BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO II - APRILE 2014 - ANNO XV - LXXXIII NUMERO PUBBLICATO
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progetto di giornale Prendersi cura sempre
Associazione Onlus “LALTRARTE”
La Fondazione Hospice Trentino Onlus ci racconta le cure palliative pagina 2
Solo attraverso la comunità
Nuove declinazioni terapeutiche per nuovi linguaggi artistici
Un progetto di solidarietà internazionale in Kenya promosso da Fondazione Fontana pagina 9
pagina 3
Rendering Piazza Mostra progetto 00, Ass. Campomarzio
La farfalla avvelenata Gli autori del libro raccontano “il Trentino che non ti aspetti” pagina 11
Trento Accessibile
Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento . Contiene I.R.
Si riapre il dibattito sulle barriere architettoniche. Ripensare insieme la città significa, combattere sia le barriere fisiche che mentali.
T
rento è città capoluogo trentino, si staglia lungo le anse centrali del corso del fiume Adige, circondata da comuni e sobborghi, incastonata tra le Alpi e da sempre storico crocevia di genti rimane legata alle sue tradizioni ma con uno sguardo alle nuove esigenze. La vastità della zona comunale conta 150.000 abitanti con una densità di popolazione pari a 736 ab./km². Da sempre sito strategico sia dal punto di vista geografico che politico, è ricca di storia e cultura, regala al visitatore una commistione architettonica che abbraccia l’antico, il sacro e contemporaneo. Questa sua caratteristica calata in un contesto alpino ha posto nella storia problemi di mobilità di varia natura e sempre nuovi. La città è in comunicazione con molte valli limitrofe, come la val di Fiemme e la Valle di Non per citarne alcune ed è un punto di passaggio obbligato per chi intende andare in Austria e da lì in tutta Europa valicando il Passo del Brennero. Una mobilità dunque stratificata e complicata che deve essere ospitata da una valle che per quanto ampia è pur sempre uno spazio limitato. Ferrovie, Autostrade, strade secondarie che risalgono le pendici delle montagne e le zone produttive circostanti, tutto per garantire maggior capacità di spostamento a chi vive o si sposta in Trentino. La mobilità deve essere garantita a tutti e con essa l’accessibilità agli spazi. Tutto questo rappresenta una rete visibile che permette di incontrarsi, di andare a lavorare, di studiare senza alcuna distinzione. Sono molte le associazioni che si sono occupate della questione accessibilità, soprattutto in riferimento alle classi sociali svantaggiate. Si ricordano eclatanti gesta di qualcuno che in passato ha combattuto molto per il diritto alla mobilità di persone con disabilità psico-fisiche; si è fatta molta informazione, sono state interpellate e coinvolte le amministrazioni di comuni, Provincia e Regione arrivando ad organizzare una città a misura di tutti, o quasi. Tali battaglie hanno portato, nel bene o nel male, ad un accrescimento della coscienza sociale. Negli anni ‘90 nascono i primi servizi di trasporto dedicati a persone con handicap fisi-
ci come ausilio ospedaliero, come mezzo per raggiungere un luogo lavorativo o di studio, cominciano ad essere sbarrierati gli uffici pubblici, i luoghi di ritrovo, nonché le scuole e le università. Una città a misura di disabile, si direbbe, ma se a fronte di un riconosciuto impegno concreto delle parti sociali e delle amministrazioni si è fatto molto nel corso degli ultimi anni, rimangono questioni in sospeso che esigono interventi celeri e che rispondano ad istanze di tutti. Una città accessibile nel vero senso della parola prevede soluzioni architettoniche e
fisiche e ideologiche che incrostano una libera accessibilità di spazi e pensieri. Cominciamo parlando di un luogo simbolo della città di Trento, il Castello del Buonconsiglio e l’adiacente Piazza Mostra, che accolgono ogni anno molti visitatori e malgrado alcuni piccoli interventi non strutturali risultano essere ancora poco accessibili alle
Sopra un esempio di barriera architettonica in un negozio. A destra Giuseppe Melchionna in visita ai negozi del centro storico.
pratiche che non fanno distinzione tra persone disabili e normodotate. Lo scivolo o la rampa di accesso a qualsiasi spazio pubblico ad esempio è un ausilio sia per la madre col passeggino che per l’anziano, piuttosto per chi è costretto in sedia a rotelle. Vogliamo riportare l’attenzione del lettore e degli interessati sul cuore della questione “accessibilità” che per forza di cose riguarda sia il centro storico, sia le periferie meno frequentate. Lo faremo cercando di porre la questione sotto la lente di ingrandimento, scoprendo luoghi, atteggiamenti e in generale le barriere
persone disabili e non solo. Il castello, lo ricordiamo è stato eretto nel ‘200, ha ospitato per cinque secoli i principi vescovi della città. La struttura più antica è rappresentata dal Castelvecchio del XIII secolo, poi riedificato. Accanto venne costruita per volontà di Bernardo Clesio il Magno Palazzo. Altre torri del castello sono Torre d’Augusto, il torrione principale e la Torre del falco. Di fronte all’entrata principale del castello, al di là della strada, è inoltre presente un sarcofago
di pietra. Secondo la leggenda, il Castello del Buonconsiglio prima si chiamava Malconsiglio a causa delle streghe che infestavano la Torre d’Augusto e che furono cacciate dopo il Concilio. É una struttura imponente e architettonicamente complessa che negli anni ha dovuto sopportare il peso di strade trafficate che la circondano. Non esattamente un tributo a chi ci ha lasciato in eredità una struttura così magnifica che nel tempo ha rispettato il suo carattere inaccessibile. Ma i tempi cambiano, come anche le proposte e gli impegni per valorizzare l’area. Lo sanno bene i giovani architetti e designer dell’Associazione Campomarzio, attivi con progetti dedicati alla cittadinanza per una città più vivibile. Il loro primo progetto, il “Progetto #00”, riguarda proprio un intervento sul Castello e la Piazza adiacente che da troppo tempo hanno perso integrità e sintonia. Una strada separa infatti i due spazi rendendo difficile e pericoloso l’attraversamento per i pedoni e la piazza è diventata niente di più di un posteggio per autoveicoli. Osservando il progetto si ritrova la soluzione di continuità tra i luoghi, non solo architettonica ma anche sociale: questo è il risultato di una ricerca promossa autonomamente da Campomarzio durante il primo semestre del 2013. Il progetto ha coinvolto un gruppo multidisciplinare composto da 18 professionisti, tra architetti, ingegneri, paesaggisti e sociologi. Con Piazza della Mostra, Campomarzio inaugura la propria attività di riflessione e promozione di dibattito sulla città di Trento, sulle sue criticità e potenzialità. Lo fa utilizzando lo strumento progettuale e queste le loro motivazioni:”Siamo convinti che i problemi della città possano e debbano essere risolti attraverso il ridisegno dello spazio, sapendo accogliere in maniera adeguata le esigenze ➽➽continua a pagina 2
A SS I ST E N Z A
La Fondazione Hospice Trentino Onlus ci racconta come affronta e diffonde la cultura delle cure palliative. diffusione della cultura delle cure palliative, costruzione e gestione della nuova Casa hospice di Trento. La Fondazione è impegnata nella realizzazione di una nuova struttura hospice a Trento. Finalmente, nella primavera di quest’anno avranno inizio i lavori per la costruzione della Casa Hospice in località Madonna Bianca, vicino alla
i volontari. Oggi sono una ventina i volontari che dedicano un po’ del loro tempo a diretto contatto con le persone ammalate in hospice o a casa, si impegnano in attività di sportello e di raccolta fondi. Infatti la Fondazione non ha bisogno solo di volontari a diretto contatto col malato e la famiglia, ma anche di chi vuole cimentarsi in attività di cura dell’ambiente in cui la persona è assistita o funzionali all’organizzazione (curare fiori, fund raising, reception), e nella promozione culturale e
CONTATTI
rendersi cura sempre” è il motto che la Fondazione Hospice Trentino Onlus ha fatto suo. Prendersi cura non è sinonimo di guarire, ma di aiutare le persone a vivere al meglio anche in situazioni di malattia. Le persone ammalate e le loro famiglie sono in una situazione di sofferenza che richiama necessità particolari: sollievo dal dolore e da altri sintomi, assistenza qualificata da parte di personale preparato sia alla clinica che alla relazione, un luogo familiare e sereno in cui vivere quando non è possibile rimanere nella propria casa, attenzione, comprensione, ascolto e rispetto della loro volontà. Fondazione Hospice Trentino Onlus. Cosa vuol dire Hospice? L’hospice è un luogo, intermedio tra casa e ospedale, dove il malato può continuare a vivere la sua vita nonostante la grave malattia assistito da persone preparate e sensibili, siano esse operatori sanitari, volontari o altro. Un luogo di “sosta” per lui e per la famiglia in momenti di particolare fatica e stress, quando l’assistenza a domicilio non è possibile. L’obiettivo principale dell’approccio palliativo, infatti è la promozione della miglior qualità di vita possibile, attraverso il controllo dei sintomi e la costante attenzione per i suoi bisogni fisici, psicologici, sociali e spirituali. Grande importanza è riservata alla presenza umana e alla relazione, per la valorizzazione dell’unicità dell’individuo e dell’irripetibilità del momento vissuto. Ogni persona è presa in cura da un’equipe interdisciplinare, composta da medici, infermieri, OSS (operatori assistenziali), psicologi e da tutte quelle figure che possono essere di aiuto per rispondere ai bisogni dell’ospite e della famiglia. Nata nel 2007 per volontà di persone che hanno conosciuto l’esperienza di malattia appoggiate con forza della Fondazione Trentina per il Volontariato Sociale, di cui Francesca Paris Kirchner era la presidente, la Fondazione Hospice Trentino Onlus ha quattro obbiettivi principali: formazione e attivazione dei volontari che affiancano i malati e le loro famiglie, sostegno delle attività di formazione degli operatori sanitari,
Fondazione Hospice Trentino onlus: 38122 Trento - Via Dordi, 8 Tel 0461/264561 www.fondazionehospicetn.it info@fondazionehospicetn.it
informativa sulle Cure Palliative. Per diffondere la Cultura delle Cure palliative e della dignità del vivere pienamente e con la miglior qualità di vita tutto il proprio tempo, la Fondazione organizza iniziaIn senso orario: I volontari della Fondazione Hospice. Roldano e Cecilia allo stand della Fondazione tive di informazione e sensibilizzazione durante la Fiera di San Giuseppe a Trento. sulle tematiche inerenti le possibilità Roldano, Lorenzo e Mara in un momento di intervento-sollievo per chi soffre di di festa all’hospice di Villa Igea. una malattia inguaribile. Per questo nel Sotto il logo F. Hospice Trentino onlus. corso dell’anno sono proposte serate, cicli di cineforum, spettacoli teatrali, convegni e concorsi artistici e letterari, presentazioni di libri, corsi di formazioni organizzati da altre strutture. Oltre a questo la Fondazione sostiene la formazione specifica degli operatori sanitari, ed ha partecipato all’organizzazione del master universitario di I livello in Case manager in cure primarie e palliative sia nella creazione del piano didattico sia col sostegno economico ai partecipanti attraverso borse di studio sia con partecipazione alle docenze. Stefania Costa
Casa del Sole. La Fondazione ha seguito passo passo la progettazione della Casa, costruita da Patrimonio Trentino spa, si occuperà dell’acquisto delle attrezzature e degli arredi e sta attivamente preparandone la gestione. Ne sortirà un luogo confortevole e rispettoso delle esigenze degli assistiti. Luogo in cui operatori sanitari, volontari e familiari possano prendersi cura della persona malata alleviando il dolore e controllando gli altri sintomi che generano sofferenza, fornendo assistenza quotidiana. Le persone in fase avanzata di malattia, oltre ad assistenza medica, hanno bisogno di tempo, comprensione e vicinanza umana che soprattutto i volontari possono garantire. Seguiti da tutor e dalla psicologa della struttura sono in grado di dedicare questo tempo “di cura” per parlare, ascoltare o semplicemente per stare loro accanto. Consapevole dell’importanza della figura del volontario, la Fondazione si è assunta il compito di cercare, formare e attivare
LA TESTIMONIANZA DI UNA VOLONTARIA
“P
“Prendersi cura sempre”
Vestirsi di umiltà per offrire un ascolto presente Carissimi tutti, Silvio ci ha lasciato da poche ore ed il mio pensiero di vicinanza a lui si traduce nel desiderio di condividere con voi qualche riflessione affinché si possa continuare ad avere cura del nostro essere volontari. Stare vicino a lui e alla sua compagna per più di tre mesi è stata un’esperienza significativa ed impregnate grazie anche all’assistenza domiciliare che mi ha permesso di entrare nella loro “intimità”, ma anche per l’arricchimento ed il sostegno ricevuto con la preziosa presenza di Lucia. Ci sono stati momenti “facili” e altri più difficili da sostenere e in questo costante contatto ho compreso quanto nel nostro ruolo sia importante saper restare nel rispetto e nel non giudizio. Di fronte a vissuti, che si scostano dal nostro modo di essere, emergono bisogni e aspettative puramente personali e in questo clima interiore ho posto attenzione nel discernere
le mie risposte alle situazioni dalle loro. La vita è una palestra in cui ognuno percorre il proprio cammino costellato da incontri ed esperienze che sono sue proprie e che spesso sono profondamente diverse nell’approccio, nei valori, nelle scelte. Forse questa è proprio la sorprendente meraviglia della vita che in questo essere differenti ci offre l’opportunità di confronto e di insegnamento. Nel vivere questo accompagnamento ho imparato l’importanza di vestirsi di umiltà offrendo anche solo un ascolto presente e capace di restituire all’altro il piacere di essere visto nella sua totalità. Mi sembra già molto, vista la vulnerabilità del fine vita che ci rende come bambini bisognosi di rassicurazione e calore umano... Un pensiero di luce a Silvio Micaela
➽➽segue dalla prima
di una moderna società del XXI secolo.” Di questo progetto se ne è parlato sui quotidiani locali e in occasione di incontri con amministrazione e cittadiVideo concept Piazza nanza e la cosa interessante è che oltre Mostra a cura di ad essere stato fatto a titolo gratuito, Campomarzio propone soluzioni per tutti. Dalle immagini riportate potete farvi un’idea chiara di questa proposta; il fatto che venga da un’associazione di giovani professionisti mossi dalla voglia di cambiamento e condivisione fa ben sperare che la cultura allo sbarrieramento abbia i tempi contati. Un cambiamento culturale è necessario ricordando anche le parole di Giuseppe Melchionna intervistato dall’Adige: “.. la difficoltà maggiore è abbattere le barriere psicologiche. Deve nascere una mentalità più civile in tutti quanti, nel capire che gli ostacoli per la vita dignitosa di un disabile vanno abbattuti. Servono educazioA destra le proposte d’intervento in Piazza Mostra (in basso quella ne e sensibilità”. dell Ass. Campomarzio). Lorenzo Pupi
pro.di.gio.
