Pro.di.gio. Agosto 2020

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pro.di.gio. BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP

NUMERO IV - AGOSTO 2020 - ANNO XXI - 121° NUMERO PUBBLICATO

PROGETTO DI GIORNALE

WWW.PRODIGIO.IT

metamorfosi

Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento . Contiene I.R.

cambiare per rinascere

Due nuove volontarie

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Vaia L’innovazione che genera alberi dal suono della foresta ferita

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Per una città a misura di persona Il piano del Comune di Trento per l’eliminazione delle barriere architettoniche

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Revas, il gestionale per il non profit

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METAMORFOSI

Capo Redattore Lorenzo Pupi

Cambiare per rinascere Care lettrici e cari lettori, benvenuti in questo rinnovato numero di pro.di.gio. dedicato ai cambiamenti, alle trasformazioni che fanno sperare in un futuro positivo e dedicato alla rinascita dopo un lungo periodo di restrizioni e paure comuni. Rinascere però non vuol dire bruciare il passato, bensì fare tesoro delle esperienze e tendere ad un miglioramento, ad un cambio di stato più che di forma. Questo particolare numero è reso possibile grazie alle nuove ragazze in servizio civile che con delicatezza

e serietà hanno scoperto una redazione pronta ad accogliere e a trasferire loro esperienze positive e stimolanti. A loro e ai volontari e collaboratori dedichiamo questo numero che vuole essere un segnale utile a riscoprire storie, persone ed esperienze che in questo periodo hanno saputo trasformarsi e proporsi senza tradire i propri valori, anzi rinforzandoli e trovando nell’innovazione sociale, nell’altruismo e nel fare le cose bene un modo di agire giusto e rispettoso. A tutte queste persone e a queste realtà ricordiamo che ora più che mai è impor-

tante raccontarsi e comunicare ciò che si sta vivendo come cambiamento interno ed esterno, perché solo così la metamorfosi sarà parte di una narrazione collettiva che la renderà concreta e capace di creare reale benessere e cambiamento nella nostra società. Che questa breve riflessione sia un faro che illumini ogni singola intervista e storia raccontata in questo numero. Buona lettura!

DIAMO IL BENVENUTO ALLE NUOVE VOLONTARIE

Ciao a tutti! Sono Noemi, classe 1997, e dal 1° giugno ho iniziato Servizio Civile a Trento, entrando a far parte del team di Prodigio. Originaria di Avio, cresciuta con una mentalità aperta e sensibile, da mamma veneta e papà uruguaiano. Amo scrivere, leggere, viaggiare e l’arte in tutte le sue forme. A 19 anni sono andata a vivere fuori casa, intraprendendo un percorso personale di ricerca d’indipendenza a 360 gradi. Ho svolto diversi lavoretti qua e là, come babysitter, cameriera, barista e banconista di gelateria. Mi sono avvicinata anche al mondo del volontariato, facendo la commessa presso il negozio d’abbigliamento “Altr’uso”, una realtà firmata Caritas qui a Trento. Sono una ex Scout, giovane, empatica, intraprendente, curiosa e solare. Ho aderito a questo progetto Scup “Giornalismo di comunità”, perché, oltre ad essere un sogno nel cassetto poter diventare una brava giornalista, il pensiero divulgativo di Prodigio era in perfetta linea con i valori e gli ideali in cui credo: lottare contro la disuguaglianza, ottenere pari diritti e sensibilizzare a tutto tondo. “Abbattiamo le barriere e diamo voce a chi non ne ha!”

Ciao a tutti! Sono Elisa, classe ‘94, nata e cresciuta a Trento. Per qualche anno ho vissuto nelle Marche, per continuare gli studi di Design iniziati a Trento, presso l’Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti grafiche. A 19 anni mi sono trasferita ad Urbino e qui ho frequentato la Triennale di Nuove tecnologie dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti. Durante questi anni ho sviluppato interesse per la fotografia analogica, la linoleografia e per la progettazione editoriale. Ho iniziato il progetto “Giornalismo di Comunità”, perché credo fermamente nella cittadinanza attiva. Uscita da poco da una laurea magistrale in Design e Comunicazione per l’Editoria, ho deciso di mettere a disposizione le mie conoscenze e competenze per un poter aiutare la mia comunità a crescere e a comunicare i propri bisogni con voce forte e chiara. Alla fine di questo progetto spero di ampliare la mia rete sociale e di conoscere meglio la realtà delle associazioni sul territorio. In futuro mi piacerebbe occuparmi di Comunicazione per il Sociale, quindi considero questa esperienza come un buon campo di prova.

Abbonamento annuale (6 numeri) Proprietà: Associazione Prodigio Odv Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Sito Internet: www.prodigio.it E-mail: associazione@prodigio.it Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana). Direttore responsabile: Francesco Genitoni. Redazione: Luciana Bertoldi, Giulio Thiella, Lorenzo Pupi, Martina Dei Cas, Ivan Ferigo, Elisa Giarolli, Noemi Manfrini. Hanno collaborato: Federico Stefani - Vaia, P.M. - APAS, Claudia Patton - ingegnere Comune di Trento, Stella Diluiso, Nicolò Gardoni - Revas, Camilla Di Pace, Michele Grieco.. Copertina: Litografia di Martina Tommasi In stampa: 01 agosto 2020

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Privati €15,00; Enti, associazioni e sostenitori €25,00 con bonifico bancario sul conto corrente con coordinate

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INNOVAZIONE SOCIALE

VAIA L’innovazione che genera alberi dal suono della foresta ferita Ciao Federico, benvenuto nel nostro spazio dedicato all’innovazione sociale. Hai voglia di raccontarci chi sei e cos’è il progetto Vaia? Sono un ragazzo trentino cresciuto in Valsugana a Pergine, ho 28 anni e ho deciso di fare qualcosa per il mio territorio grazie alla voglia di mettermi in gioco e un po’ di visione per il futuro. Ho sempre fatto associazionismo da quando ho 14 anni, e a 16 anni ho fondato l’APS Il Sogno, attiva nel settore culturale e giovanile della cittadina di Pergine Valsugana. Ricordo che tutto è cominciato mentre scrivevo la mia tesi a Ferrara, un master in international management. A causa della tempesta Vaia non riuscivo a comunicare con amici e famiglia in Trentino, e solo allora ho realizzato la gravità della situazione. Una tempesta senza precedenti. Quando poi sono salito sulle mie montagne ho visto con i miei occhi che i boschi della mia infanzia non c’erano più. Non volevo abbandonarmi allo sconforto e quindi ho pensato ad un modo concreto per raccontare al mondo quello che era successo. Più di 42 milioni di alberi abbattuti, 494 comuni coinvolti, 4 regioni colpite duramente, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Trentino e Veneto. Un totale di 8,5 miliardi di Giorgio Leonardelli e i fondatori di Vaia euro di danni complessivi. Ancora oggi gli effetti sono ben visibili e ci vorranno decenni perché ritornino le foreste di un tempo.

Come nasce e come si evolve successivamente il progetto? Il tutto nasce da una metafora, dall’esigenza di amplificare la voce delle comunità ferite e del loro territorio, tutt’oggi seriamente compromesso. Per questo l’oggetto è un amplificatore passivo che vuole ridare dignità agli alberi e ai territori colpiti da un vento a oltre 200 km/h. Dopo una prima fase di ideazione mi sono accorto dell’esigenza di avere una squadra per condividere al meglio quella che da un’idea si sarebbe trasformata in una proposta concreta. Ho coinvolto così due cari amici dell’università, Paolo e Giuseppe, con i quali abbiamo iniziato a scrivere tutto il progetto, cercando di rispecchiare quelli che erano i nostri valori guida: il rispetto per il territorio e le sue comunità, la sostenibilità sotto ogni aspetto sia sociale che ambientale, e il design come veicolo di tutti questi valori. Il gruppo si è poi evoluto accogliendo e incontrando altri giovani che hanno creduto in questo percorso, e la community è iniziata a crescere e a rinforzarsi come le radici dei nuovi alberi che stiamo contribuendo a ripiantare.

