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CittadinoNews|marzo/aprile 2015 | anno 4 n. 2 | distribuzione gratuita | portalecittadino.it|Cultura&Società
Selfie, selfie delle mie brame…
“In questi giorni leggevo di un particolare Corso di Selfie inserito in un piano di studi di Laurea Magistrale. Mi son detto: perché non indagare e fornire un articolo più divertente che al contempo sfiori il social ma non sfori dall'argomento Arte?”
Michele Carucci
pag. 8
Ragazzi in Gamba a pag. 14
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L’editoriale di Vladimiro D’Acunto
sommario sociale
4 > Vola, colomba bianca, vola 6 > Fenomenologia di Ikea. Una cattedrale dell’iperconsumismo economia
«La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!» A. Spinelli – Manifesto di Ventotene Il numero di questo mese contiene un’importante novità. La rivista CittadinoNews si arricchisce di una nuova pagina e, contestualmente, di un servizio da offrire alla pubblica utenza: la pagina Glocal srl. Una sezione dedicata alle attività e ai servizi gratuitamente offerti da un ente di formazione e di progettazione operante sul territorio salernitano (Battipaglia). In particolare, la nuova sezione intende essere un ponte di comunicazione tra le opportunità, le azioni e i programmi offerti dall’Unione Europea e i fruitori della rivista (con specifico riferimento all’utenza giovanile: studenti, neodiplomati, laureati, etc.). L’Unione Europea è (o dovrebbe essere) un’occasione di crescita culturale, professionale e personale e il CittadinoNews, nella convinzione dell’importanza di strumenti e programmi quali Erasmus +, Europa Creativa, Horizon 2020 e tanti altri, incentiverà la diffusione e la divulgazione di informazioni, news e bandi a riguardo, dedicandosi a un nuovo “capitolo” di questo ormai lungo racconto in compagnia dei lettori: la mobilità europea. Inoltre sul sito www.portalecittadino.it si inserirà una nuova sezione denominata “EU Gate” contenente le info relative alla programmazione europea e i relativi bandi. Cogliamo l’occasione per augurare a tutti i lettori di trascorrere serene festività pasquali.
7 > Il Marketing Referenziale e il Punto del Baratro CULTURA
8 > Selfie, selfie delle mie brame storia
9 > Cos’è l’Estremo Oriente 10 > La storia vittima dell’isis EU GATE
11 > Gilocal musica
13 > La notte anche di giorno. La coscienza di Zeno EVENTI
14 > Ragazzi in Gamba 2015 enogastronomia
15 > Margarita
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Cittadino News - anno 4 n. 2 - distribuzione gratuita - Supplemento a: «OZZZIUM - Pillole di buon umore» Reg. Trib. di Salerno - Registro Stampa Periodica al n° 1121/2003 - Editore: SILVER STAR s.a.s. Redazione, Grafica e Stampa: IMAGE SERVICE di Cicatelli A. Direttore Responsabile: De Rosa Giancarlo Vice Direttore: Vladimiro D’Acunto Art Director: Danilo D’Acunto, Tony Cicatelli Redazione: Emiliano Abhinav Boccia Orizzonte, Michele Carucci, Alfonso Cesarano, Ivan Cibele, Alfonsina Citro, Carmine Cuomo, Giulio D’Ambrosio, Chiara De Rosa, Armando Falcone, Rosa Fenza, Lazzaro Immediata, Grazia Imparato, Fausto Mauro, Roberta Mordanini, Antonella Viola, Pierluigi Zaccaria. Indirizzo: C.so Vittorio Emanuele, 384 - Montecorvino Rovella (SA) tel 338 9092107 - cittadinonews@gmail.com
Le immagini raffiguranti i loghi e i marchi delle aziende appartengono ai rispettivi proprietari. Parte delle foto presenti sono state prese da internet, quindi valutate di pubblico dominio. La collaborazione al periodico “CittadinoNews” è a titolo completamente gratuito. L’Editore è proprietario di tutti gli articoli ricevuti anche se non pubblicati.