A sinistra il Rendering di Piazza Mostra.
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Direttore responsabile: Francesco Genitoni. Abbonamento annuale (6 numeri) Proprietà: Associazione Prodigio Onlus Redazione: Lorenzo Pupi, Giulio Thiella, Carlo Nichelatti, Giuseppe Melchionna, Privati €15,00; enti, associazioni e sostenitori €25,00 con Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Luciana Bertoldi. bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Hanno collaborato: Maurizio Menestrina, Maurizio Franchi, Sara Caon, Dorotea 25 O 08013 01803 0000 6036 2000 intestato a “AssoSito Internet: www.prodigio.it Maria Guida, Piergiorgio Gabrielli, Raffaella Nichol Campaniello, Daniele Biasi, ciazione Prodigio Onlus” presso la Cassa Rurale di Aldeno e E-mail: associazione@prodigio.it Stefania Costa. Cadine indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”. Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 In stampa: mercoldì 26 marzo 2014. Pagamento con carta di credito su www.prodigio.it. Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70%pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | aprile 2014 - n. 2 Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana).
S O C I E TÀ
Nuove declinazioni terapeutiche per nuovi linguaggi artistici
Associazione Onlus “LALTRARTE”
Francesco Magoni e Natalina Susat presso la sede Laltrarte in via San Pio X a Trento
Questi riguardano attività rivolte a minori ospiti in centri diurni protetti. Poi abbiamo lavorato con la Rete su progetti mirati al disagio psico motorio, con gli anziani e in particolare con l’associazione Parkinson. Riponiamo molta importanza nel volontariato e abbiamo svolto progetti dedicati anche a questo, con il supporto di Caritas per un progetto formativo con la fondazione Trentino Volontariato. Siamo andati anche nelle scuole e allora ricordiamo l’esperienza con l’Istituto d’Arte Depero di Rovereto in un percorso sulle prospettive formative delle arti terapeutiche. A Trento abbiamo invece iniziato delle sperimentazioni di gruppo che coinvolgessero ragazzi normodotati insieme a ragazzi autistici. Credete che si possa lavorare in rete con altre strutture? Certamente, collaborare con altre figure professionali come i terapisti di Franca Martini ad esempio ti permette di confrontare i diversi approcci creativi che proponiamo con un intervento più classico. É un approccio significativo perché l’attività è supervisionata dal fisiatra e
questo dato testimonia che alla base delle nostre proposte vi è un approccio assolutamente scientifico nell’uso delle Artiterapie. É tutto molto semplice: se tu canti suoni e ti muovi un beneficio lo hai e la scienza lo riconosce e lo avvalora. Come sono i rapporti con i collaboratori? Prevedete momenti di formazione e aggiornamento? Noi teniamo molto alla formazione delle persone che collaborano con noi. L’arte indubbiamente di per se può fare del bene perché è uno strumento che tutti possono utilizzare, ma ci tengo a precisare che dietro all’uso di questo strumento ci sono psicoterapeuti. Prevediamo una formazione, una supervisione e una psicoterapia personale ai fini di condurre al meglio i laboratori. La danza si sa di per se fa bene ma ad esempio se vogliamo finalizzarla rispetto al contenimento di un adolescente piuttosto che dedicata ad un malato di Parkinson, si presentano diversi obiettivi con diverse procedure tecniche e metodologie che si imparano e vanno supportate in maniera professionale. Abbiamo capito che credete molto in quello che fate, ma perché avete scelto l’Arte come strumento operativo e su quali disturbi o patologie andate ad intervenire? Con le arti vai a sviluppare un pensiero laterale, cambi lo schema mentale e sviluppi l’apprendimento, l’accomodamento e puoi aumentare la capacità neurologica della persona e questo è fondamentale in tutte le patologie da deficit cognitivo. Adesso, con la possibilità di avere una sede e quindi uno spazio a disposizione per le varie attività, possiamo porci anche l’obiettivo di dare più disponibilità verso patologie diversificate con un collegamento con servizi come la neuropsichiatria infantile che hanno incarichi di grande difficoltà e
sentiamo di poter offrire un supporto anche dove altre attività non esistono. Ad un’integrazione tra le arti può certamente corrispondere un’integrazione tra diverse fragilità, abbiamo lavorato con gruppi piccoli e grandi dove le diversità si annullavano. Il processo creativo non c’è più come anche l’identificazione: “Io sono normale”. Ti trovi in uno spazio rituale dove abbatti le barriere. Certo stiamo iniziando l’esperienza di integrazione tra bambino con grosse difficoltà, la famiglia, l’educatore e altri soggetti. Più figure vengono messe in campo e migliore è l’effetto benefico. Con la terapia si chiude un cerco intorno alla persona. Integrazione come opportunità di condividere un progetto e lavorare in sinergia con altri terapeuti. Prospettive per il futuro e ambizioni? Quello di lavorare di più con le disabilità e quindi anche con servizi che possono indirizzare le persone verso le attività che proponiamo, anche perché molti non conoscono la nostra realtà e ampliare l’offerta formativa in sinergia di sforzi è sicuramente una strada che vogliamo intraprendere. Vogliamo ringraziare per il loro impegno ed energia tutti i soci e i collaboratori che attualmente e negli anni scorsi ci hanno sostenuto. Rappresentano figure professionali giovani che si aprono a nuovi percorsi, partendo anche dal volontariato. La creatività può espandere i confini e far emergere aspetti che ti lasciano interdetto e in alcuni casi fanno riconsiderare la diagnosi terapeutica. Certo abbiamo cominciato giusto qualche anno fa a contaminare il suono. Queste tecniche vengono alle volte ritenute strane, quasi dei percorsi spirituali, ma noi teniamo a precisare che partiamo da una formazione scientifica. Abbiamo appurato, anche grazie ad un punto di vista esterno, che tali percorsi portano un beneficio alla persona attraverso lo strumento ludico e artistico. Lorenzo Pupi
MARKETING SAIT
S
iamo andati a conoscere l’Associazione “Laltrarte”, una realtà nuova e unica in Trentino in cui musica, colore e danza si declinano in attività di terapia dedicate a bambini, adulti con patologie psicomotorie e a soggetti che vivono in stato di emarginazione e disagio. Un ente che è già molto attivo dal 2005 e ha preso recentemente sede presso le scuole Savio in san Pio X a Trento. Fondato da professionisti psicoterapeuti, musico-terapeuti e danza terapeuti, propone progetti che partono dall’arte attraverso percorsi terapeutici innovativi. Abbiamo intervistato due dei soci fondatori: Natalina Susat che è danza-terapeuta e consulente sistemico/ relazionale e Magoni Francesco, musicoterapeuta e psicologo Transpersonale. Da dove nasce questa esperienza e a chi è rivolta? Principalmente dall’intento di integrarsi e scambiarsi delle attività e progettualità che vedano l’arte come mezzo-strumento per aiutare, supportare e divertire, uno strumento teso al benessere psico-emotivo e psichico. Ci siamo fin da subito concentrati per proporre iniziative rivolte al superamento di un disagio psico-fisico diffondendo e operando con le Artiterapie soprattutto con riguardo, come del resto recita il nostro statuto, a fasce disagiate di popolazione, vittime di emarginazione sociale, svantaggiate da una disabilità fisica o psichica. Siamo stati fin da subito interessati alla sperimentazione di nuovi linguaggi espressivi che ci aiutassero nelle nostre terapie, e abbiamo attivato in questo senso numerose collaborazioni con altre associazioni e istituti di ricerca scientifica. Potreste definire il concetto di disagio in relazione a questi nuovi linguaggi espressivi? Il disagio è una fragilità che coinvolge vari livelli della persona: corporeo, energetico, emotivo e mentale. Ad esempio una paresi a livello corporeo può benissimo coinvolgere il livello emotivo del “se”, parte creativa, che è innata come insegna, il noto filosofo Jung. Il nostro intento è quello di mettere in condizione le persone a far emergere il loro lato emotivo e creativo per cambiare lo schema e per non chiudersi in se stessi. Una creatività che mira all’espressività attraverso arti, linguaggi artistici cui corrisponde però un’efficacia scientifica terapeutica riconosciuta. In greco “terapeia”
significa assistere, prendersi cura e sostenere. Noi lo facciamo attraverso l’arte e la creatività. Ci raccontate alcuni dei progetti a cui siete particolarmente legati? Sono davvero tanti i progetti attivati e li potete visionare tutti sul nostro sito www.laltrarte.org. Testimoniano le molte collaborazioni che abbiamo attivato sul territorio, tra i molti enti vogliamo ricordare Kaleidoscopio, Progetto92, Gruppo 78 e altre cooperative rivolte alla fascia di minori.
“Storia di un oblio”, Laurent Mauvignier
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uanto vale una vita? Come rapportiamo questo valore con quello degli oggetti inanimati? Uccidereste mai una persona perché ha tentato di rubarvi, ad esempio, la macchina? Eppure succede che in alcune occasioni vada tutto storto, un piccolo gesto compiuto con leggerezza che in un attimo fa precipitare la situazione verso il baratro. Nel dicembre del 2009 Miguel, un ragazzo di 25 anni, viene ucciso di botte dagli addetti alla sicurezza di un supermercato di Lione. Il crimine che l’ha portato alla morte è il furto di una lattina di birra, condotta considerata troppo lesiva dalle guardie per non intervenire, per non dargli una lezione; e diventa difficile non farne un capro espiatorio di tutti coloro che rubano al supermercato. Il gesto di aprirsi la lattina e sorseggiarla tra gli scaffali del supermercato prima di averla pagata può essere stata la scintilla che ha fatto scattare la follia nei vigilanti che, investiti di una insulsa autorità, hanno agito senza proporzione o cognizione di causa, commettendo un fatto irreparabile. L’intero libro sembra un’unica lunghissima citazione, senza un inizio o una fine, una scarna punteggiatura a scandirne le frasi, un
testo da leggere tutto d’un fiato come quando si segue la finale dei 100 metri di corsa: per quei dieci secondi non si respira. Forse il senso del dovere portato all’eccesso, forse una questione razziale (il ragazzo era di colore), o addirittura una semplice questione di principio; fatto sta che il processo mentale che ha portato quegli uomini ad agire in quel modo è stato viziato dalla mancanza di umanità e rispetto per la
persona. È stata tolta la vita ad un uomo per il tentato furto di una lattina, un oggetto dal costo talmente esiguo che a stento riesce a coprire la spesa dell’alluminio necessario per costruirla. Eppure questo è bastato per considerare Miguel non più degno di vivere. Purtroppo la punizione esemplare ha dimostrato solamente il distacco e l’alienazione che porta quattro persone in divisa ad interpretare il loro dovere di controllo come una questione di vita o di morte. La sua. Cercare di spiegare a posteriori certi comportamenti umani diviene quasi impossibile, ma questi ci danno la possibilità di aprire gli occhi verso una cruda realtà basata sempre più sul valore delle cose e non più su quello delle persone. Giulio Thiella
pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | aprile 2014 - n. 2
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pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | aprile 2014 - n. 2
G I OVA N I
Recensione dell’ultimo libro di Mauro Corona: “Guida poco che devi bere”!
