Cittadi o settembre/ottobre 2014 - anno 3 n. 5 - distribuzione gratuita portalecittadino.it|Cultura&Società
T S I S E DS OO
I D R O GE O LO GI C
CAUSE E SOLUZIONI
• PRECIPITAZIONI SEMPRE PIU’ VIOLENTE • AUMENTO UMIDITA’ • AUMENTO TEMPERATURA • CEMENTIFICAZIONE • INCURIA
Velia, questa sconosciuta
PENSIAMOCI PRIMA,
AGIAMO SUBITO
C
L’editoriale di Danilo D’Acunto
La terra trema. O meglio, la terra frana. Frana perché le continue piogge provocano smottamenti che, non essendo adeguatamente prevenuti o controllati, sono liberi di cadere rovinosamente su strade o di addirittura spezzarle letteralmente, interrompendo così decenni di traffico e di normale uso dei collegamenti viari. La frana fa danni, insomma. Di quelli seri, di quelli che ci toccano da vicino. Di quelli che vanno a modificare le nostre abitudini di una vita. A Montecorvino Rovella, come a Salerno, come a Napoli, come a Genova proprio in questi giorni il fenomeno è trasversale e interessa tutta l’Italia; mai come stavolta un problema locale è l’esatto riflesso di uno nazionale. Ma il punto è che la frana non fa solo danni: fa anche paura. Inizia come un evento eccezionale che lascia tutti di stucco. Poi capita di nuovo ed ecco che alla sorpresa della prima volta va a sostituirsi il timore. Il timore che questo fenomeno possa ripresentarsi, possa creare ulteriori disagi, diventando una consuetudine alla quale dovremmo abituarci. Oppure che potremmo prevenire. Il come e il perché lo trovate scritto in diversi articoli presenti in questo numero, in modo da poter capire cosa sia effettivamente un “dissesto idrogeologico”, cosa comporta e come si può arginare. A Napoli, per prevenire crolli di intonaco dei palazzi (che qualche mese fa hanno persino ucciso un ragazzo) si stanno scalpellando via tutte le sporgenze pericolanti, anche se appartenenti a palazzi storici, che equivale un po’ a dire “ti distruggo io prima che ti distrugga la pioggia”. E intanto il problema, dovuto a incuria e mancata prevenzione, ricade a danno della salvaguardia del nostro patrimonio culturale. Io credo che altre soluzioni ci siano, e forse vale la pena applicarle. Buona lettura
sommario sociale
4 > Italia in a day 5 > ...tempi nostri... (3) 6 > Napoli. 3 scatti (al sapore di libri) per fotografare la sua realtà ambiente
9 > Puliamo il mondo a Montecorvino Rovella 10 > Dissesto idrogeologico: la frana dei dissapori 12 > Il dissesto infinito CULTURA
15 > Un patrimonio singolo e collettivo 17 > Velia, questa sconosciuta. Storia di incuria quotidiana. 18 > Storia - Cos’è l’Asia centrale 19 > Storia - Il demone pazuzu. Tra storia, cinema e musica 20 > Musica - Augustines: nati in agosto cinema
21 > Luchino Visconti. Il messaggio universale del suo genio creativo "Il mondo non ci è stato lasciato in eredità dai nostri padri, ma ci è stato dato in prestito dai nostri figli"
enogastronomia
22 > Daiquiri (parte 2)
Cittadino News - anno 3 n. 5 - distribuzione gratuita - Supplemento a: «OZZZIUM - Pillole di buon umore» Reg. Trib. di Salerno - Registro Stampa Periodica al n° 1121/2003 - Editore: SILVER STAR s.a.s. Redazione, Grafica e Stampa: IMAGE SERVICE di Cicatelli A. Direttore Responsabile: De Rosa Giancarlo Vice Direttore: Vladimiro D’Acunto Art Director: Danilo D’Acunto, Tony Cicatelli Redazione: Emiliano Abhinav Boccia Orizzonte, Michele Carucci, Ivan Cibele, Alfonsina Citro, Carmine Cuomo, Giulio D’Ambrosio, Chiara De Rosa, Armando Falcone, Lazzaro Immediata, Grazia Imparato, Fausto Mauro, Rita Mazzeo, Roberta Mordanini, Antonella Viola, Pierluigi Zaccaria. Hanno collaborato: Michele Cianciulli, Giuseppe Vecchio Fotoreporter: Rosa Fenza Indirizzo: C.so Vittorio Emanuele, 384 - Montecorvino Rovella (SA) tel 338 9092107 - cittadinonews@gmail.com Le immagini raffiguranti i loghi e i marchi delle aziende appartengono ai rispettivi proprietari. Parte delle foto presenti sono state prese da internet, quindi valutate di pubblico dominio. La collaborazione al periodico “CittadinoNews” è a titolo completamente gratuito. L’Editore è proprietario di tutti gli articoli ricevuti anche se non pubblicati.
sociale
ITALY IN A DAY
I
l 26 ottobre 2013 è il giorno, un sabato, in cui migliaia di italiani hanno deciso di armarsi di una telecamera e riprendersi in un momento della loro giornata. In un momento qualunque o in un momento speciale. Queste persone stavano partecipando – o almeno ci hanno provato – alla realizzazione del primo film collettivo italiano, un esperimento cinematografico da cui è nato “Italy in a day”, il film che racconta un giorno della vita degli italiani. L’iniziativa è nata e si è diffusa via web un anno fa; tutti gli italiani erano invitati a prendere parte in modo attivo a questo esperimento: “sabato 26 ottobre prendi una telecamera o un cellulare e filma la tua vita”. Tema libero, a piacere, come si diceva (si dice ancora?) a scuola. I video girati dagli italiani sono stati poi caricati nel corso delle tre settimane successive sul sito http://www.italyinaday.rai .it/. Gabriele Salvatores ha poi selezionato, tra i 44.197 video candidati i 600 confluiti in un unico documentario-racconto. Il risultato è la creazione di un film di 80 minuti in cui si susseguono scene o meglio pezzi di vite. C’è di tutto: ogni emozione e sentire. Amore e amicizia, lacrime di gioia e di dolore, solitudine e compagnia, salute e malattia. La bellezza e la varietà della natura. La bellezza e la varietà umana. C’è la vita, insomma, in tutte le sue possibili manifestazioni. Lo “spirito” di fondo, nonostante tutto, è ottimista, positivo. A distanza quasi di un anno il film, il 27 settembre 2014, è stato proiettato nelle sale cinematografiche (solo per un giorno) ed è andato in
onda anche in prima serata su Rai 3. L’inizio si può raccontare, magari il “finale” no. Si inizia con una veduta dall’alto, più precisamente dall’oblò di una astronave. La ripresa, effettuata dall’astronauta Luca Parmitano, da il buongiorno al 26
ottobre 2013 e ha così inizio un giorno qualsiasi per gli italiani, eppure così speciale. I video seguono le ore del giorno, a partire da tutti quelli girati dopo la mezzanotte e fino, di nuovo, alla mezzanotte. Dall’alba al tramonto si susseguono i contributi degli italiani registi amatoriali che hanno fermato e cristallizzato in un video un frammento particolare della loro giornata. Il film, dal punto di vista creativo non è un’idea originale: “Italy
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sociale di Antonella Viola
in a day” è la versione italiana di “Life in a Day” il social movie nato su Youtube e girato dagli utenti della community di tutto il mondo il 24 luglio 2010 (con la produzione esecutiva di Ridley Scott e la regia di Kevin Macdonald). In Italia ci abbiamo provato tre anni dopo ma il risultato, a mio avviso, è unico. La bellezza di questo progetto sta tutta nella sua universalità. E’ un giorno qualunque che diventa metafora di una intera vita. E’ il film della vita, fatto di tanti attimi che hanno odore, colore, sapore differente. E’ forse la cosa più simile a quello che si dice sia il film della nostra vita, quello che pare ci debba apparire dinnanzi agli occhi prima di morire. Quella serie di flashback in cui pare ci si ricordi del primo bacio e, finalmente, del posto dove quel giorno abbiamo sbadatamente lasciato l’ombrello. Come prevedibile, essendo nato da un’idea circolata sul web, il film è stato definito “socialmente sbilanciato” e colpevole di restituire un’immagine un po’ stereotipata degli italiani (tutti casa e famiglia). La critica ha però riconosciuto al film la capacità di rappresentare in maniera efficace le potenzialità della cosiddetta “cultura partecipativa” e ha riconosciuto la capacità di Salvatores di aver saputo regalare, grazie ad un montaggio sapiente, dei “colpi di scena”. Non sarà dunque un capolavoro cinematografico ma la sua grandezza risiede forse nel fatto che, nonostante le apparenze, non è un film.
