Cittadinonews n 6 anno 3

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Cittadi o Un novembre/dicembre 2014 - anno 3 n. 6 - distribuzione gratuita

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Anno nuovo

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Non andartene docile in quella buona notte

L’editoriale di Vladimiro D’Acunto

Tenendo ben presente che “l’anno che sta arrivando tra un anno passerà” esattamente come è già passato – strano, ma vero - questo 2014, il primo pensiero vola ai nostri affezionati lettori ai quali auguriamo di trascorrere le feste in serenità e insieme ai propri cari. Siamo felici e orgogliosi di avervi fatto compagnia con i nostri 6 numeri in questo anno abbastanza difficile, le cui parole chiave, forse, sono state “disorientamento”, “vuoto”, “superficialità”, “rassegnazione”, “odio”, “timore per il futuro”. È il grande nulla che ci accompagna, così lucidamente rappresentato “in ordine sparso” da Jep Gambardella/Toni Servillo, che si risolve in un banale grande apparire. Sembra sia sempre più difficile accettare il tempo che scorre, subendo e più raramente resistendo all’indifferente apparire della rete (ormai onnipresente) e della società. L’augurio abbastanza insolito che sentiamo di fare a chi ci legge è di “incamminarsi”. Sempre. Provare a scavare nel ricordo di quell’ingenua e pura adolescenza che dovrebbe infondere la forza di dire “non capisco cosa cerco ma, imperterrito, mi incammino”. È necessario anelare il movimento, essere sacerdoti di un dinamismo culturale, sociale, politico, ripudiando la sosta nella palude della staticità e dell’adeguarsi facilmente a qualsiasi cosa. Dovremmo cercare di non piegarci, chinando sommessamente il capo, alla “buona notte” tanto temuta da Dylan Thomas, nei confronti della quale il poeta gallese consiglia fortemente di “non andarsene docile”, ma di “infuriarsi, infuriarsi contro il morire della luce”. Bisogna infatti passarla la nottata, attraversare il lago immobile dentro e fuori di noi, con tutti i rischi che comporta, riemergendone e puntando dritto verso il sogno immaginifico. La buona notte possiede mille volti: spesso è rinuncia, sfiducia, sudditanza nei confronti dei potenti, menefreghismo, prevalere della violenza, paura, sonno della ragione; mai coricarsi abbandonandosi a tali stati d’animo. Le uniche armi da impugnare, infuriandosi e infuriandosi, potrebbero essere il senso critico, incisività di pensieri, l’incandescente ironia e la franca umanità, equilibrio e lucidità di giudizio, autonomia e dignità culturale, politica, professionale. Insomma, rispondere colpo su colpo, lottando contro qualsiasi tipo di asservimento nei confronti della società e del potere. Svegli e mai dormienti, perché chi è un uomo libero non può starsene a dormire. Auguri.

Non andartene docile in quella buona notte, i vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno; infuria, infuria, contro il morire della luce. Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta, perché dalle loro parole non diramarono fulmini non se ne vanno docili in quella buona notte, I probi, con l’ultima onda, gridando quanto splendide le loro deboli gesta danzerebbero in una verde baia, s’infuriano, s’infuriano contro il morire della luce. Gli impulsivi che il sole presero al volo e cantarono, troppo tardi imparando d’averne afflitto il cammino, non se ne vanno docili in quella buona notte. Gli austeri, prossimi alla morte, con cieca vista accorgendosi che occhi spenti potevano brillare come meteore e gioire s’infuriano, s’infuriano contro il morire della luce. E tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi, benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego. Non andartene docile in quella buona notte. Infùriati, infùriati contro il morire della luce. (Dylan Thomas)

sommario 4 > Canto (di Natale) notturno di un pastore errante della Cisgiordania. sociale

6 > Dammi un feedback 7 > Riflessioni di fine anno psicologia

8 > Divorare le emozioni CULTURA

9 > Il teatro in (di) classe 10 > Un colombiano in Texas 11 > Buon Natale, Firenze storia

12 > Cos’è l’Asia Meridionale 13 > Quanto conosciamo i Musulmani? enogastronomia

14 > Cosmopolitan eventi cittadini

15 > Festeggiamenti di Santa Lucia a San Martino "Il mondo non ci è stato lasciato in eredità dai nostri padri, ma ci è stato dato in prestito dai nostri figli"

Cittadino News - anno 3 n. 6 - distribuzione gratuita - Supplemento a: «OZZZIUM - Pillole di buon umore» Reg. Trib. di Salerno - Registro Stampa Periodica al n° 1121/2003 - Editore: SILVER STAR s.a.s. Redazione, Grafica e Stampa: IMAGE SERVICE di Cicatelli A. Direttore Responsabile: De Rosa Giancarlo Vice Direttore: Vladimiro D’Acunto Art Director: Danilo D’Acunto, Tony Cicatelli Redazione: Emiliano Abhinav Boccia Orizzonte, Michele Carucci, Alfonso Cesarano, Ivan Cibele, Alfonsina Citro, Carmine Cuomo, Giulio D’Ambrosio, Chiara De Rosa, Armando Falcone, Rosa Fenza, Lazzaro Immediata, Grazia Imparato, Fausto Mauro, Roberta Mordanini, Antonella Viola, Pierluigi Zaccaria. Hanno collaborato: Domenico Procida, Simone Punzi Indirizzo: C.so Vittorio Emanuele, 384 - Montecorvino Rovella (SA) tel 338 9092107 - cittadinonews@gmail.com

Le immagini raffiguranti i loghi e i marchi delle aziende appartengono ai rispettivi proprietari. Parte delle foto presenti sono state prese da internet, quindi valutate di pubblico dominio. La collaborazione al periodico “CittadinoNews” è a titolo completamente gratuito. L’Editore è proprietario di tutti gli articoli ricevuti anche se non pubblicati.


