo secondo Luca cap. 7, 13); mostrami come hai mostrato le tue emozioni più profonde fino a versare lacrime (Vangelo secondo Luca cap. 19, 41; Vangelo secondo Giovanni cap. 11, 33,35,38); o quando hai provato quell'angoscia mortale che ti ha fatto sudare sangue e ha reso necessaria la consolazione dell'angelo (Vangelo secondo Matteo cap. 26, 37-39). E, soprattutto, voglio imparare come hai manifestato il tuo dolore massimo sulla croce, sentendoti abbandonato dal Padre (Vangelo secondo Matteo, cap. 27, 46). Questa è l'immagine di te che contemplo nel Vangelo: un essere nobile, sublime, amabile, esemplare; che aveva una perfetta armonia tra vita e dottrina; che faceva esclamare ai tuoi nemici: "sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno" (Vangelo secondo Matteo cap. 22, 16); quel modo virile, duro con se stessi, con privazioni e fatiche (Vangelo secondo Matteo cap. 8, 20); ma verso gli altri pieno di bontà e amore e desiderio di servirli (Vangelo secondo Matteo cap. 20, 28; Lettera ai Filippesi cap. 2, 7). Eri duro, è vero, per chi aveva intenzioni malvagie; ma è anche vero che con la tua gentilezza attraevi le folle al punto che si dimenticavano di mangiare; che i malati erano sicuri della tua misericordia nei loro confronti; che la tua conoscenza della vita umana ti permetteva di parlare in parabole alla portata degli umili e dei semplici; che andavi in giro a fare amicizia con tutti (Vangelo secondo Giovanni cap. 15, 15), soprattutto con i tuoi amici preferiti, come Giovanni (Vangelo secondo Giovanni cap. 13, 23; 19, 26) o la famiglia di Lazzaro, Marta e Maria (Vangelo secondo Giovanni cap. 11, 36); che tu sapessi riempire di gioia serena una festa familiare, come a Cana (Vangelo secondo Giovanni cap. 2, 1). Il tuo costante contatto con il Padre in preghiera, prima dell'alba o mentre gli altri dormivano (Vangelo secondo Matteo cap. 26, 36-41) era un conforto e un incoraggiamento a predicare il Regno. Insegnami il tuo modo di guardare, come hai guardato Pietro per chiamarlo (Vangelo

