Pro.di.gio. n°III giugno 2013

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pro.di.gio.

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO III - GIUGNO 2013 - ANNO XIV - LXXVIII NUMERO PUBBLICATO

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progetto di giornale

“Volare in Trentino”

“Turisti al buio” a Predazzo

Colonnello Fiorenza De Bernardi: prima donna pilota di linea in Italia, quarta nel mondo

Prima uscita con il gruppo A.M.A “Non vedenti e ipovedenti” pagina 5

Il Dalai Lama a Trento

La pesca intensiva alle sardine

La massima autorità spirituale del Buddhismo tibetano e l’abbraccio di 3500 trentini

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Tony e i suoi tre figlioli, di recente accolti alle pendici del Bondone

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Galapagos a Trento: abbandonare un paradiso per studio, formazione e lavoro

ono arrivati solo da qualche mese Tony e i suoi tre figlioli, di recente accolti alle pendici del Bondone. Il filo conduttore di questa storia è il legame di Miriam con Tony che ha fatto sì che lui lasciasse le Galapagos per raggiungerla a Trento. Il viaggio in Italia è partito dall’intraprendenza di Miriam: ecuadoriana, è arrivata nel Bel Paese dodici anni fa per ricongiungersi con un suo caro. Agli esordi della sua avventura si trovò a Milano, come molti migranti: all’estero il capoluogo lombardo è una città di cui si favoleggia il grande potenziale occupazionale, pregna di opEsemplare di foca sull’isola di Santa Cruz portunità da sfruttare e su cui aleggia un alone di democratica opulenza. Anche in Santa Cruz, che questo caso le aspettative erano elevate. fa parte di un arcipelago formato da quattorLa realtà le ha però presentato un altro pa- dici isole che distano a quasi mille chilometri esaggio: traffico, inquinamento, caoticità, un dalle coste dell’America del Sud: nell’Oceano ambiente saturo sotto ogni punto di vista... Pacifico. quasi quanto Guayaquil, dice, la città adagiata Più piccole, naturalistiche e anche ampiasul fiume Guayas che tende ai 4 milioni di mente più tranquille del “continente” sono abitanti ed elevata a capoluogo di provincia nominate anche Las Islas Encantadas per la dell’omonima regione dell’Ecuador. bellezza incontaminata e per la varietà di Poco tempo dopo s’è spostata verso est, specie naturali che le popolano, raramente arrivando così a stabilirsi a Trento. visibili altrove. Sotto alcuni aspetti Quito, la capitale dell’E- Un’opportunità con lo studio. La faticosa cuador, le sembrerebbe più avvicinabile a continuazione di un percorso accademico Trento... per le montagne, non per altro però! Miriam arrivò in Italia a fine gennaio del 2001 Sono mondi opposti se si considera la dilagante accompagnata da un gran freddo: ed è proviolenza che imperversa nelle strade della prio il gelo penetrante la prima impressione metropoli sudamericana. che affiora dai suoi ricordi. Tony sorride mentre Miriam racconta delle Nella mia città ero un’insegnante, appena città d’origine confrontandole con le nostrane: arrivai trovai un impiego come baby-sitter lui, con i figlioli, è arrivato solo da qualche mese ma guadagnavo proprio poco. Solo successima ha ancora ben nitido il ricordo del suo paese vamente, grazie al passaparola di un’amica, d’origine, le Galapagos. sono passata ad assistere anziani. Nonostante Non provengono dal “continente” ma da mi piacesse di più lavorare con i bambini ho proseguito con quell’attività per un po’di tempo per trarne maggiori benefici economici. Impressione e stralci di vita quotidiana Arrivata in Italia oltre ad di un ragazzino a Santa Cruz adoperarmi per cercare laVale la pena visitare le Galapagos almeno una volta: voro volevo però studiare: è un altro mondo per la fauna, le persone e i paesaggi ho impiegato due anni per che offrono. Oltre al relax lì si possono trovare animali richiedere e organizzare le che non esistono più negli altri continenti: famose carte necessarie: ho dovusono le tartarughe giganti delle Galapagos, i pesci to fare la dichiarazione dei della barriera corallina, l’iguana terrestre e l’iguana “valori”, procurarmi tutti i marina (l’unica a cibarsi in mare!), la sula piediazzurri, il certificati chiedendone attepinguino delle Galapagos (che è particolare perché vive stati ad ogni istituto che ho a cavallo dell’equatore), i delfini, le foche, gli squali... frequentato in Ecuador ed, Proprio con gli squali l’anno scorso sono nati probleinfine, ho tradotto tutta la mi: è successo che per un periodo i pescatori buttavano documentazione. Il sistema in mare le teste dei pesci catturati durante la giornata scolastico lì, in Ecuador, è e, così facendo, attirarono tantissimi squali alle coste diverso ma con il percorso di dell’isola Santa Cruz. Per alcuni giorni non s’è potuto studi che avevo intrapreso già andare in spiaggia a nuotare: gli abitanti dell’isola e i tuero in possesso della qualifica risti erano spaventati. Per risolvere la situazione i pescaper insegnare. tori hanno quindi In Italia tali conseguimenti deciso di cibare con non erano sufficienti: nel 2006 gli avanzi gli altri sono riuscita ad iscrivermi animali dell’isola: all’università di Trento frefoche e pellicani quentando la specialistica in soprattutto. “Letterature euro-americane, Anthony traduzione e critica letteraria”; ho incontrato tante difAnthony in un guscio ficoltà per il riconoscimento di tartaruga gigante degli esami sostenuti all’edelle Galapagos stero e i maggiori ostacoli sono derivati soprattutto dalla disinformazione, dalla

LE GALAPAGOS DI ANTHONY

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Oceano silenzioso

poca preparazione e dal limitato scambio d’informazioni a riguardo. L’ente che m’ha davvero aiutato in tutto il percorso, dal reperimento dei certificati fino all’assistenza universitaria nell’ateneo trentino, è stato il Welcome Office e una dottoressa dell’ATAS: non sono pratiche semplici da sbrigare per un privato. Riuscire a far comunicare ambasciate di diversi paesi per farsi inoltrare attestati può diventare un’avventura senza esito. Con l’intervento di questi uffici, invece, l’iter burocratico si è considerevolmente agevolato! La fatica iniziale è stata proprio il riferimento iniziale: a chi chiedere? Ho dovuto scoprire da sola, tramite voci, passaparola, tentativi...al Welcome Office hanno saputo darmi un aiuto concreto sia per dubbi concettuali che pratici.

Dal 2002 lavoro in un’impresa di pulizie che opera all’Ospedale Santa Chiara: nonostante abbia conseguito una laurea in Ecuador, una a Trento e stia frequentando il corso per mediatori culturali, questo lavoro è l’unico che mi offra l’opportunità di usufruire dei diritti di un contratto regolare, sicurezze per il permesso di soggiorno e tale impiego mi consente di prendere ferie per tornare a far visita ai miei genitori. Il clima sul luogo di lavoro non è dei migliori: non manca qualche strigliata o persone che si permettono di trattarti male ed umiliarti ma, a parte aspetti negativi, sono maggiori le opzioni che ti permettono di vivere dignitosamente. Ma come arrivarono qui Tony e i tre vispi ragazzini? Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse Quattro anni fa Miriam stava cercando materiali ➽➽continua a pagina 2

La Cooperativa SAD di Trento è lieta di proporre un interessante appuntamento per:

venerdì 14 giugno 2013 presso la sala Ferrari Incontri, via del Ponte 15 Ravina.

Analisi sui servizi privati e prospettive future La conferenza inizierà alle ore 17.00, con visita alle cantine prevista alle ore 16.00. Interverranno all’evento: Dott. Nadio Delai Presidente della società Ermeneia -Studi & Strategie di Sistema Dott. Matteo Bonazza Diego Agostini, direttore della cooperativa SAD Dott. Davide Gabrielli Consulente di Direzione, Strategia e Marketing operativo La ricerca e l’analisi sulle prospettive future della popolazione anziana trentina condotta dal Dott. Nadio Delai e dalla Dott. ssa Roberta Cuel hanno spinto la cooperativa SAD ha trovare nuovi approcci alle esigenze emerse nella società attuale. SAD ha deciso quindi di evolvere ed innovare la propria identità e proporre al mercato i propri servizi con un approccio marketing oriented e rivolto prevalentemente ai privati. Questo progetto vede lo sviluppo di un nuovo pacchetto di servizi che, pur contando sulla professionalità e l’esperienza della cooperativa SAD, si differenziano da essi in quanto erogati privatamente e sostenuti da un nuovo sistema gestionale. Queste proposte verranno associate ad un’immagine nuova della Cooperativa, esemplificata nel nuovo logo, e con un suo nuovo posizionamento nel mercato di riferimento. La volontà di SAD è quindi quella di rispondere in maniera concreta alla richiesta, sempre più impellente, di servizi socio-sanitari privati che vanno a compensare le difficoltà della famiglia nella gestione dell’anziano e la riduzione delle risorse investite dalla Pubblica Amministrazione. SAD offrirà quindi la propria esperienza e la propria professionalità ampiamente conquistata in vent’anni di attività con la cittadinanza locale.


SENSIBILIZZAZIONE

Pitture rupestri e joelette

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ya ha 8 anni e in aprile con i suoi compagni di la differenza tra masso e roccia. Ingrid si differenziava classe è andata alla scoperta delle pitture rupe- dalle altre persone perché sulla sua uniforme aveva stri in Valcamonica. Come affrontare i sentieri, lo stemma, un sole con tre oranti, del parco e portava le grotte del tortuoso percorso per arrivare al sito un bastone con sè per indicare le incisioni sulle rocce. archeologico? Con La prima roccia la joelette e l’aiuto era molto grande e si dell’Associazione faceva difficoltà a veGabbia-No! Ecco il dere le incisioni, sosuo racconto... prattutto perché io Scesa dal pullman ero sulla carrozzina mi sono chiesta come e negli spostamenti potevano portarmi era molto scomoda. sulla montagna con Il percorso era tutto questa carrozzina traballante ma era chiamata Joelette. molto bello, perché Ero molto emozioc’erano tante piante nata perché era la molto grandi di diprima volta che saverso tipo. C’erano livo, ma soprattutto tante rocce molto perché andavo in belle; mi è piaciuta montagna. Ad acsoprattutto una rocEya Grantaliano in gita in Valcamonica con la joelette compagnarmi c’erano cia che era in verticale che Elisa, Nicoletta, Paolo, raffigurava il sole, gli oranti Mattia, Lara e il mio papà. e dei cervi, il masso ossimo 8. Le incisioni non si veAl momento di salire ero un po’ ansiosa, ma poi devano bene perciò Ingrid ha preso una bottiglietta mi sono fatta coraggio anche perché c’erano i miei d’acqua e ha bagnato la roccia. Ci ha fatto vedere compagni che mi incitavano. anche due montagne che si chiamano Pizzo Badile e Salita sulla carrozzina siamo partiti per andare a Concarena; ci ha spiegato che per gli uomini primitivi vedere il parco delle incisioni rupestri; appena entrata il Concarena aveva racchiuso in sè lo spirito della mi sono subito chiesta come potessero essere queste montagna, cioè era il sole che in primavera entrava pietre con queste incisioni. nella spaccatura e faceva uscire i suoi raggi. La nostra guida Ingrid ci ha spiegato la differenza Da questa esperienza ho imparato come comunifra incisioni e graffiti, io la sapevo già un po’ perché ce cavano gli uomini primitivi attraverso i disegni. l’aveva spiegata Marilena a scuola e poi ci ha spiegato Eya Grantaliano

Forme, colori, profumi e sapori

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Ortinparco 2013

pro.di.gio.

