UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO “CARLO BO” Facoltà di Sociologia CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA _____________________________
“Il tuo nome ti precede”. Corporate Reputation, asset strategico per costruire vantaggio competitivo sui mercati globali.
Relatore: Chiar.mo Prof. Marcello Zeppa
Tesi di laurea di: Flavia Cangini
_____________________________ ANNO ACCADEMICO 2007-2008
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Indice
Capitolo 1: Corporate Reputation
1.1. Ambiente e impresa evolvono 1.2. Reputazione, siamo quello che gli altri pensano 1.3. Le aziende e la loro reputazione 1.3.1. Pianificazione 1.3.2. Misurazione 1.3.3. ProfittabilitĂ 1.4. Il brand come asset indispensabile 1.4.1. Marca o non marca? 1.4.2. Funzioni e valore del brand 1.4.3. Dai trade mark ai love mark 1.4.4. La comunicazione integrata
Capitolo 2: Gestire la Corporate Reputation 2.1. Ripensare il comunication mix 2.1.1. PubblicitĂ 2.1.1.1.
Above the line
2.1.1.2.
Below the line
2.1.2. Promozioni 2.1.3. Personale di vendita 2.1.4. Pubbliche Relazioni 2.1.5. Comunicazione interna 2.2. I nuovi territori della marca 2.2.1. ComunitĂ brandizzate 2.2.1.1.
On-line
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2.2.1.2.
Off-line
2.2.2. I punti vendita: luoghi dove vivere esperienze 2.2.3. CSR, la strada etica 2.2.4. Spazi per collaborare
Capitolo 3: Personal Branding, un esempio concreto 3.1. Pianificazione 3.2. Misurazione 3.3. ProfittabilitĂ
Conclusioni
Bibliografia
Sitografia
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1. Corporate Reputation
Negli ultimi anni il mondo delle imprese, ma anche quello politico e istituzionale, hanno vissuto profonde trasformazioni dovute alle nuove esigenze del mercato. Aumenta la pressione competitiva, c’è una maggiore attenzione verso le relazioni con tutti coloro che intrecciano rapporti con l’azienda, che viceversa si rivelano sempre più infedeli, e ad organizzazioni e leadership viene richiesta sempre maggiore trasparenza e responsabilità. Per sopravvivere a questo scenario le organizzazioni cercano sempre più di rafforzare e tutelare le relazioni coi propri stakeholder, quindi di consolidare e difendere la propria reputazione. Francesco Guicciardini sosteneva: a chi mantiene la Reputazione non mancano amici, grazia e benevolenza. E’ quindi chiaro che per una azienda una buona reputazione costituisce un asset strategico fondamentale e garantisce vantaggio competitivo sui concorrenti. 1
1.1.
Ambiente e impresa evolvono
Se provassimo per un solo istante a ripercorrere la storia del mondo e dell’uomo, ci renderemmo conto che l’evoluzione avveniva in tempi completamente differenti da quelli cui siamo abituati oggi. La vera artefice di questo cambiamento è la comunicazione. Imparando prima a parlare poi a scrivere l’uomo è riuscito a tramandare le proprie esperienze e se con la scrittura si eliminarono problemi di trasmissibilità delle informazioni nello spazio e nel tempo, con la fioritura di
1
http://www.reputazione.it/content/view/20/65/lang,it/
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tecnologie e sistemi per comunicare a distanza, primo tra tutti il telegrafo ottico, le informazioni iniziarono a viaggiare alla velocità della luce. Comunicare più rapidamente, a maggiori distanze e in maniera affidabile, è la grande innovazione del nostro secolo e, come avvenuto nel passato, l’evoluzione della comunicazione non ha potuto non apportare profondi cambiamenti alla nostra società. Uno dei protagonisti delle trasformazioni in atto è senza dubbio Internet e più nello specifico il World Wide Web. Oggi, chi dispone di un computer ed una connessione, si trova a poter maneggiare migliaia di informazioni messe in Rete da aziende, media o altri utenti. Negli ultimi anni il Web è progredito, passando alla così detta fase 2.0: un’evoluzione delle applicazioni Web che ora offrono agli utenti maggiori, per non dire infinite, possibilità di interagire, pubblicare e condividere contenuti. Il consumatore diviene così non solo più informato, ma anche più attivo. L'economista Giancarlo Pallavicini definisce la globalizzazione come
uno straordinario sviluppo delle possibili relazioni, non soltanto economico-finanziarie, pur preminenti, tra le diverse aree del globo, con modalità e tempi tali da far sì che ciò che avviene in un'area si ripercuota anche in tempo reale sulle altre aree, pure le più lontane, con esiti che i tradizionali modelli interpretativi dell'economia e della società non sono in grado di valutare correntemente.2
2
http://it.wikipedia.org/wiki/Globalizzazione (Relazioni di Giancarlo Pallavicini al III° Encuentro Internacional de Economistas, "Globalizacion y problemas del desarrollo", La Habana, 24/29 de Henero del 2000, al Convegno Internazionale "Etica e Finanza", Fondazione Vaticana "Centesimus Annus Pro-Pontificie", Città del Vaticano, 30 aprile 2000 e alla 5.a Conferenza Internazionale Kondratiev "Evoluzione e prospettive delle trasformazioni sociali", San Pietroburgo, 19/22 ottobre 2004)
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La crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale ha portato ad una convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo che divengono così sempre più dipendenti gli uni dagli altri. La stretta connessione tra Stati porta inevitabilmente anche ad un altro fenomeno legato alle grandi multinazionali:
[…] Nel nuovo modello il prodotto passa sempre in secondo piano rispetto al vero prodotto, ossia il marchio, […]. Chiunque può produrre una merce […]. Tali umili compiti, pertanto, possono essere affidati ad appaltatori e subappaltatori, la cui unica preoccupazione è quella di evadere l’ordine nel
minor tempo e al
minor costo possibile
(preferibilmente nel Terzo Mondo, dove il lavoro ha un prezzo bassissimo, le leggi e il fisco sono permissivi).3
In un mercato come quello sopra descritto i canali distributivi si moltiplicano, la quantità e varietà di beni e servizi offerti raggiungono volumi mai pensati prima e i competitor aumentano, effetto dovuto in parte alla frantumazione dei tradizionali confini settoriali. Un venditore di sveglie – ad esempio - si troverà in difficoltà perché il suo mercato di riferimento è stato soppiantato dall’avvento dei cellulari, prodotto che in prima analisi non sembrerebbe ad esso correlato. Le imprese, nonostante le maggiori possibilità strategiche,
generano
quindi, oltre che profitti più bassi, anche minor valore per il mercato. I consumatori, da parte loro, si trovano a poter scegliere, oltre che tra diverse
tipologie
di
prodotti/servizi,
anche
tra
più
aziende
produttrici/fornitrici avendo a loro disposizione quantitativi di informazioni enormi. Nonostante tutto, spesso si scoprono però confusi e frustrati dall’esperienza d’acquisto. Le motivazioni di questo atteggiamento sono da
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Naomi Klein, No Logo, Baldini Castoldi Dalai, 2002
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ritrovarsi nell’inesorabile evoluzione delle tecnologie, nell’alto numero di opzioni possibili, troppo simili fra loro, e nella velocità con cui i prodotti divengono obsoleti, quindi nella necessità di tenersi sempre aggiornati. Aziende e consumatori vivono quindi una situazione paradossale: più possibilità strategiche ma meno valore generato per i primi e più scelta ma meno soddisfazione per i secondi. In questo scenario è indispensabile che le aziende rivalutino il tradizionale sistema di creazione del valore incentrato su se stesse ed instaurino un dialogo coi consumatori. Perché questo sia possibile l’impresa si trova a dover mettere in discussione due assiomi su cui si è sempre retta: primo, che da sola, unilateralmente, sia in grado di generare valore e secondo, che il valore risieda unicamente nel prodotto/servizio. Solo qualora le alte sfere della direzione siano profondamente convinte che quanto sopra detto sia veritiero, il consumatore potrà essere posto al centro dell’attività aziendale. L’innovazione, a questo punto, non sarà più volta a migliorare la “catena del valore” o a gestire la domanda, ma a creare reti di esperienze positive, possibilmente personalizzate per ogni stakeholder. Seguendo questa logica imprenditoriale, il mercato si configurerebbe come un grande forum dove chi vuole può intervenire, dialogare e partecipare con l’azienda alla co-creazione di valore.4
1.2.
Reputazione, siamo quello che gli altri pensano
Il sociologo Steven Nock definisce la reputazione come “una condivisa, o comune, percezione rispetto una persona”. Avere una buona reputazione significa avere maggiori possibilità di intrecciare rapporti, lavorativi o umani che siano. Noi dipendiamo dagli altri. Nella nostra società senza la cooperazione ci troviamo spesso a non essere in grado di fare quel che 4
C.K. Prahalad Venkat Ramaswamy, Il futuro della competizione, co-creare valore eccezionale con i clienti, Il Sole 24 Ore, 2004
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vorremmo. La nostra libertà d’azione dipende in buona parte da come la società ci giudica. Gestire al meglio la propria reputazione, sia per gli individui che per le organizzazioni, sarà quindi fonte di guadagno. Gli elementi che la determinano sono due. Il primo è quello che viene comunicato.
Riportando
quanto
enunciato
negli
assiomi
della
comunicazione di Watzlavich, Beavin e Jackson, stabiliamo che non si può non comunicare e che gli esseri umani comunicano attraverso due moduli, uno digitale l’altro analogico, quindi rispettivamente mediante linguaggio verbale e del corpo. Le parole pronunciate e le azioni attuate influenzano quindi, tanto quanto il non detto o non fatto, la percezione che gli altri hanno di noi. La reputazione però non è data solo dalla somma degli input lanciati. Le esperienze vissute da tutti coloro che entrano, più o meno direttamente, in contatto con noi sono altrettanto importanti. Che si abbia vissuto una situazione positiva o meno, lo si tende a raccontare. Ricerche di mercato hanno però rilevato una differenza nel comportamento tra cliente soddisfatto e insoddisfatto: il primo tenderà a parlarne ad una media di 3,5 persone, mentre il secondo lo riferirà a circa 7-8 persone. Su Internet, dove le interconnessioni tra individui sono maggiori e il mondo diventa davvero piccolo, questo discorso si amplifica, tanto che in America si parla già di stress da web reputation. Nell’ultimo secolo siamo passati dal vivere in piccoli villaggi, dove tutti sapevano tutto dell’altro, ad una società altamente impersonale e vasta. Per conoscere la reputazione di qualcuno non possiamo più chiedere al vicino di casa, spesso anch’egli sconosciuto, ma siamo costretti ad assemblare frangenti di dati reperibili nei più disparati modi. Nel villaggio globale5 le informazioni disponibili sono molte e spesso poco controllate o controllabili: tutte messe per iscritto, permangono nel
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Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1964
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tempo e possono riaffiorare quando meno te lo aspetti. Coi blog e i social network informazioni personali vengono postate quotidianamente, ad una velocità prima impensabile. Uno degli strumenti più utilizzati per conoscere una persona è Google. Googlare, verbo nato dal famoso motore di ricerca, significa cercare informazioni su qualcuno all’interno della Rete. Googlare il nome di qualcuno é facile e veloce e proprio per questo è un sistema utilizzato nelle occasioni più disparate, con partner commerciali, clienti, datori di lavoro ma anche più semplicemente con amici e conoscenti, magari incontrati proprio sul Web. Tra utenti Internet, mancando spesso una conoscenza pregressa, esistono inoltre sistemi di raccomandazione, soprattutto all’interno di social network come ad esempio e-Bay e Linked-In, che vanno anch’essi a plasmare e definire la nostra immagine. Nel Web 2.0 la vera moneta è la reputazione: può essere scambiata in fama, richieste di consulenza, offerte di posti di lavoro e soprattutto in soldi. Tenersi aggiornati su quello che appare digitando il nostro nome su motori di ricerca e gestire i risultati cercando di dare un’idea ottimizzata di noi, si rivela un buon sistema per rappresentarci e promuoverci. Questa pratica, detta Personal Branding, riguarda il modo con cui ognuno fa marketing di se stesso. Il nostro cervello è disegnato per riconoscere schemi, somiglianze e differenze. Ogni volta che le persone interagiscono tendono a far rientrare l’altro in una delle loro personali categorie. Il Personal Branding è inevitabile6. L’uomo, per sua natura, tende a giudicare, con le poche informazioni a sua disposizione, le persone, senza tener conto né del contesto né della complessità della loro identità e lo fa non tanto per ledere l’altro, quanto per il piacere di conversare. Sul Web sparlare di una persona può rivelarsi 6
Luigi Centenaro, Personal Branding con i Social Media. Come proteggere la tua reputazione con i Blog, le Reti Sociali e gli altri strumenti del Web2.0, 2008 (e-book)
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micidiale. Le informazioni viaggiano a velocità inaudite e una volta sparse per la Rete non sono più cancellabili. Esistono diversi casi di persone che hanno già testato la potenza del www e ne hanno subito le conseguenze. Sulla Rete girano migliaia di informazioni, alcune sono veritiere altre no. La forza del Web potrebbe ritorcersi, da un giorno all’altro, contro una persona e metterla verbalmente “al rogo”. 1.3.
