Pro.di.gio. n°II aprile 2013

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pro.di.gio.

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO II - APRILE 2013 - ANNO XIV - LXXVII NUMERO PUBBLICATO

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progetto di giornale

Fare arte sugli istituti psichiatrici

Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento . Contiene I.R.

White, Christian Fogarolli in mostra alla Galleria d’Arte Contemporanea Boccanera di Trento pagina 3

Mia madre e l’Alzheimer

Tocca e impara

Intervista ad Elisabetta Bolondi: la quotidianità di mia madre e l’eterno risveglio

10ª edizione di Ortiparco

Divertente e accattivante percorso tattile per scoprire le rocce del Trentino

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Chi si impegna per spianare le difficoltà in cui gli studenti disabili possono imbattersi ogni giorno: raccontano il dott. Andrea Di Nicola e Gianni Morelli

La sensibilizzazione a scuola per una concreta presa di coscienza

Abbattere le barriere della conoscenza

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ntervista a Gianni Morelli, responsabile dell’Ufficio Disabilità e al dott. Andrea Di Nicola, ricercatore e referente per le problematiche sulla disabilità della facoltà di Giurisprudenza di Trento. Quando nasce il Servizio Disabilità gestito dall’Opera Universitaria? G.M.: Il Servizio nasce nel 1999 per un obbligo di legge il quale prevede che tutte le università nominino un delegato per i problemi collegati alla disabilità. Un altra direttiva che abbiamo soddisfatto era quella di dotarsi di un apposito ufficio per individuare le misure atte a favorire la frequenza delle persone con disabilità e risolverne i relativi problemi. I delegati devono intervenire per politiche specifiche, ad esempio sul piano dello studio personalizzato; chi avesse necessità particolari può rivolgersi allo sportello spiegando le proprie difficoltà e successivamente parlare con i docenti, i quali si sforzeranno di venire incontro alle esigenze che ogni studente può avere. Le problematiche possono essere di vario tipo, come per esempio la difficoltà o impossibilità di sostenere un esame orale. Questo servizio di risoluzione dei problemi e di supporto logistico è indispensabile per rendere accessibile a tutti l’istruzione universitaria. Andrea Di Nicola è il responsabile per la Facoltà di Giurisprudenza, da quanto tempo ha questo compito e come si coordina con i colleghi delle altre facoltà e con il delegato del rettore? Le riunioni tra i responsabili sono costanti, indette e dirette dal delegato del rettore, attualmente il prof. Paolo Macchi. Presso l’Opera universitaria c’è inoltre un responsabile dell’Ufficio Disabilità, un ulteriore collante tra tutti i delegati di facoltà. A.D.N.: Ricopro ormai questo ruolo da diversi anni. Poco dopo aver preso servizio come ricercatore in criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza nell’anno accademico 2003- 2004, l’allora preside Toniatti mi chiese di assumere questa delega. Ne fui onorato. Credo che sia un compito importante e contribuisca realmente a dare concretezza al diritto allo studio. G.M.: Assieme al delegato del rettore ci incontriamo almeno due volte all’anno per vedere se ci sono nuovi campi su cui intervenire, se si sono presentate delle situazioni da monitorare, per condividere problematiche e per confrontarci sui i progetti in evoluzione.

Sul piano delle barriere architettoniche le nostre strutture universitarie sono all’avanguardia in quanto moderne, ristrutturate ed accessibili. Siamo attrezzati anche per accogliere studenti negli alloggi domotici, venendo incontro alle loro esigenze con sussidi tecnologici e nuove realtà che sono colle-

Gianni Morelli: Responsabile dell’Ufficio Disabilità dell’Università di Trento

gate a disabilità diverse. Riguardo ai disturbi specifici dell’apprendim ento, p e r esempio la dislessia, seguiamo la legge del 2010: prima d’allora nulla di specifico obbligava l’università a prendere contromisure per garantire a tutti gli studenti le migliori condizioni. G.M.: Per far fronte a disturbi specifici è necessario organizzare le soluzioni alle problematiche e portarle a conoscenza dei docenti, che talvolta si ritrovano impreparati ad affrontarle. In particolare nelle materie linguistiche possono esserci persone dislessiche e tale problema è affrontabile attivando il gruppo di lavoro d’ufficio in collaborazione con il laboratorio di scienze. Assieme, coniugando l’esperienza del Cial e la professionalità del servizio, si possono ipotizzare modalità alternative per sostenere gli esami di lingua e dare le adeguate informazioni ai richiedenti. Giustizia non significa dare a tutti lo stesso, ma eliminare gli ostacoli che impediscono alle persone di raggiungere i propri obiettivi. Quali misure sono state adottate per favorire l’inserimento degli studenti disabili? Sia dal punto di vista delle barriere fisiche, sia per le possibili difficoltà di apprendimento, ad esempio per la dislessia. A.D.N.: È l’Opera Universitaria di Trento a gestire il Servizio Disabilità della nostra Università, in stretta collaborazione con i delegati per la disabilità presenti in ciascuna delle facoltà dell’Ateneo. I

servizi possono essere utilizzati dai nostri studenti affetti da disabilità che segnalano la propria situazione. Ci sono sempre più studenti con disabilità che lo fanno. Si cerca di fare tutto il possibile per eliminare ogni tipo di barriera fisica: ognuno di noi delegati in facoltà fa questo, valuta costantemente se ci siano ostacoli architettonici, e non solo, da eliminare. Più in generale poi, oltre alle agevolazioni economiche per gli studenti con invalidità molto serie, vengono offerti una molteplicità di servizi: dall’accoglienza, all’accompagnamento (sia per le lezioni, che per esami, in biblioteca, per le pratiche burocratiche, ecc.) ad opera di studenti coinvolti nel progetto delle 150 ore. Anche per quanto riguarda gli alloggi e i posti letto riservati vengono proposte soluzioni personalizzate: alcuni spazi sono dotati di tecnologie domotiche, ed anche ausili didattici e tecnici specifici per non vedenti, ipovedenti e per non udenti. Con riferimento a questi ultimi, per gli esami orali, è attivo un servizio di traduzione nella lingua dei segni in collaborazione con l’Associazione “Talking Hands”. Esiste poi anche un servizio help telefonico, attivo 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, pensato e dedicato agli studenti disabili alloggiati nelle strutture dell’Opera Universitaria di Trento. Come rivolgersi per chiedere assistenza pratica e logistica? G.M.: Sito opera con i contatti 24 ore su 24, garantendo i servizi base, l’assistenza e la disponibilità per le richieste non previste e cercando sempre di dare risposte specifiche. Per quanto riguarda la dislessia, è stato istituito uno sportello a cui rivolgersi per informazioni e consulenza su tale problematica e riguardante i problemi di apprendimento in generale. È possibile confrontarsi con personale esperto, chiarire eventuali difficoltà e anche effettuare diagnosi certificabili per ottenere, eventualmente, misure di ausilio che possano favorire l’apprendimento. Lo sportello aiuta chi soffre di questo disturbo a rapportarsi con i docenti, ad utilizzare il materiale didattico e offre consigli nella programmazione di un piano per fronteggiare tutte le difficoltà che si possano presentare. Va poi segnalato che nel nostro Ateneo esiste anche un servizio di consulenza psicologica. Le facoltà di Trento rispettano gli standard europei riguardanti l’inserimento universitario di soggetti con difficoltà? Vi sono direttive europee alle quali dobbiamo conformarci ? A.D.N.: Esistono standard e linee guida della Comunità Europea e delle Nazioni Unite, che cercano di fare in modo che la ➽➽continua a pagina 9

L’appuntamento annuale con l’iniziativa “Suggestioni nell’orto e nel giardino: forme, colori, profumi, sapori...” pagina 10

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ALCOOL E GUIDA: un problema sempre attuale

nuovi dati ISTAT sono chiari, nonostante il positivo trend di diminuzione degli incidenti stradali e soprattutto dei casi di morte sulle strade, i week end risultano ancora essere il periodo con la maggior incidenza di incidenti e non solo, la fascia d’età dai 20 ai 29 anni rimane quella più a rischio e quella che conta il maggior numero di morti. Tutto questo conferma la necessità di una rete di informazione/sensibilizzazione che cerchi di far maturare nei giovani la consapevolezza del valore della vita che è necessario custodire e proteggere. L’Associazione Prodigio è da sempre impegnata, in primis con il suo presidente Giuseppe Melchionna, a confrontarsi con le scuole sul tema degli incidenti stradali, dell’abuso di alcolici e di tutti quegli argomenti che possono favorire e insegnare un comportamento sicuro sulla strada. Anche quest’anno gli incontri hanno coinvolto alcune classi degli istituti superiori trentini. La finalità è stimolare un confronto produttivo tra ragazzi per non lasciarsi influenzare negativamente. A tal proposito il dilagante fenomeno degli “Happy Hour alcolici” di moda fra i giovani presenta aspetti alquanto preoccupanti anche sul fronte della sicurezza sulla strada. Le pagine di cronaca continuano a sfornare tristi storie di incidenti stradali e il binomio giovani e alcool è diventato molto comune e l’Associazione Prodigio, in questi incontri con gli studenti affronta direttamente con estrema veridicità e realtà il problema. Il nostro presidente Giuseppe Melchionna, infatti, nella prima parte dell’incontro, racconta agli studenti la propria esperienza suscitando in loro una immediata presa di coscienza che potrebbe accadere anche a loro e nello stesso tempo dimostrano interesse al racconto della sua voglia di riscatto, della sua determinazione nell’accettare la propria condizione per poter fare qualcosa per la società e per gli altri. In seguito ai ragazzi vengono proiettate delle slides informative e dei video educativi con l’obbiettivo di creare in loro una coscienza circa i rischi che corrono mettendosi alla guida dopo aver assunto sostanze alcoliche, dimostrando interesse per il racconto e rimanendo coinvolti dalla sua determinazione nell’accettare quanto gli è accaduto per poter fare qualcosa per la società e per gli altri. Per concretizzare l’esperienza alla fine di ogni incontro si chiede ai ragazzi di compilare un piccolo questionario a risposta multipla con una domanda finale di riflessione. Di seguito riporto i grafici riassuntivi più significativi dei dati raccolti nell’anno 2012 da 406 ragazzi di età compresa tra 12 e 22 anni di cui 191 maschi, 181 femmine e 34 ragazzi che non si sono qualificati. Come si può vedere da questo grafico quasi la metà dei ragazzi, che abbiamo preso in considerazione, non beve se esce la sera con gli amici. Se compariamo i dati raccolti con

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SENSIBILIZZAZIONE

Un fotografo esordiente che tratta attraverso le sue opere le problematiche sociali

Uno sguardo ravvicinato a ciò che potrebbe succedere alle nostre foto on-line

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Utilizzare i social network in modo prudente

ormai assodato che i social network siano sempre più diffusi. Particolarmente rilevante al riguardo risulta la pubblicazione e la diffusione delle foto in Internet. Ci è parso allora utile, in una rivista che si occupa di sensibilizzazione nel campo del sociale, informare i lettori su cosa significhi pubblicare una foto in Internet ed, in particolare, in un social network. Tale possibilità rappresenta una delle caratteristiche vincenti di tali piattaforme sociali: con pochi click è infatti possibile rintracciare chiunque (che abbia un profilo on-line) si stia cercando. Nei social network però non troviamo solo foto pubblicate con il

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consenso dell’interessato, ma anche immagini ritraenti altre persone, che potrebbero (e spesso è così) non aver prestato il consenso alla divulgazione. Sappiamo che, se si è utenti del social network, si riceve una notifica nel caso di avvenuta pubblicazione di una nostra foto con annesso il nome e il cognome. Ebbene, l’unico mezzo a tutela dell’immagine personale che viene offerto è la rimozione della “tag”, ovvero la disattivazione dell’applicazione che, tramite il riconoscimento automatico del volto, associa nome e cognome al ritratto dell’utente registrato. Non è possibile quindi rimuovere od oscurare l’immagine, anche solo nel punto in cui compare il nostro volto, con la conseguenza che essa rimarrà a tutti gli effetti pubblicata anche se sgradita. Le questioni che si sollevano al riguardo sono di due tipi: da un lato viene in gioco la legge del 22 aprile 1941, n. 633 (d’ora in poi legge sul diritto d’autore) nella parte concernente i ritratti, dall’altro il codice della privacy, essendo l’immagine un dato personale a tutti gli effetti. Quanto al primo richiamo legislativo trovano applicazione gli artt. 96 - 98 della legge sul diritto d’autore. Da tali norme emerge che il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa. Non occorre il consenso solo se la notorietà, il ruolo pubblico ricoperto dall’interessato ne giustificano la pubblicazione, così come per necessità di giustizia e polizia, scopi scientifici, didattici o culturali o quando la riproduzione è collegata a fatti e avvenimenti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Secondo la legge sul diritto d’autore sono quindi tassative le ipotesi in cui il ritratto può essere esposto, riprodotto o messo in commercio e

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comunque non quando rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta. Per quanto riguarda le disposizioni del codice della privacy, va ricordato come l’immagine dell’utente sia da considerarsi a tutti gli effetti un dato personale e come quindi debba sottostare alla disciplina prevista per tale categoria di dati (consenso, diritto di accesso, cancellazione e rettifica etc.). In realtà una volta immessa un’immagine in Internet è difficile che tali disposizioni normative riescano ad essere concretamente applicate. Ciò ancor più nel social network dove il file d’immagine, come abbiamo visto, è di fondamentale importanza per il funzionamento della piattaforma. Una volta pubblicato il proprio ritratto si perde infatti la disponibilità di esso, ovvero, il singolo file pubblicato dall’utente potrà essere astrattamente protetto sia dalle apposite disposizioni del diritto d’autore che da quelle del diritto della privacy, ma sulle infinite copie che di quel file possono essere realizzate l’utente perde completamente il controllo. Se, ad esempio, viene fatta una copia del ritratto di un utente per poi riprodurla, ritoccarla e commercializzarla sotto forma di volantino per una festa, vi sarà violazione dell’art. 96 della legge sul diritto d’autore. Se, ancora, quell’immagine sarà entrata in possesso di terzi sotto forma di copia, prima che la si cancelli con l’intento di eliminarla definitivamente, potrebbe argomentarsi sulla violazione del codice della privacy, laddove prevede il consenso, il diritto di cancellazione e rettifica dei dati personali. La questione diventerebbe ancor più delicata se l’immagine ritraesse un minore, tenendo conto che in tal caso troverebbe applicazione l’art. 13 del d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, che prevede un divieto generale di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie o immagini idonee e consentirne l’identificazione. Si può ancora fare riferimento all’art. 10 del codice civile, rubricato “Abuso d’immagine altrui”, secondo il quale nel caso in cui l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni. Resta il fatto che in Internet ed in particolare nel social network non sembra ancora ritrovarsi una risposta tecnologica a queste esigenze. Possiamo quindi, per ora, invitare il lettore ad utilizzare in modo molto prudente Internet ed, in particolare, i social network. Fabrizio Venturelli