VOLA, COLOMBA BIANCA, VOLA sociale
I
l giorno 21 marzo papa Francesco arriva a Napoli. Plana dall’alto e atterra a Scampia, come una colomba bianca pronta a portare il suo ramoscello d’ulivo. E lo va a portare proprio in quella terra di nessuno (o meglio, della camorra) dove spaccio di droga e violenza sono le dure realtà con cui tante persone la cui sola sfortuna è quella di essere nate nel posto sbagliato – devono convivere. Ma adesso è arrivato il papa: il papa è un simbolo forte, profondo; una sua parola può riempire pagine e pagine di giornali e ora ha l’occasione di lanciare il suo urlo gentile contro la criminalità organizzata. Ho ancora in mente la rabbia e la fermezza con cui Giovanni Paolo II lanciò un anatema carico di sdegno contro i mafiosi in un ormai famoso 9 maggio 1993 dalla valle dei Templi di Agrigento. “La mafia non può calpestare questo diritto santissimo di Dio” (quello di non uccidere), tuonava il polacco vestito di bianco. Parlava all’indomani dei due attentati che hanno sconvolto l’Italia e
intanto dimenava il pugno, accigliato, e chiamava i colpevoli con il loro n o m e : m a f i o s i . “ Lo d i c o a i responsabili, convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”, da un lato brandiva il crocifisso, dall’altro un dito puntato – come quello che fra Cristoforo puntò contro Don Rodrigo – e da dietro il vescovo che lo accompagnava sul palco pareva quasi sbiancare, forse per l’audacia, forse la paura. Ce l’ho in mente – come
dicevo – la scena, e spero tanto di rivederla adesso, con questo nuovo vicario di Cristo. “La corruzione spuzza”, dirà il vicario. “Spuzza”. Giusto questo si riesce a dire nel quartiere che ha visto (e vede) morti e feriti per mano della
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sociale di Danilo D’Acunto
camorra. Una parola amabilmente storpiata come se fosse uno Stanlio o un Ollio a pronunciarla. Tanto basta. Penso a Giancarlo Siani, ad Annalisa Durante e tutte le altre vittime della camorra; la vita che hanno dato, il futuro che hanno perso, vengono equilibrati da una battutina: una risata li ha seppelliti, insomma. Battutine che papa Francesco non ha risparmiato sin da subito, da quando dice che il cardinale Crescenzio Sepe – arcivescovo di Napoli – lo ha “minacciato” pur di farlo venire qui. Che poi Sepe io aspettavo di vederlo più dello stesso papa, perché due giorni prima “le iene” (il programma televisivo di Italia 1) aveva mandato in onda un servizio in cui gli si chiedeva di mettere in regola due lavoratori della Curia di Napoli che da sette anni lavoravano senza contratto (soprattutto in virtù di una recente condanna che il papa stesso ha fatto nei confronti del lavoro nero che ha giustamente definito un “peccato gravissimo”). Nel video, Sepe si limita a non rispondere e sgattaiola via
sociale dall’intervistatore (vi invito caldamente a recuperare l’intervista sul web). Come minimo mi sarei aspettato una reazione, una tiratina d’orecchie, un segnale forte che la Chiesa aveva l’opportunità di lanciare. Invece niente, il lombrosiano Sepe non ha l’opportunità di sbiancare così come è capitato al vescovo di cui sopra, sul palco di Agrigento. Anzi no, forse un momento in cui ha sbiancato c’è stato. E’ successo quando lui e il papa erano nel duomo della città e d’improvviso un macchiettistico e farsesco gruppetto di monache di clausura – boccaccesche più che mai – si è assiepata intorno a Francesco riempiendolo di regali e attenzioni. E io qui non posso non riportare parola per parola la reazione del cardinale a questo spettacolino cabarettistico: “eccole qua” esordisce all’entrata delle sorelle, e quando vede l’entusiasmo con cui circondano il papa esclama “ue, ue, dopo, dopo… ueeee, arò iati?! Dopo! Mann… uarda ‘cca… ma comm’è u fatt’? Sorelle, dopo… po’ riceno… uarda, uarda… e cchest’ so ‘i clausura, figuriamoci quelle di non clausura, che cosa succ…! Allora, allora… aeee, e chelle so’ mangian’, ‘natu ppoc’! Te’, te’… sorelle, sorelle… tenimm’ cche ffa…! Sorelle… ia, ia… mannaggia ‘a cchella, è semp’ essa, oh! Chella… chella… chella… oh, semp’ essa…!”. E su queste ultime battute, il video – che potete trovare tranquillamente sul web – finisce. Classico velo pietoso, suppongo. Nel duomo frattanto il sangue magico di San Gennaro si scioglie in parte. E’ un miracolo. Fuori dalla chiesa, un giornalista del tg di “TV 2000” (edizione delle 18:30 del 21 marzo) intervista un passante chiedendogli un’opinione sul papa: “mi auguro che la venuta del santo padre a Napoli ci toglie un po’ di disoccupazione” dice infatti al microfono, avendo a quanto pare le idee più lucide e chiare rispetto alla stampa (e alla Chiesa stessa, direi) “chist’ è u miraculo ca vuless’ ‘a San
Gennaro. I giovani stanno in mezzo alla strada”. Evidentemente la risposta non convince il giornalista che incalza con “c’è stata anche la liquefazione del sangue di San Gennaro. C’è stata un’esplosione quasi come un goal della squadra…”. Il passante, quasi accorgendosi del patetismo di una tale affermazione, interviene e precisa: “… a metà, non tutto. Tra tutti i papi che sono venuti, la metà l’ha avuto Francesco, e sono contento. Però la disoccupazione dei nostri figli è molto grave”. Grande lezione di giornalismo e di vita. Imparassero, l’intervistatore e il papa stesso, da questo signore: non serve ciancicare di bontà e carità a platee da intrattenere un quarto d’ora in una mondanità salottiera per far sì che la Chiesa faccia davvero il suo mestiere. Bisogna che essa scenda nelle strade e mastichi la polvere degli ultimi e dei disgraziati, che a Napoli abbondano e chiedono aiuto. Bisogna che la Chiesa impari da Don Giuseppe Diana che nelle sue omelie indicava la colpa della camorra – a sua volta nata dalla colpevole assenza dello Stato – e per questo ammazzato da cinque proiettili nella sua stessa sacrestia, poco prima di dire messa. Questa è la Chiesa di cui Napoli ha disperato bisogno, invece stavolta si è vista una Chiesa fatta di siparietti, di superficialità, di astuto
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sociale di Danilo D’Acunto
intrattenimento, di pizza, incenso e mandolino. In piena coscienza, mi sento di dire con assoluta serenità che non bisogna prendere esempio da questo modo di intendere la religione: è il peggiore, è quello ipocrita, quello che tace e che acconsente. Che dice e non dice, vestito di nuovo e svestito di vero. Che magari condanna le pistole, ma non si mette mai nella traiettoria tra queste e le loro vittime. E’ volata sino a Scampia, la colomba bianca. E dal lungomare Caracciolo è volata via. Ha sbattuto un po’ le ali, fatto cadere qualche piuma e poi ha spiccato il volo. La Chiesa che è arrivata a Napoli si è adeguata ai suoi costumi: invece di concludere la predica con l’ostia e il vino, ha preferito finirla con tarallucci e vino.