Le aziende e la loro reputazione
La reputazione di una organizzazione è il giudizio complessivo dato da coloro che in modo diretto o indiretto ne influenzano l’operato. La consapevolezza del valore che la corporate reputation ha per un’azienda negli ultimi anni è aumentata vertiginosamente: Nel 2003 al Corporate Reputation Watch si sosteneva che comportamenti poco etici negli ultimi anni avevano portato a numerosi scandali e colpito la reputazione di diverse aziende, danneggiandone le performance. Nonostante questo, in quegli anni, pochi business leader si impegnavano ancora a seguire i nuovi standard di Corporate Governance. Comportamenti etici, trasparenza, qualità dei processi e delle relazioni, oggi più che mai, dovrebbero essere alla base di qualsiasi piano di marketing e rappresentare asset strategico per costruire vantaggio competitivo sui mercati globali. Un costante monitoraggio e un’attenta gestione della propria reputazione rappresentano attività importanti per costruire, mantenere o rafforzare il consenso dei diversi interlocutori sociali. Come sostiene Allegrini “l’entità del danno che un comportamento errato può apportare alla reputazione di un’azienda è tanto più alto quanto il suo settore di riferimento o le sue caratteristiche fanno leva su valori immateriali, quali l’immagine, la fiducia e la creatività”.
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Chris Anderson, inventore della “Coda Lunga”, riferendosi in particolare al Web afferma:
Viviamo in un'epoca in cui ogni consumatore ha un megafono. Molti lo stanno usando. E le aziende farebbero meglio ad ascoltare7.
Oggi, per parlare al mondo, non è più necessario lavorare all’interno dei media mainstream, avere particolari licenze o chiedere permessi. Basta pubblicare il proprio pensiero in un angolo dell’immensa Rete sperando che, qualora accettato e condiviso, ottenga risonanza e produca risultati. É quanto accaduto -ad esempio- a Barbara, mamma di un bimbo autistico di quattro anni umiliato e deriso da dipendenti Carrefour durante una festa da essa organizzata. Barbara, per denunciare l’avvenuto e ottenere giustizia, ha scritto una mail alla Direzione della grande società di distribuzione, poi inviata anche alla segreteria dell’onorevole Carfagna, a Striscia La Notizia e pubblicata sul suo blog. Il passaparola sul Web, nell’arco di pochissimi giorni, ha dato gran eco al “fattaccio” e leso la reputazione di Carrefour che il lunedì ha prontamente risposto assumendosi l’impegno di approfondire l’accaduto affinché ogni responsabilità venisse accertata e punita con il massimo rigore. Di esempi se ne possono citare altri. La storia dei lucchetti Kryptonite che, secondo alcuni video pubblicati per la Rete potevano essere aperti con una semplice penna biro, è quella che ha ottenuto maggiore risonanza. L’azienda, che ai tempi non aveva dato subito peso al passaparola ritrovandosi poi a dover sostenere costi altissimi per ritirare decine di migliaia di lucchetti dal mercato, oggi ha aperto un corporate blog. Diversa è invece la vicenda di Sergio Sarnari che a giugno di quest’anno, dopo aver scritto un post nel quale raccontava l’esperienza d’acquisto 7
Chris Anderson, The long tail. Why the future of business is selling less of more, Hyperion, 2006
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negativa vissuta con la Mosaico Arredamenti, si era ritrovato a dover rispondere ad una richiesta per risarcimento danni di 400.000 euro. Naturalmente tutta la blogosfera di fronte alla notizia si indignò e la Mosaico Arredamenti non ottenne altro che ulteriore pubblicità negativa. La reputation 2.0, ovvero le conversazioni che hanno luogo sulla Rete, devono essere tenute costantemente sotto controllo. Questi dati pubblicati da Nielsen8 ne sono ulteriore conferma:
39 milioni di internauti europei hanno rinunciato ad un acquisto a causa di commenti negativi trovati sul web […] (Fonte: IPSOS MORI 2006)
[…] gli utenti vanno sui motori di ricerca per trovare informazioni riguardanti un brand, per sapere chi è una persona, per sapere cosa si dice di un prodotto; i motori di ricerca sono diplomatici, non fanno distinzioni di merito, danno rilevanza ai blog ed ai siti “caldi” ma soprattutto non dimenticano facilmente […] (Fonte: progetto SEO)
[...] La ricerca ha rivelato che il consumatore italiano è sempre più multicanale, ovvero la sua decisione d’acquisto e la relazione con la marca sono determinate dall’interazione con molteplici canali di comunicazione […]
[...] Il cliente multicanale non è uno sprovveduto, attinge a fonti diverse, anche a quelle non controllate dall’azienda (blog, forum, social networking), di cui non è sempre certa l’attendibilità. E’ molto attivo nel
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http://www.reputazioneonline.it/pages/content.aspx?id=10&param=analisi_reputazione_we b (Nielsen, Nielsen Online, Connexia e la School of Management del Politecnico di Milano, novembre 2007. Nielsen Online, Nielsen Online comunica i dati internet relativi al mese di novembre e fa il punto sul trend della rete nel 2007, News Release, dicembre 2007.)
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passaparola con cui condivide la propria soddisfazione e soprattutto l’insoddisfazione [...]
Al punto 12 del Cluetrain Manifesto si afferma inoltre che
Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, comunque lo dicono a tutti.
In realtà, che si tratti di mondo virtuale o reale, il passaparola è sempre da tenere sotto controllo: è un virus e una volta propagatosi è difficile debellarlo. Che si tratti di mondo virtuale o reale i consumatori si scambiano continuamente idee, esperienze e storie, vissute in prima persona o raccontate loro da qualcun altro. Il valore riconosciuto alle parole pronunciate da persone comuni e soprattutto disinteressate, è sempre maggiore di quello attribuito alle comunicazioni aziendali. Il passaparola è un virus e si propaga in tempi e luoghi imprevedibili. Controllarlo e gestirlo è un “dovere” del brand: nell’arco di poco tempo potrebbe apportare all’azienda enormi benefici, quanto disastrose perdite.
1.3.1. Pianificazione
La reputazione è un processo in continua evoluzione, alla cui formazione partecipano diversi soggetti, alcuni più incisivamente, come giornalisti e opinion leader, altri meno, come i consumatori passivi. La reputazione non può quindi, per sua natura, essere semplicemente costruita a tavolino dagli esperti della comunicazione e divulgata attraverso i media.
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Pianificare una corporate reputation, per un’azienda, significa decidere cosa e come comunicare ai propri pubblici di riferimento. Conoscere il posizionamento del brand nella mente dei consumatori e seguire standard di Corporate Governance sono punti di partenza importanti per pianificare una comunicazione efficace. L’insieme dei messaggi inviati dal brand saranno infatti pretesto di dialogo per i pubblici esterni che pian piano andranno a delinearne, più o meno direttamente, la reputazione. Pianificare una corporate reputation è quindi possibile, ma importante sarà monitorarla ed evolvere con essa. Solo attraverso un costante impegno comunicativo e relazionale si otterranno buoni risultati. Sapere dove l’azienda è posizionata nella mente dei consumatori e perché vi si trova, è fondamentale per capire quale strada intraprendere. Rispondendo a questi interrogativi sarà possibile capire come prodotto e marca vengono percepiti dai diversi stakeholder e quali sono, rispetto ai competitor, punti di forza e di debolezza. Solo allora, potendo identificare un obiettivo, quindi definire un positioning, sarà possibile decidere come raggiungerlo. L’azienda, per poter comunicare qualcosa di rilevante è però fondamentale che gestisca il proprio business seguendo quelli che abbiamo prima chiamato standard di Corporate Governance. Solo se avrà una buona condotta potrà palesarlo ed incrementare fiducia e coinvolgimento emotivo nei suoi confronti. Una volta pianificato come l’azienda debba essere percepita, sarà poi importante comunicarlo ai diversi pubblici di riferimento, soprattutto a giornalisti e opinion leader, la cui opera di comunicazione ha una forte influenza.
1.3.2. Misurazione
Per la misurazione della reputazione è necessario integrare:
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- ricerche qualitative: focus group, brainstorming e interviste in profondità; - ricerche quantitative: interviste e questionari telefonici, web o faceto-face; - ricerche desk: analisi web e analisi media. Ogni anno, inoltre, il Reputation Institute di New York si occupa di stilare a livello internazionale il Reputation Index. La ricerca valuta le percezioni degli stakeholder sui vari brand attraverso venti attributi raggruppati in sei dimensioni: prodotti e servizi, performance finanziaria, ambiente di lavoro, responsabilità sociale, vision e leadership e appeal emozionale. La classifica, pubblicata su The Wall Street Journal, viene poi ripresa dai media che finiscono col creare un circolo virtuoso che si autoalimenta, portando ovvi benefici a chi si trova nei primi posti, come avvenuto per Barilla.
Per misurare la reputation 2.0, negli ultimi anni, a riprova del suo aumentato valore, sono nate tantissime agenzie che si occupano esclusivamente della sua rilevazione e, qualora i risultati lo richiedano, nell’apporvi le giuste modifiche. Ai singoli è però possibile monitorarla anche autonomamente attraverso strumenti gratuiti disponibili on-line.
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Qualunque utente, dal più al meno esperto, può però, attraverso diversi strumenti gratuiti disponibili on-line, monitorarla anche autonomamente, senza ricorrere a terzi. Basta iscriversi a Google Alert e inserire le parole chiave cui si è interessati, ad esempio, il brand per cui si lavora. Il software prenderà in esame notizie, commenti, video, blog e pagine web inerenti. Qualora le parole ricercate siano popolari, onde evitare messaggistica inutile, sarà importante restringere la ricerca. Molto simile è il funzionamento di Yahoo! Alert. Blog, commenti e forum potranno a loro volta essere monitorati attraverso strumenti specifici come Technorati, Co.mments e Tracker.
1.3.3. Profittabilità
Determinare la profittabilità di una campagna di comunicazione è da sempre un grosso problema e gli imprenditori più sprovveduti sono spesso portati, proprio per questo, a non investire in un settore così immateriale. Altrettanto complicato, se non di più, sarà quindi stabilire il valore generato da una buona reputazione: i risultati si vedono nel medio-lungo periodo e talvolta sono in contrasto con obiettivi a breve termine. Un venditore, potrebbe optare per guadagnare proficuamente nel breve periodo senza curarsi di tenere un atteggiamento leale e rischiando che il suo prodotto/servizio, in futuro, venga boicottato, oppure scegliere di guadagnare meno, ma onestamente, e migliorare la propria reputazione, quindi le rendite, nel lungo termine. I vantaggi apportati da una buona reputazione sono: 1. Maggiore forza contrattuale; 2. Aumento delle vendite; 3. Facilità di approvvigionamento di risorse, umane, materiali e finanziarie;
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4. Miglioramento del grado di fedeltà delle persone; 5. Miglioramento della collaborazione e della qualità dei propri fornitori; 6. Maggiore impegno e coinvolgimento del personale; 7. Miglioramento del dialogo con enti e media; 8. Maggiore sostegno di comunità locali.
Per valutare i risultati prodotti da una buona reputazione bisognerebbe analizzare l’andamento di questi elementi nel tempo ed evidenziare le connessioni che tra essi si vengono a creare. Distinguere nettamente quali sono i vantaggi o meno, scindendoli da altre variabili come l’andamento del mercato, la concorrenza e il prodotto, non è possibile, ma studiare quanto una migliore reputazione influenzi tutte le variabili sopra descritte si. I vantaggi apportati sono infatti evidenti non appena si verifica la situazione contraria e cioè quando comportamenti poco etici danneggiano le performance aziendali. Le imprese devono quindi imparare a gestire il proprio rischio reputazionale, minimizzando le probabilità di accadimento di eventi che possano danneggiarla e predisponendo azioni da intraprendere qualora i danni si siano già manifestati. Minimizzare i fattori di rischio significa potenziare i meccanismi di controllo su elementi come il personale, in particolare valutando la congruità degli investimenti nel processo di selezione e formazione delle risorse umane, prestare attenzione ai processi che alimentano la pubblicità esterna, garantire standard qualitativi attraverso certificazioni riconosciute a livello internazionale, controllare la natura dei reclami arrivati e rimuovere meccanismi incentivanti comportamenti lesivi del giudizio esterno, come ad esempio sistemi premianti non correlati a controlli sulle modalità di lavoro dei singoli dipendenti.