Un giovane che parla ai giovani

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lavio Grandinetti è un giovane studente calabrese iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell’università Magna Grecia di Catanzaro. Non tutti forse sanno che è un giovane fotografo talentuoso meridionale. Il suo mondo artistico abbraccia soprattutto tematiche sociali; è possibile individuare frequentemente nei suoi scatti la volontà di esprimere la precarietà giovanile, la vacuità del futuro e l’immaterialità delle aspettative lavorative. Il suo obiettivo si concentra spesso su soggetti floreali, che nella sua sensibilità artistica associa ai giovani; i giovani, come i fiori di campo, appaiono fragili e frantumabili come il cristallo. Attraverso i giochi di luce e di ombre il fotografo calabrese mette ora in risalto quel soggetto, ora quell’altro. Spesso si concentra sui ritratti; gli sguardi delle persone diventano talvolta urla dirompenti per le orecchie dell’anima. I luoghi che immortala maggiormente sono quelli della sua terra e nella sua personalità artistica si assiste ad una sovrapposizione tra luoghi natii e luoghi del cuore. La sua fotografia è continuamente tesa a cogliere dietro l’istante il mondo; nei paesaggi c’è l’identità morfologica del territorio, nella mano c’è il tremolio silente ed invisibile dell’anima, nello sguardo c’è il fermento del cuore. La sua attività comincia ad avere alcuni riscontri; un suo prodotto è stato scelto come copertina per il libro edito da Senso Inverso edizioni “Quei miei tonfi densi cumuli di pensieri”. Ma l’attività artistica di questo giovane promettente rischia di essere compromessa; troppo spesso assistiamo alla fuga di cervelli eccelsi che non trovano un riconoscimento o uno sbocco lavorativo nella nostra terra e sono costretti a migrare verso paesi più “caldi” come meste rondini esuli. La personalità artistica di questo giovane fotografo si è concentrata su un’espressione tra le più complesse dell’ambito culturale. Apparentemente utilizzare una macchina fotografica sembrerebbe facile; in fondo quale difficoltà può presentare azionare un bottone? In realtà la fotografia è la forma d’arte più impetuosa e che non perdona! Se allo scrittore sono

A sinistra Flavio Grandinetti, In alto alcune delle sue opere.

concesse un numero infinito di parole per addurre il consenso dei suoi lettori, se ad un musicista è consentito creare più sinfonie per cogliere il gusto dell’uditorio, al fotografo è concesso solo un clic, un clic per immortale un universo, un clic per convincere i suoi estimatori. Le problematiche sociali pesano come una spada di Damocle anche sul capo del fotografo calabrese e vengono sublimate attraverso le sue immagini evocative di un mondo dell’anima. Ecco che il disagio giovanile prende forma. Flavio Grandinetti è uno studente come tanti, un artista come tanti, un ragazzo come tanti, ma che rende la sua interiorità attraverso la macchina fotografica e che generosamente si concede completamente agli altri lasciando agli spettatori le sue tensioni, le sue preoccupazioni ed i suoi timori. Fabiola Lacroce

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Direttore responsabile: Francesco Genitoni. Abbonamento annuale (6 numeri) Proprietà: Associazione Prodigio Onlus Redazione: Bosetti Ugo, Giuseppe Melchionna, Carlo Nichelatti, Monica Miori, Privati €15,00; enti, associazioni e sostenitori €25,00 con Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Giulio Thiella, Fabrizio Venturelli, Maurizio Franchi, Lorenzo Pupi. bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Hanno collaborato: Matteo Tabarelli, Fabiola Lacroce, Sara Caon. 25 O 08013 01803 0000 6036 2000 intestato a “AssoSito Internet: www.prodigio.it In stampa: mercoledì 20 marzo 2013. ciazione Prodigio Onlus” presso la Cassa Rurale di Aldeno e E-mail: associazione@prodigio.it Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana). Cadine indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”. Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Pagamento con carta di credito su www.prodigio.it. Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70%pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | aprile 2013 - n. 2


A RT E

White, Christian Fogarolli in mostra alla Galleria d’Arte Contemporanea Boccanera di Trento

Mugshots e violazione identitaria: uno scavo archivistico negli ex istituti psichiatrici

White come le pareti delle stanze, come i camici degli infermieri, come le camicie di forza... Bianco. La mostra White presenta due progetti di Christian Fogarolli: Lost Identities e Blackout, entrambe curate da Chiara Ianeselli. I soggetti su cui si focalizza l’artista sono gli individui internati e la loro follia: Fogarolli è attratto dall’analisi della dimensione identitaria e propone allo spettatore un confronto diretto con queste personalità deformate sia partendo da loro ritratti, sia avvalendosi dei loro oggetti, mediatori indiretti che si prestano ad essere interpretati per raccontare stralci della loro storia. Il visitatore è accolto da immagini fotografiche “multiple”: gli originali sono sovrapposti, in movimento, rendono le fattezze del “mad” calandolo nell’idea di diacronicità, restituendo quindi l’individuo ad una dimensione temporale. L’attenzione è poi catturata da fotografie appese al soffitto, animate da un ventilatore, reperto recuperato da una stanza d’un istituto psichiatrico e creato da uno degli internati. Se la finalità è istigare l’occhio a saltare da un’immagine all’altra incessantemente, parrebbe anche lecito scorgervi una sfida, un gioco proposto agli appassionati lombrosiani: quelle persone impresse su pellicola non sono solo utenti manicomiali, ma anche individui che vi avevano a che fare per altri motivi (infermieri,

La Galleria d’Arte Contemporanea Boccanera di Trento

Una protesi tra il territorio locale e il contesto internazionale per ricerca e promozione di cultura. Dal maggio 2007 la Galleria d’Arte Contemporanea Boccanera è una solida realtà culturale nel panorama trentino: l’idea che la direttrice, e fondatrice, Giorgia Lucchi Boccanera persegue è promuovere e supportare i giovani artisti che, con linguaggio fresco e competitivo, riescono a imporsi nel panorama artistico internazionale. Gli spazi Boccanera hanno accolto le opere di giovani talenti emergenti, come la mostra White di Christian Fogarolli, che con Lost Identities s’è conquistato la visibilità a Kassel, in Germania, e Valentina Miorandi, premiata ad Arte Fiera Bologna con il premio Euromobil per 175 ettari. Trento come Auschwitz. Ma non è uno spazio esclusivo per gli artisti locali: la Galleria Boccanera ha la sensibilità di vagliare le opportunità oltreconfine mantenendo un occhio di riguardo su quel che succede nel territorio. La sperimentazione coinvolge, quindi, anche esponenti stranieri con trascorsi prestigiosi, come Richard Loskot che è stato ospitato nei locali di via Milano 128 con Open System. L’idea di fondo che sostiene i progetti è quella di fare ricerca e cultura facendo interagire il contesto italiano con gli stimoli esterni, aprendosi alla globalizzazione: la Galleria Boccanera è una protesi culturale che valorizza quei testimoni talentuosi che operino con passione, originalità ed entusiasmo.

Galleria d’Arte Boccanera

www.fogarolli.eu

Didascalia foto dall’alto: Drugs; Blackout; Vent Blanc; Melancholia.

mati, alterati e controllati da un sistema esterno. L’impressione è che ci sia un qualcosa di salvifico nel profanare la vita di persone rigettate a suo tempo dalla società per dare loro una dignità postuma. Sezionare identità non è solitamente considerata un’attività oggettiva ma, in questo lavoro, non pare esserci pietas da parte dell’artista: l’impressione è che stia offrendo ai soggetti la possibilità di riscattarsi, di emanciparsi dai ritratti fotografici che, proseguimento dell’istituto psichiatrico, sembrerebbero di nuovo imprigionarli per renderli innocui. Monica Miori

familiari...) sembra che stia allo spettatore additare dove possa risiedere la presunta patologia psichica.

Lost identities: citazioni di esistenze

MARKETING SAIT

Era il 1978 quando la legge Basaglia, legge 180/78, proposta dallo psichiatra Franco Basaglia, impose la chiusura dei manicomi e disciplinò il TSO, trattamento sanitario obbligatorio. Questa svolta legislativa testimoniò il cambiamento del punto di vista sanitario sull’assistenza psichiatrica ospedaliera e fu un’emancipazione dalla precedente logica manicomiale: il paziente non ricopriva più il ruolo del detenuto, da internare e celare ad occhi esterni, ma si volle curarlo nella comunità terapeutica per poi reinserirlo nella società. Ma prima? L’istituto psichiatrico altro non era che una specie di carcere per persone ritenute socialmente scomode spesso portatrici di handicap fisici, malati di mente o presunti tali: basti ricordare che furono internati anche omosessuali perché tale “devianza” era ritenuta una patologia da trattare adeguatamente. La mostra scuote lo spettatore proiettandolo in questo “prima”, accompagnandolo in uno scorcio manicomiale di qualche decennio fa, passante dal filtro dell’interpretazione artistica. Non siamo lontani né come tempo né come spazio dalla tematica: i materiali recuperati derivano soprattutto dal noto istituto psichiatrico di Pergine. Un istituto locale non estraneo alle pagine di cronaca nera, soprattutto durante il periodo della seconda guerra mondiale, e non esente da ombre poco approfondite sul trattamento degli ospiti. La finalità sociale non è un risvolto analizzato dall’artista: il principale obiettivo della ricerca esposta in White verte sulla questione identitaria e se si è scivolati sul piano sociale è stato per un’inevitabilità presentata dall’argomento trattato, per il forte nesso intrinseco nella tematica, ma non per un’indagine volutamente condotta in tal senso.

INFO

Uno scorcio nei manicomi

Lost identites è il risultato di una ricerca d’archivio: in un prodotto di video-arte è presentata un’analisi identitaria dei detenuti partendo dallo studio di cartelle cliniche, lettere e documenti fotografici rinvenuti nei faldoni degli ex istituti psichiatrici. Tale opera parrebbe un punto d’arrivo, il naturale compimento di una ricerca nata con l’analisi di fotografie derivanti dall’ambito criminale e giuridico di fine Ottocento-metà del Novecento ed il risultato è una galleria di identità dinamiche che, con forti caratterizzazioni, sfidano lo sguardo dell’interlocutore ricordando che il confine tra profilo biografico e diagnosi può non essere sempre ben definito.

Profanare una collezione: Blackout Altro esperimento degno di nota è quello di considerare l’individuo partendo non direttamente da una sua rappresentazione, ma dal suo contesto e dalle testimonianze reperite dalla sua quotidianità. La protagonista di blackout è un’esperta collezionista per alcuni, o una pazza accumulatrice per altri: Fogarolli prende a braccetto lo spettatore e lo scorta con sé a scavare nella vita di Miss Swann: un video in pov, Hôtel Dieu, mostra le mani dell’artista che rovistano in cassetti, sfogliano libri, cercano foto, vagliano pacchetti di nazionali... violano l’identità della persona, attenta “fautrice dell’archivio di se stessa”. Il contesto si conclude con una complementarietà regalata da oggetti appartenuti alla donna e drugs: un sunto farmacologico che immortala le scatole di medicinali che assumeva la donna. Se a un occhio profano potrebbe sfuggire il nesso tra i progetti, ci pensa Fogarolli a palesare il filo rosso che le collega: entrambi racchiudono individui trasforpro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | aprile 2013 - n. 2

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S O C I E TÀ

Un record per invitare i fumatori a smettere: l’ambizioso progetto di Maurizio Menestrina

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Basta guinness che sfiorano il ridicolo: un’idea che li ridurrà in cenere!

un aiuto, una sfida, una provocazione quella di Maurizio Menestrina, classe 1961, operatore al centro Anffas, vignettista e vulcano di idee, che si è lanciato in un’altra memorabile impresa. No, questa volta non si tratta di pedalare con il “Tour de Mat”: ricordiamo che Menestrina è già noto alle cronache locali per aver coperto nel 1992 la tratta Trento-Amsterdam in bicicletta, avventura ripetuta nel 1993 per Trento-Budapest, fino ad arrivare nel 2000 a delimitare il perimetro della Korea del Sud, ancora una volta in sella alla due ruote. Il minimo comune denominatore delle sue iniziative è mantenere saldo il risvolto sociale e quest’ultima novità non è da meno: la sua penna sta lavorando tramite l’istigazione visiva a smettere di fumare. Inizialmente nata come una lotta personale, ora questa sua idea sta avendo una cassa di risonanza anche sul territorio locale, forte dell’attività precorritrice di questo progetto. Già nel marzo 2005 pubblicò un opuscolo illustrato sui danni del fumo (“Solo fumo. Scegli la

Fin da piccolo manifestò una naturale predisposizione per il disegno fumettistico ed ora sfrutta questo suo talento per impressionare i fumatori. Il monito passa attraverso vignette che sfiorano il grottesco, l’ironia e che giocano sull’empatia con lo spettatore: il fumatore è

A sinistra Maurizio Menestrina, In altre a destra alcune delle sue composizioni.

salute” Lega Tumori Trentina): e qui in questo libretto già s’intravedono i germogli della passione fumettistica relazionata alle sigarette...