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Alcool: Manuale per il non abuso
scanso di equivoci, Mauro Corona non è astemio nè lo è mai stato. Nonostante ciò, o forse proprio per questo, ci regala un piccolo manuale per buoni bevitori, per bere bene senza esagerare e senza farsi male. Ne è ben consapevole che pretendere che i giovani non bevano è pretendere l’impossibile. Ecco allora una guida con cui si possono mettere al bando le ipocrisie utopistiche di chi li vuole tutti astemi. Ripercorre la storia della sua infanzia e del primo contatto con l’alcol: dalle bevute per cercare di allontanare la timidezza a quelle per essere come gli adulti, “eroi forti ed invincibili” temprati dalle fatiche delle montagne che altrimenti ti consideravano una mezza calzetta. L’autore estrae dal bagaglio della sua esperienza parole dure e caute, parole di chi è consapevole di aver “razzolato male” ma che prega il lettore almeno di lasciargli “predicare bene”. “Chi scrive è un povero diavolo che ha fucilato la serenità della sua vita e devastato quella degli altri con l’alcol”, dice nelle prime pagine. Ed è l’alcol - legale, costa poco, si acquista ovunque - che “ci fa credere di contare qualcosa”. È l’alcol che finge di dare tutto:
coraggio, allegria, autostima, entusiasmo. Ma quando l’età avanza e le bevute aumentano, l’autostima non cresce più. Quegli adulti
ma poco e piano”, “non bere alcol a stomaco vuoto”, “non mischiare diverse qualità d’alcol”, e ancora: “nel bere è primo chi arriva ultimo”. Consigli sperimentati sulla propria pelle come: “mai iniziare col vino e proseguire con la birra, passare sempre dai gradi più bassi a quelli più alti”. Suggerimenti di uno che non si considera un pentito ma che lucidamente riesce ad affermare: “una volta iniziati all’alcol, dall’alcol non si esce più” e concludere amaramente: “per ora l’ho sospeso, ma sento che Mauro Corona a Trento con tornerà, e allora andrò una copia di Pro.di.gio. fino in fondo”. Un libro strano, questo di Corona. Un libro che non toglierà dalla testa di “forti ed invincibili” che si tentava di emu- chi ha voglia di farlo il desiderio di sbronzarsi lare si sono scoperti essere soltanto “poveri e provare l’ebbrezza di sballarsi facendo a diavoli”. Il punto è che quando lo si scopre, pezzi i freni inibitori. Un libro di cui magari si è ormai ridotti come loro. Ed è questo che si faranno beffe coloro che sono avezzi alle Mauro Corona vuole impedire che accada bevute e non si curano delle conseguenze. ai giovani, ai quali si rivolge, fornendo loro Ma si tratta anche di un libro che, da parte di preziose regole d’oro che non provengono da un uomo con le sue pecche ed i suoi sbagli, libri dotti, ma dall’esperienza di chi ha bevuto avverte di non cancellare le nostre tracce ed è stato male, dalla saggezza popolare dei con l’alcol. Perché è la vita vera che ci dirà chi vecchi che passano i giorni nelle osterie, di siamo, non lo scopriamo dopo una bevuta chi, dopo una vita passata a bere, non riesce colossale, per quanto inebriante. più a farne a meno fino a morirne. “Bevete, Sara Caon
Con stampelle e un pallone Francesco diventerà un campione
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roprio mentre realizzavo questa intervista Francesca Mazzei e suo figlio Francesco Messori erano in TV a raccontare la loro incredibile storia di vita in un programma del pomeriggio. Sono stata onorata di averli intervistati anche io oltre Paola Perego e Marta Flavi Ha da poco compiuto 15 anni Francesco Messori, la nuova promessa della Nazionale Italiana amputati, che è l’unica squadra italiana, nata proprio per la forza e la determinazione di uno dei suoi giocatori “simbolo”. Francesco, soprannominato Messi, come il suo idolo del calcio è un giovanissimo calciatore grintoso, ci racconta la sua incredibile vicenda, la mamma Francesca Mazzei che l’ha sempre incoraggiato e sostenuto anche quando c’era da mettere insieme addirittura una squadra di calcio, dando così una possibilità di rivincita a tanti giovani amputati che amano tirare a un pallone. “Con Francesco abbiamo cominciato a lottare sin dal giorno della sua nascita il 22 novembre del 1998” - Ci racconta Francesca la giovane mamma che vive a Correggio in provincia di Reggio Emilia e lavora presso il Policlinico di Modena. La grinta, mamma e figlio, l’hanno dovuta tirare fuori alla svelta perché Francesco è nato con una agenesia della gamba destra, l’assenza del rene destro e con un’atresia esofagea (mancanza di un pezzo di esofago) per il quale è stato operato il giorno dopo della sua venuta al mondo. Entrambi sapevano che la vita di Francesco sarebbe stata in salita, soprattutto quando si è presentata la necessità di un altro intervento chirurgico avvenuto quando il bambino aveva 10 anni per la correzione di una grossa cifo-scolosiosi avvenuto al Gaslini di Genova. “Mio figlio era nato anche con un’emivertebra (una vertebra non sviluppata del tutto), l’intervento che gli ha ridato una schiena dritta è durato 10 ore e anche in quell’occasione si è dimostrato molto forte e coraggioso”. Il carattere di Francesco non tarda a venir fuori; è un bambino caparbio che deva fare i conti con la sua prima protesi a un anno, ma il piccolo è molto attivo e trova questo genere di ausilio molto scomodo perché ha un aggancio direttamente al bacino e lui ha voglia di muoversi, di giocare a pallone, di fare come gli altri suoi coetanei. Così decide
Storia di ordinario sport di mettere la protesi al chiodo - la chiude per sempre dentro l’armadio come dice Francesca che continua: “La passione per il calcio nasce più o meno tra gli 8 e i 9 anni. Inizia a giocare
Francesco Messori, la nuova promessa della Nazionale Italiana amputati
come portiere, con la protesi era l’unico ruolo che poteva provare, poi consapevole del fatto che non potrà mai disputare partite ufficiali, in porta non ci vuole più stare perché non si diverte e decide di cominciare a usare le stampelle e giocare in attacco. Ovviamente si allena e basta perché non può giocare partite ufficiali, ma si diverte tantissimo”. Francesco partecipa a una manifestazione di sport integrato nel giugno 2011 a Bologna, la manifestazione si chiama HappyHand. Disputa una partita di calcetto integrato e in quell’occasione è notato da Ability channel (una web-tv) che lo riprende e realizza un’intervista. La storia di Francesco Messori, giovanissimo calciatore combattivo sulle sue stampelle, comincia a girare per giornali e tv e arriva direttamente al CSI (Centro Sportivo Italiano.) Il presidente del CSI Massimo Achini decide di cambiare il regolamento per Francesco e dichiara: “Sono le regole che devono essere cambiate a favore della vita e non il contrario”. Così per il giovane Messori avviene il tesseramento tra i così detti normodotati. Ma non basta, Francesco però desidera di più! Gli manca il confronto con persone affetti dalla sua stessa disabilità con i quali condividere la passione per il calcio. Fuori dai confini italiani esistono realtà di questo tipo e Francesco Messori si chiede come mai non ci sia un gruppo di calciatori amputati anche in Italia. “Così gra-
zie alla creazione su un Social network di un gruppo chiamato Calcio Amputati Italia così mio figlio si mette in contatto con altri ragazzi provenienti da tutta la Penisola conclude Francesca. “C’è bastato poco - Continua soddisfatta - In un anno la Nazionale Italiana Amputati era già formata. Il CSI pian piano comincia ad assecondare il sogno di Francesco e nel Dicembre 2012 presenta ad Assisi, durante il meeting nazionale, la Nazionale Italiana di calcio per amputati”. Tutto funziona così: Ogni membro della squadra si allena nel proprio paese e una volta al mese con la squadra si trova in una città sempre diversa d’Italia per un ritiro di due giorni. Nel 2013 i ragazzi hanno disputato due partite amichevoli con la Francia, (in Francia il calcio per amputati esiste da otto anni). L’Italia in quell’occasione ha perso sia all’andata per 5-2 in Francia ad Annecy e nella partita di ritorno 2-1 a Cremona - “ma abbiamo accorciato le distanze” - sorride maliziosa Francesca, poi continua: “La città di Cremona è stata scelta perché Francesco, proprio in questa città, il 5 febbraio 2012, ha giocato la sua prima partita da tesserato in un torneo CSI”. I sogni per il futuro e i nuovi progetti non mancano, come ad esempio entrare a far parte della WAFF (world amputee football federation, in altre parole l’insieme delle associazioni calcio amputati predenti nel mondo) Francesco pensa in grande, come i grandi campioni, sia sa! Però ci sono anche i Mondiali di Calcio in Mexico nel Dicembre del 2014... Ma tra tutti, il sogno più ambizioso è poter portare alle Paralimpiadi di Rio (2016) il calcio per amputati come sport dimostrativo. “Sono molto orgogliosa di Francesco, grazie alla sua grinta e determinazione ha portato in Italia uno sport che non esisteva e che potrebbe diventare una disciplina Paralimpiaca! Il mio Francesco le barriere non lo mette neppure ai sogni, quindi siamo qui, fiduciosi!” Con mio figlio ci piace pensare alla vita come una partita a carte da giocare e 1nella quale non importa le carte che il destino ha deciso di assegnarci, bisogna lo stesso cercare tra le proprie, la carta vincente o il Jolly fortunato per giocare al meglio la propria mano, perché il valore più importante è proprio la vita! Dorotea Maria Guida
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Una figura istituita per migliorare le condizioni di vita all’interno delle carceri
Il Garante dei diritti dei detenuti
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l ruolo del Garante è quello di controllare le condizioni dei soggetti detenuti, per assicurare loro il rispetto dei diritti umani che spesso vengono meno quando i cancelli dell’istituto si chiudono alle loro spalle. La legge istituisce questa figura proprio per rispondere alle necessità di legalità e tutela dell’individuo sottoposto a restrizione della libertà. La strada da percorrere è ancora lunga; di fatto al momento sono stati istituiti unicamente i Garanti regionali, provinciali e comunali, e manca tuttora la figura centrale del Collegio. Questo organo collegiale è composto da tre membri di cui un Presidente, in carica per cinque anni senza la possibilità di rielezione. Il compito del Garante Nazionale è di vigilare sulle condizioni degli oltre 60.000 detenuti stipati nei nostri istituti di pena ma un ruolo fondamentale sarà riservato ai Garanti nominati su base territoriale, i quali dovranno analizzare con occhio attento la situazione carceraria del loro territorio di riferimento, riportando le segnalazioni all’organo centrale. Un’altra peculiarità dell’incarico risiede nella sua totale autonomia e indipendenza dagli altri poteri: il Garante può accedere a tutte le strutture del paese senza bisogno di autorizzazioni. Tra queste ai Centri d’identificazione ed espulsione (CIE), per appurare il rispetto dei diritti umani ed evitare che queste strutture diventino dei luoghi simili a Guantanamo, dove i diritti civili dei migranti rischiano di finire in secondo piano. Come riporta il sito del Ministero della Giustizia: “Il garante, difensore civico o ombudsman, è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Istituito per la prima volta in Svezia nel 1809 con il compito principale di sorvegliare l’applicazione delle leggi e dei regolamenti da parte dei giudici e degli ufficiali, nella seconda metà dell’Ottocento si è trasformato in un organo di controllo della pubblica amministrazione e di difesa del cittadino contro ogni abuso.” Dando uno sguardo oltre confine, ci si accorge di quanti paesi europei abbiano già adottato da tempo questa figura con funzioni ispettive che consistono non solo nel potere di accesso alle strutture di detenzione, ma anche nel potere di visionare tutti i documenti e di produrre raccomandazioni dirette all’amministrazione penitenziaria. Alla fine dell’anno è previsto che il Parlamento esamini una relazione prodotta dal Garante sull’attività svolta e sugli auspicati miglioramenti della condizione penitenziaria. L’organo di garanzia si adopera affinché vengano rimosse tutte quelle situazioni che inficiano la funzione rieducativa del carcere, sancita dalla Costituzione Italiana all’articolo 27 comma 3 “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Giulio Thiella Fonte: www.giustizia.it
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Approvato dalla giunta l’assestamento di bilancio 2014