Quale difficoltà avete dovuto affrontare più di tutte? Sicuramente uno degli sforzi maggiori è stato quello di trovare collaborazioni con imprese e artigiani del territorio, forse perché inizialmente non avevano compreso la nostra determinazione e la nostra spinta innovativa. Ma non per questo ci siamo dati per vinti e abbiamo continuato a cercare, trovando poi persone che fossero disposte a uscire dai propri schemi e con la voglia di sperimentarsi. Sicuramente uno tra tutti è Giorgio Leonardelli, il nostro designer e mastro artigiano. Con lui abbiamo realizzato il nostro VaiaCube.

Intervista a Federico Stefani Cofondatore di Vaia

particolare capacità risonante, è in a cura di grado di amplificare come per magia Lorenzo Pupi qualsiasi suono emesso dal telefono, che sia una conversazione tra colleghi o della piacevole musica durante una festa. È un oggetto funzionale sotto tanti aspetti, ad esempio in pieno lockdown abbiamo scoperto che molte persone lo usavano per i meeting online oppure per condividere la musica con i vicini di casa. Ogni VaiaCube è fatto a mano e ogni modello ha una spaccatura diversa e unica che rappresenta la ferita subita dalla foresta. Questo taglio è inciso dall’artigiano e ogni volta segue le venature naturali del legno. Il meccanismo che rende autentico il progetto è il fatto che ad ogni VaiaCube acquistato corrisponde un albero nuovo che viene impiantato nei luoghi colpiti dalla tempesta. Questo processo è strutturato in accordo con il Nucleo Trentino della Forestale, e in collaborazione con Etifor, uno spinoff dell’Università di Padova che garantisce la certificazione FSC per la salvaguardia delle foreste. Quindi ogni albero piantato segue una filiera certificata e guidata da enti terzi con operatori e professionisti che sanno valutare quale tipo di pianta è più adatta per la nuova piantumazione.

Qual è il vostro sogno? Vogliamo far crescere il modello sostenibile recuperando materie di scarto in luoghi specifici e collaborando con le comunità di appartenenza per cercare di ridistribuire i benefici sociali ed economici sul territorio. Vogliamo in questo modo essere un vettore di storie positive. Vaia ci piace pensare sia il suono della resilienza che cerca di dare al mondo una visione inclusiva e positiva. Ed è per questo che recentemente abbiamo voluto riscoprire in prima persona con tutto il team il nostro territorio, facendo un’esperienza condivisa che ci facesse comprendere meglio le potenzialità del nostro agire.

Ci vuoi raccontare l’esperienza che avete fatto recentemente per ritrovarvi come team dopo le restrizioni Covid? Siamo reduci da una crisi sanitaria senza precedenti, che ci ha costretti a rivedere il nostro stile di vita e le nostre priorità. In questi mesi abbiamo lavorato in smart working dalle nostre case. È stata una situazione complessa per tutti, soprattutto per i tanti ragazzi della nostra età che hanno dovuto affrontare sospensioni di stage, mancati rinnovi o, peggio, licenziamenti dettati dall’attuale stato di emergenza. Questa escursione è stato un modo per ricordarci chi siamo e da dove veniamo. Per noi andare nei luoghi di passaggio della tempesta Vaia acquisisce un duplice significato: rappresenta la nostra volontà di ripartenza, un riscatto per la comunità, ma anche il desiderio di riscoprire il nostro bellissimo territorio.

Bene, grazie Federico per le tue parole e per aver lanciato questa interessante realtà. Ora ci regaleresti uno sguardo verso il futuro?

Spiegaci meglio come funziona questo oggetto di design resiliente. VaiaCube è un amplificatore passivo per smartphone realizzato in legno di larice e abete. Ha una forma cubica di 10x10x10 cm, è completamente naturale e grazie alla sua forma e alla sua

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I primi 500 alberi sono stati piantati, e abbiamo raggiunto i 10.000 VaiaCube nel mondo. Una community sempre più grande di persone che hanno una coscienza del mondo e cha hanno voglia di non essere indifferenti a quello che il pianeta come ecosistema ci richiede. Vogliamo far sì che il nostro messaggio sia universale e che sia più inclusivo possibile. Un messaggio di sostenibilità è una scelta che è a portata di tutti e tutti possono esserne partecipi e promotori.

Vaia, design d’azione pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | associazione@prodigio.it

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TERRITORIO

PROCLAMATI I VINCITORI DELLA QUARTA EDIZIONE DEL PREMIO MELCHIONNA Premiazione rimandata in autunno nel rispetto delle misure di distanziamento sociale anti-Covid Si è conclusa con successo la quarta edizione del Premio Melchionna, il concorso artistico-letterario in memoria dello storico presidente e fondatore della nostra associazione. Quest’anno la sfida consisteva nell’andare oltre le apparenze per riflettere su “l’attimo che ti cambia la vita”, ovvero di indagare quei momenti – belli o brutti – che segnano nella nostra vita una svolta, un punto di non

ritorno e ci costringono così a rimetterci in gioco e a trovare dentro di noi forze ed energie che forse non sapevamo nemmeno di avere. Un centinaio le opere pervenute, dall’Italia, ma anche dal Canada e dall’Argentina. Dopo un attento lavoro di valutazione la giuria – composta da Diego Andreatta, Flavia Castelli, Nadia Martinelli, Fabio Pipinato e Matteo Salvati – ha stilato le seguenti classifiche.

La premiazione, prevista per il mese di maggio, è stata rimandata a settembre nel rispetto delle misure di distanziamento sociale anti-Covid. Sarà nostra cura comunicare al più presto data e modalità di partecipazione. Intanto complimenti ai vincitori e grazie a tutti i partecipanti per la sensibilità mostrata attraverso i loro elaborati!

FOTOGRAFIA

MINORI E SCUOLE

1 - Momenti di danza di Giacomo Albertini 2 - Il primo viaggio di Roberto Serra 3 - Sul Monte Zugna di Daniela Preschern

Il fiore di loto, II A Estetica – Opera Armida Barelli (prof.ssa Nives Manni)

MENZIONI SPECIALI Menzione speciale “Sensibilità” Gocce di pioggia di Giacomo Carbonara

POESIA 1 - L’attimo che ti cambia la vita di Chiara Lavitola

Menzione speciale “Impegno civico” 57 giorni di Davide Rocco Colacrai

2 - Parchinzonne di Sante Diomede

Menzione speciale “Al di là del mare” L’amore non vede limiti di Lilla Omobono

3 - All’ombra del riposo di Raffaella Marolda

Menzione speciale “Giovani promesse” Tutto può cambiare di Angela Sara Ciafardoni

RACCONTO 1 - L’attimo che ti cambia la vita di Marilena Betta

Menzione speciale “Laboratorio sociale Pozza di Fassa” I colori di Germana Pederiva