Canto (di Natale) notturno di un pastore errante della Cisgiordania

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di Danilo D’Acunto

La voce urlava da lontano, o forse era tutta nella mente del pastore. “Dopo di me verrà un altro ancora più potente di me. Io non sono nemmeno degno di sciogliere i lacci dei suoi sandali. Quando egli verrà la terra deserta si rallegrerà e fiorirà come il giglio. Gli occhi dei ciechi vedranno la luce del giorno e le orecchie dei sordi si apriranno. Il neonato poserà la mano sui nidi dei dragoni e condurrà i leoni per la criniera!”. Il pastore finì di mangiare il pezzo di formaggio che aveva portato da casa. Si rannicchiò sotto una palma e provò ad addormentarsi. “Chissà da dove viene quella voce”, pensò. Attorno a lui, soltanto sabbia e la linea dell’orizzonte dolcemente ondulata dalle dune. Poi guardò il cielo socchiudendo gli occhi. “Mamma che strano il cielo stanotte” disse tra sé. “E’ così nero e profondo tanto da sembrare che questa notte non abbia mai fine. S’è pure mangiato tutte le stelle, non è rimasta che qualche lucina sparuta qua e là”. Perché in effetti quella notte il cielo era un manto freddo che sembrava avesse ingoiato la Terra. Tutto era silenzio, neanche un filo di vento che fischiava, la natura era immobile. Solo la voce ogni tanto scompigliava un po’ le cose. “Non ti rallegrare, terra di Palestina, se il bastone di colui che ti colpiva è stato spezzato. Poiché dalla progenie del serpente nascerà un basilisco, e il figlio di questo divorerà gli uccelli!” Il pastore, che era perso nei suoi pensieri, sussultò a quell’ennesimo grido venuto dal nulla. Ma che diavolo voleva dire, quella voce? Di che diavolo blaterava? Ma chi lo capiva e soprattutto, chi gli prestava ascolto? “Sarà qualcuno di quei soldati romani ubriachi fino all’osso, ripieni di vino speziato e la bocca che puzza di garum”. Cosa diavolo ci facevano dei romani in quella terra così lontana da casa, vallo a capire. Non gli bastava fare i padroni a casa loro, adesso dall’Occidente erano arrivati in Oriente per comandare e imporre la loro pax a colpi di spada. Il pastore scorse due piccole stelle che brillarono per un attimo e poi sparirono. “Forse qualcuno di quegli dèi di cui parlano e che stanno in cielo ha aperto e chiuso gli occhi” pensò. “O forse era qualcuno lontano che voleva vedermi. Forse era mia madre. Chissà com’erano gli occhi di mia madre. Chissà com’era mia madre. Non l’ho mai conosciuta, e vorrei tanto. Io ho conosciuto un po’ mio padre, ma appena appena, perché poi ho conosciuto la terra. Non c’era tempo di parlare e conoscersi. C’erano i campi da lavorare, da bagnare spesso con l’acqua, perché da queste parti seccano facilmente, e allora bisogna mantenerli umidi il più possibile; e così ho fatto, con la schiena spezzata dal continuo chinarsi, e le braccia dolenti per lo spostare zolle di terra. Ma alla fine il mio orto ha dato frutti, ho visto la vita nascermi tra le mani e con cura l’ho fatta crescere rigogliosa: la mia fatica aveva avuto un senso. Poi sono venuti loro. E hanno recintato il mio campo, dicendomi che non era più mio. E quando ho chiesto il perché, mi hanno risposto in latino affinché io non capissi e loro potessero continuare a fare quello che volevano. Hanno preso i miei frutti, ed è stato come se mi avessero preso la vita. Hanno rubato il mio sudore e il mio sangue. Quando ho protestato mi hanno bastonato. A me sono toccati poveri scarti, il resto a loro”. E di nuovo la voce rimbombò nel vuoto: “Dov’è colui la cui coppa è ormai colma di abomini? Dov’è colui che, vestito d’argento, morirà un giorno davanti al popolo intero? Ditegli di venire affinché possa udire la voce di colui che ha gridato nei deserti e nei palazzi dei re!” “I palazzi dei re sono un inganno” rispose di rimando il pastore, “urlano la loro grandezza, ma rispetto alla terra su cui poggiano sono piccolissimi. Il loro sfarzo strepita forte, ma alla fine si perde nel silenzio di questa notte. Risplendono di mille colori, eppure questo buio così nero sa come inghiottirli. Tutto qui è scuro, non c’è traccia di luce in questo cielo senza più anima”. E poi una linea. Una linea solcò il cielo tagliandolo a metà. Luminosa, sembrava uno squarcio nel velo dietro il quale si nascondeva il sole. Nitida, chiarissima, cavalcò l’aria per


quarantamila e quarantamila cubiti, viaggiando così veloce da far alzare un forte vento al suo passaggio. La voce parve notarla e infatti disse “È venuto il momento! Quello che avevo predetto si è avverato. È venuto il giorno di cui avevo parlato e sento sui monti i passi di colui che sarà il Salvatore del mondo!” La linea luminosa rallentò e, fermandosi, si ridusse a un puntino brillante. Il pastore lo fissò per un istante, e subito dopo volse lo sguardo intorno a sé. E poi a un tratto l'amore scoppiò dappertutto. Quella luce lontana sembrava chiamarlo. Anzi, sembrava chiamare a sé tutti gli uomini e la natura stessa. Il pastore si alzò scrollandosi la sabbia di dosso e seguì il tracciato opaco che la linea luminosa aveva lasciato, fin quando non lo portò a un gruppo di persone strette intorno a qualcosa, alle quali mano mano se ne aggiungevano altre, venute dai posti più disparati. Percorrendo l’ultimo tratto del percorso, udiva la voce – ormai lontana – sfumare nel vuoto: “sarà seduto sul suo trono. Sarà vestito di porpora e di scarlatto. Terrà in mano un vaso d’oro colmo delle proprie bestemmie. E l’angelo del Signore Iddio lo colpirà. E sarà mangiato dai vermi.” Giunto abbastanza vicino da poter vedere cosa stava accadendo, vide che, esattamente in corrispondenza del puntino luminoso, una madre stava allattando il proprio figlio, assistita dal marito. Entrambi sembravano provati per un lungo e penoso viaggio ma in qualche modo in quel momento preciso le loro ansie e dolori sembravano tacere, intente anche loro a osservare il punto luminoso nel cielo. Il pastore vide il bambino e d’un tratto percepì quell’infante come se fosse la madre che non aveva mai conosciuto, il padre con il quale non aveva mai parlato, la fatica che non aveva trovato riposo, i frutti dei quali non aveva potuto godere. E allora gli porse una lunga serie di domande, tutte mute. Il bambino guardò il pastore e in lui vide il sudore, la prima brina che bagna le piante dei campi coltivati, vide i muscoli, tesi e asciutti come le assi di una vecchia barca che riposa al sole, e vide le mani nodose per via dei calli cresciuti a furia di maneggiare utensili. E poiché il bambino era il figlio dell’Uomo, riuscì a vedere negli occhi del pastore gli occhi di tutti i pastori del mondo. E dei contadini, dei fabbri, degli operai. E vide gli occhi degli ultimi e delle vittime; di quelli che muoiono gridando e quelli che muoiono senza neanche saperlo. Vide gli occhi di un poliziotto, quelli di uno studente, di un sindacalista, di un magistrato, di un poeta, di un calzolaio, di una prostituta, di un professore, di un ferroviere, di un immigrato, di un pescivendolo, di un ladro. E d’improvviso sentì su di sé la stanchezza del mondo. “Voi uomini avete chiesto di me qui sulla Terra e io sono venuto” disse il bambino. “Ma voi stessi un giorno mi rinnegherete, e non quando avrete appeso il mio corpo esangue e le ossa disarticolate al legno, ma quando dimenticherete la vostra stessa dignità marciando a passo d’oca verso il disprezzo degli altri; mi rinnegherete dimenticando il verbo e scegliendo la forza, e mi rinnegherete non al canto del gallo ma al sussurrare della civetta perché amerete il buio che nasconde piuttosto della luce che rivela. E mi rinnegherete perfino negli onori: infatti mentre oggi tre sovrani si inchinano a me, un giorno io sarò costretto a inchinarmi – per vostro volere e colpa – davanti a potenti che in realtà potenti non sono, ma solo uomini che mi hanno rinnegato già prima di voi. Mi rinnegherete, infine, perfino nel più grande insegnamento che ho da darvi: mi rinnegherete nell’amore. Questo amore che stanotte è esploso con forza stracciando il cielo e scompigliando la sabbia un giorno sarà solo il pallido ricordo di un momento che fu e che ritorna soltanto nei canti, nei sogni e nelle statuette di argilla. Eppure, ciononostante, ancora una volta, eccomi qua. Perché nonostante tutti gli uomini mi rinnegheranno, tu non lo farai e siccome la tua vita, da sola, è migliore di quella di tutti gli uomini del mondo, io la onorerò concedendole la mia”. La notte avvolse tutto l’orizzonte. Lontano, tra le dune e le rocce, una rosa sbocciava e si tingeva di rosso.

