Pro.di.gio. n°I febbraio 2013

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pro.di.gio.

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO I - FEBBRAIO 2013 - ANNO XIV - LXXVI NUMERO PUBBLICATO

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progetto di giornale

Paolo Simoncelli racconta

Le bellezze negate di Sofia

Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento . Contiene I.R.

La fondazione Marco Simoncelli O.n.l.u.s e gli incidenti alcolcorrelati secondo il papà di Marco pagina 2

Nuove tecnologie e emarginazione

Viaggio nella capitale bulgara per tutti? Non ancora. pagina 3

La solita orribile commovente poesia della guerra in 70 scatti

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Fabio Bucciarelli: una mostra per la tutela dei diritti umani

ascosti in Trentino gli scatti di Fabio Bucciarelli sono custoditi dalle galleria di Piedicastello: “Evidence” è il titolo della sua mostra personale. Ma di chi si tratta? Lui è un giovane fotoreporter torinese, inviato de La Stampa, del Il Fatto Quotidiano e collaboratore delle più importanti testate internazionali: ha la scomoda caratteristica di raccogliere testimonianze sporcandosi le mani. Ripercorrendo la carriera di Bucciarelli si ha l’impressione di aver a che fare con un personaggio fuori dalla norma: un individuo inquieto che, lasciando delle sicurezze che la laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni avrebbe potuto offrirgli, ha preferito girare il mondo per essere oss er vatore diretto degli effetti dei conflitti sui civili contribuendo così, con l’informazione attiva, alla tutela dei diritti umani. Il risultato visibile agli spettatori? Sono 70 foto che testimoniano i combattimenti nelle zone attualmente considerate più calde del mondo: Iran, Birmania, Sud Sudan, Siria e Libia. Un vero peccato che una denuncia tanto forte sia relegata nel grembo del Dos Trento, quasi a renderla innocua, circondata dal ben più frivolo, per quanto curato e ben allestito, excursus storico sullo sci: assolutamente consigliato per gli appassionati! Sono fotografie di un’immediatezza spiazzante: quasi definibili “belle” non fosse che sembrerebbe inopportuno tale aggettivo visto che sangue, distruzione, macerie e guerre la fan da padrona. Lo spettatore è schiaffeggiato dalle immagini per tutti e cinque i reportage mostrati: non si arriva all’emozione attraverso lo splatter ma proponendo al pubblico una quotidianità che ha dell’incredibile. Il dolore è colto e mostrato senza filtri come quello dei genitori che abbracciano corpicini di figli privi di vita, all’atmosfera quasi fiabesca e decadente. Come l’anziana signora siriana che lentamente incede, con tanto di borse della spesa, nella “via dei cecchini” di Aleppo, una strada della città vecchia costellata di macerie, fori di proiettili e ruderi. O ancora l’obbiettivo di Bucciarelli ha catturato un guerrigliero del Free Syrian

Army (FSA) sul quel che resta di un’abitazione mentre lancia un RPG contro le postazioni dell’esercito di Assad, sempre ad Aleppo. Altri scatti hanno il sapore dello scoop, come l’immagine del corpo di Gheddafi, colto il giorno stesso della sua morte che Bucciarelli, dirà in un’intervista, aveva saputo esser stato portato fuori da Misurata. Talvolta il contesto rimane in secondo piano: come le protesi di fattura artigianale di Seiw Haina e Daw Lath Tiw, unico soggetto di uno scatto che non riprende i volti di

Dall’alto: locandina; Seiw Haina e Daw Lath Tiw nel laboratorio di protesi di Mae Sot. Hanno perso le gambe a causa della mine antiuomo; Spazio espositivo di Evidence alle Gallerie di Piedicastello.

sito Bucciarelli

queste due persone, la cui didascalia spiega che hanno perso le gambe a causa della mine antiuomo messe dall’esercito birmano

nel Karen State. Ogni scatto offre allo spettatore tutti gli elementi per capire il contesto. Ulteriori informazioni, laconiche e sufficienti, sono date dalla targhetta: luogo e soggetto. Breve. Non serve altro: è l’immagine che parla, anzi urla. L’allestimento, arioso immediato, propone le foto divise a seconda dei paesi d’appartenenza: i protagonisti sono i civili, la guerra e la quotidianità. Fabio Bucciarelli “cammina nel mondo”, “s’immerge nella storia” e non solo: prende parte a quel processo di memorizzazione storica che, senza testimoni come lui, renderebbe vani gli scontri perché se non c’è osservazione diretta si può dubitare del reale accadimento dei fatti. Necessaria si rivela, quindi, la documentazione di questi eventi per la memoria e la coscienza della società civile. Per approfondimenti segnalo un libro del fotoreporter: Fabio Bucciarelli, L’odore della guerra, Aliberti Editore 2012 Monica Miori

Normalità. Verità?

La società deve tutelare i diritti delle persone ma sembra che gli sforzi fatti non siano sufficienti pagina 9

Una vicenda capitata qualche tempo fa tra le parti della stazione FS di Mestre pagina 9

Il “Criloa” sulle onde dell’oceano per ricordare a tutti il legame tra mare, terra e cultura

Elo Partecipativo!

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n’antica storia araba narra di un tempo in cui esisteva una sconfinata savana vergine, dove gli animali vivevano indisturbati. In questo luogo idilliaco a regnare su tutti, per forza e grandezza, erano un leone e tre giovani tori. Questi ultimi avevano una livrea diversa ognuno: uno era nero, uno bianco e uno color ocra. Insieme e uniti esprimevano una potenza contro cui il leone nulla poteva. Più e più volte, infatti, egli aveva tentato di sopraffare i tre fratelli, ma mai era riuscito neanche ad avvicinarli. Venne il giorno però, in cui tutta la foresta fu scossa da un richiamo, era il leone che accogliendo a se i più curiosi disse: “ Ascoltate amici, ascoltate tutti! La nostra terra, si trova ora in grave pericolo, l’uomo sta venendo in queste terre per cacciare di notte, con l’oscurità, mentre tutti dormono. Uno tra noi rappresenta un pericolo... Pensateci amici! Il toro bianco è l’animale più visibile di notte ed è un rischio per tutti: i cacciatori lo noteranno di sicuro, entreranno nelle nostre terre e a quel punto anche noi verremo catVideo Criloa turati e uccisi. Io, amici, potrei risolvere il problema...”. Il toro nero e ocra, che passavano di lì per caso, udendo tale eresia, inizialmente rimasero contrariati, ma, convinti dalla folla in delirio, iniziarono anche loro a temere per la loro vita. Acconsentirono dunque alla proposta del leone, lasciando solo e indifeso il fratello bianco, che venne sbranato senza pietà. Passò qualche mese e il leone non ancora sazio, annunciò che all’orizzonte si stagliava un pericolo ancora più grande: “ Amici, ascoltate tutti! ! I cacciatori sono alle porte della savana, e hanno intenzione di scovarci con la luce. Noteranno di sicuro la livrea scura del toro nero sullo sfondo dorato dell’erba, e a quel punto inizieranno a cacciare anche noi. Anche questa volta, il tono sicuro e convincente del leone fece tremare tutti e tutti lasciarono che anche il toro nero fosse lascito solo e divorato. Venne infine il giorno in cui l’ultimo toro rimasto, quello ocra, si trovò da solo di fronte al leone, il quale, senza dir nulla a nessuno, lo dilaniò. Il Leone come simbolo di ingordigia, generatore di un calcolo inarrestabile che tutto divora. Si potrebbe quasi azzardare un parallelo col sistema economico- commerciale che tutto pretende di sbranare, creando alibi, mietendo indisturbato terre, mari, popoli e culture. Questo racconto tramandato nei millenni nelle terre africane, si collega misteriosamente con altri elementi di questo articolo: una barca a vela di 10m partita da Livorno, quattro giovani alle prese con l’attraversata oceanica e un’ Ong, ELO, da fondare a Rio De Janeiro. Quest’ultima rappresenta infatti la conclusione di questo viaggio e l’inizio di un’esperienza partecipativa che vuole dissentire dal modello di sviluppo fino ad ora proposto in Brasile. Tanti elementi per provare descrivere un’esperienza come poche se ne sentono, in un mondo fatto di voli lowcost, di crociere, di resort e in sostanza

