Prodigio febbraio 2022 - Pino, un amico su due ruote

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pro.di.gio. BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ODV SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP

Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Trento. Contiene I.R.

NUMERO I - FEBBRAIO 2022 - ANNO XXIII - 130° NUMERO PUBBLICATO

Per curare un anziano ci vuole un villaggio pag. 4-5 Che cos’è la medicina di genere? pag. 8 A lezione di “mototerapia” con Vanni Oddera pag. 11


Febbraio 2022 - n. 1

IN EVIDENZA

EDITORIALE

Direttore responsabile Martina Dei Cas

Care lettrici e cari lettori, Come avrete notato dalla copertina, il 2022 qui a Prodigio è cominciato con una bella novità. Assieme a Luciana Bertoldi e a Maurizio Menestrina, infatti, siamo riusciti a realizzare un piccolo-grande sogno, ovvero dare alle stampe la biografia di Pino in un formato agile e simpatico, quello del fumetto. Il libro si rivolge a bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie e mira a una doppia attività di sensibilizzazione. Proprio come faceva Pino nelle classi, il

nostro obiettivo è infatti quello di affrontare sia il tema dell’inclusione sociale delle persone con disabilità che quello, altrettanto prioritario, dell’educazione stradale. Oltre alle vignette, il fumetto si compone di cruciverba, quiz interattivi, immagini da colorare e spazi personalizzabili, affinché ogni copia sia unica e speciale, proprio come chi la sfoglia. Il libro si può richiedere all’indirizzo mail: associazione @prodigio.it Tornando al numero di febbraio del nostro bimestrale, vi anticipo che parleremo di temi classici, ma

sempre attuali come la pace e la solidarietà. Affronteremo anche argomenti insoliti e curiosi, come i videogiochi per l’inclusione. Particolare spazio daremo infine alla cura della persona, con un focus sugli anziani, sulla medicina di genere e sulla peculiare tecnica della “mototerapia”. A tutti voi auguro dunque buona lettura, ringraziandovi affettuosamente per aver scelto di continuare a far parte anche per il nuovo anno della grande famiglia dei nostri abbonati.

REMEDIOS TORRICO, LA NUOVA CIVILISTA DI PRODIGIO, SI PRESENTA Ciao a tutti! Sono Remedios, ma mi piace di più essere chia­ mata Reme, classe ’94, nata e cresciuta in Spagna. Sin da giovane sapevo che non c’era un futu­ ro per me fuori dal giornalismo, mi sono sempre immaginata in una redazione. Mi sono laureata all’Università di Siviglia e da allora ho cercato di ottenere un punto d’appoggio nel giornalismo. Come fa una ragazza spagnola a finire a Trento? Grazie ai progetti di solidarietà internazionale. La mia relazione con il volontariato inizia da piccola quando, influenzata da mia sorella, ho fatto volon­ tariato in una scuola estiva inclusiva, dove ho im­ parato ad essere paziente e comprensiva con realtà diverse dalla mia. Grazie al programma di volontariato europeo Erasmus+ sono arrivata a Trento proprio durante la pandemia, quando tutto era fermo. Nonostante la

PREMIO MELCHIONNA 6a edizione Raccontaci i tuoi “legàmi” con un testo in prosa, una poesia o una foto e vinci la pubblicazione in un’antologia cartacea, una stampa del vignettista Maurizio Menestrina e tanti buoni acquisto libri. Info e iscrizioni entro il 10 marzo 2022 su www.prodigio.it

Proprietà: Associazione Prodigio Odv Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Sito Internet: www.prodigio.it E-mail: associazione@prodigio.it Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana) Direttore responsabile: Martina Dei Cas Hanno collaborato a questo numero: Francesca Bortolin, Luciana Bertoldi, Giacomo Carbonara, Maria Devigili, Ivan Ferigo, Samuele Maranelli, Fabio Pipinato In Servizio civile Scup con il progetto “Comunità narrante” a PRODIGIO ODV: Michele Anastasia, Remedios Torrico In copertina: “Pino, un amico su due ruote”, un’opera di Martina Dei Cas, Maurizio Menestrina elaborazione Publistampa In stampa: 01 febbraio 2022

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paura e i dubbi in valigia, ho cominciato una nuova vita qui e perciò mi sento fortunata. Per un anno ho collaborato all’interno del pro­ gramma “European Solidarity Corps” con una as­ sociazione locale impegnata in scambi e progetti internazionali, e ho avuto la possibilità di iniziare a parlare italiano. Ma il mio progetto stava per finire e non ero pronta a dire arrivederci al Trentino. Avevo ancora molto da fare e molte persone da conoscere. È qui che è entrato in gioco il progetto “Comunità Narrante” dell’associazione Prodigio insieme al Ser­ vizio Civile della Provincia di Trento. È una grande opportunità per me, come giornalista, poter entrare nelle dinamiche di Trento, conoscere il tessuto socia­ le della regione e migliorare il mio italiano scritto. Alla fine di quest’anno, spero di aver imparato da altre realtà e di poterle comunicare per iscritto. Sono molto grata di poter vivere a Trento per un altro anno, non vedo l’ora di vivere il mio futuro qui.

Con questa bella fo­ tografia della consegna del tricolore da parte del Presidente della Repub­ blica Sergio Mattarella allo sciatore paralimpico trentino Giacomo Ber­ tagnolli, portabandiera dell’Italia ai Giochi Pa­ ralimpici Invernali Bei­ jing, dalla redazione di pro.di.gio. facciamo un grandissimo in bocca al lupo a tutte le atlete e gli atleti paralimpici impegnati in Cina dal 4 al 13 marzo prossimo!

Abbonamento annuale (6 numeri) Privati € 15,00; Enti, associazioni e sostenitori € 25,00 con bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT 67G 08304 01846 000046362000 intestato a “Associazione Prodigio ODV” presso la Cassa Rurale di Trento indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”

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a cura di Remedios Torrico


STORIE CHE ISPIRANO

“START MY GAME” E “SKIES OF MANAWAK”

Febbraio 2022 - n.1 a cura di Michele Anastasia

Quando il gioco si fa… inclusivo! Negli ultimi anni il mondo dei videogiochi è entrato nella vita quo­ tidiana di moltissime persone e per i giovani, durante la pandemia, si è trasformato in un mezzo per rimane­ re in contatto con i propri amici. Non dimentichiamoci, però, che dietro l’attività ludica c’è sempre una finali­ tà educativa. Lo sanno bene i ragazzi della cooperativa sociale “Il Ponte” di Rovereto, che ha messo in piedi

il progetto “Start My Game”, gra­ zie al quale ragazzi con autismo ad alto funzionamento o con problemi di tipo familiare possono incontrar­ si per giocare assieme e creare nuovi legami sociali. La coordinatrice del progetto Chiara Pedrotti racconta: «Il Ponte nasce nel 1985 come coo­ perativa sociale e centro diurno per la disabilità adulta e oggi gestisce quattro centri educativi. Negli anni ci

Per informazioni: Cooperativa Il Ponte www.mystart.it mystart@ilponterovereto.it

Giovani impegnati nel progetto “Start My Game” della cooperativa sociale il Ponte