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sociale
FENOMENOLOGIA DI IKEA UNA CATTEDRALE DELL’IPERCONSUMISMO
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sociale di Chiara De Rosa
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in dal giorno in cui il progetto di ammobiliare casa si è allontanato da quello di “accendere” un mutuo, molti sono stati – anche solo guardando alla nostra zona – i magazzini che si sono riempiti di cucine e camerette laccate di ogni colore e riempite di truciolato. Come primule delicate, le aziende che si sono inserite in questo segmento di mercato appena arrivata la primavera, non sono riuscite a durare che una stagione. Alcune sono state addirittura recise dai loro stessi produttori, che si sono ritrovati non raramente nei guai col fisco per la poco lecita facilità con la quale hanno tosato i loro prati sul terreno nazionale. La storia di Ikea è invece diversa. Già dal lontano 1989 il leader mondiale del prêt-à-meubler si è inserito nel nostro territorio, dove ora conta 21 “negozi”. Gli svedesi lo fanno meglio? No, la forza di Ikea non è tanto quella di essere amica del portafogli, quanto piuttosto, con maggiore energia, quella che tecnicamente si chiama marketing emozionale. I cosiddetti “negozi Ikea”, infatti, non sono affatto dei magazzini pieni di mobili, che costano poco solo perché te li devi montare da solo, una volta arrivato a casa: sono delle vere e proprie cattedrali del consumo moderno (il negozio Ikea più grande del mondo, appena fuori Stoccolma, conta 55.200 m2, più del doppio della basilica di S. Pietro in Vaticano), dove oltre ad acquistare arredamento, si può “consumare” in mille e uno altri modi. Andare in un negozio, o meglio, in una cattedrale Ikea, è una vera e propria “esperienza”, un “pellegrinaggio” che porta via delle ore e che non è per niente legato al momento dell’acquisto di una casa, come lo era fino a pochi anni fa. In più, la “nomea” con la quale Ikea è entrata nel nostro immaginario (mobili economici da montarsi da soli) è soltanto un’immagine superficiale: i servizi post-vendita sono tutt’altro che
trascurati dal colosso svedese e l’assortimento propone anche arredi e complementi d’arredo di qualità maggiore. Il marketing emozionale, di grande successo non solo in Ikea, è in realtà il presente di un percorso storico di mercificazione di lunga data. Sin dagli anni del boom le imprese hanno cominciato a produrre sempre di più e non hanno smesso di crescere anche quando la domanda si è assestata. A quel tempo è diventato necessario “farsi riconoscere” dai clienti, distinguersi dalla concorrenza, essere più profittevoli (o profittatori?) degli altri: è così che è nato il marketing e da allora non ha fatto altro che crescere di importanza, a livello strategico dell’impresa. La sua espressione più appariscente è senza dubbio quella della pubblicità, che è un sofisticatissimo strumento di induzione al consumo sfrenato; uno strumento che già “ha stancato” i più bersagliati, i quali non hanno più bisogno di “prodotti”, ma di “sensazioni”. Il ruolo del marketing emozionale è proprio quello di dare soddisfazione a questo bisogno. Dunque non si tratta né di un “potere
magico” né di una ideologia spendacciona svedese. Le persone sono sempre più impegnate a lavorare (non per combattere la crisi, ma per essere in grado di consumare sempre di più) e non hanno più tempo per gli acquisti: scelgono pertanto sempre più spesso l’e-commerce, che non ha orari di apertura, non richiede spostamenti e consegna direttamente a domicilio. Comprare online, però, significa anche rinunciare al contatto diretto: è per questo che Ikea ci permette di sdraiarci sui suoi letti, è per questo che possiamo giocare con le console nei negozi (o cattedrali) di elettronica, ed è sempre per questo che anche le librerie più grandi ci permettono di sederci a sfogliare i libri per tutto il tempo che vogliamo. Che “la pubblicità è l’anima del commercio” non è certo una scoperta recente, ma ogni minuto, nel nostro quotidiano, siamo circondati e spinti ad acquistare da trovate di marketing di ogni tipo. Lungi da terrorismi, se fossimo tutti più consapevoli di questo potremmo quantomeno tentare di consumare un po’ meno e vivere un po’ di più.