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sociale

DAMMI UN FEEDBACK

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omanda: quando è che ci rendiamo conto che piccoli, nuovi atteggiamenti e/o comportamenti diventano parte integrante del nostro abituale modus agendi/operandi? Risposta: quando questi diventano irrinunciabili. Salve a tutti e ben trovati, oggi parliamo delle nuove abitudini del consumatore. Mi sono accorta nell’ultimo periodo di come io, in veste di consumatore, sia inesorabilmente cambiata. Credo di essere sempre stata, in fatto di acquisti, il giusto connubio tra saggezza e frivolezza; e parlo di qualsiasi tipo di acquisto, dal capo di abbigliamento al pacco di biscotti: una consumatrice a tratti esperta e scaltra, a tratti desiderosa di cedere al mercato alle sue innovazione e tentazioni. Spesso ho “smascherato” il marketing e le sue becere strategie...e mi sono sentita “forte” a navigare contro-corrente. Altre volte la “piena” mi ha investita… in pieno (!) e sono stata la più facile preda dell’azienda X a cui è bastato un messaggio subliminale per ottenere il mio consenso e i miei denari senza riserve. I l p o v e r o consumatore della nostra epoca, essendo dotato (ahimè!) di risorse finite (molto finite!) è costretto a correre ai ripari. Cosa potrà mai aiutare i consumatori deboli e/o impulsivi e le vittime della pubblicità? L’informazione, forse? Io credo di no. E riparto da me. Forse ciò che io ho sopra definito “giusto connubio tra saggezza e frivolezza” ha più la sostanza di un “precario equilibrio” e la mia esperienza e scaltrezza hanno trovato il loro nutrimento in una

nuova dipendenza: l’informazione. Ebbene sì, sono anche io vittima da “recensione”. Come molti altri poveri consumatori del nostro tempo mi pare sia diventato impossibile fare un acquisto senza aver prima dato uno sguardo a ciò che in internet si dice al riguardo. Ho scoperto milioni di siti internet, blog, pagine Facebook in cui c’è sempre qualcuno che ha provato qualcosa e dice la sua. Mi sono resa conto della esistenza di un pericoloso circolo vizioso che ci porta ad essere non solo schiavi della pubblicità ma anche soggiogati da quelli che nel marketing si chiamano opinion leaders. In rete c’è un guru o una guressa per ogni cosa, per ogni

acquisto: dal make-up ai farmaci. E noi consultiamo gli esperti di turno alla vigilia dei nostri acquisti, quelli importanti ma anche quelli di poco conto. Un bravo professore di Economia mi spiegò come mai in tempi di crisi aumentano le vendite dei rossetti. Occorre aggiungere: “Sì. Sempre che Cliomakeup mi abbia dato un buon feedback a riguardo!”.

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sociale di Antonella Viola

Il consumatore attento legge le recensioni prima di uscire di casa; i maniaci dello shopping cercano conforto in rete dopo aver speso un patrimonio sulla scia dell’impulso, sperando di trovare cinque stelline di gradimento. Ma la nostra vita può d i p e n d e r e d a l “r a t i n g ” ? D a l commento del “consumatore esperto” o del “recensore top”? Convinta sempre più che tutti oggi consultano la rete anche per questi scopi, ho fatto una ricerca in proposito. Uno dei portali più noti in tal senso è “Ciao” e ho scoperto che “1,3 milioni di utenti hanno scritto più di 7 milioni di opinioni su 1,4 milioni di prodotti”. Bei numeri, senza dubbio. C e r c a r e informazioni è, quindi, lo strumento che consente al consumatore di essere più consapevole in fatto di acquisti o è una nuova forma di condizionamento al pari della tradizionale pubblicità? Cerchiamo di evitare le fregature e ci affidiamo ai pareri collettivi. Ma è anche vero che le aziende hanno in organico figure apposite che si occupano della comunicazione web: blogger, opinionisti, utenti che rilasciano feedback a pagamento (e molti, ad esempio, li becchi su TripAdvisor). Ho iniziato l’articolo con una domanda; lo concludo con delle altre. Questa mania è una evoluzione del leggendario “passaparola”? Quanto ci condizionano le recensioni positive e negative? Quanto è lontano il tempo in cui si andava a cena fuori senza prima vedere “le stelle” su TripAdvisor e ci si chiedeva “chissà come sarà”? Le risposte al prossimo numero.

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RIFLESSIONI DI FINE ANNO sociale

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hiudo questo 2014 con una parola: Grazie.

Un grazie particolare a tutti i nuovi amici che sono entrati a far parte della mia vita e un grazie speciale a quelli che se ne sono usciti. Scriviamo l’articolo. Qualcuno, forse, sta leggendo i miei scritti dal titolo ...Tempi nostri. Qualcuno, forse. Ecco, a questo qualcuno dico che intendo prendere una pausa, quindi per questa uscita di Cittadino News, niente ...Tempi nostri. Tutti sapete che tra poco è Natale e che a Natale (notare la maiuscola) tutti sono più buoni. Sembra che il natale (basta con la maiuscola) porti con sé un virus che spargendosi nell’aria, insieme ai regali che si è soliti regalarsi sotto l’albero, penetri nel corpo fisico delle persone, lo pervade fin nel più sperduto neurone cerebrale e da lì, per chissà quale alchemica magia passi nella mente (qualcuno la chiama anima, qualcuno non la chiama proprio). E lì, dalla mente, questo virus, comincia a trasformare il comportamento degli individui. Non ci credete, vero? Vi porto una riflessione che riguarda i regali. Si, quelli di natale. Si sa che la generosità non è proprio una delle virtù più diffuse, chiedete a qualcuno di prestarvi un suo oggetto personale o (caso mai impazziste) di regalarvelo. Vi renderete subito conto che quel che affermo sulla generosità umana non è poi così lontano dalla realtà. E invece a natale tutti a fare regali a destra e a manca (che poi perché si dice a manca invece che a sinistra? Boh!). Merito del virus, non della bontà degli uomini, infatti già all’arrivo della Befana le cose iniziano a cambiare. Non si dice L’Epifania tutte le feste porta via? Questo aspetto della natura umana, lasciando da parte tutte le altre contraddizioni di cui è inconsapevolmente portatrice (la natura umana) come l’incapacità di vedere le ragioni dell’altro (per gli ottusi che non riescono a vedere più lontano del loro naso), o il desiderio di