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secondo Matteo, cap. 16, 18) o per risuscitarlo (Vangelo secondo Luca, cap. 22, 61); o come hai guardato il giovane ricco che non si decideva a seguirti (Vangelo secondo Marco, cap. 10,21); o quando guardavi con benevolenza le folle che si accalcavano intorno a te (Vangelo secondo Marco, cap. 10, 23; 3, 34; 5, 31-32); o con rabbia quando i tuoi occhi erano fissi sugli insinceri (Vangelo secondo Marco, cap. 3, 5). Vorrei conoscerti così come sei: la tua immagine su di me sarà sufficiente a cambiarmi. Il Battista fu sopraffatto dal suo primo incontro con te (Vangelo secondo Matteo cap. 3, 14); il centurione di Cafarnao è sopraffatto dalla tua bontà (Vangelo secondo Matteo cap. 8, 8); e un sentimento di stupore e meraviglia pervade coloro che assistono alla grandezza delle tue meraviglie (Vangelo secondo Matteo cap. 8, 27; 9, 33). Lo stesso timore invade i tuoi discepoli (Vangelo secondo Marco cap. 5, 15; 7, 37; Vangelo secondo Luca cap. 4, 36; 5, 26; Vangelo secondo Marco cap. 1, 27; Vangelo secondo Matteo cap. 13, 54); e le guardie nell'Orto cadono in preda alla paura (Vangelo secondo Giovanni cap. 18, 6). Pilato si sente insicuro (Vangelo secondo Giovanni cap. 19, 8) e sua moglie è spaventata (Vangelo secondo Matteo cap. 27, 19). Il centurione che ti vede morire scopre la tua divinità nella tua morte. Vorrei vederti come Pietro, quando, sopraffatto dallo stupore dopo la miracolosa cattura dei pesci, prende coscienza della sua peccaminosità in tua presenza (Vangelo secondo Luca, cap. 5, 8-9). Vorrei sentire la tua voce nella sinagoga di Cafarnao (Vangelo secondo Giovanni cap. 6, 35-39), o sul monte (Vangelo secondo Matteo cap. 5, 2), o quando ti rivolgevi alle folle insegnando con autorità (Vangelo secondo Matteo cap. 1, 22; 7, 29), un'autorità che poteva venirti solo dal Padre (Vangelo secondo Luca cap. 4, 22, 32). Concedici di imparare da Te nelle grandi e nelle piccole cose, seguendo il tuo esempio di totale abbandono all'amore per il Padre e per gli uomini, nostri fratelli e sorelle, sentendoci molto vicini a Te, perché sei sceso fino a noi, e allo stesso tempo così lontani da Te, Dio infinito. Donaci questa grazia, donaci il sensus Christi, perché animi tutta la nostra vita e ci insegni - anche nelle cose esteriori - a procedere secondo il tuo spirito. Insegnaci il tuo modo perché sia il nostro modo oggi e perché possiamo realizzare l'ideale di Ignazio: essere tuoi compagni, alter Christus, tuoi collaboratori nell'opera di redenzione. Chiedo a Maria, tua Madre Santissima, dalla quale sei nato, con la quale hai vissuto per trentatré anni e che ha contribuito tanto a plasmare e formare il tuo modo di essere e di agire, di formare in me e in tutti i figli della Compagnia, tanti Gesù come voi. Pedro Arrupe S.J. (18 gennaio 1979)

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Allegato 2 Il nostro modo di essere «Gesù disse: "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità". Natanaèle gli domandò: "Come mi conosci?". Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico". » (Vangelo secondo Giovanni 1,47-48). Essere autentici Si sente dire di una persona che è autentica o falsa quando "ciò che dice corrisponde a ciò che fa". Tuttavia, si tratta di una valutazione molto parziale. Ad esempio, una persona potrebbe dire che è d'accordo con le droghe e che si droga. In questo modo, fa quello che dice, ma è fuori asse. L'autenticità di cui parliamo non è una coerenza puramente esteriore, ma un processo interiore di essere agli occhi di Dio ciò che siamo: suoi figli, e di vivere secondo questa identità. In una società in cui le false aspettative degli altri ci cadono addosso come un blocco di cemento, affermare di essere "autentici" o di essere "sé stessi" può essere un compito difficile. Tuttavia, siamo chiamati ad esserlo. Non siamo prodotti in serie, ma originali. Semmai siamo "vere copie", a immagine di Dio e destinate ad assomigliarGli. Una persona autentica è quella che ha il proprio "carisma" e che vive senza doppiezza. In questo senso, per essere autentici c'è una condizione fondamentale ed è quella di conoscere e accettare sé stessi. Pertanto, l'autenticità fa parte di un processo spirituale in cui impariamo a "sentire e conoscere le varie mozioni che si producono nell’anima " [Libro degli Esercizi Spirituali n. 313]. Per vivere in modo autentico dobbiamo acquisire, attraverso il discernimento spirituale, la capacità di scoprire l'azione dello Spirito di Dio in noi e di seguirla. È un processo dinamico che si acquisisce attraverso l'esame delle nostre "mozioni interiori", cioè attraverso la conoscenza dei movimenti affettivi interni, composti da pensieri e sentimenti. Perché è importante intendere l'autenticità in questo modo? Perché con l'intenzione di aiutare le persone a essere "sé stesse" e a trovare la "loro missione" nella vita, non teniamo conto che possiamo cadere nell'errore di credere che l'autenticità sia esprimere i propri pensieri e sentimenti senza ulteriori indugi, e dire tutto ciò che "passa per la mente e il cuore" semplicemente. Siamo caduti nella tirannia della libera espressione e abbiamo esasperato l'individualità rispetto al bene comune, dimenticando che una persona autentica è quella che riesce a prendere le distanze anche dai propri pensieri e sentimenti, liberarsi dalle proprie opinioni per cercare e trovare la Volontà di Dio che, come Padre di tutti, ci rende tutti fratelli e sorelle.

