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No, il dibattito sugli intellettuali no

di Silvano Petrosino

Il più delle volte sono gli intellettuali a interrogarsi sul “ruolo degli intellettuali “; agli altri, a dire il vero, non gliene importa granché. E in effetti un simile interesse – quello degli intellettuali per il “ruolo degli intellettuali” – ha, in un certo senso, uno strano “sapore”, visto che l’intellettuale – ammesso e non concesso ch’esso esista – non fa l’intellettuale, non svolge il lavoro di intellettuale, ma è un professore di questa o di quest’altra materia, insegna in questa o quest’altra università e/o istituzione culturale, scrive su questa o quest’altra rivista, e se è un intellettuale lo è sempre e solo in e attraverso quell’insegnamento o quella pratica di scrittura. Nessuno può definirsi intellettuale e nessuno fa il lavoro dell’intellettuale, e per fortuna, visto che non a caso il termine assume spesso il significato di “astratto”, “fumoso”, “inutile”.

In quel magnifico testo che è Lezione (Einaudi 1981) Roland Barthes scrive: «L’“innocenza” moderna parla del potere come se esso fosse uno solo e indivisibile (...) E se invece il potere, come i demoni, fosse plurimo? Esso potrebbe allora dire: “Il mio nome è Legione”; ovunque, in ogni dove, vi sono capi, centri di potere, siano questi imponenti o minuscoli, gruppi di oppressione o di pressione; ovunque si odono voci “autorizzate”, che si autorizzano a farsi portavoce del discorso di ogni potere: il discorso dell’arroganza (...) Certuni si aspettano che noi intellettuali ci si mobiliti a ogni occasione contro il Potere; ma la nostra vera battaglia è altrove; essa si svolge contro i poteri, e non si tratta di una battaglia facile». Non si sarebbe potuto dire meglio; ecco un testo, tra molti altri, che attende solo di essere letto, riletto e magari anche meditato. In effetti l’intellettuale, se e quando è tale, non contribuisce alla vita culturale di un Paese quando va in televisione o quanto marcia alla testa di un corteo o quando firma un manifesto in difesa di questa o quest’altra minoranza, ma quando lotta contro la “microfisica del potere” in quei luoghi feriali costituiti da un’aula universitaria (lezione) o da una sala in un centro culturale alla periferia di una città (conferenza). È nel modo di parlare, di insegnare e scrivere, ogni giorno e non solo alla domenica, in “ogni dove” e soprattutto al di fuori di ogni visibilità mediatica, che un intellettuale lotta contro il “discorso dell’arroganza” e gli infiniti capi e capetti che affollano le nostre giornate, dimostrandosi proprio per questa ragione, quasi sempre suo malgrado e in verità senza minimamente volerlo, un autentico intellettuale.

C’è della grossolanità nel concepirsi un “intellettuale” e nel rivendicare con insistenza il valore del proprio contributo che si è pronti, fin troppo pronti, ad offrire; un vero intellettuale non attende il consenso dei media e non cerca il riconoscimento del “grande pubblico” per dimostrarsi ed essere tale, anche perché egli non sente

la necessità di tradurre o di divulgare un sapere che non ha alcun bisogno di essere attualizzato.

In una delle sue ultime interviste Derrida affermava: «Se ci si vuole interessare agli “intellettuali“, non bisogna limitarsi a chiedere loro dei rapporti inutili, ma è necessario anche leggerli, tenendone conto. Inoltre – sto sognando – qualche volta bisognerebbe pure partecipare ai loro seminari, ascoltando ciò di cui in essi si tratta!». Anche in questo caso, non si sarebbe potuto essere più chiari; ecco, dunque, un altro testo – siamo nel 2004 – che attende solo di essere letto, riletto e magari anche meditato. Diciamo la verità: occuparsi degli intellettuali non è un dovere morale; si può vivere benissimo anche senza interrogarsi sul “ruolo degli intellettuali”, e infatti la maggior parte delle persone non si alza certo al mattino con questa preoccupazione (lo ripeto: per fortuna). Tuttavia, se è proprio di questo che ci si vuole occupare, allora non bisogna far altro che leggere ciò che è scritto, che è già stato scritto, interessandosi a ciò che non pochi studiosi, con serietà e dedizione, continuano a pensare e a rendere a tutti disponibile attraverso quelle che non a caso si chiamano “pubblicazioni”. Leggere, ascoltare, confrontarsi, partecipare, riflettere; Derrida aveva ragione: «ma qui si sta sognando!».

Docente di Antropologia filosofica, facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere, campus di Milano.

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