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Per quel che riguarda la minimizzazione del danno reputazionale a cose già fatte, è importante che l’azienda riconosca pubblicamente gli avvenimenti, senza cercare coperture e, quando possibile, manipoli l’evento negativo a proprio vantaggio, come fece la Mercedes quando la sua Classe A non superò il “test dell’Alce”. Altre precauzioni possibili sono la previsione di soluzioni straordinarie sulla corporate governance, come la sostituzione degli amministratori, la diversificazione dei marchi per ridurre i costi della loro perdita e la rapida sostituzione dei responsabili di comportamenti giuridicamente o eticamente contestati9.
1.4.
Il brand come asset indispensabile
I brand ci accompagnano in ogni momento della giornata. Ci svegliamo raggomitolandoci tra le nostre coperte Zucchi, ci togliamo il pigiama Intimissimi per ricoprirci di marche dalla testa ai piedi, ci laviamo i denti col dentifricio Colgate e facciamo colazione con le merendine della Ferrero. Prendiamo la nostra borsa Caterina Lucchi e via per le strade stracolme di insegne, cartelloni e volantini, al volante della nostra strepitosa Mini. Il brand, entità complessa, simbolo e sintesi di significati, valori ed esperienze, diviene asset indispensabile in un mercato globalizzato, caratterizzato da: l’omogeneizzazione dei gusti e dei prodotti, l’inarrestabile sviluppo delle tecnologie, la diminuzione della vita utile del prodotto, la convergenza dei settori merceologici e l’accresciuta importanza conferita al mondo dell’intangibile. D’altro canto anche le imprese, avendo una struttura meno gerarchizzata, esternalizzando parte delle proprie attività e
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http://www.almavivafinance.it/doc/aifirm%20gen%2008_Rischio%20reputazionale_Gabbi .pdf (Gianpaolo Gabbi, Il rischio reputazionale tra primo e secondo pilastro, Costruire il Pillar 2: il ruolo della Vigilanza, del management e dei professional Roma, 29 gennaio 2008)
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organizzandosi in strutture policentriche, sentono l’esigenza di avere un’identità forte cui fare riferimento. Le marche, all’interno di questo sistema economico e sociale, permettono alle aziende di affrontare i nuovi problemi legati all’evoluzione del mercato, consentendo loro di differenziarsi, quindi posizionarsi all’interno della mente dei consumatori, divenendo territorio comunicativo-relazionale, all’interno del quale collaborare coi propri stakeholders e, come asserisce Semprini, facendosi “motore semiotico”, ovvero veicolando messaggi e valori che contribuiscono alla creazione delle identità degli individui.
1.4.1. Marca o non marca?
In questa sede più che di corporate reputation bisognerebbe parlare di brand reputation, ovvero il giudizio complessivo dato da coloro che, in modo diretto o indiretto, entrano in contatto ed influenzano l’operato della marca. Il brand, punto di riferimento nelle relazioni tra azienda e stakeholder, diviene territorio d’incontro tra domanda ed offerta, luogo dove valori, aspettative ed esperienze vengono scambiate ma, soprattutto, dove le opinioni prendono forma. È sulla base di questo rapporto continuo che l’azienda intrattiene coi suoi pubblici di riferimento che si costruisce la brand reputation, asset strategico che nel lungo periodo permette alle aziende di costruire rapporti fiduciari forti e stabili, che sviano, per quanto possibile, l’infedeltà tipica dei consumatori. D’altro canto, i prodotti unbranded, non possedendo un’entità sulla quale catalizzare le proprie comunicazioni, come anche quelle degli stakeholder, non possono costruirsi un’identità e tanto meno una reputazione.
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1.4.2. Funzioni e valore del brand
Il valore della marca può essere analizzato da diversi punti di vista. Un approccio economico ne calcolerebbe il valore iscrivibile in bilancio valutandone le performance in termini finanziari e di potenzialità di marketing. Diverso risulterebbe invece il calcolo dell’effetto differenziale, che infonde unicità e riconoscibilità alle attività aziendali, come ancora differente sarebbe la stima del valore relazionale del brand, visto come risorsa strategica che nel lungo periodo permette di accrescere il valore dei prodotti nei confronti dei clienti. É il valore relazionale della marca a porre le basi per la costruzione della brand reputation. Le aziende, proprio come le persone, al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati sono obbligate ad uscire dalla propria autoreferenzialità e relazionarsi con l’esterno. É solo instaurando, alimentando e rispettando relazioni coi diversi pubblici di riferimento, che il brand può costruirsi una buona reputazione. Per fare questo bisogna che la marca comunichi un’immagine attrattiva di sé, creando aspettative che dovranno poi essere confermate nella realtà. Riconoscimento, garanzia, fiducia e ripetitività sono solo alcune delle funzioni che la marca svolge nei confronti del consumatore.
1.4.3. Dai trade mark ai love mark
La comunicazione, indispensabile per la sopravvivenza del brand, permette di capitalizzare su di esso ciò che fino a quel momento l’azienda ha costruito, dai capitali materiali, a quelli finanziari, quantitativi di mercato e naturalmente relazionali. Nella nostra economia il capitale di fiducia conquistato dalle aziende assume talmente tanta importanza da aver spinto il pubblicitario Kevin Roberts, CEO Worldwide di Saatchi & Saatchi, a scrivere nel 2005 il libro
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Lovemarks - Il futuro oltre i brands, delineando i lovemarks come quei brand per i quali i consumatori sentono una profonda fedeltà, una fedeltà che va oltre la ragione. Nel suo libro si legge. Una corrente emotiva sta sovvertendo le regole del mercato: oggi il potere è sempre più nelle mani del consumatore, dotato di accesso all’informazione, scelta e capacità di connessione e sempre meno in quelle delle aziende, che per vincere non possono più solo contare su vantaggi ‘razionali’ di prezzo, servizio, qualità e design. Il successo di un’azienda dipende dal legame d’amore che tramite i suoi brand essa stabilisce con l’individuo.10 Se un brand qualsiasi improvvisamente scomparisse i consumatori lo rimpiazzerebbero, mentre se lo stesso avvenisse ad un lovemarks la gente protesterebbe. I lovemarks sono relazione e non semplice transizione. Acquistandoli abbracci il loro mondo. Il rispetto è alla base di questo rapporto.11 Se inizialmente la marche nacquero per soddisfare bisogni molto naturali da parte delle aziende come essere visibili, riconoscibili ed ottenere protezione legale, dai trade mark si è poi passati ai trust mark, per cui prodotti/servizi legati a un brand, una volta sul mercato, vedono aumentato e riconosciuto il loro valore grazie a fiducia e goodwill associati alla marca. In un mercato globalizzato, dove i prodotti sono molto simili tra loro e la concorrenza diviene sempre più accanita, trasformare il brand in un lovemarks è la strada giusta da intraprendere. Il valore relazionale e fiduciario così costruito permetterebbe al brand di creare intorno al proprio nome un’aura positiva, di apprezzamento, che coinvolgerebbe non solo i pubblici di riferimento ma anche individui fino a quel momento estranei al brand.
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Kevin Roberts, Effetto Lovemarks - Vincere nella rivoluzione dei consumi, Franco Angeli, 2007 11 http://www.lovemarks.com
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1.4.4. La comunicazione integrata
Più volte abbiamo ripetuto che la reputazione è figlia del pensiero di tutti coloro che, più o meno direttamente, hanno avuto a che fare con l’azienda. Pensando al risultato finale dell’impresa, cioè la vendita, si parla spesso di rapporto tra azienda e consumatore, dimenticando che i pubblici di riferimento con i quali l’organizzazione entra in contatto quotidianamente sono molteplici e ciascuno, a proprio modo, importanti. Spesso, per semplificare, si tende a differenziare la comunicazione in interna ed esterna. Le nuove esigenze del mercato evidenziano, invece, la necessità di diversificare i canali ed i messaggi utilizzati dall’azienda in riferimento a ciascun obiettivo che si prefigge nei confronti dei diversi interlocutori. Comunicazioni personalizzate, ma tra loro coerenti. Attraverso la gestione della propria comunicazione in un’ottica integrata, l’azienda riesce ad organizzare e sovrintendere i messaggi che diffonde, migliorando la percezione del brand e controllando, per quanto possibile, le opinioni esterne.
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2. Gestire la Corporate Reputation
Marco Camisani Calzolari nel suo recentissimo libro, Impresa 4.0 – Marketing e Comunicazione Digitale a 4 Direzioni, parla di nove circuiti di relazione comunicativa che si vengono ad instaurare intorno al mondo dell’azienda e che sono così rappresentati:
L’autore sottolinea come l’impresa possa controllare solamente la comunicazione che va dal suo interno verso l’esterno e decidere di organizzarsi per “ascoltare” i feedback che i diversi pubblici di riferimento le mandano, ma non riesca assolutamente a gestire i circuiti interni di mercato, stakeholder e dipendenti/collaboratori.12 E’ da questo incrocio di flussi comunicativi che nasce la Corporate Reputation ed è proprio per la sua natura incontrollabile che le viene riconosciuta tanta autorevolezza. Pianificare i messaggi da inviare al proprio pubblico, allestire punti vendita accoglienti o seguire il cliente in tutte le fasi della vita del prodotto, sono solo alcuni degli strumenti del marketing che, ponendo l’individuo al 12
http://www.camisanicalzolari.com/2008/10/la-relazione-comunicativa-dimpresa.html
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centro del mondo del brand, migliorano le esperienze vissute con e attraverso di esso, permettendo all’azienda non tanto di controllare, ma per lo meno gestire, la sua Corporate Reputation.
2.1.
Ripensare il comunication mix
Le aziende, a fronte dei cambiamenti repentini che il mercato ha subito negli ultimi anni, si vedono costrette ad evolvere, sganciandosi dai vecchi piani di comunicazione che fino ad oggi si sono rivelati validi strumenti di crescita. In Italia, paese prettamente gerontocratico, i business leader, spesso anziani, hanno una concezione del modo di fare impresa un po’antiquata, autoreferenziale, che impedisce alle nostre aziende di “aprirsi” al mercato. É in una nuova ottica di trasparenza, dialogo, collaborazione e rispetto reciproco, che il comunication mix, ovvero l’insieme degli strumenti di comunicazione pianificati dall’impresa, dovrebbe essere ripensato.
2.1.1. Pubblicità
La pubblicità, offrendo stimoli che modificano comportamenti, si dice avere fine perlocutivo. Usando una terminologia semiotica si può affermare che il discorso pubblicitario cerca di ottenere un comportamento (funzione conativa) attraverso lo stabilirsi di una relazione col proprio destinatario (funzione fatica) mediante linguaggi e tecniche espressive sempre diverse (funzione poetica) che esprimono identità e valori della marca (funzione espressiva). In un’economia dove copiare le innovazioni di prodotto è facile e veloce, il brand rimane l’unico attributo inimitabile, capace di differenziare la propria merce. Consapevole di ciò, un’azienda orientata al marketing punterà, quindi, su una pubblicità di marca, capace di accrescere il valore del brand e non del singolo prodotto. La brand equity, valore intangibile,
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potrà infatti essere declinata su una vasta gamma di prodotti, altrimenti anonimi. Una linea immaginaria divide le tecniche pubblicitarie in due macrocategorie: above e below the line. La prima sfrutta media mainstream per divulgare il proprio messaggio ad un pubblico più ampio possibile, mentre la seconda cerca di raggiungere un target più specifico attraverso canali diretti. Nei piani di comunicazione, le due strategie solitamente convivono, completandosi a vicenda.
2.1.1.1.
Above the line
La comunicazione pubblicitaria above the line si avvale, per veicolare i propri messaggi, di mass media come televisione, radio, stampa e affissioni. Questo genere di comunicazione, diffondendo al grande pubblico un messaggio semplice e conciso, viene al giorno d’oggi spesso accusato di inadeguatezza. Un cambiamento dovuto principalmente alla crescita esponenziale dei messaggi pubblicitari cui l’utente è sottoposto e all’avvento del www, quindi alla possibilità, per l’utente comune, di raggiungere in breve tempo, ed a costi limitati, ogni genere d’informazione. I consumatori, sempre più attivi ed informati, accettano con meno facilità di subire passivamente un messaggio preconfezionato da esperti del settore. I pubblicitari sentono quindi la necessità di trovare nuove strade, che integrino azioni mass mediatiche ad operazioni di comunicazione più dirette ed incisive. Ciò nonostante la comunicazione above the line continua a produrre risultati importanti. La conoscenza del brand, brand awareness, le associazioni di marca, brand association, e la sua qualità percepita, perceived quality, ovvero tre dei quattro attributi che Aaker sostiene formino la brand equity, sono, in buona parte, prodotti da messaggi diffusi attraverso i media mainstream, che vanno quindi ad influenzare
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profondamente la reputazione del brand. Messaggi che raccontano la marca e i sui valori, ne influenzano la percezione esterna e ne permettono il riconoscimento da parte del consumatore. Il brand, proprio per l’alto valore riconosciuto a questo genere di comunicazione, necessita di reinventarne l’utilizzo per tornare a stupire, proprio come una volta: un lavoro sempre più difficile, essendo ormai il pubblico educato alle immagini mediatiche. Un esempio di inserzione capace di attirare l’attenzione dell’utente e permanere nella sua memoria è, di seguito, la pagina che emula le lunghe ciglia truccate di una donna, per la sponsorizzazione del rimmel della Clinique.