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Essere benevoli È vero che viviamo in un'epoca in cui la bontà è apprezzata da tutti, ma il potere sembra essere al di sopra di tutto. Chi esercita l'autorità e lo fa con potere è considerato una persona forte e un leader, mentre chi è buono e gentile è spesso visto come debole, fragile e persino privo di carattere. Non è facile essere benevoli in un mondo che sembra avere a cuore la "legge del più forte" o che sancisce la violenza come mezzo per esprimere sé stessi e le proprie rimostranze. A prescindere da questa realtà, possiamo scegliere se rafforzare la durezza della società con il nostro atteggiamento, con un linguaggio duro e offensivo, o se sforzarci di trasformarla esprimendo la bontà che vive in noi. La bontà non è una realtà eterea, ma è intimamente legata a una capacità che è insita in noi e che sviluppiamo esercitandola prima di tutto con noi stessi. Come? Ci sono persone che si trattano duramente, che si arrabbiano molto facilmente, che sono in una costante "battaglia campale" con sé stessi e che si puniscono duramente perché non riescono a raggiungere l' "ideale di sé" che hanno. Questo ideale, costruito sulle aspettative che gli altri hanno riposto su di noi, ci porta a comportarci in modo aggressivo quando non riusciamo a realizzarlo. Per sviluppare la bontà che è insita nella nostra natura, perché siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, dobbiamo iniziare a credere nella bontà che è in noi, nonostante gli errori, gli sbagli e i fallimenti. Quando impariamo a essere buoni con noi stessi, imitiamo la bontà di Dio, che non giudica, ma apre strade di riconciliazione e conversione. È questa bontà che possiamo praticare con noi stessi che ci permette di mostrarla poi agli altri. Dobbiamo credere che essa abita negli altri, nonostante i loro fallimenti, i loro errori e i loro sbagli. È vero che è difficile vederla nelle azioni e nelle parole di chi si comporta in modo offensivo o aggressivo, ma se consideriamo che anche noi a volte agiamo in questo modo, possiamo toccare con mano la bontà degli altri al di là delle apparenze. Quando parliamo al cuore benevolo che esiste in ogni essere umano, a volte nascosto dietro una corteccia di indolenza e apatia, la persona diventa consapevole della sua bontà interiore e le dà spazio. Se affronto i suoi errori, se critico i suoi fallimenti, se condanno i suoi errori, non farò altro che rafforzare la mia durezza di cuore e l'altra persona troverà una giustificazione sufficiente per continuare ad agire con violenza.

