BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO I - FEBBRAIO 2017 - ANNO XVIII - 100° NUMERO PUBBLICATO
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PROGETTO DI GIORNALE Accessibilità e inclusione non riguardano solo le barriere fisiche, ma un nuovo modo per rendere la società più partecipata pagina 3
Stivali nel fango
L’ex parco del Salé torna a vivere grazie all’impegno degli abitanti che lo hanno strappato all’abbandono
Cooperativa sociale Fai, famiglia anziani e infanzia. Quasi 35 anni di storia e presenza sul territorio pagina 4
Immagini di solidarietà e soluzioni di convivenza tra le macerie di Amatrice. Reportage dall’epicentro del sisma pagina 11
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numero 100! oltre ogni [
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Siamo giunti al 100° numero di pro.di.gio. e per l‘occasione dedichiamo questa uscita alla nostra guida Giuseppe Melchionna, a tutti quelli che hanno collaborato con noi dal ‘99 ad oggi e in generale a chi crede in una società sempre più inclusiva, affrontando quotidianamente barriere fisiche o culturali, sapendo cogliere con consapevolezza nuovi orizzonti di possibilità.
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Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento . Contiene I.R.
Riqualificazione del Giardino Langer
Esperienze di innovazione sociale
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L’importanza di tornare a parlare delle barriere
IN EVIDENZA
Per non dimenticarti mai..
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Siamo giuntial 100° numero di pro.di.gio. e per l‘occasione dedichiamo questa uscita alla nostra guida Giuseppe Melchionna, a tutti quelli che hanno collaborato con noi dal ‘99 ad oggi e in generale a chi crede in una società sempre più inclusiva, affrontando quotidianamente barriere fisiche o culturali, sapendo cogliere con consapevolezza nuovi orizzonti di possibilità.
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Piergiorgio Cattani di Unimondo.org ci ricorda di non abbassare mai l’attenzione sul tema della disabilità e di come oggi più che mai serva scavalcare i pregiudizi
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Accettare i limiti per superare le barriere
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Giuseppe Melchionna ci ha lasciati e Graziella Anesi della Cooperativa Handicrea ci ricorda il suo spirito e il suo impegno che oggi continuano a vivere nel lavoro di sensibilizzazione di tante persone che credono nell’inclusione sul territorio.
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oltre ogni barriera...
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EDITORIALE OLTRE OGNI BARRIERA
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pro.di.gio.
N Posa della targa “Casa Giuseppe Melchionna” alla presenza di storici amici e collaboratori
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on è facile scrivere delle cose su qualcuno che non c’è più. Da una parte non ti sembra ancora vero che quel “più” sia un “per sempre”, dall’altra rivedi come in un film i momenti condivisi e ti chiedi se sono davvero esistiti.
Servizio MuoverSì, confrontandosi con i vari servizi tecnici e politici delle istituzioni. Lui, che uscito da La Ruota ha fondato questo giornale, c’è sempre stato, seguito da collaboratori, volontari del Servizio Civile e da Luciana, una figura discreta ma presente che a volte gli ho invidiato…!
Io e Giuseppe Melchionna ci siamo conosciuti alla fine degli anni ’80: un periodo in cui il sociale, inteso come partecipazione ai problemi degli altri, è quasi esploso in ogni Negli ultimi tempi le occasioni di sentirci anche solo forma. Stava nascendo la consapevolezza che asProprio la al telefono sono state rare e l’ultima volta che ci siasieme si possono fare e affrontare tante cose. Nel mobilità, mo incontrati al Comitato MuoverSì avevo percepito 1977 grazie a Don Dante Clauser nacque il Punto sentita come una grande fatica fisica a partecipare alla riunione. d’Incontro che a parer mio diede il vi a molte realesigenza pri- Che dire? Mentre raccontavo questo a qualcuna deltà cooperative attraverso quella dinamica positiva le collaboratrici di HandiCREA rivivevo le fasi di una maria, fece di esempio concreto che successivamente fece del piccola ma importante trasformazione della quotidiaTrentino un modello riconosciuto da più parti. Così, “inventare” a nità che ha visto cambiare le cose nella nostra provinassieme a cooperative dedicate all’accoglienza e Giuseppe e ad cia per quanto riguarda la disabilità. Oggi sembrano all’aiuto per persone in difficoltà, spuntarono realtà altri pionieri scontate le fermate dell’autobus adattate, i percorsi in cui, per la prima volta i destinatari, ma anche i pro- suoi amici la accessibili o il trasporto attrezzato. Oggi possiamo tagonisti, erano persone con disabilità. Cooperative Cooperativa dire che lo sono, ma non è così da sempre e non è come La Rete, SAD, FAI, La Ruota, Alpi, affronta- La Ruota: era detto che se calerà l’attenzione e l’impegno di coopevano, seguendo ognuna un proprio obiettivo, i biil 1989. rative e associazioni, cittadini e istituzioni lo saranno sogni dei disabili: sostegno alle famiglie, assistenza, ancora. mobilità, inserimento lavorativo, ecc. Proprio la mobilità, sentita come esigenza primaria, fece “inventare” a Giuseppe e ad Per questo, il maggiore riconoscimento e, vorrei dire, ringraaltri pionieri suoi amici la Cooperativa La Ruota: era il 1989. ziamento a chi come Giuseppe si è speso in battaglie per A conseguenza degli incontri soprattutto con il Tavolo di La- tutti è quello che altre persone portino avanti con lo stesvoro voluto dall’assessorato alle politiche sociali del Comune so slancio questi temi. Certo, sono cambiati i tempi, i modi e di Trento e coordinato dalla Dott.ssa Renata Poli, si è formato gli strumenti per poterlo fare, ma è necessario non abbassare e coeso un gruppo che, con molta pazienza e qualche scon- la guardia della responsabilità anche e soprattutto da parte tro, ha costruito risposte concrete per l’assistenza domiciliare, di coloro che sulla propria pelle vivono esperienze analoghe. i trasporti pubblici, le barriere architettoniche ed, infine, il Graziella Anesi
Proprietà: Associazione Prodigio Onlus Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Sito Internet: www.prodigio.it E-mail: associazione@prodigio.it Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana).
Direttore responsabile: Francesco Genitoni. Redazione: Luciana Bertoldi, Carlo Nichelatti, Lorenzo Pupi, Giulio Thiella, Alessandro Vanin, Martina Dei Cas, Maurizio Menestrina. Hanno collaborato: Graziella Anesi, Piergiorgio Cattani, Massimo Occello, Fabio Pipinato, Alessia Vinante, Camilla Di Pace, , Fabiola Motta, Chiara Soma, Maria Diletta Lazzarotto, Angela Margoni, Tenzin Khando Khoryakbaro, Roberto Madinelli In stampa: 1 febbraio 2017.