2 - I sentieri che si biforcano di Silvia Favaretto 3 - E ora di Renata Di Sano

LA MIA ESPERIENZA IN APAS Nella sfortuna di dover regolare un mio debito con la giustizia italiana per un reato di natura economica, ho avuto la fortuna di conoscere il mondo del volontariato che agisce dentro e fuori le mura della Casa Circondariale a Spini di Gardolo. Volontariato che si rifà a varie ispirazioni sia di carattere laico/sociale o religioso, ma che in definitiva hanno uno scopo comune: cercare di migliorare la vita dei carcerati all’interno della struttura, cercando anche di spianare la strada del reinserimento sociale ai soggetti che dimostrano realmente di impegnarsi nella loro riabilitazione. In maniera particolare, ho conosciuto direttamente l’Associazione Provinciale di Aiuto Sociale per i detenuti, gli ex-detenuti e le loro famiglie: l’APAS. Il corso di due ore settimanali di studio e approfondimento della Costituzione Italiana tenuto da docenti universitari, avvocati, magistrati, organizzato e gestito dell’APAS all’interno della Casa Circondariale nel 2018, è stato per me il primo impatto conoscitivo dell’associazione. Da questa iniziativa ne ho poi seguite altre, in cui i volontari APAS, godendo anche di una certa fiducia da parte dei magistrati di sorveglianza, sono sempre stati il centro organizzativo e motore propositivo. Da diversi anni sono responsabili del giornalino dei carcerati “Non solo dentro”, che dal 2018 è allegato trimestralmente a “Vita Trentina”. Mediamente una volta alla settimana la redazione si riunisce in un’aula del carcere per discutere dell’attualità, dei problemi inerenti alla vita sociale e per preparare gli articoli della successiva edizione; mi onoro di avere partecipato, fino alla mia scarcerazione, con diversi articoli per la buona riuscita del giornalino. Molto toccante ed emotivamente sconvol-

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gente è stata l’esperienza della seconda edizione della “Biblioteca Vivente”, dove APAS ha avuto il ruolo logistico e organizzativo affiancando la Fondazione Franco Demarchi. Dodici tra detenuti ed ex, dopo una preparazione durata sei incontri infrasettimanali per analizzare, comporre e massimizzare una propria esperienza legata al mondo carcerario, si sono trasformati in “libri viventi” ed hanno raccontato, nel tempo massimo di mezz’ora, questa loro intima esperienza a un “lettore” ignaro del contenuto ma stimolato solo dal titolo. Queste performances le abbiamo tenute a Riva del Garda, Rovereto e Trento nel 2019 con una durata, per ogni incontro, di tre ore, e quindi al massimo con sei “lettori”. Sconvolgente è stato alla fine degli incontri leggere le recensioni che ogni “lettore” ha lasciato per ogni racconto. Credo che in quelle persone abbiamo contribuito a sfatare parte della montagna di pregiudizi che normalmente si hanno su ex carcerati. L’importanza delle azioni svolte in carcere di carattere ludico, formativo e psicologico sono rilevanti quanto quelle di aspetto economico, che APAS è in grado di fornire attraverso la propria struttura lavorativa. Le lavorazioni all’interno del proprio laboratorio danno la possibilità, a chi ha dimostrato di essersi impegnato nel personale percorso riabilitativo e dopo attenta valutazione da parte degli educatori, di poter avere un piccolo reddito, importante sia nell’ultimo anno di pena che nel primo da persona libera. A questo devo doverosamente aggiungere, avendone per qualche mese usufruito anch’io, la possibilità di un onorevole alloggio in abitazione popolare con un minimo contributo alle spese, che permette, a

a cura di P.M. chi esce dal carcere e non ha una famiglia che lo accolga, la possibilità di avere la sicurezza di un appoggio logistico intanto che cerca la sua strada. A tal proposito vorrei ripresentare un concetto che ritengo molto importante e che più volte ho manifestato in dibattiti o discussioni sulla funzione rieducativa della carcerazione. Sono completamente inutili tutte le azioni svolte all’interno del penitenziario se poi all’atto del fine pena non c’è alcuna forma di accompagnamento al reinserimento nella cosiddetta società civile; il pregiudicato che non ha una famiglia che lo accolga si trova completamente spaesato e facilmente può ricadere nel delinquere per sopperire alle proprie minime necessità di sopravvivenza, ingrossando così negativamente le statistiche di percentuale di recidiva. Ecco quindi, secondo me, la funzione più importante e meritevole che svolge APAS: fare da trait d’union tra l’attività in carcere e la società civile, dando la sicurezza e la tranquillità di avere tempo a disposizione per trovare la giusta strada. APAS dovrebbe essere spronata con adeguate finanze pubbliche e con maggior attenzione dalle aziende private, per allargare di molto il proprio lavoro, concretamente meritorio, nell’impegno che da tanti anni sta portando avanti con non poche difficoltà, considerandolo nell’interesse dell’intera società. Ringrazio di cuore tutti gli operatori e i volontari che ho conosciuto in APAS per il loro impegno nel rendere più accettabile e meno traumatico il reinserimento in società mio e di molti altri ex detenuti.

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SALUTE

MASCHERINE PER SORDOMUTI dell’esperienza individuale, sono diverse le esigenze e le modalità di comunicazione per ogni persona e ciascuno sceglie il modo di comunicare più consono alle proprie abilità. Di conseguenza l’autonomia e l’indipendenza della persona sorda viene sempre meno. Cosa vuol dire “mascherine per i sordi”? Posta così sembra che siano solo le persone sorde a doverle indossare, mentre in realtà tutti dovrebbero usarle, per consentire a questa gente in difficoltà di vedere con chiarezza le labbra dell’interlocutore. E anche sul vedere con chiarezza sorgono ulteriori criticità, poiché percepire appena la bocca in movimento dietro la finestrella trasparente, che per altro è soggetta a riflessi, non aiuta certo la persona che legge il labiale nella comprensione. Per effettuare questo particolare tipo di lettura, infatti, non deve esserci alcun disturbo a compromettere la visibilità della bocca, mentre tutti i dispositivi finora prodotti in Italia non rispondono a questo fondamentale requisito. Ad oggi la trasparenza è garantita unicamente da materiale plastico, che nella maggior parte dei casi è soggetto ad appannamento, e molti dei modelli prodotti ha una finestra di piccole dimensioni, tali da

QUANDO LA PAURA DIVENTA SINDROME Dopo tre lunghi mesi di lockdown le porte si sono aperte: là fuori c’è un mondo che aspetta. Si corre a riempirlo, a esplorarlo nuovamente, come se prima non si fosse mai vissuto. Non tutto, però, è come lo avevamo lasciato: dobbiamo indossare una mascherina, disinfettarci continuamente le mani, rispettare il distanziamento sociale… Ci viene continuamente ricordato che il Covid-19 non è sparito, non è stato sconfitto: è ancora tra noi e silenziosamente continua a contagiare. Ecco che tutt’a un tratto il mondo là fuori inizia a fare paura. Vorremmo uscire, ma appena varchiamo la soglia veniamo travolti da un senso di terrore misto ad ansia e insicurezza. La domanda nasce spontanea: cosa ci sta succedendo? Gli esperti la chiamano “Sindrome della capanna” o “Sindrome del prigioniero”. Migliaia sono le persone colpite in tutt’Italia da questa tremenda dimensione emotiva, che si manifesta in seguito a lunghi periodi di distacco dalla realtà. Un malessere che sembra risalga al 1900, epoca della corsa all’oro negli Stati Uniti, durante la quale i cercatori erano costretti a passare mesi interi all’interno di una capanna. Dovendo concentrare la loro attività in determinati periodi dell’anno, vivevano uno stato di isolamento, seguito da sentimenti di paura, rifiuto di tornare alla civiltà, sfiducia nei confronti