economia
IL MARKETING REFERENZIALE E IL PUNTO DEL BARATRO
CittadinoNews|7
ECONOMIA di Emiliano Abhinav Boccia Orizzonte
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l marketing referenziale è un metodo usato da imprenditori sagaci e lungimiranti che permette di sviluppare velocemente una rete di relazioni commerciali e di incrementare il volume del proprio giro d'affari. Si basa su un principio molto semplice: quello di condividere, con altri imprenditori, il nome di un'azienda con cui abbiamo intrattenuto o stiamo intrattenendo delle ottime transazioni commerciali o professionali. Ma che significa “ottime”? Significa che stiamo muovendo denaro, generando fatturato, producendo utili. In una parola: stiamo guadagnando. Con il marketing referenziale si possono abbassare alcuni centri di costi, come la pubblicità, e altri costi passivi tesi alla ricerca di nuovi clienti o a sostenere l'immagine della nostra azienda. Un altro vantaggio, di non poco conto, è quello che si entra in contatto con potenziali clienti referenziati. Insomma che pagano. Anche questa, a dire il vero, non è cosa da poco conto. Parliamo adesso del Punto del Baratro. Ma prima dobbiamo fare una semplice analisi matematica su queste tre variabili economiche: prezzo, qualità e guadagno. Nel modello economico attuale (quello responsabile della crisi attuale) i consumatori sono alla continua ricerca sfrenata del minor prezzo (internet la dice lunga sull'andamento degli acquisti in rete e sui modelli di spesa proposti dai siti). La continua discesa dei prezzi genera un fenomeno conosciuto come deflazione. Ma la deflazione non è di per sé un fattore negativo, anzi in alcuni contesti, come in quello energetico o alimentare, può produrre enormi benefici ai
consumatori, può creare nuovi posti di lavoro e può produrre enormi ricchezze nei mercati indotti. Quindi la deflazione non è di per sé un fattore negativo. L’aspetto negativo va ricercato nell’assottigliamento degli utili (e quindi del guadagno e di conseguenza della ricchezza) in un mercato (soggetto a deflazione) in cui la forbice tra prezzo finale di vendita e prezzo di acquisto produce utili sempre minori fino a raggiungere il Punto del Baratro. Il Punto del Baratro è quel punto in cui le aziende coinvolte nel processo di deflazione sono costrette a chiudere poiché gli utili sono talmente esigui che non vale più la pena ne produrre e ne tantomeno commercializzare quel dato prodotto. In effetti quando si arriva al paradosso in cui per ottenere i ricavi necessari a coprire almeno le spese dovrei sostenere un numero talmente elevato di processi di produzione o di transazioni commerciali per cui mi risulta umanamente e tecnologicamente impossibile raggiungerlo allora questo è il segnale che ho raggiunto il mio personale Punto del Baratro. E chiudo. Fallisco. Comprendere quanto appena
spiegato, che si riduce ad un semplice calcolo aritmetico, e riflettere sulle implicazioni commerciali ed economiche, sia a livello locale che globale, si rivela l'asse portante e il fattore vincente del marketing referenziale. Chi spera che solo vendendo al prezzo più basso possa conquistare fette di mercato è costretto a cedere il passo a chi, prima o poi, uscirà a vendere ad un prezzo ancora minore. L'imprenditore che entrerà in un circuito di marketing referenziale composto da professionisti, venditori, manager, aziende, distributori si troverà a lavorare in un ambiente protetto, dove poter mettere in campo risorse, mezzi e competenze al prezzo adeguato, a quel prezzo giusto per coprire costi, realizzare utili e produrre ricchezza insieme al tanto giustamente desiderato benessere. Questa è la riflessione principale che mi ha portato ad investire personalmente nel marketing referenziale e a disegnare un mio personale progetto di lavoro che mi auguro di condividere con tanti altri professionisti e imprenditori.
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SELFIE, SELFIE DELLE MIE BRAME… cultura …chi sarà il più postato del reame?». ì, ne sono certo: anche nel mondo Disney, presto, avremo un linguaggio contemporaneo, contaminato, avanguardistico e adattato ai segreti della trasformazione tecnologico-sociale. Non ci stupiremo più dinanzi a una Biancaneve con l’iPhone o una Cenerentola 3.0 che, invece di sperare nel magico bidibi bodibi bu della fatina incantata, cerca su BlaBlaCar la carrozza più efficace per raggiungere il castello. Il termine selfie da semplice intuizione, che si collega alla lingua inglese self portrait, significa banalmente autoritratto. Curiosità è sapere che già agli albori del Novecento, la granduchessa Anastasia Nikolaevna, figlia dell’ultimo zar Nicola II, aveva la folle ossessione dell’autoscatto: girò la sua Kodak verso lo specchio e, fortuitamente, diede il via a una catena di clic lunga più di un secolo. Di una
cultura di Michele Carucci
particolare, è rappresentata dal primo Corso di selfie inserito nella Laurea Magistrale in Management e Comunicazione d’Impresa dell’Università di Teramo. Idea bizzarra e originale. Interessante e divertente. Insomma un nuovo genere artistico-fotografico che va studiato, conosciuto. Analizzato. Esso rappresenta la moda e il fenomeno social del momento. Immagino la folla di studenti in delirio, scalpitanti come