avviare iniziative niente affatto lodevoli (movimenti politici con l’insulsa idea di operare per il bene della comunità) e ancora desiderare di impegnarsi per il bene degli altri, a dispetto delle più semplici e logiche norme di comportamento che ogni cittadino è tenuto a rispettare, come (ad esempio) la libertà di decidere come porre fine alla propria vita (alcool, nicotina, droga, cancro, suicidio), di influenzare (nel bene e/o nel male ma soprattutto nel male, ci riusciamo meglio) il destino delle generazioni future (giù le mani dai bambini), di inventarsi nuovi modelli economici di produzione della ricchezza (abolizione del capitalismo e degli stipendi, nazionalizzazione a favore delle multinazionali delle risorse primarie, e altre amenità del genere) senza tenere conto, per nulla, né dei propri limiti (ognuno li possiede, tranne Dio, se esiste un dio) né delle proprie attitudini. Sì, attitudini. Mi spiego. Le attitudini sono quelle attività in cui, in un modo o nell'altro, riusciamo meglio. Qualcuno, come me, che svolge l’attività di counselor professionale e che si occupa di benessere psico-fisico e di salutogenesi, le chiama risorse personali. Lasciando stare il motivo per cui la maggior parte degli individui (gli egocentrici per primi) non conoscono i propri limiti, anzi non conoscono neanche il concetto di limite, e che, a dire il vero, anche matematicamente la funzione del Limite è sempre stata un po’ oscura a molti, Fourier e Bernouilli compresi, seppure, così asserivano, ne possedevano una profonda conoscenza (del Limite o dei loro limiti?), lasciando stare tutto questo, la domanda è: ma almeno una domanda sulle vostre attitudini ve la siete fatta? Questo non è un problema da poco. Vi invito a riflettere, e sono sicuro che su questo che sto per dire vi ci ritroverete in pieno, a come vi sentite offesi e al senso di

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sociale di Emiliano Abhinav Boccia Orizzonte

sopraffazione che avvertite quando qualcuno che dovrebbe offrirvi un servizio importante (per il quale avete anche sborsato del denaro) vi delude per la sua incapacità nel soddisfarvi ma soprattutto per l’incompetenza che dimostra in quello specifico contesto, su quel determinato argomento e per la superficialità con cui si appresta a prendere in carico il vostro bisogno. Quello che fino a qualche rigo fa vi sembrava uno scherzo dialettico in cui il sottoscritto sembrava si destreggiasse per il semplice piacere di scrivere si è dimostrato, in questo preciso istante, essere una caratteristica di grandissima rilevanza per la risoluzione di molti aspetti sociali da cui non possiamo, per ovvi motivi, tirarcene fuori, essendone coinvolti fino al collo. E il Natale? Il virus? Quella storia ve la continuo l’anno prossimo. A proposito delle attitudini. Della serie ca’ nisciun è fess’ ci tengo a dire che, molti (tra quelli che ci deludono per la loro incompetenza e inadeguatezza) non sono fuori posto (anche se così sembrerebbe) ma occupano la posizione giusta per la loro principale attitudine. Quale? Ma è semplice: quella di accaparrarsi quanto più possono a scapito dei deboli e dei bisognosi. Perciò meditate gente, meditate. Se trovi una persona sbagliata al posto sbagliato, o qualcuno che ha per smania quella di migliorare questo mondo un motivo ci deve pur essere, e stà sicuro che tu non hai niente da guadagnarci. Anzi.


psicologia

DIVORARE LE EMOZIONI

Mi sento spesso solo, bloccato… Allora mi prende la tristezza, apro il frigo e mi abbuffo” A chi non è mai capitato? Tale pratica, meglio conosciuta come emotional eating, ha alla base cause genetiche ed ambientali che si intrecciano e si avvitano con modalità complesse, coinvolgendo aspetti sociali, abitudini di vita, motivazioni psicologiche e stress situazionali. Mangiare dunque diviene un modo per compensare un’affettività repressa, sostituire un’aggressività che non può essere espressa, consolare le piccole delusioni, fino a placare l’angoscia o la depressione. Si mangia per riempire un vuoto, per sentirsi “pieni” e lo si fa come in preda ad un raptus, in pochi minuti l’abbuffata è compiuta e … le proprie emozioni sono state divorate. In effetti esiste un rapporto circolare tra emozioni e abitudini alimentari: determinati vissuti emotivi possono indurre il desiderio di alcuni cibi e questi, a loro volta, sono in grado di influire, almeno in parte, sullo stato emotivo poiché assumono un significato simbolico associato alle diverse sensazioni di sicurezza, soddisfazione, amore e piacere che si ricercano in preda alla fame nervosa. Ingozzarsi però non è

sicuramente il modo più salutare per vivere le proprie emozioni, abbuffarsi ci fa sentire grevi e prigionieri di una bocca che non riuscendo ad esprimersi mangia al posto nostro. Tuttavia la fame emotiva, di per sé non è una patologia né un disturbo, né può essere considerato una dipendenza ma piuttosto una mancanza di volontà di scoperta e conoscenza di se stessi; e’ sicuramente più semplice aprire il frigo e ingoiare piuttosto che fermarsi a riflettere sull’emozione che ci spinge a fare ciò ed ecco che ancora una volta quella finta fame, conseguenza di un disagio, non viene ascoltata ma affogata con leccornie varie che dovranno essere digeriti insieme a tutto il resto della quotidianità che invece non riesce ad andar giù. Divorare è frutto di schemi di pensiero e comportamento che possono essere modificati a partire dall’idea che non si è impotenti nel rapporto tra la mente e il cibo. Si può arrivare al controllo della fame

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PSICOLOGIA di Grazia Imparato

emotiva identificando e accettando le proprie emozioni e sviluppando alternative comportamentali in grado di separare i sentimenti dal cibo. Quando si è preda del solito attacco di fame prima di raggiungere la cucina o la più vicina pasticceria sarebbe utile fermarsi un attimo per ascoltarsi e capire quali emozioni si stanno provando mentre si pensa: “Ho fame”. Se si è nervosi o tristi la cioccolata potrebbe essere sostituita con l’attività fisica, se si è agitati meglio lasciar perdere i carboidrati e rilassarsi con un bel bagno caldo. Se, nonostante questo, si avverte ancora il desiderio di mangiare, si può aprire il frigorifero cercando però di chiedersi: “Di che cosa ho davvero fame”, probabilmente in questo modo la smania di abbuffarsi sarà scemata e dalla fame saranno germogliate nuove emozioni che permetteranno di scegliere in modo più razionale i cibi da stuzzicare. Sta a voi, in base alla vostra personalità e ai vostri gusti, scegliere come superare queste crisi di fame ricordando sempre di separare le emozioni dal cibo e di mangiare solo per il piacere di nutrirsi. Che poi, non è la vita stessa l’abbuffata migliore da fare?