del prossimo, stress e ansia. Quando passi molto tempo in un luogo, quello diventa il tuo ambiente di riferimento. Ti relazioni con quel contesto e il resto, piano piano, svanisce. Persino il tempo assume una dimensione individuale. Dentro tutto è a portata di mano e sei protetto, mentre fuori c’è il rischio e può capitare di tutto. Scatta un senso di autoprotezione potentissimo. Alla lunga si costituisce una realtà tanto personale da rischiare di rimanerci imprigionati. Esternamente tutto sembra abbastanza assurdo, ma non lo è. La sindrome della capanna è un disagio che va compreso e che, per fortuna, secondo la psicologia, è passeggero. Il segreto, per superare questo ostacolo, è procedere per piccoli obiettivi: scegliere mete vicine, dove ci si sente più sicuri, ed uscire accompagnati, magari, da persone che sanno darci la carica, anche semplicemente tenendoci spensierati. Fuori, poi, scatta un processo di distrazione per cui si smette di lasciarsi trascinare dal vortice di pensieri negativi. Ragionandoci, una volta affrontato l’esterno, ci si rende conto che uscire si può e, uscita dopo uscita, le distanze si allungano. Il coraggio alle volte è la risposta migliore alla paura di stare fermi. D’altronde la vita va affrontata, passo dopo passo.

non consentire una buona visibilità della bocca. Se si considera anche l’ombra proiettata sul viso, all’interno della mascherina, dal materiale opaco di supporto che contorna la finestra trasparente e che costituisce la struttura vera e propria del dispositivo, si può capire quanto difficoltoso sia per un non udente comprendere i propri interlocutori. Sono molteplici i requisiti che una mascherina dovrebbe soddisfare per garantire una buona comunicazione: si passa dall’ergonomia del disposi-

a cura di Elisa Giarolli tivo, alla trasparenza e alla necessità di mostrare quanto più possibile il volto per la lettura non solo delle labbra, ma anche della mimica facciale, attraverso la quale ciascuno di noi comunica e si mette in relazione con l’altro. Garantire la comunicazione empatica dovrebbe essere l’obiettivo di chi progetta questi dispositivi, ma per fare ciò è necessario strutturare percorsi che prevedano la multidisciplinarietà e la partecipazione.

Un sorriso dietro una mascherina a cura di Noemi Manfrini MARKETING SAIT

Gli ultimi mesi hanno evidenziato una realtà tristemente nota: le persone con specifici bisogni e necessità non trovano risposte adeguate nel sistema di gestione dell’emergenza. Tra le molteplici difficoltà che le persone con disabilità si sono trovate ad affrontare, una in particolare è quella legata alla comunicazione e più precisamente alla complessità nel comunicare con le mascherine. Uno strumento prescritto, non solo al personale sanitario e agli addetti alla gestione dell’emergenza come dispositivo di protezione individuale (DPI), ma all’intera popolazione come unico sistema – in combinazione alla distanza sociale – per la riduzione del rischio di contagio, a propria tutela e nel preservare gli altri dal virus che si è rivelato letale. L’introduzione di questi dispositivi, in ogni tipologia e forma, si è rivelata di particolare disagio per le persone sorde, in quanto non possono effettuare la labiolettura, ovvero la lettura delle labbra per comprendere ciò che l’interlocutore dice. Non possono gesticolare, se l’interlocutore non conosce la Lingua dei Segni, e non possono percepire in maniera limpida né il tono né il volume della voce dell’interlocutore. A seconda del tipo di sordità e

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LA CENTRALE COVID DELL’APSS, UNA REGIA UNICA PER COORDINARE GLI INTERVENTI SUL TERRITORIO Istituita dall’Azienda sanitaria ai primi di marzo, la Centrale territoriale Covid di Trento ha garantito, in questi mesi difficili, il coordinamento degli interventi sul territorio per la presa in carico dei pazienti Covid non ricoverati, in continuità con i medici di medicina generale e con quelli delle unità speciali di continuità assistenziale. Un luogo di raccordo con gli interlocutori esterni, come i sindaci, le forze dell’ordine, gli altri soggetti pubblici e privati del territorio, in forte integrazione con il Dipartimento di prevenzione. La Centrale ha raccolto le segnalazioni e coordinato i monitoraggi in remoto di circa 5 mila casi Covid e di altrettanti familiari conviventi. Dal mese di giugno, grazie alla riduzione dei contagi, la Centrale gestisce tutti i casi positivi della Provincia, dopo che l’igiene pubblica ha eseguito l’inchiesta epidemiologica di ogni caso. Attualmente, le funzioni della Centrale sono la

presa in carico dei casi Covid positivi, il monitoraggio/ coordinamento dei soggetti posti in sorveglianza attiva o in quarantena precauzionale, gli isolamenti preventivi, le richieste di tamponi, i domicili alternativi, le informazioni su rientri dall’estero. Garantisce inoltre l’invio quotidiano dei nominativi di casi positivi e casi guariti a sindaci, forze dell’ordine e Protezione Civile. Al suo interno lavorano due medici e tre coordinatori infermieristici delle Cure Primarie che garantiscono la presenza sulle 12 ore, 7 giorni su 7, in stretta connessione con le équipe di Igiene pubblica dei vari ambiti territoriali dell’APSS. Nei servizi igiene pubblica degli ambiti territoriali lavorano decine di assistenti sanitari e medici che ogni giorno processano decine di segnalazioni di medici e pediatri di famiglia ed eseguono inchieste epidemiologiche complete per ogni caso.

COLIVING A LUSERNA, PRESENTATO IL PROGETTO

IL BANDO

Il progetto prevede la messa a disposizione di 4 alloggi da arredare di proprietà di ITEA S.p.A. nel Comune di Luserna, con contratto di comodato a titolo gratuito (le spese sono a carico del locatario) per un periodo di 4 anni.

CHI PUÒ PARTECIPARE?

Il bando è rivolto a 4 giovani nuclei famigliari che vogliono mettersi in gioco e costruire un percorso di vita nuovo all’interno della comunità di Luserna. I requisiti principali per partecipare al bando sono: • il soggetto richiedente deve essere under 40; • non deve risiedere sul territorio della Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri da almeno 2 anni (salvo i casi previsti dal bando); • il nucleo famigliare deve raggiungere almeno un reddito minimo.

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INFORMAZIONI

Per informazioni dettagliate e per scaricare la modulistica visita www.altipianicimbri.tn.it o chiama lo 0464 784170

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RIFUGI APERTI:

5 REGOLE D’ORO PER L’ESTATE 2020

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Osserva queste semplici misure per goderti la montagna in sicurezza anche in un’estate così particolare come questa

SCUOLA: SI RIPARTE A SETTEMBRE La Provincia - alla luce dei protocolli sanitari - ha approvato il piano operativo per la ripertura delle scuole. Il 3 settembre riapriranno le scuole dell’infanzia, mentre il 14 settembre sarà la volta delle elementari, medie e superiori. I cardini dell’organizzazione adottata saranno:

scuola in presenza e conferma del tempo scuola ordinario

riduzione del numero medio degli studenti/bambini per classe

crescita delle classi (+10% circa)

assunzione di circa 500 nuove risorse professionali

In totale la Provincia investe 45 milioni di euro di cui 33 solo sul personale docente e 5 sul personale ausiliario/tecnico. È previsto anche un investimento importante sui BES (Bisogni Educativi Speciali), con 4 milioni aggiuntivi, e il sostegno a iniziative individualizzate. Sul piano delle misure di sicurezza sono previste, nelle classi, le adozioni di dispositivi particolari di aerazione e igienizzazione, come strumenti per misurare l’anidride carbonica e stabilire quando è ora di cambiare l’aria. Per il servizio mensa, i trasporti e gli altri servizi, saranno adottate misure ad hoc a seconda delle situazioni, fra cui anche il pranzo in aula, sempre al fine di evitare affollamenti e garantire il rispetto delle misure di sicurezza. Gel e altri strumenti per la sanificazione/pulizia saranno distribuiti dalla Protezione civile.