al 25 al 28 aprile 2013, nello storico Parco Asbur- una carrozzina verniciata di bianco collocata al centro gico di Levico Terme, si è svolta la decima edi- di un giardino pensile composto da tre pneumatici zione di “Ortinparco” una festa dedicata a tutto di automobile che accoglievano al loro interno tre quanto fa orto, per salutare l’arrivo della primavera diverse piante aromatiche. Le piantine erano facile aprire simbolicamente la mente accessibili e stagione dei lavori nell’orsi potevano toccare to e nel giardino. stando seduti sulla Noi, dell’Associazione sedia a rotelle graProdigio, siamo andati a zie al movimento visitarla per voi. rotatorio studiato Il tema di quest’anno apposta per la carera “Suggestioni nell’orrozzina fissata su to e nel giardino: forme, un perno. Il tutto colori, profumi, sapori...” era inserito magie in questo contesto il stralmente in un Servizio Conservazione contesto più ampio della Natura e Valorizzaformato da piante zione Ambientale della infilate anch’esse in Provincia Autonoma di copertoni di autoTrento ha proposto mobili. anche in questa edizioTutto lo stand era ne mostre didattiche costruito con maincentrate sulle temateriale di riciclo per tiche dell’agricoltura: sottolineare che ogni fertilità del terreno, cosa può essere ritrarisparmio idrico, ortisformata e utilizzata coltura e paesaggio, per scopi diversi da luoghi ed educazione quelli originari. ambientale, sole, enerNel programma eragia e coltivazioni. no previsti anche moIl programma promenti musicali, teatro e posto era molto vapoesia, performance di riegato con proposte danza verticale, dimosperimentali per prostrazioni di tecniche gettare, combinare di bonsai, un colorato In alto: Costruzione di una ciotola in legno. piante, realizzare recinmercatino dei contaSotto: Il soggetto dello stand dell zioni tradizionali, proposte dini, all’insegna della tradizione e della ANFASS di Trento Ruota con i tuoi cinque culinarie, prodotti dell’orto genuinità, e spazi dedicati all’artigianato sensi con alcune piante aromatiche . ma anche con originali lae agli antichi mestieri. boratori come la creazione Gli stand tutti interessanti ed educativi di ciotole in legno o comsono riusciti a esaltare la complessità e la posizioni con ortaggi e materiali vegetali del parco e genuinità dell’orto non solo come un fatto agricolo attività didattiche a tema dedicate ai bambini. e spazio verde coltivato, ma anche come una grande Da segnalare lo stand proposto dall’ANFFAS di Via occasione di socialità e di cultura. Gramsci di Trento nel quale il soggetto principale era Maurizio Franchi

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➽➽segue dalla prima pagina

riguardanti una scrittrice americana che si occupasse di viaggi per una ricerca all’università: la scelta cadde su Johanna Angermeyer che, per vicende biografiche personali, si trovò nell’isola di Santa Cruz, alle Galapagos, e si innamorò di tale paese tanto da scriverci un libro, My Father’s Land: a Galapagos Quest. Cercando in Internet informazioni a riguardo Miriam scoprì che tale autrice compariva tra gli amici di un suo ex compagno di classe: Tony. Approfittando della coincidenza ricontattò l’amico. Miriam e Tony si conobbero sui banchi di scuola a Machala, città che s’affaccia sul golfo di Guayaquil, si ricontattarono poi grazie al libro e, soprattutto, grazie alla conoscenza della scrittrice Angermeyer. L’amicizia tra Johanna e Tony è molto forte e duratura: già in gioventù instaurarono un rapporto tanto profondo che lei lo considerava un figlio. Durante l’infanzia Tony era solito frequentare la sua casa, benvoluto ed accolto proprio come un parente molto stretto, e ancora oggi sono rimasti in buonissimi rapporti. ...quel giorno (più non) vi leggemmo avante Ora Tony ed i tre figlioli hanno di recente raggiunto Miriam in Italia. Si stanno ancora ambientando. Lui alle Galapagos era un ispettore della bio-sicurezza di protezione ambientale all’aeroporto: ricopriva il ruolo di coloro che vegliano sull’inalterabilità della fauna e della flora locale, figurava quindi tra i guardiani che controllano che il paradiso del Pacifico rimanga tale, prevenendo l’introduzione di alterazioni delle tipologie degli esseri viventi locali. Fine lodevole se si pensa che proprio dall’osservazione delle specie endemiche animali e vegetali di queste terre Charles Darwin trasse ispirazione per formulare la teoria dell’evoluzione delle specie. Tony, nonostante sia fresco d’Italia, ha le idee ben chiare su Trento. È una piccola cittadina, pulita, la gente è riservata ma sono solidali. Hanno un cuore grande, c’è il rispetto, ad esempio in un contesto quotidiano come il condominio, è vero che sono titubanti a salutare, ma è anche vero che rispettano

SCRITTRICE ED ARTISTA

Una giornata tra graffiti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco raccontata dalla piccola protagonista

le regole di una civile convivenza. Ho avuto modo di notare che qui ci sono anche delle leggi contraddittorie, come non poter fumare nei luoghi chiusi ma che sia lecito farlo alla fermata dell’autobus. Nonostante ciò ho trovato molti elementi positivi, soprattutto per i miei ragazzi: partendo dall’istruzione scolastica, nell’organizzazione dei servizi e anche nella solidarietà. A tal proposito sia io che Miriam stiamo anche seguendo un corso per volontariato della croce rossa per contribuire di persona a formare il tessuto sociale e metterci in gioco. Abbiamo anche assistito ad episodi di razzismo tra migranti, non da parte d’italiani nei nostri confronti: li vediamo litigare in fila, c’è una vena di egoismo tra gli stranieri. Anche se hanno delle

Pellicano nel suo ambiente naturale

informazioni che potrebbero essere utili anche ad altri, che riguardano corsi, orari d’uffici... non te lo dicono, non sono uniti, cercano di contrastarsi: hanno paura che condividendo il loro sapere o la fonte di risorse siano loro sottratte delle opportunità. Secondo me - interviene Miriam - lo spartiacque è la cultura: al corso di mediatori culturali siamo un bel gruppo eterogeneo di persone e l’affiatamento è palpabile! Non ci sono invidie o divisioni; nel gruppo c’è anche un peruviano e, in Sud America, tra Ecuador e Perù, solitamente c’è una certa antipatia derivante da un retaggio tradizionale: si dice che siamo come cane e gatto, anzi, come scimmia e gallina. È una bella esperienza quella del mediatore culturale, professione che funge da collante e da ponte tra le culture. Monica Miori

Johanna Angermeyer È un’autrice americana, nata a Lincoln in Nebraska, figlia di uno dei primi coloni delle isole Galapagos: John Angermeyer, scappato a metà degli anni Trenta del Novecento dalla Germania di Hitler. La scrittrice si trasferì ben presto in California con la madre che, a causa dell’attacco giapponese a Pearl Arbor, nel 1941 venne costretta dal governo americano a lasciare l’Ecuador, dove si trovava con John. Johanna non ebbe modo di conoscere il padre poiché morì prematuramente. Nel 1971 riuscì a trasferirsi a Pelica Bay sull’isola di Santa Cruz, nell’arcipelago Encantado. Qui incontrò un inglese, che divenne suo marito, durante il tentativo di catturare un puledro selvaggio. Si trasferirono poi in Gran Bretagna ed al momento vivono in Sussex rurale con gran assortimento di animali.

My Father’s Island romanzo di Johanna Angermeyer

Sito di Johanna Angermeyer

Direttore responsabile: Francesco Genitoni. Abbonamento annuale (6 numeri) Proprietà: Associazione Prodigio Onlus Redazione: Bosetti Ugo, Giuseppe Melchionna, Carlo Nichelatti, Monica Miori, Privati €15,00; enti, associazioni e sostenitori €25,00 con Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Giulio Thiella, Fabrizio Venturelli, Maurizio Franchi, Lorenzo Pupi. bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Hanno collaborato: Matteo Tabarelli, Monica Baldo, Manuel Midolo, Pryia 25 O 08013 01803 0000 6036 2000 intestato a “AssoSito Internet: www.prodigio.it Castrini, Eleonora Fraulini, Eya Grantaliano, Matteo Bessone, Sara Caon. ciazione Prodigio Onlus” presso la Cassa Rurale di Aldeno e E-mail: associazione@prodigio.it In stampa: venerdì 31 maggio 2013. Cadine indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”. Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana). Pagamento con carta di credito su www.prodigio.it. Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | giugno 2013 - n. 3


TESTIMNIANZE

Colonnello Fiorenza De Bernardi: prima donna pilota di linea in Italia, quarta nel mondo. “La signorina fiammante dell’aeroporto dell’Urbe. Solo chi c’era se lo può ricordare” come un commento rubato da un ex-collega possa essere tanto appropriato quanto esaustivo.

“Volare in Trentino”: reportage nei cieli trentini

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All’inizio, oltre alla partecipazione alle gare, venne svezzata dalla AerAlpi ed in seguito fu affittata all’Alitalia. Una delle domande più quotate sembra essere come si sia riuscita a relazionare in un ambiente maschile. Ricorda che a Milano, agli esordi della sua avventura con l’AerAlpi l’inizio con i colleghi non fu promettente: si sentiva trasparente, neppure la salutavano, s’erano coalizzati per scandalizzarla e farla retrocedere dal proposito di dedicarsi alla strada dell’aviazione. Ma Fiorenza, il Colonnello, non si diede per vinta facilmente. L’input iniziale lo offrì lei, auto-invitandosi a pranzo e, così facendo, creò le condizioni per rompere il ghiaccio inaugurando un’amicizia salda ancor oggi: «Negli anni Sessanta ero abituata a scalare montagne con una Compagnia di Alpini, ecchè pensavano de scandalizzarmi loro?! Si sono dovuti abituare alla svelta a capire che la professionalità di una donna era uguale a quella di un uomo!» Scardinare preconcetti ed esigere diritti Iniziarono poi a diventare piloti anche le americane: il numero delle donne ai comandi degli aerei stava crescendo e divenne impellente l’esigenza di stilare linee comuni ed organizzare assemblee su temi scottanti come la maternità ed i diritti contrattuali. L’ambiente si presentava difficile sia all’in-

Sito ufficiale del Colonnello

Fiorenza De Bernardi terno, con i colleghi, sia nelle relazioni con i passeggeri. In un periodo in cui le donne iniziavano a guidare l’auto, poteva sembrare azzardato per alcuni affidare un tale apparecchio ad un’esponente della categoria femminile. Fiorenza De Bernardi ha saputo affrontare tali sfide operando scelte senza farsi influenzare da condizionamenti esterni e testimoniando con i suoi racconti e la sua esperienza. Ha dimostrato d’aver risolto tali confronti a meraviglia contribuendo con il suo esempio, con un gran temperamento e d’aver attivamente collaborato al cambiamento di mentalità, facendosi apprezzare nel suo ambito, dimostrando quindi che il valore di una persona non sia catalogabile in generi. La sua attività non si fermò qui: fondò l’Associazione Pilote italiane (ora ADA “Associazione Donne dell’Aria”), è vice-presidente della federazione pilote Europee nonché membro ISA (“Associazione Internazionale delle Pilote di Linea”) e membro delle 99. Riguardo a quest’ultima associazione il nome deriva dal numero delle partecipanti, compreso la presidente: Amelia Earhart, aviatrice statunitense famosa per esser stata la prima persona ad attraversare l’Oceano Pacifico, soprattutto per il fatto d’aver tentato di fare il giro del mondo sparendo in circostanze misteriose in zona della Nuova Guinea, vicino all’isola Howland. Se oggi per le ragazze è un po’più facile intraprendere la professione di pilota civile o militare lo si deve a donne come queste che con tenacia hanno saputo far apprezzare la propria professionalità. Monica Miori

