Prodigio ottobre 2021 Il clima che cambia

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pro.di.gio. BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ODV SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP

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Ottobre 2021 - n.5

Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Trento. Contiene I.R.

NUMERO V - OTTOBRE 2021 - ANNO XXII - 128° NUMERO PUBBLICATO

IL

CLIMA CHE CAMBIA Quando abbiamo iniziato a filtrare il mondo? pag. 3 L'innalzamento delle temperature raccontato dal meteorologo Dino Zardi pag. 4 Il forest bathing per malati oncologici con Camilla Costa pag. 5 Oscar De Pellegrin, un uomo che fa centro pag. 11

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Ottobre 2021 - n.5

IN EVIDENZA

EDITORIALE

Direttore responsabile Martina Dei Cas

Care lettrici e cari lettori, Mentre impaginiamo questo numero, a Tenerife il vulcano Cumbre Vieja continua a eruttare devastando l’isola e i giovani della Youth4Climate sono riuniti in una grande conferenza a Milano per chiedere ai potenti del mondo di fare meno parole e più fatti per proteggere l’ambiente. Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo quindi deciso di interrogarci sul clima che cambia intorno a noi. Abbiamo intervistato il meteorologo Dino Zardi per capire come l’aumento delle temperature inciderà sulle stagioni e poi siamo passati dal clima atmosferico a quello sociale, chiedendoci come la pandemia abbia inciso sul nostro modo di pensare e di interfacciarci con gli altri, in particolare con i disabili.

Abbiamo parlato di nuove solitudini e indigestione da social network e studiato la figura di Albert Sabin, il medico che rinunciò a brevettare il vaccino antipolio per lasciarlo in dono ai bambini di tutto il mondo. Infine, abbiamo scelto di lasciarci ispirare da due storie discrete; eppure, straordinarie: quella dell’arciere paralimpico Oscar De Pellegrin, portabandiera dell’Italia a Londra 2012 e quella della poliziotta Camilla Costa, oggi scrittrice e fondatrice di un bed&breakfast molto speciale, che utilizza la disciplina giapponese dei «bagni di foresta» per migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici. Nel mese della prevenzione e lotta contro il cancro al seno, ci sembrava infatti fondamentale ricordare l’importanza degli screening e condividere la sua esperienza di resilienza di fronte a

una malattia che in Italia colpisce quasi cinquantamila donne ogni anno. Per tornare sul leitmotiv iniziale del clima che cambia e si fa più inclusivo solo se tutti noi ci impegniamo in prima persona per farlo cambiare, vi ricordiamo infine che è possibile preordinare il calendario 2022 della nostra associazione, realizzato con dodici bellissime fotografie donate a titolo gratuito dai finalisti e vincitori del Premio Melchionna per provare a scardinare, anche nei trecentosessantacinque giorni che verranno, le barriere architettoniche e culturali che ancora circondano la disabilità e la diversità! Grazie di continuare a sostenerci in questo e buona lettura!

VIVI L’INCLUSIONE OGNI GIORNO! Richiedi una copia del nostro calendario da muro 2022 all’indirizzo: associazione@prodigio.it

* con una piccola offerta di 5 euro destinata a sostenere i nostri scopi associativi, il calendario in formato A4, 12 mesi, arriverà direttamente a casa tua senza spese di spedizione

Abbonamento annuale (6 numeri) Proprietà: Associazione Prodigio Odv Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Sito Internet: www.prodigio.it E-mail: associazione@prodigio.it Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana) Direttore responsabile: Martina Dei Cas Hanno collaborato a questo numero Luciana Bertoldi, Ugo Bosetti, Giacomo Carbonara, Stella Diluiso, Ivan Ferigo, Samuele Maranelli Credits copertina: foto Graham Holtshausen (Unsplash), elaborazione Publistampa In stampa: 01 ottobre 2021

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Privati €15,00; Enti, associazioni e sostenitori €25,00 con bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT 67G 08304 01846 000046362000 intestato a “Associazione Prodigio ODV” presso la Cassa Rurale di Trento indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”

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MADRE NATURA di Giacomo Carbonara Ora so qual è il volto della terra, lei ci ha donato foglie più grandi per poterci riparare dalla pioggia e cascate libere di respirare e di buttarsi in laghi profondi. Onde immobilizzate in un passato lontano cercano di toccare il cielo. Ora è il mare a muoversi e non ha pazienza, vuole abbracciare l’uomo. Natura difesa come un faro perché dà speranza, come il vento per un veliero che naviga in mezzo al nulla. Antiche civiltà poggiano ancora i piedi su di te come un grande frutto su di un ramoscello secco. Io come una conchiglia guardo il cielo imparando dalle stelle, per poter diventare un giorno una di loro. E accetterò ogni tua ribellione e mi inginocchierò come uno scalatore, davanti a una montagna mai esplorata.


INNOVAZIONE SOCIALE

QUANDO ABBIAMO INIZIATO A FILTRARE IL MONDO?

Il concerto dei Linkin Park a Monza il 17 giugno 2017. In foto, il vocalist Chester Bennington incanta i fan 17 giugno 2017. Monza. Indipendent Days Festival Milano. Per i fan dei Linkin Park una data storica, l’ultima italiana prima che il cantante, Chester Bennington, si arrendesse alla depressione. La giornata è calda, assolata in quella taiga brianzola. Il cielo da blu intenso al tramonto colora d’arancio le teste protese verso il palco. I Linkin Park salgono sul palco davanti a duecentomila persone urlanti. Dopo le prime canzoni gli ultimi raggi di sole sfiorano le foglie immobili dei pioppi del parco. Imbrunire. Quei minuti odorano di solennità. Le note di “What I have done” ed “In the End” si insinuano nei corpi, nella polvere e si mescolano con il cantato dei fan in quell’inglese “all’italiana”. Siamo tutti vicini, respiriamo la stessa polvere e gli stessi odori di festival. Cipolle e sudore. Il tutto in una messa rock dove tutti pregano lo stesso cielo. Chester si esibisce da leggenda. Si avvicina al pubblico e, in mezzo a luci di piccole stelle artificiali dei faretti, canta le sue ultime note in quella serata calda, abbandonandosi alle mani dei fan delle prime file, come una pietà michelangesca. Perfetto, tutto perfetto. Di tutto questo non ho alcun video. Non ho nessuna foto fatta col cellulare, con la fotocamera. Forse è per questo che lo ricordo così, profondo e commovente. Non ho la certezza che tutti i miei ricordi siano un resoconto accurato di quanto accaduto. È molto probabile che le cose siano andate in modo diverso. Fu una scelta, non una dimenticanza. Prima che entrassero sul palco mi trovai davanti migliaia di piccoli schermi che registravano quel palco ancora vuoto e fumante. Ogni video con un’angolazione di qualche decimo di grado l’uno dall’altro. Adiacenti e tutti uguali. Immagini clonate all’infinito. Piccole tv che mostravano la realtà distante poco più di qualche ventina di metri più avanti. Tutti telespettatori: guardavano piccoli pixel che simulavano la verità con la sola soddisfazione nell’idea di “poter rivedere” (rare volte si va a rivedere tutti quei video), privandosi però di tutto quello che accadeva fuori da quei sei pollici. Perdendo atmosfere autentiche.