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ACCESSIBILITÀ

PER UNA CITTÀ A MISURA DI PERSONA Il piano del Comune di Trento per l’eliminazione delle barriere architettoniche

L’Amministrazione comunale vuole dotarsi di uno strumento definito PEBA, di cui all’art. 32 della L. 41/86 e dall’art. 24 comma 9 della L. 104/92. Si tratta di uno strumento pianificatorio e programmatorio che contiene previsioni per la realizzazione di interventi di abbattimento delle barriere architettoniche negli spazi urbani e mira a fornirne a larga scala la previsione del numero, della tipologia, del costo e della fattibilità. Il Comune di Trento ogni anno realizza opere di questo tipo. Con questo strumento verrà eseguita una programmazione strategica, definendo in modo condiviso con gli stakeholders gli obiettivi di qualità degli spazi urbani. Le fasi tecniche verranno infatti precedute da incontri di partecipazione con la popolazione e con le associazioni di persone con disabilità, al fine di costruire un percorso di confronto e stimolo alla divulgazione della cultura dell’inclusione. Il PEBA dovrà selezionare gli spazi da analizzare, verificarne le condizioni di accessibilità, proporre gli interventi di adeguamento. Si articolerà in tre fasi in successione.

Illustriamole brevemente. Uno: analisi dello stato di fatto. Due: progettazione degli interventi e stima dei costi. Queste due fasi naturalmente interconnesse sono in corso in questo momento. Per queste è stata incaricata una professionista del settore, l’arch. Lucia Lancerin. Tre: programmazione degli interventi con relativo cronoprogramma. Una volta approvato il piano, che verrà elaborato in modo da renderlo facilmente consultabile anche dal sito del Comune di Trento, verrà eseguita la programmazione degli inter-

Il primo stralcio quindi interessa anche la zona di PRODIGIO, associazione fondata da Pino Melchionna, che tanto ha lottato per lo sbarrieramento e la mobilità accessibile. Come è cambiata negli anni la sensibilità nei confronti di queste tematiche? Il Comune di Trento ogni anno realizza interventi di eliminazione delle barriere architettoniche nell’ambito della manutenzione stradale, ma anche nell’ambito della realizzazione delle aree verdi. Un esempio è rappresentato dal parco della Malpensada a Trento Sud. Quindi posso affermare che la sensibilità su questi temi è molto presente. Naturalmente con la redazione del PEBA si avrà una programmazione strategica di tali interventi a larga scala.

Si tratta di un piano a progettazione partecipata: come possono contribuire i cittadini? Il loro apporto è fondamentale. È possibile compilare un modulo di segnalazione sul sito del Comune di Trento. La redazione del PEBA è in fase avanzata, quindi si chiede eventualmente di segnalare entro alcune settimane sulla zona delle circoscrizioni Oltrefersina e S. Giuseppe – S. Chiara.

Quali saranno le fasi successive? E con quali tempistiche?

Intervista all’ing. Claudia Patton

a cura di Ivan Ferigo

ART. 32 L. 41/86

Con il PEBA, il Comune di Trento dimostra sempre più una sensibilità nei confronti delle persone disabili. Da quale esigenza nasce questo piano?

venti e la successiva realizzazione.Vista l’estensione del territorio comunale, si è previsto di procedere per ambiti omogenei per orografia, individuando come primo stralcio quello relativo alle circoscrizioni S. Giuseppe – S. Chiara e Oltrefersina, che rappresentano la prima quella a più alta concentrazione di edifici scolastici, la seconda quella con la presenza dell’ospedale e di strutture sanitarie ed ambulatoriali, ed entrambe zone con alta densità di popolazione.

Prevede che non possano essere approvati progetti di costruzione o ristrutturazione di opere pubbliche che non siano conformi alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, in materia di superamento delle barriere architettoniche.

ART. 24 COMMA 9 L. 104/92

Per una città sempre più a misura di persona. Il Comune di Trento sta predisponendo uno strutturato piano di eliminazione delle barriere architettoniche. Un disegno che intende mappare e abbattere gli ostacoli che rendono difficile o impediscono la mobilità delle persone disabili, ma anche di bambini e anziani. Un’occasione imperdibile per puntare ad un miglioramento concreto della qualità della vita di tutti i cittadini. Ne parliamo con l’ingegnere comunale Claudia Patton.

Al citato articolo applica integrazioni relative all’accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all’individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all’installazione di semafori acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone handicappate.

Una volta approvato il piano, in consiglio comunale si potrà procedere alla realizzazione degli interventi previsti in esso. Sicuramente già nel 2021 si potrà affrontare una parte degli interventi sulle due circoscrizioni oggetto di pianificazione. Inoltre è stato previsto a bilancio uno stanziamento triennale per eseguire lavori legati all’accessibilità pedonale.

Come immaginare la Trento del futuro? Sempre più accessibile.

Scopri il progetto!

PER UN TURISMO ACCESSIBILE Una testimonianza diretta

a cura di Stella Diluiso

Per turismo accessibile si intende quell’insieme di strutture e servizi che permettono a persone con disabilità o con bisogni speciali di viaggiare, partecipare ad eventi culturali, visitare città, musei e mostre in condizioni di autonomia e sicurezza. Tra i destinatari del turismo accessibile sono facilmente individuabili le persone con problemi di tipo motorio e sensoriale, ma la necessità di strutture idonee alla piena fruizione della vacanza, del viaggio o del soggiorno si estende tanto spesso anche ad altri soggetti quali persone anziane che hanno difficoltà a camminare a lungo, famiglie con bambini piccoli che devono essere accuditi, convalescenti di gravi malattie. Decidere dove trascorrere una vacanza, utilizzare il proprio tempo libero per visitare luoghi o monumenti da tempo oggetto del desiderio, dovrebbe essere un’opportunità di scelta aperta a tutti, così che si realizzi quel principio di uguaglianza espresso dalla nostra Costituzione all’art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Il medesimo articolo recita anche: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e socia-

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le, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Soprattutto in Italia, dove l’arte, la cultura e la storia si intrecciano a meravigliose mete paesaggistiche che tutto il mondo ci invidia, l’accessibilità dovrebbe essere la norma, senza distinzioni tra strutture capaci o no di soddisfare le esigenze di persone con bisogni speciali, siano essi di natura fisica o mentale, permanenti o contingenti. È necessario un mercato turistico sempre più privo di barriere, poiché la cultura dell’accoglienza è indice del livello di civiltà di un Paese. Io ho delle difficoltà motorie perciò è sulla base della mia personale esperienza che mi permetto di suggerire alcuni semplici accorgimenti che permetterebbero, a me come a tutte le persone con problematiche simili, di accedere anche a luoghi che attualmente ci sono inaccessibili. La maggior parte delle spiagge, anche quelle attrezzate con lettini e ombrelloni che puoi noleggiare a caro prezzo, è praticamente preclusa a chi ha difficoltà a camminare sulla sabbia o debba spostarsi in carrozzina, e l’ingresso in mare è assai dif-

ficile, se non impossibile. Però sarebbe sufficiente, per spostarsi senza difficoltà, che le passerelle arrivassero fino alla battigia, che su ogni lido ci fosse una sedia Job per permettere un’agevole entrata in mare e qualche lettino da spiaggia rialzato per potervisi trasferire in autonomia dalla carrozzina. Non è bello non poter scegliere il luogo delle proprie vacanze solo perché mancano questi semplici presidi che, a parer mio, dovrebbero essere obbligatori su ogni spiaggia pubblica o privata. Molti musei offrono l’ingresso gratuito alle persone diversamente abili e questa è certamente una buona cosa, ma non sempre è sufficiente: camminare con le stampelle può essere molto faticoso, tanto da farti rinunciare alla visita, o comunque da impedirti di usufruire in pieno della bellezza dell’arte che si mostra ai tuoi occhi. Perché non dotare ogni museo di una carrozzina da prendere in prestito, e che tra l’altro può essere utile anche a persone che ne hanno una necessità transitoria? Sono piccoli accorgimenti che renderebbero meno faticosa la vita di chi il destino ha voluto “diversamente abile” e contribuirebbero a rimuovere “quegli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”.