Samuel, perché avete deciso di sviluppare un progetto di inclusione basato sui videogiochi? È un percorso comin­ ciato durante il master. La mia tesi, infatti, era dedi­ cata all’uso terapeutico dei videogiochi. Chiunque, in­ fatti, può trarre beneficio da questo passatempo. In un videogioco come “League of Legends”, ad esem­ pio, c’è bisogno di coordinarsi e coope­ rare. Dev’esserci una comunicazione efficace all’interno del gruppo, ma al tempo stesso il giocatore deve essere efficace a livello individuale per inte­ ragire in maniera concreta. Il gioco è un algoritmo, sempre conoscibile allo stesso modo da ogni partecipante. Se agisci bene, ottieni una ricompensa o un successo. Tutti quanti possono crescere in questa circostanza, anche al di fuori del contesto videoludico. Una caratteristica che rende il ga­ ming particolarmente adatto per la­ vorare sulle persone con autismo ad alto funzionamento. Ci sono dei giochi che prediligete quando organizzate gli incontri di “Start My Game”? La prima cosa che abbiamo fatto è stata chiedere ai ragazzi quello di cui hanno voglia. In questi due anni di progetto, i gruppi sono cambiati e con loro sono cambiati anche i tipi di giochi. Tranne uno, che continua ad essere apprezzato da tutti. Parlo di “Minecraft”. Si tratta di un gio­ co aperto e senza un vero obiettivo, dove si può giocare sia da soli che in cooperazione. Abbiamo notato che,

dopo un paio di mesi, chi sceglieva di agire da solo in realtà tendeva a farlo perché voleva apportare un contributo all’operato degli altri. Trasmettere ai ragazzi il concetto di coor­ dinamento, dare loro l’idea di cosa diventa un gruppo quando si agisce assieme è stato fondamentale. Guardare dentro di sé, quando si è autistici, può essere molto difficile. Però, quando ti piace stare in un gruppo inizi a capire che devi farlo per imparare a muoverti al suo interno. A un certo punto i ragaz­ zi hanno cominciato a incontrarsi per conto loro per giocare e a stringere dei legami di amicizia all’infuori del gruppo. Secondo te negli ultimi anni si sono fatti dei passi avanti per quanto riguarda la rappresentazione delle diversità e le opzioni di inclusività nell’industria dei videogiochi? Più la tecnologia progredisce, più aumenta l’inclusione. Penso per esempio al contrasto per i daltonici. Un altro elemento importante dei giochi usciti negli ultimi anni è pro­ prio la possibilità di personalizzare il proprio avatar. Per quanto riguarda invece l’effetto dei videogiochi sulle disabilità come la dislessia, mi pia­ cerebbe citare la mia collega, Angela Pasqualotto, che ha creato un video­ gioco in collaborazione con l’Univer­ sità di Trento. In questo suo studio è stato dimostrato che, superando i vari passaggi del videogioco che ha creato, le funzioni esecutive dei gio­ catori aumentavano.

siamo specializzati sui disturbi dello spettro autistico, in collaborazione anche con l’Università di Trento. Nel 2014 è nato My Start, un servizio ri­ volto alla fascia dei più giovani che mette in campo diversi progetti psi­ coeducativi rivolti a ragazzi con au­ tismo, disabilità, ma anche disturbi dell’apprendimento. Un paio di anni fa, in collaborazione con Comunità Murialdo, è nata l’idea di Start My

Game». Di cosa si tratta ce lo raccon­ ta Samuel Barozzi, l’educatore che si occupa di accompagnare i ragazzi in questa esperienza. La ricercatrice del Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento Angela Pasqualotto, ci presenterà invece “Skies of Manawak”, un vi­ deogioco da lei creato per migliorare le capacità cognitive dei giovani con dislessia.

Angela, come mai hai deciso di occuparti di videogiochi in relazione ai ragazzi con bisogni educativi speciali? Di formazione sono una psicologa clinica. Sono entrata in contatto con il mondo dei videogiochi grazie ad alcuni amici ap­ passionati videogiocatori e mi sono inserita in un contesto di relazioni amicali con persone che giocava­ no principalmente a “League of Le­ gends” e “World of Warcraft”. Proprio in quel periodo, ho iniziato la pratica clinica, focalizzandomi sulla diagnosi e il trattamento di bambini con diffi­ coltà nell’apprendimento, soprattutto con dislessie evolutive. Cercavo mo­ dalità alternative per allenare alcune funzioni trasversali, come le funzioni esecutive, che sono capacità d’atten­ zione, memoria e lavoro, capacità di inibizione e flessibilità cognitiva. Cer­ cavo un modo per allenarli senza do­ ver coinvolgere gli ambiti, come la let­ tura, la scrittura o il calcolo, dove loro incontravano le principali difficoltà. Volevo andare a lavorare su queste abilità generali attraverso qualcosa di più divertente. Durante la stesura della tesi, mi ero occupata proprio di strumenti educativi più tradizionali, i cosiddetti “Brain Training”. Ne esiste una versione pubblicata per Nintendo DS, che ebbe molto successo all’epo­ ca. Il titolo, però, veniva a noia dopo poche ore, in quanto non proponeva un contesto estetico accattivante. È la differenza che c’è fra i cosiddetti “se­ rious game” e giochi pensati con altri obiettivi. Volevamo che questa diffe­ renza non si sentisse, che il giocatore innanzitutto si divertisse. Soprattutto se si parla di bambini è importante, visto che di solito hanno un livello di attenzione molto basso. È importante che l’attività non appaia ai loro occhi come un ulteriore compito. Durante il dottorato abbiamo collaborato con il dipartimento di Informatica e in par­ ticolar modo con Zeno Menestrina, Adriano Siesser e la professoressa De Angelis. L’idea era quella di svilup­ pare un’esperienza di gioco che bilan­ ciasse le esigenze cognitive e ludiche. Per questo oltre agli “esperti scientifi­ ci” abbiamo coinvolto anche un game designer e un grafico.

Lo stile grafico di “Skies of Manawak” è ben riuscito, con un’estetica fantasy molto gradevole. Come avete creato l’ambientazione e il design di personaggi e ambientazioni? Sono stati gli stessi bam­ bini a inventare l’estetica e la storia. Abbiamo organizzato un workshop e tramite diversi materiali, come carta, cerapongo e Lego, i bambi­ ni hanno creato la storia e hanno ragio­ nato sull’estetica. Le idee più sensate sono state inserite all’interno del gioco.

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Il gioco, quindi, ha anche una vera e propria narrativa? Certo. L’obiettivo era quello di avere una vera e propria storia. Rias­ sumendo a grandi linee, l’eroe deve affrontare un viaggio di iniziazione attraverso varie isole del suo mondo per superare delle sfide. Ad ogni sfi­ da corrisponde una meccanica pen­ sata con un esercizio di memoria in testa. I bambini hanno provato il gioco? Certo. È stato appena pubblicato un articolo scientifico sulla rivista Nature Human Behaviour nel quale spieghia­ mo in che modo i bambini hanno rea­ gito agli stimoli del gioco. In base agli studi che avete fatto su “Skies of Manawak”, quali sono i miglioramenti che una persona sviluppa giocando a un determinato videogioco? In uno studio dell’Università di Ginevra a cui sto collaborando, ci occupiamo principalmente di action game e plasticità cerebrale. Giocare ai giochi action – non ad altri tipi di giochi – può portare dei migliora­ menti sia a livello comportamenta­ le che neuroanatomico. I giochi che non richiedono decisioni rapide ed efficienti – quindi i giochi non action – invece non migliorano il controllo attenzionale. Quello che caratteriz­ za i giochi action è che richiedono costantemente di aggiornare le tue strategie. I giochi di strategia possono esse­ re utili a livello di capacità di piani­ ficazione, ma non portano benefici a livello di controllo attenzionale.