on è un tempo semplice per parlare di abbattimento “Molte barriere ce di muri, confini, ostacoli per una migliore convivenza le costruiamo noi, umana. Tutto sembra dire il contrario. Eppure la nostra società, il nostro benessere, forse la nostra pensando di essere stessa vita dipendono dalla capacità di aprirsi agli altri. realisti. Pensando A livello esistenziale, come vorremmo comportarci che gli altri siano di fronte al futuro, alle nuove generazioni? Che cosa vorremmo trasmettere? L’opposto di una certa mentalità quasi sempre nemici, contemporanea che oggi sembra vincente. Vorremmo pensando che per insegnare la solidarietà e l’accoglienza; l’uguaglianza difendersi occorra e la dignità per tutti; la partecipazione e l’impegno. Vorremmo sognare una vita in grado di avere tante relazioni affidarsi agli eserciti o costruttive, a prescindere dalle condizioni della persona alle polizie. che abbiamo davanti. Nessuno è così povero da non poter dare nulla, nessuno è così ricco da bastare a se stesso. Non è buonismo. “Molte barriere ce le costruiamo noi, pensando di essere realisti. Pensando che gli altri siano quasi sempre nemici, pensando che per difendersi occorra affidarsi agli eserciti o alle polizie. Pensando che la realtà è questa: i forti (meglio, i violenti) prevalgono, i deboli soccombono. Le barriere devono rimanere, perché in fondo è impossibile cambiare qualcosa. “ Chi frequenta il mondo della disabilità (utilizziamo qualsiasi altra parola, ma ci riferiamo alla stessa cosa) sa benissimo che la realtà è diversa da quella che appare. La conosce più in profondità. Riesce ad andare oltre le barriere dell’apparenza, le gerarchie consolidate. Perché sa che oltre le difficoltà, oltre la sofferenza, ci sono persone desiderose di dare qualcosa al prossimo, alla comunità. Di dare quel poco che hanno. E che di colpo, improvvisamente, diventa tanto, tantissimo. Un tempo i disabili venivano tenuti chiusi in casa. Anche esteticamente era meglio non vederli. Il progresso civile della società ha accompagnato “l’uscita” dei disabili dall’ambiente asfittico che prometteva di proteggerli. Il cammino compiuto verso una possibile piena cittadinanza dei disabili dimostra che è possibile superare ogni tipo di ostacolo. Ma ci vuole prima un passo interiore. La consapevolezza di essere uomini implica necessariamente l’accettazione dei propri limiti. Fin dalla nascita, fin dal sorgere della nostra esistenza, dipendiamo da qualcuno. Nessuno è un’isola. Nessuno può rivendicare una libertà assoluta. Siamo limitati. Questo è il vero realismo: pensare che soltanto in compagnia degli altri possiamo diventare noi stessi. In questo sta il primo, inevitabile, superamento della barriera mentale che ci fa credere di poter essere soli al mondo. Accettare
il limite della nostra costitutiva incompletezza è la condizione per rompere il guscio che ci tiene prigionieri. Per vivere dobbiamo uscire, scavalcare appunto le barriere. Aiutare gli altri a farlo insieme a noi. Piergiorgio Cattani
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iviamo in un momento storico particolarmente difficile e allo stesso momento meraviglioso per le scelte che ci attendono. Si alzano ogni giorno nuovi muri e barriere, veri e propri ostacoli alla vita e allo sviluppo di un’umanità più consapevole e attenta agli errori del passato. Battaglie per i diritti che si pensavano ormai risolte, spuntano sotto mentite spoglie e si nascondono tra le pieghe del disagio, nella solitudine degli individui. Dobbiamo dunque tenere alta la buona informazione, cercando di stimolare nelle persone la voglia di partecipare, di condividere esperienze concrete e utili al continuo cambiamento della nostra identità. Noi cerchiamo di farlo dal 1999 grazie all’imput che diede Giuseppe Melchionna dando spazio a storie e persone che vivono o superano un disagio. Per l’occasione del centesimo numero della nostra rivista vogliamo ricordare quanto fatto in passato per stimolare il presente: leggerete molti punti di vista su questioni concrete della vita grazie ai contributi di protagonisti del sociale: storie di accessibilità, di partecipazione, di inclusione e di riqualificazione degli spazi e delle esperienze. Il mondo del sociale non è mai stato preso più in causa di adesso, tra trasformazioni, innovazioni e necessità di cambi di mentalità. Ma una cosa è certa: secondo noi non ci si può più esimere dal concretizzare promesse fatte nel passato, azioni che devono essere ora messe in campo per rendere le nostre società e i nostri spiriti davvero inclusivi. L.P.
Abbonamento annuale (6 numeri) Privati €15,00; enti, associazioni e sostenitori €25,00 con bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT 67G 08304 01846 000046362000 intestato a “Associazione Prodigio Onlus” presso la Cassa Rurale di Trento indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”
pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | FEBBRAIO 2017 - n. 1
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ESPERIENZE D’INNOVAZIONE SOCIALE A TRENTO Qual è la soddisfazione più bella che si è portato a casa in questi 5 anni in FAI? L’aver salvato i posti di lavoro di soci e dipendenti. Nel 2011 la cooperativa era in seria difficoltà. Mancavano sia la pace sociale sia l’equilibrio di bilancio. Abbiamo trovato insieme una soluzione. I soci hanno compreso, sono diventati responsabili, arrivando ad autotassarsi lo stipendio. In due esercizi abbiamo risanato il bilancio, correggendo i comportamenti d’ostacolo. Ora offriamo lavoro a giovani consapevoli ed impegnati.
L’Intervista Massimo Occello Presidente Cooperativa FAI Come e perché è nata la vostra cooperativa? FAI è la cooperativa sociale più antica di Trento che si occupa di servizi per le famiglie e di anziani non autosufficienti. Siamo nati 34 anni fa dalla volontà di 14 donne di costruirsi un lavoro per emancipare sé stesse e arrotondare il bilancio familiare, senza perdere la vocazione alla cura delle persone più vulnerabili.
Qual è la vostra attività principale? Ci occupiamo ancora di persone, con un particolare focus sugli anziani. Siamo nelle case di circa 350 famiglie. Attualmente abbiamo due linee di intervento pubblico: la prima per attuare le politiche di welfare del Comune di Trento, la seconda, più “medicale”, in collaborazione con l’Azienda provinciale per i servizi sanitari, eroga le cure palliative (fine vita), l’assistenza domiciliare integrata (i casi complessi) e si occupa delle demenze. Una grande sfida consiste nell’assistere in casa i malati di Alzheimer. Crediamo che il benessere delle persone e della comunità si possa costruire ripartendo dal basso, ricucendo i rapporti di prossimità, che sono l’ossatura della tradizione sociale e della cooperazione trentina, e siamo orgogliosi delle relazioni tra i nostri dipendenti, i volontari, pezzi di vicinato e utenti dei servizi. Da sempre promuoviamo l’occupazione femminile, con 115 donne su 125 operatori, e l’integrazione degli stranieri, che costituiscono il 55% del nostro personale. Gestiamo poi il Centro diurno di Ravina-Romagnano, pieno di attività ludiche, teatro, musica e poesia. Ci occupiamo infine dell’assistenza dei sacerdoti anziani ospiti della Casa del Clero presso il seminario maggiore di Trento e dell’infermeria dei frati Francescani.
Massimo, Lei presiede FAI dal 2011, ma per un uomo con un curriculum come il suo, con una lunga carriera al Viminale prima e presso l’Autostrada del Brennero poi, quanto è stato difficile interfacciarsi con il mondo del non-profit? Difficile non è l’aggettivo che userei per descrivere questo passaggio. Ho cominciato la mia vita professionale da allievo ufficiale in Polizia e credo che, per conoscere il volto di una città, bisogna percorrere le sue strade di notte e stare vicino alla gente semplice. Penso che le cose si possano cambiare solo dal basso, costruendo una solida rete di rapporti sociali da cui nessun cittadino rimanga escluso. Creando consapevolezza e responsabilità. Con quest’idea in testa ho vissuto la mia vita pubblica anche da funzionario di Prefettura e retto per 11 anni la direzione dell’Autostrada del Brennero, che è una “strana” società per azioni. A partire dalla metà degli anni ’90, quasi tutti gli utili dell’autostrada (per l’84% di proprietà pubblica) sono stati reinvestiti nel Traforo di base del Brennero. Pochi dividendi e molto “servizio”. Certamente operavo nel mercato, ma non ho mai smesso di essere un uomo delle istituzioni, con uno sguardo attento al sociale.