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...TEMPI NOSTRI... (3) sociale
Q
uella sera tutti andarono a dormire. Come tutte le sere. La luna splendeva alta sopra i monti che levandosi scuri verso la notte circondavano il paesello come a difenderlo. Anche se i tempi di scorribande risalenti ai secoli bui precedenti quel primo millennio che pure fu la fonte di angosciosi presagi di distruzione da parte delle forze della natura verso la natura stessa e l'intera umanità, erano ormai acqua passata, gli abitanti serbavano tuttora sentimenti di protezione verso quei monti. Ad uno in particolare erano particolarmente devoti, a quello che aveva dato natali, accoglienza e per ultimo anche il nome a quel gruppo di case raccolte alle sue pendici, a cui piano piano altre si erano unite arroccandosi sui costoni dominanti le valli che d o l c e m e n t e accompagnavano ruscelli e fiumicelli giù verso la piana. Chissà se questo battesimo fu causa di infamia o di lode agli abitanti così come al territorio, fatto sta che la luna di quella sera sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe irradiato con i suoi raggi quel paesaggio, quelle colline. La natura aveva preso un impegno con se stessa, quello di sconvolgere nella notte il sonno degli ignavi paesani, stravolgere il profilo proprio di quelle colline che dolci accompagnavano i fedeli al santuario e deviando di molto i corsi d'acqua che allegri affioravano da secoli tra quelle valli. Alle tre del mattino, considerata da una cultura primitiva e superstiziosa quell'ora, l'ora del diavolo, un boato sordo, lungo, come il grido di un drago trafitto da mille spade, echeggiò sui tetti, scendendo già nelle piccole piazze, intrufolandosi nei vicoli, nei portoni, entrando nelle case fino a destare dai loro letti, sia chi dormiva il sonno dei giusti, molto pochi in verità, sia di chi del giusto se n'era sempre infischiato. Fu così che giusti e non giusti,
si trovarono nelle piazze o a interrogarsi nei vicoli stretti da un balcone all'altro, su cosa fosse accaduto e cosa aveva prodotto quel cupo boato che, sicuramente, echeggiava ancora per le valli scendendo già alla pianura. Soltanto l'accorrere di quelli che la natura seppe e volle risparmiare, avendo fatto loro scivolare accanto quella parte delle colline che univa il paese al santuario, salvando, come a volere lanciare un avvertimento, la loro vita e le loro case, fu motivo di chiarimento. Trafelati per aver percorso in fretta, il tragitto dalle loro abitazioni al centro del paese, giunsero quasi senza fiato,
col cuore in gola, sia per lo scampato pericolo e sia per l'affanno del correre, alla piazza centrale dove già s'erano formati i soliti capannelli di persone che riunitisi in gruppi di quattro, cinque, sei persone, alcuni anche più numerosi, discutevano speculando sulla natura del lugubre boato che aveva svegliato l'intero paese. Fu così che quelli scampati alla enorme frana che aveva quasi spaccato in due il paesaggio informarono ai compaesani cosa fosse veramente accaduto. Molti curiosi si recarono sul posto per meglio vedere da vicino la montagna ferita ma fu soltanto con la luce dell'alba che la frana si mostrò in tutta la sua raccapricciante spettacolarità. Fu come l'avverarsi di un evento da sempre temuto, esperti
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sociale di Emiliano Abhinav Boccia Orizzonte
del territorio avevano ben profetizzato, che lì, proprio lì, qualcosa lentamente si muoveva nelle viscere della montagna e che il tempo non avrebbe tardato a dare loro ragione. Quella notte il tempo era venuto, come un ladro nella notte, aveva svegliato il drago dormiente che da secoli dimorava nella grotta sotterranea, la cui vicinanza con il santuario non era per niente un caso, e aveva squarciato la montagna. Nessuno aveva avuto il coraggio di estrapolare i significati di quell'evento. Quella frana altro non era il segno evidente di una paese che stava franando nel senso più profondo del temine. Franava nella tenuta sociale delle istituzioni, franava nella volontà dei cittadini che si adoperavano per migliorare quella collettività essendo sempre più quelli che, rinunciandoci, si facevano da parte, franava nelle buone intenzioni delle forze politiche, a prescindere dal colore, ancora non illuminate dall'idea che la buona volontà non basta per trasformare un paese o per avanzare fino al successo un qualsivoglia progetto, ma si abbisogna, oltre al desiderio, anche di competenze, esperienze e, soprattutto, di integrità di spirito. Anche la madonna si era allontanata da quella comunità, per via della frana che aveva trascinato con sé una buona porzione della strada che collegava il santuario al paese e, come a distaccarsi dal profano di quella collettività, si era isolata in eremitaggio nel suo santuario, elevandosi nello spirito, così che molti avrebbero rinunciato a portarle preghiere e invocazioni. Ma questo, per i fedeli, era veramente difficile da intravedere, perché per loro, come per tutti gli altri abitanti, quella frana, alla fine era solo uno slittamento di una zolla collinare. Niente di più.
NAPOLI SOCIALE
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3 scatti (al sapore di libri) per fotografare la sua realtà
I
n questo articolo faremo i turisti in giro per Napoli, e in quanto tali scatteremo delle foto per inquadrare la città e conservarne un ricordo. Tuttavia seguiremo un unico filo conduttore che accomunerà le varie realtà del nostro viaggio, e cioè i libri. Nei giorni 24 e 25 settembre scorsi la libreria Guida, vera e propria istituzione bibliofila della città, ha chiuso per sempre i battenti sancendo l’evento con una svendita totale dei libri rimasti. Per l’occasione, una discreta folla di persone si è accalcata alle sue porte (ormai da tempo chiuse e imbrattate dallo stato di abbandono cui sono già consegnate) in attesa della momentanea riapertura (foto 1). O meglio, della svendita, perché – a ben
analizzare la situazione – di una ipotetica, eventuale e/o possibile riapertura la folla riunitasi lì non è che se ne freghi molto: loro hanno sentito di libri venduti a meno della metà del prezzo e allora hanno voluto fare un tentativo. Evitando pietose e patetiche omelie sulla svendita della cultura et similia, l’unica vera considerazione da fare di fronte un’immagine del genere è che se ci fosse stata questa folla mentre la libreria era ancora in vita, forse oggi non avremmo bisogno di assistere allo spettacolo – personalmente abbastanza degradante – di parvenu del mercato editoriale che credono di fare la differenza con l’elemosina di qualche euro o di qualche bella parola confezionata per l’occasione, in una perfetta sintesi di sciacalli e avvoltoi. Nella prima foto abbiamo quindi la Napoli della massa, quella che anima in maniera sempre controversa le
strade della città, tingendola di chiaroscuri, a volte di vittorie, più facilmente di sconfitte, spesso di ipocrisia. Il giorno 25 – dunque esattamente sul finire di questo mercimonio librario – in piazza Municipio compare un camioncino con la dicitura “libri a bordo”, un’iniziativa volta a (cito testualmente) “scambiare libri, testi scolastici e universitari a bordo del nostro bus itinerante”. Il tutto strategicamente posizionato davanti al Comune (foto 2), sotto l’elegante sventolare delle bandiere civili (Napoli, Italia, Europa)
SOCIALE di Danilo D’Acunto
Garibaldi e piazza Carlo III. E’, insomma, quella Napoli che invece di recuperare effettivamente il Real Albergo dei Poveri (la prima costruzione della storia europea creata unicamente per l’assistenza degli indigenti) preferisce dare una ridipinta alla facciata e lasciare che i muri interni – del tutto privi di intonaco – si sgretolino lentamente. Il gioco delle tre carte in versione elegante e ufficiale, perché una falsa soluzione è sempre più facile di una vera e impegnativa (e De Magistris, con le sue piste ciclabili inventate, tornei di tennis e America’s Cup si è rivelato un maestro in ciò). Infine arriviamo a Forcella, dove sempre nello stesso periodo, tra una libreria che chiude e un’altra che fa da pubblicità al “palazzo”, spunta l’inaugurazione di una biblioteca in un luogo destinato al recupero sociale di uno dei quartieri più tristemente noti alle cronache: è il caso di “Piazza Forcella” (foto 4), un centro culturale polivalente, riservato a teatro (foto 5),
ma – per forza di cose – infelicemente in mezzo tra la sempre presente camionetta della polizia e la (quasi) quotidianamente presente manifestazione di precari e disoccupati (foto 3). In questo secondo scorcio compare dunque la
mostre, cura dei bambini, perfino come sportello per le donne e gli immigrati con corsi di lingue per facilitare l’integrazione. Il suo patrono
Napoli istituzionale, quella fatta di politica e sociale, di equilibri (precari) e tensioni costanti. E’ la Napoli delle giacche europee su camicie di Marinella, la Napoli dei grattacieli del centro direzionale che nascondono con malcelata pudicizia i quartieri poveri e deturpati, posti tra piazza
SOCIALE
è Giannino Durante (foto 6), padre di Annalisa, ragazza di 14 anni che un tempo viveva in questo quartiere e in questo stesso quartiere è morta, vittima inconsapevole e involontaria di una sparatoria tra clan camorristi. A pochi metri da dove è avvenuto l’episodio, Giannino ha aperto nel 2010 questo centro socioculturale, piantando un seme in una terra brulla e arida. Questo seme oggi ha germogliato e grazie all’impegno di amici, volontari e associazioni, “Piazza Forcella” si ritrova a essere allo stesso tempo un centro di accoglienza, di recupero, di orientamento. Chi vuole, può inviare o portare a mano libri da donare alla biblioteca che sta crescendo sempre più e oggi si ritrova ad avere circa 5000 testi (foto 7, 8, 9). I libri non vengono commercializzati, ma prestati, come una vera e propria istituzione comunale, e alcuni di questi vengono fatti “viaggiare” tra le strade di Napoli attraverso un book-crossing, in modo che raggiungano
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SOCIALE di Danilo D’Acunto
quante più persone possibili in tutta la città (foto 10). E’ questa una realtà bellissima e delicata, fragile e sognante, ma soprattutto illuminante. Quella di queste foto non è – purtroppo – la vera Napoli, perché la verità ci presenta una Napoli scomoda e a tratti angusta, ma è una Napoli più piccola, appartata ma non nascosta, e senza ombra di dubbio la Napoli migliore, quella che non ha mai perso la speranza, quella in cui l’arte di arrangiarsi non equivale a elemosinare, ma a combattere a denti stretti, carichi di rabbia e tenerezza. Bella di una bellezza ruvida, profonda, decisa, calda. La Napoli che piaceva tanto a Pasolini e che oggi è ormai lontana mille miglia, in guerra per la propria sopravvivenza, pronta a lottare, qualche volta a perdere, mai a cedere. Una Napoli coraggiosa, densa di un epos da tragedia greca. Tragedia tutta umana, che ha l’uomo come suo a r t e f i c e e contemporaneamente sua vittima. Una Napoli forte
SOCIALE
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SOCIALE di Danilo D’Acunto
nella sua debolezza e ricca nella sua miseria, ma soprattutto una Napoli carica di dignità, forse la parente più stretta della Genova di De Andrè, quella quella dove tutti gli uomini restano uomini, anche quelli che non se non sono gigli, sono figli e vittime di questo mondo. E Napoli ne ha tante, di vittime, del sistema e “d’o sistema” (che sono due cose ben differenti ma conviventi in casa), e siccome in questo piccolo frangente stiamo parlando di quella parte di città che è ancora degna erede della straordinaria capitale che era nel ‘700, molto intelligentemente conduce la sua battaglia contro l’illegalità e il degrado a suon di libri, al ritmo di educazione e cultura. Chiunque voglia partecipare a questa battaglia è vivamente pregato di donare uno o più libri all’associazione Annalisa Durante, via Vicaria Vecchia 23, 80138, Napoli. E casomai vi trovaste a visitarla, fateci un giro e vedete di persona il piccolo miracolo creatosi a Forcella. Il luogo è facile da raggiungere: è molto vicino al Duomo, dove c’è il tesoro di San Gennaro, e alla fine di via San Biagio dei librai, dove c’è il tesoro dei napoletani.