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stata una presentazione intima, accolta cratiche, anche se Volpi venne favorito dalle nelle sale della Fondazione Caritro di autorità romane grazie al fatto d’appartenere via Calepina a Trento, quella che ha alla condizione di piloti reduci di guerra: circoospitato Valentina Musmeci ed il suo uditorio stanza che li accomunava. In nome di quell’aper inaugurare il suo ultimo lavoro: Volare in micizia arrivò ad ottenere l’autorizzazione ed Trentino. Si tratta di un reportage, vissuto in il nulla osta per i voli in montagna. prima persona dalla scrittrice, che presenta tre Loro, i graduati Volpi e De Bernardi, sono itinerari di volo nei cieli locali, raccontato da chi il brevetto l’ha conseguito soddisfacendo “la sua aspirazione al verticale”. Il libro è curioso anche per chi non è esperto di montagna: la prima parte è molto esperienziale, ha un taglio narrativo, descrive le emozioni dell’autrice alternandole a concetti orografici mentre il secondo pezzo, curato dal Comandante Paolo Cattani, “corresponsabile” del libro, assume i tratti della manualistica: la sezione tecnica verte sul volo in montagna, soffermandosi in particolare sulle caratteristiche delle aree di atterraggio in ambiente montano. Consigli preziosi per gli amanti del genere! Queste schede appassioneranno i più tecnici: riportano dati, informazioni pratiche ed utili su In alto: Da sinistra Monica Miori, Colonnello Fiorenza De Bernardi, Colonnello Francesco Volpi. tre itinerari praticabili nei cieli locali. Sala della Fondazione Caritro. Da sinistra Comandante La vera differenza che ha qualificato Carlo Cattani, Colonnello Fiorenza De Bernardi, l’incontro è stata la presenza di ospiti Valentina Musmeci, Colonnello Francesco Volpi. d’eccezione: il Colonnello Francesco Locandina Volare in Trentino di Valentina Musmeci e Paolo Cattani. Volpi, ben noto alle cronache locali per le sue imprese e per la sua longeva passione per l’aviazione, ed il Colonnello stati i veri protagonisti del convegno. Il tempo Fiorenza De Bernardi. è poco per approfondire la loro esposiQuest’ultimo personaggio, di una potenza zione, ogni loro racconto cela allusioni, carismatica notevole, è stata una vera sorpresa: riferimenti ed eventi che meriterebbero una signora “gagliarda”, che riesce a mettere più domande e una più ampia contestuaa suo agio l’interlocutore solo rivolgendogli lizzazione. la parola. Un sostrato di toscana umanità, Ancora trasmettono un’infantile esalha origini fiorentine!, che ben si è fuso con tazione mentre parlano di volo: ci sono la simpatia romanesca, acquisita nel tempo scambi di battute, di esperienze, di boe dalle esperienze, che ha dato vita ad una narie prese in giro durante la conferenza. coinvolgente signora dalla battuta pronta, Colonnello De Bernardi: apripista dalla mente lucida e che diffonde un’energia italiano per il cielo in “rosa” a stento mascherata dall’età: una facciata Fiorenza De Bernardi conseguì il brevetinnocua che lascia trapelare tutta la vivacità e to di volo nel 1967 ed, al tempo, fu la prima trasparenza d’una vita invidiabile! donna ad ottenere tale certificazione per i Il Colonnello Francesco Volpi ha approfittato voli di linea e la quarta donna nel mondo dell’occasione per ricordare l’impegno profuso a potersi fregiare di tale titolo. Lei stessa sul territorio grazie alla fondazione della scuo- citò l’apertura mentale dei genitori che la di volo in montagna che avviò con Pippo mai contrastarono questo suo desiderio: Dellai ed Erich Abram, in veste di istruttori, il padre, Mario De Bernardi, fu uno dei provenienti dall’aeronautica militare. Hanno pionieri, uno degli sperimentatori dell’aaccompagnato nell’iter scolastico fino a 400 viazione italiana. Forse più che la passione allievi; l’idea di tale percorso formativo la sug- le ha tramandato la sensibilità per capire gerì lo stesso Comandante Volpi prendendo l’aereo: dal suo iniziale proposito di comspunto dall’organizzazione francese su tale perare una baita e vendere salsicce e birra tipologia di volo. ben presto si trovò sì sulle Dolomiti, ma Le maggiori difficoltà furono quelle buro- librandosi in cielo.

L’Associazione Prodigio Onlus presenta l’iniziativa:

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Obiettivo pulmino attrezzato!

i cosa si tratta? Questa iniziativa, che partirà a breve, vuole creare opportunità per ampliare e migliorare la vita relazionale di persone disabili e sole, permettendo loro di partecipare a svaghi ed eventi culturali nella maniera più agibile ed immediata possibile. La principale finalità per cui verrà utilizzato questo strumento è, quindi, la creazione di occasioni di socializzazione. È pensato per essere un mezzo che aiuti ad instaurare nuove relazioni, a differenza dei trasporti già esistenti che soddisfano le esigenze dettate dalle incombenze quotidiane (come possono essere gli spostamenti in strutture ospedaliere, l’accompagnamento sul luogo di lavoro o movimenti obbligati sul territorio locale...). Il progetto vuole offrire divertimenti, secondo il significato etimologico DI(S)VERTERE ovvero prendere un’altra direzione,

creare cioè alternative che esulino dalla quotidianità e che offrano proposte che comprendano visite alle città d’arte, partecipazioni a concerti, mostre, pizzate, visioni cinematografiche ed eventi culturali. Per quanto possano sembrare svaghi ordinari (la loro proposta periodica e la loro organizzazione con un mezzo istituto proprio a tale scopo) possono incidere positivamente sul benessere psicofisico dei partecipanti più solitari, magari non per scelta, perché vengono direttamente coinvolti in attività propositive e collettive. Non è quindi un proposito che vuole beneficiare singoli, ma compagnie formate da individui disposti a confrontarsi e che verranno incoraggiati ad instaurare nuove relazioni personali e nuove amicizie. L’organizzazione di tali attività verrà svolta dai volontari dell’associazione adeguatamente formati. pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | giugno 2013 - n. 3

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S O C I E TÀ

Prima uscita di Prodigio con il gruppo A.M.A “Non vedenti e ipovedenti” di Rovereto per una gita culturale e gastronomica

“Turisti al buio” a Predazzo

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l 3 aprile Prodigio ha seguito il gruppo “Non vedenti e ipovedenti” di Rovereto nella gita culturale gastronomica a Predazzo dove quest’ultimo aveva programmato di visitare in anteprima il “Museo della Guardia di Finanza della Scuola Alpina di Predazzo” e di conoscere le attività del Caseificio Sociale Predazzo e Moena. Il gruppo è più o meno lo stesso che ha partecipato all’incontro con l’artista Carbonaro (vedere l’articolo “Sculture al buio”), persone affiatate che condividono gli interessi e le diverse “abilità” che caratterizzano i non vedenti e gli ipovedenti. Visita al museo della Guardia di Finanza Scuola Alpina di Predazzo La prima meta della gita è stata la caserma della Guardia di Finanza Scuola Alpina di Predazzo dove il gruppo ha avuto la possibilità di visitare il museo aperto in via straordinaria solo per i Mondiali di Sci in Val di Fiemme e che è stato ufficialmente inaugurato con l’intervento delle più alte cariche della Finanza in maggio. Ad accogliere la comitiva c’erano il maresciallo Mariano Lollo e due suoi appuntati che hanno fatto da guide per tutta la mattinata. Il maresciallo Lollo ha parlato della caserma la cui costruzione è iniziata nel 1914 per opera degli austriaci in un luogo considerato strategico, lasciata in seguito incompiuta, venne ultimata dal Genio Militare e ceduta alla Regia Guardia di Finanza dopo una breve periodo di appartenenza al corpo dei Bersaglieri. Nell’inverno del 1921, il Generale Giuseppe Ferrari, Ispettore del Corpo, istituì a Passo Rolle il primo corso di addestramento sciistico. Il primo istruttore fu il Tenente Ottavio Berard, Ufficiale degli Alpini. Dopo l’introduzione storica si è incominciato la visita vera e propria della mostra che illustra la storia della caserma. Le nostre guide hanno fatto toccare ai non vedenti molti reperti storici dell’epoca: la punta di una bomba della prima guerra mondiale, alcuni piccoli ordigni senza

dinamite, i fucili italiani e tedeschi, i primi sci fatti in legno con le cinghie in pelle e tanto altro ancora. Durante la visita non sono mancate le curiosità etimologiche, infatti, l’appuntato Tretter ha

Dall’alto: Il gruppo all’entrata della caserma di Predazzo. I partecipanti all’interno del caseificio. Un componente del gruppo non vedente tocca un fucile italiano d’epoca.

rivelato che il nome “cecchino”, con il quale si definiscono tutt’ora i tiratori scelti, deriva dal soprannome di Francesco Giuseppe I d’Asburgo, Cecco Beppe. Venivano chiamati “cecchini” i tiratori scelti austro-ungarici. Le guide sono riuscite a raccontare e esporre in modo “visivamente realistico” tutto quanto non si poteva toccare. Molto bello e da rimarcare è il forte legame che si è creato tra la caserma della Finanza e la popolazione di Predazzo, unione sancita da una piccola bandiera italiana donata dalle donne del posto alla caserma, stendardo che

tutt’ora è esposta con orgoglio e vanto nel museo della caserma. Nell’edificio c’è anche un’area dedicata allo sport praticato in tutte le caserme del territorio italiano che hanno sostenuto e formato atleti nazionali come ad esempio il campione trentino Cristian Zorzi. Il gruppo è stato molto contento della visita; l’unica critica sollevata da uno dei partecipanti è che il tempo a disposizione era troppo poco.

Dopo aver pranzato in compagnia nella mensa della caserma i partecipanti sono andati in centro per bersi un caffè. Visita al Caseificio Sociale Predazzo e Moena Allo stabilimento il responsabile ha accolto i partecipanti e ha illustrato loro brevemente la storia del Caseificio e del “Puzzone”, formaggio molto caratteristico riconoscibile per la crosta umida ricoperta da una patina umidosa, per il quale è stata richiesta la denominazione protetta. Il caseificio è l’unico che produce il “Puzzone” ed è associato con le altre strutture simili trentine e usa il marchio comune di “Formaggi Trentini”. Il responsabile ha accompagnato, quindi, il

gruppo all’interno della struttura per la visita tattile/visiva durante la quale tutti i partecipanti hanno avuto modo di “toccare” le attrezzature utilizzate per la creazione dei formaggi. La guida ci ha illustrato tutte le fasi operative. Ogni sera gli addetti dello stabilimento vanno dai 26 soci a ritirare il latte munto della giornata. Al mattino presto verso le 6 i lavoratori dello stabilimento (casari) calano il latte in un contenitore con il doppio fondo in rame o in acciaio con l’aggiunta del siero cioè del latte del giorno prima per aiutarne la fermentazione. Dopo la pastorizzazione, durante la quale il latte viene riscaldato per ottenere la cagliata, operazione che dura tutta la mattinata, le varie forme vengono messe in appositi teli umidi, inserite nelle fasce di legno e successivamente nelle forme standard definitive in plastica, pressate e messe in ammollo in acqua e sale dove vengono girate periodicamente. L’ultimo passaggio è il deposito delle forme di formaggio consolidate su delle assi di legno in locali ad umidità e temperatura controllata per la stagionatura, che dura al massimo 8 mesi, dove vengono spennellate periodicamente con acqua e sale. La sala di stagionatura può accogliere al massimo 13 mila forme e purtroppo è difficile trasmettere la “visione” dell’immensità delle cataste di formaggi ai non vedenti! Il caseificio ha anche un negozio per la vendita dei formaggi e alla fine della visita abbiamo potuto assaggiare il “Puzzone”. Le impressioni dei partecipanti sono state positive tutti hanno toccando con mano le attrezzature utilizzate per fare il formaggio soprattutto il mega frustino utilizzato per girare la cagliata e le forme di “Puzzone”. Maurizio Franchi

Strumento principale per scoprire nuove sfumature di se stessi e favorire il benessere dell’individuo

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n che modo i “nativi digitali” con disabilità utilizzano i dispositivi tecnologici di largo uso? I nuovi media facilitano o ostacolano l’instaurarsi di relazioni soddisfacenti? Sono queste le domande che hanno sostenuto una borsa di ricerca svoltasi nel 2012 presso Area Onlus, associazione torinese che da trent’anni si occupa di disabilità in età evolutiva (www.areato.org). Obiettivo: non rimanere indietro rispetto al mondo sempre più liquido e digitalizzato in cui si trovano immersi i propri utenti, in questo caso adolescenti e giovani adulti con disabilità intellettiva lieve. La ricerca, con finalità esplorative, si è svolta da settembre 2011 a settembre 2012 coinvolgendo un gruppo di quindici ragazzi. Nel tentativo di ridurre al minimo l’interferenza si è preferito partecipare come osservatori durante le regolari attività ludico-riabilitative a cui i ragazzi partecipano presso Area. I risultati mostrano chiaramente come i “nativi digitali” con disabilità traggano notevoli gratificazioni dall’utilizzo dei più moderni dispositivi tecnologici, soprattutto telefoni cellulari e computer. Tale effetto positivo è riscontrabile nonostante le difficoltà talvolta incontrate durante l’impiego di questi strumenti. Se si escludono alcune disabilità motorie, tali da impedire un uso autonomo della tecnologia (situazione sempre meno frequente, dato lo straordinario progredire delle potenzialità degli ausili hardware e software attualmente a disposizione), i maggiori ostacoli possono essere riferiti soprattutto al livello cognitivo. Il “medium”, il computer ad esempio, rappresenta uno strumento che sta a metà tra i due soggetti della comunicazione (mittente/destinatario) e per questo introduce elementi di confusività, facendo perdere alla comunicazione l’attributo dell’immediatezza

Fra tecnologia e handicap

per chi vi è coinvolto. L’assenza del corpo altrui e la perdita del dato extralinguistico gravano sulle capacità di mentalizzazione che, come è noto, sono spesso compromesse nelle persone con handicap. Un’ulteriore difficoltà è riscontrabile nella produzione di quello che è stato chiamato da alcuni autori un “pensiero zippato”, necessario per poter usufruire di alcuni dispositivi, o ad esempio per inviare un sms. Il dato interessante emerso dalla ricerca è che tutte queste difficoltà “oggettive” non impediscono comunque alle persone con disabilità di avere un rapporto sereno con la tecnologia.