Tenerife, Canarie: un’isola che tende una mano all’accessibilità

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Quando la vacanza diventa alla portata di tutti

enerife è la più grande isola dell’arcipelago delle Canarie, svetta dall’oceano Atlantico affacciandosi sulle coste meridionali del Marocco. Vanta una solida fama fra i turisti per le sue spiagge assolate, per le potenti onde dell’oceano e suscita uno spiccato interesse negli escursionisti perché ha il privilegio di ospitare El Teide: il vulcano, con i sui 3718 metri d’altezza, rappresenta la vetta più alta della Spagna è stato proclamato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. No más jòvenes, solo familias Tenerife è un luogo che di recente sta subendo un drastico cambiamento per quanto riguarda la clientela: proprio in questi ultimi anni sta promuovendo nella sua politica turistica un deciso cambiamento di destinatari. Non è più meta per giovani in cerca di movida notturna, come accadeva fino a pochissimi anni fa, ma si sta manifestando la voglia di puntare soprattutto su una clientela composta da famiglie e sulla fascia di persone con disabilità. Il tutto porta, di conseguenza, a sostanziali mutamenti architettonici e di offerta d’intrattenimenti dell’isola o, almeno, di alcune zone di essa. Nell’agosto inoltrato del 2012 i locali notturni di Playa de Las Americas e di Los Cristianos, località a sud dell’isola Tenerife, non faticavano certo a contenere quel manipolo di giovani che, spaesati, cercavano divertimenti notturni pensando di trovare l’offerta delle ben più caciarone Baleari (pochi i locali che fossero gremiti di persone). Durante la giornata invece le coste dell’oceano pullulavano di persone che si alternavano tra gli hotel e la spiaggia. Tanti i genitori con bambini piccoli e molte anche le sedie a rotelle: la spiaggia e gli hotel sono comodamente collegati con un percorso studiato e accessibile. Rampe in cemento sono alternate a passerelle linee che permettono d’arrivare fino all’oceano a passeggini e carrozzine. Un’isola di comodità e natura

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handysuperabile guida di Tenerife

“specchiato” in contesti che riconoscerà propri, per certi moduli, ma sono deformati su aspetti del reale e su probabilità su cui l’amante delle bionde non si ferma solitamente a pensare. Le tavole riprendono il vizio umano in ogni sua forma, contestualizzandolo in situazioni riconoscibili, senza dimenticare una buona boccata di ironia. Il progetto non finisce qui. È ancora più ambizioso: l’augurio è quello di entrare nel guinness dei primati per il maggior numero di vignette originali relazionate al fumo! Il traguardo è arrivare a mille tavole che raffigurino un concetto, un’idea, uno stralcio satirico sul vizio dei nicotinomani: ad ogni illustrazione è accompagnato un pacchetto di sigarette abbandonato da un qualunque fumatore e recuperato personalmente da Maurizio (solitamente da terra, per applicare di persona, anche in una contenuta quotidianità, l’arte del riciclo). Nessuno s’è mai cimentato in un’impresa simile: riuscire a far capire al fumatore, sfidandolo a visionare tutte e 1000 le tavole a riconoscersi nei disegni! Qualche pacchetto abbandonato anche da te, lettore, potrebbe comparire come protagonista in questo originale catalogo finalizzato alla lotta contro il fumo! Monica Miori

➽➽continua dalla prima pagina

quelli del 2011 possiamo vedere che c’è stato un cambiamento, infatti, nel 2011 la maggior parte dei ragazzi (il 48% del totale) avevano dichiarato di bere mediamente un drink quando uscivano la sera con gli amici. Questo dato deve essere preso con le dovute considerazioni dato che la comparazione è stata fatta su due campioni di ragazzi diversi. Da questo grafico si può vedere che più della metà dei ragazzi presi in

holidayforall Tenerife

La punta sud-occidentale di Tenerife offre spiagge bianche e nere, di origine vulcanica, e Playa de Las Americas, che concentra una grande quantità di alberghi, non lascia trasparire più di tanto il carattere originario della zona. In compenso le moderne strutture hanno portato ad un’evidente agevolazione nello spostamento dei disabili. Se le Canarie, in generale, non sono considerate attrezzate per i diversamente abili, almeno a detta della guida Lonely Placet, Playa de Las Americas e altre spiagge di A partire dall’alto: Tenerife sembrano un’eccezione: Vista panoramica su conferma è la massiccia presenza di Garachico, Tenerife; persone con invalidità fisiche sulle Spiaggia di Las spiagge antistanti gli alberghi e a Americas, a Tenerife passeggio nei lungomare durante Sud; Scorcio di Garachico, Tenerife. tutta la giornata. Alcuni ristoranti e negozi locati in edifici più vecchi e tradizionali non sono ancora predisposti per accogliere clienti con mobilità ridotta, ma le molte catene d’alberghi di stampo europeo non avranno problemi ad ospitarli, così come qualche altra struttura più moderna. Anche nella Playa de Las Vistas non solo l’accesso è assicurato ma la spiaggia stessa è stata appositamente pensata per i disabili, è stata creata partendo dalle loro esigenze: innanzitutto senza barriere architettoniche e fornendola di adeguate docce e cabine. Questo per quanto riguarda le zone in loco, ma anche il viaggio è agevolato: sia gli aeroporti italiani sia quelli Tenerife, quello a nord che a sud, sono progettati con attenzione e adeguati alle direttive europee in materia di disabilità. Molto utile, completa e con buoni consigli è la guida reperibile sul sito www.handysuperabile.org, nella sezione “Tenerife”: sono elencate alcune strutture alberghiere accessibili accompagnate da un’approfondita descrizione, così come per le escursioni proposte dove il lettore ha a disposizione tutte le informazioni utili per una scelta consapevole. Monica Miori

considrazione hanno risposto che non si sono mai ubriacati, dati che confermano la rilevazione del 2011 su un altro campione di ragazzi della stessa

fascia d’età. Dall’analisi delle risposte alla domanda di riflessione “Quando senti parlare (TV, Radio, Internet...) di incidenti stradali cosa provi?” è emerso che la maggior parte dei ragazzi è sensibile all’argomento e quindi c’è una generale presa di coscienza del problema. La maggior parte dei ragazzi provano, infatti, sensazioni di dispiacere, tristezza o rabbia. Questi risultati confermano quello che è stato osservato anche nel 2011 tramite sempre lo stesso questionario. In conclusione si può affermare che i ragazzi di entrambi i campioni

sono sensibili al problema alcool e guida e riescono a elaborare la presa di coscienza del “pericolo” proprio grazie all’abbinamento video/ testimonianza personale che l’attività del nostro presidente Giuseppe Melchionna prevede e per questo la nostra associazione è convinta che la sensibilizzazione nelle scuole sia indispensabile per formare nei giovani la determinazione di “proteggere” la propria vita. Maurizio Franchi

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I N T E R V I S TA

Intervista ad Elisabetta Bolondi: la quotidianità di mia madre e l’eterno risveglio

bbiamo incontrato Elisabetta, una signora bolognese ormai da più di vent’anni residente in Trentino, che si è resa disponibile a raccontarci il lungo percorso che ha dovuto intraprendere, e che sta proseguendo, per accompagnare la madre nelle varie fasi dell’Alzheimer. Con impeccabile ordine cronologico e grande forza ha scelto di condividere con i nostri lettori il racconto di un’esperienza tanto delicata e traumatica, con la speranza che possa servire da spunto, o anche solo come termine di paragone, per chi si ritrovasse in una situazione similare o per introdurre ad esterni una malattia solitamente tenuta ai margini, l’Alzheimer. Da quanto tempo è stata diagnosticata la malattia di sua madre e come si è accorta di quello che le stava succedendo? Quali sono stati i primi sintomi? La scoperta della malattia di mia madre è stata una doccia fredda: era ricoverata in un ospedale di Bologna per dei problemi alla schiena e in quell’occasione l’anestesista ci consigliò di sottoporla ad un esame approfondito per l’Alzheimer. La malattia fu diagnosticata nell’agosto 2008: venne scoperta in ritardo a causa di altre emergenze derivanti da urgenze sanitarie che l’altra nonna di casa stava manifestando. I problemi cognitivi che mia mamma presentava erano stati relegati da noi familiari a “conseguenze” del trattamento ortopedico e farmacologico che stava seguendo per la schiena. La diagnosi ci prese alla sprovvista ma, a ripensarci col senno di poi, qualche sintomo già s’era manifestato nel periodo precedente. Nel 2007 ci accorgemmo che aveva dei vuoti di memoria: furono episodi a cui, al tempo, non fu dato il giusto peso: talvolta si scordava i fornelli accesi dopo aver portato in tavola le pietanze o ancora, sempre in ambito culinario, si dimenticò la ricetta di un piatto considerato “il cavallo di battaglia” della sua cucina. Notammo che le sue prime amnesie coinvolsero più l’ambiente domestico che i luoghi. Accadde anche che confondesse i panni sporchi con quelli puliti. O ancora, ennesima spia dell’Alzheimer, entrava nel letto a carponi, come i bambini, cosa che non aveva mai fatto prima. Erano esternazioni di problemi cognitivi gravi che sarebbero poi accresciuti col tempo. Cosa fa per aiutarla? All’inizio la mamma venne seguita soprattutto da mio padre: abitando a Bologna io mi recavo settimanalmente con la mia famiglia a trovarli, ma non potevo essere una presenza giornaliera. Il primo aiuto che ci venne proposto dai medici fu integrarla in un gruppo di autocoscienza, ma tale ausilio fu rifiutato dal papà, forse considerandolo poco efficace. La perdita di competenze non tardò a manifestarsi: forse aver preso parte a tale gruppo avrebbe potuto rallentare il corso dei sintomi o stabilizzare le fasi iniziali dell’Alzheimer. Nell’inverno 2008-2009 mio padre perse la sua autonomia in seguito alla rottura d’un femore: decidemmo quindi di trasferire i miei genitori a Martignano per averli vicini e per seguirli più facilmente. Una grande mano ci venne data da cari amici che ci supportarono con la logistica della nuova abitazione. Mia madre in quel periodo era ancora autonoma, anche se i vuoti di memoria stavano diventando sempre più frequenti. Da quando ha scoperto la malattia si è mai fidata a lasciarla in casa? Poteva capitare che durante il periodo iniziale la lasciassimo in casa senza compagnia qualche ora, ma erano casi occasionali. All’inizio il maggior supporto di mia madre fu il marito che le stava sempre accanto, ma quando lui venne a mancare abbiamo trovato una badante, con cui ci organizzammo a turni per non lasciarla mai sola. Se rimaneva in solitudine, infatti, aveva crisi di panico e trovava difficoltà a praticare attività quotidiane: stava perdendo certe autonomie, anche basilari, che avevamo sempre dato per scontato. In un anno e mezzo era peggiorata tantissimo: nell’inverno del 2010 sapeva farsi solo un caffè. La malattia ha implicato una progressiva perdita di consapevolezza: mia madre stava cambiando, stava diventando meno trattabile, meno collaborativi, propensa al rifiuto e più irrequieta.

Via via che la malattia si accentuava diventava più difficile gestirla: ad esempio una volta mentre le passavo lo smalto, lo voleva bere. Divenne quindi necessario prestare la massima attenzione a tutti i prodotti e gli strumenti che sarebbero potuti essere potenzialmente pericolosi. La malattia è stata graduale o improvvisa? Come si comportava la malata? Le perdite di memoria e di competenze si sono manifestate sempre “a gradini”, non in maniera graduale: quindi erano drammatiche ed imprevedibili. Mia madre inizialmente aveva piccoli vuoti di memoria ma, con l’andare del tempo, ebbe diverse situazioni che sottolinearono come la malattia si stesse accentuando. Nell’estate del 2009 quando ancora, forse, il corso del disturbo si poteva rallentare, ci fu un evento che ne determinò il crollo: mio papà morì per infarto proprio davanti ai suoi occhi. Questo fu un trauma per lei: nonostante iniziasse a dimenticare gli avvenimenti recenti, questa tragica scena le rimase impressa per almeno un paio di mesi dopo che accadde. Fu la causa che accelerò la malattia. Mio padre le era sempre vicino e, come amava ricordarle quando lei gli chiedeva chi fosse, si presentava

“A” DI ALZHEIMER

A

“Mia madre e l’Alzheimer”... un percorso descritto dalla figlia dimenticata

Le quattro “A” dell’Alzheimer

I sintomi che spesso si presentano nel paziente: Amnesia significativa perdita della memoria; Afasia evidenti difficoltà comunicative che si manifestano con l’incapacità di formulare messaggi e di capire le informazioni orali; Agnosia incapacità di riconoscere persone, oggetti, stimoli e luoghi; Aprassia incapacità di compiere correttamente alcuni movimenti volontari;

come “io sono la tua memoria”. Durante l’estate 2009 perse i legami con colui che aveva trascorso gli ultimi sessant’anni assieme. Scomparve il riferimento più importante. Nei mesi successivi la diminuzione della capacità cognitiva fu sempre più veloce, evidente ed “a scaglioni”. Tra febbraio e marzo accade che una mattina, alzandosi, mia madre non sapesse più vestirsi da sola. Lei stessa era consapevole che fosse colpa della malattia: ci metteva mezz’ora ad abbottonarsi la camicetta ma con tenacia ugualmente ci provava, sembrava una bambina alle prime armi. Da quel momento non poté più stare sola. Per dare un idea dell’arco temporale trascorso potrei dire che nell’estate del 2010 ancora riusciva a comportarsi; riusciva a mantenere una conversazione con un conoscente rimanendo nei canoni sociali impartita dalla buona educazione mentre nell’estate dell’anno successivo già il suo comportamento divenne ingestibile. Perse il modo formale d’interagire con le persone, era totalmente impaziente se c’era qualcun altro. Tutte le cose che avevo letto sono arrivate. Non sapeva più scrivere il proprio nome né leggere finché una mattina non riuscì più a vestirsi: da quel giorno non riuscì neanche più a infilarsi le scarpe. La stessa cosa avvenne per la deambulazione: non riusciva più a far scalini, a prendere una direzione e non era più in grado di intraprendere percorsi autonomamente. Quali sono stati i cambiamenti che ha notato in sua madre e che più l’hanno fatta soffrire? Non ricordava più gli eventi temporalmente vicini: anche il trasferimento a Martignano, un cambio di ambiente divenuto recente, iniziò a