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ambiente di Armando Falcone
A
nche quest’anno l’amministrazione comunale ha aderito all’iniziativa Puliamo il Mondo organizzata da Legambiente per l’ennesima volta su tutto il territorio nazionale. L’adesione comprendeva un kit per 50 adulti che, contrariamente allo scorso anno, si è rivelato un numero più che sufficiente per i volontari partecipanti: purtroppo non si è ripetuta la stessa straordinaria partecipazione, ma la volontà di chi c’era nel darsi da fare è stata ugualmente lodevole e incoraggiante. L’obiettivo di ogni anno è immutato, ed è quello di ripulire, tentando (perché, a dire il vero, non sempre ci si riesce, vista la grande quantità di rifiuti di cui i valloni, gli alvei, le scarpate del nostro territorio sono pieni) di far uscire quella bellezza di cui geomorfologicamente il nostro territorio è intriso, permettendo di riviverlo in maniera diversa, magari mantenendolo più pulito. Del resto, cosa si può fare in poche ore se non si ha come scopo primario quello di sensibilizzare la p o p o l a z i o n e c o n u n’ a z i o n e discretamente visibile di una buona parte della società civile? Come detto, non v’è stata una risposta di massa, ma ad ogni modo, di buon mattino, Domenica 28 settembre 2014 ci si è divisi cappelli, rastrelli, decespugliatori, pale e palette…non la volontà, quella no, si è sommata e si è unita in gruppi fatti in funzione dei luoghi da ripulire, da riportare alla loro bellezza naturale. E non parliamo solo di siti naturalistici o zone “critiche”: questa volta si è andati anche in luoghi di interesse storico come il famigerato (perché da decenni nelle varie campagne elettorali comunali si sbandiera a destra e a manca la fine dei lavori…) Convento di Santa Sofia, nel centro storico del paese; si è ripulito il piano terra, con parte dell’archivio storico comunale, e il cortile da erbacce e oggetti multi materiali. Si è andati nella frazione di San Martino, afflitta, più che altro, da un’importante frana
subito a ridosso della chiesa appena riaperta dal post terremoto. E si è andati anche in frazioni nei cui valloni e scarpate si sversa fin troppo facilmente, come Gauro. Lì la manovalanza pesante, vista la mole di rifiuti raccolta, con imbragature e funi è scesa in una scarpata a ridosso dell’ex canile, immediatamente a monte del centro della frazione, in cui ha trovato di tutto: dagli ingombranti ai RAEE (frigoriferi, TV e quant’altro…vogliamo ricordarci della normativa che impone il ritiro dell’elettrodomestico da parte dell’azienda da cui si acquista il nuovo?!), dagli pneumatici alle carcasse di animali, dal vetro al “semplice” sacchetto di rsu. Non sono bastati quintali dei suddetti rifiuti, a completare una torta amara ci sono stati tubi in eternit. A tal proposito, è giusto spendere due parole: il costo di smaltimento (è una bonifica, quindi c’è anche un costo di operai e ditte specializzate) è elevato, ma ciò non toglie che online ci sono azioni che si intraprendere per abbassarne il costo appunto, trovando altre persone che hanno lo stesso bisogno (sullo stesso sito internet di Legambiente è possibile trovare un link del genere) e che ad ogni modo sversandone quantità più o meno grandi sul nostro territorio si rovina il presente e si intacca irrimediabilmente, credo, il futuro e le generazioni che probabilmente (visto come sta
andando l’economia del mondo occidentale) ritorneranno alle terre senza poterne ricavare i frutti –in ogni senso- sperati…che magari loro meriterebbero. Loro sì. Come tante cose, quindi, anche la morale resta immutata: a prescindere da cosa si sversa e dove, più o meno illegalmente, è da persone poco intelligenti credere che se ci si allontani di qualche chilometro dal proprio terreno per sversare rifiuti non si rovini il nostro territorio e i frutti che possa produrre. Ormai lo sanno tutti che le distanze contano davvero poco quando si prendono in considerazioni i bacini sotterranei e la capillarità del terreno. Forse in questo caso le parole “non stanno a zero”, perché ciò che ci punisce di più sono i silenzi, ma al solito si preferiscono i fatti positivi, come questa splendida giornata ecologica.