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varietà infinita, i selfie hanno fatto fare il giro del mondo a volti noti come quello del regista Kubrick, piuttosto che del pittore Warhol, del cantante John Lennon o, fin anche ai giorni nostri, a quelli di celebrità come il presidente Obama e Papa Francesco. Questa nuova tipologia di immagini ritrae i nostri umori: sguardi sorridenti, volti imbronciati, linguacce provocanti. Una prassi alquanto egoista di fotografarsi. Si sfiora il
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narcisismo! Il selfie, però, non è una pratica fine alla sola ammirazione di sé, bensì alla sua pronta condivisione con gli altri. Fotografie e stati d’animo da regalare al web. Ai social. Sfido chiunque a non avere un profilo
Facebook, Twitter, Instagram, Flickr o Pinterest, illeso. E mentre si è intenti a conteggiare i like ricevuti, ecco già nella home il richiamo a una nuova notifica. Le statistiche studiano il caso. Ne deducono che ci si autoscatta per divertire gli altri, per mera vanità o per presentare un particolare momento della giornata. Addirittura, c’è chi punta sui selfie per fare impresa: è il caso dei due fratelli romani e del loro Selfienator. Guinness d’incassi. Un’asta allungabile che permette di scattare e di girare self video con prospettive incredibili, angolazioni specifiche e consentendo di riprendere una porzione di spazio maggiore. Risultati senza precedenti. Un’idea orientale (e non avevamo dubbi!) rubata e italianizzata dai due startupper. La vera chicca, ancor più
mai. In trepida attesa per accaparrarsi il primo banco, con quella voglia di seguire una lezione e arrivare (soprattutto!) puntuali. Ma attenzione: agli esami non avrete un programma fondato sulle pose e sulle tecniche per divenire creativi fotomodelli. Di contro, il Corso mirerà allo studio dei più eccelsi artisti contemporanei e del loro contagio con le tecnologie multimediali. Il selfie è arte come l’autoritratto, per molti. E l’aurea che gli dona l’inglesismo lo rende ancora più appetitoso. Il selfie è l’arte folk dell’era digitale, per altri. Ciò che però spaventa sono alcune modifiche fatte a dipinti ineguagliabili: i loro protagonisti mostrano, fieri, tecnologie high-tech alla mano. Se fosse davvero questo il futuro della storia dell’arte … si selfie chi può!
COS’È L’ESTREMO ORIENTE? (PARTE I) STORIA
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ebbene il pensiero comune tenda ad utilizzare la dicitura “Estremo Oriente” come sinonimo di “Asia Orientale”, si rende subito necessaria una premessa: laddove con Estremo Oriente si intenda quella regione geografica del continente asiatico che include la penisola Indocinese, l’arcipelago Malese, la Cina, Taiwan, Corea del Nord e del Sud, Mongolia, Giappone e la parte orientale della regione russa della Siberia, con Asia Orientale, così come intesa dall’ONU, si intendono solo sei paesi tra quelli nominati, ovvero Cina, Taiwan, Corea del Nord e del Sud, Mongolia e Giappone. Da un punto di vista culturale l’Estremo Oriente richiama
sicuramente l’attenzione sui cosiddetti Paesi cardine della regione: Cina, le due Coree e il Giappone (fig.1). Paesi, questi, caratterizzati da una storia millenaria solita a tribolazioni, guerre, massacri, ma anche a grandi conquiste e, oggigiorno, tutti nel mirino di imprenditori e aziende per il forte boom economico grazie al quale son riusciti a riprendersi dopo la grave crisi economica del 1997 partita in Tailandia come strascico di quella in atto negli Stati Uniti. La Cina è un paese molto vasto la cui apparente unità politica, storica e culturale, risulta in realtà più in una convenzione interna ed esterna al Paese, poiché una più o meno demarcata multietnicità e c o n s e g u e n t e multilinguismo – accanto a scelte politiche di relativa chiusura – rende il “Paese degli Han” (altro nome con cui è designata) una realtà sociopolitica ed economica molto complicata. Lo sviluppo economico e la globalizzazione hanno
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STORIA di Alfonso Cesarano
portato benessere e ricchezza solo nei centri più importanti, inclusa la capitale Pechino, e le politiche economiche degli ultimi anni si sono molto impegnate all’esportazione di merci nonché di forza lavoro. Ma la Cina non è solo questo: già nel 246 a.C. il Paese godeva di quella che oggi definiremmo un’unità nazionale, sotto la dinastia Ch’in, e da allora l’Impero è stato teatro di una storia tra le più “emozionanti” – mi si faccia passare il termine – dell’intera area. Un susseguirsi pressoché infinito e frenetico di dinastie si è verificato fino agli inizi del secolo scorso, quando nel 1912 l’ultima dinastia regnante, quella dei Ch’ing, ha lasciato spazio all’età della Repubblica di Cina, poi evolutasi nella ben più nota Repubblica Popolare Cinese dopo la rivoluzione del 1949. Le due Coree sono anche paesi da una storia complicata che il poco spazio a disposizione non riuscirebbe a descrivere nel dettaglio, ma basti sapere che la Corea è sempre stata incline a scismi all’interno dei suoi territori.