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Essere empatici Una delle esperienze più belle nei rapporti umani è quando, parlando con qualcuno, si ha la sensazione che questo ti ascolti, ti capisca e sembri addirittura mettersi nei tuoi panni. Al contrario, una delle esperienze più frustranti è quella di non capire qualcuno, anche quando si parla la stessa lingua. Attraverso l'empatia mi pongo molto al di là di chi finge di capire ciò che una persona sta cercando di dire. Mi metto alla soglia del suo mistero, alla porta della sua anima, in modo che sia il mio io interiore ad ascoltare il suo essere che si esprime. Quando ci si pone davanti agli altri semplicemente "essendo", senza l'intenzione di interpretare alcun ruolo, l'essere dell'altro trova una porta aperta per esprimere il suo mistero con chiarezza e bellezza. L'empatia ravviva l'anima e la libera dalla paura del giudizio per avvolgere con le parole giuste il suo mistero che, proprio perché è intimo e personale, porta sempre con sé un barlume di timidezza. Per entrare in empatia con gli altri dobbiamo essere pienamente presenti. Questa è la prima condizione. Libero dall'ego, posso essere una persona più empatica con gli altri? Posso imparare ad essere così? Ci sono persone che sono empatiche per natura, ma è un atteggiamento che si può anche imparare. Prima di tutto, bisogna rinunciare a giudicare gli altri e a non rilevare i loro errori e le loro mancanze. In secondo luogo, dobbiamo scegliere di salvare la bontà nel cuore degli altri e credere che, aiutando a creare le giuste condizioni, la capacità dell'altro si svilupperà. In terzo luogo, dobbiamo comprendere l'altro e capire quando è meglio aiutarlo e quando è meglio lasciare che impari dalle proprie esperienze. Non pretendere di essere indispensabile per gli altri e non cercare di essere nel " centro di assistenza clienti ". Quarto, aiutare gli altri, senza cercare conferme o approvazioni, ma con la convinzione interiore che nasce dal discernimento spirituale. Dobbiamo evitare di sovraccaricare gli altri con il nostro "aiuto" e liberarci dal vortice di risolvere i problemi degli altri "sapendo di non essere Dio".

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Allegato 3 Adorazione «Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, quanto più voi, gente di poca fede! Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l'animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta.» (Vangelo secondo Luca 12:27-31) Adorazione significa santificare il tempo La nostra cultura, così fortemente segnata da orari, agende e impegni, si è distaccata dall'adorazione come atteggiamento interiore di apertura alla trascendenza. Questo distacco ha reso le nostre faccende quotidiane, le nostre relazioni e tutto ciò che facciamo molto pragmatici. Ci ha reso insensibili alla bellezza. La superficialità, frutto del pragmatismo in cui viviamo, ci ha privato della profondità. Possiamo chiederci senza vergogna: come può l'adorazione essere un atteggiamento che ci permette di vivere una vita buona e più piena? L'adorazione è sia un invito che un'opportunità di "essere". Apre la possibilità al Signore di abitare nella nostra esistenza e di riempire la vita di senso, con un significato rinnovato. Ci dà accesso a una diversa comprensione delle esperienze di ogni momento. "L'adorazione significa che permetto a qualcosa di essere grande. Oggi tendiamo a rendere tutto piccolo per sentirci noi più grandi. Non vogliamo accettare nulla di più grande di noi." Di fronte alla forte tendenza a vivere nella superficialità che il pragmatismo è riuscito a instaurare nella vita di oggi, l'atteggiamento di adorazione insegna a santificare il tempo. Offre la possibilità di scoprire la bellezza che esiste nelle cose, nelle persone e negli eventi. Ogni momento è carico di significato. C'è una chiamata particolare. Ed è da una speciale sensibilizzazione interiore che diventiamo consapevoli di quella Voce che risuona in ciò che esiste e che permette al nostro sguardo su ciò che esiste di penetrare la corteccia della realtà per arrivare più in profondità e connetterci con Colui che è il Creatore di tutte le cose e il Vasaio dell'umanità. La nostra vita, quando è attraversata dall'atteggiamento di adorazione, cessa di essere una tela su cui scarabocchiare le nostre conclusioni sulla nostra vita e sulla