non ricordarlo. Quando aumentò la perdita di consapevolezza, arrivando alle fasi più avanzate della malattia, giunse a trattare i familiari come degli “aguzzini”. Sembrava che noi gli stessimo impedendo di tornare ad una vita che aveva vissuto: “Riportami a casa, riportami dai miei”. Si ritrovava in un ambiente a lei sconosciuto e spesso ci diceva “Ma lo sanno i miei che sono qua? Devo tornare a casa”, riferendosi ai luoghi e alle persone della sua infanzia. Non ricordava i nipoti e il nuovo nucleo famigliare che creò dopo il suo matrimonio. Passò anche la fase dello “sdoppiamento”: quando mi vedeva riconosceva nel mio volto qualcosa di famigliare, ma non voleva me, ma l’Elisabetta diciassettenne. Questo è stato il momento in cui s’è dimenticata di me. Ed un momento doloroso per un figlio: prima si dimentica il nome di nipoti, poi dei figli perché appartengo ad un passato più recente. Se all’inizio cercavamo di spiegarle la sua situazione, non capacitandoci che non potesse ricordare proprio nulla di tutto ciò che abbiamo trascorso assieme, in seguito imparammo ad assecondarla dandole risposte immediate, tranquillizzanti e cercando di sdrammatizzare. Dopo aver contratto questa malattia mia madre cambiò totalmente carattere: è diventata molto capricciosa, una donna totalmente diversa della figura materna che avevo conosciuto. Una delle quattro “A” di questa malattia è l’afasia: ne è affetta anche sua madre? (altre “A” = amnesia, agnosia, aprassia). Sono arrivati tutti i sintomi: oltre a non saper vestirsi, non sa più scrivere il proprio nome né leggere. Diventò poi inconsapevole, aggressiva, rabbiosa e sempre agitata. Ma non si è manifestata l’afasia. Ancor oggi sa parlare, non ha perso la parola, è caparbia. Ultimamente i discorsi sono farneticanti, non seguono un filo logico. L’ultima parentesi di lucidità la ebbe durante un’incontro con la sorella: dopo un’ora e mezzo di monologo sconclusionato dalla nebbia uscì una frase pertinente al contesto. Al momento è lei in persona che segue sua madre o si è affidata a qualche struttura? All’inizio la situazione era gestibile in casa: quando entrambi i miei genitori si trasferirono da Bologna a Martignano eravamo noi familiari, con l’aiuto di mio padre ed in seguito con la badante, ad occuparcene. Si passò poi ad una fase più acuta della malattia: in un momento d’agitazione mia madre cadde e si ruppe un femore. Durante l’operazione che ne seguì e nel corso della degenza in ospedale fu molto impegnativo riuscire a trattenerla, non era possibile lasciarla mai sola e in casa di riposo ci stava malvolentieri. Era impossibile occuparsene a casa: aveva necessità di un’assistenza mirata e continua, non era collaborativa, urlava e raramente l’agitazione la lasciava in pace. La notte di Natale si ruppe anche il secondo femore: per quest’evenienza rimase allettata tre mesi dopodichè recuperò. Nonostante fosse trascorso molto tempo non s’era ancora trovata una cura farmacologia per lo stato d’ansia. Da lì non tornò più a casa: preferimmo ricoverarla in un’apposita struttura assistenziale. Ha trovato un aiuto da qualche associazione che si occupa di questa particolare malattia? Il sostegno concreto l’ho trovato nelle assistenti domiciliari: avevo delle badanti con cui ci alternavamo per assistere mia madre. Non è stato facile affiancare questa nuova figura alla malata: non la accettava, non le riconosceva la stessa autorità che potevamo avere noi familiari oppure i medici. In questa circostanza abbiamo avuto il dubbio se riportarla a Bologna, sotto consiglio di un amico medico, che sosteneva che per i malati l’Alzheimer è più importate l’ambiente in cui ci

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si trovano rispetto alle persone che lo circondano. Alla La diagnosi precoce fine abbiamo optato per dell’Alzheimer con il tenerla vicino a noi. Nell’edottor Giovanni Frisoni venienza di un ritorno a neurologo e vicedirettore scientifico del FatebeBologna avremmo dovuto nefratelli di Brescia delegare qualcun altro che se ne occupasse, quindi abbiamo preferito starle vicino noi. Questo è stato il bivio innanzi al quale ci siamo trovati nell’inverno 2010. Devo dire che l’impegno economico è notevole per sostenere questo tipo di servizio, ma per un certo periodo di tempo si è reso necessario. Un altro aiuto l’ho trovato nel centro diurno dei malati di Alzheimer: si tratta di un servizio d’accoglienza in forma semi-residenziale pensato appositamente per persone affette da questa tipologia di disturbi. Facemmo domanda per tale assistenza e la richiesta venne accolta, era il periodo in cui mia madre non dormiva la notte. Stava passando la fase del “wandering”: è un sintomo della demenza che porta il malato alla fuga, ma apparentemente senza scopo. Il paziente sente l’esigenza di andarsene, vuole scappare dal luogo in cui si trova. Quest’impulso rese mia madre pericolosa per se stessa: una volta l’abbiamo trovata in balcone che voleva uscire dall’appartamento passando da lì. In questa fase non c’è un equilibrio. Tutto quello che prima era un po’stabile, come ad esempio il fatto che mangiasse da sola, che sapesse usare il bagno...venne resettato. Di colpo ci siamo resi conto che non era in grado di portare a termine neppure queste attività considerate normali. Ha trovato sostegno da parte di persone che hanno un famigliare nella stessa condizione della madre? Nella struttura in cui si trova ora mia madre ci sono altre persone assistite per la stessa malattia e talvolta capita di confrontarci tra familiari. Così pure ho amici con persone care affette dallo stesso disturbo: ne parliamo ma senza scordare che ogni caso è a se stante. Se i sintomi e le fasi hanno qualcosa in comune, ogni paziente le manifesta in forme, tempi e modalità diverse, cosicché ci si può riconoscere solo fino ad un certo punto nell’esperienza dell’altro. A qualcuno che si trovasse nella sua stessa condizione cosa consiglierebbe? Come dovrebbe comportarsi nei confronti della persona affetta da Alzheimer? Secondo la mia esperienza le spiegazioni fornite al malato, quando si trova in una situazione di disturbo avanzato, sono assolutamente inutili: bisogna fornire risposte secche, che lo calmino ed assecondino nel suo “eterno risveglio”. I figli sono gli ultimi a capire che devono “stare al gioco”: ho capito tardi che non dovevo raccontarle e darle spiegazioni ogni volta che aveva amnesie. Dovevo acconsentire e si sarebbe tranquillizzata. Bisogna adattarsi alla loro nuova condizione. Per intrattenere mia madre, e per distrarla dalla perpetua agitazione che la attanagliava, le abbiamo creato un piano, una tabella di marcia, che le occupasse la giornata, proponendole delle attività che le potessero piacere. In tutto ciò all’inizio cercavo di mantenere una parvenza di normalità: oltre alle passeggiate al parco andavamo dal parrucchiere, a prenderci un caffé o cercavo di riproporle le sue vecchie passioni come l’opera lirica, cucire e ricamare (passione che, a malincuore, le abbiamo tolto perché poteva risultare pericolosa per la sua incolumità fisica a causa degli aghi). Un altro consiglio che mi sento di dare a chi si trova ad fronteggiare questa situazione è quello di chiedere aiuto il prima possibile: non aspettare che la situazione peggiori per cercare consigli, ma attivarsi già quando la condizione del malato sembra stazionaria. È proficuo, per quanto doloroso, abituarsi a pensare che ci sarà una continua perdita di autonomia fisica, mentale e di competenze apparentemente abitudinarie da parte del malato di Alzheimer. Non sottovalutando i sintomi iniziali e prendendo per tempo le spie della malattia si può prorogarne la fase iniziale. Monica Miori Un sentito ringraziamento va ad Elisabetta B. per la cortesia e precisione con cui s’è resa disponibile a raccontarci la sua esperienza.

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Una casa rifugio per le donne vittime di violenza

U

na casa rifugio per le donne vittime di violenza, una struttura - ad indirizzo naturalmente segreto - che offrirà ospitalità a donne sole o con figli minori che abbisognano di protezione nei confronti di persone violente, intrusive o dannose: prevista dalla legge 6 del marzo 2010, “Interventi per la prevenzione della violenza di genere e per la tutela delle donne che ne sono vittime”, questa struttura è ora una realtà ed è stata presentata agli organi di informazione nel corso di una conferenza stampa a cui hanno partecipato l’assessore provinciale alla solidarietà internazionale e convivenza Lia Giovanazzi Beltrami, il responsabile dell’Agenzia provinciale per la famiglia Luciano Malfer e il dirigente del Servizio per le politiche sociali e abitative Luca Comper. La casa rifugio si articola in 8 miniappartamenti e può accogliere fino a un massimo di 8 donne con eventuali figli, per un totale massimo di 18 persone. L’ingresso può essere programmato da servizi sociali ma avvenire anche in situazioni di emergenza, tramite invio della donna alla struttura da parte delle forze dell’ordine o dai servizi sanitari. L’ammissione e la permanenza nella casa sono gratuite, per un periodo massimo di 6 mesi (salvo proroghe per particolari esigenze). L’obiettivo della casa - la prima del suo genere in Trentino - è quello di offrire alle donne e alle/ai loro figlie/i ospitalità e protezione in un ambiente sicuro, accogliente e tranquillo, di sostenere la donna nella sua scelta di allontanarsi dalla violenza avendo a disposizione un tempo, uno spazio e relazioni che le consentano di porre le basi per iniziare una vita relazionale, sociale e lavorativa autonoma e soddisfacente, e infine accompagnare i minori, coinvolti direttamente o indirettamente in episodi di violenza, nel rielaborare la situazione di maltrattamento subito o assistito, nel rispetto del loro sviluppo psicofisico. “Questo è un traguardo importante - ha detto l’assessore Beltrami, che ha anche ricordato le 500 denunce presentate da donne vittime di violenza nel 2011, e che rappresentano purtroppo solo la punta dell’iceberg -. Abbiamo registrato su questo progetto una fortissima sinergia da parte di tutte le componenti del settore pubblico, del privato sociale, dell’associazionismo, sfatando il luogo comune per il quale le donne non sanno lavorare assieme e fare fronte comune. Questo servizio, assieme agli altri già esistenti e a quelli che stiamo mettendo a fuoco, ci consentirà di dare una risposta quanto più possibile organica, integrata, in una parola ‘completa’ ai bisogni che le donne esprimono, valorizzando la ricchezza delle esperienze già maturate sul territorio e la sussidiarietà.” La struttura è destinata a donne residenti in provincia di Trento, o presenti sul territorio provinciale che non possono avvalersi dei servizi degli Enti di provenienza, che si trovano esposte alla minaccia di ogni forma di violenza (fisica, psichica, sessuale, economica) o che l’abbiano subita e che si trovano costrette ad abbandonare la propria casa. Tutto ciò ovviamente a prescindere dalle loro convinzioni etiche, religiose, culturali, politiche e dalla loro lingua e provenienza. Accanto al sistema di videosorveglianza, la principale misura di sicurezza è costituita, come facilmente intuibile, dalla segretezza dell’indirizzo, che si cerca di mantenere in ogni modo. L’ammissione e la permanenza nella struttura sono gratuite (per le donne provenienti da fuori provincia sarà fissata una retta). Le accoglienze possono essere di due tipi: programmate ma anche in pronta emergenza (invio da parte delle forze dell’ordine e dal pronto soccorso). RICETTIVITÀ: la casa può accogliere contemporaneamente fino a otto donne con le/i relative/i figlie/i (fino ad un massimo di 18). I figli maschi di norma fino al compimento dei 14 anni. L’ospitalità di donne provenienti da fuori provincia per ragioni connesse al bisogno di essere allontanate dal loro luogo abituale di vita è possibile nella misura di 1 sugli 8 posti disponibili, qualora non ci siano situazioni di emergenza nel territorio di Trento e a fronte di un impegno di spesa da parte dell’Ente inviante. TEMPI: Il periodo di ospitalità nella Casa rifugio è di sei mesi, eventualmente prorogabili in situazioni particolari da concordare con la donna e gli eventuali Servizi coinvolti. La permanenza nella casa rifugio ha carattere di soluzione temporanea, destinata in primo luogo a garantire la necessaria protezione alla donna e secondariamente a favorire l’impegno della donna ospite nella ricerca di un lavoro, di una casa e nel raggiungimento degli obiettivi programmati. Le dimissioni avvengono di norma entro sei mesi dall’ingresso, nel momento in cui siano stati raggiunti condizioni soddisfacenti di serenità e autonomia (alloggiativa, lavorativa e relazionale). L’equipe può valutare una proroga di