L’insieme delle gratificazioni che derivano dall’utilizzo di dispositivi tecnologici sembrerebbero pertanto svincolate dal buon esito dell’azione strumentale, che permane in molti casi goffa. La ricerca ha sottolineato l’importanza cruciale delle figure genitoriali nel regolare il rapporto tra l’adolescente disabile e la tecnologia. Sarebbero infatti proprio i tentativi della famiglia e dell’adolescente di fronteggiare la disabilità a influire direttamente sulle sue modalità di utilizzo di alcuni mezzi tecnologici. In molti casi, ad esempio, è stato possibile osservare come i genitori siano ricorsi allo stratagemma di fornire ai ragazzi un cellulare privo di credito sufficiente per effettuare chiamate, in modo da poterli rintracciare limitando, nello stesso tempo, la loro possibilità di contattare qualcun altro. Appare chiaro come questo gesto possa essere inserito all’interno di un’intenzione, seppur non pienamente consapevole, di controllo nei confronti del ragazzo. Fornire al figlio un cellulare perché possa essere rintracciato può rassicurare i genitori, mantenendo il figlio nel ruolo di “eterno bambino”, perennemente inadeguato. Questo “guinzaglio telematico”, come viene definito da alcuni autori, potrebbe invece rappresentare per i ragazzi un giusto compromesso. Con il tempo, il mero possesso del computer e del cellulare permetterebbe infatti al ragazzo con disabilità di sperimentare quei rassicuranti vissuti di appartenenza che derivano dalla condivisione della medesima tecnologia con i coetanei, consentendo un rispecchiamento generazionale positivo. Il PC e il cellulare, creando appartenenza, rassicurano e permettono all’adolescente con disabilità di fare esperienze

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autonome anche in campo amoroso. Inoltre protetti dall’anonimato della rete, i ragazzi potrebbero sperimentare parti di sé che con fatica metterebbero in gioco altrimenti. Dalle osservazioni emerge inoltre come il computer e i cellulari consentano al giovane adolescente di affermare la propria appartenenza ad almeno due gruppi: la “piazza virtuale” e la “piazza reale”. La prima è costituita dal gruppo amici virtuali, con i quali si frequentano e si condividono spazi e attività virtuali (amici di Facebook, persone conosciute in chat o sui blog). Tali tipi di amicizie possono non essere coltivate anche nel mondo “reale”. La “piazza reale” invece è costituita dalle persone che si frequentano per condividere la medesima tecnologia, come ad esempio quei ragazzi che si riuniscono per passare interi pomeriggi a giocare ai videogiochi. Non potendo essere gli adolescenti disabili come gli altri, i mezzi tecnologici permettono loro di essere almeno in mezzo agli altri. Il quadro generale che è stato possibile delineare dalla ricerca, seppur non generalizzabile per via dell’esiguità del gruppo, ben evidenzia come l’utilizzo del mezzo non si limiti alla funzione per cui sarebbe stato concepito. La tecnologia viene a rappresentare un supporto fisico per veicolare contenuti emotivi. Tali supporti vivi e vividi vengono ad assumere così una funzione eminentemente relazionale. Quanto emerso dalle osservazioni indica, senza possibilità di equivoci, che l’insieme delle gratificazioni fornite dall’uso dei dispositivi tecnologici, può facilitare, negli adolescenti con disabilità, la costruzione e il mantenimento di relazioni “sufficientemente buone”, in grado di concorrere a un maggiore benessere dell’individuo. Matteo Bessone

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U

Liberare la scuola dalla droga: presentati i risultati del progetto

n progetto sulle dipendenze e gli stili di vita “a rischio” rivolto alle scuole superiori del Trentino, che univa gli aspetti sociali, educativi e di prevenzione a quelli sanitari e terapeutici: questo in sintesi “Liberare la scuola”, nato da un sodalizio tra il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Assessorato alla salute e politiche sociali della Provincia autonoma, iniziato nel maggio 2011 con il coordinamento dall’Associazione Educ@re e sviluppatosi per due anni scolastici consecutivi, coinvolgendo le associazioni di volontariato e le altre agenzie educative attive sul territorio. I risultati sono stati presentati recentemente in un convegno tenutosi presso il Palazzo della Regione a Trento. Unanime il giudizio degli assessori provinciali alla salute e politiche sociali Ugo Rossi e all’istruzione Marta Dalmaso, che hanno aperto i lavori: “Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti e crediamo che questa esperienza abbia prodotto utili indicazioni per il futuro, al fine di rendere sempre più forte il coinvolgimento di ragazzi e famiglie nella prevenzione dall’uso di droghe e nella costruzione di una cultura della legalità, a partire dalla scuola.” Com’è la situazione in Trentino rispetto al problema delle dipendenze? “Il Trentino - ha detto Rossi - è dentro alle dinamiche nazionali e europee e le sue medie non si discostano da quelle generali. Ma non possiamo limitarci ad un approccio numerico, statistico. Quando parliamo di dipendenze parliamo di persone reali, che possiamo conoscere una per una. Non possiamo dunque ridurre tutto ai dati, dobbiamo affrontare con convinzione tanto gli aspetti sociali delle dipendenze quanto quelli di ordine terapeutico, tenendo presente che la formazione dell’individuo e lo sviluppo di relazioni significative con gli altri sono le basi di ogni efficace intervento di prevenzione e anche di ‘rinascita’ rispetto alle dipendenze”. Un progetto che affrontava il problema degli stili di vita “a rischio” a 360°, dunque, questo “Liberare la scuola”“, partendo dalle problematiche di carattere sociale per arrivare agli aspetti sanitari e ai percorsi per la costruzione di una identità equilibrata e responsabile. Tutto questo nella scuola ma anche fuori di essa, nella consapevolezza, come sottolineato dall’assessore Dalmaso, “che la scuola è un mondo a cui oggi si chiede molto, anche a fronte della crisi delle altre realtà a cui i giovani fanno riferimento”, ma anche nella convinzione che l’aula scolastica sia uno dei luoghi privilegiati per lo sviluppo psicosociale dell’individuo. Fra gli interventi che si sono susseguiti nella sala Rosa della Regione, quello di Federico Samaden, già responsabile della Comunità di San Patrignano presso Pergine, e da quattro anni dirigente dell’istituto professionale Alberghiero di Rovereto e Levico. “La scuola non ha più solo la missione di trasferire delle conoscenze - ha detto Samaden - ma ha il compito, molto maggiore, di dare ai ragaz zi degli strumenti di crescita e di maturazione, attraverso quel rap-

porto particolare che si crea fra giovane e adulto. Là dove la relazione si inceppa, si vedono anche gli effetti negativi. Oggi i ragazzi crescono in un mondo fatto prevalentemente di immagini. Sono capaci di stare su più mondi ma spesso in maniera superficiale. Noi dobbiamo aiutarli ad andare un po’ più in profondità”. Rispetto al passato, insomma, le problematicità sono in parte cambiate. Se in precedenza il problema era Edipo, era, simbolicamente, “uccidere il padre”, per crescere ed emanciparsi, ora il problema è piuttosto quello di trovare un adulto

che dia fiducia e permetta al giovane di esprimersi. Non è più centrale, insomma, il momento della ribellione generazionale. Al centro vi è semmai un bisogno di riconoscimento, che spesso la famiglia e la società non riescono a soddisfare. Le dipendenze, a loro volta, sono le vie di fuga rispetto a una realtà percepita come troppo frustrante e problematica. In quest’ottica le droghe non sono un fatto sanitario. Lo diventano in seguito, perché l’uso prolungato di droghe debilita il fisico e crea dipendenza. Ma a monte la questione è sociale, riguarda le relazioni che si creano nei diversi ambienti e contesti in cui il giovane si muove. Da qui il monito: attenzione a non medicalizzare un problema che invece attiene alla relazione. Alessandro Gallo, responsabile del progetto, ne ha riassunto obiettivi, sviluppi e risultati. Si è partiti dai dati noti, in particolare da un’indagine condotta nel periodo 2005-2009, centrata sulle sostanze illegali, da cui era emerso che il 31 per cento dei giovani trentini almeno una volta ha consumato una sostanza illegale. “Siamo nella media nazionale - ha chiosato Gallo - ma già questo dato diceva di un problema tutt’altro che trascurabile”. Senza contare che l’approccio agli stili di vita è più ampio, e tocca ad esempio anche altre sostanze, considerate legali, come l’alcol. “Gli obiettivi che ci eravamo posti - ha detto ancora Gallo - erano la sensibilizzazione sugli stili di vita a rischio, la promozione della legalità e la promozione della partecipazione. Il risultato di questa esperienza, come scaturisce anche dalla valutazione effettuata ex post, è stato molto positivo. Ne hanno beneficiato tutti: gli studenti, i professori, le famiglie, gli operatori sociali. prova ne è che i risultati di questo progetto saranno

pubblicati a breve sulla più importante rivista scientifica italiana dedicata alle dipendenze”.

Scheda:

Il progetto “Libera la scuola: dieci azioni per la promozione di stili di vita sani e responsabili a scuola”, nato da un sodalizio tra il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Assessorato alla salute e politiche sociali della Provincia autonoma di Trento, è iniziato nel maggio 2011 con il coordinamento dall’Associazione Educ@re. Le scuole che hanno aderito nel primo anno di esperienza sono: M. Curie di Levico e Pergine, Alberghiero di Rovereto e Pergine, Degasperi di Borgo Valsugana, Don Milani di Rovereto, Tambosi di Trento, Pilati di Cles, per un totale di 45 classi (15 seconde, 26 terze, 2 quarte superiori). Ad esse si sono aggiunte nell’anno scolastico 2012-13: Istituto professionale Pertini di Trento, Università popolare trentina di Trento, liceo Russel di Cles. Le iniziative proposte durante lo svolgersi di questi quasi due anni scolastici - il progetto era stato pensato originariamente per il solo 2011-12, ma si è deciso in seguito di estenderlo anche all’anno scolastico 2012-13, senza modificare lo stanziamento di risorse originario hanno coinvolto più di un migliaio di giovani delle scuole superiori trentine tra i 14 e i 18 anni con l’obiettivo di promuovere stili di vita sani e responsabili per sé per gli altri. La proposta progettuale si è articolata in tutta una serie di azioni, dal cineforum e dal teatro agli incontri di prevenzione in aula con esperti e di educazione alla legalità, dai corsi di prevenzione anche dalle sostanze non proibite che creano dipendenza, alcol e fumo, fino alla visita alla comunità terapeutica di San Patrignano nei pressi di Pergine. Significativa anche la partecipazione di una parte degli studenti ad un concorso di idee per la creazione di prodotti comunicativi (spot e messaggi promozionali) contro le droghe. Le iniziative hanno visto coinvolte sinergicamente le agenzie educative che, a vario titolo, lavorano con i giovani. La scuola in primo luogo, ma anche le famiglie, le cooperative sociali, le associazioni di volontariato, i professionisti del settore sanitari e sociali. Tre le aree tematiche affrontate: sensibilizzazione degli studenti e degli insegnanti attorno agli stili di vita salutari; promozione della legalità; promozione della partecipazione giovanile, con l’obiettivo finale di stimolare lo studente, in modo diretto e coinvolgente, verso l’acquisizione di uno stile di vita affrancato dal consumo di sostanze psicotrope e stupefacenti e, nello stesso tempo, responsabile dei propri comportamenti e delle conseguenze su se stesso e sugli altri delle azioni che compie. Si è quindi cercato di coniugare prevenzione e promozione in una prospettiva di rafforzamento dei comportamenti solidali, altruistici e delle azioni partecipate. Fra i risultati rimarcabili, una crescita della conoscenza dei problemi causati dalle diverse sostanze stupefacenti e che creano dipendenza, un significativo cambiamento di atteggiamento tanto negli insegnanti quanto di studenti riguardo al consumo di droghe ma anche alle strutture terapeutiche. Cresciuto anche l’outing degli studenti e delle famiglie e parimenti la collaborazione fra le diverse agenzie educative.