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nostra storia, per lasciare spazio alla luce del Signore, che ci aiuta a comprendere l'intreccio dei fili di cui è intessuta la storia. Quando riconosciamo che le nostre percezioni

hanno

un

limite temporale, facciamo spazio all'adorazione, alla

contemplazione, all’unione con Colui che ci trascende. L'adorazione è essere liberi dal proprio essere L'adorazione richiede umiltà, in tondo, prostrazione. È un atteggiamento primordiale a cui spesso resistiamo perché ci piace vivere credendo di essere i proprietari e l'origine di tutto. Vogliamo decidere su tutto. Dobbiamo stare attenti a non credere che l'adorazione sia una sorta di espediente per chiedere o ottenere qualcosa dal Creatore. Non è controllato da noi. L'adorazione non ha questo scopo, né cerchiamo di giocare a braccio di ferro con la Sua volontà. Nell'adorazione ci inchiniamo davanti a Dio perché Dio è il Signore. Non dobbiamo nemmeno cercare qualcosa di "speciale" attraverso l'adorazione, nessuna bella sensazione, nessuna serenità, nessuna calma. Nell'adorazione non parlo di me o dei miei problemi. Mi prostro semplicemente davanti a Colui che mi crea perché è il mio Signore, è il mio Creatore. Durante l'adorazione smetto di "girare intorno a me e ai miei problemi e cerco di guardare solo al Signore mio Dio. Mi dimentico di me stesso, perché Lui mi ha assorbito completamente, perché solo Lui è importante per me". La cosa meravigliosa dell'atteggiamento di adorazione è che, dimenticando me, mi metto davanti a Dio, pienamente presente, pienamente autentico, pienamente me stesso. Non mi preoccupo di nessun problema o di nessuna persona. Lascio che Dio mi riempia completamente, mi inondi e mi abiti. "L'adorazione nasconde anche un desiderio profondo: essere finalmente libero da me stesso, libero dal continuo girare intorno a me, dalla smania di riferire tutto a me, di voler avere ovunque qualcosa per me. Nel dimenticare me stesso, sono completamente libero, Dio mi assorbe interamente. I miei problemi non sono più importanti, né il mio senso di colpa, né il mio stato mentale. Solo lui conta." Accettare sé stessi è una grazia meravigliosa, ma riuscire a dimenticare sé stessi è la grazia delle grazie. Dimenticandomi di me stesso, mi libero di tutto affinché il Creatore dimori in me. L'adorazione è un rapporto esclusivo con Dio L'atteggiamento di adorazione ci mette in relazione diretta con Dio, con la sua opera, con la sua trascendenza e allo stesso tempo con la sua vicinanza e presenza costante. Davanti a un tramonto, ad esempio, mi dimentico di me stesso perché mi dedico alla contemplazione. Ci si sente così catturati da quella bellezza, commossi,

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assorbiti dai suoi colori, da dimenticare sé stessi. Ci fa bene smettere di essere un po' un "riferimento" per tutto, per prestare attenzione a Dio e agli altri. "C'è un antico desiderio in noi di dimenticarci per una volta di noi stessi e di inchinarci semplicemente davanti a qualcosa di più grande di noi; di essere completamente commossi da Dio, dalla bellezza della creazione, di un'immagine, di un concerto... Adorare significa inchinarsi davanti a qualcosa di più grande. E questo qualcosa di più grande lo troviamo non solo in Dio, ma in tutto ciò che è bello, vero e buono". Quando lasciamo che qualcosa ci commuova davvero, nel profondo, dimentichiamo di ripiegarci su noi stessi. Siamo semplicemente lì. E quella realtà, presenza o evento, che intravediamo attraverso l'atteggiamento di adorazione, è in definitiva una relazione profonda con Dio. "Sono semplicemente lì. Questo è il significato di adorazione: essere semplicemente davanti a Dio e in Dio, ma nell'atteggiamento di prostrazione, di devozione, che non pensa ad altro che a ciò che osserva". L'adorazione eucaristica aiuta a far svanire le preoccupazioni e i problemi che mi affliggono. Se riesco a dimenticare me stesso, divento calmo. Il tira e molla di pensieri e sentimenti si interrompe. Quando smetto di pensare a me stesso, arrivo finalmente dove vorrei sempre essere: alla presenza di Dio. È come sentirsi a casa alla fine di una lunga giornata. "L'adorazione è l'esperienza di essere a casa. Quando ci prostriamo davanti al mistero di Dio, siamo veramente arrivati. Allora la nostra anima si rassicura, sentiamo che il nostro desiderio più profondo è stato soddisfatto, che abbiamo finalmente trovato qualcosa davanti a cui inchinarci. Perché l'uomo cerca per tutta la vita ciò che unisce tutte le sue forze e soddisfa tutti i suoi desideri e bisogni". Adoriamo con tutto il corpo Quando adoriamo Dio ci inchiniamo, ci inginocchiamo o ci sediamo davanti a Lui, offrendogli la nostra anima e le nostre mani aperte. "L'adorazione significa che sono completamente concentrato su Dio, che non c'è più in me alcuno spazio privato in cui ritirarmi per concentrarmi e sognare ad occhi aperti". Ci sono cristiani che pregano con il cuore chiuso e imprigionano l'anima nei loro pensieri e nelle loro preoccupazioni. Riducono la loro vita e le loro preghiere ai propri pensieri, richieste, lamentele, ecc. "L'incontro con Dio nell'adorazione ha lo scopo di aprire tutti gli spazi chiusi in me e far entrare lo sguardo amorevole e vivificante di Dio.” L'adorazione non sembra essere un atteggiamento in grado di cambiare il mondo. Eppure, è proprio l'adorazione, in cui mi dimentico di me stesso, il luogo in cui posso