ensiamo sia una buona manovra, che tiene fermi i capisaldi su cui si fonda il sistema Trentino, a partire dalle politiche sociali, ma introduce anche elementi innovativi, soprattutto sul versante del lavoro e dello sviluppo. In futuro l’uso intelligente della leva fiscale in favore delle imprese che assumono e che innovano sarà sempre più centrale, in luogo dei tradizionali contributi. Abbiamo recepito anche le richieste delle parti sociali, e in quest’ultima fase del confronto abbiamo deciso ulteriori sgravi fiscali agganciati a comportamenti virtuosi degli attori economici. Al tempo stesso abbiamo guardato alle famiglie e alle loro necessità, consapevoli che migliorare il bilancio familiare significa rilanciare i consumi e quindi, in un ciclo virtuoso, i bilanci delle aziende e quelli della stessa amministrazione. La coesione sociale, continua ad essere una priorità, così come i giovani, ai quali è rivolto un apposito pacchetto di misure. Infine, abbiamo confermato un’azione incisiva per la modernizzazione del settore pubblico, capace anche di generare risparmi che possiamo destinare allo sviluppo, e una adeguata riprogrammazione degli investimenti pubblici. Ora il disegno di legge che abbiamo licenziato passa al Consiglio e speriamo venga approvato al più presto”. Con queste parole il vicepresidente della Provincia autonoma di Trento Alessandro Olivi ha illustrato recentemente il via libera dato dalla Giunta provinciale presieduta da Ugo Rossi, all’assestamento di Bilancio 2014, dopo avere recepito alcune richieste pervenute dalle Parti sociali. La Giunta ha anche concordato con le parti sociali un nuovo Patto per lo sviluppo e il lavoro, che verrà siglato prossimamente. Il totale della spesa è di 4.489 milioni di euro, con un calo del 2,4% rispetto al 2013. La spesa totale è così suddivisa: spesa corrente 2.838 milioni di euro, spesa in conto capitale 1651 milioni, anche se quella programmabile è pari a 1.366 milioni di euro. In sintesi, le risorse destinate a contenere la pressione fiscale - una delle azioni di maggiore impatto di questa manovra - ammontano, come noto, complessivamente a 136 milioni di euro. Il totale delle agevolazioni Irap per le imprese è pari a 110 milioni di euro. L’esenzione dalla Tasi degli immobili produttivi ammonta invece ad un valore di circa 7 milioni di euro. Per i cittadini l’addizionale regionale Irpef si riduce di 0,33 punti percentuali, passando dall’1,23% allo 0,9% per i soggetti con reddito imponibile fino a 28.000 euro, per un valore di circa 14 milioni di euro complessivi. Per contrastare l’impatto della nuova disciplina nazionale in materia di tributi locali sul patrimonio immobiliare sono state stanziate inoltre risorse per circa 5 milioni di euro. Prevista infine in favore delle famiglie l’invarianza delle tariffe di maggiore impatto. Rispetto al testo iniziale sono state introdotte alcune modifiche, a seguito del confronto di questi giorni con le Parti sociali. Fra le altre, il range entro il quale concedere la ulteriore agevolazione Irap dello 0,50% per chi mantiene i livelli occupazionali è stato portato dal 10 al 5%. È stata poi introdotta una ulteriore riduzione in favore di chi mantiene i livelli occupazionali attuando staffette generazionali. Anche il range per ottenere la ulteriore riduzione dell’1,50% per chi incrementa l’occupazione stabile è stato portato da oltre il 10% a oltre il 5%, ampliando quindi la platea degli aventi diritto. Sul versante della coesione è
prevista innanzitutto l’attivazione della delega per gli ammortizzatori sociali. Verrà data attuazione al “pacchetto giovani”, per l’occupazione, rivolto a giovani fino ai 35 anni e dando priorità a quelli fino a 25 anni, e verranno adottate misure in favore delle giovani coppie nell’edilizia agevolata. Fra le altre cose, saranno introdotte misure di condizionalità nell’erogazione di sussidi pubblici, incluso il reddito di garanzia, al fine di stimolare comportamenti attivi del beneficiario, quali la ricerca attiva del lavoro e la partecipazione ad iniziative di formazione e di riqualificazione professionale. Ed ancora: la manovra contiene misure per l’accelerazione e la riprogrammazione delle opere pubbliche degli enti locali, disposizioni sul prepensionamento del personale pubblico e sulla staffetta generazionale, disposizioni per promuovere la continuità e l’offerta didattica, compresa quella relativa alle lingue straniere nella scuola, anche attraverso la stabilizzazione del personale precario. Infine, la manovra contiene disposizioni di semplificazione in materia urbanistica tra cui la semplificazione dei processi di adozione dei piani territoriali di Comunità e dei piani regolatori generali, e misure a sostegno dell’edilizia sostenibile. La manovra 2014 si colloca naturalmente in un momento ancora delicato: nonostante si registrino timidi segnali di ripresa, l’impatto delle politiche di risanamento dei conti dello Stato è pesante. Agli impegni che gravano sulle casse della Provincia per il concorso agli obiettivi di finanza pubblica nazionale si sommerà inoltre, a decorrere dal 2018, il venire meno dei gettiti arretrati definiti in sede di Accordo di Milano, che attualmente alimentano il bilancio provinciale per circa 400 milioni di euro annui. Se queste sono le prospettive di medio-lungo periodo, è chiaro che ogni sforzo dovrà essere fatto per sostenere la dinamica dell’economia locale, a cui è strettamente legata la finanza pubblica provinciale: sostenere l’economia significa dunque non solo sostenere il prodotto interno lordo e l’occupazione ma anche le risorse pubbliche da finalizzare alle politiche prioritarie in favore dei cittadini e delle imprese. Provincia e parti economico-sociali hanno concordato a questo proposito la sottoscrizione di un nuovo Patto per il lavoro e lo sviluppo: il documento conterrà misure ad ampio spettro per favorire l’occupazione e la crescita economica, per stimolare l’imprenditorialità giovanile e per saldare in maniera più forte il legame scuola-lavoro. Centrale sarà l’attivazione di strumenti di sviluppo di tipo strutturale rivolti alla qualità: qualità dell’imprenditorialità, qualità del lavoro, qualità dei servizi che il sistema pubblico deve garantire. La Provincia richiama nel Protocollo gli impegni previsti nella manovra finanziaria di assestamento per il 2014 di ulteriori interventi di riduzione del carico Irap e Tasi gravanti sulle imprese, ispirati a principi di selettività. Analoghi principi saranno alla base delle politiche di incentivazione, che dovranno premiare fattori quali gli investimenti innovativi, le iniziative ambientali o di risparmio energetico, la ricerca e trasferimento tecnologico, l’internazionalizzazione, l’assunzione di giovani e donne. Ed ancora, fra gli impegni previsti, quelli rivolti a mettere a disposizione delle imprese canali di credito alternativi a quelli bancari rafforzando gli strumenti del fondo di rotazione e dell’anticipazione dei crediti derivanti da procedure di concordato attraverso i Confidi, nonché garantendo la prossima operatività del Fondo strategico di investimento regionale.
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Olivi: “due milioni di euro in più per il Progettone”
a necessità di consolidare ed irrobustire una esperienza, unica a livello nazionale, quale è quella del “Progettone”, è ben presente a chi è chiamato ad amministrare il Trentino. Voglio dunque rassicurare chi ci ricorda le necessità legate a questa particolare forma di sostegno al mondo del lavoro la cui bontà e attualità non è mai venuta meno. In sede di assestamento di bilancio, infatti, le risorse messe a disposizione dalla Giunta provinciale per il “Progettone” passeranno dagli attuali 42,8 milioni di euro a 44,8 milioni. Due milioni di euro in più, nel contesto di un bilancio sottoposto alle cure dimagranti ben note, ci sembrano un segno netto, chiaro, preciso”. Così ha detto Alessandro Olivi, vicepresidente della Provincia autonoma di Trento cui toccano le competenze in materia di sviluppo economico e lavoro. Il vicepresidente Olivi ricorda come questo aumento di risorse consentirà l’assunzione di un ulteriore centinaio di lavoratrici e lavoratori che hanno terminato il periodo di mobilità e sono pertanto assegnati al comparto dalla Commissione Provinciale per l’Impiego. Di questi, quelli a cui mancano meno di 5 anni alla pensione, verranno assunti con contratto a tempo determinato mentre per gli altri si attiveranno contratti a termine. I lavoratori verranno assegnati sia allo
svolgimento di attività di custodia, di servizio alla persona o a supporto di attività d’ ufficio, sia in attività di cantiere per la valorizzazione e manutenzione del territorio: è il caso della manutenzione delle piste ciclopedonali, della realizzazione di parchi ricreativi o del recupero dei sentieri escursionistici. Non solo: per favorire l’assunzione di un maggior numero di lavoratori verranno estesi
i contratti a tempo determinato ed incrementata la compartecipazione alle spese da parte degli Enti beneficiari. Ricordiamo che lo scorso anno nel “Progettone” sono stati coinvolti circa 1.450 lavoratori e lavoratrici espulsi dai processi produttivi. Con le risorse messe a disposizione con la manovra di assestamento, questi valori saranno garantiti anche per il 2014.
Violenza sulle donne: un costo economico, sociale e umano di 17 miliardi
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oppio appuntamento in Trentino sul tema del contrasto alla violenza contro le donne, per iniziativa di Intervita onlus, autrice della prima indagine nazionale sui Costi economici e sociali della violenza contro le donne (patrocinata dal Dipartimento per le Pari Opportunità del Consiglio dei Ministri), in collaborazione con la Provincia autonoma. Si è svolto un workshop in Piazza Dante aperto dall’assessora alle pari opportunità Sara Ferrari, promotrice della nuova legge di settore approvata due anni fa, con l’intervento dell’assessora alla salute e solidarietà sociale Donata Borgonovo Re. Inoltre in Piazza Duomo c’è stato un evento di sensibilizzazione dedicato ai cittadini. Ma quanto costa la violenza sulle donne? Il dato nazionale che emerge dalla ricerca di Intervita, che ha stimato sia i costi economici e sociali sia quelli “umani e di sofferenza” (calcolati su un ancora purtroppo ipotetico risarcimento alle vittime, qualora ogni violenza venisse denunciata e ogni atto condannato) è di 17 miliardi di euro all’anno. A fronte di ciò, le risorse investite in prevenzione ammontano solo a 6 milioni. È approdato a Trento il tour della onlus Intervita “Le parole non bastano più”, partito il 14 febbraio per presentare, in 14 città italiane, i risultati i una ricerca sui costi della violenza sulle donne, sensibilizzare l’opinione pubblica su questo problema e promuovere una raccolta fondi. Secondo la ricerca presentata, in un anno, in Italia, oltre 1 milione di donne hanno subito violenze. 1 donna su 3 non ha confessato mai a nessuno l’abuso subito. In Trentino, come spiegato dall’assessora Ferrari, l’ultimo dato raccolto, quello del 2012, è pari a 574 denunce. A fronte di ciò, la nuova legge si è proposta di coordinare e mettere in rete tutte le iniziative e tutti i soggetti che ruotano attorno al fenomeno: enti pubblici, forze di polizia, apparati della giustizia, mondo delle associazioni. L’obiettivo è da un lato coordinare maggiormente ciò che già si fa, e dall’altro accrescere gli sforzi sul versante del sostegno alle vittime (è stata aperta fra l’altro l’anno scorso la prima casa-rifugio per donne anche con figli) e di prevenzione, con iniziative mirate che coinvolgono le scuole
del Trentino. Tutto questo nella convinzione che, come sottolineato ancora da Ferrari, “la violenza contro le donne non è un problema privato ma pubblico, che investe tutta la società e che produce, come mostrato da questa ricerca, costi anche di carattere economico, che si sommano a quelli, gravissimi, sul piano umano, emotivo, educativo”. “Innanzi tutto - ha detto in chiusura della mattinata l’assessora Borgonovo Re - voglio esprimere il mio apprezzamento per una iniziativa che raccoglie soggetti istituzionali e privati. Credo che sia particolarmente importante, anche per impostare politiche efficaci, conoscere bene fenomeni che, dopo essere rimasti sotto traccia a lungo, oggi sono più visibili nella loro drammaticità e ingiustizia. Servono poi sensibilità e capacità di affrontare questi fenomeni con un linguaggio adeguato, per diffondere la consapevolezza della loro gravità. Si deve lavorare all’interno di reti ampie perché le buone prassi possono fare da esempio. Infine si deve rispondere alle urgenze e alle emergenze senza smettere di prendersi cura della nostra comunità nel suo insieme, in un’ottica di prevenzione e di rafforzamento dei legami sociali”. La ricerca di Intervita ha messo in luce una cifra allarmante: quasi 17 miliardi di euro i costi economici e sociali della violenza. Di questi quasi 2,3 riguardano i costi “vivi” dei servizi in vario modo coinvolti (dalle spese sanitarie alle cure psicologiche per le donne abusate, ai costi della repressione e della “macchina della giustizia”, fino agli oneri che riguardano l’assistenza delle vittime e dei loro familiari e quelli derivanti dalla mancata produttività delle vittime); oltre 14 miliardi di euro invece quelli umani, calcolati sulla base di una stima che prende a riferimento i risarcimenti monetari alle vittime di incidenti stradali (e pur nella consapevolezza della grande differenza esistente fra i due tipi di fenomeno nonché nella difficoltà data dal quantificare in termini monetari le violenze e gli abusi subiti dalle donne). Ne emerge, insomma, l’equivalente di una strage in cui perdono la vita 11.000 persone o il triplo degli incidenti stradali che avvengono in un anno in Italia.