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INNOVAZIONE SOCIALE

DEMENZA: SONO CIRCA 8000 LE PERSONE CHE NE SOFFRONO IN TRENTINO “Demenza” è un termine generi­ co, usato per indicare un declino del­ le facoltà mentali sufficientemente grave da interferire con la vita quo­ tidiana. Questa condizione colpisce la memoria, le abilità sociali, il com­ portamento e l’autonomia, rendendo la vita quotidiana dei malati e delle loro famiglie molto più difficile. Abbiamo parlato con Renzo Dori, presidente dell’associazione Alzhei­ mer di Trento, che si occupa del sup­

Renzo Dori, Presidente associazione Alzheimer di Trento

porto al malato e alle famiglie attra­ verso colloqui, sostegni psicologici e vari interventi nelle diverse fasi della malattia. «Noi non dobbiamo partire dal concetto che la demenza di Alzhei­ mer sia un fatto negativo – spiega Dori – dobbiamo valorizzare l’aspet­ to positivo delle cose che uno riesce ancora a fare nonostante la malattia». In Trentino circa ottomila persone soffrono di demenza e la pandemia, purtroppo, ha peggiorato la situazione. «Chi soffre di Alzheimer è sogget­ to a disturbi del comportamento. Per i caregiver è stata durissima. Se il ma­ lato viene trattenuto, lo avverte come una violenza nei propri confronti e rea­ gisce di conseguenza. In più, la pan­ demia ha generato un decadimento molto accelerato sia dal punto di vista fisico che psichico. Rimanere chiusi in ambienti confinati ha ridotto la stimo­ lazione cognitiva, causando un dop­ pio effetto: mortalità maggiore e ag­ gravamento del percorso patologico». Nei primi due mesi della pande­ mia, secondo le stime dell’Alzhei­ mer’s Disease International, in Italia la mortalità delle persone con demenza è aumentata del 49%. La pandemia ha

a cura di Remedios Torrico

Crediti: Pexels, Matthias Zomer

ritardato le diagnosi, l’accesso al trat­ tamento, l’assistenza residenziale e i servizi di assistenza specifici. Ma come riconoscere i campanelli d’allarme? «I primi segnali di avvertimento – continua Dori – normalmente sono legati alle piccole perdite di memoria. Questo fenomeno piano piano si ag­ grava e il decadimento cognitivo e la dimenticanza diventano più pesanti, incidendo molto di più sulle attività quotidiane. Se scomponiamo un’azio­ ne nelle sue varie fasi, scopriamo di riuscire a ricordare e portare a compi­ mento il primo passaggio, ma di non ricordare lo step successivo. Di conse­ guenza, ci si blocca e, se non si è aiuta­ ti o sollecitati, si rischia di non riuscire a portare a termine l’azione. La per­ sona si rende conto che sta perdendo

ALZHEIMER: PER SAPERNE DI PIÙ…

le capacità mnemoniche che aveva in precedenza e può incorrere facilmen­ te in una fase depressiva». Lo stigma che circonda la demen­ za e l’Alzheimer è ancora alto. «Dobbiamo creare una maggiore sensibilità nei confronti di questa ma­ lattia. Dal punto di vista fisico e delle potenzialità, il malato di Alzheimer è una persona sana; nel senso che, sta­ tisticamente, non ha altre patologie. Se riusciamo a garantirgli una buona rete di sostegno, possiamo offrigli una qualità della vita decorosa e ben vissuta». In Trentino deve essere una priori­ tà contrastare gli effetti del Covid-19 e trovare un supporto per trattare e guidare i caregiver e gli specialisti per quanto riguarda le conseguenze derivate da questa situazione.

a cura di Martina Dei Cas

I FUMETTI DI MARCO TABILIO

LO SPETTACOLO DI MARIA CORRADINI

IL LIBRO DI LEONARDO FRANCHINI

Vincitore della sesta edi­ zione del contest provinciale “Strike! Storie di giovani che cambiano le cose”, Marco Ta­ bilio è un fumettista e illustra­ tore, esperto di grafica e ani­ mazione. Formatosi in questo ambito a Bologna e Amburgo, oggi vive e lavora in Trentino, dove nel corso degli ultimi anni ha raccontato l’Alzhei­ mer attraverso diversi proget­ ti realizzati in concerto con le case di riposo del territorio. Insieme alla APSP Città di Riva del Garda, ha accom­ pagnato i bambini nell’incontro con gli anziani affetti da demenza e nel successivo laboratorio “Alza League”, durante il quale le interviste sono state trasformate in un fumetto, usando la metafora dei super eroi, con l’obiet­ tivo di ridare centralità alle persone e al loro vissuto. In collaborazione con la APSP Residenza Valle dei Laghi di Cavedine è nata invece l’animazione “Lidia e il nonno Dante contro l’Alzheimer”, in cui una bambina si trova a fare i conti con un nonno vulcanico che però – a cau­ sa della malattia – comincia a fare cose strane e a non riconoscere più chi gli sta intorno. Su YouTube è pre­ sente con “Alzheimer in rete”, un canale in cui medici, infermieri, caregiver e volontari mettono gratuitamente in rete le loro competenze, consigli e testimonianze. Di prossima uscita, infine, “Le avventure spaziali del si­ gnor Gianni”, un cartone animato sviluppato insieme alla casa di riposo APSP Beato de Tschiderer di Trento che vuole invitare la comunità a diventare attiva e re­ sponsabile nei confronti delle persone con demenza.

“Dov’è sparita Betty?” se lo chiede l’attrice trenti­ na Maria Corradini, protagonista dell’omonima pièce teatrale firmata dalla regista Jennifer Miller e ispirata al romanzo “Elizabeth è scomparsa” di Emma Haley. L’opera – in un continuo e toccante incontro tra attuali­ tà e ricordi – indaga attraverso tre figure femminili ciò che può succedere quando in una famiglia arriva l’Alz­ heimer. Un percorso intimo che obbliga la matriarca, sua figlia e la nipote a confrontarsi con le nebulose della malattia, ma anche con la scomparsa irrisolta di un’amica, nel presente, e della sorella, cinquant’anni prima. Un doppio giallo in piena regola in cui l’anzia­ na protagonista Maud e le sue caregiver si contendono l’attenzione dello spettatore assieme a un fantasma e a un assassino. Presentato per la prima volta nel 2018, lo spettacolo – Covid permettendo – tornerà presto in scena per sensibilizzare il pubblico sulla necessità di accompagnare nella battaglia contro l’Alzheimer non solo i pazienti, ma anche le famiglie che – con fatica – cercano di mantenere vivo dentro di sé il ricordo di com’era il loro caro prima della malattia.

“Mia madre è una brava bambina”. Sembra una contraddizione in termini e invece è il titolo dell’ultimo romanzo del commediografo rovere­ tano Leonardo Franchi­ ni. Edito da Eclissi (2021) racconta di come i figli dei malati di Alzheimer si trovino a diventare padri e madri dei loro stessi genitori. Il tono è delicato, a tratti ironico e spensierato, perché l’obiettivo è quello di provare a tirar fuori qualcosa di buono anche dalla spirale buia della malattia. I protagonisti della narrazione sono una strana coppia, ovvero una signora di 76 anni e un uomo di 47. Lei, la mamma, premurosa fino al limite dell’invadenza. Lui, il figlio, un po’ comodo e un po’ rassegnato. All’inizio vivono sotto lo stesso tetto due esistenze separate, che si urtano, si ignorano e a mala­ pena si sopportano. Le cose, però, cambiano quando all’anziana viene diagnosticato l’Alzheimer e le figlie femmine rifiutano di prestarle assistenza. Al protago­ nista non resta dunque altra scelta se non intrapren­ dere un viaggio che – scandendo a ritroso le tappe della regressione allo stato infantile tipica della ma­ lattia – lo porta ad abbandonare il ruolo di figlio per trasformarsi in padre e marito della donna che gli ha dato la vita. Un’esperienza straniante, capace però di restituirgli un sentimento che credeva perduto, ovve­ ro l’affetto cieco dei bambini piccoli, per cui il mondo comincia e finisce là dove c’è la mamma.