di comodità. Siamo partiti dal porto di Livorno in Italia il 12 dicembre 2012 più di un mese fa quindi, e posso assicurarvi che in questo viaggio le comodità capitano in rari momenti. Solchiamo le acque in un periodo poco favorevole alla navigazione a vela in Mediterraneo, anzi forse nel momento meno

indicato e impegnativo. Un mese tra colpi di vento, freddo, acqua, pentole che oscillano a ogni sussulto della barca, acqua salata in bocca, ma anche tanta ospitalità marinaresca e sfide vinte con il mare. Siamo un gruppo eterogeneo, Stefano Locci, il nostro capitano con alle spalle ben tre attraversate oceaniche e una vita dedicata alla vela, Lorenzo Gentili e Priscilla Lopes, i due giovani futuri fondatori di ELO, nonché compagni nella vita e proprietari della barca “Criloa”, ed io nel duplice ruolo di marinaio e narratore. Noi, insieme sulle onde, sapremo fare tesoro anche della saggia rappresentazione della realtà tramandataci nella tappa Marocchina nel porto di Mohammedia, sulla costa Atlantica. Essa insieme a tante altre storie ci accompagnerà nel nostro viaggio tra le onde, i venti e i popoli. Ci ricorderemo di non cadere nelle paure e nei pregiudizi, scopriremo ciò che lega uomo e natura. Collaborare insieme per un obiettivo comune senza abbandonarsi alle cieche paure e all’egoismo di una società che tutto consuma senza dare troppe spiegazioni. Elo partecipativo! Questo è lo slogan della futura Ong “Elo”. Il mare e la terra, così diversi tra loro ma facce della stessa medaglia. Ciò che dalla terra va al mare, prima o poi ritorna, seguendo un movimento circolare, ELO si traduce in “anello”, cerchio, che tutto accomuna. Questo è ciò che vogliamo inizialmente dimostrare con questa attraversata, impegnativa, culturalmente stimolante, vera nel suo approccio con gli elementi e rispettosa di tutti i luoghi e ➽➽continua a pagina 9


SENSIBILIZZAZIONE

La fondazione Marco Simoncelli O.n.l.u.s e gli incidenti alcol-correlati secondo il papà di Marco

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Dal dolore alla solidarietà: Paolo Simoncelli racconta

e reazioni al dolore posso essere le più svariate. C’è chi si chiude in se stesso, chi esterna il suo disagio con moti di rabbia, chi si isola dalla società. Due anni fa Paolo Simoncelli venne balzato, suo malgrado, agli onori della cronaca per la tragica morte del figlio Marco, pilota motociclistico, che nell’ottobre 2011 fu protagonista di un incidente mortale sul circuito di Sepang in Malesia. Il pilota perse il controllo della moto, tagliò trasversalmente la pista e fu investito da due compagni di gara: l’impatto fu così violento che perse il casco, le sue condizioni apparvero subito gravi e, a causa dei

abili ospitati da una comunità nei pressi di Coriano erano suoi fans, è capitato nel tempo libero che si recasse a trovarli. Non si trattava esattamente di un vero e proprio impegno nel sociale, più forse di generosità interiore, scattata dentro di lui dopo averli conosciuti e aver visto che anche solo un ora con quei ragazzi ti lascia tanto.” Lei, che è involontariamente balzato agli onori della cronaca, ora che è diventato una fonte autorevole per i giovani, ma anche per i più stagionati dall’animo sbarazzino, cosa direbbe loro sull’importanza di rispettare il codice della strada? “Senz’altro è importante rispettare le regole

Fondazione Marco Simoncelli

Paolo Simoncelli all’interno della fondazione dedicata al figlio.

pro.di.gio.

gravi traumi subiti, morì il giorno stesso. I genitori e la fidanzata quel 23 ottobre si trovavano a bordo pista a fare il tifo per Marco. Lo sconcerto e il dolore del momento non sono riusciti ad abbatterli, hanno scelto di perpetuare la memoria del ragazzo con un’azione concreta e che potesse onorare in modo duraturo l’impegno nel sociale di Marco, istituendo un’organizzazione a scopo umanitario che potesse promuovere e sostenere progetti umanitari e solidali. La Marco Simoncelli Fondazione O.n.l.u.s. ha sede a Riccione ma opera a livello internazionale riservando grande attenzione alle fasce sociali svantaggiate: promuove la scolarizzazione, assistenza sociale e sanitaria ai disabili e ai soggetti deboli cercando di favorire la partecipazione e l’inclusione. Tra i promotori emerge il papà Paolo, a cui abbiamo posto alcune domande. Ci parli un po’dello scopo della Fondazione. Innanzitutto come mai avete sentito il bisogno di commemorare Marco istituendo un’organizzazione con scopi umanitari? Non è scontato che in un momento particolare, invece che rinchiudersi nel dolore, si decida di mettersi in gioco promuovendo progetti di solidarietà. “Quando Carlo Pernat mi suggerì d’intraprendere questa direzione nel ricordo di Marco accettai, pur senza ben sapere cosa significasse né come sarebbe andata, oggi invece sono convinto e consapevole che fosse la cosa giusta, come le continue proposte di supporto ai nostri progetti umanitari ci confermano: grazie a fans, supporters, piccole e grandi iniziative in dodici mesi abbiamo potuto già aiutare tanti bambini ed ora abbiamo un progetto tutto italiano nella terra dove Marco era di casa.” Com’era nato in Marco Simoncelli l’impegno a favore delle persone disabili e perché il suo figliolo, nonostante la giovane età che solitamente è associata al “disimpegno”, aveva scelto di dedicarsi al campo del sociale? “Sapendo che alcuni ragazzi diversamente

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anche quando sono poco gradevoli, come mettere i 70km/h in superstrada, sono limiti ridicoli concepiti ai tempi della “topolino”, ora i mezzi e i tempi sono cambiati, tenere quei limiti ai comuni serve solo per fare cassetta. Comunque nel caso delle due ruote ci sono poi accorgimenti da tenere sempre ben presenti per la sicurezza del singolo, tra questi senz’altro il paraschiena e il casco integrale ben allacciato.” E sull’uso di bevande alcoliche prima di mettersi alla guida? “Su questo non ci sono dubbi, guida e alcol non sono compatibili.” Avendo tanto viaggiato per seguire le trasferte di Marco avrà potuto incontrare gente da tutto il mondo appassionata di motori. L’ha colpita qualche atteggiamento in particolare, rispetto a quelli comunemente adottati dai connazionali, per quanto riguarda il rispetto del codice della strada e della sicurezza alcol-correlata? “Mi ha colpito l’intransigenza assoluta dell’Australia, i paradossi americani, tutti rispettano i limiti ma nessuno indossa il casco, e condivido lo stile dei tedeschi, limiti bassi e severissimi nei centri abitati e altrove nessun limite”. Cosa risponderebbe ai ragazzi che, informati sui problemi della sicurezza alla guida e sull’abuso di alcol, rispondono adducendo motivazioni fatalistiche? (“Se proprio deve succedere...”, “Si vede che era destino”...). “Il destino esiste quanto il libero arbitrio.” Ed infine che consiglio si sente di dare per migliorare la sicurezza sulle nostre strade (guardrail, organizzazione dei controlli...)? “A mio parere nelle strade a percorrenza veloce i guardrail attuali non sono ideali per le moto, anche i new jersey potrebbero essere migliorati. In centro abitato, invece, i dossi necessiterebbero di una migliore segnaletica e buone condizioni dell’asfalto sono essenziali.” La Redazione