Esempi di affissioni altrettanto spiazzanti sono: da una parte, il finto vetro crepato per effetto di un prorompente seno retto dal reggiseno Wonderbra e, dall’altra, il cartellone che “respira” grazie alla crema che sponsorizza.
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Ulteriore alternativa per ravvivare la comunicazione tradizionale si ottiene attraverso l’integrazione tra strumenti mass mediatici e mezzi più diretti. Tetrapack, ad esempio, nella sua ultima campagna pubblicitaria, incentrata sul suo contenitore riciclabile, supporta le classiche affissioni offline attraverso una comunicazione più diretta, personalizzata e ludica online. La stessa insegna, nella sua versione digitale, può infatti essere personalizzata e pubblicata da chiunque, con la propria foto, all’interno della Rete. Altri casi di integrazione dei due mondi, virtuale e reale, sono gli spot
televisivi che rimandano
a siti aziendali,
per
concorsi o
approfondimenti. Tra questi può essere menzionato, per la sua particolarità, la campagna “Intimissimi, vicino al cuore delle donne”, progetto dell’anno 2007, da poco riproposto, che rinvia, attraverso uno spot televisivo, al sito del brand, per la visione del film da lui prodotto, Heart Tango.
2.1.1.2.
Below the line
Col termine below the line si indicano tutte le attività di promozione che non utilizzano i media classici e che permettono di raggiungere il proprio target in maniera diretta, con messaggi specifici. Come tutti i messaggi inviati dalla marca, oltre ad influenzarne direttamente la reputazione, andranno a condizionarne le conversazioni inerenti. Operazioni di guerriglia marketing come quella di Parkcomodo, terzo parcheggio in Italia ad elevata automazione, promosso agganciando gadget a forma di maggiolone, dei veri e propri antistress, a diverse macchine in sosta nei pressi del nuovo parcheggio, non possono lasciare indifferenti i consumatori. Un’operazione simpatica e al contempo funzionale e targettizzata, che ha ottenuto risonanza anche sul web, luogo appropriato allo svilupparsi delle conversazioni. Per guerriglia marketing si intende un insieme di tecniche di comunicazione non convenzionale che consente lo sviluppo di strategie di
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mercato attraverso la messa in scena di pseudo-eventi concepiti in integrazione all'immagine dell'azienda13. La necessità, per i brand, di ricorrere al guerriglia marketing è dovuta al già citato affollamento dei canali tradizionali, la declinata credibilità dei media verticali, la necessità di lanciare in maniera nuova ed impattante i propri prodotti, la ricerca di gruppi specifici in grado di diventare volano presso fasce sempre più ampie di consumatori e, più in generale, la ricerca di una maggiore complicità con il pubblico. Messaggi quindi che influenzando l’immagine del brand e ne condizionano, nel lungo periodo, la reputazione. Street, Buzz, Viral e Ambient Marketing sono solo alcune delle tecniche di advertising che vengono fatte rientrare in questa categoria. Un esempio di street marketing ben congegnato è stato realizzato nel mese di ottobre a Roma per la promozione di un negozio di moto, Lanzi. Moto a modo mio. Di notte sono stati lasciati per la città specchi dove era possibile vedersi riflessi in sella ad una moto con sotto la scritta Finalmente qualcuno di cui fidarti, firmato Lanzi. Moto a modo mio. Un’idea geniale per attirare l’attenzione delle persone che di loro spontanea volontà prendevano, probabilmente senza gettarlo, il depliant e, verosimilmente, avrebbero raccontato quanto visto ad amici e parenti. Dell’operazione è stato girato anche un video che, pubblicato su You Tube, ne ha permesso la diffusione, attraverso il passaparola, sulla Rete. Il Buzz, come anche il viral marketing, si basa sul word-of-mouth. Intrattenimento o notizie di alto profilo sono sfruttate per far parlare le persone della marca: messaggi divertenti o informativi progettati per essere trasmessi in modalità esponenziale, creati e divulgati, spesso attraverso il web. Molti video pubblicati on-line attraverso servizi di video sharing come YouTube, sono così strutturati. “Jump into the jeans” della Levi’s, creato per promuovere una linea di jeans senza cerniera, ne è un esempio. Nei viral 13
www.guerrigliamarketing.it/pdf/guerriglia_marketing.pdf (Andrea Natella, Guerriglia Marketing, una definizione convenzionale)
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video la marca non appare: il video gira in modo assolutamente anonimo creando “chiacchierio” e attesa fino a quando il brand, attraverso un successivo messaggio, si rivela al consumatore. L’ambient
marketing
si
basa
invece
sull’integrazione della campagna nello spazio cittadino. Ne è un esempio questo maiale gigante, ideato dalla Saatchi & Saatchi di NYC per pubblicizzare il filo interdentale Glide. Lo spazio tra i palazzi in cui è incastrato il mega-suino diviene metafora dei pezzetti di carne che, rimanendo incastrati tra le fessure dei denti, rendono necessario l’utilizzo del filo interdentale. Immagini che difficilmente lasciano indifferenti media e consumatori, pronti a raccontare e discutere quanto visto. Per comunicazione below the line non si intendono però solo azioni di guerriglia marketing. Tra gli strumenti non convenzionali rientrano anche operazioni di direct marketing come il direct mailing o il telemarketing, fiere, mostre, convegni, promozioni sul punto vendita, pubbliche relazioni, sponsorizzazioni ed eventi. Il brand, attraverso questi strumenti, comunica col proprio target in maniera più diretta e meno invasiva, ponendo le basi per rapporti duraturi.
2.1.2. Promozioni
Obiettivo di una campagna promozionale è lo stimolo diretto all’azione, quindi ad aumentare le vendite nell’arco di tempo in cui è circoscritta. Spesso, per questo motivo, le promozioni vengono attuate in fase di calo degli ordinativi o degli acquisti veri e propri. É però importante che la promozione non si limiti ad ottenere buoni risultati di vendita nel breve periodo, ma sia implementata all’interno di un preciso piano di marketing
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che rafforzi il valore di marca. Si rischierà altrimenti di produrre un boom delle vendite che potrebbe non tramutarsi in un effettivo aumento dei clienti ma che, viceversa, potrebbe ledere alla reputazione del brand. Gli avventori potrebbero infatti decidere di non riacquistare il bene al nuovo prezzo perché non ne hanno percepito la qualità, il prezzo è troppo alto o la fedeltà o qualità percepita di altre marche è molto forte. D’altro canto, il consumatore abituale, se il prodotto lo permette, potrebbe farne scorte ad un minor prezzo, evitando, per molto tempo, di tornare nel punto vendita. Al fine di non diminuire il valore percepito del brand, è quindi importante valutare pubblicizzazione e momento di attuazione della promozione. Nella fase di introduzione del prodotto, permette infatti al brand di aumentarne la conoscenza, mentre nella fase di crescita, potrebbe lasciare nel consumatore un’immagine negativa. David Ogilvy sosteneva che un brand, per non entrare nel vortice del ribasso e ledere la propria immagine, non può impostare le proprie politiche sulla diminuzione di prezzo. I costi sostenuti per ogni strumento del comunication mix, tanto più le promzioni,
vanno
quindi
pensati
in
relazione
al
rafforzamento
dell’immagine di marca, asset indistruttibile. La promozione può essere attuata attraverso merchandising, quindi accompagnando al prodotto gadget che permettono al consumatore di percepire un risparmio o un minore sacrificio nell'affrontare la spesa; sconti di prezzo, attraverso buoni sconto, coupon o offerte limitate nel tempo; prove prodotto; premi, ad esempio attraverso una raccolta a punti; provvigioni al venditore.
2.1.3. Personale di vendita
Il personale di vendita, interfaccia del brand, riveste un ruolo fondamentale per l’immagine e la reputazione di un’azienda; tuttavia spesso
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non è tenuto sufficientemente in considerazione rispetto al valore che può apportare. Sistemi di comunicazione interna come le classiche intranet o le più recenti wiki aziendali, oltre che gli opportuni corsi di formazione, aiutano il personale di vendita a gestire le situazioni che quotidianamente si presentano, aumentando le possibilità di un buon rapporto con la clientela. Tornando all’episodio del bimbo offeso da dipendenti Carrefour, oltretutto non fissi ma occasionali, assunti proprio per affrontare il supplemento di lavoro dovuto all’evento, chi ne ha risentito ed è dovuta correre ai ripari è stata l’azienda che, nelle scuse presentate alla madre, ha sottolineato la sua volontà di non ledere il rapporto di fiducia costruito con le migliaia di clienti che ogni giorno frequentano i loro punti vendita e che li scelgono anche per i valori che contraddistinguono la loro insegna. Aiutare il consumatore a scegliere nell’ormai infinito parco di offerte e spiegargli, qualora sia necessario, come il prodotto debba essere utilizzato, per migliorare la sua esperienza d’acquisto, sono momenti decisivi per l’instaurazione di una buona relazione col cliente, un rapporto che continuerà durante l’intera vita del prodotto. Il personale di vendita riveste quindi un ruolo fondamentale anche nella gestione della fase di manutenzione del prodotto/servizio, momento critico della relazione brandconsumatore, nel quale è importante comunicare al cliente la “presa in carico” del problema.
2.1.4. Pubbliche Relazioni
Per pubbliche relazioni, o Public Relation (PR), si intende un’insieme di attività di comunicazione volte a migliorare le relazioni del brand coi suoi pubblici di riferimento e non solo. Rientrano in questa categoria l’ufficio stampa, quindi la gestione delle comunicazioni aziendali sui media; le sponsorizzazioni, o meglio l’erogazione di contributi a terzi per l'organizzazione di manifestazioni sportive, musicali o di altro genere,
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ponendo affidamento sul ritorno delle spese sostenute in termini di pubblicità; gli eventi organizzati dal brand e le fiere cui l’azienda partecipa. Gli obiettivi, in base al momento e al contenuto diffuso, possono essere i più disparati: aumentare la conoscenza del brand, attraverso un ufficio stampa impegnato e attivo, capace di instaurare buone relazioni con gli opinion leader; migliorare i rapporti coi clienti già acquisiti, come può avvenire attraverso l’organizzazione di feste in occasione di anniversari del brand; manifestare, attraverso sponsorizzazioni, la propria vicinanza ad un determinato mondo. Le possibilità, infinite, sono tutte accomunate dalla volontà di migliorare, nel lungo periodo, la reputazione del brand.
2.1.5. Comunicazione interna
La comunicazione interna all’azienda viene spesso lasciata in secondo piano, per disattenzione o ignoranza dei manager. Gli obiettivi che si prefigge sono, anche in questo caso, i più disparati: aumentare il know-how aziendale; conoscere spostamenti e lavori in cui sono impegnati i colleghi, diminuendo perdite di tempo o inefficienze organizzative; condividere obiettivi comuni; incrementare e/o migliorare i rapporti interni all’azienda ed eliminare costi superflui. Il primo strumento, e ancora oggi spesso l’unico, utilizzato all’interno delle aziende per collegare i computer, sono le intranet, reti chiuse che permettono lo scambio fra colleghi di file e informazioni senza connessioni a server esterni. Le aziende, sulla base di questa tecnologia, creano software specifici per rispondere alle proprie esigenze. Inviare lo stesso file a tutti, con una semplice mail, potrebbe causare confusione e perdite di tempo: dimenticanze e modifiche potrebbero creare non pochi problemi di organizzazione, diversamente da quanto accadrebbe se il file venisse caricato, quindi condiviso, sulla intranet.
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Oggi, la Rete, tramutandosi in 2.0, offre alle aziende nuove possibilità, gratuite, di condivisione, da affiancare alle proprie intranet, tenendo però sempre presente che i dati ivi caricati finiscono su server esterni. L’utilizzo di questi strumenti ha il grande merito, tra gli altri, di avvicinare chi lavora all’interno dell’azienda al mondo di Internet. Blog accessibili attraverso password possono essere utilizzati per comunicazioni aziendali, meno ufficiali, o per l’archiviazione di documenti. Wiki interne possono permettere a più utenti di collaborare allo stesso progetto. Calendari on-line, come il Google Calendar, consentono di conoscere presenze, riunioni e scadenze di lavori. Un sistema di comunicazione interna efficace ed efficiente, capace di creare relazioni stabili, permette al brand di rafforzarsi, quindi di riflettere all’esterno le proprie qualità.
2.2.
I nuovi territori della marca
Nel libro di Patrizia Musso sono così definiti i nuovi territori creati dalla marca per comunicare col proprio pubblico. Un’esigenza nata dalla cultura post-moderna che predilige elementi intangibili come i sentimenti, le emozioni ed i rapporti empatici, ma che risponde anche alle aumentate esigenze di dialogo e collaborazione col consumatore. I “nuovi territori della marca” si prefiggono infatti di far sentire l’individuo al centro del mondo della marca, permettendo al brand di differenziarsi, farsi notare ed infine essere scelto. Strumenti ad alto valore relazionale che, integrati all’interno del comunication mix, apportano valore aggiunto alla brand equity.