cultura
LA STORIA VITTIMA DELL’ISIS I MOTIVI DELLE DEVASTAZIONI
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storia di Fausto Mauro
I
n seguito alle distruzioni parziali di alcuni siti archeologici e musei dell’Iraq e dopo la terribile vicenda del Bardo di Tunisi, è stato deciso di sospendere la pubblicazione della “Breve storia della nascita dell’Islam” per trattare un argomento che sta a cuore a tutti noi: la devastazione del patrimonio artistico-culturale dell’Iraq e della Siria per mano dell’Isis. Fermo restando che lo scempio messo in atto dai miliziani del Califfato è frutto del più incivile fanatismo e che segue soltanto un certo tipo di Islam estremizzato, per spiegare il fenomeno è necessario rispondere a una semplice domanda. Nei video di propaganda diffusi dai canali dello Stato Islamico, si vedono uomini barbuti distruggere statue e bassorilievi antichi a colpi di martello pneumatico e allora perché l’Isis ha come obiettivo la devastazione di siti e musei? Al quesito è possibile dare tre risposte, due di matrice religiosa e una di carattere economico. La prima è che la religione islamica è di tipo monoteista quindi condanna ogni tipo di idolatria, così come quella ebraica e cristiana. Inoltre, ogni buon musulmano deve imitare i comportamenti del Profeta. Quest’ultima regola ci suggerisce che gli assalti ai danni dei patrimoni di Nimrud, Hatra e dei vari musei hanno origine proprio nell’emulazione delle gesta di Maometto. Infatti, così come egli demolì tutti gli idoli della Ka’ba una volta conquistata Mecca, oggi i miliziani dell’Isis cancellano ogni traccia di iconografia collegata a culti pre-islamici, in questo caso di genti che abitarono la Mesopotamia in passato. Ma, come anticipato, non si tratta dell’unica risposta di tipo religioso in quanto tutto l’arco di tempo precedente alla venuta del Profeta è considerato dai musulmani “Jahilliyya” ovvero un periodo di ignoranza. Basterebbero soltanto queste due motivazioni per spiegare il fenomeno però, come spesso accade, c’è anche un lato economico
dietro tutto ciò, forse quello più interessante dal punto di vista di un sedicente Stato in continua ricerca di forme di auto-finanziamento, necessarie per continuare la propria battaglia. L’ a b b a t t i m e n t o e l’occupazione di siti archeologici porta ingenti somme di denaro alle casse dello Stato Islamico, come? Immettendo quei tesori, ora sotto il controllo dall’Isis, sul mercato nero dell’antiquario. Si tratta quindi di una forma di auto-finanziamento che permette al Califfato di comprare altre armi, potenziandosi ulteriormente. A spiegare come avviene il procedimento è stata una voce autorevole dell’archeologia, Pa o l o M a t t h i a e , storico professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico presso l’università “La Sapienza” di Roma, il quale in un’intervista rilasciata ai microfoni di Rai News 24 ha dichiarato che: “i fondamentalismi o distruggono un luogo sacro perché altro da loro e cioè una chiesa cristiana o un mausoleo islamico, in quanto persecutori di qualsiasi tipo di idolatria oppure, peggio ancora, concedono a bande armate scavi clandestini, pretendendo in cambio una percentuale sulle vendite nel mercato nero dell’antiquario. Siti archeologici
saccheggiati” – ha continuato il prof. Matthiae – “sono in questo momento Apamea, una delle città romane d’Oriente, Dura Europos, simbolo del rapporto tra Roma e i Parti sull’Eufrate siriano e ancora Ninive e Nimrud, vicino Mosul, di cui i maggiori tesori artistici sono al British Museum ma di cui molti rilievi preziosissimi si trovano nel sito in una sorta di museo all’aperto e pare siano ora oggetto di saccheggio proprio per la vendita sul mercato antiquario”. Siamo di fronte a tutta una serie di crimini commessi contro l’intera umanità e contro la sua storia, come ha denunciato il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova: “Questa tragedia non ha solo una valenza culturale ma anche di sicurezza. È una strategia del terrore volta a destabilizzare e manipolare la popolazione. Mi appello a tutti i responsabili politici e religiosi della regione a sollevarsi contro questa barbarie”. Ma non devono essere solo i politici locali a sollevarsi bensì tutti noi, perché si parla della nostra storia e di quella dell’Islam, troppo spesso erroneamente accostato a queste immagini crudeli che rappresentano solo una frangia estrema.
musica
LA NOTTE ANCHE DI GIORNO LA COSCIENZA DI ZENO (PARTE I) Giovane Figlia 01- A ritroso 02- Il giro del cappio 03- Libero Pensatore 04- Quiete apparente 05- Impromptu pour S.Z. 06- Lenta discesa all’averno Madre Antica 07- Il paese ferito 08- Cavanella 09- La staffetta 10- Come statua di dolore
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Ogni volta che le caldarroste scoppiettavano sul fuoco o le vecchie travi del soffitto cigolavano, trasalivo. Poteva essere un ricordo, in giro per la casa, una forma pensiero reiterata e manifesta che tornava a farmi visita. O un piccolo senso di colpa che, alimentato dalle fiamme, gonfiava a dismisura. Sul tavolo grezzo, impercettibilmente, oscillava un bicchiere di vino, come se desiderasse che il calore delle mani di qualcuno lo riscaldasse, prima di farsi bere. Per un breve istante, pensai che potesse essere lei, che fosse ritornata per comunicarci qualche messaggio: “Sto bene”, “Sono libera”, “Dì a tutti che s o n o f e l i c e ” . Fu i r i p o r t a t o bruscamente alla realtà dallo squillo del telefono. “Dobbiamo partire” mi disse la voce all’altro capo del filo. “Lei ci aspetta per l’intervista”. R aggiunsi lo studio di una scultrice, dal carattere forte e sicuro, che stava per attraversare la soglia dei cent’anni. Ma, con nostra g r a n d e sorpresa, ci trovammo davanti a una bambina indifesa. Nessuna epopea
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musica di Domenico Ingenito
eroica dei tempi della guerra ma un flusso di immagini vivide in cui lei, giovanissima, si bagnava nel fiume e fantasticava sull’amore che verrà come se la sua mente avesse rifiutato il tragico teatro del vivere.” Lo scritto di Stefano Agnini introduce l’ascolto de “La notte anche di giorno”, terzo lavoro in studio de “La Coscienza di Zeno” (Gennaio 2015). Prima di passare all’analisi del disco, facciamo un piccolo passo indietro nella storia della band. Complesso di spicco nel panorama progressive, La Coscienza di Zeno (CDZ) nasce nel 2007 a