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Cooperativa F.A.I. Via Gramsci 48/a-50/a 38123 TRENTO
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E la sfida più grande che ha dovuto affrontare? Questa sfida è in corso. Si tratta di generare un cambio culturale, che educhi la cooperativa ad offrire un’ampia scelta di servizi privati alle famiglie. Servizi di qualità a prezzi onesti, che vengano dal nostro territorio. Oltre a questo, servono servizi a basso costo per i meno abbienti. Un nuovo welfare vincente non può prescindere, a mio parere, dalla corretta sinergia di tre distinti ingranaggi: il mutuo aiuto, i volontari e l’organizzazione professionale. Con le Istituzioni garanti. Si tratta di “contaminare” pubblico e privato inventando servizi capaci di generare valore, occupazione e prezzi sostenibili. In Trentino gli anziani crescono del 2.5% ogni anno e si registrano meno nascite, ma le risorse per fronteggiare il progressivo invecchiamento della popolazione non possono aumentare. Dobbiamo ripensare gli schemi tradizionali della cura e dell’assistenza. Martina Dei Cas
Progetti innovativi Abito qui Promosso da ITEA, questo progetto pilota favorisce la sharing economy e il risparmio condominiale tra i residenti nelle case ITEA di via Gramsci (Clarina), luogo in cui ha sede anche FAI, attraverso una piattaforma web, una serie di incontri informativi e laboratori tematici realizzati in collaborazione con PRODIGIO Onlus, Cooperativa Kaleidoscopio e ITEA spa.
Trentino Cura Costituita nel marzo 2016, questa rete di imprese (con propria capacità giuridica, patrimonio e governance) vede la partecipazione, accanto a FAI, di Vales (Rovereto e Pergine), Assistenza (Tione) e Antropos (Mezzocorona), tra le maggiori cooperative che in Trentino si occupano di anziani. L’obiettivo è quello di fornire una vasta scelta di servizi privati di qualità su tutto il territorio provinciale (agli stessi prezzi) e di incrementare la tutela delle persone vulnerabili attraverso le nuove tecnologie. Trentino Cura cerca altresì di raggiungere la più vasta platea possibile di utenti attraverso il welfare aziendale e l’offerta di propri servizi al mondo assicurativo.
Welfare km O Nato dalla volontà congiunta delle Fondazioni Caritro e Demarchi e della Provincia autonoma di Trento, questo progetto promuove la rigenerazione del tessuto del welfare trentino in cinque diverse aree di sperimentazione: luoghi incubatori di comunità, fare welfare in montagna, nuove vulnerabilità e nuovo lavoro di comunità, condizione anziana e facilitazione diffusa. La cooperativa FAI, che ha aderito fin dalla prima ora, è impegnata con due progetti diversi nelle ultime due aree citate.
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O LT R E I L I M I T I
“Faremo gli occhiali così” Breviario per giornalisti panestetici
A
nno 2017, giorno primo. Mi siedo davanti la TV per il consueto rito del caffè con news, consuetudine che, peraltro, ogni cittadino dovrebbe avere. Le mie news sono però un po’ diverse, in quanto io sono una ragazza non vedente. È proprio la trasmissione di informazione ai disabili il punto focale del mio articolo. La tecnologia dei media sta compiendo passi da gigante: telecamere nei posti di guerra, telecamere a tutto campo negli stadi e sui caschi dei piloti di formula uno o del moto GP. I telecronisti sono sempre più attenti ai dettagli estetici e sempre meno a quelli etici. Molti giornali hanno le piattaforme online, ma poche sono accessibili ai programmi di lettura per non vedenti. Un cieco può anche “arrangiarsi” ed usare la radio – mezzo tra l’altro eccezionale – ma un sordocieco come fa? La soluzione per me è semplice. In Italia esistono dei master eccezionali (e altrettanto costosi) per la preparazione alla professione del giornalista. Ecco, il grande sforzo che i professori dovrebbero compiere sta nell’insegnare ai nuovi giornalisti i linguaggi per parlare ai disabili, tra cui ciechi e sordociechi. Ecco due brevi testimonianze: “Emozioni radio-stadio. Ricordo che era il primo giorno d’inverno, lo stesso del mio compleanno. Avevo atteso questo giorno da sempre. Finalmente per la prima volta potevo vedere la mia squadra allo stadio! La partenza, l’arrivo allo stadio, mani che si stringono l’una all’altra, centomila voci che into-
nano l’inno, il tic tic dei tacchetti del portiere che battono sul palo… poi il nulla. La mia squadra segnava un gol e poi un altro ancora, ma io percepivo tutto questo solo grazie ad un improvvisato cronista seduto accanto a me. Oggi sono nella mia cameretta; a giocare è sempre la mia squadra. L’adrenalina è altissima e le mani mi sudano. Non c’è gente intorno a me, solo una voce magistrale che esce da una radiolina. Colori, cori, azioni, dribbling e schieramenti descritti magistralmente. Mi piace sempre ricordare le parole di un grande speaker radiofonico che ho sentito ad un convegno: «Quando si parla alla radio, si parla sempre ad un pubblico di non vedenti»” “Io sono Carlos, un ragazzo brasiliano sordocieco. Sono molto appassionato di calcio e quest’anno nel mio Paese ci sono i mondiali, ma io non posso né vederli né sentirli. Per questo i miei amici hanno costruito un piccolo campo a rilievo e tramite il Malossi, la lingua dei sordociechi, sono riusciti a descrivermi la partita. «Peccato aver perso»” Ogni giornalista panestetico dovrebbe essere come il mio improvvisato cronista o come gli amici di Carlos. Ogni stadio dovrebbe avere la sua piattaforma panestetica. Affido la conclusione di questo pezzo alle parole di una splendida canzone di Fabrizio De Andrè, riadattandola un po’ per l’occasione: “Daltonici, presbiti: mendicanti di vista. Il cliente di luci, il vostro giornalista. Ora vuole soltanto tifosi speciali che non sanno che farne di occhi normali”.
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o 24 anni, sono di Roma - ma vivo a Bologna ormai da tre anni. Ho una magistrale in discipline dello spettacolo dal vivo (DAMS). L’altra mia passione, oltre allo sport, è il mondo artistico. Mi piace infatti scrivere di musica, teatro, politica e questioni sociali. Sono venuta a conoscenza della vostra associazione un po’ per caso, spulciando su Internet. Il mio sogno è quello di diventare una giornalista sportiva per occuparmi dello sport sociale, non mediatico. Scoprire, ad esempio, i punti di contatto tra il mondo dello sport e il superamento delle barriere che ogni disabilità pone. La scelta di voler intraprendere questo mestiere ha due ragioni. La prima è che, secondo me, la figura del giornalista rappresenta il medium tra chi fa e chi guarda lo sport. La seconda è che, essendo io una ragazza non vedente, vorrei intraprendere questa sfida e far capire che si può essere dei buoni giornalisti nonostante una disabilità.