Ma quando abbiamo iniziato a filtrare il nostro mondo? Quando abbiamo iniziato a reputare più importante postare la nostra vita che viverla? Sicuramente è storia recentissima e nasce con il fiorire dei vari social network. Una risposta la possiamo trovare nella moderna poetica di una canzone anno 2016, che evidenzia il nostro atteggiamento degli anni 2010. Una riflessione leggera che solleva un pensiero profondo intorno alla dimensione tecnologica dei social network. Poi, lo sai, non c’è Un senso a questo tempo che non dà Il giusto peso a quello che viviamo Ogni ricordo è più importante condividerlo Che viverlo Vorrei ma non posto […] Tutto questo navigare senza trovare un porto Tutto questo sbattimento per far foto al tramonto Che poi sullo schermo piatto non vedi quanto è profondo La canzone è “Vorrei ma non Posto” di J-Ax e Fedez. Basta però leggere alcune righe per capire che il punto toccato è quello giusto. Sullo schermo piatto non si vedrà mai quant’è profondo. È quel “profondo” che dobbiamo custodire. Sono le esperienze che impreziosiscono la nostra esistenza e arricchiscono il nostro carattere, ci temprano, ci scolpiscono. Non sicuramente il nostro Instagram. Tutto questo non è da fraintendere con il messaggio che i social siano il male assoluto, anzi. Sta tutto nella modalità di utilizzo. In molti casi ci avvicina, ci aiuta a organizzarci, porta conoscenza. Alcune volte ci porta invece a isolarci. Decine di volte mi è capitato di sapere dai social che una mia amica, vista poche settimane prima era incinta, oppure di un

amico che si è sposato. Molto spesso si diventa discreti a parlare di persona, come se si dovesse mantenere un segreto, e poi invece davanti alla tastiera ci si sente al confessionale. Si creano personalità digitali: caratteri timidi, silenziosi e introversi diventano, dietro i touchscreen, iene spigliate e intraprendenti. Forse si inizia ad aver paura di quella profondità che negli schermi non c’è. Ci si appiattisce, rimanendo in superficie delle cose. Si leggono i titoli di milioni di notizie dal mondo, dal paese, dal condominio, ma poi non se ne legge una riga in più. Mi sentirei di dirti, lettore, che se sei arrivato fino a qui puoi considerarti un lettore. Arrivando fino in fondo reputati un letterato. Nasce la paura del confronto verbale che invece nei commenti si gestisce cancellando cosa non ci piace. Il giudizio non è più intimo, esperienziale ma si limita all’inespressività di “Mi piace”, “Love”, “Ahah”, “Abbraccio”, “Grrr”, “Wow” e “Sigh”. Una semplificazione che aumenta la velocità delle interazioni, il numero, ma di certo non la qualità. Quello che fai non sai più se è stato arricchente o meno, ma lo valuti in base all’apprezzamento altrui. Si diventa attori delle proprie vite virtuali appiattiti come pop up di carta. Poi cambia tutto. Nel 2020, dopo aver iniziato a stravolgere il mondo, arriva anche da noi, in Italia: il Covid. Grandissimi cambiamenti si prospettano per la nostra società e si sentono nuove formule nel lessico quotidiano: distanziamento sociale, didattica a distanza, mascherine, lockdown. Queste sono le armi che la sanità mondiale mette in atto. Armi studiate per combattere un virus, ma che hanno un effetto collaterale, allontanarci ulteriormente. Armamenti che ci portano ulteriormente a dover filtrare questa realtà. Familiarizziamo solo con gli occhi e la forma delle mascherine di persone con le quali lavoriamo, studiamo, giochiamo. Magari le vediamo dopo

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Ottobre 2021 - n.5 a cura di Samuele Maranelli

molto tempo in un momento senza mascherina e non le identifichiamo. Quanto si sentiva da una stretta di mano? Un gesto atavico a cui ci siamo abituati fin da piccoli, un segno di saluto, di rispetto e di contatto, che di colpo viene sostituito da un gomito-gomito alla “Willy il principe di Bel Air”. Ma l’essere umano è straordinario e la sua capacità di adattamento è grandiosa: impariamo a vivere nel nuovo modo. Impariamo a vivere in un nuovo mondo. La tecnologia ce la mette tutta per farci continuare a studiare a distanza, vedere i cari, condividere le esperienze da casa, le speranze, a volte brillantemente altre volte meno. I ragazzi delle superiori, non troppo piccoli e ormai consapevoli, ci possono mostrare la loro esperienza. Un mix di DAD, lockdown, casa e quarantene. Con le loro parole in versi, i ragazzi della Seconda S dell’Istituto Primo Levi di Vignola, in provincia di Modena, ci fanno spiare nei loro cuori unfiltered, cioè senza filtri. Manuel Campi, per esempio, scrive: Strade spoglie e notti silenti, una quieta camminata con viste accoglienti, gli alberi poggiati, ferma passione, attraversati dall’aria, senza afflizione. Qui sulla via, nessuno mi duole. Tranquillo sulla mia via, questa notte è poesia. Nell’indiscutibile solitudine si trova un momento di dolce tregua. Alessandro De Meo scrive: Le strade sono deserte, adesso finalmente posso ammirare il paesaggio. Questa è una tappa per l’umanità, che potrebbe farci capire di nuovo quant’è profondo quello che viviamo. Dobbiamo passare dal nero per capire qual è il bianco più luminoso. Quando si tornerà a vivere in sicurezza e in libertà non dimentichiamo quello che abbiamo imparato. Per un attimo mettiamo in tasca il telefono silenziato e gustiamoci la realtà.

Filtri, social e pandemia in una vignetta di Samuele Maranelli

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Ottobre 2021 - n.5

ATTUALITÀ

COME CAMBIA IL CLIMA? Ce lo spiega Dino Zardi, presidente dell’associazione italiana di Scienze dell’Atmosfera e Meteorologia Leggendo il noto Cantico delle creature di San Francesco, ma anche la più recente enciclica Laudato sì del pontefice ci si rende conto che sin dall’antichità l’essere umano ha sempre avuto a cuore il creato e la sua salute e ha cercato di interpretare i cambiamenti nell’ambiente che abita. Di questo abbiamo parlato io, Martina Dei Cas e il meteorologo Dino Zardi – professore all’Università di Trento, ideatore di Festivalmeteorologia e presidente dell’associazione italiana di Scienze dell’Atmosfera e Meteorologia – in quella che definirei una bellissima chiacchierata. Perché è così che la vorrei chiamare per la grande gentilezza e la sensibilità dimostrata. Professor Zardi, secondo lei quante possibilità ci sono che un’altra tempesta come Vaia si verifichi nella zona del Triveneto? Se guardiamo alla storia recente del Trentino, sicuramente ci torna in mente l’alluvione del 1966. Da quella terribile perturbazione a Vaia sono passati cinquantadue anni; quindi, nei prossimi trent’anni non è escluso

Dino Zardi, meteorologo e professore universitario

a cura di Giacomo Carbonara

che possa verificarsi un altro fenomeno simile. Sappiamo che nella parte meridionale della nostra penisola, il rischio più concreto è quello della desertificazione. Qui al nord, invece, quali scenari vedremo? In realtà la desertificazione non è un pericolo che corre solo il sud. Anche alcune aree del nord come la pianura Padana potrebbero esserne affette. Con riferimento all’arco alpino direi invece che l’aumento delle temperature causerà un aumento del calore e dell’umidità rilasciati nell’atmosfera. Di conseguenza, potremmo trovarci di fronte a un incremento delle precipitazioni. Un fenomeno che a prima vista sembra innocuo o addirittura positivo, ma non è così, perché si intensificheranno anche i fenomeni estremi – tra cui temporali violenti, tempeste e cicloni – come è avvenuto a Torbole a luglio. C’è un modo di alterare in maniera positiva l’atmosfera – ovvero l’involucro gassoso che circonda e protegge il nostro pianeta – per renderla più resistente al cambiamento climatico? Se sì, come? Alcuni tentativi sono stati fatti, ma sono costosi e non proprio affidabili. Uno degli esempi più noti sono gli aerei utilizzati in Israele per spargere particelle igroscopiche e far piovere nel deserto. Purtroppo, però, non ci sono garanzie sul dove avverranno gli effetti desiderati. Un’altra ipotesi è stoccare l’anidride carboniche nel sottosuolo, ma anche questa è un’operazione complicata. Più facile sarebbe adottare abitudini più sostenibili, per esempio pensare al reimpiego degli alberi per evitare che a fine vita le sostanze assorbite, tra cui l’anidride carbonica stessa, tornino nell’atmosfera.