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2.2.1. Comunità brandizzate
Le comunità brandizzate, o brand community, sono gruppi di persone accomunate da un forte legame con la marca, quindi coi suoi valori e stile di vita. Creare una community di “fedeli”, per un brand, significa poter applicare su di essa quelle che Bernard Cova, suo maggiore esponente insieme a Michel Maffesoli, definisce tecniche di marketing tribale. La tribù, gruppo di individui che condividono legami d’identità forti, può essere vista come una segmentazione creata direttamente dagli stessi clienti in modo spontaneo e, contrariamente a quanto accade con le segmentazioni di marketing, è una realtà. Tuttavia la tribù, rispetto alle comunità tradizionali, è volatile ed effimera: l’affiliazione può essere plurima ed ognuno ha la possibilità di uscirne facilmente. Le tecniche di marketing tribale si differenziano in intensive, quando vengono applicate su tribù già esistenti ed estensive, quando l’obiettivo è di favorirne lo sviluppo. Nei confronti di una tribù costituita sarà infatti possibile applicare “riti tribali”, quali la vendita di “oggetti di culto” come calendari, portachiavi e orologi e “costumi rituali”, come magliette e bandane, oppure la condivisione di “luoghi di culto”, “formule magiche” ed “icone”. Uno dei brand che meglio è riuscito ad applicare questo concetto, ricavandone vantaggi facilmente intuibili, è Harley Davidson. Feste, raduni, slang, immagini, oggettistica e abbigliamento, accomunano gli harleysti di tutto il mondo. Il legame che intercorre tra consumatore e marca all’interno delle community è talmente forte che spesso i due ruoli si capovolgono, trasformando il consumatore in prosumer, ibrido tra consumatore e produttore.
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Le brand community soddisfano quindi bisogni di trasparenza, apertura al dialogo e relazione, rispondendo alla nuova esigenza per il consum-attore di rivestire un ruolo attivo nei confronti del brand. Attraverso contest con premi in denaro, gadget o altro, la marca chiede infatti ai propri “fedeli” sia quali migliorie apportare ad un prodotto esistente, sia di inventarne di nuovi. Ogni individuo appartenente alla tribù, oltre a rappresentare un’ottima base di mercato, diverrà quindi fedele portavoce del brand, supportandone la comunicazione ed aumentandone credibilità ed incisività. Un sistema efficace per ascoltare i feedback provenienti dall’esterno, ma anche una possibilità di influenzare indirettamente i circuiti di comunicazione interni a mercato, stakeholder e dipendenti/collaboratori; quei circuiti che Marco Camisani Calzolari, giustamente, definisce impossibili da gestire.
2.2.1.1.
On-line
Il www è uno dei territori più fertili sui quali costruire la propria brand community. La possibilità per individui, fisicamente lontani, di comunicare ed intrecciare facilmente relazioni, offre maggiori occasioni d’incontro tra soggetti con interessi simili. Le opportunità di scambio, veloce e gratuito, di contenuti scritti, audio e video, creati dai consum-attori o pubblicati dal brand stesso, migliora inoltre la qualità del rapporto, dando modo alla community di svilupparsi e consolidarsi. Instaurare relazioni è una delle opportunità più interessanti che la Rete offre ai brand. Un esempio tra tutti è l’AlfaMiTo blog14, nato nel marzo 2008 per dar credito alle “voci” presenti in Rete intorno al lancio della nuova Alfa MiTo. Il blog vive, oltre che delle tradizionali notizie commentabili, di materiali inediti, creati dal brand insieme ai blogger, invitati, spesso attraverso contest, a conoscere, condividere e vivere di persona il mondo
14
http://www.alfamitoblog.it/
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Alfa Romeo. Esperienze create e vissute con e attraverso il blog, hanno permesso al brand d’istaurare un rapporto profondo con alfisti, e automobilisti in genere, presenti online. I risultati, decisamente positivi, sono stati, già nel settembre 2008, di 20.900 iscritti e un buon numero di commenti per post. Diverso è il caso di community nate direttamente dalla passione dei consumatori più fedeli. Brand conosciuti ed amati che, partecipando attivamente alla vita della community, rinforzano il proprio rapporto coi clienti. Possedere tribù di persone comuni, quindi più credibili, che parlano bene del proprio prodotto e brand, in un mercato dove i consumatori, prima di procedere ad un acquisto, hanno sempre più l’abitudine di cercare informazioni in Rete, è un importante vantaggio competitivo.
2.2.1.2.
Off-line
Le possibilità d’incontro nel mondo reale sono più coinvolgenti rispetto a quello virtuale ma, ovviamente, meno frequenti. Per unire i vantaggi legati ai due diversi mondi, eventi realmente vissuti continuano spesso a rivivere on-line attraverso siti, blog e social network. Ne sono esempi il Nike Plus Human Rice 10 km e il Diesel XXX Party, entrambi allestiti contemporaneamente in diverse città del mondo, il primo per unire corridori Nike in una maratona di beneficenza e dare slancio al nuovo prodotto Nike+, l’altro per festeggiare il trentesimo anniversario Diesel. Brand legati al movimento come Mini, 500 e Vespa, dal canto loro, riuniscono i propri “fedeli” per attraversare le più disparate terre del continente. Altri esempi sono i concerti organizzati da Nokia, il Nokia Trends Lab Tour, o il D-Play, evento Playstation organizzato a Lecce dalla Sony Computer Entertainment Italia, durante il quale, i partecipanti, sono
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stati coinvolti in una serie di bizzarre competizioni sportive ispirate al mondo dei videogiochi. Luoghi d’incontro eccezionali, organizzati intorno al mondo della marca, dove le vere protagoniste sono le emozioni. Eventi che permettono ai consumatori di vivere e condividere la propria passione per il brand. Un’esperienza unica, che rafforza il legame con la marca e permette ai consumatori stessi di stringere tra loro rapporti più o meno duraturi. Spazi nati non solo per unire, ma anche per collaborare: conoscere, ascoltare e fidelizzare il proprio target, migliorare la propria immagine e presentare nuovi prodotti, sono obiettivi che il brand può raggiungere.
2.2.2. I punti vendita: luoghi dove vivere esperienze
Il punto vendita, detto anche PDV o POP , point of purchase, ha subito negli ultimi anni profonde trasformazioni. I cambiamenti avvenuti nel mercato hanno spinto i manager a reinterpretare questo spazio in un’ottica relazionale, trasformandolo da mero luogo di transizione, in territorio per la costruzione di un rapporto dialettico col cliente. Esperti designer non si limitano più ad ideare spazi esteticamente piacevoli, ma creano dei veri e propri “luoghi parlanti” che comunicano, a chiunque vi entri, valori e mondo della marca. Una relazione empatica, che infonde fiducia e trasmette emozioni, capace di parlare al cuore, oltre che alla mente, delle persone, è quanto i brand vorrebbero instaurare coi propri clienti all’interno dei punti vendita. Spazi accoglienti che attraverso luci, suoni e forme, permettono al cliente di vivere un’esperienza d’acquisto sensorialmente piacevole e coinvolgente: un ambiente studiato intorno al proprio target, ai suoi bisogni e alle sue abitudini d’acquisto. Negozi come Prenatal seguono le neomamme dal primo mese di gravidanza offrendo, al loro interno, corsi, spesso gratuiti, per la
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preparazione al parto e al “lavoro di mamma”, instaurando con le clienti un rapporto fiduciario, che supera i tradizionali confini tra brand e consumatore. Coop trasforma il punto vendita in un vero e proprio luogo d’incontro e socializzazione attraverso l’organizzazione di mostre, conferenze, attività e convegni all’interno dello Spazio Scopri Coop. Feltrinelli è invece riuscita a prendere le distanze dalle semplici librerie, divenendo luogo dove sperimentare la “cultura”, dall’editoria, alla musica, ai video e alla multimedialità in genere, creando contesti su misura che permettono di sperimentare nel migliore dei modi i diversi prodotti presenti al suo interno. Napapijri, attraverso un’operazione di co-marketing con Nintendo, ha di recente allestito all’interno del nuovo punto vendita, il Napapijri Gallery Store di Milano, una divertente piattaforma di gioco dove coppie formate da genitore-figlio si sfidano, creando un’atmosfera ludica e coinvolgente. Postazioni di prova, aree per bambini, spazi per la socializzazione o la dimostrazione delle attività sociali in cui il brand è impegnato, sono tutti luoghi studiati per mettere il cliente a proprio agio, creare un rapporto empatico, invogliare all’acquisto, ma soprattutto sedurre ed indurre al ritorno.
2.2.3. CSR, la strada etica
La CSR, Corporate Social Responsability, è la responsabilità sociale delle aziende che scelgono di contribuire volontariamente al miglioramento della società in cui vivono. Attenzione per l’ambiente, la salute o le persone sono le diverse strade etiche che l’impresa può percorrere per migliorare la propria immagine, ma soprattutto il rapporto col territorio. John Grant nel suo “The Green Marketing Manifesto” parla di marketing come nuovo alleato dell’ambiente. Il New Marketing, essendo basato sulla partecipazione e il coinvolgimento, richiede infatti una condivisione prima
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di tutto ideologica: la sensibilità dei consumatori verso le modalità di produzione e distribuzione del prodotto, il rispetto dell’azienda per l’ambiente, i suoi dipendenti e la società, è in costante aumento. Sempre più persone pensano infatti sia importante trovare il modo per combinare i benefici individuali con quelli della collettività. I brand, in risposta a questo accresciuto bisogno di moralità e trasparenza, si impegnano ad adottare un proprio codice etico, redigono bilanci e rapporti sociali, sottoscrivono certificazioni ed investono in concrete “attività etiche”. Comportamenti che delineano la personalità del brand ed influenzano la sua percezione esterna, conferendogli valori positivi, facilmente condivisibili da parte dei consumatori.
2.2.4. Spazi per collaborare
Per il brand assume sempre più rilevanza la ricerca di terreni fertili per la costruzione di relazioni stabili, capaci di superare l’alta infedeltà del consumatore. Bar monomarca, come il Mercedes-Benz Cafè, sono solo un’altra delle strade intraprese per far fronte a questo bisogno inesauribile. Nuovi territori da colonizzare potrebbero essere palestre, sale cinematografiche, stazioni radio e parchi divertimento. Marche che, così facendo, possono realmente costruire mondi nei quali invitare i consumatori a vivere esperienze uniche, costruire relazioni e collaborare per la realizzazione dei bisogni di entrambi. Non dover più sottostare a vincoli imposti dai diversi proprietari e dividere lo spazio con altri brand, come è già avvenuto per manifestazioni sportive come il Torneo Birra Moretti, concerti come l’Heineken Jammin’ Festival e riviste come Cartier Art, spinge i grandi brand a spostare i propri investimenti da sponsorizzazioni e acquisti di spazi pubblicitari, alla creazione di territori propri, che esprimano passione e valori del brand.
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Personal Branding, un esempio concreto
Curare la propria reputazione, on e off line, che si tratti di persona giuridica o fisica, è importante per essere apprezzati, rispettati ed infine scelti: Tom Peters, nel 1997, coniò il termine Personal Branding, ovvero l’arte di costruire il proprio brand. Dare una buona immagine di sé, comunicare i propri valori ed instaurare relazioni, sono operazioni che, più o meno consapevolmente, tutte le persone compiono quotidianamente. Quando più individui interagiscono tra loro, ognuno, inevitabilmente, inquadra l’altro in una propria personale categoria: etichettare le persone è, per nostra natura, indispensabile. Il marketing di sé stessi consiste in sostanza nel promuovere la propria persona cercando di raggiungere obiettivi personali, considerando che nel web, la richiesta di informazioni arriva prima e ad un numero esponenzialmente più alto di soggetti. Per verificare le affermazioni precedenti, ho deciso di costruire un caso aziendale che avesse come obiettivo la costruzione della mia immagine su Internet:
a
tal
fine
ho
aperto
un
blog,
Brand
2.0
(http://branduepuntozero.wordpress.com). Digitando il mio nome e cognome su un motore di ricerca, si otterrà come risultato i miei profili sui social network (Facebook, LinkedIn e Twitter), le wiki cui sono iscritta e naturalmente l' indirizzo del blog, fulcro di tutte le mie attività sul web. Amici, conoscenti, colleghi o futuri possibili datori di lavoro o collaboratori, googlando il mio nome, dovrebbero percepire l’immagine che ho voluto costruire di me, accreditata dalle opinioni scambiate on-line con gli altri utenti, a conferma del mio modo di essere, sia nella vita privata, sia in quella lavorativa.