Camilla Di Pace
Domotica, questa sconosciuta! Scopro giorno dopo giorno come mouvermi in questo nuovo strano mondo
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a prima volta che ho sentito parlare di domotica risale più o meno ad un anno e mezzo fa. Ero ancora ricoverata in ospedale ma allo stesso tempo stavo affrontando, seppur a distanza, un trasloco. La casa in cui avevo vissuto fino a quel momento non era adatta alle esigenze della mia nuova amica a quattro ruote. La data della dimissione si avvicinava, trovare una casa accessibile (oltre alla riabilitazione) era una delle prime cose a cui pensare. Lo ammetto, l’approccio con la domotica per me non è stato dei migliori. All’epoca, tutto ciò che poteva rendere la mia nuova abitazione anche solo lontanamente simile alla stanza d’ospedale dove vivevo, oppure al bagno super accessoriato in cui avevo dovuto reimparare a lavarmi tutte le mattine, mi metteva ansia. L’idea di trasferire quella strana dimensione fatta di maniglioni, telecomandi, letti che si muovono e mobili che si alzano e si abbassano a piacimento a casa mia, non mi rendeva proprio entusiasta. Volevo una casa nuova, un punto di riferimento, un ambiente che mi permettesse non solo di essere comoda e sentirmi a mio agio, ma allo stesso tempo libera ed indipendente. In quel periodo ignoravo che l’idea nella mia testa in realtà altro non era che uno dei concetti cardine su cui si basa la definizione di domotica: la tecnologia e l’informatica al servizio della casa; ma soprattutto, della persona che la abiterà. A ben guardare quindi, la domotica ha cominciato a “farsi strada” all’interno delle nostre abitazioni ben prima di quanto io stessa ero abituata a pensare. Impianti basilari come quello idrico o per lo smaltimento dei rifiuti organici fanno parte delle nostre case da molto tempo ormai, così come gli impianti elettrici arrivati subito dopo. Continuare, come spesso succede, a considerare la tecnologia domotica solo come un insieme di strani marchingegni futuristici di difficile utilizzo, piuttosto che una serie di ausili elettronici riservati unicamente ad anziani e disabili non solo è sbagliato, ma sminuisce anche parecchio l’apporto che la tecnologia ha già dato e continuerà a dare al comfort delle nostre abitazioni. Insomma,
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Chiara mentre illustra le funzionalità della sua casa domotica
non avevo fatto neanche in tempo a cominciare il mio cammino, passatemi il termine, che già incappavo in uno dei luoghi comuni più diffusi: disabile uguale brutto, triste, in linea di massima poco attraente in tutto, casa compresa. Mi sbagliavo di grosso! Il trasloco imminente mi avrebbe aiutato a capirlo. La maggior parte delle definizioni atte ad esplicitare il significato di domotica si concentrano per lo più sull’aspetto inerente all’insieme delle tecniche e dei servizi che tendono ad integrare nelle abitazioni tutti gli automatismi in materia di sicurezza, comodità, gestione e comunicazione delle aree antropizzate della casa. L’utilizzo dell’informatica è senza dubbio la caratteristica principale di questo tipo di tecnologia, se così non fosse, sarebbe praticamente impossibile riuscire ad adattare ogni impianto alle infinite sfaccettature che caratterizzano la dimensione della disabilità. Ciononostante, quando è stato il momento di scegliere come arredare casa, nel mio caso particolare l’elettronica è servita molto meno del previsto. Essendo in carrozzina, ma avendo comunque la possibilità di muovere completamente braccia e mani, la priorità per me era potermi muovere tranquillamente in ogni ambiente della casa, da qui ne è derivata un’attenta progettazione degli spazi; abbinata
ad un adattamento ad hoc dei mobili che sono stati aggiunti in seguito. L’ambiente in cui la domotica ha fatto senza dubbio da padrone è la cucina. Le cucine pensate per essere utilizzate anche da seduti in carrozzina prima di tutto hanno la possibilità di essere regolate in altezza, questo vale per i mobiletti pensili che normalmente vengono fissati sopra il lavandino ma anche per il piano cottura o il lavello. Questi due elementi di solito vengono montati su un ripiano lasciato libero nella parte inferiore per permettere a chi li utilizza di avvicinarsi il più possibile. Per quanto riguarda le altre stanze, fatta eccezione per qualche maniglione in bagno e una pratica sedia in plastica sistemata nella doccia, non ho dovuto apportare modifiche particolari. Insomma, a lavori conclusi, quella che doveva essere la brutta copia di una stanza d’ospedale e di un bagno superaccessoriato si era trasformata in una casa, una bella casa. Il posto da cui avrei potuto ricominciare da capo in piena libertà, anche grazie a telecomandi, maniglioni e mobili che si alzano e si abbassano a piacimento. In altre parole, anche grazie alla domotica.
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Chiara Soma
P U N T I D I V I S TA
Trento è accessibile agli studenti universitari ?
Rigenerazione urbana e inclusione al Parco Langer, al Salé
La parola a Roberto Madinelli che ha vissuto per quattro anni nel capoluogo trentino come studente fuori sede
Entra nel vivo il patto di collaborazione tra associazioni del territorio e il Comune di Trento
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i chiamo Roberto e ho 26 anni. Sono uno studente della Facoltà di giurisprudenza ed ho vissuto per quattro anni a Trento. Penso che Trento sia riuscita ad attrezzarsi bene in merito alla questione delle barriere architettoniche. Negli ambienti esterni non ho mai avuto particolari problemi a muovermi in carrozzina perché tutti i marciapiedi sono dotati di scivoli. L’unica cosa di cui
posso dirmi preoccupato è la loro disposizione: capita infatti che alcuni scivoli non siano posizionati uno di fronte all’altro e quindi si debba percorrere un tratto di strada contromano per raggiungere il marciapiede di fronte. Anche per quanto riguarda gli edifici posso dirmi decisamente soddisfatto. Ciò che è più importante per uno studente fuori sede come me è sicuramente trovare un alloggio, e penso che l’offerta abitativa dedicata ai disabili venga incontro ai tipici problemi che può incontrare una persona in carrozzina o in ogni caso con difficoltà deambulatorie. Tutti gli alloggi che ho occupato in questi anni, da quelli inseriti in strutture riservate unicamente agli studenti universitari a quelli inseriti in edifici “comuni”, sono perfettamente attrezzati, con cucine domotiche, mobilia ad altezza carrozzina e soprattutto bagni attrezzati, a volte anche con apparecchiature elettroniche; non è una cosa da poco, visto che mi è capitato spesso di vedere spacciare per bagni attrezzati dei locali semplicemente più larghi del normale. Forse l’unico difetto che ho riscontrato in questo ambito è la scelta di adibire ad alloggi per disabili dei locali che sono difficilmente praticabili perché troppo stretti, con la conseguenza che gli spostamenti al loro interno risultano più lunghi. Riconosco comunque che è solo una questione di pazienza, e che questo inconveniente non va assolutamente ad abbassare la qualità dell’offerta in sé. Ferma restando questa mia opinione positiva, per quanto riguarda gli edifici non abitativi mi sento di affrontare un problema al quale non molti pensano immediatamente quando si parla di barriere architettoniche, quello delle “barriere visive”.