Un esponente ittico come testimone della cooperazione tra cittadini

Il ritorno del pesce-grazie*

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ella mattinata di martedì 11 dicembre 2012 all’ingresso del CSE Anffas di via Gramsci a Trento s’è tenuta l’inaugurazione dell’albero di Natale, evento patrocinato dal pesce-grazie e realizzato con la collaborazione tra CSE, l’Ufficio Parchi e Giardini del Comune di Trento e gli esercizi commerciali e associazionistici del quartiere. Nonostante il freddo pungente un variegato pubblico composto da familiari, scolaresche dell’asilo, utenti, sostenitori, vicini di casa e rappresentanti di associazioni e negozi, ha aderito di buon grado all’iniziativa. Dopo i ringraziamenti e le presentazioni del coordinatore del centro, del direttore dell’ANFFAS, della presidentessa onoraria e della vicepresidente delle famiglie, sono state scattate le foto ricordo sotto l’imponente albero che, forte dei loghi di associazioni e negozi, si staglia sulla curva di via Gramsci. Il punto di raccolta non è stato scelto a caso: sotto quello stesso albero, dove faceva bella mostra un presepe, fino a qualche tempo fa erano accatastati più di una sessantina di chili di immondizia (siringhe e materassi annessi). Grazie agli sforzi dei collaboratori e degli utenti del centro

è stato possibile nel tempo trasformare totalmente quello spazio. Parallelamente alla mutazione dell’angolo verde, si è notato che andava mutando anche l’atteggiamento degli abitanti della zona: si stava instaurando con il

centro un rapporto di fiducia e di collaborazione, di contatto e di accettazione reciproca. Ecco perché è diventato tanto significativo quell’incontro: l’albero di Natale rappresenta solo la punta dell’iceberg, il risultato tangibile di una costruzione quotidiana, durata anni, creata applicando costantemente la filosofia dell’accettazione, del “buongiorno”, il quotidiano incontro con una realtà solita-

mente tenuta nascosta forse per comodità. L’incontro pare sintetizzabile riportando un apprezzamento da un partecipante a fine convegno: “complimenti per la determinazione!”. Ma il messaggio del “nostro spazio” da rinnovare e curare non si è limitato alle festività natalizie. L’albero, simbolo di comunità e rinnovamento, si sta avvicinando ad una nuova fase di mutazione: in collaborazione con l’asilo del quartiere si sta presentando l’iniziativa “L’Aiuola Vale” che, mantenendo saldo il principio del riciclo, punta a rinnovarsi e si presta come monito per la collaborazione tra i cittadini. Può sicuramente essere additato come esempio di come sia stata recepita ed applicata la nuova iniziativa della “multa al contrario” (gli agenti del corpo di polizia del quartiere potranno d’ora in poi premiare i cittadini virtuosi con una multa, o meglio, con una nota di lode) una filosofia, a dire il vero, ampiamente applicata anche prima di questa novità. Monica Miori * per coloro che avessero perso i numeri precedenti: il pesce-grazie è un portachiavi itinerante, realizzato dal centro Anffas con materiali di scarto, per dire a tutti “noi ci siamo”.

L’Auditorium Santa Chiara ha accolto con il tutto esaurito il famoso conduttore di Superquark

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Piero Angela incontra Trento per parlare di politica, scienza e meritocrazia

iovani, cultura e scienza sono, secondo Piero Angela, cardini e motore dello sviluppo economico e sociale. Da questo concetto si è sviluppato nel corso della serata del 22 gennaio un accattivante monologo attraverso il quale Piero Angela ha proposto al pubblico presente la sua idea di innovazione politica: secondo il suo pensiero la crescita economica non dovrebbe essere basata essenzialmente sull’ “emendamento”, da intendere come la continua promulgazione di leggi, ma fondata su azioni politiche e concrete come il finanziamento alla cultura e il sostegno della meritocrazia. Azzeccata è stata la proposta di adottare per la formazione culturale quanto già fa il CONI nello sport ovvero offrire la cultura a tutti motivando e

premiando i più bravi. Un altro tema trattato durante la serata è stata la divulgazione scientifica tramite la televisione. Secondo Piero Angela la televisione può essere un valido mezzo per trasmettere le conoscenze scientifiche ma deve essere usata in modo appropriato e deve avere l’obiettivo di divulgare le informazioni in modo chiaro e semplice perché tutti possano capire.

A questo punto il famoso conduttore di Superquark ha portato un esempio di come la Francia sia riuscita a convincere le persone a guardare i programmi proposti in prima serata. Il governo francese, infatti, decise tre anni fa di togliere le pubblicità nella fascia oraria 21.30-23.30 compensando i mancati introiti pubblicitari con la tassazione degli spot nelle televisioni private. Piero Angela ha concluso il suo ragionamento ponendo l’attenzione sul fatto che è necessario studiare a fondo le dinamiche della società prima di agire. Per noi di Prodigio è stata l’occasione per consegnare il nostro ultimo numero di “pro.di.gio.” direttamente nelle mani del famoso conduttore scientifico. Maurizio Franchi

Direttore responsabile: Francesco Genitoni. Abbonamento annuale (6 numeri) Proprietà: Associazione Prodigio Onlus Redazione: Bosetti Ugo, Giuseppe Melchionna, Carlo Nichelatti, Lorenzo Pupi, Privati €15,00; enti, associazioni e sostenitori €25,00 con Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Giulio Thiella, Monica Miori e Maurizio Franchi. bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Hanno collaborato: Matteo Tabarelli, Dorotea Maria Guida, Sara Caon, Maurizio 25 O 08013 01803 0000 6036 2000 intestato a “AssoSito Internet: www.prodigio.it Menestrina, Ecaterina Cirlan, Karima Saad. ciazione Prodigio Onlus” presso la Cassa Rurale di Aldeno e E-mail: associazione@prodigio.it In stampa: mercoledì 30 gennaio 2013. Cadine indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”. Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana). Pagamento con carta di credito su www.prodigio.it. Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | febbraio 2013 - n. 1


A L L ’ ES T E R O

Viaggio a Sofia-София per tutti? Non ancora.

Le bellezze negate della capitale bulgara

e le chiese si ergono maestosi e s’affacciano su strade sconnesse e marciapiedi in stato d’abbandono. Ma se ci fosse un turista a mobilità ridotta? La partenza dall’aeroporto di Forlì, direzione Sofia, non costituirebbe un problema: l’accessibilità è garantita nel rispetto dei dettami europei. Gli ostacoli: una perpetua gincana Le difficoltà inizierebbero a porsi una volta messo piede fuori dall’aeroporto bulgaro. I taxi in attesa di turisti non mancano: scarseggiano invece quelli attrezzati, necessari per affrontare i 6 km che separano l’aeroporto dal centro. Gli alberghi con strutture adeguate sono quelli di categoria più elevata e, solitamente, sono le catene turistiche che aderiscono agli standard europei e che sono presenti anche in altri stati. Se qualcuno volesse affidarsi agli hotel locali tenga presente che sono gestiti “alla buona”: gradini elargiti a piene mani, entrate non facilmente praticabili e dislivelli di pavimenti poco giustificati sono la norma bulgara. Anche un tranquillo giro in centro a Sofia può presentare grossi problemi: oltre a