qualche mese, qualora la donna ne faccia richiesta. APERTURA: a partire dal 11 marzo 2013, tutto l’anno e per tutto il giorno (24 ore al giorno anche di domenica e nei giorni festivi). STRUTTURA: 8 miniappartamenti di cui uno con 2 stanze. All’interno dell’edificio sono presenti anche: due uffici a disposizione delle operatrici per le attività di consulenza, una stanza per il controllo dei monitor e la presenza notturna, una stanza per i lavori di gruppo con le donne e per le riunioni, un ufficio per l’operatrice che si occuperà dei bambini, una stanza per il lavoro con i bambini, una cucina comune, un soggiorno, una stanza gioco per i bambini. Ciascuno di questi spazi ha accesso al relativo bagno. Nella casa rifugio l’accoglienza della donna ed eventualmente delle/i sue/i figlie/i è realizzata attraverso la messa a disposizione di un miniappartamento al fine di permettere il mantenimento della privacy ed di una certa “normalità” nelle abitudini di vita. La permanenza si basa su criteri che assicurano l’autonomia delle donne nella gestione delle attività quotidiane, ma che favoriscono il superamento del senso di solitudine attraverso la convivenza e la condivisione di spazi comuni, nel rispetto reciproco e del regolamento della Casa. PERSONALE: La metodologia di lavoro all’interno della casa rifugio è quella del lavoro di équipe. Il gruppo di lavoro è costituito da: - 5 educatrici full time con funzione di accompagnamento delle donne - 1 educatrice full time con funzione di accompagnamento dei minori - 1 ausiliaria part time con funzione di pulizia degli spazi di lavoro e di organizzazione e cura dell’immobile e delle attrezzature presenti - 1 responsabile pedagogica part time con funzione di coordinamento del progetto - 1 contabile part time RAPPORTI CON ALTRE ASSOCIAZIONI Per favorire l’integrazione con le realtà già attive sul territorio e il coordinamento con le altre strutture di accoglienza presenti sul territorio provinciale nell’ottica della piena realizzazione della filiera dei servizi antiviolenza per la tutela e il sostegno delle donne vittime di violenza è prevista l’attivazione di una Commissione con funzioni consultive e propositive composta da: Associazione Laica Famiglie in Difficoltà (ALFID) Associazione Trentina Accoglienza Stranieri - onlus (ATAS) Casa Accoglienza alla vita “Padre Angelo” onlus Centro Antiviolenza per donne in situazione d’abuso Casa Tridentina della Giovane (ACISJF) Fondazione Famiglia Materna Punto D’Approdo Società Cooperativa onlus Servizio Politiche Sociali della Provincia, con un suo rappresentante LEGGE DI RIFERIMENTO: è la legge 6 del marzo 2010 “Interventi per la prevenzione della violenza di genere e per la tutela delle donne che ne sono vittime” L’attuazione della legge è in capo a due strutture provinciali e precisamente: Servizio Politiche Sociali; Agenzia Provinciale per la Famiglia, la Natalità e le Politiche giovanili. Tra i principali atti amministrativi adottati in attuazione della legge vi sono l’istituzione del Comitato per la tutela delle donne vittime di violenza, che nel 2011 aveva individuato fra gli obiettivi della legge l’apertura di una casa rifugio in Trentino. Gli articoli 4 e 5 e della legge fanno riferimento ai “servizi antiviolenza”, erogati dalle medesime associazioni i cui esponenti costituiscono il Comitato per la tutela delle donne vittime di violenza. Essi si concretizzano in: - servizi di carattere semiresidenziale, quali: consulenze, orientamento, nonché supporto nell’integrazione socio-lavorativa. - servizi di carattere residenziale: strutture di accoglienza con grado di protezione diverso con gravità decrescente a) case rifugio b) case di accoglienza c) alloggi in autonomia In particolare, la “casa rifugio” si connota come struttura di ospitalità temporanea a indirizzo segreto rivolta a donne sole o con figli minori per le quali la problematica prevalente è quella della protezione da persone violente, intrusive o dannose. Le case di accoglienza e gli alloggi in autonomia sono servizi già presenti sul territorio da tempo. Risultava mancante proprio la tipologia denominata “Casa rifugio”. Considerando prioritaria l’attivazione del servizio, la Provincia autonoma, con il Servizio politiche sociali, ha proposto ad un ente del terzo settore, proprietario di un immobile ristrutturato con contributo provinciale che possedeva le caratteristiche strutturali e logistiche idonee, di presentare un progetto per l’avvio del servizio.

Elisoccorso h24 in Provincia di Trento

A

pprovate dalla Giunta provinciale, su proposta dell’assessore alla salute e politiche sociali Ugo Rossi, le direttive per estendere il servizio di elisoccorso anche alle ore notturne. Le direttive prevedono la disponibilità del medico rianimatore h24 e sette giorni su sette, sia per i trasporti da ospedale a ospedale che per i soccorsi sul territorio, incluse le aree urbane. “L’attivazione dell’elisoccorso anche durante la notte - commenta l’assessore Ugo Rossi - ci consente di garantire il trasporto all’ospedale di Trento di una serie di patologie tempo-correlate, ovvero il cui trattamento dipende direttamente anche dai tempi di intervento, pensiamo all’infarto o all’ictus. L’attivazione di una rete di soccorsi e di trasporti veloci e con elevata professionalità - sono le sue conclusioni - è il presupposto per garantire la massima accessibilità di tutti i cittadini, anche i più periferici, ai trattamenti d’emergenza”. L’estensione del servizio H24 inizierà il 1° luglio 2013. L’estensione del servizio di elisoccorso H24 in provincia di Trento concluderà l’imponente assetto organizzativo iniziato in provincia di Trento oltre venti anni fa quando, su standard nazionale, fu istituito il Servizio di Allarme Territoriale, più comunemente noto come Servizio 118, e attivata, nel gennaio 1993, la Centrale Operativa Provinciale 118, cuore di questo sistema. L’istituzione di tale servizio rivoluzionò la gestione dell’emergenza sanitaria, fino ad allora assicurata dalla rete di Pronto Soccorso degli ospedali e dall’accesso diretto tramite le ambulanze del territorio e mezzi provati. La centrale operativa si fece carico dell’acquisizione immediata di tutte le richieste di emergenza sanitaria, distinguendole per la loro diversa criticità, modulandone la risposta in base ai bisogni e coinvolgendo, quando necessario, le altre organizzazioni preposte all’emergenza quali i vigili del fuoco, le forze di polizia, il soccorso alpino. Negli anni seguenti molto fu l’impegno per acquisire e mantenere l’attuale competenza nel soccorso di base, propria di tutto il personale tecnico e volontario operante nel sistema, ormai comprensiva dell’utilizzo del defibrillatore automatico esterno. In anni più recenti fu completata la rete del soccorso avanzato H24, su tutto il territorio provinciale, con la presenza capillare di personale infermieristico esperto operante in stretto contatto con i medici della centrale operativa. La qualità del servizio, in tutti questi anni, continua ad essere sostenuta da un elemento di straordinaria importanza: l’elisoccorso. L’arrivo tempestivo del mezzo di soccorso in un territorio alpino quale il nostro, la qualità delle cure assicurate dall’equipe specialistica di bordo, la possibilità del rapido trasporto dei pazienti più gravi agli ospedale di Trento e Rovereto, hanno consentito la miglior gestione di innumerevoli pazienti. Tale risorsa oggi è disponibile dall’alba alle ore 21, anche nei mesi invernali, quando volare oltre il tramonto significa volare in modalità notturna, standard aeronautico di alta complessità, reso possibile anche dall’aver realizzato una rete di idonee elisuperfici. L’estensione del servizio di elisoccorso H24 consentirà l’ininterrotto impiego dello stesso, sia negli interventi di soccorso cosiddetti primari, sia nei trasporto urgenti interospedalieri di pazienti critici. In particolare, nei soccorsi primari saranno le elisuperfici idonee al volo notturno il punto di convergenza delle ambulanze di primo intervento e dell’elicottero, per il perfezionamento del trattamento se necessario e per la rapida centralizzazione del paziente all’ospedale di Trento. Nei trasporti interospedalieri di pazienti critici, cosiddetti trasporti secondari, l’equipe specialistica di bordo assicurerà il miglior standard atteso.

...IL TRENTINO CHE NON LASCIA SOLO NESSUNO...

foto Archivio Ufficio stampa Pat; Archivio Apss (Agenzia 3P-P.Pedrotti)

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO


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Permette facilmente ai ciechi di creare tutte le combinazioni di punti per scrivere in Braille su I-Phone

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“Brailletouch”

’articolo pubblicato l’1 febbraio 2013 sul sito www.superabili.it sulla nuova offerta tecnologica studiata per i ciechi per migliorare l’accessibilità e l’utilizzo del touch screen sui nuovissimi smartphone merita una segnalazione in quanto dimostra ancora una volta che la tecnologia non solo aiuta a risolvere problemi pratici, ma avvicina e accomuna i “normodotati” e i diversamente abili. La nuova app per I-Phone chiamata “Brailletouch” uscita l’1 febbraio 2013, di cui parla l’articolo, è stata creata dai ricercatori del centro di ricerca tecnologica George Tech degli Stati Uniti e permetterà ai ciechi di scrivere mail, postare su Facebook e/o Twitter, mandare sms, ecc. C’erano già applicazioni che permettevano ai ciechi di utilizzare il touch screen ma con una velocità di scrittura molto lenta: in media dalle dieci alle quindici parole al minuto contro le 23 parole al minuto che garantisce il nuovo dispositivo. I dispositivi esistenti, fra i quali un esempio molto avanzato solo per I-Phone è l’app chiamata Fleksy che permette a un non vedente di toccare dove pensa sia una lettera e, attraverso un sistema di interpretazione simile a un T9 ma molto più avanzato, suggerisce le parole che si volevano comporre, pur velocizzando la scrittura su Iphone ha lo svantaggio che bisogna impostare la lingua in cui si vuole scrivere, visto che il programma si appoggia su un dizionario per dare i suggerimenti. Con “Brailletouch”, invece, ognuno potrà scrivere nella lingua che vuole, almeno in quelle con caratteri latini, ma gli sviluppatori promettono che implementeranno presto altre tabelle Braille anche per quelle lingue come russo, cinese o giapponese che utilizzano un diverso set di caratteri. Aspetto innovativo dell’app L’aspetto innovativo dell’app sta nel fatto che si possono usare sei dita per creare tutte le combinazioni di punti dell’alfabeto Braille; il cieco, così, non dovrà “vagare” sulla tastiera Qwerty virtuale del dispositivo alla ricerca della lettera giusta, confermata da un programma che vocalizza le lettere o icone che si toccano. Come funziona? L’utilizzo di questa applicazione è molto semplice. L’IPhone deve essere tenuto in posizione orizzontale con la parte posteriore rivolta verso l’utente che utilizzerà l’indice, il medio e l’anulare di entrambe le mani posizionate a destra e a sinistra del dispositivo, per comporre la giusta sequenza di punti che definisce la scrittura Braille e nello stesso tempo un programma che vocalizza le lettere lo aiuterà nella composizione. Sullo schermo, del tutto inutile per il non vedente ma utile per chi vuole impratichirsi nella scrittura braille, ogni punto è segnato da un grosso pulsante rotondo. “Brailletouch” è un app usufruibile anche per “normodotati” Questa applicazione, che è gratuita in versione prova e a un costo alla portata di tutti per la versione completa, potrà essere usata con successo anche dai “normodotati” che potranno così non solo imparare con facilità il linguaggio Braille grazie al dispositivo vocale che ripete la lettera corrispondente alla combinazione di punti, ma potranno utilizzare il Braille per prendere appunti per esempio in occasione di conferenze. In conclusione questa app può essere un buon punto di partenza per migliorare le tecniche e la velocità di scrittura su dispositivi dotati di touch screen senza guardare lo schermo, una cosa che in futuro ma anche nel presente può e potrà essere utile a tutti. L’articolo conclude dicendo che gli inventori di “Brailletouch” stanno studiando una versione per gli smartphone che utilizzano Android. Per maggiori informazioni e per vedere cos’è realmente “Brailletouch” ecco il video e il sito internet di “Brailletouch”, purtroppo, interamente in inglese. Video: www.youtube.com/watch?v=rIEO1bUFHsI Sito: www.brailletouchapp.com. Maurizio Franchi

sito Brailletouch

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video Brailletouch

Vademecum del Garante della Privacy per pazienti e operatori sanitari.

Alcune delle più importanti linee guida dell’Autorità Garante italiana

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ormai più di un anno che il Garante della Privacy ha emanato il vademecum “Dalla parte del paziente: le domande più frequenti”. Ma si ritiene, viste le prassi scorrette, che sia utile riportarne qui i punti salienti. Si tratta, infatti, di una serie di regole utili sia ai cittadini che agli operatori sanitari. Tale vademecum è reperibile sul sito del Garante della Privacy. Si evidenzia innanzitutto come le regole da seguire siano differenti a seconda del caso che si tratti di struttura pubblica o nello studio di uno specialista o di un medico di famiglia. Nel primo caso per chiamare il paziente in sala d’aspetto bisognerebbe utilizzare un codice alfa numerico (simile a quello utilizzato per fare la coda al banco nei supermercati per intenderci). Nel caso, invece, di studi privati vige più libertà, dato il maggior grado di intimità che si instaura in simili ambienti. Inoltre, prima di acquisire qualsiasi informazione riguardo i pazienti occorre fornire loro l’informativa sul trattamento dei dati che verranno trattati e chiedere il consenso. Se il paziente non è in grado di dare il consenso immediatamente per impossibilità fisica, può darlo successivamente o, se non potesse, può esserne richiesto un familiare, un convivente o un responsabile presso la struttura in cui dimora l’interessato. Al paziente devono essere date varie informazioni: il nome del medico che raccoglie i suoi dati, gli scopi del trat-

tamento, l’ambito di circolazione dei dati etc. Soprattutto deve contenere le modalità con le quali il paziente può ottenere la modifica, l’aggiornamento o la cancellazione dei dati. L’informativa può essere esposta in luogo ben visibile da parte delle strutture sanitarie o dei medici privati ed il

consenso può anche essere dato una tantum oralmente. Il medico può dare informazioni sul paziente ricoverato solo a terzi legittimati come parenti, famigliari ma anche conoscenti i conviventi. Resta ferma la possibilità per l’interessato di vietare che le proprie informazioni vengano date anche ai terzi legittimati. L’utilizzo di telecamere od altri mezzi di ripresa è consentito solo ove indispensabile per la cura del paziente (es. camere di isolamento, unità di rianimazione) e la visione dei filmati è concessa solo agli autorizzati del personale medico e ai famigliari.