DISSESTO IDROGEOLOGICO ambiente
CittadinoNews|10
ambiente
La frana dei dissapori
di Armando Falcone
S
e qualcuno nutrisse ancora qualche dubbio sull’importanza dell’insegnamento delle scienze della terra, proporrei loro di sfogliare i quotidiani nei mesi in cui le piogge sono più insistenti: alluvioni e frane si susseguono ad una frequenza mai avuta prima e sono sulle prime pagine dei quotidiani sotto la scritta a carattere cubitali “dissesto idrogeologico”. Nella notte tra il 5 e il 6 Febbraio 2014 è avvenuto ciò che tutti i cittadini di Montecorvino Rovella e Acerno (comuni della Provincia di Salerno) temevano: una frana ha spazzato via la strada regionale 164 (ex SS164) all’altezza della località Isca. Tutti temevano un disastro del genere perché i gabbioni, posizionati anni or sono sul manto stradale, erano già inclinati da mesi: la terra aveva già incominciato a muoversi e nulla ormai avrebbe potuto arrestare il suo cammino. Le abbondanti piogge delle precedenti settimane hanno conferito al terreno un peso sempre maggiore e un grado di saturazione altissimo: una condizione che in gergo si chiama “non drenata” ha scatenato la frana (classificata come “ frana per colamento” – la deformazione del terreno è continua lungo tutta la massa in movimento) e causato l’interruzione della via di comunicazione principale tra i due comuni salernitani. L’area interessata dalla frana è di circa 20.000 m2 con
S.R. 164 - 11.01.2014
una profondità media di 1÷1,5 m e con un volume stimato di circa 20/30.000 m3: in poche parole, è avvenuto un disastro. Nei giorni immediatamente successivi la massa è stata in continuo movimento e se si fosse stati sul posto si sarebbero potuti ascoltare i rumori delle radici degli ultivi che, da ultimi baluardi naturali a difesa del proprio territorio opponevano la loro resistenza, venivano estirpati dal fronte franoso. Anni fa il problema fu sottovalutato e la tipologia di intervento scelta furono i gabbioni (quelli che per alcuni mesi sono stati inclinati per poi ribaltarsi…) e furono meramente poggiati al suolo. E’ un intervento non adatto a mantenere qualsiasi tipo di frana, anche quella superficiale, ma solo per piccoli smottamenti dovuti al declivio naturale delle acque piovane sul
S.R. 164 - 06.02.2014
terreno. Quando ancora era in vita il compianto Padre Alfonso, custode del santuario della Madonna dell’Eterno posto a pochi metri più a monte, furono fatte delle piccole opere idrauliche atte a far drenare la affiorante falda. Oggi, in prossimità del traliccio della corrente elettrica posto a circa 100 metri dal santuario, il moto franoso ha fatto formare un laghetto, evidenza della falda imminentemente affiorante. A modestissimo parere di chi scrive, l’azione (fatta a fin di bene, per carità…lungi da me accusare o se preferite accusare previa indagine tecnica apprfondita) atta a far drenare e canalizzare le acque ha potuto negli anni scavare il piede della massa di terreno interessata. L’autorità di Bacino in destra del fiume Sele aveva già indicato la zona come “area a pericolosità da frana elevata” nel 2002. Intanto, già dai giorni successivi alla frana (il moto franoso più consistente è durato circa 5 giorni), il fronte è entrato nell’alveo del fiume Cornea (in sponda sinistra idraulica) e lo ha quindi deviato di alcuni metri. La soluzione a tale disastro è sicuramente onerosa: le opere di consolidamento del terreno e di drenaggio delle acque (con pali più o meno profondi e una manutenzione continua) avrebbero evitato tutto ciò, ma tant’è. I costi da affrontare oggi sono ancora più dispendiosi, vista la massa di terreno interessata e la Provincia di Salerno è sembrata
ambiente
CittadinoNews|11
ambiente di Armando Falcone
S.R. 164 - 06.02.2014
S.R. 164 - 06.02.2014
titubante (ed è un eufemismo al momento) a intervenire. Se da un lato si sono fatti più o meno (per ciò che può essere la loro valenza provinciale…) sentire i politici locali, dall’altro non è mancata la risposta chiara dell’Assessore Provinciale ai lavori pubblici, secondo il quale “l’interruzione della strada regionale 164 è dovuta a un fenomeno esterno alla strada di competenza provinciale, per cui la Provincia si trova a subire un danno concreto per cause indipendenti della propria responsabilità”. E, in effetti, l’alluvione o il terremoto è sì naturale purtroppo, ma prima o poi (a scanso di equivoci, propendo per il “poi”) dovremmo pur ammetterlo a noi stesso che l’ambiente siamo noi e siamo noi i custodi temporanei dei luoghi della nostra vita e che, prima o poi (questo è innegabile), dovremmo lasciare ai nostri figli e/o nipoti. Forse solo allora, quando sarà troppo tardi, ci guarderemo con onestà intellettuale allo specchio provando vergogna.
S.R. 164 - 06.02.2014
S.R. 164 - Arpignano - 22.09.2014 ph. Emiliano Calabritto
IL DISSESTO INFINITO ambiente LE CAUSE sia per il numero di vittime che per i n rapporto di Legambiente danni prodotti alle abitazioni, alle del 2013 afferma che sono industrie e alle infrastrutture, la qual ben 6.633 i comuni italiani in cosa desta ancor più preoccupazione cui sono presenti aree a rischio se si pensa ai potenziali futuri scenari idrogeologico, l’82% del totale; connessi al cambiamento climatico. questo vuol dire che oltre 6 milioni di Il rischio idrogeologico in cittadini si trovano ogni giorno in zone Campania, è stato fortemente esposte al pericolo di frane o alluvioni, segnato dall’azione indiscriminata sono le zone a cosiddetto “rischio dell’uomo sia per le continue idrogeologico”. modifiche del territorio che per Nella vasta gamma dei rischi l’incontrollato aumento demografico geologici che caratterizzano il nostro sino a determinare eventi a volte con paese, quello geologico-idraulico effetti catastrofici come nei casi più comporta il maggior impatto socioche noti di Sarno e della Costiera economico; con esso si fa riferimento Amalfitana. al rischio derivante da eventi meteorici estremi che inducono a tipologie di dissesto tra loro s t r e t t a m e n t e interconnesse, quali frane ed esondazioni. L’insieme di tali fattori modifica, in tempi brevi il nostro territorio e ha effetti sempre più distruttivi sugli insediamenti abitativi, sulle economico-attività produttive nonché sulla sicurezza delle persone. L’attività antropica che, soprattutto negli ultimi L’abbandono dei terreni decenni, ha in molti casi condizionato, montani, il continuo disboscamento, fino a modificare a volte in modo gli incendi boschivi, le numerose piste sostanziale le dinamiche del paesaggio montane, l’uso di tecniche agricole naturale e a incrinare i già delicati invasive e poco rispettose equilibri di un territorio ad alta fragilità, dell’ambiente, l’estrazione sembra essere la causa L’attività continua di fluidi dal principale dei fenomeni antropica sottosuolo, l’apertura di cave connessi a tale rischio. Mentre al Sud l’abusivismo edilizio è la sembra essere la di prestito, la trasformazione c a u s a p r i n c i p a l e d e i causa principale d e g l i a l v e i i n s t r a d e , mutamenti del territorio, al del dissesto l ’ a b u s i v i s m o e d i l i z i o , centro nord gli interventi di idrogeologico l ’ e c c e s s i v a e s p a n s i o n e urbanistica con mitigazione dei fenomeni impermeabilizzazione dei franosi ed erosivi dei fiumi suoli, l’occupazione di zone di sembrano non aver successo, pertinenza fluviale, il prelievo abusivo anzi hanno amplificato le aree di inerti dagli alvei fluviali, la discarica sottoposte a rischio. abusiva di rifiuti in alveo, la mancata Nella Regione Campania le manutenzione dei versanti e dei corsi aree con tali caratteristiche sono d’acqua, sono le principali concause numerose e l'esposizione al rischio che hanno sicuramente aggravato il geologico-idraulico costituisce un dissesto del già fragile territorio problema di grande rilevanza sociale, campano.
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AMBIENTE di Michele Cianciulli e Giuseppe Vecchio
MONTECORVINO ROVELLA Da quanto detto è evidente che i nostri luoghi non fanno eccezione! Anzi, a seguito dell’eccezionale precipitazione piovosa abbattutasi nella notte fra il 21 e il 22 settembre su Montecorvino Rovella e nei Comuni limitrofi sono state segnalate frane, smottamenti, interruzioni stradali, allagamenti. Pertanto con delibera di Giunta Comunale n°163 del 22/09/2014 l’Amministrazione di M. Rovella ha richiesto, alle autorità competenti, lo stato di Calamità Naturale su tutto il territorio Comunale. Tu t t a v i a n o n v a dimenticato che quanto accaduto qualche giorno fa è solo l’ultimo di una serie di eventi che hanno prodotto le condizioni disastrose dei nostri suoli che conosciamo e che sono sotto gli occhi di tutti. Basta ricordare la frana che nella notte tra il 5 e il 6 febbraio 2014 si è verificata sulla strada Regionale 164 (ex SS164) che collega Acerno a Montecorvino Rovella e che ha causato la quasi totale interruzione del traffico veicolare, ha creato notevoli danni a beni e persone anche se fortunatamente non ci sono state vittime. La situazione ancora oggi risulta critica e anzi si sta assistendo a un rimbalzo di responsabilità tra gli Enti coinvolti con la sola conseguenza che la zona versa ancora nelle condizioni iniziali se non addirittura peggiorate come accade in questi casi di incuria e di inerzia. Altri eventi della stessa portata si sono verificati sul nostro territorio e in particolare in località Santo Spirito nella frazione San Martino, come si può ben notare nell'immagine. Il movimento franoso, che si è verificato nei primi giorni del mese di marzo dell’anno 2013 ed è tuttora in
ambiente atto, ha coinvolto per un tratto di circa 100 metri il versante a valle della frazione San Martino e precisamente la località Spirito Santo in destra idraulica del torrente Cornea. NOZIONI TECNICHE L’evento classificabile come scorrimento rotazionale presenta un movimento di rotazione intorno a un punto o un asse esterno al versante e posto al di sopra del baricentro della massa spostata. La superficie di rottura presenta una forma arcuata, con la concavità verso l’alto. Il movimento in questa zona specifica risulta sostanzialmente dovuto alla concausa di più fattori e precisamente: al torrente Cornea, per lo scalzamento al piede del versante, agli eventi atmosferici intensi degli ultimi anni e non da ultimo alla rottura delle reti idriche e alle modifiche antropiche apportate alla geometria originaria dei luoghi. Dal punto di vista geologico il versante è costituito da materiale detritico-alluvionale di natura ghiaioso-sabbiosa, sciolto o debolmente addensato, poggiante su argille grigiastre, a luoghi scagliose, affioranti alla base in prossimità del torrente Cornea. Il passaggio tra due litotipi è marcato dalla presenza di “venute d’acqua” di piccola entità evidente testimonianza di “falde sospese” che confermano tale assetto stratigrafico del sottosuolo. Morfologicamente il versante si presentava terrazzato e coltivato a olivi. Oggi i terrazzamenti preesistenti risultano danneggiati e dislocati con una serie di nicchie di distacco, la principale delle quali presenta un’altezza di circa 5 m e ha coinvolto anche una strada privata e un’abitazione in costruzione. A monte della nicchia
principale sono presenti abitazioni private, una strada comunale a servizio dell’acquedotto, e una chiesa del ‘600 (Spirito Santo) catalogata dalla Soprintendenza dei BAP come bene di interesse storico e artistico Inoltre sono presenti una serie di muri di contenimento in cemento armato e in muratura. Due abitazioni private e i muri di contenimento delle rispettive proprietà sono interessate da crolli che testimoniano la tendenza retrogressiva del fenomeno (Frana RETROGRESSIVA - retrogressing; retrogressif): la superficie di rottura si
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ambiente di Michele Cianciulli e Giuseppe Vecchio
v i g e n t e PA I ( P i a n o A s s e t t o Idrogeololgico). Il dissesto però presenta due componenti dal punto di vista cinematico e tipologico: una porzione più ampia che presenta velocità più basse e una centrale in essa contenuta che ha assunto le caratteristiche di una vera e propria colata di detriti-terra con una pericolosità oggettivamente superiore come dimostrano i danni ai terrazzamenti, ad alcune abitazioni, alle opere di sostegno e alla fognatura comunale. Pe r t a n t o , i l d i s s e s t o evidenziato, pur appartenente a un unico sistema di frane, assume pericolosità distinte. La parte interna ha assunto pericolosità P4 e la parte più ampia pericolosità P3.