3.1. Pianificazione
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Le aziende, al fine di raggiungere i propri obiettivi, pianificano attività, tempi e risorse necessarie alla loro realizzazione. Lo stesso processo viene seguito dai marketers per l’elaborazione del comunication mix e nello specifico dei singoli mezzi di comunicazione. Pertanto ho adottato anch’io la stessa metodologia. Per prima cosa mi sono chiesta quale fosse il mio obiettivo. La risposta era costruire relazioni al fine di migliorare la mia reputazione. A questo punto bisognava scegliere il media più adatto al raggiungimento dello scopo. Internet per la sua velocità, capillarità, interattività e capacità di instaurare rapporti uno ad uno, si è dimostrato il più consono alla creazione e al mantenimento di relazioni. Una volta scelto il media, ho poi analizzato i diversi strumenti sociali disponibili in Rete. Le alternative erano: blog, wiki, forum e social network. Tutti strumenti che trovano nelle relazioni la loro forza, ma che le sviluppano e mantengono seguendo ognuno le proprie peculiarità. Le wiki, offrendo agli utenti la possibilità non solo di pubblicare contenuti, ma anche di modificare quanto scritto dagli altri, si rivelano perfette per la collaborazione, quindi estranee al mio obiettivo. I forum, una delle prime forme di partecipazione sul web, si dimostrano strumenti capaci di creare legami forti, ma allo stesso tempo inadatti per le difficoltà legate alla necessità di “popolarlo” e tenerlo animato, quindi per il dispendio eccessivo di risorse in capo ad un’unica persona. I social network, generalisti e tematici, hanno anch’essi la capacità di creare relazioni, raggruppando persone più o meno accomunate da specifici interessi ma, come i forum, richiedono grande impegno per essere popolati ed animati e non si dimostrano adatti alla pubblicizzazione delle singole persone in quanto pongono tutti gli iscritti sullo stesso piano. Rimangono quindi i blog, strumenti personali nei quali solo l’autore, o al massimo gli autori, possono pubblicare contenuti, mentre ai lettori è
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permesso solo commentare. Proprio questa loro peculiarità che, come sottolinea Massarotto, garantisce a ogni blogger un elevato controllo sul suo spazio ma, al contempo, una forte partecipazione dei lettori, ne ha probabilmente determinato il successo planetario […]15e mi ha certamente convinta che era lo strumento adatto per la promozione della mia persona. Scelto il mezzo dovevo decidere di cosa avrei parlato. Elaborare una vera e propria strategia di contenuti è importante per identificare gli argomenti sui quali è vantaggioso aprire una discussione. Argomenti preferibilmente di forte appeal, capaci di creare intorno al blogger un pubblico di lettori, il più possibile inesauribili, adatti a portare avanti una conversazione per lungo tempo. Seguendo il filo conduttore della mia tesi ho deciso di parlare di reputazione e dell’utilizzo della Rete come territorio per la co-creazione di valore. Un tema che ritengo attinente anche alla promozione della mia persona sotto il profilo professionale: parlando di comunicazione e web marketing con persone più o meno vicine a questo mondo, pensavo di poter facilmente intrecciare rapporti importanti per la mia vita lavorativa, oltre che presentare il blog a colloqui per accreditare le mie competenze. La forte concorrenza che esiste in Rete sull’argomento, dovuta all’implicazione lavorativa dei marketers con il web e i social media, offre numerosi spunti di conversazione e sviluppa discussioni di elevata qualità, anche se d’altro canto le molteplici, riconosciute ed autorevoli fonti inerenti, attraggono molto del pubblico interessato, rendendo difficile ai “piccoli” la conquista e la fidelizzazione degli utenti. Un'operazione di decisiva importanza per il futuro del blog è stata la scelta della description, pagine e categorie. Inesperta su sistemi capaci di individuare le parole più ricercate sui motori di ricerca ho scritto istintivamente, seguendo solo il mio bisogno di comunicare all’utente di 15
Marco Massarotto, Internet P.R., il dialogo in Rete tra aziende e consumatori, Apogeo, 2008
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cosa trattava il blog. Eliminando le alternative per cui non era più disponibile il dominio, ho scelto come titolo Brand 2.0, rifacendomi allo stesso concept di Aziendeconleorecchie16 quindi parlando anche di quei brand che in Rete stavano seguendo strategie di comunicazione volte alla costruzione di relazioni. La description, ovvero la descrizione della pagina che appare nei motori di ricerca sotto il titolo, importante perché artefice della scelta dell’utente tra le alternative che si presentano nella pagina, è:
Brand 2.0 vuole raccontare e analizzare la comunicazione delle aziende sul web. Corporate blog, wiki aziendali, social network sono solo alcuni dei nuovi strumenti che i brand devono imparare ad utilizzare per crearsi un’identità, quindi una reputazione, in Rete.
Le pagine sono tre: Blog, About Brand 2.0 e About me. Blog, in continuo aggiornamento, contiene in ordine cronologico i post da me pubblicati. About Brand 2.0 spiega al visitatore gli obiettivi del blog: Essere
presenti
sul
Web
significa
entrare
all’interno
delle
conversazioni che si sviluppano tra le maglie di questa intricata Rete, porsi alla pari con gli altri utenti ed instaurare con loro delle vere e proprie relazioni. Relazioni che, come sostiene Kevin Roberts, portano alla fedeltà oltre la ragione. Le marche diverrebbero così dei Lovemarks. Questo blog si propone di parlare di tutte quelle aziende che hanno deciso di percorrere questa strada, quindi di costruirsi un’identità sul web17.
16 17
http://aziendeconleorecchie.wordpress.com/ http://branduepuntozero.wordpress.com/about/
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Infine, About me, parla di me, dei miei studi e delle motivazioni che mi hanno spinta ad aprire Brand 2.0. Il passo successivo era individuare le categorie: 1. brand 2.0, dove scrivo di brand impegnati nella costruzione di relazioni attraverso la Rete; 2. Buzz marketing, nel quale riporto campagne buzz, dai viral video al buzz per il sociale; 3. Corporate reputation, la mia tesi, i cui post non sono altro che parti della tesi; 4. informazioni e statistiche; 5. nozioni di web marketing; 6. strumenti web per le aziende. Un’altra piccola ma importante scelta affrontata prima di lanciare il blog ha riguardato la mia immagine: foto o disegno? Inizialmente avevo pensato di creare come mio avatar, ovvero come rappresentazione di me all’interno del mondo virtuale, una formichina su sfondo verde, in modo da riprendere la grafica del blog, ma considerando che se si fosse presentata in futuro la possibilità di incontrare realmente le persone con cui ero entrata in contatto in Rete la foto si sarebbe rivelata utile per essere riconosciuta, optai per quest’ultima alternativa. Scegliere la fotografia fu una ulteriore complicazione: non volevo risultare né troppo seria, né troppo ironica, originale, ma non eccentrica e soprattutto volevo permettesse alle persone di individuarmi.
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Questa è la foto che utilizzo ogni volta che mi registro a nuovi servizi e che, affiancata al mio nick, flavia85, permette a chi mi conosce di essere certo che a “parlare” sia proprio io. Sul nick non c’è stato uno studio: il primo giorno di lezione di Web Content è stato chiesto a tutti i partecipanti al corso, di aprire subito un nostro spazio su Wordpress.com, piattaforma gratuita per la creazione di blog e un po’ per mancanza di nick liberi, un po’ per fretta, la mia scelta è ricaduta su flavia85. Successivamente ho pensato di non modificare il nick con l’apertura del nuovo blog per non perdere i contatti già consolidati. La piattaforma che decisi di utilizzare fu Wordpress.com, una delle più apprezzate per quel che ho potuto leggere sulla blogosfera. Le manchevolezze della piattaforma, che decisi di accettare in cambio dello spazio gratuito su un suo server, dello sfruttamento del suo software e del suo posizionamento sui motori di ricerca, sono: la possibilità di inserire linguaggio Java, di poter liberamente modificare il codice sorgente, di guadagnare dal blog inserendo annunci pubblicitari e di aggiungere plug in. Tutte funzionalità cui sarebbe stato possibile accedere utilizzando la piattaforma a pagamento Wordpress.org, a cui decisi di rinunciare per difficoltà legate alla necessità di possedere un mio spazio personale su un server e dover scaricare ed installare sul mio computer il software. Il mio fine non commerciale avvalorò ulteriormente la mia scelta. Una
volta
registrato
il
dominio,
www.branduepuntozero.wordpress.com, (prima di scegliere il nome avevo naturalmente già controllato che il dominio fosse libero) non mi mancava altro che costruire la grafica del blog. Tra i templates disponibili scelsi K2lite: un tema pulito, di colore blu, diviso su due colonne, che consentiva
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l’inserimento di widget e la personalizzazione della testata. Per differenziarmi dai tanti blog che utilizzano templates e testate di default, modificai l’immagine della testata. Scelsi quindi di disegnare quattro formiche, in fila, che trasportano metaforicamente feed, wiki, social network e blog. La motivazione, riportata anche nelle pagina About Brand 2.0, è da ricondurre al paragone tra formiche e blogger che Sergio Maistrello fa nel suo libro, La parte abitata della Rete: [...] ogni giorno escono in cerca di cibo e materiale utile (informazioni, spunti, contenuti rilanciati da altri), ciascuno per conto proprio. Nessuno dice loro come o dove procurarselo, ognuno segue le proprie piste e il proprio fiuto. Quando incontrano riserve di cibo, lasciano traccia del loro passaggio (sotto forma, per esempio, di catene di link che conducono alle fonti originarie), aprendo la strada ai propri simili. Quanti più si interesseranno a un particolare percorso, seguendo le tracce altrui e moltiplicando i link, tanto più quella pista diventerà popolare e frequentata, passando di gruppo sociale in gruppo sociale fino agli hub più influenti. [...] Il feromone di Internet è il collegamento ipertestuale [...]18 Il logo del sito, posto a fianco delle formichine, vuole invece simulare un timbro, come se il blog certificasse l’essenza 2.0 dei brand che analizza.
Una testata significativa e al contempo particolare, capace di rimane impressa nella memoria degli utenti, tanto da aver sentito chiamare il mio 18
Sergio Maistrello, La parte abitata della Rete, Tecniche Nuove, 2007
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blog “quello delle formichine”. La scelta del colore è ricaduta sul verde. Brand 2.0, come si può intendere anche dal tone of voice con cui sono scritti gli articoli, vuole essere uno spazio in cui si parla di argomenti importanti ma in allegria. Il verde, un colore freddo ma meno duro del blu, trasmette tranquillità e serietà, lasciando aperto un piccolo spiraglio al gioco e all’ironia. Dovevo adesso decidere quali widget sarebbero andati a comporre la colonna destra della pagina e in quale ordine inserirli. Questo il risultato, dall’alto verso il basso: due icone per l’iscrizione ai feed, quella usata per convenzione, My Feed RSS, e quella specifica di Google, entrambe gestite attraverso FeedBurner; l’iscrizione alla newsletter, sempre gestita attraverso FeedBurner (inserita in un secondo momento); l’icona di Technorati; le icone dei miei profili su Linked In, My Space, Facebook e Twitter; My Del.icio.us, ovvero il collegamento alle pagine che condivido sull’applicazione più famosa per il social bookmarking; Categorie; Pagine; Post più letti; il widget rilasciato da MyBlogLog per vedere i visitatori registrati al servizio che entrano nel blog (aggiunto successivamente); Blogroll; Licenza Creative Commons. L’ordine determina l’importanza dei widget. I primi, sempre ben visibili, sono legati alla pubblicizzazione del blog, ovvero feed, newsletter e technorati. Scendono, a seguire, widget per la pubblicizzazione della mia
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persona ed infine, sotto la piega della pagina, My Del.icio.us e i widget inerenti il blog. Da sottolineare che aprire un blog ed entrare ne “la parte abitata della Rete” implica iscriversi ai più famosi ed utilizzati social network al fine di promuovere se stessi, il proprio blog e mantenere i contatti creati nelle più disparate occasioni. L’ultima scelta da operare ha riguardato i commenti, che decisi di lasciare liberi, senza bisogno dell’approvazione dell’admin per la pubblicazione, tenuto conto che Wordpress applica di default il “nofollow” nei commenti, attributo che rende vani i tentativi di utenti poco onesti di promuovere il proprio sito. In questo modo i commenti sono pubblicati in tempo reale, senza che io debba prima concedere l’approvazione: una pratica che non sempre piace agli utenti, che trovano soddisfazione, e qui mi ci metto anch’io, a vedere pubblicati subito i propri pensieri. Brand 2.0 è “nato” il 9 luglio 2008 con un post che parlava di Nuvenia e della sua ancora troppo limitata presenza in Rete.