Le nubi temporalesche “Mammatus”, con il Bondone sullo sfondo (foto Giacomo Carbonara) Le temperature anomale registrate, per esempio quest’estate in Canada, lasciano delle conseguenze a lungo termine sul clima? Sì, purtroppo lo scioglimento dei ghiacciai rilascia l’anidride carbonica intrappolata nel permafrost accelerando così il cambiamento climatico, ma anche altre sostanze pericolose che prima erano intrappolate lì, come il metano. Quali sono, oltre alle abbondanti precipitazioni e all’intensificarsi dei fenomeni, i segnali che il clima è cambiato? Sicuramente l’innalzamento dei mari, che mette a rischio città come Venezia, atolli e anche le falde acquifere, contaminate nel loro utilizzo dall’intrusione salina, cioè dalla risalita di acqua salata. Un altro segnale è Dal 18 al 20 novembre prossimo torna a Rovereto Festivalmeteorologia, la manifestazione ideata dal professor Zardi per mettere in contatto scienziati, operatori economici, esperti, studenti e appassionati di clima. Quest’anno la kermesse – che si compone di laboratori, dibattiti, mostre e talk – giunge alla sua settima edizione e sarà dedicata al rapporto tra meteorologia e arte. In calendario anche un

l’arrivo di specie aliene, come la cimice asiatica, che a volte sono aggressive e in ogni caso rompono l’equilibrio dell’ecosistema in cui si inseriscono. Di fronte a uno scenario complesso come quello da lei descritto, come possiamo noi cittadini fare la nostra parte? Possiamo pensare a degli spostamenti più sostenibili con l’auto elettrica o la bici, all’uso di fonti energetiche rinnovabili, agli acquisti di prodotti che provengano da zone vicine e alla riduzione degli sprechi, in particolare dell’acqua. Sulla terra siamo sette miliardi di persone e quando ci viene spontaneo domandarci se il nostro microscopico operato sia utile, dovremmo ricordarci che senza ogni singola goccia neanche il mare non esisterebbe.

approfondimento sul racconto dei fenomeni atmosferici nelle opere di Dante Alighieri. Tutte le info su www.festivalmeteorologia.it

CLIMA: UNA RIFLESSIONE ETIMOLOGICA di Giulia Cologna Un pomeriggio di qualche giorno fa, seduto al tavolino di un bar, un amico scrutava l’aria con un mezzo sorriso: “Mi godevo quest’attimo di felicità!”, mi dice. Ho capito subito a cosa si riferisse perché ogni anno, verso settembre, giunge al mio olfatto (ebbene sì, al mio olfatto) un’emozione ricorrente, frizzante, gioiosa: l’arrivo dell’autunno, un nuovo inizio, un nuovo tempo di cambiamenti e perché no, di stravolgimenti. Col giungere di questa stagione, clima e cambiamento sono protagonisti ed è quindi ragionevole dedicarvi qualche riflessione. Curioso scoprire – o riscoprire – che il termine clima (dal tardo latino clÍma e dal greco klÍma, gen. di klimatos), significa “inclinazio-

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ne”, successivamente “inclinazione della terra dall’equatore ai poli” ed infine “zona geografica, latitudine”. Se ci riferiamo quindi al clima come ad un’inclinazione, possiamo anche parlare di una tendenza, una propensione, una disposizione, non per forza relativa al mondo naturale, ma anche a quello spirituale. Il termine clima indica però, anche una zona geografica, sia essa appartenente alla sfera terrestre, al mondo marino, o allo spazio aereo; ma è anche latitudine, coordinate di un punto riconducibile ad esempio alla nostra abitazione, al sito ove per noi il “clima” è familiare. Non è infatti solo atmosferico o meteorologico, ma anche ideologico, politico, sociale. Il clima è uno stato mai costante, ove le

variabili, sono le nostre idee, le nostre singole inclinazioni che convergono in maniera più o meno armonica. Il continuo contatto provoca mutamento e turbamento in qualsiasi stato climatico. Ma qual è il significato di cambiamento? Nel XIII secolo, lo scrittore Bono Giamboni lo definì “rendere diversi, variare, modificare”, ma successivamente l’ampiezza di senso si è espansa fino a comprenderne l’azione di sostituzione di una cosa o di una persona con un’altra; con le invenzioni del XIX secolo, con il verbo cambiare abbiamo iniziato a riferirci al passaggio da un treno ad un altro, e poi ancora al manovrare il cambio di velocità, al mutarsi d’abito od al divenire diversi da sé stessi.

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Il clima cambia. Le latitudini della nostra vita si spostano, i nostri orientamenti scorgono nuove finestre oltre cui guardare, le nostre idee vengono scosse da una nuova paura o dalla possibilità di una nuova vita. Il clima cambia, ma quale? Tutti i tipi ed in ogni modo possibile: la temperatura terrestre, la classe o la scuola frequentate, magari pure il nostro impiego, alcuni diritti civili vengono ripensati ed interrogati, la condizione del nostro Paese muta allo scoppio di una guerra, la pandemia cavalca un’ulteriore onda, il nostro sentire viene turbato, tradito, stupito e decidiamo di intraprendere un altro percorso, di connetterci al nostro clima interiore e seguirne il cambiamento.


STORIE CHE ISPIRANO

I BAGNI DI FORESTA, LA DISCIPLINA GIAPPONESE CHE MIGLIORA LA QUALITÀ DELLA VITA DEI MALATI ONCOLOGICI

Ottobre 2021 - n.5 a cura di Martina Dei Cas

Ce ne parla Camilla Costa, fondatrice del b&b «La casa degli alberi» di Barcis e membro della Società italiana di medicina e terapia forestale di Gorizia Ottobre è il mese “rosa” per la prevenzione e lotta contro il cancro al seno. E noi di pro.di.gio. abbiamo deciso di celebrarlo con una storia molto speciale. Quella di Camilla Costa, motociclista e scrittrice, già poliziotta, oggi guida di «bagni in foresta» e fondatrice di «La casa degli alberi», un bed and breakfast per scrittori e amanti della natura a Barcis, sulle rive dell’omonimo lago in provincia di Pordenone. Camilla, tu sei stata ufficiale di polizia giudiziaria, hai lavorato nella polizia locale di Venezia nell’ambito del primo intervento, del disagio sociale e della formazione e nel cassetto hai due lauree – in Scienze giuridiche e Scienze dei beni culturali – e un master in criminologia. Come mai nel 2018 hai deciso di cambiare vita? Dopo tanti anni di turni e di studio, sentivo l’esigenza di un maggior contatto con la natura. Pensavo: se non cambio vita e non mi costruisco una quotidianità più a misura di persona, mi ammalo, il mio fisico non regge più. Lasciare un lavoro da dipendente statale per diventare imprenditrice a cinquant’anni un po’ mi spaventava. Qualche conoscente, a cui forse mancava il coraggio di cambiare una vita che non gli piaceva più, mi dava dell’incosciente. Ma alla fine mi sono decisa e ho partecipato e vinto un bando europeo per ristrutturare secondo i parametri della bioedilizia una stalla di sasso dell’Ottocento a Barcis. Oltre alla natura, amo la scrittura. Il mio sogno era quello di aprire un bed & breakfast dove ospitare amanti dell’aria aperta, ma anche scrittori in fase creativa e di organizzare escursioni, eventi cultura-