Presentato il profilo di salute del Trentino È stato presentato il “Profilo di salute” del Trentino, uno studio approfondito che mette in relazione i dati di natura sanitaria con una analisi che comprende fattori economici, sociali e culturali. I risultati sono stati commentati dall’assessore alla salute e politiche sociali Ugo Rossi, da Erio Ziglio, direttore dell’ufficio europeo per gli investimenti per la salute e lo sviluppo dell’ Organizzazione mondiale della sanità, da Luciano Flor, direttore generale dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari e dai curatori dello studio Pirous Fateh Moghadam, Laura Battisti e Laura Ferrari dell’Osservatorio per la salute del Dipartimento Lavoro e Welfare della Provincia. “La salute - ha commentato l’assessore Rossi - è un argomento che riguarda tutti, non solo chi non ce l’ha; riguarda tutta la comunità in ogni momento. Per questo l’analisi che presentiamo tiene in particolare considerazione i fattori determinanti che incidono sulla salute e che comprendono le situazioni economiche, sociali e culturali delle persone. La scelta, fatta in questa legislatura, di affrontare i temi della salute e del sociale in maniera univoca, in un’ottica di integrazione, si rivela indovinata anche alla luce dei dati riportati dal profilo di salute del Trentino. Al di là dei numeri, che ci vedono comunque in un’ottima posizione rispetto a tante altre realtà europee e mondiali e al di là dei punti da presidiare con ancora maggiore convinzione, mi piace sottolineare che nell’impegno sociale e nel volontariato si individuano elementi che confermano che il nostro territorio può contare su importanti fattori di forza per affrontare il futuro con meno preoccupazioni”. Ecco alcuni dati contenuti nel documento. In Trentino ogni anno muoiono circa 4500 persone. Le malattie cardiovascolari, i tumori, le malattie del sistema respiratorio, quelle del sistema nervoso e i traumatismi sono le principali cause di morte. I tassi di mortalità sono molto bassi da almeno un ventennio e si registra un allungamento dell’aspettativa di vita (7 anni in più rispetto al ‘92 per gli uomini e 4 per le donne). Le quattro malattie con maggiore impatto sulla salute e sulle risorse sanitarie, malattie cardiovascolari, tumori, diabete e malattie respiratorie croniche, hanno in comune questi fattori di rischio: fumo di tabacco, sedentarietà, cattiva alimentazione e consumo di alcol. Gli interventi da mettere in atto non riguardano solo i singoli individui ma anche il contesto di vita e di lavoro. Per quanto riguarda gli stili di vita i trentini, rispetto alla media italiana, fumano di meno, fanno più attività fisica, mangiano più frutta e verdura, hanno meno problemi di peso corporeo. Sul piano sociale i punti di forza rispetto alla media italiana sono rappresentati dall’aver meno problemi sociali e più lavoro, da un reddito maggiore e distribuito in modo più equo, da una buona qualità dell’istruzione e del servizio sanitario, da un ambiente naturale che è una risorsa per la salute. “Tradizionalmente - ha aggiunto Luciano Flor - ci occupiamo molto di malattia e meno di salute. Dobbiamo darci un metodo nuovo in cui la salute non sia un argomento riservato solo al sistema sanitario ma sia fatto proprio da diversi ambiti della nostra società. La salute è infatti, come abbiamo visto, il risultato di una serie di interventi in campi diversi. È innanzi tutto una questione di cultura”. Erio Ziglio ha sottolineato come il Trentino possa confrontarsi senza timore con i paesi europei e mondiali che vantano le situazioni migliori. “Oggi - ha detto - il settore della salute deve essere parte integrante delle politiche di sviluppo locale”.

...IL TRENTINO CHE NON LASCIA SOLO NESSUNO...

foto Archivio Ufficio stampa Pat (AgFBernardinatti; Piero Cavagna; Walter Nicoletti; Romano Magrone).

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO


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RUBRICHE

Un’esperienza tattile condivisa con il gruppo A.M.A “Non vedenti e ipovedenti” di Rovereto

Sculture al buio

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L’ARTISTA

ell’ambito dell’indagine avviata da Prodigio per documentare quello che offre la società in campo sociale, culturale e tecnologico a persone non vedenti o ipovedenti è interessante segnalare una particolare attività culturale nel campo artistico proposta dal gruppo A.M.A “Non vedenti e ipovedenti” di Rovereto. Il 20 marzo, infatti, nel contesto della mostra allestita presso la Biblioteca Civica di Rovereto dal titolo Il corpo giocato e ritrovato, aperta al pubblico fino al 24 marzo, la scultrice Flaminia Carbonaro ha esposto al tatto in esclusiva per il gruppo alcune sue opere dando loro così la possibilità di toccare con mano quest’ultime. Non tutti gli artisti sono disposti a lasciare toccare ad estranei le proprie opere e Carbonaro non si è limitata a lasciarle alla mercé delle mani di estranei ma ha spiegato, molto realisticamente rendendo il tutto percettibilmente visibile, la procedura che lei stessa ha seguito per formare le sue opere d’arte

Da sinistra: Il gruppo presente all’incontro. Scultura baci di dama e la scultura Lampedusa di Flaminia Carbonaro.

Flaminia Carbonaro Siciliana d’origine Flaminia Carbonaro vive a Rovereto, dove lavora come medico specialista. Da suo padre, fotografo di professione, ma anche pittore e scultore-scalpellino, ha ereditato la passione per le arti visive. Nel 1998 inizia a frequentare il gruppo “Quarta Dimensione” di Isera diretto dalla maestra Paola Barlassina Schmitt, coltivando la tecnica del disegno dal vero e partecipando alle esposizioni di Palazzo de Probizer nel 1999, 2000, 2001 e 2002. Dal 2003 al 2010, frequenta i corsi di scultura del Gruppo Arti Visive di Arco sotto la guida del maestro Renato Ischia, partecipando alle collettive del Gruppo presso la galleria Il Transito di Arco. Dal 2011 si divide fra Rovereto e Modica, dove, guidata dalla scultrice Graziella Scivoletto, sta apprendendo la tecnica della ceramica raku. Dal 2012 frequenta il corso di pittura del Gruppo Arti Visive di Arco, sotto la guida del maestro Renato Ischia. Dal 8 al 24 marzo ha esposto la sua mostra dal titolo Il corpo giocato e ritrovato alla Biblioteca Civica di Rovereto.

sia in terracotta che in argilla per poi trasformarne alcune in bronzo. La reazione dei partecipanti è stata positiva: con entusiasmo si sono aiutati a vicenda per capire che cosa rappresentasse e quindi hanno avviato un confronto per vedere attraverso le mani l’opera toccata. Alla fine di ogni esplorazione tattile Carbonaro chiedeva ai partecipanti di descrivere l’opera, stimolando così una discussione molto animata nella quale tutti hanno collaborato in una sorta di visione collettiva. È stato sorprendente verificare direttamente che la percezione tattile dei non vedenti corrispondeva, tranne piccole insignificanti eccezioni, a quella visiva tanto da farmi quasi invidiare questa abilità. Il Gruppo A.M.A “Non vedenti e ipovedenti” di Rovereto Alla fine dell’incontro ho avuto modo di

La conversione delle pene pecuniarie in pene detentive

Una scelta consapevole con informazione, preparazione e sostegno

Il prezzo della libertà

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osa avviene quando una persona non ha i mezzi per pagare una pena pecuniaria derivante da un procedimento penale per il quale è stato condannato? In Italia è previsto che nel caso in cui un soggetto non esegua le pene della multa o dell’ammenda, comminate dalla legge per il compimento di qualunque reato, egli subisca la conversione della pena in libertà controllata. L’istituto della libertà controllata è usato sia come sostituto delle pene detentive brevi, che nei casi di conversione per insolvibilità e prevede una serie di obblighi particolarmente onerosi per il condannato, quali il ritiro del passaporto e il divieto di espatrio, la sospensione della patente di guida, l’obbligo di presentarsi giornalmente presso le forze dell’ordine e la possibilità di recarsi fuori dai confini del comune di residenza solo previa autorizzazione specifica approvata dal Magistrato di Sorveglianza. In Germania la situazione è diversa; infatti il sistema penale tedesco prevede l’applicazione della pena detentiva se non viene adempiuta quella pecuniaria, che solitamente è irrogata in maniera esclusiva, diversamente da ciò che avviene nel nostro ordinamento dove viene accompagnata ad altre pene limitative della libertà. Un sistema come quello germanico sembra voler trattare la libertà come moneta di scambio, accompagnando la conversione di pena a macchinosi procedimenti di calcolo, funzionali all’individuazione del valore della “giornaliera privazione di libertà” del malcapitato, calibrandolo sulle condizioni personali e patrimoniali di quest’ultimo. Scontare una breve quanto spiacevole permanenza all’interno di un istituto di pena a causa dell’impossibilità di pagare una multa è un atto di pura intimidazione verso i cittadini, dove non si può scorgere alcuna funzione rieducativa per il malcapitato, che in carcere ha giusto il tempo per sentirsi solo un po’ più criminale di prima. Fortunatamente anche questo modello ha delle attenuanti, infatti è previsto che la

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pena sostitutiva non venga eseguita se rappresenti un’eccessiva durezza, un onere ingiusto(Unbillige Härte)per il reato commesso in origine. Ma perché lo Stato veste i panni del sequestratore in attesa del riscatto? La funzione di prevenzione è evidente: chi non adempie con il denaro, paga con la libertà. Manca però la funzione di riparazione del danno, in quanto non viene data la possibilità al soggetto di rimediare a suo inadempimento, come invece potrebbe fare con il lavoro sostitutivo previsto anche nel nostro ordinamento. In Italia non è concesso ricorrere alla pena detentiva per sostituire quella pecuniaria; la Corte Costituzionale si è pronunciata a riguardo nel 1979 dichiarando l’illegittimità dell’articolo 136 del nostro codice penale, che prevedeva una soluzione assimilabile al modello tedesco. Obbligare un soggetto ad un periodo di detenzione sostitutivo difficilmente porterà un guadagno allo Stato o alla società, basti pensare ai costi che un detenuto rappresenta per il sistema carcerario e penale. Bisogna poi considerare che in questo modo il carcere viene usato in maniera impropria, in quanto dovrebbe essere uno strumento residuale o comunque atto ad ospitare quei soggetti considerati pericolosi, coloro che si sono macchiati di crimini violenti. La contraddizione più evidente è rappresentata dal fatto che se una persona è stata condannata a multe o ammende, significa che quella era la pena adatta per le loro azioni, invece una pena che verte sulla libertà personale si oppone alla tendenza moderna che mira ad evitare dannose e controproducenti permanenze brevi in carcere. Adottando una simile politica criminale si rischia di monetizzare eccessivamente la nostra vita, mettendo sullo stesso piano il denaro con un bene come la libertà, che non dovrebbe ammettere simili valutazioni economiche. Giulio Thiella

conoscere la storia del gruppo: la sezione A.M.A “Non vedenti e ipovedenti” di Rovereto è nata circa 6 anni fa dall’esigenza di alcune persone con problemi visivi più o meno gravi di incontrarsi, aiutarsi, sostenersi e condividere esperienze e problemi. Per questo A.M.A li ha sostenuti nel loro percorso di formazione/organizzazione. Il gruppo in seguito non solo è diventato più numeroso, ora sono in 15, ma ha anche acquisito una personalità sociale operativa che è attenta al sostegno psicologico-sociale e cerca di aiutare i membri a passare il tempo in modo attivo e interessante, organizzando uscite tematiche sul territorio. Infatti, se inizialmente l’unica spinta emotiva di partecipazione era l’esigenza di superare il trauma della perdita della vista, oggi ogni partecipante si sente parte attiva sia nella scelta delle attività che nella partecipazione alle stesse. Il gruppo lavora insieme anche sul fronte della sensibilizzazione con l’obiettivo di far conoscere le loro problematiche e favorire l’integrazione sociale. Alcuni componenti partecipano a degli incontri nelle scuole per far conoscere la loro esperienza e insieme all’I.Ri.Fo.R (Istituto per la ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) ed organizza cene e concerti al buio per far capire alle persone vedenti le emozioni che provano e le difficoltà che inontrano nel “mondo dei normodotati” le persone cieche. Per maggiori informazioni sulle attività proposte dall’I.Ri.Fo.R potete andare sul sito www.irifor.eu. Maurizio Franchi