Ricordare le battaglie vinte per non abbandonare mai Tra Sudamerica e Trentino, un viaggio lungo una vita
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ome sapete vengo da un lontano Paese chiamato Cile, in Sudamerica, e vi confesso che prima d’arrivare a Trento non avevo mai sentito parlare di diversità, disabilità, politiche sociali, immigrazione, discriminazioni, barriere culturali e architettoniche. Certamente non perché nel mio paese non ci fosse bisogno, ma piuttosto perché le politiche sociali non vengono affrontate come una priorità. Così ti trovi ancora con gli autobus senza pedane né spazi per il trasporto di carrozzine, neanche le strade sono abilitate per il transito dei disabili. Non esistono assistenza domiciliare, insegnanti da sostegno, cure domiciliari, contributi, assegni da sostegno,
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e le organizzazioni di volontariato sono molto poche. Allora ogni famiglia, ogni individuo deve lottare da solo giorno dopo giorno per riuscire a tirare avanti. Purtroppo ancora tante nazioni si trovano in queste condizioni e peggio ancora anche tante città italiane, dove bambini, adulti ed anziani non ricevono l’aiuto necessario. Nel Trentino Alto Adige invece si è lavorato tanto al fine di migliorare le condizioni di vita, soddisfare e sostenere ogni individuo nel rispetto della sua dignità, come parte integrante di una società che non abbandona, ma protegge, dove non sei da solo, ma importante. Ed è con queste premesse che nascono la maggior parte degli
Esperienze emozionanti “dedicate” Una conquista che si trova in internet
iamo tutti d’accordo nell’affermare che la vita di ognuno è importante e personalmente credo che, soprattutto quando si affrontano quotidianamente difficoltà specifiche, niente può aiutare come percepirne il valore. L’ingegnere giapponese che fondò la Honda ci illumina: “Il valore della vita può essere misurato da quante volte la tua anima si è profondamente emozionata” e volentieri ripeto queste parole assieme ad un sospiro di sollievo in quanto le emozioni non conoscono barriere. Insomma una via di fuga c’è per chi le esperienze sa conquistarsele o meglio, a livello pratico, esistono associazioni che si impegnano ad organizzare e gestire attività ad alto contenuto emozionale dedicate a persone con disabilità. A mio avviso è ancor più significativa la presenza di portali web che favoriscono l’incontro tra esperienze offerte e utenti interessati
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ES P E R I E N Z E D I Q UA RT I E R E A T R E N TO
rendendo questo tipo di servizi alla portata di tutti: si viene informati circa la loro esistenza e si possono effettuare ricerche settate secondo le varie esigenze. Sì, perché oggi una soluzione alle difficoltà si trova in rete anzi, si conquista! Dal 2010 ad esempio ci si può affidare al portale web “Emozionabile” rappresentato e gestito dall’Associazione “Emozionabile A.P.S.”. Queste persone lungimiranti hanno pensato di offrire una possibilità concreta nel mondo del web che si presentava assai povero, dispersivo e frammentario riguardo ad esperienze accessibili a persone disabili ma sicuramente abili all’emozione. “Tutto ciò nasce dalla consapevolezza che una giornata a contatto con cani da slitta, una discesa in rafting lungo un fiume inquieto, un’esperienza di volo con un ultraleggero, … ed altre, altre ancora…, sono attività straordinarie che possono invadere l’animo e dare colore alla vita
Mi riferisco al fatto che attrezzare un edificio con ascensori o scivoli è sicuramente un grande risultato, che però viene neutralizzato o ridimensionato dalla mancanza di indicazioni su come raggiungere questi percorsi facilitati. Qualche anno fa mi è stato chiesto dall’Università di Trento, in via del tutto informale, di contribuire alla sistemazione di una segnaletica ad altezza di carrozzina all’interno della Facoltà di Giurisprudenza, progetto che ritengo sia stato ben realizzato e che non tutte le facoltà hanno avviato. Infine vorrei affrontare il problema dei trasporti. Ho notato con piacere che gli autobus sono dotati di una pedana che può essere estratta manualmente e che al loro interno sono stati coerentemente creati dei posti riservati alle carrozzine. Purtroppo non tutte le fermate sono abilitate per la discesa di una carrozzina, e ciò in ragione della mancanza di spazi adeguati a compiere questa operazione in sicurezza, ad esempio per la mancanza di un marciapiede abbastanza largo per consentire la semplice estrazione della pedana. Discorso simile ma più complesso è invece quello della Stazione ferroviaria. Simile in quanto alcuni binari non consentono di salire e scendere dal treno autonomamente, ma più complesso perché per raggiungere questo risultato è necessaria una sinergia fra le misure dei binari e dei treni; devo comunque dire che, al pari dei mezzi pubblici trentini, anche le vetture della Regione Trentino-Alto Adige sono attrezzate con una pedana e dei posti riservati. Roberto Madinelli
enti di volontariato che lavorano sul nostro territorio. Associazione Prodigio, essendo parte di questo mondo, ha portato avanti diverse battaglie, informando, denunciando, creando spazi di confronto e crescita, facendo ponte fra gli individui. Ho cominciato questo articolo comparando due mondi diversi, ho fatto un piccolo elenco dei benefici che esistono nella nostra provincia, con l’unica intenzione di ricordare quello che abbiamo costruito fino d’ora e riconoscere le lotte che ci hanno permesso di arrivare a questo punto. Sicuramente manca ancora tanto e tutti giorni ci saranno nuove battaglie da portare avanti, ma è altrettanto importante non perdere ciò che si è già guadagnato. Perché queste battaglie traghettano tutti noi verso una società migliore. Fabiola Motta
di tutti i giorni, andando oltre i confini della routine e del quotidiano.” sono le parole che possiamo leggere nella sezione “Chi siamo” del sito internet in questione. Il pay-off “L’emozione non ha confini” è certamente ben rappresentato dalle storie del team di esperti che incoraggiano ad intraprendere le esperienze e, allo stesso tempo, contribuiscono a implementare e a migliorare il portale. Per esempio Luca Panini, scalatore in carrozzina, desidera sviluppare ed espandere l’idea di effettuare scalate in carrozzina in concomitanza con le gare ciclistiche. Le attività proposte sono organizzate per tipologia e la ricerca viene facilitata dalla presenza di un motore di ricerca interno dove si può selezionare l’esperienza che si vuol fare in relazione alle proprie capacità. Insomma, che aspettate ad andare su www.emozionabile.it o sui loro profili facebook e twitter, e non dimenticate di guardare lo spot! A maggior ragione perché dal 2016 è on-line una versione accessibile anche alle persone con disabilità visiva. Alessia Vinante
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Parco Langer #accessibile
Grazie ai lavori di riqualificazione messi in atto dal Comune di Trento si recupera una via di transito importante
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’ aperto e ristrutturato il percorso ciclo-pedonale di 250 metri che collega via Gramsci con il Parco Alexander Langer ( Ex Salè) in Clarina, con una nuova sede stradale che varia da 2,60 a 2,80 metri e un nuovo ponticello di collegamento in acciaio e legno. Infatti da gennaio 2017, il Comune di Trento ha inaugurato e attivato il passaggio che collega il quartiere al resto della città per chi vuole muoversi a piedi, in bici, col passeggino o in carrozzina. E’ così migliorata nettamente l’accessibilità e la mobilità di molte persone che a diverso titolo usufriranno delle ampie e comode rampe di accesso e del ponte sopra il rio Salé. La Clarina è un quartiere stupendo e forse ancora poco conosciuto. Il suo essere geograficamente “ai margini” ha influito certamente anche sul piano sociale. Si respira ancora una sua dimensione legata alla campagna, nonostante il quartiere sia stato nel tempo destinato a progetti di edilizia popolare. Ma negli ultimi anni ha ricevuto una spinta propositiva ad aprirsi e ad essere un tassello importante della città. La sua ricchezza di orti comunitari curati dagli abitanti del quartiere, lo fa divenire oggi un posto che ha voglia di naturalezza e di vita all’aria aperta. Sopprattutto considerando la numerosa presenza di anziani, persone a ridotta mobilità e le tante giovani coppie italiane e straniere di prima e seconda generazione, che qui, hanno trovato una dimensione a misura di famiglia per dare una risposta agli affitti cari presenti in altre zone di Trento. In definitiva rendere accessibile questo luogo significa dare ossigeno alla partecipazione attiva dei suoi cittadini all’interno di una comunità che vuole essere protagonista. Un valore oggi indispensabile per prevenire disagi sociali ed esclusione.
l progetto di riqualificazione urbana al parco del Salé a Trento inizia nel 2015 con la realizzazione del percorso ciclabile che lo collega al centro della città, rendendolo più accessibile, partecipato e vissuto. Nello stesso anno l’associazione culturale Finisterrae Teatri propone alcune serate di musica, teatro e poesia rivolte ai bambini, che permettono agli abitanti della zona di riprendere confidenza con quegli spazi per anni evitati e abbandonati. L’iniziativa, nell’estate 2016, ha convinto gli organizzatori ad allargarla a circoli, cooperative sociali e assoIl BiblioArc ciazioni che si occupano di anziani promuovendo l’integrazione nel quartiere. L’incontro intergenerazionale e l’impronta multiculturale hanno arricchito le serate al parco e la comunità stessa, che è tornata a considerare questo giardino come un luogo d’incontro e di socialità. Sempre nel 2016, Finisterrae propone al Comune di Trento di collaborare nella riqualificazione di tutto il parco del Salé, che nel frattempo cambia nome e viene dedicato ad Alexander Langer. La proposta che consiste nella cura degli archi che sorreggono le rotaie del treno, convince il Comune che mobilita l’ufficio Parchi e Giardini per i lavori di ripristino e allestimento, e l’ufficio Beni Comuni con cui viene sottoscritto infine un patto di collaborazione tra l’Ass. PRODIGIO e Finisterre che insieme cureranno gli spazi. Sono dunque stati realizzati quattro archi: il “BiblioArc” per il bookcrossing; il “TeatrArc” per l’espressione corporea; “l’Arco giochi” per la socialità e infine “Perle Verdi”, progetto che unisce intercultura e agricoltura, curato da un ragazzo gambiano esperto nella coltivazione di arachidi e grano. All’inaugurazione primaverile il parco ospiterà un evento internazionale: il “Kaki tree project” con la visita di alcuni artisti dal Giappone che come riconoscimento per progettualità L’accesso Sud che collega la Clarina al P. Langer di pace, piantumeranno un seme generato dall’unico albero di Caco sopravvissuto alla bomba nucleare di Nagasaki. Giulio Thiella
Lorenzo Pupi
Toc toc! Chi e’?