Camilla Costa, nel bosco di Barcis. Alle sue spalle, un tasso di cinquecento anni. li, presentazioni di libri. Purtroppo, appena iniziato il restauro, ho scoperto che i segnali d’allarme lanciati dal mio corpo erano giusti. Avevo il cancro al seno. Che cosa è cambiato in te dopo la diagnosi? Il tumore è una malattia che scuote e dà maggiore consapevolezza dei tempi della vita. Da un lato, mi ha pacificata. Mi godo ogni istante e non ho più la fretta di prima di consumare le giornate. Dall’altra, mi ricorda che le lancette dell’orologio continuano a girare e il nostro tempo sulla terra è limitato. Anche il mio carat-

tere è un po’ cambiato. Se già prima della diagnosi ero sincera, diretta e spontanea, ora lo sono ancora di più. All’inizio, gestire insieme le terapie e il restauro di «La casa degli alberi» è stato complicato, ma grazie anche al supporto della mia mamma, «un’arzilla ottantenne secondo i giornali di qui» alla fine ce l’ho fatta. Ora ho i miei controlli e una spada di Damocle sulla testa, ma la mia vita è tornata normale. Ho ritrovato la serenità. Il rapporto con la natura ti ha aiutata a ritrovare l’equilibrio? Sì, molto. San Bernardo di Chiaravalle diceva che si impara di più da una camminata nei boschi che da ore passate sui libri. E per me è stato proprio così. La foresta e la montagna sono casse di risonanza, che ci permettono di scendere nel profondo per trovare noi stessi. In più, stando a Barcis, ho potuto approfondire il tema del «forest bathing» o «shinrin yoku», una disciplina fisica e psicologica con finalità terapeutiche e preventive fondata in Giappone venticinque anni fa. Che cos’è? Letteralmente «bagno di foresta», il forest bathing è una camminata lenta, guidata e consapevole nel bosco, inteso come una superficie quadrata di almeno cinque chilometri senza disturbo antropico. Una vera e propria immersione, basata su tecniche di psicologia immaginale e mindfulness, ma con importanti e documentabili ricadute per le persone che la praticano, come il miglioramento della qualità del sangue e l’aumento o la diminuzione di determinati ormoni. Per favorire la conoscenza di questa pratica, assieme ad alcuni professionisti, abbiamo fondato la Società Ita-

liana di Medicina e Terapia Forestale con lo scopo di portare avanti la ricerca in questo ambito e interessare alle terapie forestali i medici di base e i privati. Abbiamo creato un gruppo di lavoro e iniziato, in collaborazione con l’Associazione Angolo di Aviano le prime uscite in foresta con i pazienti oncologici. Nel mentre Regione Friuli Venezia Giulia ha finanziato un primo progetto di ricerca sugli effetti benefici delle foreste correlati alle cure oncologiche tradizionali. Altra nostra ricerca in atto è la caratterizzazione dei sentieri che utilizziamo dal punto di vista della qualità dell’aria. @lacasadeglialberi

Durante il tempo sospeso della malattia, Costa ha perfezionato e pubblicato il suo primo romanzo «Per tutto il tempo andato» (Felici Editore), già alla prima ristampa.

Escursione «forest bathing». La più grande soddisfazione per Costa è leggere i pensieri delle persone che accompagna in foresta. «Si tratta – dice – di un viaggio insieme agli altri che fa crescere e stare bene»

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PAGINA DI PUBBLICA UTILITÀ PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

IN TRENTINO È ARRIVATO IL NUMERO UNICO EUROPEO

116117

Serve per contattare la guardia medica e prenotare le ambulanze per i trasporti programmati.

È attivo anche in Trentino il numero unico europeo 116117, che garantisce la continuità assistenziale ai cittadini che necessitino di cure mediche non urgenti. In Italia, questo numero è attivo soltanto in altri due territori, la Lombardia e la provincia di Alessandria. Questo servizio va nella direzione di rendere meno complicato e più fruibile per i cittadini l’accesso ai servizi sanitari, perché concen-

tra in un’unica porta di accesso le richieste di cure mediche non urgenti e di informazione sui servizi di guardia medica turistica, le informazioni sulle farmacie di turno oltre alle prenotazioni delle ambulanze per i trasporti programmati. «Alla chiamata del cittadino – spiega Andrea Ventura, medico responsabile della Centrale Operativa Integrata 116117 – risponde un operatore

tecnico che, dopo aver raccolto generalità e localizzazione, analizza la richiesta dell’utente per indirizzarlo al servizio più adeguato. Per le richieste di contatto con la guardia medica l’operatore di Centrale, con poche domande mirate e standardizzate, valuta se la richiesta è pertinente o meriti piuttosto il trasferimento alla Centrale Emergenza-Urgenza di Trentino Emergenza 118. Per le richieste pertinenti, se il medico di continuità assistenziale è libero, l’utente viene messo direttamente in contatto; nel caso il medico sia impegnato in una visita in ambulatorio o a domicilio, il paziente viene inserito in una lista e sarà contatto dal professionista non appena disponibile. La centrale è completamente informatizzata con un software che permette la registrazione e la tracciabilità delle comunicazioni oltre ad un collegamento attraverso telefono cellulare e tablet per la gestione del paziente da parte del medico di guardia medica. È

inoltre disponibile, se necessario, un servizio di interpretariato telefonico in 14 lingue ed è stato attivato un servizio per l’accesso da parte di audiolesi. Le chiamate possono essere effettuate da telefono fisso o mobile, sono gratuite e il 116117 è attivo 24 ore su 24 sette giorni su sette. Nella zona del Primiero, che afferisce come distretto telefonico alla Regione Veneto ed ha il prefisso 0439, è stato necessario attivare il numero verde 800 016 017 per consentire la chiamata dai Comuni di Primiero-San Martino di Castrozza, Canal San Bovo, Imer, Mezzano, Sagron Mis, fino all’attivazione del 116117 in Veneto.». Attualmente, sono impiegati in Centrale 19 operatori ripartiti su tre turni giornalieri, oltre a un coordinatore e un amministrativo, ma il numero di addetti potrà essere aumentato in base all’ampliamento dei servizi erogati, che a regime includeranno anche le informazioni su tutti i servizi della sanità trentina.

IL NUMERO UNICO IN BREVE Opera sulle 24 ore 7 giorni su 7. La chiamata è gratuita, da telefono fisso o mobile. Accessibile ai cittadini stranieri grazie ad un servizio di interpretariato in 14 lingue. Continuità Assistenziale (guardia medica); negli orari di apertura del servizio (tutte le notti dalle ore 20 alle ore 8; sabato, domenica e festivi dalle ore 8 alle ore 20; prefestivi dalle ore 10 alle ore 20) 116117 gestisce tutte le richieste per il Servizio di continuità assistenziale. Le chiamate vengono processate da operatori tecnici adeguatamente formati che, con il supporto di applicativi tecnologici ed algoritmi decisionali, valutano la richiesta dell’utente inoltrando alla Centrale operativa emergenza-urgenza di Trentino Emergenza i casi più urgenti e al medico del Servizio di continuità assistenziale le richieste pertinenti. Assistenza sanitaria ai villeggianti (Guardia medica turistica), per il turista in vacanza in Trentino, oltre che per l’accesso al Servizio di continuità assistenziale, 116117 è il riferimento per l’assistenza sanitaria non urgente in orario diurno. Identificato il luogo di provenienza della richiesta, il personale della Centrale operativa integrata fornisce infatti all’utente le informazioni necessarie (sede, recapiti, orari di apertura e modalità di prenotazione) per accedere al servizio di Assistenza sanitaria ai villeggianti (Guardia medica turistica).

Trasporti sanitari programmati; 116117 è il numero che sostituirà l’attuale numero verde per la prenotazione di trasporti programmati in ambulanza. Il personale della Centrale operativa integrata valuta la pertinenza della richiesta e gestisce l’organizzazione dei trasporti sanitari programmati per gli aventi diritto. Per quanto non previsto dai LEA, 116117 fornisce all’utente le informazioni necessarie per facilitare l’organizzazione in autonomia del trasporto. Il servizio è attivo dal lunedì al venerdì, festivi esclusi, dalle ore 8 alle ore 15. Informazioni sanitarie; nella fase iniziale, tramite il servizio 116117, è possibile ottenere indicazioni sulla modalità di accesso al medico di medicina generale e pediatra di libera scelta (recapiti ed orari dell’ambulatorio) e farmacie di turno. Inoltre, per i non residenti, 116117 è il numero da contattare per ricevere informazioni su luoghi e orari per l’assistenza sanitaria ai villeggianti (guardia medica turistica). A regime il servizio verrà implementato estendendo l’offerta informativa a integrazione socio-sanitaria (assistenza non autosufficienti, Spazio argento, agevolazioni ecc.), anagrafe sanitaria (iscrizione al SSN, fascicolo sanitario elettronico, accesso ai servizi ecc.), consultorio famigliare, reclami (modalità di accesso all’Urp) e molto altro.