marciapiedi in cattivo stato, passamani posti trasversalmente alla via pedonale, alcuni sottopassaggi presentano rampe per disabili non motorizzate e anche le toilette attrezzate sono rare. Poche delle bellezze della capitale infatti sono accessibili: A partire dall’alto: parlando di barriere Marciapiede antistante architettoniche qui c’è il Palazzo di Giustizia da sbizzarrirsi. Giochi di Sofia; Strada senza frontiere, celebre Knyaginya Maria Luiza programma televisivo all’incrocio con strada Todor Alexandrov; di qualche tempo fa, le Terme Mineralna potrebbe essere quasi Banya che saranno uno scherzo a confronto. trasformate nel museo È evidente che non ci storico Cittadino. siano fondi sufficienti da investire nello sbarrieramento. Dalla chiesa ortodossa di Sveta Nedelya alla moschea Banya Bashi alla più grande sinagoga sefardita d’Europa intercorrono poche centinaia di metri intervallate da tombini precari incastonati in avvalli dal dislivello notevole, fitti binari della tramvia che rigano il manto stradale e testimonianze di lavori urbani mai terminati. Ipotizzando che il giro nella capitale bulgara preveda una sosta al bar è da notare nei locali sarebbe faticoso accedere: le rampe sono poche e ancor meno gli ascensori (a meno che non si parli di catene internazionali come Starbucks, ecc...). Tra i mercati coperti il più rinomato è sicuramente l’elegante Central Hali Shopping Centre costruito nel 1911: è di stampo mittel-europeo

ed offre al visitatore una gran scelta di frutta, verdura e formaggi accanto a negozi di oreficeria, chiavi, abbigliamento, pesce fresco... traspare da subito una certa predisposizione per la cura e la pulizia. Più tipico è invece il Mercato delle Donne, lo Zhenski Pazar: questa via di bancarelle all’aperto si estende per diversi isolati e propone tutti i generi di prodotti alimentari freschi accompagnati da tutta l’oggettistica che può venir in mente (prime fra tutte le tradizionali ceramiche Troyanska Kapka, poi borracce, rubinetti, trapani, orologi in plastica...). Entrambi, nella vivacità del loro contesto, hanno delle pecche: se il primo non risulta raggiungibile a tutti per via della scalinata d’ingresso e che risulta l’unica via per accedere ai piani superiori il secondo, pur essendo all’aperto, non permette un’agevole scambio dalla strada ai marciapiedi e anche l’alternanza tra asfalto e terra battuta potrebbe recare qualche problema. La Bulgaria in generale non è una destinazione facilmente accessibile per i viaggiatori disabili. Il governo bulgaro sta adottando le normative europee per quanto riguarda lo sbarrieramento dei vari edifici e delle nuove strutture pubbliche, anche se è stato stimato debba trascorrere molto tempo prima d’arrivare a risultati concreti. Informazioni di viaggio Se proprio non si resistesse alla curiosità per informazioni è suggeribile contattare il “Center for Indipendent Living in Sofia”: un’organizzazione bulgara che si occupa di disabili locali. Per altri suggerimenti ci si può affidare a Mondo Possibile (www.mondopossibile.com) che si occupa di turismo accessibile per le persone con disabilità. Segnalo poi la app messa a disposizione dall’ENAC, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile: si tratta di una guida che agevola le informazioni sull’assistenza riguardante i viaggi aerei dedicata a persone con mobilità ridotta. Monica Miori

MARKETING SAIT

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bituati al crogiuolo di etnie in Italia, non ci si stupirà di trovare una gran mescolanza di gente anche nella Repubblica Bulgara: confinante a nord con la Romania, a ovest con Serbia e Macedonia e a sud con Turchia e Grecia, ne chiude il perimetro un ampio sbocco sul Mar Nero. Non è solo una questione geografica, l’influenza culturale si fa sentire in ogni sua parte: dalla gastronomia alla lingua, ai tratti somatici degli sconosciuti che s’incrociano per strada... tutto porta a credere di trovarsi davanti ad una vivace commistione di popoli dalle origini più disparate. Un celere excursus storico Un po’ di storia spiccia della Bulgaria: fu il paese dei Traci al tempo dell’impero romano, venne poi inglobata nei domini bizantini. Sofia fu poi liberata dal dominio turco nel 1878 e dichiarata ufficialmente capitale bulgara l’anno successivo. Uscita sconfitta da entrambe le guerre mondiali, molti monumenti della capitale furono distrutti dai bombardamenti aerei degli alleati e, dopo questi episodi, gli architetti socialisti si misero all’opera riparando ai danni erigendo enormi condomini in periferia e mostruosi monumenti in centro. Nel 1989 cadde il regime comunista: da lì l’incuria. Sofia: cocktail culturale e suggestioni malinconiche Sofia, la capitale, non è un’usuale meta turistica: alla sua bellezza decadente e alla sua nostalgica patina di trascuratezza sono solitamente preferite destinazioni dell’Est Europa più note come Budapest e Praga. È raggiungibile in due ore e la temperatura di -5/-11 gradi costanti d’inverno non costituiscono un problema eccessivo. L’economico valzer gastronomico a base di carne, zuppe e salse non si piega alla diffidenza e utilizza tutte le sfumature culinarie degli stati confinanti (basti pensare al kebabche, alla moussaka... e alla grappa nazionale denominata rakia). Una volta decifrate le lettere della lingua bulgara, la cui scrittura è il cirillico, emerge il sostrato indoeuropeo che rende riconoscibile il suono e senso finale delle parole facendo diventare insegne e testi brevi facilmente comprensibili agli stranieri europei. Lo splendore architettonico del centro è contornato da casermoni dall’impronta comunista ed il tutto è lasciato al degrado. I palazzi

Approvato il 17 dicembre 2012 il progetto

Palazzo delle Albere di Trento diventerà parzialmente accessibile

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l 17 dicembre 2012 la Sovrintendenza per i beni culturali per i beni architettonici del Comune di Trento ha dato il via libera al progetto esecutivo che ha l’obiettivo di rendere accessibile se pur parzialmente il Palazzo delle Albere di Trento, chiuso per lavori dal 2010 e che riaprirà in primavera, tramite lo sbarrieramento dell’edificio. La spesa prevista per il completamento di questo progetto è di 1 milione e 133 mila euro. Il lavoro sarà assegnato tramite bando privilegiando il minimo ribasso e consisterà in vari interventi sull’edificio. I provvedimenti sono: • Realizzazione di una piazzola esterna per due posti auto riservati al parcheggio di

mezzi per disabili; • Una rampa esterna (studiata per i disabili e quindi dalla larghezza di 150 centimetri e pendenza massima 8%) di accesso pedonale al museo che dal parcheggio porti al viale di accesso del palazzo; • L’istallazione all’interno della torretta a nord-ovest di un ascensore con scala di accesso ai diversi piani in acciaio con gli elementi di tamponamento in vetro temprato indurito; • Installazione di un corrimano in ottone nell’ultima rampa della scala principale e nel pianerottolo di arrivo al secondo piano. Maurizio Franchi

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D I SA B I L I

Condividere la SLA di mio marito, seconda parte

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Quando “gridare” a gran voce non basta più..

iportiamo la seconda parte di questa toccante intervista ricordando che la prima parte è stata pubblicata sul numero precedente a questo e può essere letta sul nostro sito Internet. Chi è il più forte tra di voi? Non lo so. Entrambi o nessuno dei due. Siamo normali, abbiamo momenti di sconforto e altri più sereni, certo la nostra situazione è difficile, davvero se guardiamo a quello che abbiamo perso rischiamo di finire in un baratro senza fondo, ma se guardiano a quello che possiamo ancora cercare di avere riusciamo ad andare avanti. Parliamo brevemente del Comitato 16 Novembre? È nato a ruota della mobilitazione che ha portato allo stanziamento dei 100 milioni di euro per l’assistenza domiciliare ai malati di SLA. È stata una mobilitazione spontanea di malati che non si sentivano rappresentati dalle grandi associazioni nazionali e che volevano una risposta e non le solite promesse che non avevano seguito. Come siete giunti alla decisione dello sciopero della fame? Ad aprile, a seguito di un’ennesima manifestazione a Roma, ci era stato detto che era allo studio, ormai da cinque mesi, un piano organico d’intervento sulle disabilità, avrebbe dovuto pazientare ancora un mese e il piano sarebbe stato reso pubblico. Qualcuno di voi ha saputo qualcosa in merito? Non so se esasperi maggiormente la condizione in cui si vive o queste eterne prese in giro da parte delle istituzioni che dovrebbero garantirti. Si dice a mali estremi... estremi rimedi. Cos’altro possiamo fare? Credo non si tratti solo di rivendicare un diritto

ma sia anche un dovere costringere le istituzioni ad adempiere il loro ruolo. Inoltre gli ammalati di SLA avevano avuto un contributo e perché gli altri ammalati nelle stesse condizioni no? Ci sentivamo ingiustamente privilegiati.