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INNOVAZIONE SOCIALE

PER PRENDERSI CURA DI UN ANZIANO CI VUOLE UN “VILLAGGIO”

Febbraio 2022 - n.1 a cura di Martina Dei Cas

Parola del neuropsicologo Livio Dal Bosco che alla RSA di Volano ha promosso un innovativo progetto pilota per il miglioramento della qualità della vita delle persone con decadimento cognitivo

Un famoso proverbio sostiene che «per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio». Lo stesso dovrebbe valere per gli anziani. Prendersi cura di loro con dignità, cercando di preserva­ ne l’indipendenza e di rallentare il de­ cadimento cognitivo, è un compito che la comunità tutta dovrebbe assumersi. «I benefici di un simile rovesciamen­ to di paradigma – assicura il direttore della RSA Opera Romani di Volano Livio Dal Bosco – sono doppi, perché oltre garantire un trattamento più etico degli anziani comportano un significa­ tivo risparmio della spesa sanitaria». E dal novembre scorso, proprio a Vola­ no, è attivo un rivoluzionario progetto pilota pronto a dimostrarlo. Direttore Dal Bosco, come è nata l’idea di costruire un vero e proprio villaggio per ospitare le persone con decadimento cognitivo? L’opportunità si è presentata cin­ que anni fa. Con la costruzione della nuova RSA di Volano e grazie a un forte contributo del settore della neu­ ropsicologia clinica – a cui io stesso appartengo – abbiamo infatti deciso

di allestire un ambiente protesico per le persone con questo tipo di disturbi. Cos’è un ambiente protesico? È il contesto fisico e sociale in cui è immersa la persona con demenza. Nel nostro caso, non parliamo di una casa di riposo, bensì di un vero e proprio villaggio – unico in Italia per rapporto pazienti/spazi – con tanto di trattoria, stazione ferroviaria, caf­ fetteria, parrucchiere, cinema, giar­ dino degli olivi, strade e due piazze. Al suo interno tutto è personalizzato. Gli ospiti non vanno in sala da pran­ zo, ma al ristorante. Non vivono in stanze, bensì in case contrassegna­ te da numero civico e bussola delle lettere. Anche gli alloggi sono unici, mirano a ricreare l’ambiente familia­ re di provenienza. C’è chi si porta un armadio, qualcun altro il comodino. Un cambiamento di linguaggi che – di fatto – diventa un cambiamento di sostanza. Esatto, perché la vita quotidiana nel villaggio non è preorganizzata, ma ricalca quella vissuta fuori dal­

la residenza protetta. Ciò significa che non ci sono schemi fissi, tabelle con attività standard uguali per tut­ ti. L’ospite si gestisce come faceva prima. Può decidere di andare al parco, a bere un caffè in piazza, op­ pure affrontare un viaggio – virtua­ le – in treno. Fuori dal finestrino, che di fatto è un maxischermo, scorrono le immagini dei paesaggi della tratta che ha scelto di intraprendere e que­ sto stimolo diventa un’occasione per mobilitare le emozioni, i ricordi, sti­ molando la memoria e rallentando il decadimento cognitivo. Più che di costruire un villaggio, quindi, si è trattato di decostruire l’approccio assistenziale tradizionale alla cura delle demenze. Sì, io dico sempre che quella del villaggio è un’organizzazione lavo­ rativa fluida. Non ci sono turni fissi, schemi rigidi, né un confine netto tra famiglie e operatori. È la comunità tutta che cura. Lo staff non timbra il cartellino, ma si organizza in autono­ mia in base alle necessità degli ospiti. Il progetto, quindi, va a migliorare

contemporaneamente il benessere del paziente e del dipendente, che si sen­ tirà maggiormente responsabilizzato, motivato e facilitato nella possibilità di conciliare famiglia e lavoro. Quanti ospiti ci sono nel villaggio? Venti, su un totale di ottanta posti letto disponibili alla RSA di Volano. Nel villaggio – sempre in collega­ mento con l’Università di Bergamo per l’implementazione dei protocolli di cura – lavora uno staff variegato, composto da due neuropsicologi, fi­ sioterapista, infermiere, educatore professionale e operatori sociosanita­ ri. Gli ospiti sono divisi in due nuclei di dieci, il primo con compromissio­ ne lieve e il secondo con compro­ missione moderata. Noi ci poniamo come obiettivo quello di restituirli al domicilio. Le persone, infatti, pos­ sono stare al villaggio anche per un periodo – per esempio se il care gi­ ver sta attraversando un momento di difficoltà – per poi tornare però nella propria abitazione. Quali sono i costi e i benefici di un progetto come quello del villaggio? Il villaggio poggia le fondamenta su un investimento da 1,5 milioni di euro. Ma numerosi studi statunitensi mostrano come rallentare il decadi­ mento cognitivo non faccia bene solo all’etica – cosa, peraltro, di primaria importanza – ma sia un investimen­ to intelligente. Si stima infatti che per ogni anno di rallentamento cogniti­ vo, vi sia un risparmio della spesa sociale-sanitaria pari a cinquantami­ la dollari.

Per maggiori informazioni: Livio.Dalbosco@operaromani.it

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PAGINA DI PUBBLICA UTILITÀ PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

Sono risultato positivo al tampone: che fare?

Ecco tutti i passaggi dalla certificazione della malattia da Covid-19 alla guarigione Le procedure cambiano, così come i tempi dell’isolamento e della quarantena, che oggi sono strettamente legati allo stato vaccinale del singolo. Ecco come districarsi tra le nuove regole.

Quando si hanno sintomi riconducibili al Covid-19 (tosse, raffreddore, congiuntivite, mal di testa etc.) è bene sentire il proprio medico curante per valutare l’opportunità di fare un tampone antigenico rapido (nelle farmacie o dal medico stesso). Il risultato è disponibile su TreC+ (dopo poche ore nel caso di un antigenico, 24/48 ore nel caso di un molecolare): per consultarlo bastano il codice consegnato al momento dell’effettuazione del tampone, tessera sanitaria e codice fiscale. In caso di esito positivo del tampone antigenico non è più necessario fare un tampo-

ne molecolare di conferma entro le 72 ore. Allegati al referto positivo si trovano – il giorno successivo – il certificato di isolamento e i codici per prenotare in autonomia sul CUP online, in settima e decima giornata (ed eventualmente in quindicesima) il tampone antigenico di guarigione in farmacia. Il tampone può essere fatto anche dal proprio medico o a pagamento nelle farmacie o nei centri privati abilitati. Per certificare la guarigione di un contagiato dal Covid-19 basta dunque anche un tampone rapido negativo, indipendentemente dallo stato vaccinale.

Quanto dura l’isolamento? Secondo le nuove disposizioni ministeriali chi ha già fatto la terza dose («booster») o ha ricevuto l’ultima somministrazione da meno di 4 mesi (120 giorni) può ridurre l’isolamento da dieci a sette giorni, sempre con un tampone antigenico negativo (fatto dopo almeno tre giorni senza sintomi). Per tutti gli altri casi (guariti da meno di 120 giorni, vaccinati e guariti da più di 120 giorni, non vaccinati o vaccinati con ciclo incompleto o seconda dose da meno di 14 giorni) l’isolamento rimane di dieci giorni, con tampone antigenico finale. È comunque sempre possibile terminare l’isolamento con un tampone molecolare di guarigione (in questo caso va richiesto dal proprio medico). Con un tampone negativo di guarigione termina di fatto l’isolamento e si può rientrare in comunità. Il giorno successivo all’esito negativo del tampone saranno disponibili su TreC+ anche il certificato di fine isolamento e quello di guarigione (comunicato anche al Ministero per l’emissione del Green pass di guarigione). Il Green pass emesso poco dopo il tampone vale invece solo 48 ore (come di prassi). Il Green pass rafforzato di guarigione viene emesso solitamente 24/48 ore dopo il risultato negativo del tampone.


PAGINA DI PUBBLICA UTILITÀ PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

IL TRENTINO SI VACCINA

Ricordiamo le nuove regole per i contatti stretti (conviventi e non), in base allo stato vaccinale: • non vaccinati o ciclo primario incompleto o completato da meno di 14 giorni: 10 giorni più tampone antigenico finale; • ciclo vaccinale primario (prima e seconda dose) da più di 120 giorni (4 mesi) o guariti da più di 120 giorni: 5 giorni più tampone antigenico finale (purché asintomatici); • vaccinati terza dose («booster») o guariti da meno di 120 giorni o ultima somministrazione da meno di 120 giorni: non c’è necessità di quarantena e non devono essere fatti tamponi in assenza di sintomi. Va osservato un periodo di auto sorveglianza di cinque giorni e va utilizzata la mascherina FFP2 per dieci giorni. In caso di sintomi va fatto un tampone antigenico (eventualmente ripetuto dopo cinque giorni). I tamponi di uscita dalla quarantena per i contatti stretti/conviventi vengono prescritti dal medico curante, che va contattato anche nel caso in cui emergano sintomi e si rilevi la necessità di un test. I tamponi possono anche essere effettuati dal proprio medico o privatamente. La quarantena, quando prevista, può essere conclusa anche in 14esima giornata senza necessità di test. Queste nuove regole impongono necessariamente un richiamo alla responsabilità del singolo che, come contatto stretto di un positivo, deve osservare le norme e limitare i contatti non necessari quando non soggetto a quarantena. In questa fase pandemica di forte aumento dei contagi la Centrale Covid non chiama il positivo per la presa in carico, ma lo contatta dopo la guarigione per verificare eventuali necessità di certificati di isolamento nominali per i conviventi. Tutte le informazioni necessarie alla gestione dell’isolamento e alla prenotazione dei tamponi di guarigione sono presenti in allegato al referto del tampone positivo. L’isolamento viene di fatto esteso anche ai conviventi (quando previsto dallo stato vaccinale).