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IL TEATRO IN (DI) CLASSE cultura

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rt, Théâtre et Spectacle. Sempre e ogni volta con le maiuscole; questo mese anche tradotti. Perché oggi volevo parlarVi di loro. Studenti francesi alle prime armi con una lingua straniera. La nostra. L’italiano, la lingua di Dante, ostica nella grammatica e ancor più nella scrittura. Accenti, doppie consonanti, surplus di metafore nella costruzione delle frasi. Insomma bella sì, musicalmente latina anche, ma piuttosto impegnativa nell’apprendimento. Uno studio specifico, però, potrebbe condurre all’elaborazione di un metodo a dir poco sorprendente. Prassi che mi è stata avallata da una grande esperta dell’Académie di Rouen, insegnante di italiano e scrittrice di testi didattici, Valérie Bernejo. Il parallelismo fra lingua italiana e arte teatrale è efficiente. Funziona bene e vanta numerose affinità: gesti e movimenti accompagnano la parola in ogni mossa comunicativa. Apprendere una nuova lingua significa assimilare atteggiamenti estranei al nostro modo d’essere; significa arricchire la propria cultura di nuovi suoni, di atipiche parole, strani gesti e banali movenze.

Ed è proprio questo che avvicina l’arte teatrale all’apprendimento di una lingua: la capacità di immedesimarsi riconsiderando il proprio modo di essere alla luce di una realtà dove nulla è scontato. Nulla è usuale. La lingua italiana custodisce in sé un mondo da esplorare che va ben oltre la difficile grammatica da imparare: così come nel teatro dare vita a un personaggio significa non attenersi alla sola e mera memorizzazione di un copione. È nella ricerca delle parole, dei significati e delle realtà che la lingua e il teatro trovano il loro grande comune denominatore. Così anche il teatro degli oggetti può diventare un escamotage per far superare gradualmente la paura di comunicare in una nuova lingua. L’ispirazione proviene dall’Antica Grecia e dalla preziosa arte dei suoi burattinai.

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cultura di Michele Carucci

Il mettersi in gioco con pochi elementi scenici, con quello spirito d’improvvisazione mai bizzarro, con quella libertà di l i n g u a g g i o e c o n quell’immaginazione a volte ricercate. Pochi ingredienti da dosare nelle loro ricette. Non serviva altro. E allo studente non occorre altro: solo lasciarsi trasportare dalla fantasia e da un insegnante che acquista un ruolo secondario, quasi scomparendo, offuscandosi dietro le quinte, lasciando loro la piena libertà d’azione e di espressione. Anzi, nel momento più opportuno, a mo’ di voce fuori campo, deve mettersi in gioco in prima persona, avviando questa parodia con se stesso, con entusiasmo e umanità lanciarsi nella lingua madre degli studenti creando un clima adatto alla produzione. In effetti, il regista teatrale Peter Brook sostiene che “per superare la paura la prima cosa che occorre è la fiducia. Dato che, al giorno d’oggi, ciò che spaventa maggiormente le persone è parlare, non bisogna cominciare né con le parole, né con le idee, ma con il corpo”. L’uso in classe di tecniche teatrali dà, quindi, agli studenti la possibilità di superare gradualmente gli affanni della parola, di acquisire u n’ i n n o v a t i v a c o m p e t e n z a linguistica ma soprattutto extralinguistica, in cui persino il corpo viene stimolato a parlare un nuovo linguaggio, sciogliendo la tensione e la timidezza. Ed ecco che la lingua attraversa la mente, così come il corpo, nutrendosi della vostra gestualità e di un ritmo che quasi sembra non appartenervi. Ai lettori del Portale, Joyeux Noël. Ops, ero entrato nella parte: Buon Natale!


UN COLOMBIANO IN TEXAS cultura

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CULTURA di Vladimiro D’Acunto

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. G. Garcìa Màrquez, Cent’anni di solitudine

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osa mai potrebbero avere in comune Gabriel Garcìa Marquez e lo stato del Texas? Praticamente tutto. Già, perché se si va sul sito web www.utexas.edu, tra la sezione “News” e/o nel campo “Search” si digita “Garcia Marquez” si apre una pagina con la seguente dicitura: “Nobel Prize-Winning Author Gabriel García Márquez’s Archive Acquired by The University of Texas at Austin’s Harry Ransom Center”. L’intero archivio personale dello scrittore, premio Nobel per la letteratura nel 1982, è stato acquisito dal Centro Harry Ransom dell’Università di Austin. È suggestivo ed emozionante pensare che la copia dattiloscritta a macchina di Cent’anni di solitudine, le lettere scritte a mano e quant’altro adesso riposano e sono fruibili al mondo proprio in Texas, in felice compagnia di James Joyce, Ernest Hemingway, William Faulkner, Jorge Louis Borges. A fine anno il mio pensiero andrà sicuramente all’amico Marquez (morto l’Aprile scorso) che mi ha tenuto compagnia sin dall’adolescenza donandomi con il primitivo, genuino, ancestrale villaggio di Macondo un rifugio intimo, un non luogo, un’isoletta tutta mia di fantasia, di freschezza, in cui si è liberi, sognanti ma soprattutto remoti. Quest’autore mi ha insegnato molte cose, come quando leggendolo/interrogandolo capii che alla domanda se fosse “vero, come dicevano le canzoni, che l’amore poteva tutto” rispondeva dicendo che “è vero ma si fa bene a non crederci”; oppure quando mi suggeriva di trovare la verità, e al tempo stesso di prestare attenzione nel cercarla “con un’ansia appena paragonabile al terribile timore di trovarla”. Adesso mi piace immaginare Gabriel da