Vicino a Tore Usala la moglie sulla brandina

Quello che rivendichiamo è che sia istituito un fondo per la tutela di TUTTI i non autosufficienti. Senza contare che il nomenclatore degli ausili è vecchio di oltre 10 anni (non è previsto il comunicatore oculare per esempio) e i Lea andrebbero aggiornati. C’è chi ci accusa di fomentare una guerra tra poveri, di non tenere conto che anche le altre disabilità, meno gravi, vanno tutelate. È vero, ma in attesa della soluzione ideale per tutelare tutti, cominciamo a fare qualcosa almeno per chi sta peggio? Altrimenti rischiamo di restare eternamente in attesa di soluzioni fantastiche che non arriveranno mai.

A una persona privata di tutto meno che della lucidità di comprendere perfettamente la condizione in cui si trova, possiamo almeno risparmiare l’angoscia di sapere che, se decide di vivere ugualmente, costringe i propri familiari a una vita di sacrificio al limite delle possibilità? Oggi deve scegliere se vivere, mettendo agli arresti domiciliari il marito o la moglie e/o togliere il futuro ai figli (perché ha necessità di qualcuno costantemente al suo fianco), o rifiutare la tracheotomia e liberare la famiglia da un peso che, senza aiuti, è insopportabile. È stato naturale che lo facessi anche tu? Sì, quando si dice che con la SLA è una famiglia che si ammala e non una persona, è vero. Però quando ho paventato ad Alberto che se avessi dovuto sentirmi male, l’unica soluzione sarebbe stata quella di un ricovero... mi ha detto di mangiare. Non l’ho fatto e non lo faccio, almeno per ora, spero di non metterlo nei guai... Cosa ci si aspetta da questo Governo? Francamente avevo parecchie attese su questo governo, sono abbastanza delusa, non ha attaccato i privilegi ed ha pescato nelle solite tasche. Quando il tesoriere di un partito può perdere 100 mila euro al gioco di soldi pubblici e nessuno se ne accorge, vuol dire che hanno troppo denaro. Se a me mancano 50 euro nel portafoglio, me ne accorgo subito e li vado a cercare, se non li cerchi è perché non ne hai bisogno. Se davvero si volessero recuperare gli sprechi, ci sarebbe denaro per le esigenze del sistema

sanitario e per interventi nel sociale. Quello che non riesco a capire è perché ci siano tante resistenze a rendere praticabile un progetto che è a basso costo. Sono malati che in ospedale sono ricoverati in rianimazione, nelle RSA fatichi a trovare posto perché non sono molte quelle attrezzate per accoglierli data l’alta intensità di cure di cui hanno bisogno. In ogni caso il costo per la collettività è elevato, si stima in 70.000 euro/anno. Per l’assunzione di assistenti familiari abbiamo fatto la richiesta di 20.000 euro/anno per i casi più gravi. Riesco solo a pensare che con le famiglie si possa intrallazzare poco... Oppure, siccome le famiglie spesso sono disposte a svenarsi piuttosto che ricoverare il familiare, cinicamente le si lascia dissanguare, costa ancora meno. Forse la nuova forma di protesta potrebbe essere quella di far ricoverare contemporaneamente tutti i nostri cari, credo andrebbe in tilt il sistema. Alberto sicuramente preferisce non mangiare. Cosa desideri più di tutto per il tuo compagno di vita? Serenità e qualche momento di allegria. Abbiamo una splendida figlia, di cui siamo enormemente orgogliosi, vorrei che potesse godere dei suoi successi e consolarla nei momenti bui. Il futuro è solo domani, oppure? Sì, ho imparato a non fare progetti perché le condizioni di Alberto sono così imprevedibili che spesso facciamo programmi, anche a breve, che saltano all’ultimo minuto. Può diventare frustrante non riuscire a portare a termine quello che avevi progettato, qualsiasi cosa sia. Meglio vivere alla giornata, che non vuol dire rinunciare a tutto, solo si fa quello che si ha voglia di fare in quel momento. Grazie Francesca. Dorotea Maria Guida

Assistenza compiti in cambio della tua storia! È un progetto pensato per ragazzi stranieri e ragazzi con disabilità fisiche che offre assistenza durante lo svolgimento dei compiti scolastici. Il servizio è gratuito: in cambio chiediamo che un genitore (o un familiare) sia disposto a raccontarci la sua esperienza, o i problemi con cui quotidianamente si scontra, perché possano essere proposti alla comunità. Lo scopo è favorire l’inclusione sociale tra i partecipanti, creando affiatamento fra i giovani, e pubblicare le vostre storie sul nostro periodico Pro.Di.Gio. Quando? Ogni martedì e giovedì dalle 14.30 alle 16.30, massimo 8 partecipanti ad incontro. Chi può partecipare? Bambini delle elementari e ragazzi delle medie sia stranieri sia con disabilità fisiche che necessitino di aiuto compiti. Quanto costa? Gratuito! Vogliamo solo la tua storia. Chi saranno gli insegnanti? Giovani con esperienza che collaborano con l’associazione Prodigio: laureati e competenti. Come procedere? E’sufficiente una telefonata in Associazione allo 0461 92 51 61 o passare di persona per riservarsi un posto. Si parte con il mese di febbraio! Associazione Prodigio Via Antonio Gramsci 46 A-B 0461 92 51 61

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G I OVA N I

Dalla Moldavia al Trentino: autobiografia di un’esperienza

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Consapevole ho lasciato la mia casa a 18 anni, come meta l’Italia

i chiamo Ecaterina Cirlan, ho 24 anni e vengo dalla Repubblica Moldova; vorrei approfittare di questo spazio per raccontarvi un po’ la mia storia, sperando che ci siano persone che vi si riconoscano. Sono in Italia da quando avevo 18 anni, ma non è stato facile arrivarci: ho pagato 4.000€ per aver la possibilità di essere qui. Eravamo quattro persone ad intraprendere il viaggio: siamo partite con un pullman da Chisinau, la capitale della Moldavia, in direzione dell’Ucraina e qui ci è venuto a prendere uno sconosciuto. Non era, infatti, la stessa persona con cui ci eravamo accordati per il viaggio. Ci portò in un appartamento molto stretto in periferia di Kiev, aveva due stanze piccole occupate da cinque persone, tra cui c’era una signora con una bambina di tre anni. Abbiamo trascorso assieme tre giorni, durante i quali feci amicizia con loro: mi raccontò che si trovavano lì da una settimana per aspettare il visto, assolutamente necessario dato che voleva raggiungere il marito in Germania. Gli spazi in quel alloggio erano ristretti quindi, finché sono rimasta con loro, la sera dormivo per terra vicino alla bambina. Dopo tre lunghi giorni siamo ripartiti verso la Francia questa volta in aereo, lasciando madre e figlia in attesa dei loro documenti. Parigi era un posto nuovo per me e stavolta non venne nessun intermediario a guidarci per il paese. Abbiamo trascorso una notte in hotel,