È vietata in maniera assoluta la diffusione via web di qualsiasi dato sensibile (es. pubblicazione sul sito dell’ospedale della graduatoria dei beneficiari di un contributo pubblico perché disabili, o pubblicazione su facebook o altri social network di nomi o fotografie di pazienti etc.). Il datore di lavoro non è legittimato a raccogliere certificati di malattia dei dipendenti con l’indicazione della diagnosi. In assenza di specifiche deroghe previste da leggi o regolamenti, il lavoratore assente per malattia deve fornire un certificato contenente esclusivamente la prognosi con la sola indicazione dell’inizio e della durata dell’infermità. Il medico e solo questi, non il personale amministrativo, può raccogliere informazioni circa la siero positività del paziente solo se ciò sia rilevante per la cura del paziente o se ciò possa mettere in pericolo il personale medico durante il trattamento sanitario al quale il paziente si deve sottoporre. Quanto al fascicolo sanitario elettronico (FSE) il paziente non è obbligato ad adottarlo, così come può scegliere di adottarlo e dare solo alcune delle informazioni richieste. Deve al riguardo manifestare un consenso autonomo e specifico rispetto alla cura che gli verrà prestata. Può inoltre “oscurare” la visibilità di alcuni eventi clinici così come può limitare la visibilità dei suoi dati personali solo a determinati medici (es. medico di base, medici dell’azienda sanitaria etc...). In linea di generale approssimazione possono accedere al fascicolo sanitario solo il personale sanitario e il paziente. Per ulteriori chiarimenti si invitano i lettori a consultare il documento PDF consultabile sul sito del Garante della Privacy. Fabrizio Venturelli

La rinuncia a un diritto come protesta pacifica

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Rifiutare il voto per farsi sentire

l diritto di voto è il simbolo per eccellenza di democrazia, partecipazione e di libera scelta; non vi è modo migliore per intervenire nelle decisioni che riguardano tutti noi. Alle recenti elezioni politiche la popolazione carceraria italiana ha lanciato un messaggio molto forte, infatti l’affluenza alle urne appositamente preparate negli istituti di pena sono rimaste quasi vuote. La regione con la minore affluenza è stata la Sicilia dove solo il 5% dei detenuti ha deciso di esprimere la loro opinione politica sulle schede elettorali. “Anche la popolazione detenuta siciliana ha sfiduciato la classe politica candidata alle elezioni”: queste le forti parole di Mimmo Nicotra, vice segretario generale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria, così come riportato dalla rivista di informazione sul carcere “Ristretti Orizzonti”. I detenuti molisani del carcere d’Isernia si sono uniti in una decisione difficilmente fraintendibile: infatti, nessuno degli ospiti dell’istituto ha fatto valere il suo diritto di voto e il seggio è andato deserto. Una protesta così esplicita contro le condizioni in cui versano le carceri non era mai avvenuta: un silenzio elettorale che diventa protesta pacifica, simbolo di una condizione di disagio che non accenna a migliorare né con il passare del tempo né con il susseguirsi delle conformazioni politiche più disparate. Ma tutti i detenuti possono votare? La risposta è negativa, la prima cosa

su cui porre l’attenzione è il fatto che molti detenuti in Italia sono stranieri e di conseguenza non potrebbero votare nemmeno se fossero ancora liberi. In secondo luogo, dei cittadini italiani detenuti, possono esprimere il loro voto solamente coloro ai quali non è stata comminata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che impedisce al soggetto di votare ed essere

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votato, nonché di ricoprire pubbliche funzioni. Questa pena può esser temporanea, con una durata che varia da 1 a 5 anni, oppure perpetua, che si accompagna alla pena principale per tutti quei soggetti condannati all’ergastolo o alla reclusione non inferiore ai 5 anni. La scelta, quindi, di non votare rispecchia una grave diffidenza verso l’istituzione, considerata come quel genitore che dovrebbe (ri)educare e accudire, ma che invece abbandona e trascura. Né l’organo legislativo né quello esecutivo sono riusciti nell’impresa di rifondare un’istituzione che versa in condizioni molto difficili: carenza di spazio, di risorse e soprattutto di soluzioni. Il problema più pressante per i detenuti è probabilmente il sovraffollamento, che impedisce la pacifica permanenza nelle carceri e che inficia il programma rieducativo sul quale si dovrebbe fondare l’istituto. Per questo motivo la protesta molisana si può anche interpretare come una disperata richiesta di un provvedimento di amnistia che alleggerirebbe in un breve lasso di tempo le carceri italiane di un rilevante numero di ospiti, dando così loro un’altra possibilità oltre le sbarre, e un po’ di respiro a coloro che rimarrebbero in custodia. Ma una questione mi sorge spontanea: come si può pretendere di cambiare le cose se non si prende parte a quelle rare occasioni in cui l’opinione dei cittadini è posta al centro dell’attenzione? Giulio Thiella


S O C I E TÀ

Divertente e accattivante percorso tattile per scoprire le rocce del Trentino

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Tocca e impara! “La geologia a portata di mano”

a scorsa estate e per la precisione il 31 agosto 2012, ha aperto al pubblico nei pressi del Giardino Botanico delle Viote sul Monte Bondone il percorso dal titolo “La geologia a portata di mano” che oltre ad essere “informativo”, “espositivo” e con finalità di “divulgazione scientifica” ha la particolare caratteristica di essere un percorso “tattile” rivolto quindi anche e/o soprattutto a chi ha difficoltà visive o uditive. Questa dimensione sensoriale dà al percorso un dato oggettivo in più per i cosiddetti normali e nello stesso tempo permette a chi ha difficoltà visive o uditive di accedere direttamente alle informazioni anche scientifiche e condividere le proprie conoscenze con tutte le tipologie di pubblico. Tutte le montagne trentine: Piccole Dolomiti e Pasubio, Altopiano di Lavarone, Cima d’Asta, Alta Valsugana, Bondone, Lagorai, Monte Baldo, Dolomiti di Brenta, Presanella, Dolomiti di Fassa e Maddalene sono rappresentate con le rocce tipiche del posto in una sorta di “mini Trentino sulle rocce”. Il percorso è uno strumento di “conoscenza” permanente immerso nel contesto naturalistico del posto e inserito all’interno del nuovo parco adiacente al Giardino Botanico Alpino delle Viote è composto da una ventina di blocchi di roccia di grandi dimensioni che assieme formano una mappa geologica semplificata del Trentino. Da anni il Museo delle Scienze di Trento cerca di investire sulla comunicazione scientifica sperimentando nuove forme di coinvolgimento del pubblico attraverso metodologie

innovative, sperimentali ma soprattutto mettendo in campo argomenti scientifici e tematiche di attualità che spesso sono di difficile accesso. Questo percorso fa parte di quei progetti che cercano di andare al di là della “normalità”, e che si spingono a cercare di organizzare percorsi, visite guidate e sistemi di orientamento utili a rendere i musei

e la cultura in genere il più possibile inclusivi e aperti a tutti con l’utilizzo di: didascalie in braille, mappe tridimensionali delle sale, audio guide, iniziative dedicate ecc... Come è stato sviluppato il percorso Il percorso fa parte del progetto “Percorsi museali, valorizzazione e fruizione del patrimonio geologico della Provincia di Trento per persone con disabilità visiva e uditiva” cofinanziato dalla Fondazione Caritro e coordinato dal Museo delle Scienze in collaborazione con l’Unione Ciechi di Trento, la cooperativa sociale I.Ri. Fo.R, l’Associazione Progresso Ciechi Onlus e l’Azienda Forestale di Trento Sopramonte. Il sentiero è stato sviluppato seguendo le indicazioni del Museo

delle Scienze per la scelta degli oggetti geologici più significativi e quelle dei rappresentanti di I.Ri.Fo.R. e UIC per lo sviluppo di modalità e tecniche di mediazione. La creazione di supporti tecnologici (smart-guide) è stata affidata a Fabrica Ludens e

la realizzazione delle strutture del percorso all’Azienda Forestale di Trento Sopramonte e al Servizio Conservazione della natura e valorizzazione ambientale della Provincia Autonoma di Trento. Partendo da contenuti scientifici molto vicini alla quotidianità quali possono essere le montagne e le rocce che le compongono gli ideatori

L’angolo del filosofo

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L’aria della domenica sera

icono che la filosofia sia più una scienza delle domande, che delle risposte. Questo ho pensato domenica sera mentre ritornavo a Trento, con malinconia... Sotto i miei piedi, il treno proseguiva la sua tratta, inevitabile. Sentivo la malinconia avvilupparmi ed avvolgermi in un abbraccio tiepido ed umido. Il mio respiro era tremulo e indeciso, il respiro di un’eterna indecisa. Domenica sera: il momento più malinconico e al contempo più intenso della settimana. Quando il weekend si avvicenda alla fine e calano le luci. Quando, al termine del giorno di festa, devo riappropriarmi della mia valigia e salire su un treno per ritornare. Con il monito del lunedì che sussurra nella mia testa. Quando, con un groppo in gola, dovuto ad un nonsoché di nostalgia, devo intraprendere il rituale dei saluti. Ciao Ester, fa’ la brava, mi raccomando. Ciao Veronica, buona settimana a Padova! E dormi! Ciao Rachele, ti voglio bene. Ciao mamma, ciao papà. Sì, sì, ti avviso quando arrivo, ti mando un sms. Baci! Saluti fatti un po’ velocemente, baci scambiati tentando di sorridere. Se solo potessi saltare questi momenti a pié pari. A Trento potrei viverci per sempre. Bellissima. La mia città. Ma anche casa mia è bellissima. Per forza: è casa mia. Ma qual è il mio posto allora? O la questione è: io ho un posto? Oppure il mio destino è quello di fare l’eterna spola da un posto all’altro? Forse che il mio destino sia quello di una vita sempre sulla soglia, il non-luogo per eccellenza? Sempre sul limite, sul confine, su una soglia che separa due luoghi diversi ed io, con un piede di là ed uno di qua...? Non appartenendo in realtà a nessuno dei due. O forse appartenendo ad entrambi? Si può appartenere a due posti? Ma cos’è appartenere?

A volte mi sento limitata, costretta, in un posto. In un confine preciso, definito. Ma i confini, è vero, ci limitano, però al tempo stesso ci definiscono, come i contorni delle figure dei fumetti. Ci impediscono di confonderci nel bianco della realtà circostante. Ma sono poi così netti? Definiscono realmente la mia essenza? Confine tra vero e falso, confine tra giusto e sbagliato, confine tra normale e...? Non poco tempo fa, passeggiando a Trento in via S. Giovanni Bosco, una signora mi ha fermato. Mi ha chiesto indicazioni per il Centro di Salute mentale, ubicato in quella via, e per la prima volta ho scoperto che da alcuni mesi ormai ci passo sempre davanti. Da quando lo so, rallento sempre: una volta o l’altra mi fermerò ed entrerò. Mi chiedo: sono le persone lì dentro quelli che comunemente ed erroneamente forse, un po’ semplicisticamente di sicuro, definiamo “pazzi”? O forse sono gli unici “normali”, circoscritti in uno spazio definito, entro dei confini precisi? Definire qualcuno non è costringerlo ad essere qualcosa d’altro? Non è imprigionarlo? Odio le partenze, mi piacciono gli arrivi. È possibile arrivare sempre, e mai partire? È possibile avere dei confini, ma sfumati? Ritornare. Ritornare porta in sé l’arrivare ed anche il partire. Porta con sé una sfumatura. Probabilmente è perché possiede questa bizzarra particolarità che mi suscita malinconia. Probabilmente è per questo che ogni domenica sera mi pongo questi quesiti, queste domande importune. Quello che dovrei fare, con ogni probabilità, sarebbe semplicemente prenderla con filosofia. Tutto da ridere. Più studio filosofia, meno mi viene da prenderla con filosofia. L’aria della domenica sera gioca questi scherzi. Sara Caon

hanno cercato proprio attraverso la costruzione di un percorso rivolto ai ciechi, ipovedenti e sordi di raggiungere più categorie di visitatori possibili per dare la possibilità di creare un tessuto di integrazione culturale che permetta anche ad una fascia non privilegiata della popolazione di interagire e comunicare all’interno del mondo della cultura. Per progettare il percorso in modo adeguato per le persone con “deficit” visivo grave si è tenuto conto di quanto il “deficit” influenzi la mobilità e l’orientamento, l’autonomia e non ultima la comprensione delle informazioni che arrivano dall’esterno. E’ stato necessario, quindi, per riuscire a capire e ad approfondire le tematiche che una persona con “deficit” visivo possa avere nel comprendere ed apprendere delle informazioni, confrontarsi con personale qualificato direttamente sul campo, ponderando attentamente non solo l’età dei soggetti ma anche l’insorgenza della cecità o dell’ipovisione. Per riuscire a rendere agibile il percorso ai disabili visivi gli ideatori hanno quindi scelto di: posare del ghiaino selezionato per identificare il sentiero da seguire e la traccia del sentiero ricalca la direzione e l’orientamento delle principali valli trentine; predisporre tre tipologie di “piazzole a rocce posate” che indicano i punti in cui svoltare o fermarsi nelle 11 piazzole che rappresentano le montagne del Trentino; a fianco di ogni roccia è stato messo un pannello didascalico in italiano/inglese e in lingua Braille. I caratteri del testo hanno una dimensione agevole e un alto