...IL TRENTINO CHE NON LASCIA SOLO NESSUNO...
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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO
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Stampa della Provincia APP realizzata dall’Ufficio “Incentivi PAT ” è la nuova imprese gli incentivi a conoscere ai cittadini e alle far r pe nto Tre di a om auton i settori pubblici ssi a disposizione dai var me che mi no eco à ivit att le sostegno delle in un unico luogo tutte ” ti darà modo di trovare PAT tivi cen “In . cia vin Pro ent della ltissimi gli inc ivi di navigazione. Sono mo a em sist e plic sem un informazioni con lti e alla tipologia isi in base a chi sono rivo div sud e i gat alo cat ti, raccol Buona Navigazione e quello più adatto a te! var tro che ta res n No d’intervento…
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Arriva la campagna informativa: “salute sul lavoro, un bene comune”
dati sulle malattie professionali forniti dall’Osservatorio provinciale per gli infortuni sul lavoro mostrano che negli ultimi 5 anni le denunce in Trentino sono in aumento (+60% circa), in particolare nel settore agricolo: nel periodo 2007-2012 sono state dichiarate all’Inail circa 1.600 casi di malattie professionali, con una media di 320 denunce all’anno. “Salute sul lavoro, un bene comune” è la campagna informativa di prevenzione delle malattie professionali promossa dalla Provincia autonoma di Trento in collaborazione con l’Inail di Trento e l’Azienda sanitaria e condivisa in sede di Comitato provinciale di coordinamento in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Recentemente, nel Palazzo della Provincia di piazza Dante, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione, con l’assessora provinciale alla salute e solidarietà sociale Donata Borgonovo Re, il direttore dell’Unità operativa prevenzione e sicurezza ambiente di lavoro dell’Azienda sanitaria Graziano Maranelli e la direttrice della sede Inail di Trento Stefania Marconi. La campagna si rivolge a datori di lavoro, lavoratori e medici e prevede, accanto a una fase informativa attraverso depliant, locandine e manifesti, incontri di formazione rivolti ai medici, alle associazioni di categoria e ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. “La promozione della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro costituisce per l’amministrazione provinciale una priorità nelle strategie di politica per la salute - ha detto l’assessora Donata Borgonovo Re. - Basti pensare che alcune malattie professionali, che avevano una grande incidenza alcuni anni fa, oggi sono notevolmente ridotte. Pensiamo ad esempio alle ipoacusie, ovvero alle malattie dell’apparato uditivo: oggi possiamo prevenirle utilizzando idonee protesi. Quindi, attraverso una serie di azioni preventive possiamo ridurre le malattie professionali, con benefici che non si limitano solo al singolo lavoratore, ma si estendono anche agli ambienti di lavoro, perché le aziende in cui i lavoratori sono sani sono maggiormente produttive, e di conseguenza all’intera comunità con effetti soprattutto sul futuro”. La maggior parte delle malattie professionali sono legate all’apparato muscolo-scheletrico, come ha spiegato il direttore dell’U.O. di prevenzione e sicurezza Graziano Maranelli: “Si tratta di circa l’80% del totale, ma va anche ricordato che ci troviamo di fronte a malattie non sempre da attribuire in modo esclusivo all’ambiente di lavoro. Vediamo inoltre che, rispetto al passato, sono rappresentate anche le donne e addirittura in alcune tipologie vi è un rapporto fra maschi e femmine praticamente paritario; infine sono evidentemente colpiti anche i lavoratori stranieri”. Negli ultimi anni inoltre, stanno emergendo alcune nuove criticità collegate ai rischi psico-sociali sul lavoro, fra cui lo stress è la patologia più diffusa: a breve l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro farà partire una campagna specifica. Infine, va segnalato che se da un lato le denunce di malattie professionali sono in aumento, dall’altro sono invece in calo gli infortuni sul lavoro: “Nel 2007 il rapporto era di una malattia professionale ogni 50 casi di infortuni, nel 2012 questo rapporto si è dimezzato, con una malattia ogni 25 infortuni - sono state le parole della direttrice dell’Inail Stefania Marconi. - Il trend in sostanza è in aumento e lo sarà a maggior ragione nei prossimi anni, con la crescita progressiva dell’aspettativa di vita delle persone”. La direttrice Marconi, che ha evidenziato la necessità di realizzare, con questa campagna, una mappatura dei rischi professionali incentrata sulla realtà trentina, ha infine ricordato le iniziative portate avanti dall’Inps di Trento, in particolare i finanziamenti messi a disposizione per le aziende che si impegnano a proporre interventi strutturali in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
L’esigenza di intervenire con misure di prevenzione delle malattie professionali non è limitata al contesto provinciale ma è sentita anche a livello nazionale e internazionale; infatti nel mondo circa l’80% dei 2.300.000 morti ogni anno sul lavoro sono causati da malattie e solo il 20% da infortuni. Dall’analisi dei dati sulle malattie professionali messe a disposizione dall’Osservatorio provinciale per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dell’Azienda sanitaria, riguardante il periodo 2007-2012, è emerso che la priorità di intervento è rappresentata dalle malattie professionali in genere, con particolare riferimento alle malattie muscolo-scheletriche. Negli ultimi cinque anni le denunce di malattia professionale in Trentino sono in aumento (+60% circa), in particolare nel settore agricolo. Il fenomeno è in linea con quanto si sta registrando anche a livello nazionale, pur con andamenti diversificati in varie regioni. Nel periodo 2007-2012 in Trentino sono state denunciati all’INAIL circa 1.600 casi di malattie professionali, con una media di 320 denunce all’anno. Anche se solo una parte delle malattie denunciate come professionali viene riconosciuta e indennizzata dall’INAIL, la dimensione del fenomeno costituisce un aspetto che merita grande attenzione per gli effetti che determina sulla salute delle persone che lavorano. La tipologia delle malattie riconosciute è cambiata sensibilmente nel corso degli anni. In particolare, mentre fino ai primi anni duemila la patologia largamente più rappresentata era l’ipoacusia da rumore (ha costituito negli anni Novanta fino al 90% delle malattie professionali denunciate), a partire dal 2004 si è osservata una crescita progressiva dei casi di malattie dell’apparato muscolo scheletrico complessivamente intese (affezioni del rachide, dei muscoli, dei tendini, delle articolazioni, ecc.). Le maggiori categorie all’interno delle malattie muscolo scheletriche sono le affezioni della colonna vertebrale, ossia il mal di schiena in tutte le sue forme e le patologie degli arti superiori da movimenti ripetitivi. I casi di ipoacusia riconosciuti sono rimasti comunque compresi tra 20 e 30 all’anno. Si tratta spesso di malattie che non riconoscono il lavoro come unica causa, ma alle quali i rischi presenti nei luoghi di lavoro concorrono in maggiore variabile assieme a fattori extralavorativi (costituzionali, legati a stili di vita, traumi ecc.). I settori maggiormente interessati dalle malattie professionali muscolo-scheletriche sono l’agricoltura (33%), l’industria (25%) e l’artigianato (21%); i singoli comparti più interessati nel periodo 2007-2011 sono le costruzioni (26%), la metalmeccanica (18%) e i servizi (10%). Anche nel 2012 (nel quale si è registrato un lieve calo complessivo) le denunce di malattie professionali dell’apparato muscolo-scheletrico sono state circa l’80% di tutte le denunce; 4 su 10 riguardano l’agricoltura (4% degli occupati). In Trentino negli ultimi tre anni le malattie denunciate come professionali sono state circa 350-400 casi all’anno mentre prima erano comprese tra 200 e 250. L’aumento delle malattie professionali è dovuto sia ad aspetti normativi (si è introdotta infatti la “presunzione legale d’origine” per molte patologie), sia a una maggiore sensibilità diagnostica dei medici, sia a una maggiore consapevolezza dei rischi professionali e della sintomatologia. La campagna interessa i settori dell’agricoltura, dell’industria-artigianato e dell’edilizia e si rivolge a datori di lavoro, lavoratori e medici; gli obiettivi sono da un lato diffondere la cultura della prevenzione delle malattie professionali e in particolare di quelle muscolo-scheletriche, dall’altro far emergere le malattie professionali quale elemento per poterle prevenire. Fra le azioni che possono essere messe in atto per prevenire le malattie professionali vi sono l’introduzione di nuove tecnologie di supporto al lavoro e la formazione dei lavoratori; in questo contesto rientra anche l’attività di formazione che l’Agenzia provinciale del lavoro eroga sulla sicurezza sul lavoro: nel 2013 sono stati organizzati 196 corsi di formazione sulla sicurezza sul lavoro con 4263 partecipanti.
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Le direttive 2014 per disabilità, salute mentale e dipendenze
a Giunta provinciale, su proposta dell’assessora alla salute e solidarietà sociale Donata Borgonovo Re, ha approvato le direttive 2014 per i servizi socio-sanitari nell’ambito della disabilità, della salute mentale e delle dipendenze, fissando i limiti di spesa e gli obiettivi di miglioramento dei servizi. Il provvedimento, in linea con gli impegni programmatici della Giunta provinciale a favore delle persone più fragili, conferma gli stanziamenti a ciò destinati, grazie al perseguimento dei possibili spazi di miglioramento e innovazione dei servizi offerti, in termini di modalità e appropriatezza di erogazione e remunerazione. Complessivamente le risorse per il 2014 ammontano a circa 22,2 milioni di euro, a integrazione di quanto garantito direttamente dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari.