Genova, terra fertile e culla di gruppi storici dell’ambiente. Il sestetto d’origine è composto da Gabriele Guidi Colombi al basso, Andrea Orlando alla batteria, Alessio Calandriello nel ruolo di cantante, Stefano Agnini e Andrea Lotti alle tastiere, Davide Serpico alla chitarra. N e l maggio 2011 il primo album d e L a Coscienza di Zeno, dal titolo omonimo, viene accolto favorevolmente sia dal
pubblico sia dalla critica specializzata, dalla quale viene indicato come uno dei migliori esordi dell’anno. Nel Marzo 2012 entra a far parte del gruppo Luca Scherani (Hostsonaten, Trama, Periplo), sostituendo Andrea Lotti alle tastiere. Nel Giugno 2013 esce il secondo album, “Sensitività”, questo trova presto numerosi riscontri positivi, tanto che già all’inizio del 2014 ne viene stampata una seconda edizione. Nell’ottobre del 2013 entra a far parte del gruppo il violinista Domenico Ingenito. Il gruppo negli anni calca i palchi italiani ed europei facendosi apprezzare per il caratteristico stile che riporta in luce il suono del prog sinfonico italiano misto a liriche minuziosamente ricercate. La notte anche di giorno nasce da una idea ambiziosa quanto rischiosa, un concept album composto unicamente da due brani, due lunghe suite. Due sono le composizioni, come due sono le figure femminili e le storie agli antipodi attraverso le quali CDZ vuole sviscerare il tema legante il concept: il peso della vita. Ma per sapere di più, diamo appuntamento al prossimo numero del CittadinoNews…
RAGAZZI IN GAMBA 2015 eventi
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eventi
A
1 EDIZIONE A MONTECORVINO ROVELLA
a cura del Forum dei Giovani di M. Rovella
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Ragazzi in gamba” è una rassegna di teatro, musica, canto, danza, folklore, poesia, pittura, scultura, cinema, arte varia, rivolta alle scuole di ogni ordine e grado del territorio nazionale. Accoglie anche gruppi artistici extrascolastici e scuole e gruppi di altre nazionalità che facciano richiesta di partecipazione. Hanno partecipato infatti anche alcune scuole europee e russe. L’iniziativa nacque a Chiusi nel 1963 nel clima della gioia umanizzante del Carnevale dei Ragazzi come una gara tra le scuole locali denominata Campanile in Maschera. Già nei primi anni si ampliò ai paesi vicini. Nel 1973 il successo della manifestazione ed il suo inserimento nel progetto sperimentale di Educazione Permanente del Prof. Mario Mencarelli suggerirono agli organizzatori di estendere l’esperienza in tutto il territorio nazionale. Nella seconda metà degli anni ’70 la Rai si interessò alla manifestazione e ne fece oggetto di servizi televisivi e radiofonici. Per il gran numero di partecipazioni che seguì fu indispensabile decentrare la rassegna in altre sedi del territorio nazionale. Da allora sono state istituite sedi di rassegna in molteplici zone d’Italia. Dal 2004 la Rassegna è entrata in collaborazione con il Festival della creatività di Mosca e ha avuto contatti con l’Università di Betlemme e con scuole austriache, francesi, danesi, romene, inglesi, greche e portoghesi. Sin dagli anni ‘80 vennero a crearsi molte iniziative similari in molte parti d’Italia che si sono rifatte a questa esperienza. Nel 1982 il Comune di Chiusi pubblicò il libro “Ragazzi in Gamba perché”, curato dai docenti universitari Sira Serenella Macchietti e Cosimo Scaglioso e da Marco Fe’, ideatore e animatore dell’iniziativa. Sempre nel 1982 il Ministero della Pubblica Istruzione ne riconobbe la validità educativa e nel 1989 ne assunse il patrocinio. Negli anni ’90 la manifestazione da concorso si è
53a EDIZIONE
20|21 APRILE 2015
trasformata in rassegna perché questa formula è più educativa e consona allo spirito dell’iniziativa. Nel 2009 alla rassegna si aggiunge il festival con lo scopo di qualificare la fase nazionale. Nel mese di settembre viene diffuso in tutte le scuole d’Italia il bando che indice la rassegna. Entro la scadenza fissata le scuole che desiderano aderire inviano domanda di ammissione con gli elaborati richiesti. Nei primi mesi dell’anno il consiglio direttivo nazionale, unitamente ai delegati delle varie sedi, formula il calendario degli spettacoli e convoca le scuole ed i gruppi partecipanti nelle sedi di competenza. In marzo e in aprile si svolge la rassegna nelle varie sedi con spettacoli e iniziative adeguate. I lavori ritenuti migliori sono invitati a partecipare, nei fine settimana del mese di maggio, al Festival di Chiusi che prevede spettacoli, laboratori, meeting, e “riti” tipici che sono entrati nella tradizione della Rassegna e ne costituiscono l’originalità. Avendo preso visione del regolamento d’iscrizione e osservando dall’interno questa associazione e le sue finalità, dopo aver raccolto informazioni sullo svolgimento della manifestazione, il consiglio del forum ha deciso di presentare questo progetto all’amministrazione comunale. Il” forum dei giovani” di Montecorvino Rovella, in collaborazione con l’associazione “gruppo folk di
Montecorvino Rovella” , quest’anno, ha intenzione di affiliare il nostro paese alla rassegna-festival “Ragazzi in Gamba” con lo scopo di diventare sede e tappa, alla quale parteciperanno all’incirca venti scuole provenienti da tutta Italia. Questo evento, nell’arco di due giorni, porterebbe nel nostro paese in media 700 persone tra giovani studenti e accompagnatori. Questo dato aiuterebbe molto anche le attività commerciali presenti sul territorio, con le quali cercheremo massima collaborazione. Abbiamo deciso di promuovere questa rassegna innanzitutto per consentire a giovani e scuole di mettersi in gioco, mostrando i propri progetti scolastici e non solo, ai quali i ragazzi lavorano duramente tutto l’anno. Riteniamo che Montecorvino Rovella sia un paese straordinario ricco di storia e cultura quindi adatto a ospitare questa bellissima rassegna nella speranza che porti crescita del turismo, attraverso le scuole che saranno invitate quindi provenienti da tutta ltalia, mostrando loro un itinerario storico, culturale e gastronomico del nostro paese. “Ragazzi in gamba” per i giovani di oggi è motivo di aggregazione, scambio culturale, ma soprattutto di amicizia.