PAGINA DI PUBBLICA UTILITÀ PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

NUOVO NUOVO NUMERO NUMERO UNICO UNICO

116117 è ilil numero unico europeo per 116117 è numero unico europeo per 116117 è il numero unico europeo per l’accesso alle cure mediche non urgenti l’accesso alle cure mediche non urgenti l’accesso alle cure mediche non urgenti e ad altri servizi della sanità trentina. e ad altri servizi della sanità trentina. e ad altri servizi della sanità trentina. CHIAMA IL 116117 PER CHIAMA CHIAMA IL IL 116117 116117 PER PER contattare la guardia medica contattare la guardia contattare la guardia medica medica ricevere informazioni sulla guardia ricevere informazioni sulla guardia ricevere informazioni sulla guardia medica turistica medica turistica medica turistica prenotare le ambulanze per ii trasporti prenotare le ambulanze per trasporti prenotare le ambulanze per i trasporti non urgenti non urgenti non urgenti LE LE CHIAMATE CHIAMATE SONO SONO GRATUITE GRATUITE LE CHIAMATE SONO GRATUITE DA TELEFONO FISSO DA TELEFONO FISSO E E MOBILE MOBILE DA TELEFONO FISSO E MOBILE Ricorda: Ricorda: per per le le URGENZE URGENZE sanitarie sanitarie chiama chiama Ricorda: per le URGENZE sanitarie chiamaU” il il numero numero 112 112 o o utilizza utilizza l’App l’App “Where “Where are are U” il numero 112 o utilizza l’App “Where are U”

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Ottobre 2021 - n.5

ACCESSIBILITÀ

PANDEMIA 2020-2021: UNA CERTA OCCASIONE?

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Nel tempo la disabilità è stata percepita in diversi modi, ognuno specchio del proprio tempo. Così, della preistoria non sappiamo altro che i neonati con qualche disabilità venivano semplicemente “buttati" perché intralciavano il nomadismo del gruppo. Un po' più moderni, si fa per dire, greci e romani: si liberavano di quanti avevano un difetto fisico o mentale esponendoli sul monte Taigeto o lanciandoli dalla rupe Tarpea! Per così dire, li restituivano agli dei in cambio di uno "non difettoso"... un’eugenetica hitleriana verrebbe da definirla! Gran cambiamento con il cristianesimo: come figli di Dio, tutti hanno il dovere di riscattar il peccato originale per entrare in paradiso dalla porta principale! La disabilità era attribuita di volta in volta alla punizione di un familiare scostumato o depravato oppure, in caso di persone di specchiata moralità, di un qualsivoglia antenato disobbediente alla legge di Dio. Il Rinascimento con meno fatalismo religioso offrirà l’opportunità di mostrare la propria gratitudine al Padreterno per la buona sorte ricevuta offrendo elemosine ai sofferenti, come testimoniano i quadri del 1500. Le cose mutano alla fine del secolo scorso e ancor più dopo la Prima

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guerra mondiale: si fa largo l'idea di una sorte malaugurata, di una paralisi, di un ictus, una sindrome di Down eccetera come di una sventura, un'evenienza possibile. Il soggetto sfortunato, pertanto, andava rimesso in condizioni di vivere una propria vita più autonoma possibile. A partire dal 1946 un vero crescendo rossiniano: si mette per iscritto nella nostra Costituzione che ogni cittadino della Repubblica deve contribuire con le sue capacità ad una miglior condizione sociale ed economica di tutti. Una situazione cambiata, quasi capovolta rispetto a prima: la disabilità tanto traumatica quanto progressiva o congenita non è più considerata una sventura voluta da forze superiori ma una evenienza sfortunata da rendere il meno dannosa possibile, un’evenienza parte stessa del rischio di vivere! Tutto ok, tutto magnifico, ogni ostacolo in discesa, nuovi diritti all'orizzonte e così via? Macché, dal cesto delle brutte sorprese ecco saltar fuori nell’inverno del 2020 la... pandemia: in occidente essa ha evidenziato prima di tutto l’incapacità dell'ente pubblico di proteggere vita, salute e diritti delle persone non autonome, disabili e anziani in primis.

a cura di Ugo Bosetti

Amici sempre, foto di Giovanni Moglia, vincitrice della quinta edizione del Premio Melchionna Con il lockdown – più comodo "serrata" – di scuole, case private o pubbliche, residenze, strade e stadi, i disabili scompaiono confinati nella solitudine, nella monotonia, nell'isolamento, frustrazione, irascibilità, quasi fossero stati travolti da una sindrome post traumatica! Niente visite di parenti, solo saluti da vetrate o al telefono, abbracci incartati nel cellophane, niente interazioni vis a vis con i compagni di classe, il maestro di appoggio o il caregiver, divieto di lasciare il centro residenziale, rischio di ammalarsi, hanno avuto un impatto terribilmente negativo. Definiti “soggetti fragili” sono stati vaccinati e isolati subito per impedir loro di ammalarsi ed infettare gli altri. Era ipotizzabile una notevole contrazione della loro presenza tra i normali, a scuola, sul lavoro o fuori, forse la scomparsa come soggetti pubblici... E invece no! Guardando all'oggi, settembre 2021, con la pandemia in via di attenuazione (toccatevi qualcosa!) e la gente pronta a tirare il fiato, ecco gente a bizzeffe, l'autostrada mai così intasata, boschi e prati come a San Giuseppe, feste con sechiate di birra e spritz, assembramenti, campionati di ciclismo con spettatori addossati come sardine…e… tra loro, in mezzo a loro, con loro anche disabili di tutti i tipi, da chi si appoggiava al bastone a chi arrancava in carrozzina, da chi passeggiava con il deambulatore a chi si aggrappava con determinazione a un braccio amico! Ecco, uno degli aspetti più appariscenti, vera cartina torna sole della svolta è stata loro aumentata presenza in pubblico: per dire, esempio tra il 12 e il 18 settembre scorso, ne ho visti due al caffè del Palaonda, quattro o più nel centro di Trento, altre due anziane in via Aeroporto con girello e tanto da raccontarsi, uno con gambe quasi incrociate e bastone in via Roma, un altro con comando labiale,

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ossigeno e borraccia al Supercoop di Trento sud, ben cinque a spasso per Riva e uno (!) infine dentro una manifestazione “no vax”! Probabilmente una delle molle del mutamento è stato la considerazione: se oggi tiro avanti un’esistenza già scassata causa Covid, tanto vale che, pur con precauzione, mi butti a vivere! Tra gli effetti collaterali di un nuovo possibile lockdown c’è stato quello di non voler perdere d’ora in avanti occasioni di “esserci”, di uscire ad ogni costo, recuperare in meglio il tempo perduto, un lavoro, far ancora cose mai neanche pensate o più semplicemente, pazziare un po'! Così, domandando ad un'anziana col girello, un vero salvavita per moltissimi prima parcheggiati in poltrona, come andasse mi ha risposto: “...me la godo e basta!”. Un nuovo modo per gli svantaggiati di percepirsi ed esser percepiti tra gli altri, di vedere il proprio handicap non come un limite, ma la propria condizione di vita: essere conterà molto più di apparire! Detto da uno in carrozzina dal Settanta “in solitudine”, poi accompagnato dal leggendario Natale Marzari e via via da pochi altri, vederne di colpo così tanti è stata una sorpresa e una soddisfazione: il segnale che anzianità, malattia o disabilità hanno perso forza come sinonimo di grama sopravvivenza e vita dalle ruote spompate per far largo ad una un’esistenza possibile e vivibile anche da disabili. La conferma dai centri di riabilitazione: le cartoline provenienti da posti esotici, spiagge, monti o località turistiche sono di gran lunga più di quelle provenienti da Lourdes, da Fatima, dal Vaticano... Auguriamoci continui così, niente pandemia e disabili a spasso! Per ora solo un auspicio ma, come al solito, chi vivrà vedrà!