Ufficio stampa | Provincia autonoma di Trento

Quanto dura la quarantena dei contatti stretti/conviventi?

PRENOTA IL TUO VACCINO

cup.apss.tn.it I vaccini utilizzati contro il Covid-19 non sono sperimentali. Grazie ad un’accelerazione senza precedenti a livello mondiale hanno completato tutti i passaggi previsti dalle normali sperimentazioni, senza saltarne alcuna.

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO


Febbraio 2022 - n. 1

SALUTE E BENESSERE

LA MEDICINA DI GENERE: UN NUOVO APPROCCIO INCLUSIVO ALLO STUDIO DELLA SALUTE UMANA

a cura di Francesca Bortolin

L’Italia dimostra di essere all’avanguardia nel panorama internazionale nella promozione di un equo accesso alle cure per uomini e donne

MARKETING SAIT

Le persone sono tutte uguali? Cer­ tamente no: ognuno ha le proprie peculiarità caratteriali ma, prima di tutto, fisiche e anatomiche. Sebbene questa risposta possa sembrare scon­ tata, nella realtà molto spesso si tende ad appianare le differenze, con risul­ tati poco piacevoli. Un esempio signi­ ficativo in materia ce lo offre il campo della salute, dove ancora troppo spes­ so viene adottata una prospettiva “an­ drocentrica”, incentrata sul prototipo dell’uomo medio come oggetto di stu­ dio e approfondimento medico. Sin dall’antichità, la medicina ha in­ fatti abitualmente considerato la donna come “un piccolo uomo”, uguale in tutto e per tutto alla versione maschile, eccezion fatta per i soli aspetti correlati all’apparato riproduttivo e psicologico, in questo caso studiati maggiormente nelle donne, a discapito degli uomini. Ciò ha comportato negli anni la quasi totale esclusione del sesso femminile dagli studi condotti in ambito clinico e farmacologico, compresa la sperimen­ tazione a livello animale. Negli ultimi

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Immagine: Freepik.com

decenni è però stato scoperto che le dif­ ferenze fra corpo femminile e maschile vanno ben oltre la mera sfera riprodut­ tiva e, anzi, sono parecchio significa­ tive! Uomini e donne, infatti, possono presentare sintomi differenti e neces­ sitare di tipologie di diagnosi variabili per la stessa patologia. Ma le differen­ ze non finiscono qui, anche la reazione dell’organismo umano ai trattamenti terapeutici può risultare diversificata in

base al sesso di appartenenza: una cura può essere efficace per l’uomo ma ave­ re effetti minori, inesistenti o addirittu­ ra collaterali nella donna. Si parla, in questo caso, di “paradosso donna” per cui, sebbene le donne siano più longeve degli uomini, il tempo guadagnato è in realtà tempo di malattia: pur risultando le principali consumatrici di farmaci, godono di minori garanzie in termini di efficacia, tollerabilità e sicurezza. Per queste scoperte dobbiamo rin­ graziare la medicina di genere: risalente agli anni Novanta, questo nuovo ap­ proccio alla medicina ha l’obiettivo di studiare l’impatto di sesso e genere sul­ lo stato di salute e sullo sviluppo delle patologie umane al fine di garantire un equo accesso e una corretta e tempesti­ va prevenzione, diagnosi e cura a ogni singolo individuo. Anche il concetto di genere e la relativa stereotipizzazione dei ruoli femminili e maschili all’interno della società hanno infatti un impatto notevole sulla salute umana: se i report dell’INAIL nel quinquennio 2014-2018 indicano che gli uomini riportano più frequentemente infortuni sul lavoro ri­ spetto alle donne, queste ultime sono invece maggiormente soggette al ri­ schio di incorrere in incidenti domestici (66%) e allo sviluppo di sindromi an­ sioso-depressive provocate dallo stress dovuto agli sforzi per far combaciare le esigenze lavorative con il loro ruolo di principali care giver in famiglia. Sebbene appaia evidente l’importan­ za di un approccio attento al sesso e al genere nella salute, la medicina di gene­ re è una materia spesso poco nota anche agli esperti del settore e che gode anco­ ra di poca notorietà. Proprio per questo, le recenti posizioni assunte dall’Italia in materia ne fanno un grande esempio di inclusività nel panorama internaziona­ le: con l’adozione del recente “Piano per l’applicazione e la diffusione della me­ dicina di genere”, approvato nel giugno 2019 in attuazione dell’art 3 della legge 3/2018, l’Italia risulta essere il primo Paese al mondo a possedere una nor­ mativa in materia. Redatto con il sup­ porto di istituzioni e associazioni che da anni si occupano della materia a livello nazionale, il piano predispone una strategia d’azione che potenzia le seguenti aree: 1) attuazione di percorsi clinici di prevenzione, diagnosi e cura specializzati; 2) ricerca e sperimentazio­ ne incentrata sul genere; 3) formazione e aggiornamento del personale medico e degli studenti; 4) comunicazione e in­ formazione alla cittadinanza. Non ci resta che sperare di vedere al più presto gli effetti positivi di simili disposizioni, consapevoli dell’impor­ tanza di veder riconosciuto a ogni in­ dividuo l’inviolabile diritto alla salute.

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RIMANE L’INVERNO di Giacomo Carbonara Chiedo il divorzio. Sempre al solito posto. Mi dovevano avvisare, che il tempo sarebbe passato così velocemente. Mi sarebbe stato utile un manuale. Per poi accorgersi che la vita, con un manuale è tutta uguale. Un figlio come tanti, prende una spada e dice: “sono tuo padre”. Ma un padre ama. E non usa la lama. Il pane caduto a terra lo si bacia. Senza questi gesti, l’amore perde la sua efficacia. E adesso guardatevi negli occhi. Fanno male questi specchi. Un sentiero pieno di sassolini tolti da scarpe stanche. Scarpe di bambini uccisi dalle mani bianche. Sotto il cielo svedese iniziano il volo tre colombe. Partendo dal pavimento di una scuola. E adesso il sole le divora. Una chiesa investita dal colore, non è una chiesa, ma un miracolo. E questa chiesa sotto il monte, mi fa dimenticare ogni ostacolo. Nelle difficoltà e nella bravura. Il rispetto deve essere di egual misura. E io non mollo. Non discrimino i giorni brutti. Perché si sa che son quelli, che poi daranno i frutti. Ma figurati se qui ascoltano. Qui si discriminano anche le persone. E poi in un amen, le si lasciano sole. Qui rimane l’inverno. In questo mondo moderno. Dove contano più i pixel, che le stelle. Quando la libertà, la danno proprio quelle. E quando i pagliacci non faranno più paura, la notte non sarà più scura. E quando le uova di dinosauro, cesseranno di esistere. Allora la terra, sarà un posto migliore in cui nascere.