Disabilità La programmazione socio-sanitaria provinciale si pone come finalità principale il superamento della settorializzazione degli interventi, nella direzione di una sempre maggiore integrazione dei diversi servizi (assistenza domiciliare, servizi residenziali, centri riabilitativi, interventi educativi, percorsi di inserimento lavorativo). In quest’ottica gli strumenti fondamentali sono rappresentati dalla valutazione multidimensionale, dalla definizione di un piano assistenziale individualizzato e dall’implementazione del punto unico provinciale di accesso. Forte l’impegno a favore della riabilitazione in un’ottica di trattamento globale e multidisciplinare (medico, psicologico ed educativo) della disabilità. Confermati pertanto gli stanziamenti grazie al concreto impegno dei gestori dei servizi e dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, nella revisione delle modalità di erogazione e remunerazione delle prestazioni avendo quali principi guida: l’appropriatezza, la sostenibilità e l’equità dell’offerta. Tra le importanti novità che tale razionalizzazione ha consentito, vi è certamente l’impegno a favore dei disturbi dello spettro autistico e l’attivazione in provincia di Trento di una risposta strutturata a favore della riabilitazione visiva. Il provvedimento odierno, tra i più dettagliati in Italia per sistematicità degli strumenti messi in campo, intende contrastare nel modo più efficace possibile la disabilità visiva grave, la quale comporta una situazione di svantaggio che può diminuire significativamente la partecipazione sociale di coloro che ne sono affetti. L’obiettivo essenziale è quello di ottimizzare le capacità visive residue al fine di mantenere l’autonomia e promuoverne lo sviluppo. Le risorse complessive ammonta-
no a circa 15 milioni di euro, di questi 12 milioni di euro rappresentano il tetto massimo di spesa per il 2014 dei tre centri residenziali per disabili, ripartiti in: 11,8 milioni di euro finalizzati alla stipula di accordi con gli enti accreditati 200.000 euro per l’erogazione diretta di forniture (farmaci, materiale sanitario, assistenza specialistica, prodotti dietetici su prescrizione servizio dietetica aziendale). Salute mentale “Senza salute mentale la salute non è possibile”(Libro Verde, UE, 2005): è a partire da tale consapevolezza che il
provvedimento approvato conferma quanto già disposto lo scorso anno dall’esecutivo provinciale. È previsto un ulteriore contenimento degli invii in strutture di accoglienza socioriabilitative extra provinciali, con un tetto di spesa annuo massimo di 550.000 euro per il 2014; di contro si evidenzia: un ulteriore miglioramento dei tassi di ricettività delle strutture sanitarie e socio-sanitarie presenti in provincia; l’impegno dell’Azienda sanitaria a rafforzare, in particolare per l’età evolutiva, il supporto ai servizi residenziali e domiciliari socioeducativi presenti in provincia di Trento e convenzionati con il servizio pubblico; una particolare attenzione all’area dei disturbi del comportamento alimentare e a una sempre maggiore compiutezza del percorso diagnostico terapeutico e riabilitativo. Fatto salvo quanto erogato direttamente dai servizi pubblici dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, le risorse individuate in questo ambito ammontano a complessivi 5,1 milioni di euro. Dipendenze Nel riprendere i contenuti e gli indirizzi delle Linee guida approvate dall’esecutivo provinciale nell’ottobre 2012 in tale area, viene ribadita la necessità di interventi di prevenzione e contrasto al crescente fenomeno del gioco d’azzardo patologico, e più in generale a comportamenti compulsivi patologici, nonché all’abuso di sostanze (alcol e droghe) con una particolare attenzione alla fascia giovanile. Anche in questo caso sono confermati i limiti di spesa dettati all’Azienda provinciale per i servizi sanitari: 1.940.000 euro per la stipula di accordi con gli enti privati accreditati; 400.000 euro per l’assistenza agli assistiti iscritti al servizio sanitario provinciale nelle strutture extra provinciali per l’area delle dipendenze.
...IL TRENTINO CHE NON LASCIA SOLO NESSUNO...
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foto Archivio ufficio stampa Pat (AgFBernardinatti)
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO
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Un progetto di solidarietà internazionale in Kenya promosso da Fondazione Fontana
Solo attraverso la comunità
“Nessuno è così povero da non poter donare, nessuno è così ricco da non poter ricevere.”
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iamo stati alla presentazione trentina del documentario “ME, WE Only through community”, nato dalla collaborazione tra Fondazione Fontana Onlus e il Saint Martin, istituzione che si occupa di sostenere e aiutare le persone più bisognose in Kenya. Il St. Martin è un’organizzazione religiosa che opera dal 1997 in una località rurale a 200 km dalla capitale Nairobi, con l’obbiettivo di integrare le categorie di persone più vulnerabili all’interno delle comunità in cui opera. Gli oltre 1200 volontari si dedicano giornalmente ad aiutare i membri più svantaggiati all’interno della loro comunità, dalle persone disabili ai bambini che vivono in strada, dai tossicodipendenti alle vittime di abusi; il Saint Martin non ha mai voltato le spalle a nessuno, perché gli eventi della vita possono portare ovunque e concedere una seconda possibilità è un atto di fede che arricchisce non solo chi lo riceve. Adottando un approccio solidale, l’organizzazione mira a rendere le persone più responsabili e altruiste verso la comunità di cui fanno parte, cercando di sensibilizzare i cittadini, fornendo loro educazione, promuovendo l’integrazione tra i suoi membri, e soprattutto formando nuovi volontari sul territorio. Il documentario nasce dall’idea di raccontare le storie di alcuni dei protagonisti di questa
realtà; le loro sono esperienze forti, toccanti, troppo spesso
segnate da povertà e ingiustizie che trovano riscatto grazie all’intervento del Saint Martin. Molti dei volontari sono entrati in contatto con l’organizzazione in quanto ne hanno beneficiato, e ciò fa nascere un sentimento di riconoscenza che spinge il singolo a fare a sua volta qualcosa per la comunità. Il titolo, “ME, WE only through community”, è molto significativo, in quanto indica la necessità che ognuno ONLY THROUGH COMMUNITY di noi si responsabilizzi nei confronti degli altri, abbandonando pregiudizi e indifferenza, per dedicarsi al prossimo MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE ore 19 e ore 21 Cinema Italia Eden, Montebelluna TV e impegnarsi ad abbattere le barriere invisibili che ci allontanano. Abbiamo conosciuto una delle proINGRESSO GRATUITO tagoniste del documentario a Trento Regia/Direction Marco Zuin Soggetto/Subject Luca Ramigni nel Novembre 2012, in occasione del Musiche/Music Piccola Bottega Baltazar convegno organizzato dall’Assessorato alla Solidarietà Internazionale e alla Convivenza, quando Grace Wanjiru accettò di uscire per la prima volta dal suo Paese, il Kenya, per raccontare al mondo la sua storia. In questo modo ci ha reso partecipi di come un aiuto, per quanto piccolo, possa cambiare in meglio la vita di una persona e la società di cui fa parte. Nel documentario viene citato un proverbio africano che ha il potere di mettere in luce l’importanza della comunità, di quell’insieme di persone che nella condivisione riscoprono il valore di contare sul prossimo. “Se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai con gli altri”. Iin senso orario: I volontari di Prodigio e Grace a Trento nel 2012. locandina me we. Una scena tratta dal documentario. Luca Ramigni, Pierino Martinelli e Marco Zuin alla presentazione del documentario. Giulio Thiella CINEFORUM V. GAGLIARDI DI MONTEBELLUNA PRESENTA
INFORMAZIONI
Cinema Italia Eden, Viale della Vittoria 31, Montebelluna - tel. 0423 604575
Una terapia all’aperto da prescrivere a tutti che appassiona e coinvolge!
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Ortoterapia
he cosa sia l’ortoterapia lo dice la profumo e dei colori delle erbe aromatiche parola stessa “curare con e delle erbe officinali con l’orto” si tratta, infatti, di una proprietà curative e benevera e propria terapia che abbina il fiche oltre che ornamentali. contatto diretto con la natura, che Basilico: ottimo in cucigià da solo fa provare benessere na per aromatizzare sughi e serenità, con tutte quelle attivie insalate (è l’ingrediente tà multisensoriali che stimolano principale del pesto alla l’olfatto, la vista, il tatto o l’udito genovese) e conosciuto ed incrementano capacità e comanche per le sue proprietà Glossario delle piante petenze. medicinali terapeutiche: stimolante, Svolgere mansioni come la semiantispasmodico, ha prona, la raccolta dei frutti, il giardinagprietà digestive, combatte gio, la sistemazione dell’orto aiuta l’alitosi, le emicranie e la tutti (e non solo i diversamente stanchezza in generale. abili), sia a livello fisico che mentale, Salvia: è usata come dea stare meglio con se stessi, con gli cotto o infuso per stimolare altri e con la natura, infatti: la digestione, e per cura stimola il movimento e favorisce re bronchite, depressione Vantaggi e benefici il coordinamento occhi-manie stanchezza. Si possono dell’ortoterapia braccia; fare gargarismi con il suo incrementa la resistenza e la decotto per le tonsilliti e le forza; infiammazioni della gola. Se unite il decotto sviluppa il movimento bilaterale delle di salvia all’acqua del bagno aiuta contro i braccia; reumatismi, e la sudorazione eccessiva. Le migliora le conoscenze, la memoria, le foglie di salvia strofinate sui denti li rendocapacità organizzative e logiche; no più bianchi. La salvia è una delle spezie rafforza l’autostima perché si vede real- più utilizzate in cucina come aromatizzante mente il frutto del proprio lavoro; per carni, pesce, minestre e verdure. favorisce la socializzazione in quanto si Timo: gli infusi di timo sono molto è inseriti in un gruppo; efficaci come calmanti della tosse e per Detto questo è chiaro a tutti che coltivare problemi all’apparato digerente (diarrea e un orto, rimuovere erbacce, annaffiare le meteorismo), per la bronchite e per disininsalate fresche o semplicemente guardare fettare piccole ferite. i pomodori che maturano sono attività In cucina è conosciuto a tutti per il suo fisiche rilassanti, che allontanano lo stress. deciso potere aromatizzante. È utilizzato Quindi perché considerarla solo una cura in numerose pietanze a base di pesce, per disabili? Fare attività all’aperto non verdure, carne, secondo le ricette tipiche deve essere solo una moda o una cura, ma delle diverse zone, in maniera più o meno un modo di vivere che permette di godersi abbondante. il sole, l’aria, gli amici e la terra, valorizzando Origano: Sparso sul cibo aiuta nelle paquello che l’umanità ha di più importante, tologie dovute ad una cattiva digestione ed cioè la natura. è utilizzato come spezia per aromatizzare Allora lasciamo i telefonini, i tablet, i com- numerose pietanze. Il suo infuso mescoputer e... al lavoro nell’orto o sul balcone, lato al vino stimola le funzioni digestive, da soli o in compagnia! allevia il mal di testa, i dolori intestinali e Di seguito trovate alcune curiosità su aiuta nei casi di raffreddore. Applicando un piccole piante da coltivare nell’orto o sul mazzetto di fiori di origano appena colto terrazzo perché è facile per tutti godere del (come cataplasma) e riscaldato è ottimo
per il torcicollo. Melissa: ha un sapore amaro leggermente acidulo può essere usata in piccole dosi per frittate, insalate fresche, carni e pesce, o per aromatizzare liquori digestivi, è nota soprattutto per la sua azione calmante. Menta: l’infuso di menta viene utilizzato per il nervosismo, disturbi intestinali e le mestruazioni. Il tè alla menta è digestivo e rinfrescante. La menta mescolata al bicarbonato di sodio e di calcio viene usata come pasta dentifricia per la pulizia dei denti e per profumare l’alito. Lavaggi con l’infuso di menta sono utili per decongestionare il viso e combattere la pelle grassa. Essiccata e sparsa nel cibo ne aiuta la digestione e se fresca può essere inserita nei liquori e ne rende particolare il sapore. Prezzemolo: si usa a scopo terapeutico come decotto, infuso o succo come diuretico e depurativo. Cataplasmi delle sue foglie sono usati per contusioni e punture d’insetti. L’infuso se utilizzato per sciacquare i capelli dopo il lavaggio li rende più lucenti. In cucina il prezzemolo è tra le piante aromatiche più comuni e si usa di solito a fine cottura per non comprometterne l’aroma. Rosmarino: oltre a dare un buon sapore e profumo alle carni è un tonico e stimolante delle funzioni gastrointestinali. E per finire una curiosità sulla Stelvia, una pianta perenne che non resiste alle gelate ma si può comunque coltivare in vaso sul balcone in una posizione soleggiata. Le foglie di questa pianta una volta seccate e ridotte ad una polverina possono sostituire lo zucchero sia nelle bevande che nei dolci, infatti, è un dolcificante a zero calorie adatto anche per chi soffre di diabete. Libri per approfondire l’ortoterapia e i suoi benefici: Hank Bruce - Introduzione all’Ortoterapia. Il giardino dei sensi. Orti e Giardini: luoghi di benessere e terapia, Macro Edizioni. Pia Pera - Giardino & orto terapia. Coltivando la terra si coltiva anche la felicità, Salani Editore Maurizio Franchi
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S O C I E TÀ
L’Angolo del filosofo
Bum. Potere di Sara!