Ecaterina al memoriale Eternitate in centro a Chisinau. Eretto in onore della vittoria nella II Guerra Mondiale.

prendendo poi il giorno seguente un treno in direzione di Bologna e da lì cambiandolo con un altro per arrivare finalmente, dopo una settimana, a Milano. Ma la capitale lombarda non mi piaceva molto quindi dopo sei mesi sono venuta a Trento e mi sono innamorata di questo paesaggio

bellissimo, all’arrivo ho sentito d’essere arrivata nell’Italia che mi immaginavo. La lingua italiana non la conoscevo, avevo molte difficoltà a capire e farmi intendere. Ho iniziato così a studiare dal dizionario, a guardare la tv locale e a leggere in italiano. Appena arrivata ho affrontato subito anche la questione lavorativa: mi accolse una meravigliosa famiglia di Arco, avevano dei bambini ed un anziano in carrozzina. Il mio compito era assisterli nelle faccende domestiche, come giocare ed aiutare i bimbi a fare i compiti, e nelle pratiche quotidiane tenendo compagnia e sistemando la bombola d’ossigeno al nonno della famiglia. Il signore, una persona divertente e molto educata, lo chiamavo “nonno” e lui mi diceva “pòpa”, giocavamo a carte, facevamo parole crociate e gli preparavo da mangiare. Al signor Casimiro piacevano molto i nostri piatti tipici. Talvolta lo portavo fuori a fare passeggiate, a mangiare un gelato o prendere un caffè al bar, a incontrare gli amici, anche loro disabili. Con loro mi sono molto divertita, li ho visti scherzare e sentivo la loro voglia di vivere. Ho avuto la fortuna di star vicino ed aiutare persone meravigliose per quattro anni, e mi hanno fatto capire che la vita è bella e loro la sanno affrontare con quello che hanno, regalando sempre sorrisi e una parola di coraggio! Dopo i quattro anni trascorsi ad Arco mi sono trasferita a Trento e per fare esperienza

in altri campi ho iniziato un corso di sei mesi incentrato sul turismo, il cui scopo è insegnar a vivere in una società più ampia ed europea, sapendosi integrare in contesti lavorativi nuovi con responsabilità. Già avevo un’infarinatura sull’argomento: avevo frequentato un altro percorso di formazione come addetto alle vendite sempre per il turismo. Gli organizzatori di tale corso ci hanno portato presso l’Associazione Prodigio per un confronto diretto in ambito lavorativo. Durante quest’occasione mi sono proposta come tirocinante con loro perché volevo capire come fosse la condizione delle persone disabili in Trentino. Ho trovato delle persone molto disponibili ed hanno accettato la mia presenza ed il mio aiuto in redazione. Mi piace perché il giornalismo è la mia passione e mi piacerebbe rimanere qui per continuare a collaborare; in ogni caso mi piacerebbe proseguire anche con altre associazioni sempre contribuendo nel campo della comunicazione. Ho avuto la fortuna di incontrare persone che m’hanno accordato fiducia e mi hanno dato la possibilità di dimostrare le mie capacità, ora mi piacerebbe metterle in pratica in un ambito lavorativo per sentirmi compresa ed integrata in Trentino. Grazie al Presidente Giuseppe Melchionna e a tutte le persone dell’associazione per l’opportunità. Ecaterina Cirlan

Dalle montagne di Tadla-Azilal, regione nel cuore del Marocco, alle sponde del fiume Sarca

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Racconto autobiografico di un’adolescente immigrata in Italia per scoprire altre realtà

ra l’estate del 2007 quando arrivai in Italia. L’idea dell’immigrazione iniziò già nel 2005. Mi trovavo nel mio paesino che si trova nella regione Tadla-Azilal, esattamente la zona centrale del Marocco, a poca distanza dalle montagne Atlantiche. Nel 2000 quando eravamo ancora a Tadla, la mia città natale, mia madre litigò con mio padre: era un momento molto difficile sia economicamente che moralmente. Mio padre allora decise di partire per Tangeri dove passò più di un anno, mia madre così si ritrovò sola e chiese un aiuto alla sua famiglia: le consigliarono di trasferirsi nel paesino dove vivevano, loro ci avrebbero accolti. Per me e mia sorella non era affatto piacevole questa scelta. A noi quel villaggio non piaceva. Eravamo felici solo durante le vacanze, quando la zia e i quattro cugini tornavano in patria dall’Italia con tanti regali, ma soprattutto ci piaceva quando potevamo visitare le città del Marocco assieme a loro: lo zio aveva la macchina e molti soldi. Infatti rinnovavano ogni anno la casa e acquistavano sempre nuovi mobili. In città, invece, ero felice: durante il mio primo anno di elementari i miei amici erano aumentati, infatti invitavo anche i compagni di classe che abitavano negli altri quartieri. Assieme giocavamo, ballavamo, ci divertivamo ad improvvisare recite e, ogni tanto, si andava al parco: non era un parco giochi come quelli italiani non c’erano panchine, altalene e giochi vari (né tappeti di sicurezza) ma era un grande giardino abbandonato. Eravamo dei bambini forti, ai nostri genitori non chiedevamo mai di acquistare giocattoli, perché ce li costruivamo noi con la terracotta, con bastoncini di legno o con rami degli alberi d’olivo. Dovevo lasciare tutti questi amici e le avventure fatte assieme, la mia fantastica classe e la mia ammirata maestra. Mia madre aveva compreso la nostra sofferenza e noi avevamo compreso la sua senza che nessuno di noi esprimesse i propri sentimenti. Nel paesino la zia ci offrì la sua bellissima casa che, per fortuna, era vicina alla scuola che frequentavamo io e mia sorella. Era una struttura con quattro aule e cinquanta alunni per ogni classe. In città ero abituata al bello, al nuovo e ai compagni profumati. Lì, invece, i ragazzini che erano in classe con me avevano un odore meno gradevole degli altri infatti spesso le loro famiglie possedevano animali come mucche,