LE SOLUZIONI
estende in senso opposto a quello del movimento del materiale spostato. Il fenomeno ha provocato anche il danneggiamento dell’acquedotto e della fognatura che passano sulla suddetta strada Comunale le cui fuoriuscite, ora riparate, hanno sicuramente accelerato il movimento. La frana sembrerebbe essersi attivata per lo scalzamento al piede operato dal torrente Cornea a causa dei fenomeni erosivi spondali provocati dal corso d’acqua in occasione delle abbondanti piogge degli ultimi tempi, dalla cattiva manutenzione dell’alveo e dall’intervento di modifiche antropiche alla geometria dei luoghi. Il movimento franoso, come già si è detto, è rappresentato da una frana a scorrimento rotazionale che, nei fatti, costituisce un ampliamento laterale della frana già inventariata nel
L’intervento necessario per garantire le condizioni di sicurezza dell’abitato e dell’edificio di culto, in cui è previsto un alto affollamento consiste nella realizzazione di una paratia di pali tirantata con piloni di grande diametro intestati negli strati ad elevata consistenza meccanica presenti nelle profondità. Ovviamente tale tipo di intervento è necessario a garantire la sicurezza dell’abitato e della parte a monte della nicchia di distacco; pertanto è essenziale prevedere un intervento di sistemazione dell’intero versante e dell’alveo fluviale con azioni mirate quali gabbionate, pulizia dell’alveo, protezioni superficiali con canalette e manutenzione della vegetazione in alveo oggetto di specifica progettazione. Al di là dell'indubbia necessità e utilità di interventi di tipo strutturale, come in questo caso, per la mitigazione del rischio geologicoidraulico, nell'ottica non solo di una migliore compatibilità ambientale ma anche di un corretto equilibrio
ambiente
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ambiente di Michele Cianciulli e Giuseppe Vecchio
finanziario, di un miglior inserimento oltre che a un'effettiva mitigazione nel paesaggio e di una delle condizioni di rischio che sensibilizzazione pubblica verso le attualmente si registrano nel nostro tematiche di protezione ambientale, paese, anche a un recupero da parte è auspicabile che vengano adottate delle comunità locali della coscienza anche misure di salvaguardia non civile e ambientale in tal modo ogni strutturali ma essenzialmente a cittadino acquisisce la carattere preventivo. La loro efficacia consapevolezza dei naturali processi risiede, oltre che in una adeguata e che guidano l'evoluzione del ordinaria manutenzione del territorio e assume comportamenti territorio, in una corretta politica di inerenti alle peculiarità delle zone in programmazione e pianificazione cui risiede. territoriale da effettuare a valle di una Il Puc, se vissuto da tutti i accurata conoscenza dei processi cittadini non solo come piano di morfogenetici naturali che guidano composizione e strutturazione l'evoluzione del paesaggio. urbanistica ma come strumento di Tale programmazione condivisione e di dovrebbe essere realizzata in partecipazione alle Tale fase di redazione del P.U.C. programmazione potenzialità del territorio attraverso l'imposizione di dovrebbe essere d i v e n t a i l r e q u i s i t o vincoli di tipo urbanistico e fondamentale per convivere realizzata in fase correttamente anche in l'emanazione di mirate regolamentazioni edilizie. In di redazione del condizioni di rischio e per P.U.C. buona sostanza si tratta di rendere efficace qualsiasi effettuare scelte di azione in favore programmazione delle aree dell'ambiente, al di là degli urbane e di adottare un’idonea specifici interessi politici dell’attuale disciplina circa l'uso del territorio amministrazione comunale o di nelle aree maggiormente vulnerabili. quelle che potrebbero esserci in Queste soluzioni possono essere futuro. integrate dall'applicazione di vincoli e A nostro parere solo in questo prescrizioni riguardo alle pratiche modo si potranno salvaguardare il agricole e alle modalità d'uso agroterritorio e il Bene Comune. forestale del suolo. Altresì, negli ultimi anni, da molte parti del mondo politico e scientifico si avverte la necessità di una maggiore responsabilizzazione dei privati cittadini nella corretta localizzazione dei manufatti da inserire nel territorio e proprio a tal fine si auspica l'introduzione di prescrizioni assicurative a salvaguardia dei beni e degli strumenti di servizio presenti nelle aree a maggior rischio. Questo tipo di approccio a un problema tanto gravoso porterebbe,
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UN PATRIMONIO SINGOLO E COLLETTIVO
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ualche giorno fa, in un mio abituale giro a Salerno e quindi alla Libreria Feltrinelli, aggirandomi fra le ultime novità ho notato un libro dal titolo particolare: Fondata sulla bellezza, di Emilio Casalini. Sfogliando alcune pagine mi è sembrato molto interessante l’attenzione dell’autore su alcuni punti quali le iniziative, i metodi e la programmazione progettuale (e politica) per tentare di far ripartire l’Italia proprio puntando sullo sconfinato e complicato patrimonio culturale e paesaggistico che stiamo poco alla volta, ma con un certo impegno, distruggendo. Il sottotitolo, infatti, recita “come far rinascere l’Italia a partire dalla sua vera ricchezza”. La Cultura e il paesaggio sono le fonti vivificatrici e primissime qualità del nostro Paese; ne sono l’essenza. Distruggendo, abbandonando, avvelenando queste fonti, uccidiamo noi stessi. L’intero pianeta sembra accorgersi di questa immensa ricchezza, del reddito “patrimoniale” del Belpaese; in molti lo riconoscono e continuano ad ammirarlo ed invidiarlo, tranne noi italiani. Solo in Italia siamo in grado di perpetrare questo triplice omicidio (colposo o doloso che sia, non importa). 1. Umiliamo, calpestiamo, occultiamo il nostro patrimonio culturale (storico-artistico, archeologico, paesaggistico, religioso, letterario); 2. Ignoriamo (o non siamo in grado, che è peggio) che questa immensa risorsa possa produrre ricchezza e benessere a noi tutti; 3. Commettiamo un delitto individuale, ma anche collettivo e - oserei dire universale nei confronti della memoria e dello spirito. Il nostro è un patrimonio culturale e naturale che frana continuamente non solo in senso figurato ma anche materialmente: dagli Scavi di Pompei alla Costiera amalfitana; da Refrontolo e il tremendo nubifragio in Veneto alla Calabria con i suoi continui dissesti idrogeologici. Insomma, frane,
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cultura di Vladimiro D’Acunto
Monte San Giorgio
erosioni, allagamenti, alluvioni: l’Italia è un Paese martoriato e violato da ormai mezzo secolo a partire dal secondo dopoguerra. Quasi il 10% della superfice dello Stivale è caratterizzato da un’elevata criticità idrogeologica. Le regioni hanno stimato un fabbisogno di 40 miliardi di euro per la messa in sicurezza del territorio, cui però il governo nell’ultima Legge di Stabilità ha destinato appena 180 milioni per i prossimi tre anni. Ad aggravare ulteriormente il quadro è il consumo del suolo, in continuo aumento. Ogni 5 mesi viene cementificata, secondo Legambiente, una superficie pari all’area di Napoli, un dato che mette in l u c e l e responsabilità dell’uomo per q u e s t e catastrofi, che solo negli ultimi cinquant’anni hanno causato la morte di quattromila persone. Non mi soffermerò sugli infiniti esempi che quotidianamente ci coprono di ridicolo e di vergogna agli occhi di molti, basta soltanto dire che in Italia di arte si può addirittura morire