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TECNOLOGIA

REVAS, IL GESTIONALE PER IL NON PROFIT

Agosto 2020 - n.4 Intervista a Nicolò Gardoni CEO Revas

a cura di Elisa Giarolli

Com’è nata l’idea di Revas? Revas è nata come idea quasi cinque anni fa. In quel periodo, lavoravo come sviluppatore software presso un’azienda che costruiva gestionali ed ero impegnato come volontario in diverse associazioni. Da volontario, sviluppavo piccoli gestionali e soluzioni informatiche per aiutare le associazioni nei loro compiti amministrativi e organizzativi. Purtroppo, a lungo andare risultava complicato gestire tutte le soluzioni sviluppate da solo e costruire ogni volta piccoli software con la conseguenza che quelle soluzioni che all’inizio avevo implementato non riuscivano a supportare i reali bisogni delle organizzazioni. Avere un solo volontario informatico e una soluzione fatta in casa non erano scelte sostenibili nel tempo per le organizzazioni non profit. Quindi sono giunto alla conclusione che o “si torna come prima”, perdendo comunque i vantaggi di una soluzione tecnologica, “o cerco di mettere insieme un team e fare un prodotto fatto bene” che fornisca tutto il supporto necessario e le migliori tecnologie per i sistemi gestionali moderni. A febbraio 2018 ho quindi contattato Samantha, Luisa e Davide, persone che conoscevo e che avevano abilità nel mondo del design, della comunicazione e dello sviluppo software, e assieme abbiamo fondato Revas SRL Società Benefit. In nemmeno un anno, abbiamo sviluppato la prima versione del software con la quale siamo riusciti ad acquisire nell’anno successivo i primi clienti che ad oggi sono molto soddisfatti per i risultati che sono riusciti a ottenere. Sul nostro sito www.revas.app sono disponibili le loro recensioni.

Il lockdown come ha influito sul vostro lavoro? La pandemia da un lato ci ha colpiti ma dall’altro ha dato all’azienda e al prodotto nuove opportunità. Abbiamo visto le nostre relazioni commerciali venir bruscamente interrotte a causa di un cambio di priorità all’interno delle organizzazioni non profit (“in un momento di crisi non si pensa all’acquisto di un gestionale”), ma il tempo lasciato libero ci ha dato l’occasione di fare uno sviluppo tecnologico importante. Infatti il 24 maggio è uscita la nuova versione aggiornata del software. Abbiamo avuto l’opportunità di rendere tutto molto più sicuro e performante, e soprattutto di abbattere i nostri costi interni. Una cosa che ci ha resi molto felici è stata che durante il lockdown i clienti sono riusciti ad utilizzare la piattaforma senza alcun problema, e anzi nelle recensioni che abbiamo ricevuto lo hanno definito indispensabile. Tante organizzazioni si sono trovate bloccate proprio perché avevano i server o i computer direttamente in associazione e non potevano raggiungerli, mentre il fatto di averli online e con tutti i dati in un unico posto ha permesso ai clienti che già abbiamo di potervi accedere con facilità.

Il Team di Revas

Questo progetto è nato grazie a fondi europei.

Quale supporto date alle associazioni?

Abbiamo partecipato al bando FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale) 2014-2020 della Provincia Autonoma di Trento. Abbiamo ricevuto in tutto 40.000 euro di finanziamenti da investire esclusivamente in attività di ricerca e sviluppo oppure in strumentazione. C’è una rendicontazione di spesa da fare e siamo finanziati dalla Provincia, dall’Unione Europea e da Banca Etica. Sul nostro sito www.revas.io si trovano poi tutti i dettagli di trasparenza.

Le associazioni hanno direttamente il mio numero di telefono, quindi se c’è un problema mi possono chiamare. In una fase iniziale di utilizzo di un nuovo gestionale, ci teniamo a dare il massimo supporto. Per noi il supporto non ci ha mai impedito di lavorare, ma anzi ci ha permesso di intavolare preziose chiacchierate a tu-per-tu con le organizzazioni, molto spesso sul tono di “mi piacerebbe avere nuove funzionalità”. Siamo molto contenti perché stiamo dando un prodotto di qualità in continua crescita, anche se è nato da poco. In questo periodo abbiamo diversi pacchetti che nel tempo abbiamo modulato con offerte: ai primi clienti a esempio abbiamo fatto delle offerte molto vantaggiose, proprio perché hanno creduto nella proposta di valore.

Avete clienti solo sul territorio o anche nel resto d’Italia? La scelta di partire da Trento è stata fatta con una ricerca di mercato. Trento è una delle province con la più alta densità di organizzazioni non profit per abitanti, di conseguenza è stato motivo anche per noi di rimanere in città. C’è comunque interesse ad espandere l’attività e il gestionale in città come Bologna e Milano, che sono altri due centri molto importanti del non profit in Italia.

Fate qualche altra attività oltre al software?

A che tipologia di associazioni vi rivolgete principalmente? Ci sono delle associazioni/cooperative dove i nostri servizi sono più compatibili. Ci piace pensare di espandere i nostri servizi a più associazioni possibile. In questo momento stiamo lavorando molto con realtà che si occupano di assistenza e servizi. Stiamo ampliando i nostri servizi con una gestione avanzata dei permessi degli utenti, proprio per dare un supporto più avanzato alle cooperative.

I dati sono accessibili a tutti? Al momento, tutti i collaboratori possono vedere tutto all’interno dell’organizzazione. Stiamo sviluppando le funzionalità per rendere i dati condivisibili e gestibili, chi vede cosa, come e perché. pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | associazione@prodigio.it

Revas è il nostro prodotto principale. Quando poi entriamo in contatto con le associazioni emergono esigenze che richiedono delle analisi più specifiche. Ad esempio, offriamo anche supporto per tutta la parte di migrazione dei dati. “Noi arriviamo, raccogliamo tutti i dati, li ripuliamo, li sistemiamo, e dopo li inseriamo nella piattaforma, quindi semplicemente una mattina ti svegli e ti trovi tutta la piattaforma con tutti i tuoi dati”. Inoltre facciamo tutta una parte di consulenza più legata a strategie di sviluppo digitale. L’obiettivo di Revas è avere un unico posto dove poter tenere tutti i dati dell’organizzazione nonostante i continui ricambi di direttivo e volontari. Inoltre ci occupiamo di archiviare i dati per costruire una memoria storica che sia anche una memoria viva delle cose che succedono, un sistema dal quale poter tirare fuori valore, con analitiche, analisi e tutta una serie di strumenti. Per le organizzazioni, infine, offriamo sia lo sviluppo di siti personalizzati che anche un sito già pronto, un template in cui è possibile inserire tutti i propri dati attraverso il gestionale. Per noi il concetto è “non ha senso la perfezione oggi, meglio le cose fatte oggi e la perfezione domani”: spendere il meno possibile per raggiungere gli obiettivi il prima possibile e poi crescere nel tempo.