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qualità dell’istruzione e la libertà di scelta diventino una realtà per tutte le persone disabili. Mi sento di poter dire che la nostra Università, con l’aiuto dell’Opera Universitaria, si conforma sicuramente a questi criteri e ne fa la guida costante dalla sua azione in materia. Noi cerchiamo di offrire servizi utili e di qualità, ma questo non vuol dire che non si possa sempre migliorare. Soprattutto dovremo essere sempre più in grado di comunicare che questi servizi esistono a persone che, affette da disabilità, scelgono di non proseguire gli studi. Dobbiamo poi anche lavorare per fare emergere sempre più quei nostri studenti che, affetti da problematiche, non dichiarano i loro problemi e non usufruiscono dei servizi disponibili. Dal suo punto di vista, nella prospettiva di eliminazione delle barriere nel tentativo di rendere agibile l’istruzione universitaria a tutti, basta poco per raggiungere grandi risultati, o servono grandi sforzi anche per delle piccole conquiste? A.D.N.: I risultati di quindici anni di attività si vedono. A volte per ottenere un grande risultato basta poco, è sufficiente

contrasto per facilitare la lettura agli ipovedenti; ogni pannello è correlato da un oggetto fisico che rappresenta la roccia o la località citata nei testi; moderne smart-guide accompagnano il visitare con contenuti audio e testi da leggere relativi ad ogni punto di interesse. Di seguito riporto la dichiarazione della dott.ssa Rossana Todesco referente del progetto assieme al dott. Christian Casarotto per il Museo delle Scienze che ben inquadra sia il contesto scientifico che l’obbiettivo specifico del percorso: “La nostra esperienza ha coinvolto ciechi e ipovedenti di un’ampia fascia d’età dai 5 agli 80 anni: persone che presentano deficit visivo dalla nascita e persone con deficit acquisito in tenera o tarda età a causa di differenti patologie. Gli argomenti trattati hanno determinato interesse nelle persone coinvolte e sono stati di stimolo nell’incrementare le capacità di manipolazione tattile e di mobilità in ambienti diversi dal contesto quotidiano. All’interno del progetto la geologia è stata il veicolo per aiutare a superare le barriere fisiche, psicologiche, ambientali e cognitive che il deficit visivo grave comporta, diminuendo la disabilità e favorendo l’integrazione sociale”. Ora non ci resta che andare a vedere, scusate, toccare e vedere di persona magari assieme ad alcuni amici ciechi o ipovedenti per conoscere e imparare condividere il percorso ed è quello che noi di Prodigio faremo appena la neve si sarà sciolta dalla primavere e nel prossimo numero vi racconteremo tutto. Maurizio Franchi

non chiudere gli occhi di fronte ai problemi e affrontarli, anche a piccoli passi; altre volte ci vuole molto più impegno anche per risultati modesti. Credo che in questo settore valgano entrambe le regole e non si possa generalizzare. Però più si lavora con consapevolezza più si ottengono risultati. Ed è una grande soddisfazione. Quello che è certo è che per arrivare sin qui è servita, e serve ogni giorno, visione, impegno e anche risorse unite a molta determinazione. Tutte componenti essenziali per dare concretezza ad un principio in cui la nostra Università crede davvero. G.M.: basta poco per fare poco o molto per risultati minimi: entrambe le alternative, spesso è sufficiente porre attenzione ed essere disponibili ad adottare piccoli accorgimenti. Sia la collaborazione, anche minima, di tutti può fare la differenza, altre volte invece sono necessari finanziamenti per opere di ristrutturazione, ma la città di Trento, in generale, è a norma (ad esempio basti citare la predisposizione all’accoglienza, come lo studentato con camere apposite, pensato in collaborazione con i consigli della Cooperativa HandiCREA). Giulio Thiella

QR CODE... cos’è? Dal 2012 questo giornale è multimediale. Infatti accanto ad alcuni articoli troverete questa strana immagine che è come un codice a barre che nasconde un indirizzo web. Attraverso un’applicazione del vostro smarthphone potete accedere facilmente a ulteriori contenuti video o foto. Con il codice sotto potete consultare la nostra pagina facebook.

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I N T R AT T E N I M E N T O

Monologo che racconta l’Alzheimer della madre

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Daniela Poggi: “Io madre di mia madre”

Alzheimer è una malattia tremenda, dolorosa, ma allo stesso tempo è un’emozione grande vivere assieme all’altro proprio queste fatiche per questo, il teatro, un canale non convenzionale ma immediato, autentico e di ampio impatto sociale, è il mezzo che l’attrice teatrale e conduttrice televisiva Daniela Poggi ha utilizzato per raccontare in maniera più soft ma comunque toccante la malattia della madre con un monologo dal titolo “Io madre di mia madre”. Daniela Poggi è la persona giusta, capace di trasmettere la fatica e la speranza, il dolore e il bisogno di “presenza”, che l’ammalato e i familiari sperimentano perché ha vissuto sulla sua pelle la malattia attraverso il suo rapporto diretto con la madre e con la sua malattia. Quindi questo vissuto, la presenza di questa malattia, l’Alzheimer, che imperava nella sua vita sia dentro casa che esternamente l’ha costretta ad una grande presa di coscienza. La Poggi come tanti figli, per amore è diventata la madre di sua madre una situazione per così dire anormale perché nella vita si è figli e genitori dei propri figli ma l’essere genitori dei propri genitori se pur naturale nella logica del tempo passa sempre inosservato. Una telefonata è alla base del monologo. Il dramma dei ricordi che non ci sono più e del gioco

delle parti costituidistacco dalla vita, scono lo spettacolo della degenerazioquasi autobiografico ne del corpo sono di Daniela Poggi. abbandonati al loro Una madre che è destino, chiusi in ricomadre, prima; figlia veri, “sopportati” e la di sua figlia, poi. Una consapevolezza della sorta di ritorno alle loro tragedia emerge origini, uno scambio vivamente dall’amore di ruoli spesso tanto che traspare in questo naturale ma al tempo rapporto “figlia-mastesso tanto doloroso. I dre” e “madre-figlia”. ricordi, tra passato e preLa commedia ha avusente, sono accompagnati to grande successo ed è dalle note del pianoforte e stata, quindi, riproposta Presentazione del violoncello di Giovanal pubblico teatrale più Io madre di na Famulari e la chitarra volte. mia madre di Massimo De Lorenzi. La Poggi ha partecipaLe musiche sono quelle to l’8 maggio 2011 alla di Bach, Satie, Puccini, trasmissione “Speciale Vivaldi, Debussy e pezzi Tg1 sull’Alzheimer” per composti da Massimo de portare la sua personaLorenzi. Giovanna Famule esperienza. Durante Primo spezzone di Io Madre di lari ha il compito di intoquesta puntata la Poggi mia madre nare alcuni brani come ha recitato due spezzoni Autum leave e l’Ave Maria della sua commedia. di Caccini. A fianco trovate tre QrLo spettacolo di Daniela Code: uno si riferisce ad Poggi, che si chiude tra una piccola presentazione le note di una dolcissima della commedia e le altre ninna nanna è, però, più Secondo spezzone due sono i due spezzoni di Io madre di di tutto un inno alla vita, della commedia recitati mia madre all’amore. L’amore e la dedia “Speciale Tg1 sull’Alzheizione di una figlia per la madre mer” nel secondo la recitazione che chiude per poi riaprire il ciclo incomincia al minuto 3.17. La loro di vita in un continuo alternarsi di visione può aiutare a capire come ruoli che ci vede madri, poi figlie sia importante sostenere e aiutare poi...madri delle nostre madri. le persone con in casa un malato Ma ci sono anche altri anziani, di Alzheimer. quelli che, nel momento del Maurizio Franchi

L’autrice recensisce per i nostri lettori la sua opera

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“Quei miei tonfi densi cumuli di pensieri” di Fabiola Lacroce, edizioni Senso Inverso

ià il titolo evoca un viaggio in meandri “oscuri”: quelli della mente, quei luoghi dell’anima imperscrutabili. Beba è la protagonista della storia, una studentessa, come tante portata a confrontarsi costantemente con la sua interiorità. E proprio dai suoi pensieri ella non riesce a liberarsi; la sua volontà è tesa ad ottenere la libertà dal suo mondo interiore. La tecnica utilizzata è quella del flusso di coscienza. La mente funge da filtro ed ogni vicenda viene sublimata alla luce della sensibilità della protagonista. La s toria d ’amore che vive è intensa e complice e nel contempo mossa dalla perenne scoperta dell’altro. Le problematiche sociali e personali che si innestano nella trama del racconto sono molteplici: Angelica, l’amata sorella sarà vittima di un amore violento che la svuoterà piano piano portandola ad un profondo senso di colpa. Questo malessere interiore instillerà in Angelica un senso di inadeguatezza che si convertirà in uno scollamento con la realtà: ecco che la strada dell’anoressia diviene un cammino obbligato quasi come se Angelica volesse punirsi convinta di essere meritevole di botte e percosse. E Beba sarà costretta ad assistere alla distruzione della dolce sorella divenendo, lei stessa, vittima

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La prima disabile di guerra sbarcata nel Congresso degli Stati Uniti

di questa situazione. I rapporti interpersonali che si presentano al suo giudizio sono spesso consunti e consumati dal tempo come quello dei suoi genitori, altre volte sono fantasmi di passioni mai nate come quello tra l’amica Martina ed il suo compagno. Inoltre, gli studi iniziati più che per accontentare i suoi familiari che per concreta convinzione, sono giunti al termine e il confronto con il futuro, con il cambiamento non viene accolto con positività, ma con timore. Senz a svelare troppo è possibile, però dire, che il romanzo ha un’apertura positiva, perché è nei rapporti umani che si trova la strada per migliorarsi e per reagire. Il finale è pervaso da un’esaltazione della filantropia e dell’umanità e da un senso di altruismo che è lo stimolo per rispondere alle problematiche sociali e personali. Il linguaggio utilizzato è quello evocativo e poetico che consente di dare spessore ai sentimenti e alle tensioni del cuore. Gli stati d’animo sono dipinti come bozzetti fiamminghi con tonalità chiare e pennellate precise; ogni immagine trova il suo contorno e si delinea sullo sfondo delle emozioni. Il libro induce a riflettere su tematiche attuali ed importanti come quella della violenza sulle donne.

Purtroppo i dati sono sempre più allarmanti e l’Italia detiene il triste primato di essere il Paese europeo dove si concentra una maggior livello di violenza contro le donne; una donna su due subisce violenza ed in particolar modo questo avviene tra le mura domestiche. E il romanzo mette in luce come questo non coinvolga solo la vittima diretta delle percosse, ma anche i suoi parenti che sono spesso costretti ad assistere impotentemente. Non meno importante è la tematica dei disturbi alimentari e l’intento è quello di far comprendere come sicuramente questa “patologia” intacca maggiormente le persone fragili, ma non sempre affonda le sue radici in questioni di natura estetica: spesso è una reazione, una modalità di punizione che gli animi si infliggono. Il rispetto della persona umana e della sua dignità dovrebbe essere un valore universale e comune a tutti, ma spesso, troppo spesso, ciò non viene tenuto a mente. Il titolo, scelto appositamente, rimanda ad un campo semantico a tratti soffocante; ognuno di noi è come un condannato a morte con un boa avvolto al collo che metaforicamente rappresenta la sua mente. Senza troppe pretese il romanzo “Quei miei tonfi densi cumuli di pensieri” ci prende per mano e desidera condurci in uno spaccato della nostra società, perché, con i nostri stessi occhi e con i nostri cuori, possiamo conoscere i meandri più “oscuri”: quelli della mente, quei luoghi dell’anima imperscrutabili. Fabiola Lacroce

Tammy Duckworth

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o scorso 6 novembre la candidata Dopo questo incidente Duckworth democratica Tammy Duckworth, non si è persa d’animo pensando che disabile di guerra, ha sfatato un già le avevano portato via le gambe tabu negli Stati Uniti, infatti, è riuscita e non era il caso che si portassero via a conquistare il seggio dell’Illinois en- anche il suo sorriso. trando così a far parte del Congresso. Tutt’oggi si occupa di una fonLa stessa Duckworth si dazione impegnata a era candidata sempre costruire centri di riabiper lo stesso seggio nel litazione per i veterani 2006 senza successo. di guerra ed è stata noI democratici hanminata al Dipartimenno, quindi, festeggiato to federale dedicato oltre che la rielezione proprio ai veterani ed è del Presidente uscente diventata direttore del Barack Obama anche la Dipartimento dell’Ilprima disabile di guerra linois. entrata nel Congresso. In Italia la storia di Tammy Duckworth Tammy Duckworth è ha 44 anni ed è figlia di stata raccontata dal un americano, veteragiornalista Mario Cano della Marina degli labresi nel suo libro Stati Uniti e di una tai“La fortuna non esiste” landese di origine cinese. (Mondadori 2009). È ceLa Duckworth ha seguito lebre una sua foto con il le orme del padre ed è Presidente degli Stati Uniti entrata in Marina come piBarack Obama nel 2008 lota di aerei uno dei pochi quando l’attuale Presilavori militari accessibile dente la ha abbracciata in alle donne. pubblico. Tammy Duckworth Il 12 novembre 2004 Prima di ricoprire l’atl’incidente che la fa dituale carica nel Congresso ventare disabile. In una missione in degli Stati Uniti Tammy Duckworth è Iraq il suo Black Hawk viene colpito stata dal 21 novembre 2006 all’8 febda una granata irachena e nell’esplo- braio 2009 direttore del “Dipartimento sione perde tutte e due le gambe e si degli Affari dei Veterani” dell’Illinois ferisce gravemente al braccio destro (nominata dal governatore Rod Blaspezzatosi in tre parti. Fortunatamente gojevich) e dal 24 aprile 2009 fino al 30 sopravvive non seguendo così il desti- giugno 2011 assistente del segretario no di ogni pilota che viene colpito in per gli Affari Pubblici e intergovernavolo e muore bruciato; per questo ogni tiva nel “Dipartimento degli Affari dei 12 novembre organizza una festa per Veterani” dell’Illinois. ricordare il miracolo e il fatto di essere Maurizio Franchi ancora viva.

L’appuntamento annuale con l’iniziativa “Suggestioni nell’orto e nel giardino: forme, colori, profumi, sapori...”

Ruota con i tuoi 5 sensi attorno alla decima edizone di Ortinparco

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al 25 al 28 aprile si terrà l’appuntamento annuale a Levico che inaugura il contesto primaverile: Ortinparco apre simbolicamente l’inizio del lavoro negli orti. L’iniziativa è presieduta dal Servizio Conservazione della natura e Valorizzazione Ambientale della provincia Autonoma di Trento. Per l’occasione prenderà parte all’evento anche quella fucina di idee che è l’Anffas di via Gramsci, capeggiata da Maurizio Menestrina come direttore operativo dei lavori, che presenterà un progetto denominato “Ruota i tuoi 5 sensi”. Non anticipiamo la sorpresa ai lettori, ma li invitiamo a partecipare (e sperimentare) in prima persona quel che “Ruota i tuoi 5 sensi” ha in serbo per loro. L’Anffas Trentino Onlus non opera da sola ma è sostenuta, oltre che da Prodigio Onlus, anche da sponsor e associazioni locali. Forte di una solida realtà sociale tale associazione, capofila mente e braccio del progetto, proporrà la sua di suggestione nell’ambito della manifestazione: i lavori sono già iniziati! Un indizio: le 3 “R”, Recupero, Riciclo, Riutilizzo, saranno anche questa volta protagoniste dell’iniziativa. I rifiuti, trattati sottoposti alla creatività dei volontari, offriranno il loro contributo e con i materiali di recupero la faranno da padrona per offrire agli spettatori

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | aprile 2013 - n. 2

una nuova prospettiva del lavoro nell’orto. La finalità? Con materiali che sembrano così limitati lo scopo suona altisonante, ma raggiungibile: lo sbarrieramento ideologico. L’idea (che appunto sarà svelata nella sua completezza e ingegnosità in quel contesto) prende spunto da una cronaca reale: tempo addietro Menestrina, operatore Anffas, accompagnò un amico affetto da disabilità fisica nell’orto. Si stupì quando gli venne candidamente confessato che erano una trentina d’anni che non toccavo un pomodoro direttamente dalla pianta. Da lì l’intuizione. I materiali di scarto. L’occasione di Ortinparco ed un invito esteso a tutti i lettori! Non sarà solo questo: Ortinparco offrirà anche attività didattiche per le scolaresche, momenti musicali, teatrali e di poesia il tutto corredato da un mercato di contadini, dell’artigianato e degli antichi mestieri; ma soprattutto ci sarà la libertà d’interpretare i contesti “orti” e “giardini” a tutti gli iscritti! L’appuntamento è dal 25 al 28 aprile in un contesto d’eccellenza: il parco Asburgico delle Terme di Levico. Monica Miori


PA SSAT E M P O

“Estenuante gioco psicologico con finale a sorpresa...”