come nel caso del ragazzo ucciso a causa di un cornicione staccatosi all’altezza della Galleria Umberto I a Napoli. Ebbene sì, da noi l’arte può uccidere. È il capovolgimento del senso logico della realtà, il paradosso ironico e tragico messo in atto in quello che continua comunque ad essere il Paese dell’Arte e della Cultura, esattamente come diceva Göethe. D’altronde basta andare sul sito www.unesco.it/cni/ e cliccare sulla schermata “Patrimonio italiano” e “Siti italiani” per rendersi conto che l’Italia con i suoi 50 siti inclusi nella lista dei Patrimoni dell’Umanità è in cima alla lista, seguita dalla Monferrato Langhe Spagna (43) e d a l l a Germania (39). I siti in tutto il mondo sono 1001, distribuiti tra 1 6 1 Pa e s i , tutelati da una Convenzione per il patrimonio mondiale secondo la quale tali siti hanno un “valore universale”. In Italia il primo sito fu istituito nel 1979 ed è in cima alla lista che segue:
cultura 1. Arte Rupestre della Val Camonica 2. Centro storico di Roma, le proprietà extraterritoriali della Santa Sede nella città e San Paolo fuori le Mura (sito transfrontaliero) 3. La Chiesa e il convento Domenicano di Santa Maria delle Grazie e L’ultima cena di Leonardo da Vinci 4. Centro storico di Firenze 5. Venezia e la sua Laguna 6. Piazza del Duomo a Pisa 7. Centro Storico di San Gimignano 8. I Sassi e il Parco delle Chiese Rupestri di Matera 9. La città di Vicenza e le ville del Palladio in Veneto 10. Centro storico di Siena 11. Centro storico di Napoli 12. Crespi d’Adda 13. Ferrara, città del Rinascimento, e il Delta del Po 14. Castel del Monte 15. Trulli di Alberobello 16. Monumenti paleocristiani di Ravenna 17. Centro storico di Pienza 18. La Reggia di Caserta del XVIII con il Parco, l'acquedotto Vanvitelli e il Complesso di San Leucio 19. Residenze Sabaude 20. L'Orto botanico di Padova 21. Portovenere, Cinque Terre e Isole (Palmaria, Tino e Tinetto) 22. Modena: Cattedrale, Torre Civica e Piazza Grande 23. Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata 24. Costiera Amalfitana 25. Area Archeologica di Agrigento 26. La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina 27. Villaggio Nuragico di Barumini 28. Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, con i siti archeologici di Paestum, Velia e la Certosa diPadula 29. Centro Storico di Urbino 30. Zona Archeologica e Basilica Patriarcale di Aquileia 31. Villa Adriana (Tivoli) 32. Isole Eolie 33. Assisi, La Basilica di San Francesco e altri siti Francescani 34. Città di Verona 35. Villa d'Este (Tivoli) 36. Le città tardo barocche della Val di Noto a sud-est della Sicilia 37. Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia 38. Necropoli Etrusche di Cerveteri e Tarquinia 39. Monte San Giorgio (2003) 40. Val d'Orcia 41. Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica 42. Genova, le Strade Nuove e il Sistema dei Palazzi dei Rolli 43. Mantova e Sabbioneta 44. La ferrovia retica nel paesaggio dell’Albula e del Bernina 45. Dolomiti 46. I longobardi in Italia. Luoghi di potere 47. Siti palafitticoli preistorici delle Alpi 48. Ville medicee 49. Monte Etna 50. Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato (2014)
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cultura di Vladimiro D’Acunto
Crollo Caserma dei Gladiatori
Frana Costiera Amalfitana
San Gimignano
Superfluo qualsiasi commento di fronte a quest’immensità. Si tratta di 46 siti culturali e 4 naturali, di cui 5 solo in Campania. In corso di scrittura di quest’articolo ho notato anche un errore abbastanza grave: il sito di Monte San Giorgio, in grassetto e contrassegnato dalla data 2003, è stato addirittura dimenticato e quindi non inserito sul suddetto sito ufficiale italiano (www.unesco.it/cni/). Infatti, ad un’attenta lettura della lista risultano 49 siti e non 50 come, peraltro, è scritto nella stessa pagina web. Ad ulteriore conferma di quanto è stato detto, persino la Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco (e quindi un’Istituzione ufficiale) ignora di avere Monte San Giorgio tra il suo Patrimonio. Per questo intendo omaggiarlo con la foto ivi pubblicata, augurandomi che il CittadinoNews possa fornire un contributo all’inserimento del “Monte perduto” nella lista del sito web, dal momento che è stata inviata una segnalazione a chi di dovere per l’ingiusta omissione.
cultura
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VELIA, QUESTA SCONOSCIUTA
cultura
Storie di incuria quotidiana
di Chiara De Rosa
L
a mostra “Picasso e la modernità spagnola” ha da poco aperto battenti a Palazzo Strozzi qui a Firenze. Dovrei parlarvi di questo mostro sacro della storia dell’arte, del meraviglioso modo in cui l’esposizione è stata allestita (Palazzo Strozzi non delude mai!) e della promozione di Trenitalia (ingresso 2x1 presentando il biglietto del treno). Ma davvero non ce la faccio. La mia mente oggi non è qui: è nel passato. Ho sempre odiato la storia dell’antichità, finché non ho capito che l’età classica è il tempo in cui la mia terra è forse stata più felice. Vorrei tanto averci vissuto. Forse non c’erano tante “comodità” e le probabilità che io potessi essere in grado di scrivere (come sto facendo) sono davvero minime. Eppure… siete mai stati al Museo Archeologico di Salerno? Riformulo: conoscete l’esistenza del Museo Archeologico di Salerno? È un posto magico – che, tra l’altro, contiene diversi reperti provenienti da Montecorvino Rovella– dove una cosa salta all’occhio anche a chi non ha la più pallida idea di dove collocare nel tempo l’età del bronzo: la mescolanza di stili, di generi e perciò di genti che hanno abitato i posti in cui oggi viviamo noi. Il Sud della nostra penisola, infatti, aveva la cultura del popolo più straordinario del tempo (senza le sue guerre intestine), ma era in una posizione geografica di centralità, per cui gli scambi commerciali che gli assicuravano il benessere, gli permettevano anche un’elevata vitalità culturale. Vi si parlavano due, tre lingue e di certo non c’erano gli stessi problemi di integrazione. Considerando poi la bellezza di alcuni ritrovamenti, non
c’è da stupirsi che la Magna Grecia sia diventata punto di riferimento culturale: dalla riscoperta di Paestum nel Settecento, difatti, parte forse tutto il Neoclassicismo. All’ombra di questo gigante, però, vive un altro sito, quello di Elea, la casa di Parmenide, che vi insegnò la sua teoria dell’Essere (così come Crotone offrì rifugio a Pitagora ed era sede della sua scuola). Elea, che i Romani chiamarono in seguito Velia, era una città vivissima, i cui resti sono stati ritrovati nel Comune di Ascea (Sa). Il sito conserva reperti importantissimi: il più antico arco italiano a tutto sesto (la maestosa Porta Rosa), il pozzo di Hermes, un busto in marmo di Parmenide. E Dio solo sa cos’altro, dato che, com’è chiaro anche a prima vista, è stato scavato soltanto il 15-20% dell’antica città. Sotto la terra potrebbero infatti esserci non solo residui riguardanti la scuola eleatica e il suo fondatore, ma pure resti della villa appartenuta a Cicerone. L’area archeologica vive invece, praticamente da sempre, in uno stato di degrado, quasi di abbandono. È accessibile ai visitatori tutti i giorni, ma solo da quando i fondi europei, qualche anno fa, hanno permesso la costruzione di vari edifici
di legno e vetro (dei quali è usata solo la biglietteria). Il 2014 si sta rivelando, inoltre, un anno devastante per Velia: prima i crolli dovuti alle abbondanti piogge di inizio anno; poi la crescita delle erbacce, perché all’allevatore che le tagliava gratuitamente per ricavarne foraggio per i suoi cavalli è stato chiesto di pagare; infine i pericoli dovuti alla vegetazione. Ulivi, carrubi, gelsi andrebbero potati, ma il volontario che se ne occupava è morto. La Soprintendenza di Salerno con i suoi già scarsi fondi deve pensare a “nutrire” anche gli altri scavi (in primis Paestum) e non riesce a sopperire, ma questa non è certo una novità. La novità è che ci importa. Importa alle trentacinquemila persone che la visitano ogni anno; importa al sindaco di Ascea e ai colleghi dei comuni limitrofi, che stanzieranno fondi per la ripulitura. Importa forse anche all’Unesco, che altrimenti non l’avrebbe dichiarata patrimonio dell’umanità; importa di sicuro, invece, agli austriaci che da diverso tempo stanno effettuando scavi autonomamente. Se queste attenzioni saranno sufficienti, lo scopriremo.