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oi siamo le persone che incontriamo. Sembra una specie di aforisma, ma non lo è. L’ho sentito dire da qualcuno, qualcuno che certamente avrà detto e fatto cose grandi, me lo immagino. È questa, secondo me, una frase molto filosofica, e ha a che vedere con l’identità di ciascuno. È dagli incontri che facciamo ogni giorno che scaturisce una consapevolezza di una parte di noi che prima non c’era: e se sono incontri belli o brutti poco importa. Incontri rimangono. Proprio l’altro giorno la mia scalzista compagna di stanza, dopo aver vomitato tutto il pomeriggio con gli occhi a forma di cuore, mi ha chiesto lungo il Fersina di tirarla fuori dai guai invocando il mio presunto e pretestuoso “status” di filosofa. «Tu che sei filosofa - mi ha detto - fai qualcosa, agisci!». Da morirci. Io che sono filosofa, agire? Ma per chi mi ha preso? La gentilissima signorina non comprende infatti che il mio essere al mondo dipende sì da ciò che studio (anzi io sono ciò che studio, ciò che penso, ciò che credo, sennò cosa mi resta di ciò che sono? Un involucro) ma principalmente dagli incontri che faccio, dalle conversazioni che intrattengo, dai discorsi in cui vengo coinvolta, dai piccoli pezzetti del mio insulso corpo che quotidianamente si scontrano interfacciandosi con altri pezzetti dai contorni sfumati delle persone che vedo, tocco, sento. Il mio essere al mondo dipende dai confini labili che la mia anima quotidianamente ridefinisce. Sole, terra, cielo, mare. Battiti del cuore e pulsazioni accelerate. Sospiri e respiri. Ovunque si volga lo sguardo qualcosa batte all’uscio del nostro essere, qualcosa smania dalla voglia di entrare in noi, attraverso piccoli spiragli che inconsciamente lasciamo aperti. «Agisci - dice lei - fai così: “Bum. Potere di Sara!”, ecco.» Bum. Potere di Sara? In un flash poco opportuno mi sono vista in salsa Sailor Moon, con la gonnellina e tutto il resto. Visione orrenda, ma che mi ha messo il germe dell’insofferenza addosso. In effetti, la filosofia va all’agire. Deve andare all’agire. Certo, non può risolvere i problemi con un tocco di bacchetta magica (ora non ricordo che cosa usasse Sailor Moon, io sono demodé, ricorro alla Fata Turchina), ma non può nemmeno lasciare che essi marciscano al sole senza nulla fare. Filosofare è essere cittadini attivi (potrebbe essere un nuovo slogan, voglio i diritti d’autore) nel senso che è un modo di essere dinamico, un atto di miglioramento del mondo che ha molto della mistica ebraica. Un cambiamento in nome di un incontro: quello che che ho fatto con lei, Filosofia, la donna dai mille volti e dall’assennato mistero. Sara Caon
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Un problema da affrontare con consapevolezza e dialogo
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Il fenomeno dei suicidi in Val di Sole
eneralmente l’andamento dei tassi suicidari aumenta con l’età e raggiunge i valori più alti nelle fasce di età sopra i 65 anni. In val di Sole la situazione si presenta diversamente. Le fasce di età con maggior incidenza sono quelle tra i 25 e i 45 anni e tra i 45 e i 64 anni e il tentato suicidio è nettamente più alto fra i giovani. Tra il 1980 e il 2001 per ogni mille abitanti in Italia il tasso di suicidio è di 0.06. Di 0.08 in Trentino e arriva a 0,17 se guardiamo la Val di Sole. Più del doppio rispetto ai dati dell’intera regione e quasi il triplo di quelli italiani. Cifre preoccupanti che, sebbene negli ultimi anni l’andamento si sia notevolmente abbassato, rendono necessario almeno parlare della questione per quanto spiacevole possa essere. Un problema delicato e difficile da trattare, soprattutto se lo si vuole affrontare non prendendo in esame la sfera privata di chi compie questo gesto estremo, rimandandolo quindi a qualche particolare problematica individuale (ad es.: disturbi affettivi, abuso d’alcol e sostanze, schizofrenia, ecc.), ma alla società che sta intorno al singolo e che non ha evidentemente saputo rispondere ai suoi bisogni. Quali sono i motivi che, come mostrato dai dati, rendono il problema particolarmente rilevante in Val di Sole? Una bozza di risposta a questa domanda ci viene data da N. Leonardi che nel suo intervento alla giornata di studio “Perché non muoia la speranza. Il percorso in Val di Sole per la prevenzione del suicidio: una sfida da affrontare insieme”ci offre una chiave di lettura “sociale” del fenomeno, cioè spostando lo sguardo dall’individuo che compie l’atto, facendo un passo indietro, e vedendo ciò che a quel singolo sta attorno, la società appunto. Una posizione sicuramente non sufficiente e che lascia molte questioni aperte, ma senza dubbio va tenuta in grande considerazione in quanto ci aiuta a comprendere le tipicità (che anche se stereotipate nascondono senza dubbio un fondo di verità) della popolazione interessata. Per quanto la complessità del tema non possa essere
risolta in un breve articolo, e per quanto mi trovi costretto a generalizzare non poco la questione, cercherò di portare all’orecchio del lettore degli spunti di riflessione che illustrano alcune caratteristiche tipiche della comunità “solandra” (ma non solo) e che possono es-
sere inserite nella gamma delle cause di tale fenomeno. In valle è ben presente una sorta di senso di solitudine che non riguarda, come si potrebbe pensare, solo i giovani e gli anziani. Un senso che riflette fondamentalmente due caratteristiche tipiche di questa comunità, certamente legate alla sua storia e al suo modello di sviluppo, che Leonardi chiama la “fatica del dire e del comunicare” e la “sindrome del nido”. Con comunicazione intendiamo la capacità di esprimere e confrontare non solo emozioni e sentimenti, ma anche valori e ideali. Senza questa capacità, o se comunque questa si limita a una sfera ristretta, le relazioni sono carenti o comunque vaghe e poco profonde. Sono molti i “solandri” che rivelano questa fatica, è quasi un “eredità culturale” tipica di una gente riservata. Parliamo in particolare delle difficoltà dei giovani, perché sono loro che ci mostrano lo spirito innovativo e quella “spregiudicatezza” necessaria per un avanza-
mento culturale. Queste qualità sono tipicamente giovanili e sembrano come bloccate in valle. I ragazzi non sopportano di sentirsi dire che sono privi di valori, ma per loro è difficile immaginare valori che vadano oltre quelli dei loro padri. Il risultato è che quando si avverte un disagio, uno star male, o la mancanza di qualcosa o qualcuno nel proprio ambiente di vita, spesso non si sa cosa dire e a chi dirlo, anche quando il necessario bisogno di comunicare, tra i più naturali dell’uomo, si fa forte e pressante. La seconda caratteristica presente è quella che possiamo definire “sindrome del nido”, cioè l’inclinazione a rinchiudere il senso della vita dentro la realtà del piccolo gruppo, come la famiglia, gli amici, il “paes”ecc. Sono tutte dimensioni importanti capaci di contrastare l’isolamento sociale, ma c’è la tendenza a rifugiarsi dentro di esse, per la paura di confrontarsi con ciò che sta o viene da “fuori”. Non possiamo però ignorare che questi gruppi di appartenenza e di valore (famiglia, religione, ecc.) stanno vivendo oggi una profonda crisi e un mutamento. È stata posta ai ragazzi solandri una domanda: “perché ti piace vivere qui?” Una delle risposte a cui se ne aggiungevano altre di simili è stata: “Perché è una realtà chiusa, dà protezione”. Altri sostenevano di sentire questa chiusura come un vincolo dal quale liberarsi, anche se con fatica, perché l’attaccamento alla valle, più, a dire il vero, verso i suoi luoghi fisici (es.: le montagne) che verso la gente, è forte e radicato. Concludo l’articolo con un passo di Leonardi nel sopracitato intervento: “Queste sono dunque le forme, forse più visibile, cui si esprime l’isolamento della popolazione solandra: la sofferenza nella sfera comunicativa e una dimensione troppo delimitata dell’appartenenza. E sicuramente anche da qui ha origine un malessere, dal non riuscire a dar voce e respiro a potenzialità e risorse che certamente esistono, ma che troppo spesso devono uscire, andare via, per potersi liberare”. Daniele Biasi
Non puoi aiutare chi non vuole essere aiutato
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Ho amato un tossicodipendente
n molti pensano non esista differenza tra un drogato e un tossicodipendente, e la maggior parte di coloro che la pensano in questo modo non definirebbero mai sé stessi drogati. La verità è che un drogato è chiunque si sia sottoposto all’azione di una qualsiasi sostanza stupefacente; non importa se sia successo una volta o mille, se l’effetto sia durato cinque minuti o l’intera notte, il fatto è che qualunque organismo abbia assunto una droga risulta ed è definibile drogato per il lasso di tempo in cui questa è rimasta in circolo. Vivrò in un brutto posto, avrò scelto le compagnie sbagliate, sarò io in errore, eppure vi giuro che in ventotto anni ho visto più drogati di quanti avrei voluto. Gran parte di loro fortunatamente oggi sono sposati, magari con figli, e hanno superato quel periodo che in molti attraversano in cui tutto va provato, in cui bisogna sempre esagerare, in cui fare la cosa sbagliata “fa figo”. Sono cresciuti, maturati, hanno passato la loro fase trasgressiva trovando la forza di chiuderla definitivamente con un punto, hanno fatto in modo che una fase non diventasse una vita intera. Ed ecco che arriviamo al tossicodipendente. Il dizionario definisce tossicomane una persona dedita all’uso di sostanze stupefacenti, e tossicodipendente colui che ha raggiunto un grado tale di intossicazione da non potere più, biologicamente, fare a meno della droga, e che per procurarsela può anche ricorrere ad azioni delittuose e farsi a sua volta spacciatore di droga. Queste definizioni sono certamente veritiere, ma largamente incomplete. Un tossico annienta se’ stesso e chi lo circonda. Un tossico distrugge la sua vita pezzo per pezzo un giorno dopo l’altro. Un tossico è un bugiardo patologico. Persone di questo genere spengono i sentimenti, lentamente, senza accorgersene, senza riconoscerlo mai nemmeno davanti all’evidenza.