ragazzingamba.eu
enogastronomia
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MARGARITA
enogastronomia di Ivan Cibele
P
er tradizione la Tequila si serve in un piccolo bicchiere con sale ed uno spicchio di lime. Il sale viene messo nell'incavo tra il pollice e l'indice della mano che regge sul dorso il lime. Si lecca il sale e dopo aver bevuto la tequila si succhia il lime. Questo gesto poco elegante caratterizza uno dei cocktail più popolari. Il Margarita è un ottimo after dinner ed è il più comune cocktail messicano a base di tequila oltre ad essere tra quelli più noti del mondo. Margarita significa “perla” in latino, mentre in spagnolo è la traduzione della parola margherita. Infatti qualcuno attribuisce il suo nome al colore bianco o giallo pallido del cocktail. Il suo valore nel mondo della miscelazione è evidenziato dal fatto che tanti barman, tra gli anni ‘40 e i ‘70 del secolo scorso, se ne sono attribuiti la creazione. Secondo quanto dice William Grimes, autore di “Straight Up or On the Rocks: The Story of the American Cocktail”, ci sono molte persone che affermano di aver bevuto Margarita già negli anni ’30, quindi è facile affermare che il Margarita non fu inventato dopo il 1940, ma molteplici sono le storie su colui che ne fu l’inventore. Sia l’Agua Caliente Racetrack, un ippodromo situato a Tijuana, che il Bertita’s Bar in Tasca, entrambe località messicane, sostengono di aver dato origine al Margarita pressappoco nel 1930. Sara Morales, esperta di folklore messicano, ha affermato che è stato creato, intorno al 1930 da Dona Bertha, la proprietaria del Bar Bertha a Taxco, Messico, e ha aggiunto che il primo drink creato da questa donna si chiamava "Bertha" e il
"Margarita" è stato la sua seconda creazione. Tra il 1934 e il 1935 presso il bar Las Dos Republicas situato in Matamoros in Mexico , un barman di nome Willie proveniente da Città del Messico , creò questa bevanda per Marguerite Hemery. Costei visse dal 1930 a Rio Grande Valley ed era molto amica del proprietario del locale. La storia vuole che il barman compose uno speciale drink per lei, che assaggiò e disse : "Questo è davvero meraviglioso!Come si chiama?" Il barman chiese quale era il suo nome e lei disse: "Marguerite". E così lui rispose : "Allora questa bevanda si chiamerà Marguerita." La persona a cui si accredita maggiormente la creazione del drink è Daniel Negrete. Secondo quanto racconta suo figlio Salvador, la tradizione familiare vuole che Daniel, originario di Città Del Messico, avesse aperto un bar al Garci Crispo Hotel situato in Pueble, con suo fratello David. Nel 1936, in occasione del matrimonio del fratello David con la cognata Margarita, Danny diede vita a questo cocktail di Tequila, Triple Sec e succo di Lime
serviti con ghiaccio tritato, offrendolo alla sposa come regalo di nozze e coniandolo col suo stesso nome. Johnny Durlesser barman del ristorante Mc Henry- Tail o’ the Cock di Los Angeles, in un intervista nel “Van Nuys News” del 1955 sostiene di averlo creato nel 1937. Nel 1966 rilasciò un’altra intervista alla rivista “Bon appetite” sostenendo di aver inventato il drink nel 1936, quando una signora gli chiese di riprodurre una bevanda che aveva assaggiato una volta in Messico. Miscelò così un cocktail che soddisfò pienamente la richiesta della signora Margaret, e che da lei prese il nome. La rivista riporta che Durlesser portò il drink ad un concorso nazionale classificandosi terzo. Un’altra storia racconta che negli anni’30 la Young’s Market Company aveva cominciato a distribuire la Tequila Cuervo. Vernon Underwood presidente della suddetta società si recò da Johnny Durlesser, e gli chiese di creare qualcosa partendo dal suo distillato, al drink risultante diede il nome di sua moglie Margaret.
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