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Adozione come opportunità

dozione: istituto giuridico o atto di amore? Strumento che permette ad una coppia di completarsi oppure iter complesso? Affrontando un tema così delicato questi, e molti altri, sono gli aspetti da tenere in considerazione. Dal punto di vista giuridico la normativa in proposito è stata affinata notevolmente negli ultimi vent’anni, mettendo in primo piano il diritto alla famiglia di ciascun bambino. La Convenzione de l’Aja, siglata il 29 maggio 1993, rappresenta in tal senso uno spartiacque fondamentale in materia di adozione, con riferimento particolare a quella internazionale; costituisce infatti la base istitutiva sulla quale si fonda il corpus normativo in materia di adozione e cooperazione internazionale, volto a tutelare in primis i diritti del minore, riconoscendoli come superiori, e anche quelli della famiglia adottante. Nel medesimo lasso di tempo ci sono stati cambiamenti significativi a livello sociale talmente profondi da mettere in discussione il concetto tradizionale di famiglia. Il dibattito concernente la stessa e le tematiche ad essa connesse è sempre aperto, molto spesso acceso; ci si interroga su quale possa essere innanzi tutto una definizione attuale del nucleo famigliare. Tale problematica si è inserita anche in ambito di adozioni in quanto si è presentata, ed è tutt’ora in discussione anche in Italia, la richiesta di coppie conviventi, eterosessuali ed omosessuali, di adottare un bambino. In altri paesi la questione è già stata affrontata e, in alcuni, risolta. Molte sono le preoccupazioni e i timori che spesso provano le coppie che intraprendono questo percorso per diventare genitori. Possono sussistere per il soggetto adottato delle difficoltà di inserimento nel nuovo contesto sociale e famigliare, indipendentemente da quanto questo sia valido, soprattutto se si tratta di un bambino in età scolare con una già formata cognizione del proprio ambiente di origine. Un’altra paura ricorrente dei potenziali genitori

potrebbe essere quella di riuscire ad incidere meno nel processo formativo del proprio figlio adottivo rispetto a quello di uno naturale, dovendo confrontarsi con un background pregresso comunque imprescindibile. Preoccupazioni del tutto legittime vista la portata di una scelta di questo tipo. Tuttavia ciò non deve scoraggiare dal sostenerla poiché, una volta ponderata, ha il fine nobile di dare una famiglia ad un bambino già esistente, con tutto ciò che questo comporta: amore, educazione, istruzione, possibilità di sviluppo completo del soggetto in questione. Inoltre il rapporto tra genitori e figli, uno dei più importanti nella vita di ognuno, non si esaurisce ovviamente analizzando parametri ereditari. Non solo: non ci sarebbero evidenze scientifiche volte ad attestare la trasmissione genetica dei caratteri comportamentali, come testimoniano le dichiarazioni del Prof. Renato Dulbecco, Premio Nobel per la medicina nel 1975. Ricercatore eccelso in microbiologia recentemente scomparso, durante un’intervista rilasciata a Corrado Guzzanti sosteneva: “Non esiste una trasmissione di caratteri comportamentali. Non nego che possa passare qualche frammento genetico. Ma diversamente da quel che si crede sono briciole. [...] Se Bach avesse adottato un trovatello questi avrebbe potuto sviluppare una musicalità nettamente superiore alla media.” La nascita di un bambino è sempre un evento lieto, o così dovrebbe essere. Rispetto ad altre strade percorribili per diventare genitori l’adozione annovera un plusvalore, quello di regalare una chance ad un minore in difficoltà che a sua volta donerà la propria infanzia e oltre ad una coppia, facendo di questa due genitori. In tal senso può essere letta, e soprattutto vissuta, come opportunità di fare coesistere due diritti fondamentali: quello di due persone che si amano ad avere un figlio e quello di un bambino ad avere una famiglia che si prenda cura di lui. Pryia Castrini

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S O C I E TÀ

L’angolo del filosofo

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Sull’Amore

l treno aiuta a scrivere. Almeno nel caso mio. Lunedì scorso tornavo a Trento in treno e, guardando distrattamente fuori dal finestrino, li ho visti. Ho visto loro. In due ad aspettare un treno: lei con lui e lui con lei. Lei con lunghi capelli color mogano chiaro, una pelle bianco latte e lentiggini sulla punta del naso. Seduta per terra a gambe incrociate, catturava la luce del sole mentre alzava gli occhi scuri per controllare l’arrivo del treno. Seduto accanto a lei, camicia di jeans, lui la osservava intento, avvolgendola in uno sguardo d’amore. Occhi d’un azzurro carico spiccavano sul suo volto abbronzato. Seduti vicini lì per terra, sembravano aspettare in un silenzio denso di promesse. Accanto a loro, due borsoni dall’aria molto usata. Assieme, ho pensato, affronteranno qualsiasi cosa. Assieme andranno ovunque vorranno andare. Assieme saranno invincibili, nulla potrà toccarli. Il treno arriva. Un sorriso radioso sboccia sul viso di lei e, di riflesso, su quello di lui. Con trepidazione, si scambiano un dolcissimo bacio sulle labbra. Ce la faranno, ho pensato. Hanno Amore dalla loro. Ma se amare è un’arte, come possiamo imparare ad amare? Io sono in grado di amare? E l’amore, poi, può essere comandato? Di sicuro appartiene al nostro essere, intrinsecamente ne è parte costitutiva, proprio come il respiro. Dunque, perché comandare l’amore? A volte noto una sorta di omologazione dell’amore in modelli standard. Probabilmente bisogna reinserirlo in un passato, legarlo ad un presente e alla possibilità di un futuro. Spazio d’amore, però, significa anche spazio di libertà, e non sempre è corrisposto: questo è l’enigma più grande. Senza libertà non c’è amore. Forse allora per amare bisogna svuotarsi un po’ dalle proprie certezze e accettare il rischio di vedere l’altro andare via triste, accettare la sua libertà. Nel nostro orizzonte tecnologico, oggi, le relazioni sembrano acquistare un profilo più minimalista, distruggendosi un poco: rischiamo, a volte, di sostituire le persone reali con quelle virtuali. Non c’è nulla, però, che possa uccidere l’Amore quanto farci un’immagine fissa dell’altro: per mettere in moto le relazioni la ricetta magica è allora restituire la mobilità di sguardo. Diceva Freud ne Il disagio della civiltà: «L’invocazione “Amerai il prossimo tuo come te stesso” è uno dei precetti fondamentali della vita civilizzata [...] Se amo qualcuno, quel qualcuno deve in qualche modo meritarlo. Lo merita se mi assomiglia in modo da consentirmi di amare me stesso in lui, o in lei, e ancora di più se è così perfetto/a da consentirmi di amare in lui/lei l’ideale di me stesso.» L’accettazione del precetto di amare è l’atto di nascita dell’umanità ed è un balzo terribilmente difficile, con il quale l’uomo si contrappone alla natura. Quello che amiamo quando amiamo è allora la speranza di essere amati? Scopriremo che, riguardando la nostra vita, i momenti più degni di nota sono stati quelli in cui abbiamo fatto le cose con un anelito d’amore? L’amore è comprensione, confidenza, condivisione, perdono, lealtà. L’amore è contento del presente, spera per il futuro e non si preoccupa del passato. È fatto di compromessi, piccole delusioni, vittorie e mete comuni. Se non c’è, qualsiasi cosa tu abbia non sarà sufficiente. Non è trovando una persona perfetta che impariamo ad amare, ma imparando a vedere la perfezione in una persona imperfetta. Soli. Terribilmente e follemente... soli. Nessuno attorno a te. Vuoto. Silenzio. Abisso insondato ed insondabile. Paura, tensione, ira. Rabbia verso il mondo. Insicurezza dilagante. Crisi crescente. Bambino fra grandi incomprensibili. Giovane fra estranei indifferenti. Sensazione di nausea. Nullificazione. Annientamento. Nichilismo. Così ci si sente quando Amore manca dal nostro orizzonte di senso. Sara Caon

La pesca intensiva alle sardine

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del 28 settembre scorso il rapporto di Greenpeace “Blu gold in Italy” dove si analizza la vicenda del collasso del più comune pesce azzurro, nell’Adriatico settentrionale,la sardina. Ne esplora le cause e rileva aspetti preoccupanti della gestione delle risorse ittiche in Italia. L’inchiesta si focalizza su Chioggia che, insieme al vicino porto di Pila di Porto Tolle, è uno dei porti più importanti in Italia e tra i primi nel Mediterraneo per la pesca di pesce azzurro. Qui, la cattiva gestione delle risorse ittiche ha innescato un circolo vizioso che sta condannando acciughe e sardine al declino. Ma la storia che vi voglio riportare seppur con il medesimo oggetto e seppur ci riguardi più di quanto possiate immaginare si svolge a più di 3000 km di distanza dall’Italia, precisamente a Safì, in Marocco. Un tempo prima città lavoratrice ed esportatrice di pesce azzurro in Europa. Situata sulle coste atlantico- occidentali del Marocco, questa cittadina, poco conosciuta dai più, l’ho raggiunta per caso dal mare lungo la rotta per la traversata atlantica. Si staglia alle pendici di una costa rocciosa visibilmente erosa dalla forza dell’Oceano e il suo porto è protetto da un imponente muraglione artificiale, unica difesa dalle immense onde e dalle forti correnti. Il suo porto è diviso in una zona commerciale relativamente recente che ospita le grandi navi cargo provenienti da Europa, centro e sud America e una parte più antica dove si trovano più di 2000 imbarcazioni da pesca di varie dimensioni. Negli anni ‘80-’90 costituiva un avamposto commerciale strategico per gli Stati Uniti che qui giungevano con navi cariche di mais e sementi che, una volta depositati in enormi silos, venivano distribuiti in tutto il Centro Africa. Per intenderci erano le famose sementi dei programmi di aiuto promossi da organi internazionali come la Food and Agricolture Organisation, la FAO, che dovevano servire a incentivare un’agricoltura sostenibile nei paesi africani in via di sviluppo. Peccato fossero sementi sterili e non riproducibili, di fatto una truffa a livello internazionale di cui si è detto ancora poco. Negli anni le priorità sono cambiate, i silos sono rimasti in stato di abbandono divenendo dimora per migliaia di topi e si è espanso il business della pesca, in particolare alla sardina e acciuga. Come mi ha riferito un nostro amico e commerciante di pesce nato e cresciuto in questa terra di confine, se negli anni ‘90 si fosse potuto sbirciare idealmente dietro l’etichetta di una qualsiasi scatola di acciughe comprata in Italia, Francia o Spagna, si sarebbe scoperta la sua reale provenienza: certamente dalle fabbriche di lavorazione del pesce di Safì. Se fino ai primi anni del 2000 ci si recava a sud della città, era possibile percorrere più di mezz’ora di macchina in una strada affollata e circondata da un numero sterminato di piccole, medie o grandi aziende di lavorazione e confezionamento del pesce appena pescato, e che costituiva la base di partenza del più grande mercato di esportazione verso tutta Europa. Vi lavorava il 90% della popolazione di Safì, le donne in fabbrica e gli uomini in mare sui pescherecci e nella filiera distributiva. Motivo di grande orgoglio per tutti, visto che transitavano migliaia di tonnellate di pescato al giorno, oggi questo grande complesso ha fatto la fine dei grandi silos di cui sopra, cioè in totale abbandono, lasciando senza lavoro centinaia di persone. Safì si è infatti riconvertita in città industriale, in particolare qui è presente il più grande complesso chimico planetario per la produzione di acido solforico, indispensabile in molti processi produttivi. Le navi arrivano da tutto il mondo, scaricano enormi quantità di zolfo grezzo che, con lunghi treni, viene portato al di là delle vecchie fabbriche di ac-

Oceano silenzioso

ciughe, dove ora sorgono enormi ciminiere, con alla base intricati e complessi sistemi di tubazione zincata, come enormi alambicchi. Si ha proprio l’impressione di essere in un gigantesco laboratorio chimico affacciato sul mare. Come potete immaginare forse era meglio l’odore del pesce... Nonostante la riconversione industriale però la pesca continua e ogni settimana centinaia di pescherecci superano il muraglione del porto di Safì e vi tornano con la stiva carica di questo prezioso oro blu di cui l’Atlantico orientale sembra, per ora, conservarne grandi quantità.

Dall’alto: la nostra barca e l’imponente muraglia del porto. Vecchi silos e peschereccio a confronto. Porto commerciale di Safì. Silos di 50 metri. Sardine factory logo.