SOCIETÀ

PANDEMIA: UNA LEZIONE DAL PASSATO Ritratto di Albert Bruce Sabin, il virologo che scoprì il vaccino antipolio Questa è la storia di una grande vittoria dell’umanità e della generosità dell’uomo che l’ha permessa. Albert Bruce Sabin era di umili origini e difficilmente avrebbe potuto accedere ai costosi studi universitari se il destino, nei suoi imperscrutabili disegni, non avesse deciso di intervenire. Infatti un suo zio dentista, desiderando farne un collaboratore per il suo studio, gli pagò l’iscrizione e la frequenza alla facoltà di odontoiatria della New York University che lui frequentò con buon profitto. Ma aveva circa vent’anni quando gli capitò tra le mani il libro di Paul de Kruif “I cacciatori di microbi”: fu un colpo di fulmine a seguito del quale abbandonò la facoltà di odontoiatria e si iscrisse a quella di medicina. Naturalmente lo zio dentista si rifiutò di continuare a pagargli la retta, ma fortuna volle che riuscisse ad ottenere una borsa di studio che gli permise di continuare a dedicarsi a quegli studi di microbiologia che tanto lo appassionavano. Molta importanza riveste in questa storia l’incontro con il già celebre batteriologo William Hallock Park, famoso per le sue ricerche sulla difterite, che lo volle come suo assistente e ne fu il mentore. Park gli consigliò di concentrarsi sullo studio del poliovirus che in quegli anni mieteva molte vittime e aveva provocato a più riprese numerose epidemie. «Quindi non fu una mia scelta: fu l’unica volta che feci qualcosa dietro suggerimento di un altro» avrebbe commentato poi Sabin. Dopo la laurea in medicina si recò a lavorare all’università di Cincinnati e vi rimase per trent’anni, continuando con passione e dedizione gli studi di microbiologia. Il poliovirus, sul quale concentrò le sue ricerche, è un enterovirus, ovvero si trasmette attraverso l’ingestione di acqua o cibi contaminati ed è molto subdolo, poiché nel 90% dei casi si sviluppa come una normale enterite con disturbi intestinali, diarrea e febbre. Ciò rende difficile la diagnosi e il riconoscimento di questa malattia virale e contagiosa e, di conseguenza, la messa in campo delle opportune misure per evitarne la diffusione. Nel restante 10% dei casi più probabile è lo sviluppo di una meningite asettica. Purtroppo, l’1% delle volte il virus migra e, attraverso il flusso sanguigno, raggiunge i gangli motori del sistema nervoso, con conseguente paralisi degli arti. Può colpire a qualsiasi età, ma preferisce i bambini al di sotto dei cinque anni, che ancora non hanno completamente sviluppato il sistema immunitario. Varie epidemie di polio si sono succedute nel corso della storia, anche se soltanto dagli ultimi decenni del 1800 se ne è compreso il carattere di malattia epidemica. Nel 1938 il presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosvelt, fu costretto su una sedia a rotelle da

Ottobre 2021 - n.5 a cura di Stella Diluiso

Albert Bruce Sabin, virologo polacco naturalizzato statunitense, dopo decenni di ricerche, sviluppò il più famoso vaccino contro la poliomielite, ma decise di non brevettarlo, per permetterne la diffusione su larga scala, anche nei paesi poveri. quella che all’epoca gli fu diagnostica come poliomielite. Fondò quindi la “National Foundation for Infantile Paralysis” con lo scopo di raccogliere donazioni per lo studio della malattia e delle cure per debellarla. Il 20 gennaio di ogni anno, nel giorno del compleanno di Roosvelt, l’associazione invitava tutti i cittadini statunitensi a versare 10 centesimi per la lotta al terribile morbo. Furono così raccolti molti fondi che permisero alle università e ai centri di ricerca di studiare un vaccino che fosse sicuro ed efficace per prevenire la diffusione virale. Anche l’università di Cincinnati, dove nel frattempo Sabin aveva acquisito un ruolo di rilievo, poté usufruire di quei finanziamenti. Dopo anni di lunghe e faticose ricerche, nel 1953, il virologo annunciò la messa a punto di un siero, costituito da virus attenuato, cioè incapace di migrare e provocare il danno paralitico, ma in grado di produrre la risposta anticorpale. E ci volle molto tempo perché venisse approvato, proprio a causa del fatto che la somministrazione di virus vivi, anche se attenuati, richiedeva molte cautele. O almeno, fu questa la motivazione ufficiale. Sia gli Stati Uniti che molti paesi europei, Italia compresa, preferirono infatti un altro vaccino che nel frattempo era stato prodotto, il vaccino Salk che utilizzava virus uccisi con formalina, ma non era esente da complicazioni che in alcuni casi portaro-

no anche alla morte e, inoltre, necessitava di richiami. Molti stati, infatti, avevano fatto grossi investimenti per acquistarlo e somministrarlo ai cittadini e perciò intendevano utilizzarlo anche a costo di qualche vita umana. Si fecero, invece, avanti alcuni paesi dell’est europeo che chiesero a Sabin di poter sperimentare il suo vaccino sulle loro popolazioni. Fu un enorme successo che ridusse ai minimi termini la diffusione del poliovirus in quei luoghi. Sabin donò i suoi ceppi virali agli studiosi dell’Unione sovietica affinché potessero studiarli, superando anche la cortina di ferro che in quegli anni divideva i paesi occidentali da quelli del blocco di Varsavia. Solo nel 1963 negli Stati Uniti e in molti altri stati occidentali, Italia compresa, il Sabin divenne il vaccino d’elezione. Per mantenere basso il costo del suo siero e permetterne la diffusione su vasta scala anche ai paesi poveri Sabin non lo brevettò mai, rinunciando allo sfruttamento da parte delle case farmaceutiche e ai grandi guadagni che avrebbe potuto ricavarne, continuando a vivere col suo stipendio di professore universitario che certo non lo fece ricco. «Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo» ripeteva a chi gli chiedeva il perché di tale scelta. Grazie alla sua generosità il poliovirus ha oggi una diffusione bassissima e si avvia all’eradicazione. In un

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mondo che l’industrializzazione e il commercio hanno reso interconnesso e i mezzi di trasporto hanno reso piccolo, l’unico modo di vincere le battaglie virali è l’accessibilità diffusa a livello mondiale dei farmaci e delle cure, anche e soprattutto tra i paesi più poveri, per stroncare la diffusione di quei patogeni che altrimenti, per l’evoluzione naturale che caratterizza tutti gli organismi viventi, col tempo possono farsi beffe di tutte le nostre belle scoperte mediche, conquistandosi sempre nuove resistenze. Sabin lo sapeva, quando diceva: «Mi è parso che uno specialista in virus come sono finito per diventare, abbia il dovere di usare le sue conoscenze per far del bene all’umanità». Avrebbe forse meritato il premio Nobel, ha comunque conquistato l’immortalità, poiché la sua impronta sul destino dell’umanità è stata e rimarrà profonda.

Inizialmente, il vaccino “Sabin” veniva somministrato per via orale, sciolto su una zolletta di zucchero.