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storia
COS’È L’ASIA CENTRALE
O
ggigiorno, da un punto di vista politico, è definita Asia Centrale la macroregione che dal Mar Caspio va fino alla Cina nord-occidentale. Convenzionalmente è anche chiamata Turkestan, includendo tutti i popoli parlanti lingue turche fatta eccezione per il Tagikistan, abitato da parlanti iranofoni. Gli stati che appartengono alla macroregione del Turkestan sono Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, regioni diventate indipendenti dopo il crollo dell’ex-URSS. (fig.1) Da un punto di vista climatico e per certi versi storico, l’UNESCO include nella regione centroasiatica anche la parte orientale e nordorientale dell’Iran, l’Afghanistan, il Pakistan occidentale e settentrionale, l’India settentrionale, la Mongolia, la Cina occidentale (Tibet incluso) e le regioni russe meridionali. La macroarea centroasiatica è la cosiddetta “via carovaniera del mondo antico”. È tra i suoi territori che venne stabilita e battuta la famosa Via della Seta, un reticolato di oltre 8000 chilometri di rotte terrestri, fluviali e marittime che collegavano i popoli del Mediterraneo ad Ovest con l’Oriente fino al Giappone all’estremità orientale e all’India a Sud. Per forza di cose era d’obbligo il passaggio nelle regioni centroasiatiche, famose per aver dato dimora ai più importanti avamposti commerciali ma anche culturali che hanno permesso la diffusione, sì, di merci pregiate molto ricercate da entrambe le parti, ma anche idee di regalità, tecniche di artigianato e di guerra, nonché di religioni. Il nome Via della Seta non è antico quanto le sue rotte: fu solo nel 1877 che un geografo tedesco, Ferdinand von Richthofen, pubblicò un Tagebücher (un giornale di divulgazione scientifica) dedicato alla Cina e nella cui introduzione parla di una Seidenstraße, “Via della Seta” per l’appunto. In pochi sanno che una
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storia di Alfonso Cesarano
delle religioni orientali più conosciute, il Buddhismo, ha visto la sua fortuna proprio grazie alle vie carovaniere dell’Asia Centrale nonostante l’immaginario collettivo lo voglia nato e maturato in Estremo Oriente, sebbene sia una corrente indiana di cui parleremo più in dettaglio nell’articolo dedicato all’Asia Meridionale e al subcontinente indiano. Merci, figure sacre, ma soprattutto manoscritti hanno viaggiato in entrambi i versi creando anche delle vere e proprie biblioteche ricchissime di testimonianze scritte importanti, oggi, per lo studio sia dei popoli che concorsero alla magnificenza della Via della Seta sia al diffondersi di idee e culti dall’uno all’altro verso e viceversa. Di inestimabile valore è la cosiddetta “biblioteca di Dunhuang,”, un avamposto-oasi situato nell’odierna regione cinese del Gansu, che raccoglieva decine di migliaia di manoscritti in varie lingue e di vario argomento oggi digitalizzati e disponibili a tutti coloro interessati a studiarne contenuti e significati. (fig.2) Ma non solo il Buddhismo viaggiò lungo le rotte centroasiatiche: altre religioni e scuole di pensiero del mondo occidentale, come varie forme di Cristianesimo o culti mediorientali diversi dall’Islam come il Manicheismo o lo Zoroastrismo, raggiunsero l’Oriente. L’Islam si è fatto strada verso l’Oriente proprio
passando per l’Asia Centrale sin da quando, nel VII secolo, le popolazioni arabe conquistarono ciò che rimaneva dell’ormai debole regno persiano dei Sasanidi e passando per le cosiddette satrapie (unità amministrative in vigore nell’antica Persia) orientali si fecero poi strada, con l’avanzare dei secoli, nella Cina Meridionale e Nord-occidentale, nell’Asia Meridionale fino al Sud-Est Asiatico terrestre e marittimo. Come è evidente, l’importanza storica dell’Asia Centrale è imprescindibile per comprendere sia le culture mediorientali a Ovest e quelle panindiane ed estremorientali ad Est e di fatto, nel prossimo numero, la sua importanza verrà rielogiata poiché parleremo di Asia Meridionale e subcontinente indiano.
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storia
IL DEMONE PAZUZU TRA STORIA, CINEMA E MUSICA
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azuzu fu un demone maligno del vento di Sud-Ovest, temuto e amato da Assiri e Babilonesi nel I millennio a.C. Egli era invocato soprattutto dalle donne incinte per proteggersi da un altro demone: Lamashtu. Infatti la tradizione narra che questo spirito disturbava le donne gravide durante la notte, toccando il loro grembo sette volte e rapendo i feti. Le donne allora per dormire tranquille erano solite indossare un portafortuna raffigurante Pazuzu che aveva il potere di scacciare Lamashtu. In sostanza Pazuzu era uno spirito sia maligno che benigno. Benigno perché in grado di scacciare altri demoni provenienti dal mondo sommerso (arallû, il regno dei morti), maligno in quanto demone del vento e quindi, come tutti gli altri, principale portatore di malattie. L’iconografia di Pazuzu mutò nel corso dei secoli ma era grossomodo raffigurato con testa ferina, arti da rapace, coda di scorpione, ali spiegate, braccio destro alzato e, non sempre, con un fallo terminante a testa di serpente (fig.1, 2007 Musée du Louvre / Thierry Ollivier). La statuetta in figura del Louvre reca anche un’iscrizione sul retro: “Io sono Pazuzu, figlio di Khanpa re dei cattivi spiriti dell’aria, che fuoriesce violentemente dalla montagna portando devastazione”. Ora, osservate bene la figura. Vi ricorda qualcosa? All’inizio del film L’Esorcista, padre Merrin Lankaster durante uno scavo nella città di Ninive, nell’Iraq
fig. 2
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STORIA di Fausto Mauro
fig. 1
settentrionale, rinviene una testa di Pazuzu e qualche scena più avanti, lo stesso Lankaster si ritrova di fronte ad un’intera statua del demone. (fig.2) Sarà proprio Pazuzu a impossessarsi della piccola Regan MacNeil e ad avere un ruolo importante in tutto il resto della saga. Non solo, nella serie animata Futurama infatti, Pazuzu è il nome che il professor Hubert Farnsworth dà al suo gargoyle. E anche la musica ha subito il fascino del demone. A lui si rifanno alcuni gruppi black metal, Pazuzu è il titolo di una canzone disco degli anni ’70 di Tony Silvester e nella clip del brano Rockit dei Gorillaz, una statua del demone compare nel video e canta il ritornello (fig.3). Inoltre Pazuzu è anche il personaggio di un gioco, Mutant Fighter, e del secondo volume del
fumetto Les Aventures extraordinaires d'Adèle Blanc-Sec di Jacques Tardi, tra l’altro portato al cinema da Luc Besson con il film Adèle e l'enigma del faraone. Siamo di fronte quindi ad un demone mesopotamico ripreso nel cinema, nella musica, nei fumetti e nei giochi. Quello di Pazuzu è anche un curioso caso di demone sia benigno che maligno, in grado di avere un effetto diverso sugli esseri umani a seconda delle circostanze, delle situazioni e delle loro azioni e che nonostante questo, gli Assiri e i Babilonesi non hanno temuto di rappresentare.
fig. 3
musica
AUGUSTINES: NATI IN AGOSTO
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MUSICA di Giulio D’Ambrosio
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li Augustines risorgono da un limbo dalle ceneri dei Pela. Prosa a parte, il confine tra l’inizio e la fine non è una semplice linea di demarcazione, tutt’altro; l’aleatorietà seguita per tutta la carriera dei Pela e intreccia le sue vicende con un'altra matrice: le tragedie familiari del frontman Billy McCarthy. Otto anni, due ep, un album in studio e un altro in lavorazione, tanto durano i Pela. Otto anni in tournee da headline e da band di supporto a Sonic Youth, Norah Jones, The National, Gaslight Anthem e altri nomi già affermati sulla scena. Ma la scena underground newyorchese è tanto amena quanto spietata. Il grande salto non avviene, i trent’anni incombono e i debiti accumulati divengono un insormontabile nemico per la band. Il clima d’incertezza corrobora l’imminente rottura e il colpo di grazia lo sancisce il suicidio di James, fratello di Billy. Questi visse in rifugi per senzatetto dall’età del liceo, combattendo la tossicodipendenza per gran parte della sua vita. Vani furono i tentativi di aiuto da parte di Billy e sua sorella. James morì suicida in un istituto psichiatrico qualche anno dopo che gli fu diagnosticato la schizofrenia. Questo territorio non era nuovo per Billy e fu una componente fondamentale per il suo ruolo di songwriter negli Augustines/Pela. Per gran parte della giovinezza i tre fratelli furono affidati a famiglie diverse, causa la tossicodipendenza e schizofrenia della madre. All’età di diciannove anni Billy fu convocato per riconoscere la salma della madre morta suicida in un rifugio per senzatetto, dopo un mix di farmaci antidepressivi e cocaina. Tra i pochi affetti che aveva con lei, una foto dei tre figli e i loro nomi scarabocchiati sul retro. I Pela non esistevano più, citando le parole di Eric Sanderson polistrumentista degli Augustines/Pela: “Pela was unable to survive the storm” L’ineluttabile limbo sembra essere un’avita nemesi a cui McCarthy
non può opporsi ma, dopo quasi due anni dallo scioglimento decide con Sanderson – con il quale ha continuato a tenersi in contatto – di riprendere i vecchi demo in lavorazione con i Pela e di comporre del nuovo materiale. A loro si aggiungerà il batterista Rob Allen. Decidono di iniziare da una inedito, Book of James, un elogio al fratello di Billy. McCarthy segue le session di registrazione con un ossequiosa pervicacia, come fosse una reliquia obliata da portare alla luce. Sovrastate le difficoltà di registrazione il nuovo lavoro, Rise Ye Sunken Ships (2011), vede la luce sotto il nuovo nome Augustines. Riaffiorano i demoni, risorgono i cari; mossi su una tela di maledetta bellezza in canzonati racconti, intrecciano le loro presuntive storie con il dolore e l’emotività di McCarthy. Odierni antieroi vivono strazianti rimorsi alla vista della propria amata mentre attraversa la navata verso un altro uomo, strisciano in trincee di logoramento contro una depressione combattuta nella solitudine dei propri giorni. In fuga dalla polizia, dagli strizzacervelli, dal Patton state hospital, verso Juarez alla ricerca di un padre mai conosciuto, recitando i nomi del propri fratelli e madri in una salmodia di
blasfema iconografia. La chiusura, soltanto strumentale, concede il riscatto e il perdono ai nostri antieroi. Riscatto e perdono che saranno conquistati nel sincero atto di averci provato. L’ u l t i m o a l b u m Augustine(2014), accolto positivamente dalla critica, ha come tema centrale qualcosa di più popolare ma fondamentale: l’amore. Meno ruvido nel suonato, l’impatto emotivo non è lo stesso del precedente Rise Ye Sunken Ships (difficilmente si potrà eguagliare quell’uragano di emozioni). In conclusione, se cercate una band appartenente a quella scena indie-rock genuina e sanguinante, refrattaria alle lusinghe del mainstream e agli attici sovrastanti Central Park, gli Augustines sono la band per voi.