3.2. Misurazione
Durante la fase di pianificazione del blog mi ero posta l’obiettivo di stringere buoni rapporti con persone che condividono con me la passione per la comunicazione online, al fine di dimostrare la capacità del mezzo Internet di farsi territorio per la co-creazione di valore tanto per i singoli che per i brand, senza prefiggermi obiettivi di tipo quantitativo. Il secondo risultato che mi proponevo di raggiungere, dedicando tempo ed impegno alla costruzione della mia reputazione online, era trovare lavoro nel settore del web marketing. I tempi di Internet, apparentemente veloci se studiati sotto il profilo della propagazione dei messaggi e dei tempi di misurazione di una campagna di comunicazione, si rivelano paradossalmente lenti nella costruzione di relazioni, per loro natura difficili da instaurare e consolidare.
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In questa sede analizzerò i dati quantitativi e qualitativi raggiunti al 31 dicembre 2008, al fine di elaborare una valutazione obiettiva del blog a circa sei mesi di “vita”. Definire i KPI, Key Performance Indicators, non è semplice: ogni amministratore in base agli obiettivi prefissati per il proprio sito, stabilirà quali indici sono più consoni ad analizzare le proprie performance. Di seguito riporterò quindi oltre ai risultati raggiunti anche l’importanza da attribuire ad ognuno di essi.
Visitatori: I tre grafici che seguono riportano il numero delle visite al blog analizzandone l’andamento mensile, settimanale e, entrando più nello specifico, giornaliero riferito all’ultimo mese.
Figura 1 Andamento mensile delle visite da Luglio a Dicembre 2008
Osservando il grafico inerente l’andamento delle visite mese per mese è possibile affermare che il trend è in aumento (il calo registrato nel mese di gennaio è fittizio avendo creato il grafico al terzo giorno del mese). Dato importante in quanto dimostra un miglioramento delle relazioni, soprattutto se analizzato tenendo conto della diminuzione del numero di post da me scritti, soprattutto nel mese di dicembre. Offrire costantemente nuovi
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interessanti contenuti è importante, sia per ottenere visite, sia per mantenere le relazioni. Impegnata in altre attività, mi pongo l’obiettivo di scrivere almeno un post a settimana mentre prima ne pubblicavo anche due o tre.
Figura 2 Andamento settimanale delle visite dalla 27° settimana del 2008 alla 1° settimana del 2009
Nel secondo grafico, relativo l’andamento settimanale del blog, si percepisce maggiormente la discontinuità delle visite, dovute per lo più al maggiore o minore impegno dedicato alla scrittura di post. I picchi di maggiore rilievo sono infatti dati da un maggior numero di post scritti, ad eccezione del picco toccato la 47° settimana con 366 visite, registrato grazie ad un link ottenuto all’interno di un articolo scritto da Fabio Sutto nel blog che gestisce insieme a Federico Calore, l’On Line Marketing Blog, dove si felicitava di avermi conosciuta di persona all’evento Rimini Web Marketing Event, tenutosi il 22-23 novembre, dopo esserci più volte incontrati e scambiati opinioni in Rete. Il 24 novembre, giorno in cui è stato pubblicato il post, Brand 2.0 ha raggiunto 136 visite. L’On Line Marketing Blog è infatti un blog di settore con più di 600 abbonati al proprio feed. L’andamento delle visite nelle settimane successive suppone un aumento della popolarità del blog e di conseguenza dei lettori, dato che cala solo nella ultime due settimane, probabilmente per effetto delle festività.
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Figura 3 Andamento giornaliero delle visite dal 6 dicembre 2008 al 3 di gennaio 2009.
L’andamento delle visite giornaliere a Brand 2.0 non è particolarmente alto: da una media iniziale di 11 visite nel mese di avvio del blog, sono passata ad una media di 18 visite, nel mese di dicembre. Il picco, raggiunto a novembre è in media di 25 visitatori al giorno. Nel primo semestre di vita, il blog ha registrato 2870 visite. Risultato che ritengo discreto tenuto presente della quantità e qualità di blog inerenti l’argomento che popolano la Rete: blog di nicchia che nella maggior parte dei casi superano l’anno di vita e sono riusciti a costruire intorno a loro un pubblico di affezionati lettori/collaboratori. Informazioni relative ai tempi di permanenza su Brand 2.0, molto interessanti per capire se il contenuto soddisfa o meno le aspettative del lettore, purtroppo non ne ho.
Siti che portano traffico al blog e performance sui motori di ricerca: Le statistiche di Wordpress visualizzano siti e parole chiave che portano traffico al blog. Tra i siti spicca MyBlogLog, un servizio di Yahoo!: un social network che permette di creare il proprio profilo, pubblicizzare il blog e condividere le attività online, interessante per la possibilità che offre di
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tracciare le visite tra profili e di cercare utenti seguendo aree d’interesse. Un sistema di promozione molto efficace, che permette di creare community intorno alla propria persona o al proprio blog. Importantissimo anche per il widget che offre: una volta inserito il codice rilasciato da MyBlogLog su qualsiasi sito, è possibile vedere chi, tra gli utenti registrati al servizio, entra. Diverse visite arrivano anche da Facebook, dove al mio profilo ho aggiunto il feed ai miei post; da Wordpress e il suo motore di ricerca interno; da On Line Marketing Blog, che mi vede da poco tra i suoi autori; Twitter, servizio di micro-blogging sul quale “twitto” link ai miei post ogni volta che ne pubblico di nuovi; Ikaro.net per il quale ho scritto un guest post; Twine, social network sul quale sono stati condivisi i miei post sulla Corporate Reputation e socialnetworking.ning.com, social network tematico, sul quale ho aggiunto il link al mio blog nella home, all’interno della sezione riservata ai bookmarks. Tanti piccoli link che producono circa la metà del traffico di Brand 2.0; la restante metà è portata dai motori di ricerca. Difficilmente riesco ad ottenere visite dai termini generici, sui quali c’è molta concorrenza, mentre molti ingressi sono portati dai nomi delle cose di cui scrivo, che si tratti di brand, come Nike, Diesel o Coin, personaggi o applicazioni. Un blog che vive quindi di quella che Chris Anderson definisce La Coda Lunga. Alcuni termini sui quali ho effettuato ricerche per vedere il mio posizionamento su Google sono:
1. Brand 2.0: rientro nella prima pagina ma sotto la piega; 2. Corporate Reputation: appaio in terza pagina con un link dal motore di ricerca di Wordpress; 3. Corporate Reputation tesi: prima della prima pagina; 4. Strumeti web aziende: prima con Wordpress e in seconda pagina col blog; 5. Buzz marketing: in seconda pagina con Wordpress; 6. Community marketing: in terza pagina;
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7. Marketing tribale raduni: prima pagina, in seconda posizione; 8. Aziende web reputation: seconda pagina; 9. Web marketing: non avendo trovato il mio blog, alla decima pagina mi sono fermata!
Backlink: Di backlink al mio sito rilevati da Wordpress ne ho davvero pochi: solo tre, tra cui il famoso link dall’Online Marketing Blog, uno dal blog di Francesco Piersimoni, SEO di un’agenzia di web marketing a Rimini ed infine l’ultimo link, o meglio il primo, quello che mi ero creata dal mio precedente blog per avvisare i miei lettori del “cambio indirizzo”. Risultati decisamente poco soddisfacenti dal punto di vista quantitativo ma ottimi qualitativamente: hanno sicuramente apportato miglioramenti nella SERP di Google provenendo da siti “trusted” e a tema. D’altro canto, effettuando un’analisi del mio sito attraverso l’applicazione WebSiteGrader19 e per sicurezza da altri servizi gratuiti presenti in Rete, gli inbound link rilevati in data 2 gennaio 2009 sono 728. Un numero decisamente alto, che giustifica l’aumento del mio Page Rank a 3.
Il numero di commenti: I commenti sono un elemento importante da valutare, soprattutto tenendo sempre presente che il mio obiettivo era costruire relazioni, alla base delle quali ci sono le conversazioni. Stimolare le persone a lasciare la propria opinione significa sfruttare il blog per le sue effettive capacità comunicative e non come mero strumento informativo. Sotto questo profilo posso ritenermi decisamente soddisfatta: 132 commenti per 60 posts quindi una media di poco più di 2 commenti per post. Media ancora più importante se relazionata al basso numero di visite ricevute dal blog.
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http://website.grader.com/
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Iscritti a feed e newsletter: Il programma che utilizzo per la gestione dei feed è FeedBurner. Ecco un grafico che mostra i miei iscritti giorno dopo giorno.
Il numero di iscritti rimane mediamente uguale, senza forti aumenti o abbandoni. Aver fidelizzato delle persone, per quanto poche, in un mercato come quello del web marketing e della comunicazione online mi sembra, dopo sei mesi, un discreto risultato, soprattutto in considerazione dell’impegno profuso per raggiungere questi risultati:
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All’inizio del mese di dicembre ho aggiunto tra i widget la newsletter. Un ulteriore strumento di promozione che non sta però ottenendo grandi risultati: ha solo un iscritto. Un sistema per tenersi aggiornati che ad oggi, grazie agli aggregatori, si rivela obsoleto. Le pagine più viste: la pagina About me è il secondo post più letto con 181 visite, il primo è un articolo su Nike e lo Human Rice 10 km (240 visite), molto letto per la popolarità del brand spesso digitato sui motori di ricerca. Oggi gli utenti vivono il Web come un testo unico e si curano sempre meno dei singoli siti, vanno alla ricerca di risposte attraverso i motori di ricerca e non gli interessa dove trovano la soluzione20. Partendo da questo presupposto, il dato relativo il numero di utenti che hanno cliccato sulla pagina About me è decisamente importante per un blog personale: conferma che gli utenti apprezzano i contenuti tanto da essere spinti a conoscere l’autrice di quei pensieri.
Le community: Per un blog personale il cui fine è la creazione di una buona reputazione quindi dell’instaurazione di relazioni, le community create intorno al blog e alla propria persona, visti nel mio caso come una cosa unica, sono certamente risultati importanti da valutare. Uno spazio sul blog dedicato alla 20
Jakob Nielsen, Hoa Loranger, Web Usability 2.0 L’usabilità che conta, Apogeo, 2006
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mia community non è presente, posso avvalermi però, come la maggior parte dei blogger fanno, di servizi esterni. Tra questi il già citato MyBlogLog che ad oggi conta 13 membri nella community del blog e 17 utenti iscritti alle mia persona, Twitter con 29 followers e Facebook con 27 amici all’interno della mia lista web&comunicazione. Dati apprezzabili tenuto presente che gli iscritti che si ripetono non sono molti, sono tutte persone interessate alla materia di cui scrivo e la maggior parte sono stati loro per primi a chiedermi l’amicizia o il follow.
Valutazione generale: Per analizzare nel complesso i risultati raggiunti al 2 gennaio 2009 ho usato il già citato WebSiteGrader, servizio messo a disposizione da HubSpot. Brand 2.0 ha ottenuto voto di 87/100. Di seguito lo Score Summary, ovvero il riassunto dei dati rilevati dall’applicazione che ne hanno influenzato la valutazione:
Risultati fino a questo punto abbastanza soddisfacenti. Non posso nascondere di aver creduto di poter raggiungere un numero più alto sia di lettori che di iscritti al feed, ma commenti e conversazioni intrattenute in Rete mi fanno supporre un futuro promettente per il mio blog, soprattutto se si effettua su questi dati un’analisi qualitativa, basata sulla misurazione della positività o negatività dei commenti ricevuti e sull’utilità degli stessi per la
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mia persona. Altri dati cui posso riferirmi per valutare la qualità dei rapporti instaurati, mi sono offerti dal widget di MyBlogLog che permette di vedere gli utenti che vengono sul mio blog e constatare ripetitività nel loro comportamento. Mi ritengo quindi pienamente soddisfatta delle relazioni che sono riuscita a stringere in questi mesi, tanto da farmi concludere di essere riuscita a raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissata. Analizzare i risultati ottenuti e rivedere le metodologie e gli strumenti usati che hanno permesso il raggiungimento di tali obiettivi, permette di imparare dai propri errori ed impostare una migliore strategia che consenta al blog di raggiungere nuovi traguardi. Nel mio caso, dopo aver osservato i risultati raggiunti, mi sono proposta di colmare la mia lacuna più grande ed incrementare il numero di visitatori. Uno scopo non fine a se stesso, i numeri diverrebbero infatti importanti qualora decidessi di inserire all’interno del blog annunci pubblicitari, ma volti ad aumentare le possibilità di conoscere persone interessanti e di crearmi un’identità più forte, quindi allargare la mia community. Aspetti che ritengo importante migliorare, sulla base delle mie esperienze pregresse, per raggiungere questi obiettivi sono: - Il numero di commenti su blog inerenti: scrivendo commenti a post altrui, lascio una piccola traccia della mia presenza su di uno spazio nel quale, probabilmente, andranno persone in target con gli argomenti del mio blog. Più il commento sarà interessante, più le persone decideranno di cliccare sul mio nick e venire a leggere quello che scrivo. - Un utilizzo maggiore dei social network, soprattutto per conoscere nuove persone e tenermi in contatto con loro. Fino a questo momento uno strumento erroneamente utilizzato più per mantenere relazioni che per instaurarne. Tra questi, in particolare, mi propongo
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di iniziare ad utilizzare FriendFeed, un servizio che aggrega feed provenienti dai più utilizzati social network. Un’applicazione ad alto valore relazionale che permette di seguire tutte le attività dei propri amici e degli “amici degli amici” all’interno di un unico spazio e al contempo di interagire commentandole e, se necessario, aprendo discussioni all’interno di room. - Una scrittura più attenta ai motori di ricerca: analizzare le parole più ricercate, ad esempio attraverso il servizio gratuito Keyword Tool di Google AdSense ed inserire le keyword in titoli e tag, ma anche valutare la concorrenza che esiste su ognuna di esse e conquistare traffico proveniente dalla “coda lunga”. - La pubblicizzazione del blog all’interno di directory, siti di social news e di social bookmarking che, oltre a restituire link in entrata, offrano
visibilità
ai
miei
contenuti,
migliorando
il
mio
posizionamento sui motori di ricerca quindi la mia popolarità. Per il momento tra i siti di social news ho sfruttato solo il famoso OkNotizie ma non portandomi risultati gratificanti, immagino per gli argomenti di nicchia postati, non ho continuato ad utilizzare questo sistema per la pubblicizzazione di Brand 2.0, concentrandomi su visite e commenti su siti a tema. Una strada che cercherò di ripercorrere informandomi meglio sulle possibilità presenti sul mercato. Tra queste in particolare ritengo fondamentali per il raggiungimento dei miei obiettivi le prime due operazioni, mentre le ultime due, anche se utili, le reputo secondarie. Attività che, pur portano via tempo alla scrittura di post, mi permetteranno di attirare e possibilmente fidelizzare nuovi lettori. Mi prefiggo quindi, nei prossimi sei mesi, di passare da una media di diciotto visite al giorno ad una di trenta e di raddoppiare gli iscritti al feed
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giungendo così, dopo un anno di vita del blog, ad essermi costruita una buona e conosciuta reputazione online.