Via Gramsci 36 e Il Quartiere Animato. Storie di una comunità che si ripensa e si attiva.
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oc Toc! Chi è? Sono io. Buongiorno ragazze. Volevo raccontarvi di qualche mia poesia. Sapete, al Csm me ne hanno giusto pubblicata una! Aspettate, vi scrivo una dedica… Toc Toc! Eccovi!!! Ciao bambini! Che bello che anche questa settimana ci siete. Forza, iniziamo col fare qualche compito, così poi ci rimane un po’ di tempo per giocare! E più tardi arriva pure Ciro, l’istruttore di pingpong!! Toc Toc! Prego entri! Scusatemi, volevo solo curiosare…Vuole una tazza di the? Perché no! Sapete, qui una volta c’era un magazzino. Ma guarda come si è trasformato! Le nostre giornate, nella
saletta-laboratorio del Quartiere Animato, trascorrono con un susseguirsi di volti, sguardi, richieste, osservazioni, saluti, bronci, sorrisi, e chi più ne ha più ne metta… A volte arriva Mamadou, un ragazzo della Guinea che viene a studiare l’italiano. Poi bussa Marina, la nostra madrina di quartiere, che porta sempre con sé una borsa di libri o altri materiali da regalare. Qualche condomino telefona per chiedere del riscaldamento. Un viso conosciuto ci saluta dalla finestra, ci siamo dimenticate il suo nome ma rispondiamo con un sorriso. Poi arriva l’ora di quelli che si fanno incuriosire dalle locandine delle nostre attività. Li salutiamo, spieghiamo chi siamo, li invitiamo a entrare. No, non siamo del Girasole e nemmeno della Casota. E’ un progetto nuovo, si chiama il Quartiere Animato! Ecco il nostro programma. I laboratori si rivolgono ai nonni e ai bambini, ai giovani e ai pensionati, ai disoccupati, alle mamme, a tutti quelli che sono soli, agli annoiati, ai curiosi, ai creativi, a tutti! Ogni tanto si affaccia la signora Paola, chissà se questa volta avrà una lettera da farci tradurre o una storia ‘de sti ani’ da
raccontare. E a volte arriva pure qualche fiore, e quella piccola saletta, che fino a luglio non era altro che un deposito impolverato e buio, diventa sempre più accogliente. Ed è proprio questa la sfida e la scommessa del progetto. Riuscire e rendere vivo e frequentato uno spazio fino ad ora avvolto da pregiudizi e scetticismo, facendo sì che proprio questo luogo diventi invece un punto di riferimento per il quartiere. Un luogo in cui ci si incontri e ci si ascolti, si faccia qualcosa di bello assieme, si condividano le proprie esperienze e i propri saperi. Un luogo in cui se hai bisogno di un po’ di zucchero te lo prestiamo e poi ce lo riporterai. Un luogo in cui proporre idee e darsi da fare per costruire il quartiere che vorremmo. Un luogo in cui sentirsi parte di una comunità. Angela Margoni e Tenzin Khando Khoryakbaro In Servizio Civile presso Il Quartiere Animato Un progetto a cura di APPM, in collaborazione con la Fondazione Crosina Sartori Cloch
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SENSIBILIZZAZIONE SOCIALE
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Stivali nel fango Immagini di solidarietà e soluzioni di convivenza tra le macerie di Amatrice
Vite di strada Gli invisibili schiacciati fra libertà e sofferenze
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ono uomini, persone, spesso ce ne dimentichiamo quando li vediamo avvolti in svariati strati di coperte, ranicchiati su di un cartone in cerca di riposo e calore. Vagano come spiriti per le nostre strade, o forse dovrei dire le loro strade, visto che le abitano ventiquattrore su ventiquattro. Sono li, sulle panchine, a fianco dei monumenti, sotto i portici, alle fermate degli autobus, nelle piazze. Ci sono ma non li vediamo, invisibili agli occhi dei passanti e della società che non li riconosce e accetta. Non vediamo,
non pensiamo alle storie che, scolpite sui loro visi, descritte in linguaggi cifrati dalle loro rughe, li hanno portati dove sono. Si sulla strada, a vivere una vita di insicurezze, di imprevisti, di sofferenza, di fame e freddo diremmo noi; ed è cosi in parte. Ma non è solo questo per chi abita la strada, alcuni di loro direbbero che è il prezzo per la libertà. Una libertà estrema: da un lavoro monotono, dai rapporti familiari estenuanti, dai pregiudizi e da qualunque schema di questa società. Molti si imbattono nella strada per forti eventi drammatici che la vita può presentare: l’abbandono familiare, un lutto, la perdita del lavoro, la malattia. Qui, per scelta o necessità, avviene la rottura, la rottura con la “normalità” e tutto quello che la riguarda. Questo porta chi inizia a vivere la strada, a considerarla come la nuova casa, il nuovo lavoro, il nuovo mercato, tutto. Quando si perde tutto e si sceglie la strada si inizia a comprenderla, la si apprezza e la si teme allo stesso momento. Con il tempo si inizia a capirne le regole. Per chi non la vive, la vita di strada appare come una realtà statica, ancorata alla piazza, al far nulla, al cartone di vino, al contrario essa è molto dinamica e ricca di sfaccettature.
L’intervento e il rapporto fra le istituzioni e gli abitanti di strada si manifesta grazie agli enti del territorio che presentano diversi servizi a sostegno di chi vive la strada o chi sta affrontando un momento di forte disagio. Occupandosi di soddisfare alcuni bisogni primari, offrono una fornitura gratuita di pasti, la possibilità di usare le docce e vestiti nuovi. Oltre che soddisfare questi bisogni, un intento degli operatori è quello di creare una relazione con le persone, cercando di capirne le storie, non giudicandoli. Ma è difficile capire la strada se non la vivi. Ci sono anche dei dormitori che ospitano chi, per motivi di salute o freddo, preferisce un letto caldo alla panchina. Non tutti comunque si avvalgono di questi servizi, alcuni li rifiutano per principio, i più estremisti, i veterani, coloro che voglio essere indipendenti al cento per cento. Queste scelte drastiche di vita sono incomprensibili ai nostri occhi, ma degne comunque di rispetto. Alessandro Vanin
I confini politici: vere e proprie cicatrici della storia Riflessione sui fenomeni sociali e politici dietro la creazione di frontiere fisiche e culturali
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l mondo ci sono circa 200 Stati. In realtà 192 presenti all’Assemblea dell’Onu ed altri in via di definizione o non iscritti all’elenco degli “amanti la pace” come la Corea del Nord. Quasi tutti i confini o sono fisici, come le nostre Alpi e i nostri mari, o sono politici e, quindi, vere e proprie cicatrici della storia. Questi confini sono in continuo e lento movimento. Oggi, per esempio, ci sono una trentina di conflitti attivi, tant’è che Papa Francesco parla di “guerra mondiale a pezzi”. Nel post conflitto cruento, quando ancora i cannoni fumano, vengono ridisegnati i confini statuali e smembrate le federazioni, com’è accaduto nella ex Jugoslavia. Spesso poi i confini vengono definiti a tavolino, lontano dai territori in guerra, a volte addirittura tracciando una linea con il righello sulla cartina, come avvenne per l’Africa durante la conferenza di Berlino (1884-1885). Gli indigeni, non a contatto con la “civiltà”, si identificano di più con i confini naturali come i deserti e i fiumi che non con quelli “politici”. Il paradosso: i confini “politici” sono il risultato della guerra e sono necessari in caso di guerra; danno occasione a milioni di rifugiati di riparare oltre frontiera ove il Paese belligerante non ha giurisdizione. A volte i confini vengono difesi per motivi religiosi, come nel caso del Santo Sepolcro a Gerusalemme, luogo in cui diverse religioni si contendono
con tappeti e riti uno spazio e un tempo simbolico, tra continue mediazioni per permettere la convivenza e sedare la violenza nella città santa. Riflessioni che riguardano società a noi lontane? Non direi! Nella civilissima Europa sono innumerevoli gli esempi di “fuoriuscita dai confini” come la Brexit, appena benedetta da Trump, o la Transinistria. Quest’ultima (dentro o fuori dalla Moldavia non si sa) batte moneta, ha emblema e bandiera e non è riconosciuta dall’Onu, ma ora veniamo a casa nostra: all’Italia, ai migranti che attraccano sulle nostre coste con l’obiettivo di valicare le Alpi per raggiungere il nord Europa. E qui, al confine del Brennero e di Ventimiglia trovano la frontiera, le guardie, il filo spinato; cose che pensavamo superate con l’accordo di Schengen.