qualche parte in Texas a bersi una Dr Pepper con l’amico argentino Borges che, proprio come afferma lo stesso Direttore dell’ Harry Ransom Center Steve Ennis, adesso potrà conversare piacevolmente in spagnolo con lui. Un destino alquanto ironico quello di Marquez, grande e severo fustigatore dell’imperialismo economico e bellico made in USA e ora custodito e rispettato nello Stato con la stella. È opportuno riflettere su q u e s t o , cercando di capire e osservare ancora una v o l t a l e (apparenti) contraddizioni socio-culturali di un Paese (gli Stati Uniti) e di uno Stato (il Texas) forse quasi sempre superficialmente etichettati e liquidati come contesti arretrati, rozzi, prepotenti. Non è certo questa la sede adatta per un’analisi antropologica o sociologica, il tema è vasto, complicato, gigantesco e certamente al di fuori delle mie capacità analitiche e interpretative. Mi limito però a dire che puntualmente, quasi con disarmante precisione a ogni (anche legittima) critica spesso proveniente dal Vecchio Continente, gli Stati Uniti

rispondono sistematicamente colpo su colpo, con una loro peculiare e distintiva sensibilità culturale. Pensiamo al Texas. Stato petrolifero, danaroso, spregiudicato, retrogrado e conservatore, il 24 Novembre scorso ha acquisito l’archivio di Gabriel Garcìa Màrquez: una mole di appunti, lettere, manoscritti, fotografie, oggettistica, macchine da scrivere, computer, etc. L’attenzione, l’interesse, la capacità tipicamente statunitense di dissetarsi letterariamente a piene mani proprio per placare la loro stessa sete di Storia e di Cultura di cui, forse consapevolmente, saranno perennemente assetati sono a mio avviso ammirevoli e degni di religioso rispetto. Ecco la ragione di acquisizioni, di sviluppo di un’imprenditorialità culturale seconda a nessuno e, conseguenteme nte, l’umiltà statunitense d el l o s t ud i o, della ricerca i n f i n i t a , dell’imparare acquisendo e nutrendosi di lettere e culture distanti e per loro formative. Insomma il Nobel Màrquez, lui stesso “bandito” e tenuto lontano dal suolo americano per molto tempo, oggi è stato accolto e “vive” in uno Stato la cui fama (dalla fine del 1800 agli inizi del ‘900) era di dare troppa facile ospitalità a banditi e ricercati di tutti i tipi. Un altro magnifico e interessante paradosso culturale a cui ormai gli Stati Uniti d’America ci hanno abituati e, in questo caso, continuano a suscitano in me profonda stima e rispetto.


cultura

BUON NATALE, FIRENZE!

CittadinoNews|11

cultura di Chiara De Rosa

Diluvio chi?” potrebbe essere la risposta (memore di un illustre concittadino) di un fiorentino qualsiasi al quale venga chiesto di parlare del maltempo (o del primo eliminato del talent show di maggior successo della stagione). Nella città dal sapore eternamente medievale, infatti, le alluvioni verificatesi altrove e le “minacce” dei meteorologi, che annunciano “l’inverno più freddo del secolo”, non creano nessuna ombra sulle festività della stagione che sta per arrivare. L’inizio di dicembre, oltre che per la temperatura tutto sommato mite, si contraddistingue per la chiusura della “50 giorni”, la rassegna che per l’ottavo anno riunisce in sé ben dieci festival cinematografici di respiro internazionale: un concentrato caleidoscopico di settima arte che non ha eguali e che permette di vedere il mondo da una prospettiva sempre diversa. Il clima, per ora, sorride al Festival dei Popoli, la cui cinquantacinquesima edizione è ormai in dirittura d’arrivo, ma le previsioni per i prossimi eventi non sono delle migliori. All’appello mancano ancora “River To River” (festival di cinema indiano), “Una finestra sul nord”, che presenta film provenienti dai paesi scandinavi, e il “Premio N.I.C.E.” (che sta per New Italian Cinema Events). Partecipare a tutto ciò che è in programma potrebbe essere dispendioso, sia economicamente che energicamente, ma guardare il mondo attraverso occhi altrui diventa come una droga, un tunnel vizioso nel quale si entra il 29 ottobre e non si esce prima del 14 dicembre. Piova o non piova, quel che importa è il coinvolgimento e, da questo punto di vista, tra alti e bassi, l’elegante sala del Cinema Odeon (dove avviene la maggior parte delle proiezioni) fa l’effetto di una piccola Firenze. Perché il capoluogo toscano è, come il cinema, adatto a tutte le stagioni. Anche in quella fredda, dunque, i modi di godersi la città non mancano: sin dalla fine di novembre,

stand e casette di legno spuntano come funghi in ogni angolo della città, per rimanerci più o meno a lungo e regalare l’emozione non rigorosamente nordica del mercatino. Insuperabile, per dimensioni e originalità, quello tedesco in piazza Santa Croce. Sotto lo sguardo severo di Dante vengono sfoggiati e messi in vendita al pubblico manifatture e manicaretti provenienti per lo più da Oltralpe, in un’atmosfera la cui cornice, protagonisti il freddo serale, gli arrosti e il vin brûlé, è il niveo marmo della facciata della Basilica. Mentre di notte i suoi chiostri, i suoi mausolei e la Cappella dei Pazzi giacciono nel glaciale silenzio che la piazza non potrà di certo sentire, presa dal suo allegro e caldo spirito consumistico-natalizio. Gli addobbi cittadini saranno invece pronti prima dell’Immacolata. Le vetrine dei negozi risplendono già di luci di ogni forma e colore, l’edificio della Rinascente illumina piazza della Repubblica a giorno e tutti i vicoli del centro e le principali vie della periferia brillano già delle luminarie comunali, mai come quest’anno monocromatiche; mentre il maestoso presepe intagliato non ha ancora iniziato a farsi guardare

dall’alto dal Battistero, dalla Cupola del Brunelleschi e dal Campanile di Giotto. Accanto a lui, sta per sorgere il grande albero di piazza del Duomo, il cui gemello solitamente si affaccia sulla città dall’angolo più in vista del piazzale Michelangelo. Da qualche anno a questa parte, infine, il posto perfetto per salutare il nuovo anno in un maxiraduno sembra essere la piazza, e l e m e n t o d i c u i Fi r e n z e è particolarmente ricca. In almeno cinque piazze cittadine ci saranno spettacoli, concerti ed eventi di ogni genere, anche se i programmi tardano ad essere resi noti: non sono ancora state ufficializzate le proposte, ma si sa per certo del megaconcertone gratuito (registrato ormai come fenomeno di costume da tutti i tg nazionali) che quest'anno si terrà presso il Parco delle Cascine e vedrà protagonista la voce graffiante di Mario Biondi. Un ultimo occhio di riguardo alla beneficenza e… Buon Natale, Firenze!