3.3. Profittabilità
Il concetto di profittabilità in un territorio particolare come quello di Internet necessita di essere ridefinito. Il guadagno, nella parte abitata della Rete, non nasce infatti dal possesso, quindi dalla vendita, ma viceversa dalla condivisione, gesto al quale nella vita reale non siamo abituati. In un mondo dove la riproducibilità dei dati è semplice, veloce ed economica, mettere a disposizione non significa impoverirsi, ma viceversa arricchirsi. Un sistema indiretto di arricchimento talmente lontano dal nostro concetto di guadagno che spesso ne è difficile percepire il ritorno: alla parola ricco riconduciamo istintivamente il concetto monetario del termine, senza capire fino in fondo quali enormi vantaggi una buona reputazione possa apportare alla nostra persona, benefici di cui parlavo nel primo capitolo. Ogni soggetto, in base alla propria natura e ai propri obiettivi può ottenere vantaggi differenti: un brand, migliorando il proprio rapporto coi dipendenti costruirebbe un ambiente lavorativo più sereno e proficuo, mentre un libero professionista migliorando la propria reputazione potrebbe aumentare il numero di collaborazioni o la propria parcella. Tutti vantaggi in fin dei conti economici che non vengono però conseguiti direttamente dall’instaurazione di relazioni, ma che senza di esse non sarebbero mai potuti esistere. Per una studentessa universitaria ormai giunta alla fine del proprio percorso di studi, mostrare le proprie conoscenze e al contempo accrescerle attraverso il confronto continuo che si vive sulla Rete, significa fare promozione di se stessa, oltretutto in un periodo fondamentale della propria vita. Un’esperienza che può aggiungere valore al proprio curriculum, ma che può anche rivelarsi luogo d’incontro e d’instaurazione di rapporti
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lavorativi importanti. Aprire un proprio spazio su Internet significa far conoscere la propria persona quindi ribaltare le regole del gioco e diventare paradossalmente “target” del datore di lavoro. Quest’ultimo dopo avere apprezzato le competenze di un blogger, se deciderà di instaurare con lui un rapporto professionale, sarà infatti il primo ad andare a cercarlo. Ottenere rispetto e stima non è facile. Richiede tempo, costanza, dedizione e tanta passione. Naturalmente nel mio caso l’obiettivo era innanzitutto dimostrare la capacità della Rete di farsi territorio ideale per la creazione delle relazioni, quindi per la formazione della propria reputazione. Qualora fossi riuscita a mettere io stessa in pratica questi concetti, a coronamento della buona reputazione costruita, avrei voluto trasformare alcuni dei legami instaurati, in rapporti lavorativi. Il primo obiettivo è stato pienamente raggiunto. Ho conosciuto tante diverse persone legate per passione e per lavoro al mondo della comunicazione online, col tempo tramutatesi in “amici” coi quali poter discorrere tanto di comunicazione, quanto di frivolezze. Intono a me si è venuto a creare un vero e proprio network di persone che comunicano e si scambiano opinioni su contenuti pubblicati o condivisi. Una community alla quale potersi rivolgere per chiedere consigli o collaborare alla divulgazione di una notizia. Sul web le relazioni sono tutto: qualsiasi cosa detta, solo se letta, commentata e condivisa dagli altri, sarà capace di emergere e produrre reazioni. Mantenere e rafforzare la propria community seguendo le attività degli amici e partecipando alle conversazioni scaturite su piattaforme altrui è quindi fondamentale. Un’attività, quella di social networking, da svolgere giorno dopo giorno. Grazie alla profondità dei rapporti instaurati, ho avuto la possibilità di iniziare a realizzare anche il secondo obiettivo prefissatomi ovvero una collaborazione con l’On Line Marketing Blog per la creazione di contenuti
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ed una seconda collaborazione con un’agenzia di Rimini per la realizzazione di un sito ottimizzato per i motori di ricerca. La Rete, uno spazio comunitario a disposizione di tutti, si dimostra pertanto capace di costruire e gestire percorsi relazionali con persone vicine e lontane, conosciute o sconosciute, per motivi personali o professionali e quindi di realizzare obiettivi di business. Le aziende contemporanee hanno sempre piÚ bisogno di strutturarsi in network di relazioni: un nuovo modello organizzativo che necessita di strumenti come i social network per sopravvivere, un sistema che attiva meccanismi di risposta e di circolazione della collaborazione spesso indispensabili.
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Conclusioni
Fino allo scorso marzo avevo sentito parlare di Web 2.0 da un paio di amici senza comprendere effettivamente di cosa si trattasse. Ricordo che mi parlavano di Del.icio.us e spiegavano che era semplicemente uno spazio online sul quale salvare le proprie pagine preferite, in poche parole la versione 2.0 dei “Preferiti” del browser. Ma non riuscivo a capire quali vantaggi avrei ottenuto utilizzando un’applicazione web e condividendo i miei gusti con gli altri. Atteggiamento che mi divenne facile comprendere solo quando iniziai a “vivere” la Rete attraverso il blog. Operare con uno strumento interattivo che impone di cercare informazioni, farle proprie per poi condividerle e aprire conversazioni con altri utenti, “obbliga” l’autore ad entrare pian piano ne “La parte abitata della Rete” e a comprenderne i meccanismi interni. La blogosfera è stata per me una scoperta: un territorio che, grazie alla sua vastità e ai suoi continui sviluppi, non mi smette mai di entusiasmare e di offrire nuovi spunti di riflessione. In questi sei mesi da blogger ho avuto modo di analizzare le diverse strategie e campagne di comunicazione attuate dai brand e conversare con altri utenti più o meno esperti, su libri, teorie, tecniche SEO, applicazioni web e social media, ma anche di partecipare agli eventi che hanno investito questo mondo come la vicenda di Sergio Sarnari e la Mosaico Arredamenti, il Blogfest a Riva del Garda o il tanto chiacchierato Codice Internet. Tutte esperienze che hanno contribuito alla mia formazione. Un mondo che vive di relazioni che possono svilupparsi solo attraverso la bontà dei contenuti. Creare una wiki, un blog o un social network sono operazioni sempre più user friendly, le vere difficoltà si incontrano nel trasformare questi strumenti in piattaforme conversazionali. Nel mondo dei social media è l’idea a fare la differenza. Solo guardando e analizzando le esperienze altrui è possibile capire come attivare queste piattaforme che
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divengono significative grazie alla partecipazione degli utenti. Infatti, solo qualora gli atti comunicativi raggiungano il livello perlocutivo della comunicazione, ovvero influenzino una persona che, interagendo, conferma l’avvenuta socializzazione, si potrà ritenere raggiunto il loro fine. Condividere contenuti validi è quindi indispensabile per iniziare a creare la propria buona reputazione. Nel web 2.0 un rapporto può avere inizio grazie ad un semplice commento o ad un “follow”. La relazione si mantiene poi continuando il confronto su conversazioni proprie o di “amici”; un rapporto che va quindi curato seguendo l’utente sulle piattaforme che abita. Attraverso Brand 2.0 e i tanti social network che completano la mia presenza in Rete ho conversato con molte persone e con alcune di esse ho instaurato rapporti più profondi, facendo mie, di volta in volta, queste logiche d’azione. Logiche che si ripropongono all’interno di tutti i social media, seguendo ogni volta le specificità del mezzo: sui social network, ad esempio, la condivisione avviene attraverso una segnalazione del link, eventualmente accompagnata da un piccolo commento, mentre sul blog gli argomenti trattati vengono approfonditi. Pertanto i marketers, nell’affrontare questa nuova sfida, devono essere consapevoli che la natura del web è legata alla struttura delle relazioni e che la loro peculiarità consiste nello svilupparsi nelle direzioni più impensate. L’effetto serendipity è il fenomeno che prevale sulla Rete: scoprire una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra, ma anche l’essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperienze che non corrispondono alle originarie aspettative21. I brand, pur pianificando il proprio ingresso nel 2.0 secondo attente analisi di marketing, devono sapere affrontare le sfide che di giorno in giorno gli utenti, partecipando o meno, gli pongono di fronte. Il web 2.0 è quindi un mezzo che, vivendo di
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http://it.wikipedia.org/wiki/Serendipit%C3%A0
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feedback immediati, consente di verificare velocemente l’efficacia della propria azione, tenendo costantemente in allerta i marketers coinvolti. Dopo la mia pur limitata esperienza di blogger posso quindi confermare quanto ad inizio tesi avevo solo potuto teorizzare: il web e più nello specifico la sua evoluzione in 2.0, offre alle marche opportunità di crescita e consolidamento importanti che, se non sfruttate, potrebbero anche ritorcersi contro la marca, come avvenuto nel caso dei lucchetti Kryptonite. I social media si dimostrano infatti strumenti estremamente utili per l’ascolto di conversazioni tra utenti permettendo così al brand di comprendere le esigenze del mercato, il livello di soddisfazione dei consumatori e di testare il lancio di nuovi prodotti o servizi. Un vero e proprio strumento di marketing, ma anche uno spazio grazie al quale aumentare il brand engagement attraverso
la soddisfazione di
esigenze dell'utente come la trasparenza, l’interazione e il coinvolgimento. I social media si dimostrano pertanto territori ideali per la co-creazione di valore permettendo alla marca di offrire un’immagine di sé il più possibile positiva, avvalorata dalle opinioni altrui. Attraverso i social media il brand può perciò gestire la propria reputazione online ed evitare di venire danneggiato da opinioni negative che, qualora non trovassero smentite o giustificazioni, diverrebbero per lui deleterie. L’immagine del brand che si andrà così a delineare influenzerà le decisioni d’acquisto degli utenti, sempre più interessati alle opinioni altrui. Le capacità del Web 2.0 sono quindi indubbie, sta ora alle marche comprendere come sfruttarle. Solo osservando, testando ed imparando dai propri errori i brand potranno di volta in volta migliorare il proprio rapporto con il popolo della Rete e trasformarsi in quelli che ho chiamato Brand 2.0. Nuove esigenze hanno portato alla concezione di un nuovo rapporto impresa-mercato; un rapporto che per crescere e maturare necessita di nuovi strumenti. Tra questi spicca il web 2.0.
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Bibliografia C.K. Prahalad Venkat Ramaswamy, Il futuro della competizione, co-creare valore eccezionale con i clienti, Il Sole 24 Ore, 2004 Chris Anderson, The long tail. Why the future of business is selling less of more, Hyperion, 2006 Jakob Nielsen, Hoa Loranger, Web Usability 2.0 L’usabilità che conta, Apogeo, 2006 Kevin Roberts, Effetto Lovemarks - Vincere nella rivoluzione dei consumi, Franco Angeli, 2007 Luigi Centenaro, Personal Branding con i Social Media. Come proteggere la tua reputazione con i Blog, le Reti Sociali e gli altri strumenti del Web2.0, 2008 (e-book) Marco Massarotto, Internet P.R., il dialogo in Rete tra aziende e consumatori, Apogeo, 2008 Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1964 Naomi Klein, No Logo, Baldini Castoldi Dalai, 2002 Sergio Maistrello, La parte abitata della Rete, Tecniche Nuove, 2007
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