Ma il limite è correlato alla conquista e difesa dello spazio. Lo possiamo verificare quotidianamente al mercato cittadino del giovedì quando i commercianti ambulanti fissano i propri picchetti a terra. I commercianti “non ambulanti” verificano millimetricamente che vi sia lo spazio vitale affinché la propria bottega, che si affaccia dietro i banchi, possa godere di un minimo di visibilità. Un altro esempio di limite è dato dal bracciolo del sedile del treno o dell’aereo. Ad inizio viaggio tolleriamo ogni “invasione di campo” ma, man mano che il tempo passa, sopportiamo malvolentieri la conquista di spazio da parte del vicino. Un confine spesso debordato lo troviamo, infine, nel conflitto intrapsichico. Nel bambino il “super-io” va costruito piano piano con i tanti “no” che i genitori ed il mondo pronuncia-no. Si ridimensiona l’io e vengono posti sotto controllo gli istinti primordiali come la paura o la collera. Arrivati alla meritata pensione ecco che si allentano i confini e si deborda più facilmente dopo decenni di “contenimento” sotto padrone. Il carcere è per coloro che non rispettano i confini che il super-io della società s’è data. La politica non è altro che un ridisegno continuo del limes al fine di contenere chi è “senza limite”. Di chi non è mai sazio. Di chi non sa contenersi. Fabio Pipinato
Resistere all’immaginario Un progetto di promozione culturale per le scuole
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l ruolo delle immagini ha assunto una certa rilevanza nella nostra società. Siamo sempre più esposti a materiale visuale che, ricco di contenuti, spesso facciamo difficoltà a leggere e a capire. Sono immagini violente, dissociative, apparentemente rassicuranti, spesso costruite e in grado di farci sentire sicuri o di generare paura. Sono veicoli molto persuasivi e di propaganda. Abbiamo quindi il dovere di imparare a gestire consapevolmente questi contenuti per effettuare un ‘analisi più attenta e critica. Da questo spunto nasce il progetto “Resistere all’immaginario” che vede come ente capofila l’associazione “Il Gioco degli
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Specchi”. Il progetto ha trovato spazio all’interno del bando stanziato dalla “Piattaforma delle Resistenze” che favorisce i progetti culturali e di cittadinanza attiva. In un ottica di rete con altre realtà, il progetto sarà presentato e attuato negli istituti scolasti superiori di primo e secondo grado. Esso si struttura in diversi work shop che permetteranno ai ragazzi di cimentarsi in diversi ambiti dell’informazione moderna. Il progetto si articola in tre attività , la prima è un laboratorio sulla scrittura creativa dove attraverso varie tecniche i ragazzi potranno sviluppare abilità nel racconto di storie, sviluppando delle sceneggiature che verranno utilizzate nei laboratori successivi. La seconda attività proposta è chiamata “workshop di
antropologia visiva” e consiste nell’analizzare materiali multimediali (video-fotografie) realizzati dai formatori, che verranno utilizzati come spunto dai ragazzi per creare a loro volta dei video racconti, provando a descrivere la loro realtà locale in funzione ai grandi processi globali in corso, come il flusso migratorio, il surriscaldamento globale, le guerre. La terza attività invece consiste in un momento di confronto dove vengo analizzati e discussi i vari prodotti realizzati per poi caricarli su un blog appositamente creato. In conclusione del progetto ci sarà un evento di restituzione agli istituti e alla comunità. Alessandro Vanin
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Angelo si fa strada tra le macerie della frazione di Sommati
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ome suoneria del cellulare, Angelo ha impostato la colonna sonora del western Lo Chiamavano Trinità. Un dettaglio che ben completa l’immagine di questo schivo veterinario di montagna, alto, la barba brizzolata, i penetranti occhi azzurri seminascosti sotto un vecchio cappellaccio di cuoio, gli stivaloni coperti del fango di novembre. Si sposta lungo l’Appennino abruzzese proprio sugli altipiani dove il film è stato girato nel 1970. Visita regolarmente gli allevatori della zona curando il loro bestiame, e fra loro è molto conosciuto e rispettato.
L’insegna della nuova tabaccheria di Cossara Ho trascorso la giornata in sua compagnia, allungando il passo per stargli dietro in un penoso pellegrinaggio fra quel che resta delle frazioni intorno ad Amatrice dopo il terremoto del 24 agosto scorso. Ha piovuto incessantemente per tutto il giorno, e solo al tramonto un raggio di luce dorata, impietoso, ha illuminato improvvisamente le macerie di Sommati stillanti di pioggia, rendendole per un istante dolorosamente belle. Sommati, come Cossara, Bagnolo, Grisciano e tante altre delle sessantanove frazioni che, sparse fra le montagne circostanti, appartengono al comune di Amatrice, sono ora abitate solo dalla desolazione, che ne percorre le strade, si infila oltre le transenne e si ferma ammutolita di fronte alle case sventrate. In alcuni casi, solo le pareti esterne sono scivolate via come un telo sopra un quadro, lasciando esposti
segmenti di vita quotidiana: letti disfatti e coperte aggrovigliate, tavole ancora da sparecchiare dopo la festa della sera, quadri e televisori. È una giornata di freddo, di passi incerti fra i cumuli di macerie, di storie. Quella di Luca, giovane allevatore che commenta con rassegnazione: Vogliono che ce ne andiamo, stanno facendo di tutto per convincerci ad andare negli alberghi giù sulla costa. Ma abbiamo le bestie, non possiamo andare da nessuna parte. Vogliamo restare qui. Quella di Laura, che con i genitori ha estratto dalle macerie i prodotti ancora vendibili della tabaccheria di famiglia. La T bianca e nera del negozio è affissa ora ad un palo fuori dal container dove vive con la famiglia. La guardo perplessa. Ridendo, Laura entra nel container e apre una finestra: sul davanzale, un contenitore in legno con decine di pacchetti di sigarette sigillati, divisi per marca. Quando cala la sera Angelo sa cosa ci vuole: una zuppa calda. Percorriamo una strada sterrata tra i boschi che sbuca su uno spiazzo. È già buio, si distingue appena il profilo di una grande casa in costruzione. Intorno all’edificio, una serie di roulotte parcheggiate. I fari illuminano per un attimo un’insegna scolpita nel legno “Maneggio Il Destriero”. Non fa una piega, penso fra me mentre cerco di poggiare i piedi nei solchi lasciati nel fango dagli stivaloni di Angelo, che mi fa strada verso la casa. Una vetrata appannata lascia intravedere solo in parte la scena che ci aspetta all’interno. Un gruppo di persone di varie età, bambini, adulti e anziani, affollano la stanza principale. In molti sono impegnati a riempire un gran numero di scatolini con del cibo. Mi raggiunge Monica, una dinamica signora di Brescia che dal giorno del terremoto ha fatto incessantemente su e giù con il camper insieme al marito per portare ogni cosa di cui gli sfollati possono aver bisogno. Mi spiega che stanno inscatolando il cibo in eccesso per portarlo domani in altre tendopoli della zona. Dietro a questo salotto-
Il grande cuore dei trentini La solidarietà istituzionale e spontanea in favore delle popolazioni terremotate.