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Ottobre 2021 - n.5

CULTURA

ANCHE SUPERMAN È IN CARROZZINA...

a cura di Samuele Maranelli

Niente è impossibile, la biografia di Christopher Reeve

Perdere il proprio corpo. Interamente, senza sconti. Non importa se sei ricco, povero, americano, africano, bello, brutto, spericolato o pantofolaio quando la ruota della vita si incrina nemmeno Superman la può riassettare. Oggi l’identità del supereroe aereo, tramite serie tv e film, ha nuovi visi ed attori, ma il giudizio di chi gode di una memoria cinematografica quarantennale è unanime: Christopher Reeve è “IL” Superman. Nel 1995 una caduta da cavallo gli impone l’immobilità totale e una simbiosi congiunta con

un respiratore: Mieloleso. Da avere tutto si deve reinventare una vita ed inizia una nuova, forse la più difficile, missione per Kal-El. I creatori del personaggio Shuster e Siegel diedero a Superman il nome KalEl, che in lingua ebraica significa Voce. È un intreccio straordinario, commovente e fatalista che proprio la Voce rimase l’unica espressione fisica di Reeve verso l’umanità. Prosegue a fare l’attore, scrive, parla: vuole dire al mondo che esiste ancora. Il primo libro “Sempre Io” ed il secondo “Niente è impossibile” vogliono fondamentalmente passare un messaggio: ogni giorno noi scegliamo se vogliamo continuare ad esistere, ognuno con le sue difficoltà, oppure lasciarci scorrere via l’esistenza. Ogni opzione è praticabile, non esiste il sentiero giusto od errato, aprendo una delicatissima

parentesi sulla scelta del fine vita. Superman decide di vivere e si attiva per sostenere la ricerca delle staminali, affronta un percorso riabilitativo che lo porta a raggiungere degli obiettivi allo stesso tempo piccoli ed immensi ritenuti impossibili fino a quel momento. “[…] Quando le cose vanno davvero male bisogna ridere. L’umorismo può camuffare la gelosia, il pregiudizio e l’intolleranza. Può unire le persone attraverso un’allusione condivisa […] Quando accade l’impensabile, il faro è la speranza. Siamo tutti insieme su questo mare. Ma il faro è sempre là, pronto a mostrarci la strada per tornare a casa.” Un libro caduto nelle mie letture in un momento che avevo proprio bisogno di un faro che mi riportasse con forza su acque leggere. Leggetelo, parla di Superman in carrozzina.

PUBBLICA UTILITÀ COMUNE DI TRENTO

PUNTO FAMIGLIE:

uno spazio di ascolto e sostegno a disposizione dei cittadini

C. ha deciso di lasciare l’università per intraprendere un percorso diverso; crede che sia la scelta giusta, ma rimangono dubbi e incertezze… Vorrebbe anche avere più amici, ma fa fatica a conoscere persone nuove… L. e D. sono genitori di due bambine piccole. L’arrivo della seconda in particolare ha cambiato gli equilibri in famiglia; la distribuzione dei carichi di cura diventa spesso motivo di incomprensioni e conflitti nella coppia… V. sta affrontando la separazione dal marito e sente il bisogno di uno spazio in cui confrontarsi rispetto alla sua nuova quotidianità con i figli adolescenti, che la mettono a dura prova…

N. è rimasta vedova da poco e sente il bisogno di ridefinire tempi, spazi e abitudini... Queste situazioni sono solo alcuni esempi di persone che si sono rivolte a Punto Famiglie in cerca di aiuto e che sono state accompagnate per un pezzo di strada. Nelle diverse fasi della vita può capitare, a ogni persona, coppia o famiglia, di affrontare dei momenti di fatica, difficoltà, crisi… È normale! Ci sono situazioni particolarmente delicate, di svolta, di stallo, di scelta, di passaggio, nelle quali poter parlare con qualcuno in un contesto di

puntofamiglie@automutuoaiuto.it

0461 391383 / 342 1395378

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@puntofamiglie

ascolto accogliente e informale, ma allo stesso tempo professionale, può fare la differenza. Se senti il bisogno di confrontarti rispetto ad una particolare situazione che stai vivendo, se stai attraversando un momento di difficoltà relazionale, se ti senti affaticato e disorientato riguardo ad aspetti educativi che stai affrontando come genitore, se pensi di avere bisogno di aiuto ma non sai a quale servizio rivolgerti, Punto Famiglie può offrirti ascolto, sostegno e orientamento nel trovare le risorse e le modalità per far fronte ai momenti critici e complessi che caratterizzano la vita personale e familiare.

Sarai accolto da operatrici formate alla consulenza e all’accompagnamento familiare. I colloqui sono gratuiti e su appuntamento. Punto Famiglie – ascolto e promozione è promosso e finanziato dal servizio Welfare e coesione sociale e gestito dall’Associazione A.M.A. auto mutuo aiuto. È a disposizione di singoli, coppie e genitori residenti nei Comuni di Trento, Aldeno, Cimone e Garniga Terme. Oltre allo spazio d’ascolto, Punto Famiglie offre opportunità di incontro e socializzazione, confronto in gruppo e formazione.

CENSIMENTO PERMANENTE DELLA POPOLAZIONE E DELLE ABITAZIONI Dal 1° ottobre al 23 dicembre si svolgeranno sul territorio le operazioni legate al nuovo censimento permanente della popolazione e delle abitazioni, che ha preso avvio nella nuova formula nel 2018. La rilevazione, prevista dal Regolamento europeo n. 763/2008 e inserita nel Programma statistico nazionale, sarà condotta dall’Istat in collaborazione con l’Istituto di statistica della provincia di Trento (Ispat e l’Ufficio comunale di censimento. Data di riferimento della rilevazione è il 3 ottobre 2021. A differenza dei censimenti del passato, che coinvolgevano la totalità della popolazione, l’ultimo dei quali svolto nel 2011, con i censimenti permanenti ogni anno viene coinvolto solo un campione di famiglie e di abitazioni.

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Nella nuova strategia censuaria sono previste 2 modalità di rilevazione: Rilevazione “da lista”. Le famiglie estratte nel campione riceveranno una lettera intestata direttamente da Istat, con le informazioni per la compilazione del questionario, e potranno compilare in modo autonomo il questionario online a partire dal 4 ottobre fino al 13 dicembre. Le famiglie impossibilitate ad accedere ad Internet o che incontrano difficoltà nella compilazione potranno rivolgersi all’Ufficio comunale di censimento del Comune di Trento (0461 884339). Istat ha previsto che per ottenere il questionario compilato anche da coloro che non hanno risposto autonomamente, in una seconda fase che terminerà il 23 dicembre, i rilevatori e le rilevatrici comunali si recheranno presso la famiglia stessa.

Rilevazione “areale”. Le famiglie coinvolte, invece, troveranno affissa una locandina nel palazzo e una busta nella cassetta delle lettere con l’avviso che, nel periodo dal 1° ottobre al 18 novembre, passerà un rilevatore/ rilevatrice per realizzare l’intervista. Fornire una risposta è obbligatorio per legge e sono previste sanzioni nel caso di violazione di tale obbligo. Le informazioni raccolte saranno trattate nel rispetto della normativa in materia di tutela del segreto statistico e di protezione dei dati personali. Le modalità di rilevazione potrebbero subire delle modifiche in relazione all’andamento dell’emergenza sanitaria e verranno comunicate tramite il sito comunale e comunicati stampa. I risultati della rilevazione saranno diffusi in forma aggregata e pertanto

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non sarà possibile risalire ai soggetti cui si riferiscono i dati. Le informazioni raccolte sono necessarie ai decisori pubblici (Stato, Regione, Provincia, Comune), alle imprese, alle associazioni di categoria, a enti e organismi, che le utilizzano per programmare in modo ragionato, pianificare attività e progetti, erogare servizi ai cittadini e monitorare politiche e interventi sul territorio. Ulteriori informazioni sul Censimento permanente della popolazione sono disponibili sul sito dell’Istat all’indirizzo www.istat.it/it/censimenti-permanenti/ popolazione-e-abitazioni, o al numero verde a supporto delle famiglie attivo nel periodo del censimento dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 21, 800.188.802 oppure sul sito del Comune di Trento, nell’area tematica Statistiche e dati elettorali (Statistiche/Censimenti permanenti).