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SOCIETÀ

AMICI DI VIAGGIO PER SOSTENERE CASA MIHIRI Quando amicizia, viaggi e solida­ rietà si incontrano. Da una vacanza in Sri Lanka nel 2001, Mario Libera­ li, Maurizio Boscheri e un gruppo di amici trentini sono tornati con due convinzioni. Uno: essersi innamo­ rati irrimediabilmente di quei posti meravigliosi. Due: volersi attivare concretamente per aiutare chi lì ci vive, spesso in condizioni di grave disagio e svantaggio sociale. Da que­ ste motivazioni nasce l’associazione roveretana Amici di Casa Mihiri on­ lus, che da una ventina d’anni si im­ pegna a divulgare e sostenere Casa Mihiri (Mihiri Gedara in lingua ori­ ginale), una casa famiglia per bimbe e ragazze fondata e tutt’ora super­ visionata da Anton Lorenzo Bacci a Walahanduwa, nel distretto di Galle, nel sud dello stato insulare dell’Asia meridionale. Si conoscono da una vita, Mario e Maurizio. Il primo, manager azien­ dale; il secondo, artista per la natu­ ra. Insieme, hanno girato il mondo. In Sri Lanka vengono a contatto con «un’isola fantastica», racconta Li­ berali, presidente della onlus, «con tanta natura e tanti parchi». E con un

italiano che già opera in quel Paese, portando avanti un progetto di assi­ stenza e scolarizzazione rivolto spe­ cialmente alle bambine. Sorge qui la volontà di sostenere questa impresa, parlandone ad amici e conoscenti e raccogliendo fondi. Cos’è, nel concreto, Casa Mihiri? Una struttura che accoglie una ven­ tina di bambine e ragazze tra i sei e i vent’anni, orfane o provenienti da situazioni famigliari pesantissime, devastanti, anche di abusi. La fa­ scia più debole e indifesa della po­ polazione. Qui le fanciulle trovano una famiglia allargata, una piccola comunità, che consente loro di fre­ quentare la scuola pubblica e di es­ sere accompagnate in un percorso di recupero fisico ed emotivo. Con l’obiettivo di renderle autonome ed emancipate e permettere loro di aprirsi un futuro migliore. Raccon­ ta ancora Liberali: «In qualche caso purtroppo non è andata bene, ma ci piace ricordare i buoni casi di suc­ cesso: ci sono ragazze che uscite si sono sposate, hanno messo su fami­ glia; altre sono andate a lavorare, una è entrata in polizia». Soprattut­

Le ragazze di Casa Mihiri con Anton Lorenzo Bacci e la “house mother”

a cura di Ivan Ferigo

Maurizio Boscheri

Mario Liberali

to, nonostante vengano da contesti spesso drammatici, queste fanciulle «hanno un grado d’apprendimen­ to molto alto, sono curiose. Sempre sorridenti e contente. A Casa Mihi­ ri entrano in un ambiente protetto, armonico, colorato, piacevole, dove trascorrere infanzia e adolescenza e seguire serenamente gli studi». Al punto che «ogni volta che c’è un nuovo arrivo, tutte le bimbe fanno cerchio, aiutano la nuova arrivata. È proprio come venissero accolte in una famiglia, dove con il buon sen­ so si cerca di farle uscire dai loro problemi, di rendere loro la vita più normale». Come si può sostenere il proget­ to? Una possibilità è fare come Bo­ scheri: «Il mio contributo? Divulga­ re l’esistenza di questa realtà in Sri Lanka, alle mie mostre. Chi segue la mia arte è spesso diventato sosteni­ tore di Casa Mihiri. Un paio d’anni fa Cristina Sperandio ha scritto la mia biografia “Le parole non servono”: il ricavato è tutto devoluto a Casa Mihiri. Inoltre, i frequenti viaggi in

Sri Lanka, dove ci sono bellissimi animali, sono stati fonte d’ispirazio­ ne per molti miei quadri». Si può altrimenti contribuire con un versamento sul conto dell’as­ sociazione: tutti i fondi vanno di­ rettamente a Casa Mihiri. Oppure – se c’è la volontà e la possibilità di viaggiare – portando materialmen­ te qualcosa alla struttura. Pandemia permettendo, dopo due anni, Mario e Maurizio torneranno in Sri Lanka a febbraio, per tre settimane. Mai come in questo momento di crisi e sofferenza a livello mondiale – tan­ topiù dove ci sono povertà e disagi sociali – è ora di sostenere una cau­ sa come questa.

LA PACE NON ESISTE

La pace non esiste. Esiste, sem­ mai, una temporanea sospensione di guerra guerreggiata, violenta, ma il conflitto, il contrasto, è naturale, on­ nipresente. E il pacifismo? Sta in toto

dentro la dicotomia amico-nemico, destra-sinistra, di qua o di là. Sembra un paradosso ma la pace è impura. Piena di compromessi, bi­ lancini, dare-avere. Nelle conferenze di pace bisogna essere fondamen­ talmente dei mercanti impuri per sedere ai tavoli di pace. Essere suffi­ cientemente cinici. Nelle conferenze stampa post tentativi di dialogo ven­ gono citati i diritti umani, quelli am­ bientali e persino l’agenda 2030, ma la Pace la si fa sempre tra ingordi. E scontenta tutti. Ci si siede al tavolo solo quando si riconosce nell’altro una qualche ra­ gione, una qualche verità. Si raggiun­

Sede: Amici di Casa Mihiri Onlus, c/o Mario Liberali, via Dante 28, 38068 Rovereto (TN) Sito: amicidicasamihiri.org Telefono: 349 4424030 Mail: info@amicidicasamihiri.org Facebook: Amici Di Casa Mihiri

a cura di Fabio Pipinato

ge una sorta di tregua perché stiamo perdendo francamente troppo in ter­ mini di vite umane, opere d’arte, siti Unesco, denari privati. Come uscirne? Assieme. Come di­ rebbe don Milani. E qui entriamo nel regno della diplomazia. Anche qui la pace non esiste, semmai si costruisce un percorso tortuoso per darsi a tur­ no la parola ma l’odio e la cattiveria la fanno da padroni per anni; per ge­ nerazioni. E allora? Allora ci si deve allenare al conflitto. A riconoscerlo, a coabita­ re, a gestirlo possibilmente in manie­ ra nonviolenta certi del nostro proba­ bile fallimento.

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Allora il conflitto va insegnato sin da bambino che bisticcia un giorno sì e l’altro anche. L’educazione compor­ tamentale dovrebbe accompagnar­ ci come l’educazione civica che, per l’appunto, è bistrattata. Dovremmo imparare a occuparci dell’oggetto del contendere, a gestire l’aggressività, a darci equo tempo di parola. E cosa avrò imparato dal conflitto? A gestire ancora meglio il prossimo conflitto come suggerisce Ugo Morelli nel suo “Il Conflitto”. E la pace? Il “si vis pacem para bellum” non basta. Ora dovremmo educarci al conflitto con il “si vis pa­ cem para pacem”.

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Febbraio 2022 - n. 1

CULTURA

LA RIVOLUZIONE DELLE CANTAUTRICI Alla scoperta del nuovo mondo del cantautorato al femminile Di recente si sta assistendo a un boom del cantautorato al femminile. Non che prima le cantautrici non ci fossero, ma provate a chiedere a un passante in strada di dire il primo nome di cantautore che gli viene in mente. Vedrete che risponderà De Andrè o Guccini o De Gregori. Forse, se il passante fosse un ventenne po­ trebbero uscire nomi come Calcutta o Sferaebasta. Ma non sono cantautrici. Eppure, a partire dagli anni Novan­ ta qualcosa è cambiato. Molto timida­ mente. Carmen Consoli, Paola Turci, Dolcenera… questi e altri nomi hanno incominciato a “girare” nelle radio, nei festival e nelle grandi manifesta­ zioni, assumendo posizioni di rilievo nella discografia e raggiungendo qua­ si la stessa visibilità e riconoscibilità dei colleghi maschi. Così, la cantautri­ ce ha cominciato a prendere forma, ad avere un viso, una riconoscibilità. Non è sicuramente un mistero che io appartenga a questa categoria, al mon­ do delle cantautrici. La mia carriera pro­ fessionale è iniziata nel 2009 e, nell’arco di più di dieci anni ho assistito a impor­ tanti cambiamenti, tra cui l’incremento della presenza femminile nel mio set­ tore. I primi anni mi sentivo un po’ una “mosca bianca”. Era raro incontrare colleghe, cantautrici e musiciste che vi­ vevano totalmente della propria musica, suonando anche in strada. In Trentino, al di là del genere, era quasi impossibi­ le trovare cantautori che avessero fatto una scelta così radicale. Ricordo bene lo scalpore destato da una mia intervista dove dicevo che avevo lasciato un la­ voro normale come addetta stampa per campare di musica, suonando in strada e riuscendo così a pagarmi affitto e bol­ lette a Bologna. Forse anche per il fatto di girare per tutto lo stivale e di vivere in una città musicalmente vivace come Bologna ho conosciuto, nel corso degli anni, moltissimi cantautori e cantautrici come me con cui ho potuto confrontar­ mi su terreni ed esperienze comuni ed ho smesso di sentirmi una mosca bianca. A volte, sono stata invitata a parte­ cipare a festival musicali al femminile