COS’È L’ASIA MERIDIONALE? storia

L

’Asia Meridionale è, per convenzione, quella macroregione asiatica che d all’altopiano iraniano va sino all’estremità Sud del subcontinente indiano. Geograficamente si ritiene spesso inesatto includere Iran e Afghanistan poiché climaticamente e culturalmente più vicini alla regione centroasiatica di cui abbiamo già discusso. Indi per cui, secondo l’ONU, l’Asia Meridionale include sette nazioni: Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. Non è un caso, quindi, che quella politicamente definitiva macroregione asiatica meridionale sia geograficamente quella più comunemente conosciuta come subcontinente indiano (fig.1). Il subcontinente indiano costituisce un’area culturalmente molto importante per gli studi sulla storia antica dell’umanità. Di fatto è proprio almeno dal III millennio a.C. che troviamo, nella valle dell’Indo – più o meno corrispondente all’odierno Pakistan sudorientale – due delle più antiche civiltà conosciute al mondo, quella di Harappa e di Mohenjo-daro, complessivamente chiamate “civiltà dell’Indo.” Quasi due millenni più tardi fecero la loro comparsa le popolazioni degli Arii che, sospingendosi sino al Nord dell’India fondarono una nuova civiltà molto importante dal punto di vista archeologico ed esegetico, la civiltà vedica. Fu proprio grazie alle popolazioni vediche che i primissimi dettami della intricata filosofia indiana nacque e si sviluppò e anche la loro lingua, il Sanscrito, figlia diretta della famiglia indoeuropea prima, indoiranica poi, ancora oggi oggetto di studi da parte di molti filologi, linguisti, storici ed archeologi. La cultura vedica diede alla luce quelle che sono le opere letterarie di più inestimabile valore per la civiltà indiana d’oggigiorno: i Quattro Veda. Scritti in una variante del Sanscrito definita, per l’appunto, Sanscrito Vedico, i Quattro Veda sono

“Collezioni di Conoscenza,” che si suddividono sommariamente in parti ritualistiche, liturgiche, magiche e di commento. Molto importanti, poi, furono le varie dinastie che si susseguirono in tutto il subcontinente indiano che si fecero patrocinanti dell’una o l’altra corrente religiosa e filosofica per motivi, inutile dirlo, spesso più politici che di mera devozione. A un certo punto della storia indiana, così come erano numeros e le etnie, le lingue (indoeur opee al Nord e dravidich e al Sud), gli usi, i costumi e persino le arti, tanto numerose furono le eterodossie nate dal pensiero vedico, alcune più fortunate di altre, come ad esempio l’Induismo. Ma l’India fu anche il luogo in cui nacque il Buddha storico, conosciuto come Gautama o Shakyamuni, e da lui quindi il Buddhismo, oggi paradossalmente del tutto assente in India, mentre molto seguito al di fuori del subcontinente come ad esempio in Tibet, Cina, Corea, Giappone e alcune forme sincretiche nel Sud-est Asiatico come l’Indocina e l’isola di Bali in Indonesia. La dinastia che più tra tutte si fece portavoce del Buddhismo all’interno e all’esterno del subcontinente fu quella dei Maurya col famoso re Ashoka,

CittadinoNews|12

storia di Alfonso Cesarano

elogiato dalla letteratura sacra buddhista come un grande protettore e promotore degli insegnamenti del Buddha, spesso e volentieri incisi su pietra (fig.2), su tavole o colonne, disseminate in un’area vastissima che dall’Asia sudorientale va fino all’Africa del Nord. La colonizzazione europea dal XVI secolo ha poi mutato molti di questi scenari: portoghesi e francesi prima, inglesi poi, tutti si accorsero della ricchezza di materie prime di quei territori e mentre i primi si concentrarono sulle zone costiere in quanto abili navigatori, i secondi colonizzarono tutto il Nord dell’India e, infatti, la presenza inglese in India è stata molto duratura, con effetti ancora oggi tangibili, dalla cui l’India si liberò definitivamente solo nel 1947, seguita un anno dopo da Ceylon (poi dal 1972 chiamato Sri Lanka), dalle Maldive nel 1965 e, a seguito di una guerra separatista, nel 1971 la regione orientale del Pakistan si p r o c l a m ò indipendente e prese il nome di Bangladesh. Solo Bhutan e Nepal non furono mai colonizzati dagli europei ed è per questo, forte, che spesso e volentieri le più antiche pratiche e usi della cultura del subcontinente si sono meglio conservate proprio in quelle terre. Inutile ribadire quanto altro ci sarebbe da dire sulla storia millenaria del subcontinente indiano, ma per motivi di spazio mi sono limitato a presentare i punti centrali che ne hanno forgiato la storia e l’immagine. Nel prossimo numero affronteremo la storia della macroregione asiatica più “estrema”, per fare un gioco di parole, quella appunto dell’Estremo Oriente, coi punti salienti circa la storia e la cultura di Cina, Corea e Giappone.


QUANTO CONOSCIAMO I MUSULMANI? storia BREVE STORIA DELLA NASCITA DELL’ISLAM (PARTE 1)

CittadinoNews|13

ambiente di Fausto Mauro

G

uerre, stermini, decapitazioni, sono queste le istantanee che ci giungono dal Medio Oriente in questi ultimi mesi. Immagini che ritraggono la realtà ma che per questo motivo non devono indurre noi occidentali a nutrire odio verso i musulmani tutti. Come spesso accade, l’uomo tende a generalizzare adottando così comportamenti sbagliati, conseguenza di posizioni affrettate e poco ragionate. Noi italiani, in particolar modo, stiamo dimenticando – o lo abbiamo già fatto – cosa significa la parola “tolleranza” eppure Indro Montanelli scrisse: “Siamo tolleranti e civili, noi italiani, nei confronti di tutti i diversi. Neri, rossi, gialli. Specie quando si trovano lontano, a distanza telescopica da noi”. Evidentemente i tempi sono cambiati e con questi anche il disprezzo nei confronti di chi è diverso, sia esso musulmano, nero, rom, gay o altro. È bene tenere a mente che ognuno è persona e in quanto tale deve godere di uguali diritti e doveri. Quest’introduzione si è resa necessaria per affrontare il prossimo argomento con lo spirito giusto, senza alcun tipo di pregiudizio. Solo così è possibile avvicinarsi a una cultura diversa dalla nostra e apprezzarne ogni singolo aspetto. La cultura di stampo islamico ha dato un enorme contributo allo sviluppo del genere umano, ma dove, quando e soprattutto come ha avuto inizio? Tutto cominciò con Mu? ammad (fig.1), italianizzato in Maometto (mi perdoneranno i musulmani se non userò alcun tipo di eulogia come “gloria e benedizioni su di lui”). Nacque nel 570 d.C. a La Mecca (nell’attuale Arabia Saudita), divenne orfano all’età di sei anni e venne preso in custodia dallo zio, Abu Talib, con cui continuò l’attività di famiglia, il commercio. Nel 595 ca. sposò una ricca vedova, Khadigia e fin quando lei