SPORT

OSCAR DE PELLEGRIN

a cura di Ivan Ferigo

Un uomo che fa centro È un uomo che fa centro, Oscar De Pellegrin. Per la sua capacità di mirare al bersaglio, di superare le avversità della vita, di ispirare con la sua storia e il suo esempio. Scegliendo di trattare in questo numero di cambiamenti anche socio-culturali, e con ancora negli occhi le imprese dei nostri atleti alle Paralimpiadi di Tokyo, ci è sembrato naturale coinvolgere l’ex arciere e tiratore bellunese. Una persona che, da sportivo e poi da dirigente, tra record e titoli, medaglie ed onorificenze, si è sempre spesa per far crescere il movimento paralimpico e dargli dignità. Siamo andati a trovarlo nella sua casa di Sopracroda, sopra Belluno, alle pendici del Monte Serva. Questo è quello che ci ha raccontato. Partiamo dal principio, raccontando la tua storia fino al momento in cui qualcosa è cambiato. La mia storia è iniziata 58 anni fa, proprio qui a Sopracroda. È stata un’infanzia bellissima: ho avuto la fortuna di avere una famiglia forte, che mi ha insegnato i valori, l’attaccamento, la passione, il rispetto per la terra in cui viviamo. Finite le medie, ho trovato subito lavoro come meccanico, intanto davo una mano nell’azienda agricola di famiglia. A 18 anni avevo già la macchina, che con l’aiuto di mio papà e mio fratello avevo sistemata e tirata a nuovo. Poi amicizie, fidanzate, lavoro. Fino ai 21 anni, quando la vita corre veloce e ti appaga. Mai avrei pensato che un incidente potesse capitare a me. Invece, proprio nell’azienda di famiglia, mi sono rovesciato con il trattore. Da lì è cambiata completamente la mia vita. Per una lesione midollare ho perso l’uso delle gambe. Quando mi sono svegliato dal coma, il medico mi ha detto che avrei dovuto vivere su una carrozzina. Un messaggio molto

La biografia di De Pellegrin (Infinito ed.)

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dire autonomia, esprimere un potenziale attraverso lo sport, conoscere il mondo. Da lì è iniziata una grande carriera, con due Paralimpiadi nella carabina (Barcellona ’92 e Atlanta ’96, con due medaglie) e quattro nel tiro con l’arco. L’unica disciplina che non ha distinzioni tra atleti normodotati e disabili: potenzialmente anche i secondi possono arrivare a gareggiare alle Olimpiadi, come successo nel ’96 a Paola Fantato. Nella mia testa si poteva innescare quel rapporto tra atleti nella massima normalità. Un segnale molto bello. Da lì ho investito nel tiro con l’arco. Tra Sidney 2000, Atene 2004, Pechino 2008 e Londra 2012 ho portato altre quattro medaglie, tra cui un oro a squadre. A Londra sono stato designato portabandiera e ho vinto l’oro individuale: il coronamento di una carriera, qualcosa di straordinario. Il tiro con l’arco ti ha permesso di avvicinare le persone e convincerle a guardare la disabilità con altri occhi. Hai avuto e hai un ruolo da testimonial. Quel che ho percepito nell’ambiente sportivo l’ho investito mettendomi a disposizione della società. Per far capire che un disabile non ha scelto di esserlo, che prima di tutto è una persona, e in quanto tale va rispettata e compresa. Poi, se riesci a dare il buon esempio, avviene il miracolo. Attraverso lo sport paralimpico, in questi 30 anni abbiamo veramente cambiato, fatto crescere culturalmente, la società. Nel ‘92 nessuno sapeva delle Paralimpiadi, oggi sono sullo stesso piano delle Olimpiadi. Abbiamo creato impatto e conoscenza nella gente, siamo arrivati a tv e giornali. Alle persone piace vedere con i propri occhi atleti che dimostrano impegno, forza di volontà, non si abbattono di fronte alle difficoltà, raggiungono il proprio obiettivo. Lo sport è l’elemento che mi ha spinto a investire in questi valori. Tutt’oggi, da dirigente Fitarco e CIP, continuo a portarli avanti. Tra 24 agosto e 5 settembre ci sono stati i Giochi Paralimpici di Tokyo. Se si esclude la prima, è l’edizione che ha portato più medaglie. Un bilancio straordinario e non prevedibile. Il 25-30% delle 69 medaglie sono arrivate da persone alla prima partecipazione. Grazie ai progetti del CIP sull’avviamento allo sport nei

Nel 2012, portabandiera dell’Italia alle Paralimpiadi di Londra

De Pellegrin con la moglie e il figlio a Roma

programmi di riabilitazione, in tanti hanno investito nell’attività sportiva come mezzo per un’inclusione sociale piena. Questo è stato secondo me il grande messaggio di Tokyo, oltre alle 69 medaglie. Il mondo paralimpico ha fatto una parte veramente importante, unitamente ai nostri colleghi olimpici. Per l’Italia tutta è stata un’edizione straordinaria, che rimarrà scritta negli annali. Negli anni come è cambiata la percezione della disabilità? Tanto si è fatto. Non è sicuramente ancora sufficiente. Ormai la carrozzina, la protesi, gli ausili vari sono sdoganati. Non è più un grosso problema vedere l’atleta disabile. Ma non dobbiamo fermarci: bisogna lavorare nelle scuole, sui giovani, e far capire a questo mondo che siamo persone e dobbiamo aiutarci. Dobbiamo spingere su questo tasto, dal mondo sportivo fino al tessuto sociale e istituzionale. La persona con disabilità, se messa in condizione di esprimere il proprio potenziale, può essere una grande risorsa per la società. Noi magari vedremo poco il cambiamento, ma a chi verrà dopo di noi avremo fatto un grande servizio. Che cambiamenti hai visto nel tempo nel movimento paralimpico? E cosa ancora si può fare? I cambiamenti sono stati enormi. Da Londra è cambiato un mondo, solo con un cambio di dicitura: atleta paralimpico. Abbiamo avuto riconoscimenti e premi medaglia, pur non ancora uguali a quelli degli olimpici, ma per una valutazione del CIP: attualmente non abbiamo gli stessi numeri, dobbiamo salire per gradi. Però i ricevimenti al Quirinale sono comuni: il mondo dello sport, olimpico e paralimpico, si muove insieme. Questo secondo noi è una grande valorizzazione, un grande messaggio che lanciamo alla società. Questo è il grande cambiamento. Dobbiamo spingere su questo tasto: crescere di numero, individuare chi ancora non ha la forza di farsi vedere, e rendere questi soggetti autonomi, sportivi, cittadini. Ormai il mondo della disabilità fisica è abbastanza sdoganato; dobbiamo lavorare molto di più su quella intellettiva e relazionale. Sono ragazzi meravigliosi, bisogna dargli strumenti in modo che possano anche loro essere protagonisti. Insieme, dobbiamo costruire un mondo per tutti.

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Oscar De Pellegrin, arciere e tiratore a segno, due volte campione paralimpico forte. Nel 1984 avere un disabile in casa era un disonore: la società non era abituata a vedere la diversità. Che reazioni ci sono state attorno a te? E tu come l’hai presa? I famigliari vedevano sempre Oscar, anche se in maniera diversa. Tanti invece mi vedevano come un extraterrestre, non guardavano più Oscar negli occhi, ma le ruote e la carrozzina. Questo mi faceva veramente male. Mi ha dato forza l’aiuto di famiglia, amici e soprattutto di Edda, l’allora fidanzata, che ha voluto rimanere con me, aiutarmi in questa fase di transizione tra la prima vita e la seconda, che poi abbiamo costruito insieme, con un matrimonio ed un figlio. Anche questa una storia molto bella, con valori profondi, grazie ai quali si può superare qualsiasi avversità. Come ti sei avvicinato allo sport? Lo sport è stato un elemento utilissimo per rivedere una possibilità nella mia vita. Un amico, Renzo Colle, mi disse che attraverso lo sport avrei potuto scoprire nuove abilità, vivere un nuovo ambiente e trovare pian piano la mia strada. E così è stato. Sono andato, le prime volte con un po’ di timore, al tiro a segno, ho provato atletica, tennis, arco. In questi contesti ho notato subito che si guardava la persona e non la diversità. Quando andavamo a tirare, eravamo uguali. Nel giro di pochi anni sono riuscito a trovare una collocazione nello sport e un inserimento “normale” nella società. Da qui è partita una carriera ultraventennale nel tiro a segno e, soprattutto, con l’arco. I miei tecnici, percependo che avevo delle buone qualità, mi hanno spronato. Così ho investito il mio tempo e aumentato il mio livello. Già nel 1990, solo 6 anni dopo l’incidente, ho avuto la prima convocazione ad un mondiale, in Inghilterra. Un grande obiettivo raggiunto: voleva


Dicembre 2020 - n.6

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