In foto Maria Devigili. Il suo programma “Ecce Cantautrice” si può ascoltare in streaming su radiotandem.it e in podcast su mixcloud.com/eccecantautrice

che negli ultimi anni sono diventati una realtà consolidata. Penso ad esempio al “Lilith Festival” di Genova, primo festival della musica d’autrice in Ita­ lia. Prima di essere un Festival, Lilith è un’associazione culturale fondata nel 2010 dalle cantautrici genovesi Sabrina Napoleone, Cristina Nico e Valentina Amandolese il cui obiettivo, come recita il sito, è quello di «rivolgere un’attenzio­ ne particolare alle donne e ragazze che negli ultimi anni stanno rinnovando la tradizione della canzone d’autore orga­ nizzando eventi e iniziative che danno spazio ai nuovi talenti della musica d’autrice di tutt’Italia». Di recente Lilith è diventata anche etichetta discografica e tra le ultime uscite si trova “Esistere” il primo disco di Serena Diodati. Sempre rimanendo in tema di eti­ chette al femminile, la cantautrice rimi­ nese Chiara Raggi ha da poco fondato il brand nonché label tutta al femminile “Musica di Seta” con l’obiettivo di «crea­ re un luogo in cui le cantautrici possano trovare un modo di lavorare rispettoso della musica e della persona. Una casa in cui crescere e costruire il proprio futu­ ro». Le iniziative che vedono musiciste indipendenti protagoniste sono molte e sembra che questo periodo di pandemia con la grande crisi che ha portato abbia anche rafforzato il legame e la solida­ rietà tra chi è «nella stessa barca».

Altra uscita tutta al femminile del 2021 è stata la compilation “Cambiamo Musica”, un album contenente le can­ zoni di tante cantautrici bresciane come Claudia is On the Sofa, Sea Faint e Lau­ ra Lalla Domeneghini, il cui ricavato è stato destinato a sostenere la Casa di ac­ coglienza per donne vittime di violenza “Felicia Bartolotta”. Oltre alle compilation non sono mancati i libri sul tema donne e musi­ ca. Sto parlando di “Femita - Femmine Rock dello Stivale” della speaker radio­ fonica Laura Pescatori, che è partita da alcuni interrogativi come «C’è sessismo nella musica?» e «In che modo viene discriminata artisticamente la donna oggi?». Del resto, anche la scorsa esta­ te con il parziale ritorno dei festival in presenza, era impossibile non notare la preponderanza di presenza maschile e talvolta la totale assenza di artiste. Ma i progetti che ruotano intorno a questo tema non terminano qui. Esiste, per esempio, il collettivo “Unica, Can­ tautrici Unite”. Ho chiesto a Elisa Bo­ nomo, cantautrice fin da subito attiva nel movimento di parlarmene: «Unica è nata sull’onda della pandemia da un’idea della cantautrice Sara Romano per creare una rete di sostegno e sup­ porto per le attività delle cantautrici. Ad oggi siamo in contatto con l’Istituto Mutualistico per la tutela degli artisti

NON TI SENTO MA TI ASCOLTO

La sordità è forse l’unica disabili­ tà invisibile. Questo è un vantaggio o uno svantaggio? A questa doman­ da risponde con un libro tagliente il dottor Mauro Mottinelli. Psicologo sordo, psicoterapeuta e psicopatolo­ go forense ci racconta, con vibrante ironia, il suo percorso di vita, sco­

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lastico e medico. Tonino Carotone intonava «è un mondo difficile», fosse stato sordo avrebbe cantato «è un mondo molto difficile». Sì, pro­ prio cantato, perché i sordi hanno la voce e molto spesso la usano. Can­ cellate dal vostro dizionario la pa­ rola errata sordomuto. Questo è il primo dell’infinità di pregiudizi che si affrontano nella pubblicazione. Continuando con: sordo e stupido non sono sinonimi in nessuna lin­ gua al mondo. Una persona che non sente può lavorare come psicologo e vivere un’esistenza brillante. Nel teatro delle esperienze di Mauro

ogni atto intreccia la sordità con le peculiarità del periodo che vive. Fil rouge di tutto la LIS, Lingua dei Se­ gni italiana, che oltre ad essere, nel maggio 2021, riconosciuta dalla Re­ pubblica italiana è simbolo e collan­ te della cultura sorda. «Questo libro è a metà tra uno scherzo, un’auto­ biografia, un memoir e una guida a una comunità parecchio silenziosa ma colorata, vivace e aperta». C’è una sonora leggerezza in questa pubblicazione. È un libro da leggere per accettare con più consapevolez­ za la realtà comprendendo meglio i rumori e i silenzi dell’anima.

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a cura di Maria Devigili

interpreti ed esecutori e il nostro obiet­ tivo è quello di fungere da osservatorio permanente sulla situazione lavora­ tiva delle musiciste e cantautrici con attività di mentoring e formazione, oc­ casioni di collaborazione tra le artiste del settore». Arriviamo ora a parlare di “format” e rassegne a tema. Non potrei non menzionare “Because The Night. La notte delle Cantautrici”, un bellissimo progetto di Marian Trapassi che è sia un “programma” in cui lei in­ tervista delle cantautrici sul suo canale Instagram, sia una rassegna live al Ga­ rage Moulinski di Milano. «L’intento di Because the Night – scrive Marian, lei stessa cantautrice con diversi album alle spalle – è quello di porre l’attenzio­ ne sul cantautorato femminile, spesso poco presente nelle scene musicali uf­ ficiali e che in realtà è molto ricco di protagoniste interessanti le quali, gra­ zie anche al fatto di muoversi in circui­ ti indipendenti, mantengono spesso la libertà creativa che permette loro di av­ venturarsi su sentieri artistici originali e poco battuti». Per finire, parliamo di un altro for­ mat radio dedicato alle cantautrici, che mi vede come ideatrice e conduttrice. Si tratta di “Ecce Cantautrice” e va in onda dal febbraio 2021 su Radio Tan­ dem in FM a Bolzano. Perché un pro­ gramma del “genere”? Perché penso che la cantautrice sia una figura relati­ vamente recente nella musica italiana, oltre ad autrice e cantante, spesso è an­ che musicista, compositrice, producer, manager di se stessa e sarebbe vera­ mente minimizzarla se considerassimo solo le sue doti canore. Le doti canore sono importanti ma sono solo una punta dell’iceberg per chi scrive, suo­ na, compone, arrangia e fa altre mille cose in una canzone. In “Ecce Cantau­ trice” metto sottosopra quell’iceberg e lo faccio con l’approfondimento, il mezzo migliore per conoscere vera­ mente il mondo e noi stessi. Le cantau­ trici sono lo “specchio delle donne dei nostri giorni”, creative, indipendenti e intraprendenti. Non perdiamo l’occa­ sione di conoscerle.