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guardare il mondo con occhi diversi. Questo diventa evidente nell'adorazione eucaristica, così come viene praticata nella tradizione cristiana. Contempliamo l'ostia, il pane trasformato in cui vediamo Cristo stesso. Contemplando l'ostia, guardiamo il mondo intero con occhi nuovi. Il mondo intero è permeato da Cristo. L'adorazione, come gesto umano primitivo, caratterizza non solo il nostro rapporto con Dio, ma anche quello con noi stessi, con le persone e con il mondo. È anche l'atteggiamento del lasciar fare. Lascio che Dio sia Dio, che l'uomo sia uomo e che la natura sia natura. Rinuncio a valutare o a cambiare tutto. Lasciando che l'uomo sia così com'è, gli permetto di crescere, di diventare ciò che è per natura. Lasciando che la natura sia così com’è, le permetto di fiorire e di diventare una benedizione per me. L'adorazione è quindi un atteggiamento di cui c'è grande bisogno proprio oggi, in un momento in cui sfruttiamo e cediamo tutto alla tirannia del denaro. L'adorazione è l'atteggiamento di liberazione interiore da noi stessi e dalla nostra avidità di voler usare tutto per noi. Se con questo atteggiamento di libertà andiamo incontro alle persone e alla creazione, non solo la vivremo in modo diverso. Sperimenteremo anche che tutto fiorisce intorno a noi".

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Passo 6 I CRISTO DIMORA IN NOI

INDICE PASSO 6 CRISTO DIMORA IN NOI

5

Schema per orientare il passo

6

Quadro di riferimento

6

Dinamica interna del passo

6

Preghiera e Parola di Dio

6

Nascere alla vita nello Spirito

7

Vicino al Cuore di Gesù

8

Entrata dalla Prospettiva Biblica

10

Entrata dalla Prospettiva della Fede

14

In Cristo, con Cristo, in missione

15

Entrata dalla Prospettiva Spirituale

18

La vita nello Spirito

19

Decidersi per Cristo

20

Essere docili allo Spirito

20

L'amore nei fatti

21

La nostra sensibilità definisce

21

Entrata Tramite le Parole del Papa

24

Entrata dalla Prospettiva della Preghiera

27

Rimanere nell'amore Proposte di esercizi

28 30

Esercizio

30

Pratica della rilettura tematica

30

Vicino al Cuore di Gesù

30

Risorse

33

Allegato 1

34

La preghiera di Arrupe: "Signore, insegnami"

34

Allegato 2

37

Il nostro modo di essere

37

Allegato 3

40

Adorazione

40

INDICE

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