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on lo slogan «il grande cuore dei trentini», la nostra Provincia ha inaugurato il 13 settembre 2016 la scuola modulare di Amatrice, costruita in soli 17 giorni tra le macerie del terremoto che il 24 agosto, in pochi minuti, ha spazzato via alcuni tra i borghi più belli d’Italia. Sembravano parole destinate a sbiadire sotto la neve di una tragedia senza precedenti nella storia moderna del nostro Paese e invece si sono trasformate in un motto meravigliosamente riempito con il know – how e la disponibilità di Piazza Dante, che in questi mesi ha saputo costruire una spessa rete di solidarietà nei confronti delle popolazioni terremotate del Centro Italia. Nel mese di gennaio, a fronte delle nuove scosse di ter-
è come essere in vacanza tutti insieme. Per Natale stanno arrivando tantissimi regali da tutta Italia, ma cosa succederà quando torneremo alla normalità? Loro adesso vivono nell’anarchia totale, nessuno ha il cuore di rimproverarli. Ma dopo?.
magazzino improvvisato, in un piccolo cucinino, un vecchio signore con il berretto sta mangiando pane e latte. Angelo me lo Si parla di ingiustizie, di speculazioni, di presenta: si chiama Armando e, con i suoi una burocrazia lenta che neanche nell’e89 anni, è il secondo ospite più anziano di mergenza riesce, o vuole, snellire proceduquesto luogo di villeggiatura obbligata. Il re e processi. C’è al contempo amarezza e primo ne ha 95. La più piccola, invece, 3. A rassegnazione nella voce di queste pervivere qui stabilmente sono undici famiglie sone. Mi sembra di cogliere un senso di per un totale di circa trenta persone, ma ci incompletezza nei loro volti. Mezze verità, metto poco a capire che Il Destriero è un soluzioni provvisorie calate dall’alto, rispopunto di incontro per molti, amici e familiari ste astratte a problemi pratici ostacolano che passano a salutare coloro che in questo la pur sempre solida forza di volontà di chi, agriturismo in costruzione hanno trovato arrangiandosi, sta cercando di andare avanun rifugio sicuro dopo il terremoto. Angelo ti. Alla TV passa il numero per le donazioni. me lo descrive come una comune autoge- Tutti si voltano, a molti sfugge una risata stita seguendo poche semplici sarcastica. Dal fondo della sala regole affisse su un pannello alla La cena viene giunge un commento: Quei parete: tutti devono fare tutto se- servita: la zuppa soldi servono per tutti i mezzi condo le loro capacità, si rispetta mandati da Roma che girano il dolore altrui, si paga in sorrisi di lenticchie di a vuoto tutto il giorno da mesi, e buon umore. All’ora di cena la Norcia scalda le li hai visti? Se ognuno di quelli casa si riempie. Ci trasferiamo in pance e le anime si fosse caricato un sasso ogni quella che nel progetto iniziale di coloro che, volta, ora Amatrice sarebbe avrebbe dovuto essere la stalla, e per fortuna e per sistemata. Dalla cucina esce che chiusa alla belle meglio è diun ragazzo con il grembiule. È ventata invece il cuore pulsante scelta, sono ri- leccese, cuoco di professione masti. di questo spazio di convivenza. in cassa integrazione. È arrivato Gli ospiti fissi e i visitatori occula scorsa settimana e rimarrà pano rumorosamente le lunghe tavolate qui per un mese, a cucinare gratuitamente coperte da tovaglie cerate a quadretti rossi. pranzi e cene per i membri di questa strana La cena viene servita: la zuppa di lenticchie famiglia allargata che tra poco si avvierandi Norcia scalda le pance e le anime di co- no verso le roulotte per andare a dormire. loro che, per fortuna e per scelta, sono ri- Si siede di fianco ai volontari bresciani, e masti. C’è Anna, moglie di Armando, che scambia un paio di battute con Angelo mi racconta dello spaesamento provato sulla bontà del rosso marchigiano. Solida-
Quel che resta di una chiesa del Comune di Amatrice durante la scossa nel pieno della notte. Ci sono Aurora, Giorgia, Rachele e Riccardo, che al mattino fanno la fila per andare al bagno e prepararsi per la scuola. I loro piccoli spazzolini colorati stanno tutti insieme dentro a un barattolo nel bagno comune. Ci sono le loro madri, preoccupate per cosa verrà dopo. È stato un bel trauma, il terremoto. Due di loro le hanno tirate fuori dalle macerie e ora le vedi sussultare quando qualcuno sbatte la porta. Li guardano giocare e commentano: Qui stanno bene,
remoto e dell’emergenza neve, il Dipartimento della protezione civile della Provincia di Trento ha assunto il coordinamento di tutte le regioni italiane in materia di sgombero delle strade e supporto alle frazioni isolate, per un totale di 7.500 uomini e 260 mezzi in azione. Oltre 50 tra vigili del fuoco e operatori della protezione civile trentini sono partiti alla volta dell’Abruzzo per guidare gli spazzaneve, ma anche tagliare gli alberi caduti in prossimità delle linee elettriche o lungo le strade principali; 16 tecnici del soccorso alpino sono stati invece impegnati in prima linea nella ricerca dei superstiti dell’Hotel Rigopiano. Accanto alla massiccia solidarietà istituzionale non possiamo però dimenticare le iniziative spontanee di chi ha inviato in Centro Italia generi alimentari, beni di prima necessità come pannolini e medicinali e agli allevatori e veterinari di qui che hanno raccolto mangime e balle di fieno per i bovini e gli ovini rimasti intrappolati nelle stalle semicrollate dal terremoto e isolate a causa della neve. Questi animali rappresentano infatti
rietà improvvisata che arriva qui da nord e da sud e si concretizza in gesti semplici, inosservati, ma concreti. Di nuovo la canzone di Lo chiamavano Trinità. È il cellulare di Angelo che suona. Mia moglie”, dice con un sorriso. Si rimette il cappello da cow-boy ed esce dalla porta augurando la buona notte. Oltre i vetri appannati, lo osservo salire sul suo destriero: una piccola utilitaria arancione coperta di fango. Diletta Lazzarotto
il nucleo forte dell’economia della regione e salvare loro, significa dare ai proprietari la speranza di poter un giorno tornare a ricostruirsi in queste terre un lavoro e una vita. E poi c’è chi ricorda che dietro il generalismo della definizione «popolazioni terremotate» ci sono amici e conoscenti, che fino a poco prima che iniziassero le scosse avevano una quotidianità in tutto e per tutto simile alla nostra: è il caso dei titolari dell’Hotel Daniela di Levico Terme, che hanno deciso di riaprire la struttura, in cui ci sono anche due camere attrezzate per disabili, per ospitarvi gratuitamente i propri clienti abruzzesi, aquilani e marchigiani vittime di questa calamità naturale. «Noi trentini siamo rustici e chiusi, ma quando serve ci siamo» commentano, poi ci salutano e riagganciano, con la modestia e la riservatezza tipica della gente buona e semplice partorita dalle nostre montagne.
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Martina Dei Cas
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Solidarietà
Sport
Cultura
Le cose concrete sono quelle che ci piacciono di più, soprattutto se rimangono sul territorio e a sostegno di tre importanti valori sociali per la nostra collettività e per la comunità locale.
93 interventi a favore della solidarietà 170 interventi a favore della sport 293 interventi a favore dello cultura