asini, cammelli e cavalli. Persino uno di loro Nell’estate del 2004 mio padre tornò al vilfaceva un’ora di strada tutte le mattine con un laggio ed io e mia sorella dall’insoddisfazione e asino che, durante la lezione, rimaneva legato dalla rabbia gli chiedevamo spesso di andarcedietro l’aula nel cortile della scuola. ne da lì. Mia madre si preoccupò, aveva il terrore Ora che ripenso a questi episodi mi viene che lui ci portasse via ma, nel momento in cui da sorridere ma ce lo propose seriamente, noi anche da picrifiutammo. cola ho avuto Il senso della responsabila fortuna di aflità cresceva in noi, la nostra frontare con un decisione era stata ragionata sorriso anche e soprattutto presa con coni momenti più sapevolezza e correttezza nei duri della mia confronti di mia madre che fu vita. Così questi l’unica che lottò in prima pernuovi compasona affinché non ci mancasse gni non si sono mai niente. mai accorti delNel 20 07 avrei la mia rabbia dovuto traslocare nei loro confronti causata in un’altra città del dal trasferimento e non Marocco, più grandirettamente da loro. Mia de, per frequentare madre chiese alla scuola la terza media. Fino di metterci nei primi banall’estate di quell’anchi e pretese che nessun no, i miei genitori professore osasse darci continuarono ad botte sulle mani con bastoincoraggiarmi per ni che utilizzavano immigrare dalla zia sugli altri ragazzi. in Italia. Per loro lo Per noi era ingiusto, studio era essenziale, ma ma secondo questi per vari motivi scelsero insegnanti era il mequesta opzione, in realtà todo più efficace per era stata presa con tanta far sì che gli alunni leggerezza. facessero i compiti Per esempio secondo e che rispondessero loro trasferirsi in Italia era alle interrogazioni meno rischioso e pericocorrettamente. Ma loso che andare a studiare mia madre infrana Casablanca. Ci fu anche se questa regola: una grande influenza da Dall’alto: Campagne circostanti al mio villaggio; Montagne dell’Atlante non le importava nulla parte della famiglia, infatti, una vicino alla città di Azilal; Villaggio di quello che poteva percentuale altissima di figli e della regione Tadla Azilal. pensare il preside della nipoti erano immigrati sia in scuola. Europa sia in Nord America, Gli anni passavano importante, infine, fu la zia che e sono riuscita a trovare qualche amica ma accettò di ospitarmi a casa sua a Sarche. potevo giocare con loro soltanto durante la Il 13 ottobre 2007 alle ore 19 arrivai in Italia, ricreazione, una volta che l’orario scolastico precisamente a Trento. La zia arrivo a prenterminava le amiche le vedevo il giorno dopo. dermi, mi tenne la mano e mi disse di correre Ho trascorso molto tempo della mia infanzia perché avremmo preso l’ultima corriera che a ragionare e a pensare, mi ero anche creata un partiva per Sarche. Durante il tragitto osservai amico immaginario con cui giocavo nel tempo attentamente e in silenzio le strade, il paesagche trascorrevo fuori da scuola. gio e le persone, vi assicuro che per mesi la mia Mia madre iniziò a lavorare e ogni pome- più grande sofferenza fu non capire la lingua e riggio io e mia sorella eravamo sole a casa e quindi non poter comunicare con le persone sbrigavamo le faccende domestiche, compreso del posto. lo studio. Questo mi fece sentire diversa ed isolata dal

mondo; ora che ho superato il problema della comunicazione non mi spiego come facciano quelli che rimangono per anni all’estero senza imparare la lingua del posto. Il giorno dopo mi svegliai con la voce di un turista francese che parlava, era strano per me che ero abituata a svegliarmi con il canto del gallo. Aprii la finestra e lo salutai. Da lì si vedeva un bellissimo panorama delle montagne. Era talmente affascinante che ho disegnato correttamente questo scenario. L’avevo poi spedito come un pensierino originale a mia sorella con scritto sul retro del foglio quanto mi mancava e quanto il paesino era bello. Già i primi giorni chiesi alle mie cugine di portarmi a visitare il paese, ammiravo spesso il Castello Toblino e il fiume Sarca. All’inizio questo luogo mi trasmetteva energia finché non diventò una gabbia, un’abitudine insopportabile. Un po’ prima delle feste natalizie, iniziai ad stufarmi della pesante situazione che si era creata in casa. Non sapevo esattamente cosa potevo fare ma la situazione mi preoccupava, non era affatto serena. Telefonavo ai miei genitori piangendo e raccontavo che la situazione non era quella che si immaginavano, alla seconda chiamata mi chiesero di tornare, mi dissero che loro, i miei amici e i professori erano dispiaciuti per “il mio viaggio”. Quella notte la passai in bianco, dovevo scegliere se continuare con questa avventura iniziata malapena o tornare indietro. Mi sono lasciata guidare dal destino e sono rimasta qui. Sono stata tolta all’affidamento della zia e tramite il servizio sociale ho iniziato a vedere la vera Italia. Ho avuto la possibilità di frequentare la scuola con costanza e sto terminando l’ultimo anno della scuola superiore dopo diverse intense estati di corsi e di lavoretti stagionali. Ho avuto l’opportunità di visitare le città più belle dell’Italia: Venezia, Roma, Milano, Bologna e Perugia e anche paesi dell’Europa: Irlanda, Germania e Spagna. Non solo, ho incontrato amici da tutti i continenti che mi hanno fatto conoscere le loro culture: probabilmente in Marocco avrei avuto meno occasioni di relazionarmi con tradizioni così diverse. Da questo viaggio sto imparando quello che nessun corso mi avrebbe mai insegnato! Karima Saad

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Cure dentistiche pubbliche, le direttive per il 2013

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a Giunta provinciale ha approvato le direttive per il 2013 in materia di assistenza odontoiatrica pubblica, in attuazione della legge provinciale n. 22 del 2007. L’assistenza odontoiatrica non figura certo al primo posto fra gli impegni di spesa del Servizio sanitario nazionale: anche per questo la Provincia autonoma di Trento ormai da alcuni anni sta attuando una politica di attenzione verso la salute del cavo orale, viste le rilevanti implicazioni in termini di qualità della vita e di sostenibilità economica. Saranno infatti 30 gli studi convenzionati che nel 2013 garantiranno la copertura sull’intero territorio provinciale e 13.500.000 gli euro messi a disposizione dall’amministrazione provinciale per il comparto, la stessa cifra dell’anno precedente. Il tutto in coerenza con lo spirito della legge, laddove in particolare definisce i diritti esigibili da parte dei cittadini nel settore delle cure odontoiatriche; stabilisce l’impegno prioritario rivolto a persone in condizioni di particolare vulnerabilità sanitaria e sociale; consolida lo sviluppo dell’assistenza protesica e dell’ortodonzia. Dopo l’approvazione delle legge provinciale 22/2007, sono stati via via assunti provvedimenti per gli esercizi 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012, questo a causa della complessità della disciplina, delle pluralità dei potenziali soggetti beneficiali ed erogatori, delle diverse condizioni di accesso e trattamento, nonché delle diverse modalità erogative previste. Anche per le direttive del 2013 la fase istruttoria è stata caratterizzata dalla necessità di valutare e conciliare specifiche esigenze ed aspettative di ordine tecnico-sanitario, organizzativo ed economico-

finanziario, nonché di coinvolgere i soggetti rappresentativi delle categorie interessate. In un quadro dunque di conferma sostanziale dell’assetto applicativo della legge provinciale 22/2007 anche per l’esercizio 2013 - e sempre nell’ottica del continuo miglioramento organizzativo ed erogativo dell’assistenza odontoiatrica - la Provincia ha ritenuto peraltro necessario, ad integrazione di quanto già progressivamente disposto nelle direttive dagli anni 2008 al 2012, adottare ulteriori misure: 1. fissare - con riferimento agli aspetti relativi alla programmazione (epidemiologia, fabbisogno di cure, offerta complessiva, localizzazione e distribuzione territoriale della rete di studi/ambulatori odontoiatrici) - in numero di 30, su scala provinciale, il numero di strutture cui è possibile conferire l’accreditamento istituzionale per l’erogazione dell’assistenza odontoiatrica. Un numero che consente il bilanciamento fra l’esigenza di governare la domanda di prestazioni e l’esigenza di disporre di un numero potenziale di erogatori (autorizzati e accreditati) compatibile con il numero di accordi contrattuali annuali fissato in 25 in funzione della localizzazione distrettuale delle rispettive sedi, per l’erogazione delle prestazioni in nome ed a carico del servizio sanitario provinciale; 2. specifiche modifiche di carattere tecnico: variazioni al nomenclatore delle prestazioni odontoiatriche per migliorarne l’appropriatezza, l’estensione e l’efficienza, con particolare riferimento ai settori della conservativa e dell’ortodonzia.