Se è vero che il Mar Mediterraneo è senza pesce, è altrettanto vero che questa situazione era già palese quasi 20 anni fa, quando cioè i danni di una pesca indiscriminata e le concessioni date a paesi terzi come Giappone e Danimarca facevano si che buona parte del pesce azzurro che capitava sulle nostre tavole provenisse proprio dalle coste atlantiche del Marocco. Ciò che sta succedendo in Marocco e che coincide con la nostra esperienza nazionale pregressa, è l’apertura di questo mercato ad attori stranieri, Russi e Cinesi in questo caso, che giungono con gradi navi cargo dotate di enormi celle frigo

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e che appena fuori dalle 12 miglia della acque Rapporto Greenpeace territoriali acquistano a prezzi da strozzinaggio il pescato che i marocchini non hanno più la possibilità di lavorare a causa di politiche statali scoraggianti. Il risultato è la presenza di vere e proprie fabbriche galleggianti straniere che stanno contribuendo a perpetrare una razzia spietata, non regolamentata e forse spalleggiata dallo stesso governo che spera di ricavare da questi rapporti commerciali qualche beneficio indiretto. E intanto, come sempre, sono le risorse naturali a pagarne il prezzo peggiore. Infatti la sardina e l’acciuga costituiscono la base nella scala alimentare per molti altri pesci come tonni, cetacei di grosse dimensioni e delfini, già minacciati da fattori come l’inquinamento e a loro volta la pesca indiscriminata come nel caso eclatante del tonno, appunto. Per la cronaca sono almeno quattro anni che mi rifiuto di comprare o consumare tonno in scatola da quando ho saputo i metodi di pesca invasiva, con relativo approfondimento sulla lavorazione e distribuzione. Consiglio di informarvi a riguardo. Finché il commercio era gestito in toto dai pescatori e commercianti marocchini vi era una certa attenzione legata al non pescare troppo, o almeno evitare i periodi di riproduzione del pesce. Ora le richieste di pesce azzurro a livello Europeo e Asiatico sono aumentate esponenzialmente e, visto che il Mediterraneo non è più in grado di soddisfarle, molti Paesi hanno pensato di venire a fare affari qui, in Marocco. Qualsiasi periodo dell’anno va bene e, nell’ottica costi-benefici, il tempo è denaro: maggiore è la quantità che ognuno riesce a soddisfare meglio è. D’altronde per i pescatori marocchini non ci sono alternative, o pescano e vendono il pesce direttamente agli stranieri o fanno la fame. Il diritto internazionale nella sua declinazione sul “diritto del mare” potrebbe risolvere la questione e fornire delle risposte univoche, soprattutto grazie a strumenti di intervento come le decisioni della International Court of Justice (ICJ). In passato ha già dimostrato il suo valore prendendo posizione in due casi “Salmon an Herring “ del 1988 e dieci anni dopo “Shrimp and Turtle “, nei quali è stato riconosciuto l’indebito sacrificio di risorse naturali a dispetto di interessi economici. Peccato che l’efficacia della stessa Corte sia limitata, come cita pure l’art. 59 del suo statuto, ad una decisione valida per i soli soggetti parte del procedimento. Come dire che ogni caso è diverso, la tutela delle sardine ipoteticamente decisa in Mediterraneo non potrebbe essere valida in futuro per le sardine atlantiche poiché bisognerebbe instaurare nuovo e diverso procedimento. Che si parli di tutela dei salmoni, delle tartarughe o delle sardine, sempre di tutela ambientale si parla. Una tutela oggi più che mai imprescindibile, che non si lega più a ideali di pochi ambientalisti, ma investe la vita e l’esistenza di tutti noi. Cresciamo in una realtà dove ci insegnano a vedere il mondo come una risorsa da sfruttare, talvolta da sprecare in nome di un benessere che risulta poi essere fittizio e che di solito va ad arricchire un meccanismo suicida governato da pochi individui che hanno un solo scopo: fare profitto senza dare nulla in cambio. La strada c’è, ed è quella di ridare valore alle tradizioni locali, nel caso in esame ridare la possibilità ai pescatori di Safì, con sovvenzioni governative, di seguire tutta la filiera di produzione: dalla pesca alla distribuzione, fissando paletti temporali e quantitativi che permettano nel lungo periodo uno sfruttamento il più possibile sostenibile delle risorse ittiche, variando anche le tecniche di pesca, preservando le tradizioni locali e garantendo un futuro certo a tanti lavoratori che dovranno imparare a vedere l’ambiente come un figlio da curare e non come un grosso supermercato da razziare. Lorenzo Pupi

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I N T R AT T E N I M E N T O

Un percorso medievale per cercare le radici della solidarietà negli xenodochi

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La solidarietà in Trentino: un’ipotesi storica lunga un millennio

he il territorio trentino sia una regione di transito non è una novità: geograficamente mediano tra la penisola italiana e il territorio europeo, per secoli è stato la cerniera che collegava culture, ideologie, merci e persone. Nonostante queste forti connessioni con l’esterno, i caratteri aspri della montagna, secondo il positivismo determinista ottocentesco, avrebbero influenzato anche i suoi abitanti rendendoli “orsi”: riservati, asociali, schivi. Una smentita storica, o un ridimensionamento, potrebbe arrivare da testimonianze passate: l’impronta culturale favorevole all’assistenza e al reciproco aiuto, che ancora oggi caratterizza molti abitanti di questa terra, sembrerebbe retaggio derivante direttamente da un nostro passato non troppo recente. Non è una novità ricordare come il Trentino sia all’avanguardia nell’ambito della solidarietà e quanto la popolazione si prodighi sia nei confronti di connazionali colpiti da sventure sia nei riguardi di emergenze internazionali; la solidarietà si manifesta solitamente con un attivo sentimento d’empatia che porta al sostegno economico e assistenziale di chi si trova in difficoltà. Non solo impressioni... Dati alla mano Il Trentino rimane un unicum a livello nazionale: condizione avvalorata da una recente indagine ISTAT che evidenzia come il 27,8% della popolazione locale, dai 14 anni compiuti dall’anno 2010, è coinvolta in esperienze di volontariato e attività sociali. Più del doppio della media nazionale! L’ambito sanitario, il corpo dei vigili del fuoco, e il settore assistenziale rimangono i più quotati. Leggendo il rapporto della “Mappa del Volontariato Trentino 2011” le statistiche raccontano che la quota di partecipanti sfiora il 7%: si parla di 37.000 persone su un totale di 530.000 abitanti. Tutto merito dei tempi recenti? Forse guardando quasi un millennio addietro qualche segno, qualche indizio che sveli quest’impronta comportamentale già è leggibile. Xenodochi: laici e clericali assieme per i viandanti Nel breve excursus storico che si propone è da ricordare che Trento non ha niente a che vedere con le laiche esperienze comunali che hanno caratterizzato le più importanti città dell’Italia centro settentrionale a partire dal XI secolo: l’impronta clericale è sempre stata marcata, basti citare il forte stampo benedettino di molte istituzioni che sorsero sulle principali vie di transito del Nord Est. In pieno medioevo il territorio trentino vantava pregiati esempi di monachesimo benedettino, si pensi ad esempio al monastero di San Candido, fondato verso la fine del VIII secolo in Alta Pusteria, quello di San Giovanni a Müstai in Val Monastero,

ora in Svizzera; o ancora nel XI secolo venne eretto il Castello Badia, vicino a Brunico, comunità femminile. Infine è da citare l’abbazia benedettina di Monte Maria, fondata in Engadina nel 1146. Oltre alla presenza significativa delle congregazioni dell’Ordine di San Benedetto, che si manifestava non in città ma sulle principali arterie di collegamento (questo era il criterio che permetteva il sorgere di tali fondazione: elemento preponderante per il controllo diretto del territorio), la zona vantava di esperienze assistenziali Xenodochi alternative: furono istituite medievali interpretati per soddisfare la volontà da Manuel Midolo della chiesa riformata di controllare in maniera diretta la mobilità, ponendo particolare attenzione ai principali nodi di traffico. Sorsero dunque su tutto il territorio istituzioni monastico-ospedaliere. Quest’ultima definizione potrebbe però ingannare: xenodochi si ritiene sia la denominazione più aderente per questi luoghi di appoggio e ricovero gratuito per pellegrini e viandanti (dal latino Xenodòchium, dal greco Xenodocheion da Xènos ospite e Docheion ricettacolo). Presenti un po’ovunque, dal centro città alle rupi più impervie, sopperivano alla necessità di accogliere stranieri e offrire loro ricovero, ma senza assumere funzioni ospedaliere. Qualsiasi istituto religioso poteva proporne la fondazione: durante il XII e XIII secolo ne sorsero molti rispondendo a logiche locali. Si trattava di fondazioni benefiche collegate a centri religiosi dove vi lavoravano confraternite di laici: sia donne che uomini motivati, mossi da carità. Quest’ultimo è tra gli aspetti più originali della struttura: l’ospitalità non era offerta solo dagli appartenenti al clero ma, secondo i dettami evangelici, tale compito lo potevano svolgere anche i laici. Aiutavano negli xenodochi sia nelle vesti di coniugi che singoli, quindi sia uomini che donne che si mettevano al lavoro a diretto contatto con i pellegrini e viaggiatori. Lo studioso Walter Schneider ha contato un centinaio di queste fondazioni, quasi la metà in città e il resto dislocato nelle valli, presenti non contemporaneamente e disposte sul territorio in maniera capillare, luoghi non di cura, ma di ospitalità. Parallelamente c’erano ospedali e strutture sanitarie specifiche, come i lazzaretti dedicati ai lebbrosi, i sanatori e le terme. Ma il dato più interessante sembrerebbe proprio essere la presenza omogenea di questi xenodochi che, graziando l’autrice di una forzatura storicainterpretativa e trattando, quindi, tutto ciò come un’ipotesi di lavoro, potrebbero essere letti come precursori dell’attuale rete di solidarietà per cui la regione alpina s’è spesso distinta. Monica Miori

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La massima autorità spirituale del Buddhismo tibetano e l’abbraccio di 3500 trentini

Il Dalai Lama a Trento

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volte un incontro e l’ascolto di alcune parole possono cambiare o condizionare la giornata o addirittura scatenare una riflessione che curi aspetti che prima non erano stati considerati. Questo succede quando una guida spirituale o un forte capo carismatico ti invita a guardare oltre o a cambiare la direzione del tuo campo visivo per ampliare la probabilità di centrare un bersaglio chiamato felicità. Colui che ha indirizzato gli uomini alla meta che sperano di raggiungere è il Dalai Lama che l’11 aprile ha incontrato la città di Trento. L’evento pubblicizzato e atteso si è tenuto al Palatrento, struttura che ospita grandi personaggi come sua Santità. Dopo un lungo tempo di attesa il Dalai Lama è stato accolto in un clima di meditazione e di speranza. Una volta uscito dalla massa di persone che lo proteggevano, vista l’importanza della persona, egli ha incominciato a proferire parole che sono state ascoltate in assoluto silenzio per recepirne a pieno il significato. Tibet: un genocidio culturale in corso. Il governo di Pechino calpesta la dignità umana Prima di raccontare il suo pensiero e quindi la sua filosofia di vita sua Santità ha voluto diffondere delle notizie che riguardano la sua terra, ossia il Tibet. Questo territorio è poco conosciuto e per questo non vengono menzionate le catastrofi e le ingiustizie che tutt’ora avvengono. Pochi sanno che il Tibet è presieduto dalla dittatura Cinese che impedisce alla popolazione di vivere liberamente e di esprimere il proprio pensiero e il proprio culto. Ai tibetani, per questo motivo, è severamente proibito pregare in nome del Dalai Lama, esporre nelle abitazioni o in luoghi di culto le sue foto e nominare il suo nome. Se tutto ciò avvenisse la pena sarebbe la morte. Queste proibizioni sono imposte anche ai monasteri tibetani, che sono espressamente fonte di preghiera e di formazione spirituale. Molti monasteri sono stati distrutti e molti monaci uccisi proprio per aver disobbedito alle regole della dittatura. La richiesta che ha fatto il Dalai Lama concerne l’unità e la solidarietà di tutte le popolazioni nei confronti della sua popolazione perché si sta diffondendo un fenomeno assai preoccupante tra gli abitanti: l’autoimmolazione. Per contrastare e per ribellarsi all’occupazione cinese giovani, donne e uomini protestano nei centri abitati offrendo alla gente uno spettacolo raccapricciante. Questi soggetti si danno fuoco per far sentire la loro parola e il loro malessere alle autorità cinesi. Molto spesso le persone autoimmolate non decedono subito, ma a distanza di mesi dopo una lunga e sofferente agonia. Sua Santità ha voluto portare alla luce questi aspetti che vengono nascosti e taciuti, che non permettono di esprimere il diritto più importante dell’esistenza di un uomo come quello della libertà. Il Dalai Lama si è auto-definito un rifugiato nella sua terra per la condizione di pericolo che tutt’ora vive. Nonostante ciò egli continua, e dichiara che continuerà, a diffondere il suo culto e tutta la sua speranza per il cambiamento non solo del Tibet, ma del mondo intero. L’assunzione della guida del paese Da giovane non era interessato alla ricerca interiore e, come un ragazzo “normale”, non amava tanto studiare ma lo faceva per il timore che nutriva verso i suoi tutori. All’età di 16 anni la sua vita, però, fu totalmente travolta da un evento fondamentale per quello che sarebbe stato il suo cammino: egli assunse la guida del Paese. Quell’evento significò il punto di partenza di una strada tortuosa che percorre ancora

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oggi. Dal 1954, grazie all’incarico ricoperto, incominciò ad confrontarsi con illustri cariche politiche e spirituali che influenzarono quello che era il pensiero del giovane Dalai Lama. Nel 1959 venne definito un rifugiato ed iniziò da questo momento l’esilio vero e proprio. La situazione difficile non gli impedì di proporre la sua filosofia che è possibile definire come “la cura dell’anima”, in

Il Dalai Lama Tenzin Gyatso tra le autorità locali al PalaTrento.

quanto è in grado di generare la felicità. “La sorgente della felicità è il buon cuore” Questa filosofia coinvolge la sinergia dell’anima con la consapevolezza della mente. “La sorgente ultima della pace” sostiene a gran voce il Dalai Lama “È dentro ad ognuno di noi e li c’è quella potenzialità che abbiamo, che dobbiamo toccare e che dobbiamo usare. Il vero pericolo è quello di perdere la compassione dell’altro anche verso il nemico. Ecco come questa attitudine, nonostante le situazioni traumatiche e invalicabili, riesce a mantenere la pace mentale avendo come risultato la felicità”. Queste parole pronunciate con grande fiducia insegnano che la nostra mente può essere educata alla compassione e alla comprensione verso il prossimo. Ascoltandolo sorgono spontaneamente delle domande sulle modalità con cui il Dalai Lama mantenga questo stato di continua pace interiore. Ebbene, dal pubblico è sopraggiunta una domanda, rivolta a Sua Santità, che chiedeva proprio com’è possibile che sia sempre presente un sentimento di felicità e di fiducia che caratterizza la sua vita. A questo punto la risposta è stata diretta e toccante: “Nella vita di ogni umano sono presenti momenti tristi dettati da problemi che possono sembrare irrisolvibili, ma proprio a questo punto entra in gioco la forza della mente. Ogni problema può essere visto da due prospettive: la prima è vedere il problema come qualcosa che non si può cambiare e quindi bisogna accettarlo così com’è e proprio per questo soffrire per una cosa che non si può cambiare è insensato. La seconda è vedere il problema e, se c’è la possibilità di cambiarlo, agire su di esso per trasformalo a nostro favore, godendo del suo valore più positivo”. Vedere i problemi e le difficoltà in questo modo suscita un sentimento di pace che in entrambi i casi provoca un benessere piacevole, in quanto intristirsi o incupirsi non è opportuno, e tutto questo provocherà beneficio alla mente e all’anima”. Queste parole insegnano come a volte le difficoltà siano create dallo stesso essere umano e, se vengono viste da altre prospettive, non sono altro che un divertente gioco che è in grado di promuovere sentimenti che altrimenti non sarebbero conosciuti. Eleonora Fraulini


PA SSAT E M P O

Toglie il fiato... vertigine... soffocamento. Sono le tappe per ricominciare. Un libro di Lorenzo Amurri, edizioni Fandango Libri.