Five Fingers

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ifficile commentare un film di questo tipo in quanto, raccontandone lo svolgimento, si rischierebbe di farsi sfuggire qualche dettaglio di troppo che finirebbe per compromettere l’originalità di un finale che rappresenta il punto forte di questa breve pellicola del 2005 di Laurence Malkin (circa 85 minuti). Fatta questa doverosa premessa, mi limiterò allo stretto necessario per delineare gli aspetti salienti della narrazione. Martijn (Ryan Phillippe) è un giovane olandese, il classico ragazzo perbene, gentile, biondo, occhi azzurri. Impegnato in un programma alimentare per aiutare i bambini del Marocco, deve recarsi sul posto per portare avanti il suo progetto. Grazie ad Internet recluta una guida in grado di fargli strada sul territorio, quindi saluta la sua ragazza (anch’essa di origini marocchine) e prende il volo per l’Africa. Il suo incubo inizierà una volta giunto a destinazione: lui e la sua guida vengono sequestrati, quest’ultima uccisa quasi subito, mentre Martijn è tenuto in vita e sottoposto ad un estenuante interrogatorio riguardante il suo “progetto” e i suoi “contatti” nel paese. Da questo punto in poi si assiste ad una vera e propria guerra psicologica tra il giovane e i sequestratori capitanati da Ahmat (Laurence Fishburne). La prima mezz’ora, in effetti, si trascina abbastanza lentamente e i due protagonisti rispecchiano gli stereotipi tipici del caso: da una parte Martijn, giovane uomo dal volto pulito, pieno di buoni propositi, giunto in Marocco per “cambiare le cose”, dall’altra Ahmat, l’estremista e probabile terrorista che lo ha rapito, il “cattivo” che cerca di estorcergli informazioni. Fino a qui tutto sembra scontato, ma vale la pena resistere e proseguire con la visione. È un vero braccio di ferro verbale quello che si svolge tra i due, anche se ovviamente non è una lotta ad armi pari. Entrambi si rivelano intellettualmente allenati, ma la resistenza del giovane viene messa a dura prova dal momento che il suo rifiuto a fornire le informazioni di cui il suo sequestratore lo ritiene in qualche modo in possesso gli costeranno, come si evince dal titolo... le sue dita, una dopo l’altra. Non è il caso di andare oltre per quel che riguarda la trama, tuttavia si può concludere sottolineando come questo breve film riesca, soprattutto nella seconda metà, a stimolare la curiosità dello spettatore circa la conclusione del (sadico) gioco. La delicata tematica che fa da sfondo alla vicenda è quella del terrorismo anche se, in questo caso, viene percepita solo come base per un thriller psicologico dal risvolto incerto fino alla fine; apprezzabile la scelta di introdurre, durante la narrazione, dei brevi flashback per permettere allo spettatore di mettere insieme tanti piccoli indizi che condurranno ad un epilogo nel quale i due antagonisti caleranno le rispettive maschere. Originale. Matteo Tabarelli

Uno spettacolo e un gioco per capire come utilizzare meglio l’energia

“Energie”

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e n e rd ì 15 f e b b r ai o nell’ambito della manifestazione “Mi illumino di meno” la Circoscrizione “La Clarina” ha offerto ai residenti e a tutti i curiosi e gli interessati Promo dello spettacolo lo spettacolo “Energie”, studiato e creato dal Museo delle Scienze e rappresentato da esperti del Museo, in questo caso Massimiliano Tardio e Stefania Tarter, che hanno interpretato magistralmente i protagonisti rispettivamente Martin e Jessica. Lo Spettacolo “Energie” è uno spettacolo scientifico che racconta la storia di Martin e della sua compagna di banco Jessica, due ragazzi sospesi tra una realtà in cui si trovano scomodi e la ricerca di un luogo diverso, più bello e sicuro che riescono appena a intravvedere. È anche una storia di sogni e di energia, anzi, di energie: l’energia dell’essere umano, l’energia dell’adolescenza, l’energia del sole, dell’acqua e del vento, le energie alternative, rinnovabili. In questo spettacolo alla fine Martin e Jessica riusciranno a catturare l’energia anche dalla luna e dalle stelle. Lo spettacolo affronta quindi in modo accattivante e coinvolgente argomenti ostici come: energie rinnovabili - solare - eolico - idroelettrico - nucleare - combustibili fossili - elettricità - carburante - biomasse - sostenibilità - futuro - ambiente. Gioco Al termine dello spettacolo i ragazzi sono stati chiamati ad indossare le vesti di sindaco per un giorno e a decidere le strategie di utilizzo delle fonti energetiche bilanciando costi, sicurezza e impatto ambientale. Il pubblico, per lo più formato da ragazzini, ha sperimentato così quale responsabilità sia la gestione delle risorse energetiche. Di volta in volta è stato scelto un bambino o un adulto che doveva per un piccolo lasso di tempo fare il sindaco scegliendo tra l’energia solare, quella eolica, quella nucleare, i gas fossili e il petrolio quale posizione doveva avere in una ipotetica graduatoria dopo essersi confrontato prima con i propri cittadini e, aver sentito il parere di Martin, favorevole all’utilizzo di energie rinnovabili e Jessica che, invece, evidenziava sempre delle criticità per ogni energia. La posizione dell’energia scelta comportava la perdita di un tot di palline messe a disposizione che venivano inserite nei tre cilindri che rappresentavano i tre costi maggiori: quelli monetari, quelli di impatto ambientale e quelli di salvaguardia del territorio. L’obbiettivo era quello di risparmiare più palline possibili e stabilire un buon rapporto tra energie volte all’elettricità (eolica, solare, nucleare e gas fossili) e quelle utilizzate per il carburante (petrolio e gas fossili). Considerazioni personali Lo spettacolo è stato istruttivo e divertente al tempo stesso, i genitori si sono ritrovati a divertirsi con i propri figli, a dare consigli e a riceverne per cui posso affermare che l’iniziativa è stata molto apprezzata. A fine serata parlando con gli esperti del Museo e organizzatori del gioco è emerso che i bambini ottengono quasi sempre migliori risultati in questo gioco rispetto agli adulti forse perché i bambini sono più spontanei. Maurizio Franchi

Cercasi volontari Attenzione attenzione: volontari cercasi. Abiti a Trento, o lontano da qui ma conosci comunque l’Associazione Prodigio? È proprio te che stiamo cercando! Se decidi di essere dei nostri, avrai la possibilità di: scrivere articoli per il nostro bimestrale, anche seduto comodamente sul tuo divano di casa; accompagnare i disabili dell’Associazione agli incontri nelle scuole, conferenze, tavole rotonde, convegni; collaborare attivamente agli eventi organizzati e promossi dall’Associazione; esprimere la tua creatività e voglia di fare al servizio dei diversamente abili. Non esitare, ti vogliamo così come sei!

Per info chiama i numeri: 0461 925161 o 335 5600769, oppure visita il nostro sito: www.prodigio. it. Siamo a Trento, in via Gramsci 46 a/b

Colore e daltonismo una variabile dimenticata

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Rosso? Verde? Giallo? Blu?

opo aver familiarizzato un po’ daltonico passando dunque inosservati con il colore e alcuni suoi aspetti o comunque in secondo piano. Nella ormai quasi quotidiani, mi pare prima immagine a fianco una persona giusto fermarsi su una caratteristica della che possiede la cecità al rosso (Protanovisione del colore tutt’ora trascurata “il pia) potrebbe infatti non notare immedaltonismo” affrontandolo sotto l’aspetdiatamente l’errore di login evidenziato to di quanto le nuove in rosso, rimanendo in un tecnologie ne tengono primo momento spaesato. conto soprattutto nella Una possibile soluzione creazione di siti web. per il daltonico “organizIl web designer, inzato” e tecnologicamente fatti, non prende quasi informato sarebbe quella mai in considerazione di fare un “copia incolla” la variabile del Daltonidi quello che vuole smo quando progetta leggere in un file di la grafica di un sito intesto, oppure utilizzare ternet. browser testuali come Non c’è dubbio che il per esempio lynx, ma più importante dei cinque non tutti lo conoscono sensi nella navigazione in e soprattutto non è il internet è la vista per cui, massimo della comopare molto strano che non dità. si pensi di tener conto di una Quindi perché non patologia non certo sconolavorare alla base del In alto come vede l’errore sciuta anche se ancora poco problema? Perché il una persona “normale” considerata perché fino ad web designer non fa uno e sotto come lo vede una ora non eccessivamente sforzo minimo che portepersona con “Protanopia” “inabilitante”. rebbe dei vantaggi anche La vista per definizione è alle persone daltoniche? la percezione di luce, forme e colori che Dopo tutto un’interfaccia pensata anperò non è uguale per tutti, un esempio che per i daltonici darebbe quel qualcosa appunto è la persona daltonica. in più che la renderebbe unica. Pensare Il daltonismo viene definito “Difetto come un daltonico, infatti, potrebbe ereditario della vista caratterizzato dalla dare un risultato più bello e raffinato inabilità, totale o parziale, a percepire i non commettendo così degli errori che colori quali il rosso, il verde o il blu oppure l’occhio sano non noterebbe ottenendo una combinazione di essi” definizione per per di più un prodotto molto più chiaro, così dire molto semplice e limitata che visibile e leggibile. però già ci fa intuire la problematica che Metodologie per far si che il sito possa stiamo cercando di inquadrare. essere chiaro anche per i daltonici Il daltonismo è di quattro tipi: Per poter raggiungere lo scopo si con Deuteranopia cioè la cecità al verde: siglia a chi vuole creare un sito internet forma più comune; leggibile a tutti, daltonici compresi, di Protanopia cioè la cecità al rosso: forma adottare delle metodologie come può rara; essere il “Cognitive Walkthrough” che Tritanopia cioè cecità al blu: forma mirano a prevedere i problemi che un molto rara; utente può incontrare quando vede per Monocromatico cioè la persona vede la prima volta l’interfaccia del sito internet totalmente in bianco e nero: forma in esame. più rara. Il “Cognitive Walkthrough” cerca di analizzare i passaggi richiesti per fare un compito con l’obbiettivo di individuare possibili ostacoli dell’interfaccia che impediscono o rallentano il completamento del compito stesso. Una tecnica molto facile e banale per capire come un daltonico vede è quella di privare del colore lo schermo riducendo tutto in Con una ricerca in internet potrete sco- bianco e nero: se il risultato di questa prire che il daltonismo è molto comune, privazione ha un senso, vuol dire che il ma il web designer, a volte, non lo prende daltonico non avrà problemi con il sito. in considerazione ritenendolo poco signiOltre a questa tecnica il web offre altre ficativo. Il daltonismo colpisce l’8% degli alternative per capire se la grafica del sito uomini e l’1% delle donne considerando che si sta creando sia comprensibile a che gli utenti di internet sono il 30% della tutti; ci sono, infatti, molti strumenti per popolazione totale è facile intuire che avere un idea di come vede un daltonico. non considerare questa particolarità può Ecco alcuni esempi: essere un vero e proprio boomerang. Color Oracle: modifica i colori dello Una possibile spiegazione può essere schermo per simulare il daltonismo il fatto che le problematiche relative al facendo vedere, quindi, come un daltodaltonismo sono poco note per cui gli nico vedrebbe il sito che si sta facendo. stessi designer solitamente proprio perQuesto strumento riesce a simulare la ché “innamorati” di tutto ciò che è colore visione di tre tipi di daltonismo: Deutesono inconsciamente proiettati verso l’uranopia, Protanopia e Tritanopia; tilizzo dello stesso così come i cosiddetti Ruota dei colori accessibili: è un tool “normodotati” lo percepiscono. che può aiutare nelle scelta dei colori da Questo significa che il prodotto finale utilizzare come sfondo e testo. Questo del web designer bellissimo per le persito, infatti, da la possibilità di vedere il sone “normodotate” potrebbe causare contrasto tra sfondo e parola che vede problemi nella lettura o nella visione ad un daltonico suddividendo i tre tipi una persona daltonica. principali di daltonismo: Deuteranopia, Il problema più ricorrente in un dalProtanopia e Tritanopia; tonico è la lettura delle differenze di Coblis (Color Blindness Simulator): in tonalità, quindi, dovrebbero essere evitati questo sito si da la possibilità alle peraccostamenti di colori con tonalità molto sone non daltoniche di capire come simili come per esempio il rosso e il viola. un’immagine viene vista se si ha un Il daltonico può riscontrare problemi certo tipo di deficienza visiva ai colori. concreti anche nella lettura del testo: In questo sito ci sono otto differenti filtri le scritte su sfondo poco costante sono di daltonismo. poco visibili; Per saperne di più un sito molto utile la comunicazione di messaggi impor- per avere una panoramica completa sul tanti e/o di errori sfruttando solamente daltonismo è Colour Blindness. il colore non risultano efficaci per un Maurizio Franchi

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