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cinema
LUCHINO VISCONTI
Il messaggio universale del suo genio creativo
CittadinoNews|21
cinema di Michele Carucci
I
n occasione del Festival du Film, la deliziosa città normanna di Dieppe si colora di caratteristici aquiloni a tema. Accanto agli artisti emergenti, ognuno – turisti compresi – fa riferimento ai Grandi del passato: cineasti inglesi, americani e russi. Prende vento anche il mio aquilone: tra gli Illustri del cinema italiano chi può meglio rappresentarci se non Luchino Visconti? Il mio è un impegno culturale per onorare la memoria di un incontrastato signore dello spettacolo. Genio e sregolatezza in un unico cineasta; intelligenza e passione in un esclusivo regista teatrale. Dalle sue pellicole fuoriesce la quintessenza dell’esistenza: le domande prime – Ossessione, La terra trema, Bellissima –; le emozioni estreme – Senso, Rocco e i suoi fratelli –; i sentimenti ultimi – Il Gattopardo, Vaghe stelle dell’Orsa, Morte a Venezia –. In questi orditi meccanismi troviamo teatro, musica, pittura e fotografia. Luchino ha saputo addensare nelle sue produzioni un’accurata sintesi delle arti, a mo’ del celebre Wagner o del rinomato Ëjzenštejn con le loro opere d’arte totali. “I corvi volano a schiera, le aquile volano solitarie”. Ecco l’artistica stravaganza di un Mito, il suo denso magistero creativo che s’inscrive in un orizzonte interminabile invaso dalle immagini dei suoi film, dalle emozioni del suo teatro e dalle inedite riflessioni della sua vita. Visconti eccelleva nel lavoro, sui set cinematografici così come sulle tavole di legno dei teatri, con la sua fine autorità, con l’innato dono del farsi obbedire senza convincimenti o mezze misure. Dedito alla cura dei particolari e alle precise ricostruzioni storiche, fu accarezzato da una preziosa sensibilità: reduce dalla terribile esperienza della guerra, alcune sue
pellicole furono pregne di drammaticità e di lacrime italiane – ancor meglio, meridionali –. Ma i suoi attori seppur mortificati, non presentarono mai un’aria vinta o rassegnata. Che bel messaggio. Amava l’arte, l’incantevole musica, le grandi voci, anche quelle emergenti di una ragazza che, a quei tempi, amava farsi chiamare Baby Gate e che più tardi sarebbe diventata la nostra cara Mina. Che istinto infallibile. A m a v a circondarsi di amici, pochi amici, buoni amici. E amava far regnare la gioia di vivere, la salute, l’allegria. Che bella regia. Amava ispirarsi, scovare le condizioni ideali per la sua attività creativa. E spesso ci riusciva perdendosi tra le decine di dimore che comprava e abitava – forse una volta, forse mai –, negli angoli di giardino silenziosi, sulle terrazze che
abbracciavano il mare. D’Ischia se ne innamorò subito: la Colombaia fu il suo nido solido e incorruttibile, che nemmeno la malattia degli ultimi anni riuscì a incrinare. Il suo è stato un saluto tra profumi intensi di vero cinema italiano e sentori di un teatro che a stento torneranno più. Ho scritto di lui quello che, forse, una potentissima Wikipedia non può regalarci. L’orgoglio inesorabile di un fuoriclasse italiano. Per Visconti, per i lettori del Portale, per la Cultura, per l’arte. La grande Arte.
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enogastronomia
DAIQUIRI PARTE II
D
opo aver parlato delle origini del daiquiri passiamo alla sua realizzazione: secondo la ricetta IBA (International Bartender Association) si prepara shakerando 6/10 di rum bianco, 3/10 di succo di lime o limone e 1/10 di zucchero di canna liquido. Il cocktail deve essere poi servito in una coppetta ghiacciata. Ha un colore giallo pallido tendente al bianco, con intensi riflessi verdognoli, ed è ricco di profumi delicati ed eleganti. Se preparato con il lime questo cocktail si riconosce subito per la delicatezza e l’armonia degli aromi. Ha un gusto abbastanza secco da lasciare la bocca piacevolmente pulita a lungo. È sicuramente un drink da consumare prevalentemente in estate. Il Daiquiri può essere servito in vari modi e arricchito con succhi di frutta, per creare sfiziose varianti Abbiamo ad esempio: Il Frozen Daiquiri, una moderna versione del Daiquiri, rinfrescante, ottima d’estate. Il bicchiere più adatto a servirlo è il "goblet". Si prepara versando gli ingredienti del daiquiri in un blender (frullatore ad alta velocità) con abbondante ghiaccio. Il risultato finale è un cocktail fresco e piacevole che può quasi sembrare una granita. Il frozen può essere ulteriormente arricchito per creare ad esempio: lo Strawberry Daiquiri, con l’aggiunta di fragole fresche che vengono frullate con il resto; il Banana Daiquiri è la versione moderna del Daiquiri con l’aggiunta di Crème de banane ( un liquore alla banana); il Daiquiri New Fashion con crème de banane e fragole. Il Daiquiri, come già detto, è celebre per essere stato uno dei preferiti dallo scrittore Ernest Hemingway, assieme al mojito (My mojito at La Bodeguita, my daiquiri at El Floridita), non a caso
esistono 2 varianti a lui d e d i c a t e : il Papa Doble, con doppia razione di rhum; l’Hemingway special, con maraschino e succo d’ananas invece dello zucchero. U n’ i n t e r e s s a n t e variante è l’Hot Red Daiquiri, ossia un daiquiri piccante. Mi è stata suggerita da un cliente la cui madre è appassionata spettatrice dei programmi del canale gambero rosso. L’hot red daiquiri è un divertente aperitivo che unisce al gusto del classico daiquiri, il piccante del peperoncino e l’amaro del bitter rosso. Si prepara versando gli ingredienti del daiquiri in un bicchiere da miscelazione e aggiungendo un peperoncino tagliato di lungo che verrà pestato delicatamente per far rilasciare la capsicina, il principio attivo del peperoncino. Fatto ciò, si aggiunge del ghiaccio e si shakera utilizzando il boston (è uno shaker formato da un bicchiere di vetro e uno d’acciaio che si incastrano l’uno nell’altro).Si filtra il contenuto in un
Hot Red Daiquiri
CittadinoNews|22
enogastronomia di Ivan Cibele
Frozen Daiquiri
bicchiere colmo di ghiaccio, e si conclude colmando con il bitter rosso. Il cocktail piò essere quindi decorato con fettina di lime o limone e qualche peperoncino fresco. Il daiquiri compare anche in alcuni film: viene ripetutamente citato nel film “Il Nostro Agente all'Avana” (film di Carol Reed del 1959). Viene citato inoltre in Improvvisamente l'estate scorsa (film del 1959, diretto da Joseph L. Mankiewicz) da Katharine Hepburn che lo offre a Montgomery Clift Un Daiquiri viene servito con aggiunta di arsenico, al fine di commettere un omicidio, nel giallo “Assassinio allo specchio di Guy Hamilton (1980), tratto dall’omonimo romanzo di Agatha Christie, anche se nel doppiaggio italiano è erroneamente pronunciato dàiquiri invece che daiquìri; e compare anche ne “Il padrinoparte II ”( film del 1974 diretto da Francis Ford Coppola), quando Fredo Corleone lo ordina mentre è a colloquio con il fratello Mike.
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