a cura di Samuele Maranelli


SPORT E TEMPO LIBERO

VANNI ODDERA IL PILOTA IN CORSIA CHE CON LA “MOTOTERAPIA” RESTITUISCE IL SORRISO AI PAZIENTI PEDIATRICI che una persona può fare. Certo non guarisce, ma offre la pos­ sibilità di “go­ dersi un tempo di qualità”. La moto è sinoni­ mo di libertà già per i normodo­ tati. Quando la Vanni Oddera si esibisce nella “motocross freestyle” porti in ospeda­ Vanni Oddera è nato in «un pae­ le, diventa un circo. Ti dimentichi di sino arroccato sull’appennino ligure essere costretto tra quelle mura. E poi fra Genova e Savona» nel 1980 e sin c’è l’aspettativa. Ad esempio, la pros­ da piccolo ha vissuto una vita speri­ sima settimana vado in un ospedale colata fra boschi e montagne. Oggi ad Ancona e già mi hanno mandato i lo conosciamo come campione di video dei bambini che giocano con le motocross freestyle, una disciplina moto e chiedono di me. Insomma, la che prevede l’esecuzione da parte mototerapia non si consuma in poche del motociclista di spettacolari acro­ ore, ma dura giorni e giorni. Prima, bazie ad altezze di anche diciotto durante e dopo. metri. Sicuramente un percorso che Possiamo dire quindi che gli efgli si addice. Dal 2008, Vanni porta l’ebbrezza e il senso di libertà della fetti sono soprattutto psicologici. Esatto. Per esempio, una ricerca moto anche a bambini e ragazzi con disabilità grazie alla cosiddetta “mo­ scientifica che abbiamo svolto all’O­ spedale pediatrico Regina Margheri­ toterapia”. ta di Torino per la durata di un anno Vanni, quali effetti ha la “moto- evidenzia come stare bene, avere un terapia” sui giovani che incontri in buon numero di endorfine e tenere viva l’adrenalina riduce il numero di ospedale? La “mototerapia” migliora la qua­ pillole anti-vomito che si prendono lità di vita, come tutte le cose belle durante la chemioterapia.

Cosa puoi raccontarci, invece, dei viaggi che avete organizzato assieme ad alcuni ragazzi disabili e malati terminali, chiamati “Paura e Delirio”? Abbiamo deciso di organizzare que­ sti viaggi che durano giorni, nei quali portiamo i ragazzi oncologici e disabili a fare le sciocchezze e le pazzie che tut­ ti abbiamo fatto durante la giovinezza. Tante persone non hanno potuto farlo a causa di una malattia o una disabilità. Dare ai ragazzi la possibilità di “esage­ rare” e magari anche fare qualche pic­ colo sbaglio è il nostro obiettivo. Secondo te, quale ruolo giocano i pregiudizi quando parliamo di disabilità e inclusione? Penso che chi protegge in manie­ ra esagerata i ragazzi disabili li ucci­ da prima. Questa campana di vetro va demolita. Devono essere trattati come noi. Non c’è differenza, siamo tutti uguali. Ognuno deve poter fare ciò che ama fare, senza precludersi nulla. Solo così l’autostima si alza. Cosa hai imparato dai ragazzi con i quali sei entrato in contatto durante la mototerapia? Ho imparato l’umanità, che ormai è andata persa nella vita quotidiana, il profumo della vita. E infine ho impa­ rato che dare è più bello che ricevere.

IL BUONCONSIGLIO DI TRENTO Un castello da “vedere” attraverso mani e orecchie

Viaggi

barriere senza Fa più rumore un albero che cade rispetto a una foresta che cresce. E su questo giornale ne siamo testimoni. Tante volte abbiamo – doverosamen­ te – segnalato i malfunzionamenti della nostra società e le situazioni di inaccessibilità che impediscono alle persone con disabilità la piena parte­ cipazione alla vita pubblica. E tante altre continueremo a farlo. Con la nuova rubrica “Viaggi sen­ za barriere”, però, vogliamo cam­ biare prospettiva, abbandonare per mezza pagina il marasma dei mal­ funzionamenti e segnalare i progetti pilota che musei, associazioni, strut­ ture ricettizie, impianti sportivi, mez­

zi di trasporto, enti locali e privati cittadini stanno portando avanti per diventare ogni giorno più inclusivi. Piccole dritte, insomma, per orga­ nizzare una gita o una vacanza sbar­ rierata. Cominciamo dalla nostra città, Tren­ to, e da uno dei suoi monumenti sim­ bolo, il castello del Buonconsiglio, dove nel corso degli anni sono stati messi a punto nuovi interventi per la rimozio­ ne delle barriere architettoniche e la fruibilità degli spazi da parte di diversi tipi di pubblici. Tra questi, troviamo per esempio i nuovi percorsi di visita per ciechi e ipovedenti con l’elaborazione di supporti e grafiche tattili mobili, le iniziative rivolte alle persone sorde con la presenza di interpreti LIS (Lingua Ita­ liana dei Segni) e le attività pensate per le persone con disagio psichico, demen­ ze e disabilità psico-fisiche. Solo parziale, invece, lo sbarriera­ mento degli spazi. Il castello, infatti, non si può visitare in carrozzina, anche se i primi segnali in questa direzione sono arrivati dai giardini, dalla biblio­ teca, dalla caffetteria e dalle cantine af­ frescate clesiane, resi accessibili anche alle persone con mobilità ridotta. Tra gli spazi sbarrierati del maniero, troviamo poi la Sala del Buonconsiglio,

un ambiente multimediale dotato di videoinstallazioni che offre modalità interattive per scoprire la storia della città di Trento e trovare informazioni utili a orientare la visita all’interno del castello. Proprio in questa sala, nel set­ tembre scorso, è stato inaugurato un plastico multisensoriale, ricostruzione 3D tattile del castello che mira a favo­ rire la conoscenza dell’edificio e dei percorsi di visita anche ai visitatori con limitazioni sensoriali. Il plastico – costruito nell’ambito del progetto «Museo accessibile» finanzia­ to grazie al Bando per lo sviluppo digi­ tale della cultura promosso dalla Fon­ dazione Caritro e con il sostegno di Itas Mutua – è frutto di un lavoro lungo un anno che ha visto impegnati un gruppo di lavoro interno, il Centro Interdipar­ timentale Mente/Cervello dell’Univer­ sità di Trento, l’Ente Nazionale Sordi sezione di Trento, l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS-APS Sezione Territoriale di Trento, l’ABC IRIFOR del Trentino e un panel di per­ sone con difficoltà sensoriali, divise in focus group finalizzati a individuare le soluzioni digitali più efficaci. Visitatori ciechi e ipovedenti, sordi e ipoacusici, appartenenti alla comunità locale o nazionale, hanno contribuito a fornire

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Febbraio 2022 - n.1 a cura di Michele Anastasia

Vanni, il 10 novembre 2021, nel reparto di oncologia pediatrica dell’ospedale Salesi di Ancona

L’obiettivo del pilota è sfatare gli stereotipi che impediscono ai giovani con disabilità di “vivere appieno”

a cura di Martina Dei Cas

osservazioni e suggerimenti e verifica­ re la funzionalità di alcune soluzioni, la cui realizzazione è stata affidata a 490 Studio s.r.l. Scopo dell’iniziativa era quello di ridurre il diaframma percettivo legato all’uso esclusivo della vista, stimolan­ do altre dimensioni sensoriali, come quella tattile e acustica: si è voluto così facilitare l’accesso alle informazioni per il pubblico con difficoltà visive e/o uditive e, al tempo stesso, promuovere un approccio attivo e curioso da parte del pubblico comune. Il modello è rea­ lizzato in materiale plastico con textu­ re diverse per permettere un’esplora­ zione tattile che aiuti la comprensione dell’edificio nella sua articolazione, reso esplicativo grazie all’allestimen­ to di animazioni luminose, spiegazioni audio e info-grafica, video-descrizione in LIS, corredata da sottotitoli. Tutti i dispositivi sono attivabili direttamente dal visitatore che potrà così vivere una suggestiva esperienza propedeutica all’accesso agli ambienti museali. Per informazioni, contattare i Servizi educativi del museo: education@buonconsiglio.it tel. +39 0461 492811

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