Si allontanano dalla realtà sempre più dopo ogni tiro di coca, dopo ogni fumata, dopo ogni volta in cui hanno scambiato il giorno per la notte e viceversa. Uomini e donne, indistintamente, perdono amore, orgoglio e dignità esclusivamente per una dose o busta in più. Non sono una tossicodipendente, non lo diventerò, non vorrò mai esserlo, ma ne ho amato uno a tal punto che il mio desiderio di aiutarlo ha distrutto la mia vita, ha cancellato la mia sicurezza, ha reso nullo il mio amor proprio. Lui mi ha lacerata, e solo ora, dopo tanto tempo capisco che la colpa non è mia se non sono riuscita a salvarlo, ad aiutarlo, a tirarlo fuori da quel buco nero in cui si è rifugiato per anni, o addirittura decenni. Non puoi aiutare chi non vuol essere aiutato, per quanto ti sforzi, per quanto tu gli stia vicino, per quanta ragione tu possa avere, la droga vincerà sempre su chi non vuole ammettere di avere un problema, una dipendenza. Per tutto il tempo in cui sono stata con lui ho domandato a me stessa ogni santo giorno come potesse scegliere la droga davanti a me, a noi, al nostro amore; impazzivo, soffrivo, biasimavo me stessa perché non riuscivo a capacitarmene, ad accettarlo, a farmene una ragione. Incolpavo me stessa, mi sentivo inadeguata, cercavo nella mia persona mancanze e difetti che lo spingessero a farsi ancora. Soffrivo. Soffrivo immensamente. La colpa non era mia, non lo è mai stata. La colpa in queste situazioni è di chi non accetta e non riconosce la propria dipendenza, di chi minimizza il problema, di chi mente a se’ stesso raccontandosi che può uscirne quando e come vuole, di chi distrugge la propria vita per quella misera polverina bianca che distrugge la parte migliore delle persone. Ho amato un tossicodipendente, forse lo amavo ancora quando l’ho lasciato, ma ho
smesso di chiedermelo quando ho capito che non voleva essere aiutato. Sembrerò egoista: tra lui e me ho scelto me! Desiderare di aiutare chi ha questo tipo di dipendenza è lodevole ma si arriva ad un punto in cui ci si rende conto che non ce la si può fare senza collaborazione dall’altra parte, e soprattutto senza il sostegno di persone competenti. Chi non riconosce di essere tossicodipendente difficilmente accetterà di farsi seguire passo dopo passo in una riabilitazione e quasi mai si rivolgerà a strutture adibite appositamente per risolvere questa problematica. Magari vi prometteranno di farlo, vi asseconderanno, ma troveranno sempre una scusa per eludere ogni promessa e ogni impegno preso. La verità è che io non avevo i mezzi per risolvere la sua dipendenza, solo lui li aveva, il primo dei quali è sicuramente la volontà di farlo. Il secondo potrebbe essere l’umiltà di ammettere di avere un problema, e a seguire l’impegno di accettare il sostegno di persone competenti nell’ambito. Ho amato la parte di lui che la droga non aveva ancora intaccato, ho amato ciò che avrebbe potuto essere, ho amato ciò che avremmo potuto essere insieme. Amavo l’idea che avevo di noi, che poi ho capito essere lontanissima dalla realtà. A volte mi ritrovo ancora a pensare che se non avessi mollato la presa magari ce l’avrei fatta a tirarlo fuori da tutto quello schifo, ma abbandono in fretta quel pensiero perché ancora mi lacera dentro e mi concentro sulla scelta che ho fatto, quella che ritenevo giusta dopo tanta sofferenza: ho scelto me stessa. Ripeto, non si può aiutare chi non vuol essere aiutato, e nel tentativo di farlo il rischio è quello di perdere se stessi, e, a mio parere, non ne vale la pena. Raffaella Nichòl Campaniello
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AMBIENTE
Gli autori del libro Andrea Tomasi e Jacopo Valenti raccontano “il Trentino che non ti aspetti”
L
a tutela ambientale talvolta viene messa in secondo piano, dalla politica e a volte dai mezzi di informazione. Ma se l’ambiente gode di buona salute questo beneficio si riflette anche sulla vita di tutti, in caso contrario si devono affrontare nuove forme di disagio legate ad inquinamento di aria, acqua e suolo. Questo influisce immancabilmente sul nostro stile di vita e, nei casi più gravi, intacca il diritto alla salute. La farfalla avvelenata (Città del Sole Edizioni, 2012), apre una breccia nell’immaginario trentino: una provincia dove l’ambiente appare protetto e l’amministrazione sempre buona. Racconta di come, per anni, è stata gestita una fetta dei rifiuti, anche pericolosi, provenienti da altre regioni italiane. Un libro inchiesta con elementi inediti, basato sulla ricerca e la lettura di atti processuali, intercettazioni telefoniche e ambientali. Il tutto intrecciato con la cronaca locale, i retroscena politici di questa terra baciata dall’autonomia. Si parla anche della reazione della gente, dei comitati cittadini. Si legge del sito di cava Zaccon a Roncegno, della cava di Sardagna a Trento e dei fumi dell’acciaieria di Borgo Valsugana, oltre che delle discariche in Val di Sella. Da dove nasce l’esigenza di raccontare la gestione dei rifiuti in Trentino? Dalla voglia di raccontare bene le cose: non sempre su un quotidiano si riesce, per motivi di tempo o spazio, a sviluppare o analizzare determinate tematiche. Ci ha spinto la voglia di raccontare i fatti, vista l’importanza delle indagini della Procura di Trento, iniziate nel 2007 con degli strascichi che arrivano anche fino ad oggi. Attraverso il giornale, un filone così, rischiava di dissolversi tra colpi di scena e smentite. Se questo libro ha un merito, è quello tenere alta l’attenzione sull’argomento, che altrimenti rischia di cadere nel dimenticatoio. Il lavoro sulle fonti è la parte fondamentale di un’inchiesta. Come lo avete affrontato? Abbiamo letto tutti gli atti giudiziari, incrociandoli poi con la cronaca di quel periodo, delineando non solo la cronistoria dei fatti, ma anche alcune informazioni inedite che non sono comparse sulla stampa. Ad esempio vi sono intercettazioni giornalisticamente molto interessanti che danno la misura di quello che è successo, sta succedendo e rischia di succedere. Volevamo pure raccontare di un certo modo di governare per mostrare i meccanismi che si celavano dietro alla gestione dei rifiuti da parte di pezzi di amministrazione pubblica e di una certa imprenditoria. Per questo era indispensabile riportare atti e intercettazioni, un approccio oggettivo in cui crediamo molto. Entrando nel vivo della storia, quali sono i casi che avete analizzato e in che modo ne avete avuto notizia? Parliamo di cava Zaccon, quindi dei rifiuti potenzialmente tossici depositati a Marter di Roncegno; parliamo della cava di Sardagna, sopra Trento e dei fumi dell’acciaieria di Borgo Valsugana. Era importante raccontare questa vicenda, che rappresenta il primo caso di contestazione di traffico dei rifiuti in Trentino. C’è stato un primo grado abbastanza rapido, visti i tempi generali della giustizia italiana, e così pure l’appello. Sono state evidenziate e confermate le modalità con cui è stato organizzato questo traffico, sia dal punto di vista della falsificazione delle analisi, che dello stile nel trasporto di questi rifiuti. Questo modello, fatte ovviamente le debite proporzioni, è lo stesso che troviamo in tante altre realtà italiane e estere. Quindi, se ci
La farfalla avvelenata
viene chiesto perché era importante raccontarlo, noi rispondiamo: perché il Trentino è stato per un certo periodo di tempo una discarica per il Nord Italia. Da chi è stata promossa l’indagine giudiziaria? Uno dei dati significativi di questa inchiesta è rappresentato dalla collaborazione tra il pm Alessandra Liverani della Procura di Trento con il Corpo Forestale dello Stato. È importante sottolineare che, pur avendo il Trentino un proprio Corpo Forestale Provinciale con persone competenti, le segnalazioni arrivate dai cittadini di Roncegno allarmati dagli odori che provenivano da Monte Zaccon e dal giro sospetto di automezzi pesanti, sono cadute nel vuoto e nessun ente provinciale si è attivato. Solo grazie ad un ispettore del Corpo Forestale dello Stato che vive in Trentino qualcosa si è mosso e il Nucleo Investigativo della Forestale
e gli elementi chimici ritrovati nelle biopsie di alcune persone residenti in Valsugana. Un problema per la salute quindi potrebbe esserci. Qual è la situazione del sito di Sardagna? Per Sardagna era in programma la realizzazione di un’area verde con giochi per bambini. In realtà esiste una determinazione del Comune di Trento che sostanzialmente dice che le cose rimarranno come sono e che non ci sarebbero criticità ambientali evidenti. Da quello che aveva detto l’assessore comunale all’ambiente
In senso orario: Andrea Tomasi e Jacopo Valenti, autori del libro La farfalla avvelenata. La copertina del libro. Intervento del Corpo Forestale dello Stato. Sopralluogo in Val di Sella.
dello Stato è riuscito, sulla base delle stesse segnalazioni, a sollevare il coperchio e a scoprire i veleni. Sul punto era intervenuto anche l’allora capo della Procura di Trento, Stefano Dragone, il quale aveva evidenziato l’atteggiamento da parte delle istituzioni pubbliche e degli organi di controllo provinciali che avevano ricevuto le segnalazioni senza però darvi seguito. C’è stato forse un problema di comunicazione? Un cortocircuito che non ha fatto attivare i controlli da parte dei controllori provinciali? Noi, senza commentare la vicenda, e questo ci teniamo a precisarlo, abbiamo riportato solo i fatti e la cronaca. Volevamo essere inattaccabili mettendo in luce alcuni aspetti su cui il lettore può costruirsi una sua opinione. Dagli atti che avete visionato risultano rischi oggettivi per la salute e l’ambiente? Ci sono rischi potenziali e alcuni sono effettivamente comprovati, come il caso della presenza di cromo esavalente trovato a seguito di analisi in Val di Sella. Non è un elemento che esiste in natura e questo vuol dire che qualcuno lo ha portato là. È una sostanza pericolosa che non è certo finita per caso sotto i prati di quella valle. È una conseguenza di politiche poco attente degli anni ‘70 e ‘80. Ora, a trent’anni di distanza, ci ritroviamo con la presenza di sostanze inquinanti nei corsi d’acqua, dove nuotano le trote che poi ci mangiamo, nel latte materno e nelle pecore. Fatti che, quantomeno, dovrebbero aprire un dibattito serio. Le ultime analisi promosse dai comitati cittadini rivelano che c’è una correlazione tra i fumi emessi dai camini dell’acciaieria
Michelangelo Marchesi nel corso di un incontro avvenuto proprio a Sardagna nell’aprile 2013, vi sarebbe stata anche la possibilità di trasformare la cava in discarica e lasciare tutto il materiale lì. Ma ricordiamo che negli anni nell’area sono stati scaricati residui e prodotti di lavorazione industriale, con presenza di metalli pesanti e non solo. Materiali che venivano sia dal Trentino che da fuori Provincia. Nessuna delle imprese che gestiva i rifiuti può essere incolpata e così è risultato dai procedimenti, perché controllare che tutto fosse fatto a norma era compito degli intermediari. Per quanto riguarda invece l’acciaieria di Borgo Valsugana, ci sono stati dei patteggiamenti e sono state pagate delle multe, ma per quanto riguarda gli sforamenti delle emissioni sembra che stiano continuando. È quello che sostengono i comitati, secondo i quali, dal 16 settembre 2013 all’11 marzo 2014, in soli 66 giorni di lavoro, si sarebbero verificati 261 eventi di emissioni diffuse, 214 eventi di illecito sollevamento polveri e 4 eventi di esplosioni nel box scoria. Ma perché questa situazione riguarda direttamente il Trentino? È principalmente il risultato di politiche industriali degli inizi anni ‘70, anni in cui non c’era una cultura ambientale come c’è adesso. Nel libro non affermiamo che l’acciaieria deve chiudere. Facciamo solo notare che oggi ci sono nuove competenze, tecnologie e risorse per tutelare sia il diritto al lavoro che quello altrettanto sacrosanto alla salute e alla tutela
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dell’ambiente. Viviamo il risultato di anni in cui non ci si rendeva conto dei rischi per il futuro e, come ha dichiarato il Sindaco di Borgo Fabio Dalledonne, ogni volta che si scava sul territorio comunale si riporta alla luce “roba”, che è frutto di quelle scelte e di una legislazione all’epoca a dir poco farraginosa. È importante tutelare il territorio, le biodiversità e l’ambiente non solo per ragioni economiche o per ostentare un Trentino da cartolina, ma per le generazioni future. Quello che lasceremo sarà la cosa più importante. Parliamo di rispetto del nostro territorio e di difesa della nostra salute. Oggi la società sembra abbastanza matura per avere una coscienza ambientale alta e questo non vuole necessariamente dire essere ambientalisti radicali o militanti, ma semplicemente raggiungere una maturità di cittadini degni di questo nome, che si attivano per affrontare problemi che li riguardano da vicino. A chi va il merito di questa vicenda, e secondo voi si può riporre speranza nella presa di posizione di una cittadinanza attenta e attiva? La politica, e questo lo riportiamo nel libro, tende sempre a tranquillizzare, a smorzare i toni, salvo poi essere smentita dai dati raccolti dai comitati cittadini. Un grande merito va riconosciuto proprio a quelle persone che hanno trascorso ore ad analizzare le carte e ad interpellare esperti e medici. Hanno realizzato filmati e hanno investito soldi di tasca propria per fare le analisi privatamente. Questo ci dice che quando i cittadini si attivano e si muove la cosiddetta “democrazia dal basso”, forse è il caso di rispettarli e ascoltarli. Anche perché nei casi citati i comitati si sono sempre presentati con i dati in mano e con una preoccupazione certamente motivata. Quale risonanza ha ricevuto la “Farfalla avvelenata”? Abbiamo fatto tanti incontri sul territorio e la cosa bella è che veniamo contattati un po’ da tutta Italia. Il libro è uscito a dicembre 2012 e alcuni librai ci hanno detto che c’è a ancora “l’onda lunga”. Siamo stati a Milano, a Belluno, a Pedavena, e a fine marzo saremo ospiti dell’Università di Padova, quindi siamo molto contenti. Un ringraziamento particolare va a Claudio Sabelli Fioretti, che ci ha fatto l’onore di scrivere la prefazione, in cui si pone l’accento su un’autonomia che non è stata in grado di autolegittimarsi nell’affrontare “la questione rifiuti tossici”, almeno per quanto riguarda le inchieste e i fatti che raccontiamo. Il libro è stato segnalato anche sulla stampa nazionale, ad esempio dal “Fatto Quotidiano”, dall’”Huffington Post” e da “Repubblica”. Ringraziamo anche i comitati che ci hanno aiutato con le presentazioni. Per fortuna c’è ancora qualcuno che quando legge queste cose si appassiona, ne parla e si attiva come cittadino. È la prova che un’informazione fatta in un certo modo dà i suoi frutti. Ci sono state conseguenze o particolari risvolti dopo l’uscita del libro? Noi siamo giornalisti. Raccontiamo semplicemente le cose. È cronaca pura. Certo... poi c’è qualche puntura d’ago, uno stile di scrittura che serve a rendere la lettura fruibile a chiunque. Il Trentino, va detto, è in generale un territorio sano. Esistono comunque delle criticità che non si possono nascondere sotto il tappeto. Bisogna mostrare e contrastare certe dinamiche legate più al clientelismo e alle conoscenze che alla qualità dei progetti. Un buon punto di partenza è anche accettare le critiche e i consigli aprendosi al dialogo con chi è più esperto o informato. Come ha scritto il giornalista Franco De Battaglia, è la presunzione il virus dell’autonomia. Questa presunzione si concretizza anche non accettando o tollerando con difficoltà le critiche. Lorenzo Pupi
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