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Agosto 2020 - n.4

SPORT

PER CASSIOLI NON ESISTONO LIMITI Per tutti il 15 agosto è la giornata delle grigliate perché nello sport non vinci se sei diverso, ma se con gli amici, dei tuffi in piscina o al mare. Per i sei forte, se vali. più incalliti del calcio, questa data segna l’inizio Daniele racconta nelle scuole la sua associaziodella Champions League con i preliminari. Mentre ne, fa innamorare i bambini dello sport. Essendo per i più religiosi è la data di Maria Assunta nel un ragazzo pieno di vita e di ottimismo, non esita cielo. Il mondo paralimpico, invece, festeggia il a metterlo a disposizione degli altri. Forse la disacompleanno di Daniele Cassioli. bilità visiva spaventa più delle altre. Per questo Daniele nasce privo di vista nel 1986. Già Real Eyes Sport crea anche momenti di socialità, di dall’età di tre anni inizia a muovere i primi passi nello sport, suo fedele amico di vita. Si iscrive a nuoto e judo. Grazie anche alla tenacia della sua famiglia, che Daniele definisce “il regalo più grande che la vita potesse farmi”. Attualmente vive a Gallarate, condivide la casa col suo gatto. Suona la chitarra, il pianoforte e imita alla perfezione tutti i cantanti. Diventato membro del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), Daniele è iscritto alla ASD Waterski, dove pratica tutte le specialità dello sci nautico di cui detiene il record mondiale. Nel 2018 pubblica Il vento contro. Un libro autobiografico, nel quale affronta varie tematiche dal suo punto di vista e di vita personale. Si parla dei suoi record sportivi, ci sono aneddoti sui pre-gara. Ma si parla anche di rapporti di coppia, di scuola e delle sue mille altre passioDaniele Cassioli ni. Per Daniele la passione per lo sport è troppo grande per non essere condivisa. Per questo fonda scambio, di integrazione. Non mancano momenReal Eyes Sport, associazione che grazie anche ti dedicati alla genitorialità. Una canzone molto all’aiuto di alcuni esperti del settore mette lo sport famosa dice: “per fare un albero ci vuole il seme”. al servizio dei bambini con disabilità visiva. Real Così, per rendere un bambino un adulto consapeEyes Sport è il mezzo per considerare il bicchiere vole delle proprie capacità e della propria forza, ci mezzo pieno, per rendere i bambini tutti uguali, vuole una famiglia solida alle spalle. È per questo

a cura di Camilla Di Pace

che Real Eyes cerca di stabilire una connessione con la famiglia. Dice Daniele Cassioli, presidente e fondatore: “Proprio pochi giorni fa mi è capitato di parlare con una maestra di un bambino non vedente che ha partecipato alle nostre attività. L’insegnante ha detto che il ragazzino ha dimostrato grandi cambiamenti. È più aperto, risponde alle domande, parla e scherza con gli amichetti. Questo avviene per vari motivi. Innanzitutto perché il bambino ha da raccontare ai propri compagni qualcosa che esula dal racconto dei pomeriggi passati dai vari specialisti, poi anche perché il bambino acquisisce una consapevolezza maggiore del proprio corpo e dello spazio che lo circonda”. Continua Daniele: “La fiducia del genitore è fondamentale per noi, vederli felici per i propri figli è una cosa che non ha prezzo”. Tra le iniziative importanti di Real Eyes c’è Spazio Al Gesto. Un’attività portata e svolta finora in quattro città, che consiste nell’insegnare al bambino a muovere il proprio corpo. “Per esempio”, prosegue Daniele, “un bambino che nasce non vedente è diverso da un bambino che ci diventa. Spesso chi nasce non vedente fa fatica a muoversi nello spazio. Non è strano trovare dei bambini che a dieci anni ancora non sanno correre e devono imparare. Sai, la differenza è un po’ come entrare in una stanza a luce spenta, piuttosto che entrarci a luce accesa e spegnerla poi”. Daniele Cassioli ha un palmares che vanta 25 titoli europei, 25 titoli mondiali e 39 italiani. Murino sarebbe fiero di lui, che vanta 89 titoli totali.

SPORT OUTDOOR CON SOGGETTI CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO

a cura di Lorenzo Pupi

Le metodologie innovative della Cooperativa Sociale Archè insieme a NuoveRotte Il progetto SISAAP (Sport per aumentare la socializzazione e le capacità delle persone autistiche) mira a favorire l’inclusione sociale e a garantire pari opportunità attraverso lo sport per le persone affette da disturbi dello spettro autistico (ASD). In Europa esistono poche organizzazioni che promuovono attività sportive per le persone colpite dall’ASD e la maggior parte di esse non sono sufficientemente qualificate per lavorare con questo gruppo target, che non può essere considerato come una qualsiasi forma di disabilità intellettuale, ma richiede un approccio specifico. L’obiettivo principale del progetto è riunire una rete europea e complementare di esperti che copra l’intera catena del valore degli sport Preparazione delle tavole da SupSurf acquatici nell’autismo, compresi i formatori e gli attori chiave che si occupano di ASD. Questo a nuove metodologie applicate a sport acquatici favorirà la mobilità internazionale, la cooperazione ma non solo. La Cooperativa Sociale Archè insieintersettoriale e interdisciplinare, al fine di scam- me all’Associazione NuoveRotte usano la metobiare conoscenze, metodi di lavoro, competenze dologia educativa-sportiva “SupAbility” per proe, di conseguenza, l’aggiornamento delle persone muovere il benessere delle persone più fragili, lo che lavorano in questo campo e la riprogettazione fanno con percorsi consolidati nel tempo attraverdel loro profilo professionale. I risultati che emer- so la ricerca e l’appoggio dell’Università, nonché geranno nell’ambito di tre eventi, rispettivamente di figure professionali adeguatamente formate. in Croazia, Spagna e Italia, saranno raccolti in un Archè, in particolare, ha attivato un’intensa e procatalogo che presenterà le opportunità sportive ficua collaborazione di ricerca su buone prassi e per le persone ASD e le figure professionali neces- metodologia con il dipartimento di Psicologia e sarie per la loro attuazione (associazioni sportive, Scienze Cognitive, il Laboratorio di Osservazione allenatori e formatori, insieme alle famiglie di per- e Diagnosi (ODFLAb) e la Facoltà di Scienze Motosone ASD) da condividere a livello transnazionale. rie di Verona. Ne scaturisce qualche anno fa una In Trentino esiste una realtà che negli ultimi anni si è specializzata in questo settore, promuoI nostri vendo ricerche specifiche e formando il personale Partner

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sperimentazione con l’utilizzo di tavole da SupSurf. Lo Stand Up Paddle Surf permette infatti di andare a innescare comportamenti e aspetti positivi dei ragazzi con ASD, con risultati molto incoraggianti sia per i ragazzi stessi, sia per le famiglie e le figure professionali che li seguono. Il contesto è quello del Centro nautico Ekon, dove insieme ad Archè opera l’Associazione NuoveRotte, partner nel progetto SISAAP. Qui vengono svolte molte delle attività estive dedicate anche ai giovani con autismo ad alto, medio e basso funzionamento. Attraverso momenti individualizzati o di gruppo si utilizza questa e altre discipline per agire su aspetti come la confidenza, la relazione e la gestione delle emozioni. Il team di lavoro si è accorto delle enormi potenzialità di questo strumento molto semplice, ma che al tempo stesso stimola movimento ed equilibrio. Aspetti che contribuiscono a migliorare la propriocezione, la coordinazione, la lateralizzazione, l’equilibrio, l’autostima, la socializzazione e l’acquaticità dei giovani coinvolti. Attraverso i percorsi individualizzati o di gruppo sono state fidelizzate numerose famiglie e i loro ragazzi o ragazze che possono praticare oggi questo sport in assoluta sicurezza, seguiti da personale preparato e qualificato. Da qualche anno sono state lanciate anche nuove attività, come ad esempio la vela deriva, il nordic walking, il kayak e il longboard skateboard. Sono tutte attività dove la metodologia “SupAbility” può adattarsi e stimolare nuove prospettive future.