rimase in vita non sposò altra donna. Durante i suoi viaggi, Maometto rimase particolarmente colpito dalle pratiche ascetiche di alcuni monaci cristiani e ogniqualvolta rientrava a casa, era solito isolarsi per lunghi periodi in caverne o luoghi solitari per dedicarsi alla meditazione. In uno di questi ritiri, il Profeta ebbe una visione. Un angelo si rivelò a lui tenendo un libro tra le mani e gli disse: “Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l’uomo da un grumo di sangue. Leggi! Perché il tuo Signore è il Generosissimo. Colui che ha istruito l’uomo per mezzo del calamo e ha insegnato all’uomo ciò che non sapeva”, Sura (=capitolo) 96: 1-5 del Corano (fig.2). Era l’Arcangelo Gabriele che gli appariva per la prima volta. Di lì a poco altre visioni celesti dell’Arcangelo condussero Maometto, sotto dettatura, a scrivere le parole da diffondere al resto del mondo, parole di pace e compassione ma anche dure rivolte contro i non credenti, intesi come i pagani quindi non contro gli altri monoteisti (cristiani ed ebrei). Per i primi anni, Maometto non parlò alla gente delle rivelazioni dell’Arcangelo se non a Khadigia e agli amici più vicini. Fu proprio la sua prima moglie

ad avere un ruolo fondamentale durante questo periodo, confortando e assistendo il Profeta anche quando questo mostrava qualche segno di debolezza. A queste visioni ne seguirono altre e Maometto provvide a scrivere tutto ciò che gli veniva detto dall’Arcangelo, il quale parlava per bocca di Dio, cioè Allah. Per un periodo però il Profeta non ebbe più rivelazioni ma all’improvviso un nuovo messaggio gli fu comunicato, l’Arcangelo Gabriele non lo aveva abbandonato, anzi. Nel 612 ca. durante una visione a Maometto gli fu ordinato di diffondere a tutti le parole di Allah. Ma di questo e del contenuto del Corano ne parleremo nel prossimo numero.


enogastronomia

CittadinoNews|14

COSMOPOLITAN

enogastronomia di Ivan Cibele

I

l cocktail Cosmopolitan è un grande classico delle serate mondane d’oltreoceano; sovente viene chiamato con il suo nome abbreviato cioè Cosmo, e nonostante sia spesso servito dentro ad una doppia coppa Martini non appartiene a questa categoria. Esistono diverse opinioni sulle origini del Cosmopolitan, ma in realtà non si sa precisamente chi per primo inventò questo cocktail. La nascita del cocktail non è quindi storicamente accertata. Potrebbe essere nato nel 1958, all’epoca molte persone ordinavano il Dry Martini solo per potersi aggirare nelle sale con una coppa martini tra le dita. Il creatore del cocktail ha quindi pensato che si potesse servire nella coppa martini qualcosa di più morbido che potesse andare incontro ai gusti degli avventori. La sua ricetta viene pubblicata per la prima volta nel 1960 nel libro “The Martini” di Barnaby Conrad III, ma il nome del cocktail era Stealth Martini. Sembra che la versione più accreditata della nascita del Cosmopolitan sia da attribuire negli anni ‘80 a Cheryl Cook, famosa bartender del “The Strand on South Beach”, animatrice delle serate e dei salotti di Miami, che per commissione di un azienda di liquori ebbe il compito di creare un cocktail che andasse in armonia con i gusti delle donne, per poter quindi rendere il bar un luogo di appannaggio non solo per uomini; prese quindi il più classico e famoso bicchiere da cocktail, la coppa Martini, e miscelò pochi e semplici ingredienti fino a farlo diventare dolce e rosa: un sapore piacevole e un colore invitante. La base doveva essere Absolut Citron (vodka aromatizzata al limone), ma avendo nel giro di mezzora servito il cocktail a

tutto il locale, svuotando così l’unica bottiglia di Absolut Citron, si mise a spremere limoni per utilizzarne il succo, al fine di preparare altri cocktail usando come base la vodka secca. Fu così che nacque uno dei primi cocktail indirizzati ad un pubblico femminile, un drink bello, elegante e alla moda. La sua popolarità crebbe nel 1985 quando John Caine proprietario del “Cafè Marcia” di San Francisco ne mise la ricetta tra le prime in listino, e lo stesso fece nel 1987 Toby Cecchini che la posizionò nella parte alta del menù del The Odeon di Manhattan. Fu un grande successo è diventò quindi uno dei cocktail preferiti dalle donne, principe della vita notturna prima a Miami e su tutta la zona della Florida, e poi a New York sino ad invadere con successo il mercato Europeo. Dalla fine degli anni ’90 la sua popolarità è aumentata grazie al fortunato telefilm Sex and the City nel quale quattro amiche Newyorkesi spesso si ritrovano a parlare delle loro avventure sentimentali e dei loro

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problemi sedute davanti ad una invitante coppa di Cosmopolitan. Tutto ciò pare sia dovuto al fatto che Patricia & Rebeca Fields, costumiste dello show, fossero affezionate clienti di Cheryl Cook. Molte sono le celebrità che adorano il Cosmo e lo hanno reso celebre , prima fra tutte Madonna che fu fotografata mentre lo sorseggiava durante un party Grammy. La ricetta prevede di shakerare 4/10 di vodka, 2/10 di triple sec, 2/10 di succo di lime e 2/10 di cranberry juice, per poi servirli in una doppia coppa decorata con una fettina di lime. Con il suo gusto raffinato, grazie al piacevole abbinamento dei suoi ingredienti, al lime che gli attribuisce una leggera asprezza e al cranberry juice che gli conferisce un profumo molto delicato è oramai diventato un cocktail che può essere servito a tutte le ore poiché è un buon pre-dinner, ma anche un ottimo after dinner.

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Montecorvino Rovella, la festa di Santa Lucia a San Martino. Festeggiamenti in onore di S.Lucia Vergine e Martire Si sono conclusi lo scorso 14 Dicembre con la processione per le strade del paese i festeggiamenti in onore di S . Lu c i a o r g a n i z z a t i d a l l a Parrocchia Spirito Santo e San Filippo Neri a San Martino di Montecorvino Rovella. Questa ricorrenza ha la sua origine nel lontano 1901 e fu fortemente voluta da Carmine Pizzuti abitante di San Martino, il quale ricevette la grazia dalla santa. Il Pizzuti in seguito all'aggravarsi della cataratta che lo tormentava e con forti sanguinamenti agli occhi chiese alla vergine di poter conservare la vista ed ottenne la "grazia" in seguito al buon esito di un intervento chirurgico, in cambio fu promessa una ricorrenza in suo onore, ancora oggi festeggiata dai fedeli e dalle famiglie Pizzuti e Punzi, discendenti dallo stesso Carmine.

Foto e testo di Simone Punzi • Tutte le altre foto su simonepunzi.it Bar Tabacchi

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