Il film. “Il comunista che mangiava i bambini...”

Un grave incidente per la rinascita: “Apnea”

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omanzo autobiografico di Lorenzo Amurri, incentra il racconto sulle sue vicissitudini che l’autore si trova costretto ad affrontare in seguito ad un incidente che l’ha reso tetraplegico. Scritto in prima persona, accompagna il lettore a misurarsi con i problemi medici rendendolo partecipe della degenza in ospedale, costringendolo anche a misurarsi con la sfera affettiva familiare, con il mondo degli amici ed infine con la fidanzata in questo suo tortuoso percorso nel tentativo di “tornare al mondo”. Il finale è inaspettato, molto toccante. Vengono trattati temi quali la mancanza, i bisogni, le incomprensioni create, il sentirsi inutili e fuori luogo in determinate situazioni, i legami profondi sempre presenti e la loro mutazione. Ciò che prende in contropiede il lettore è

proprio il fuoriuscire di una forza improvvisa nel protagonista al termine del racconto. È la recensione dell’esistenza di una persona qualunque che viene trasformata, in un secondo, dagli avvenimenti della vita; con una perpetua lotta si susseguono traversie, disagi fisici, mentali ed emozionali. Si tratta di una continua presa di coscienza del proprio essere, fisico e mentale, costruttiva e in cerca di nuovi stimoli per affrontare il procedere della vita. Il titolo del romanzo è una metafora a quella lunga, quasi interminabile, apnea che precede la sua risalita verso il voler proseguire a vivere, a respirare, il tornare a quella vita che lui pretende e infine ottiene. Monica Baldo Copertina del romanzo Apnea di Lorenzo Amurri.

Cromoterapia

I colori possono guarire?

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Cercasi volontari

n questo spazio simil-scientifico sul colore e le sue sfaccettature mi pare opportuno trattare un suo aspetto per così dire medico: “la cromoterapia”. Per cromoterapia si intende la trattamento che cerca di curare i disturbi di varia entità utilizzando i colori e si inserisce tra le terapie alternative, a supporto delle cure tradizionali e a volte anche più invasive. In questa medicina, non avvalorata da prove scientifiche, i colori hanno un ruolo essenziale e sono utilizzati per far ritrovare al paziente armonia ed equilibrio nello corpo e nello spirito. Accenni storici Questa pratica esisteva anche nel passato basti pensare che gli antichi romani e egiziani praticavano già l’elioterapia basata sull’esposizione ai raggi solari, elemento essenziale per la formazione del colore, alla quale si associava un potere antidepressivo, per curare i più svariati disturbi. Anche nell’antica Grecia, in Cina e in India i colori venivano associati a parti del corpo e alle loro funzionalità e considerati elementi fondamentali collegati ai fluidi del corpo (rosso = sangue, blu = coagulazione del sangue, giallo=bile, nero=milza) spesso legati ai colori della natura (sole=giallo, terra=marrone, cielo/mare=blu) il tutto porta a dedurre che la cromoterapia era praticata in modo più o meno diffuso per la cura delle malattie. Cromoterapia moderna Anche nella moderna cromoterapia i colori sono associati a proprietà particolari. La versione attuale di questa medicina alternativa non si discosta molto dal passato: questo porta alla conclusione che la terapia dei colori ha mantenuto invariate nel tempo le linee di pensiero suscitando ancora oggi molto interesse. Entriamo nel vivo dell’argomento andando a vedere più in dettaglio quali patologie possono essere curate dalle quattro gradazioni chiave (giallo, rosso, blu e verde) secondo i seguaci di questa terapia. Giallo: associato alla corteccia, adibita al pensiero e alla coscienza, favorisce la concentrazione quando si studia ma sembra infondere anche felicità, gioia e

protezione; Rosso: simbolo del fuoco, della forza e della passione è utilizzato contro bruciature ed erezioni cutanee. Esso può essere utile per combattere la depressione, l’asma, la tosse e l’impotenza; Blu: si contrappone al rosso e porta calma e tranquillità. È utilizzato nella cromoterapia come antistress e contro l’ansia e l’insonnia. Si considerano perfino le sfumature del blu per alleviare certe condizioni: l’indaco per la cataratta e il celeste per dare sollievo agli occhi; Verde: simbolo dell’armonia, della natura, dell’equilibrio e della speranza sembra agire a livello nervoso e quindi viene utilizzato dai cromoterapisti contro le emicranie e le patologie legate ai nervi. Esso, infine, contribuisce a diffondere calma e armonia. Queste gradazioni cromatiche possono essere assorbite dal corpo in vario modo: attraverso l’irradiazione del pigmento prescelto, la tonalità delle pareti circostanti, l’assunzione del cibo ma anche attraverso i vestiti o i massaggi con oli colorati. La tecnica più diffusa, però, è quella ad irradiazione luminosa che secondo i cromoterapisti è una delle tecniche maggiormente efficaci. Questa pratica servirebbe, ipoteticamente, per migliorare le funzionalità biologiche delle cellule. Ciò che spinge i “convinti” a praticare questa prassi astratta è l’aspetto consequenziale:

Attenzione attenzione: volontari cercasi. Abiti a Trento, o lontano da qui ma conosci comunque l’Associazione Prodigio? È proprio te che stiamo cercando! Se decidi di essere dei nostri, avrai la possibilità di: scrivere articoli per il nostro bimestrale, anche seduto comodamente sul tuo divano di casa; accompagnare i disabili dell’Associazione agli incontri nelle scuole, conferenze, tavole rotonde, convegni; collaborare

le irradiazioni luminose non possono creare effetti collaterali pericolosi come quelli determinati dai farmaci, in quanto la luce e i colori riuscirebbero solo a modulare la psiche, esplicando l’azione proprio nello stato emotivo. Così, il benessere fisico e psichico sono lo specchio dell’equilibrio e dell’armonia interiore. Dal punto di vista scientifico Secondo gli scienziati tale pratica risulta inefficace dato che non esiste nessuna prova dimostrabile o dimostrata che questa terapia funzioni. Anche se ci sono episodi sporadici in cui la cromoterapia è riuscita a guarire la malattia del paziente secondo la comunità scientifica ci potrebbero essere stati dei fattori esterni che hanno causato la buona riuscita della cura non tenuti sotto controllo nel compimento della terapia stessa. È innegabile comunque che un paziente sereno e rilassato affronta qualsiasi terapia anche invasiva con spirito più positivo quindi, nonostante la non dimostrabilità dell’utilità della cromoterapia, resta comunque affascinante e speranzoso credere che la terapia dei colori, possa portare beneficio all’uomo. Quindi, per concludere, si può affermare che la cromoterapia può essere utilizzata per trattare squilibri energetici e stati di malattia di qualunque tipo, non è invasiva e non interferisce con le cure mediche, pertanto può essere considerata un valido supporto alle pratiche più tradizionali. Può essere praticata ad ogni età e aiuta a: favorire un miglioramento generale delle condizioni fisiche; riportare armonia ed equilibrio nella sfera emotiva donando forza interiore; favorire una graduale apertura verso il mondo circostante e gli altri; superare blocchi comportamentali e disturbi di relazione; individuare e rimuovere fattori di stress; proporre un modello comportamentale positivo; migliorare l’autostima e la considerazione per se stessi. Maurizio Franchi

Evilenko

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ilm del 2004 che trae ispirazione dalla vera storia del “mostro cannibale di Rostov”, ovvero Andrej Romanovic Cikatilo. Per la precisione la pellicola in questione, scritta e diretta da David Grieco, è tratta dal romanzo “Il comunista che mangiava i bambini”, scritto dallo stesso Grieco che, a sua volta, si è basato sulla vita del serial killer ribattezzato, in questo contesto, Andrej Romanovic Evilenko. Il mostro della “striscia di bosco” ha confessato più di 50 omicidi tra la fine degli anni Settanta fino al novembre 1990 e, per il modo di infierire sulle sue vittime, in prevalenza bambini ed adolescenti di entrambi i sessi, si è guadagnato una moltitudine di appellativi, tra cui quelli sopra riportati. Ex professore, fu catturato dopo un’estenuante caccia all’uomo, processato e infine giustiziato nel 1994. La trasposizione sullo schermo di tematiche come queste non rappresenta di per sé nulla di particolarmente originale: molto spesso assistiamo a degli adattamenti più o meno romanzati e, in questo senso, Evilenko non rappresenta un’eccezione. Tuttavia, fin dalle prime sequenze, si intuisce la “serietà” di questa narrazione: la riuscita e la credibilità di pellicole del genere sono dovute anche (e soprattutto) alla figura del protagonista chiamato a vestire i panni del serial killer, basti pensare a Monster, film del 2003 che è valso il premio Oscar alla protagonista Charlize Theron per aver interpretato la figura di una prostituta condannata a morte negli Stati Uniti per svariati omicidi. Il ruolo di Andrej Romanovic Cikatilo viene affidato a Malcolm McDowell, il cui nome gli appassionati ricorderanno di sicuro associato, nel lontano 1971, all’emblematica sagoma del giovane e violento Alex DeLarge quale protagonista di Arancia Meccanica del maestro Stanley Kubrick. Scelta quanto mai azzeccata, dato che il tempo non ha scalfito le qualità e, soprattutto, l’inconfondibile sguardo dell’ex “capo drugo”. Il film non si perde in preamboli e si focalizza immediatamente sul profilo di Evilenko, severo professore incline ad instaurare torbide relazioni con i suoi giovani allievi. Proprio per queste sue tendenze viene costretto a dimettersi ma, grazie al suo fanatico attaccamento al Partito Comunista, viene contattato e reclutato dal KGB permettendogli ancora maggiore libertà di “azione” per i suoi crimini. Per più di un decennio si consuma una vera e propria caccia all’uomo in un Paese spaccato dalla crisi del comunismo e dal tentativo di rinnovamento attuato da Mikhail Gorbaciov con la cosiddetta “perestrojka”. Nonostante la pellicola si sviluppi a tratti come un documentario, risulta piuttosto evidente la critica al regime e all’ideologia comunista tanto che, da una teoria di uno degli psicoanalisti chiamati ad analizzare il caso, viene teorizzato come uno dei più feroci criminali della recente storia dell’Unione Sovietica sia stato “creato” e motivato nelle sue azioni dalla società stessa a causa della perdita di ideali, di fiducia in un Paese in progressiva dissoluzione, sia politica che economica. Oppure lo si può considerare inconsapevolmente malato di schizofrenia. Al di là di determinate correnti di pensiero, condivisibili o meno, resta il fatto che casi come questo sguinzagliano una moltitudine di teorie, tutte potenzialmente plausibili ma altrettanto contestabili. Rimane il fatto che il mostro di Rostov fu dichiarato sano di mente, rendendo ancora più agghiacciante l’atmosfera generale di questa produzione, che merita attenzione per la realtà di fatti di cronaca probabilmente poco conosciuti e, dal lato cinematografico, per una prova d’attore di altissimo livello da parte di un “mostro” sacro come McDowell. Matteo Tabarelli

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pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | giugno 2013 - n. 3

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