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SPORT

LA PROTESI COME OPPORTUNITÀ Michele Grieco e la svolta dell’incontro con Zanardi e Obiettivo3 A giugno, una staffetta paralimpica ha attraversato l’Italia per dare un messaggio di ripartenza tramite lo sport. Stiamo parlando di Obiettivo Tricolore, iniziativa ideata da Alex Zanardi e Obiettivo3. In questo viaggio in handbike, bicicletta o carrozzina olimpica lungo il Paese, anche un rappresentante trentino, il perginese Michele Grieco. Colpito da ragazzino da un osteosarcoma, grazie al campione bolognese e al suo progetto ha avuto due anni fa l’occasione di mettersi in gioco nel paraciclismo. Due momenti che hanno segnato dei veri e propri cambiamenti nella sua vita. Vissuti come? Ascoltiamolo dalla sua voce.

Il primo cambiamento l’hai avuto a 12 anni, quando ti è stato diagnosticato un tumore osseo al femore. Come l’hai vissuto? E come ne sei uscito?

a cura di Ivan Ferigo

Cosa ti ha trasmesso Alex?

La grande magia di Alex, per la quale non finirò mai di ringraziarlo, è stato farmi capire che la protesi da disabilità poteva diventare un’opportunità. Da quando ho accettato di avere una protesi ho vissuto un sacco di esperienze da sogno. Una nuova vita. Alex ha cambiato il mio punto di vista. Mi ha fatto vedere chi ero veramente. Questo mi ha reso più libero di vivere la vita.

Hai anche avuto modo di realizzare il sogno della Ironman.

Sì, l’anno scorso insieme ad Alex ed altri compagni di Obiettivo3. Ho fatto la parte di ciclismo. È stata un’emozione incredibile: realizzare un sogno è sempre qualcosa di magico.

Arriviamo così alla staffetta tricolore. Che esperienza è stata, dalla partenza di Levico all’arrivo di Santa Maria di Leuca, passando per l’incidente di Alex?

Da quel momento è iniziata la tua vita con quella che chiami “la gamba di ferro”.

Michele Grieco alla staffetta tricolore

Quando c’è stata la svolta dell’incontro con Alex Zanardi e Obiettivo3. Facendo pochissimo sport, il muscolo si stava atrofizzando. A dicembre 2017 mi sono deciso a fare attività fisica, dapprima in palestra. A febbraio 2018 ho letto e visto un video di Alex che completava una Ironman. Mi sono detto che volevo farlo anch’io. Ho iniziato a fare bici, nuoto, marcia (non posso correre, per non danneggiare la protesi). A giugno Sara (allora fidanzata, oggi moglie) mi ha iscritto, un po’ di nascosto, ad un incontro con Obiettivo3.

Un ruolo mica da ridere.

Intervista a Michele Grieco

Da quel giorno ho iniziato a collaborare con Obiettivo3. Devo tantissimo ad Alex e al presidente Pierino Dainese.

Il vantaggio è nell’inconsapevolezza. A 12 anni sai e non sai cos’è un tumore. A parte un primo giorno di sconforto, ho sempre vissuto la lotta al tumore, la chemioterapia, l’operazione con l’innesto della protesi, come una sfida. All’ospedale di Padova mi hanno trattato sempre come adulto, dicendomi in faccia quel che avevo, cosa bisognava fare, che possibilità c’erano. Credo che nella cura di qualsiasi tipo di tumore conti molto la parte medica, ma altrettanto il morale e la voglia di vivere. Lì ho costruito il mio carattere, che mi porta a cercare di superare un problema senza abbattermi.

Sono pochi ormai i ricordi che ho senza. Ci sono quasi nato. La vedevo, soprattutto in fase adolescenziale, come una parte negativa, che tendevo a nascondere. Raramente indossavo pantaloni corti o costume da bagno. Cercavo sempre di fare cose che non potevo fare, come giocare a calcio, fare lunghe camminate, saltare. Come per dire a me stesso di non avere la protesi, per sembrare normale agli occhi degli altri. Questo conflitto interno è durato fino a tre anni fa.

Agosto 2020 - n.4

Già dalla prima telefonata l’entusiasmo si è fatto sentire: che un progetto simile sia partito dal paraciclicmo è stato sorprendente. Tutte le persone disabili sono ripartite almeno una volta. Dare questo segnale a un’intera nazione è stata un’idea fantastica. Ero onorato di fare la partenza da Levico: una giornata intensa, piena di emozioni, la rivivrei mille volte. Arrivare a Fonzaso e consegnare il testimone è stata un’emozione impagabile. Poi è successo quel che è successo. La situazione ha scosso tutta la squadra. Ma tutti siamo stati unanimi nel dire che Alex avrebbe continuato, ce l’ha insegnato lui. Alex è la rappresentazione della persona che non molla mai: così noi non potevamo mollare questa staffetta. Credo che tutta quest’energia ce l’abbia data proprio Alex. Sono contento di averla portata fino a Leuca: all’Italia serviva questo messaggio, l’abbiamo portato anche per Alex e Pierino. Mi auguro che Alex si svegli, stia bene e possa tornare dalla sua famiglia. È quel che merita. È una persona di qualità che serve all’Italia e al mondo.

Questa tua esperienza adesso la vuoi portare ad altre persone che si avvicinano ad uno sport, come il paraciclismo, ancora poco conosciuto.

Anche perché l’incontro era a Padova, ed ero un po’ diffidente ad andarci. Al velodromo ho detto che volevo fare triathlon; mi hanno detto che nel nuoto e in bici andavo bene, ma nella corsa non ero competitivo. Tutto in buona fede, ma io l’ho recepito male. Prima di andar via, passo da Alex e gli domando “ma io sono Alex Zanardi e Michele Grieco disabile?”; lui mi fa “quanta forza pensi di avere in quella gamba?”. Io ottimisticamente ho risposto l’80%, e lui “scommettiamo una birra che non superi il 40”. Aveva ragione lui. Aggiungendo: “Nella corsa non sei competitivo, ma nel ciclismo puoi fare la tua parte”.

Credo che soprattutto per noi persone disabili lo sport sia di fondamentale importanza: migliora la vita a livello fisico e soprattutto psicologico, ti fa ricredere in te stesso, ritrovare la libertà che pensavi di aver perso. Quando salgo in bici, sono uguale a un altro. In quel momento non c’è disabilità, c’è solo sport. Voglio far sì che tante persone con disabilità possano scoprire questo: se lo sport ha cambiato la vita a me, può cambiarla anche a un’altra persona. Credo che ogni persona disabile possa fare almeno uno sport: si tratta di trovare quello che piace, praticarlo, divertirsi soprattutto, mettersi in moto.

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