Villa Igea, inaugurato il Centro di chirurgia diurna

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l nuovo Centro è stato inaugurato nel corso di una conferenza stampa dal direttore generale dell’Apss che, nell’illustrare i lavori realizzati, ha evidenziato l’impegno dell’azienda sanitaria nell’attuare, nei tempi previsti dalla programmazione provinciale, i lavori e l’inizio delle attività di chirurgia diurna o di day surgery a Villa Igea. Il direttore si è detto lieto di presentare “un luogo funzionale e confortevole con spazi adeguati per le attività di pre-ricovero e ricovero chirurgico giornaliero. Una struttura importante, perché potrà sgravare l’ospedale Santa Chiara di tutti quei ricoveri che possono essere effettuati in giornata lasciando a quest’ultimo lo spazio e le risorse per dedicarsi alle attività urgenti e più complesse. In questa struttura sono previsti circa sette mila ricoveri chirurgici diurni all’anno di pazienti che potranno essere operati senza lunghe permanenze in ospedale e che potranno tornare al loro domicilio sicuri di essere seguiti anche a casa con un follow-up personalizzato. Si è sottolineato che le attività di ricovero diurno non sono meno onerose di quelle a ricovero ordinario perché vi è un forte impegno dell’organizzazione nel sincronizzare e coordinare tutte le attività in un unico giorno per permettere interventi appropriati e di qualità”. Durante la conferenza è stato ringraziato tutto il personale «per l’impegno nel realizzare, nel rispetto dei tempi previsti, gli

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obiettivi assegnati». “A breve si vedranno le ricadute positive sull’organizzazione e sul servizio offerto ai pazienti. Saranno i cittadini a giudicare la bontà degli interventi nel prossimo futuro”. Il direttore dell’ospedale di Trento ha evidenziato come “questo intervento rientra nella riqualificazione delle strutture afferenti all’ospedale di Trento e nella riorganizzazione della rete ospedaliera trentina in risposta alla necessità di reindirizzare alcune specifiche attività”. Ha poi ringraziato tutti coloro che hanno contribuito con il proprio lavoro e il proprio impegno a questo importante risultato. In ultimo il responsabile del day surgery e chirurgia ambulatoriale ha illustrato le modalità operative e personalizzate di presa in carico dei pazienti. “I pazienti ricoverati e operati in regime diurno non dovranno avere un quadro clinico complesso, saranno seguiti da una nuova figura, il Case manager, un infermiere appositamente formato, che li accompagnerà durante tutto il percorso di cura. Sul piano pratico il paziente accede a Villa Igea innanzitutto con un pre-ricovero, durante il quale vengono effettuati gli esami e le visite mediche. L’intervento vero e proprio sarà effettuato entro 15 giorni. Al ritorno a casa del paziente è previsto un follow-up finalizzato alla valutazione post operatoria e al controllo del dolore”.

Acque termali: cooperazione e valorizzazione a livello di Euroregione

a Giunta provinciale ha approvato lo schema di protocollo d’intesa tra il Land Tirol, la Provincia autonoma di Bolzano e la Provincia autonoma di Trento che riguarda la cooperazione e la valorizzazione delle risorse termali dell’Euroregione. “Con questo protocollo si vogliono promuovere e valorizzare le risorse termali e curative dei territori che fanno parte dell’Euroregione Tirolo-Alto AdigeTrentino, avendo al centro dell’attenzione la salute e il benessere psicofisico delle persone, ma anche la possibilità che il comparto termale diventi una delle componenti strategiche dell’offerta turistica e territoriale.” Su questo tema verrà promossa anche una giornata di studio e di approfondimento sul tema del termalismo, con la partecipazione dei rappresentanti e responsabili delle aziende termali che operano sui territori coinvolti nel GECT “Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino”. Lo scopo dell’intesa è quello di realizzare azioni condivise, con l’obiettivo di promuovere le cure termali nell’ambito dell’Euroregione.

Si cercherà quindi, tra l’altro, di favorire la possibilità di usufruire liberamente da parte dei cittadini dell’Euroregione delle prestazioni termali erogate negli stabilimenti insediati sui tre territori; verranno realizzate forme di collaborazione tra le varie aziende per ampliare la conoscenza delle proprietà curative delle acque; saranno promosse la prevenzione e la riabilitazione; saranno organizzate iniziative di formazione del personale; saranno attuate campagne di sensibilizzazione e di promozione delle cure termali anche in abbinamento alle iniziative di carattere turistico; sarà predisposto un progetto complessivo di comunicazione mediante sito web, mailing, folders ecc.; saranno sviluppate azioni di informazione nei confronti dei medici in materia di cure termali; saranno promosse forme di collaborazione tra gli stabilimenti in modo da dare risalto alle specificità delle proprietà curative delle acque di ogni struttura. “È evidente che la valorizzazione delle risorse termali si inserirà in una più ampia e composita azione di promozione territoriale dell’intero territorio dell’ Euroregione, con la sua storia e la sua cultura, con l’intento di individuare, all’interno dei rispettivi programmi operativi, quegli obiettivi comuni che riguardino il futuro delle terme”.

Adeguati gli importi di pensioni, indennità e assegni mensili

Invalidi civili, ciechi e sordi

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Agenzia provinciale per l’assistenza e la previdenza integrativa (APAPI) ha provveduto ad adeguare per l’anno 2013 gli importi delle provvidenze a favore dei mutilati e invalidi civili, dei ciechi civili e sordi. I nuovi importi sono dovuti all’adeguamento automatico al costo della vita e sono erogati dall’Agenzia dal 1° gennaio 2013. Con una delibera della Giunta provinciale del 5 ottobre 2012 si è inoltre stabilito l’importo dell’assegno mensile di cui alla ex legge provinciale n. 11/90 per l’anno 2013. In Trentino sono circa 16.300 i soggetti invalidi (15 mila invalidi civili, 900 ciechi, 400 sordi) ai quali l’Apapi eroga gli assegni previsti dalla normativa. Nel 2012 l’Agenzia ha erogato complessivamente per tali categorie circa 110 milioni di euro. In allegato la tabella con i nuovi importi delle prestazioni economiche riconosciute ai soggetti beneficiari. Prestazioni economiche e soggetti beneficiari, misura delle prestazioni importo mensile per l’anno 2013 INVALIDI CIVILI pensione invalidi civili assoluti 275,87 pensione invalidi civili parziali 275,87 indennità di accompagnamento 499,27 assegno mensile invalidi civili minorenni 275,87 assegno integrativo invalidi civili assoluti 64,89 CIECHI CIVILI pensione ciechi civili totali 298,33 pensione ciechi civili totali ricoverati 275,87 pensione ciechi civili parziali 275,87 indennità di accompagnamento ciechi civili totali 846,16 indennità speciale ciechi civili parziali 196,78 assegno integrativo ciechi civili parziali 64,89 assegno integrativo ciechi civili totali 102,45 assegno ciechi civili decimisti 204,73 SORDI pensione per sordi 275,87 indennità di comunicazione 249,04 assegno integrativo 64,89 ASSEGNO L.P. 11l/90 255,80

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Centri diurni per anziani e servizio di assistenza domiciliare

pprovati dall’esecutivo provinciale le direttive e il finanziamento 2013 dei centri diurni per anziani e del Servizio di assistenza domiciliare collegato con l’assistenza infermieristica e le cure palliative. Si conferma così l’impegno della Giunta a garantire i servizi di supporto per gli anziani, nonché per i pazienti gestiti a domicilio, inoltre si prosegue nella politica di tutelare le famiglie con una persona non autosufficiente, implementando i servizi di assistenza per dare sollievo alle persone che seguono quotidianamente i familiari in situazioni di disabilità”. Il finanziamento per il Servizio di assistenza domiciliare è pari a quasi 1,8 milioni di euro, mentre quello per i centri diurni è di 4,5 milioni di euro. Tra le novità contenute nel dispositivo approvato vi sono: l’apertura di un centro diurno per anziani in Valsugana a Scurelle, la creazione di due posti di centro diurno presso la APSP “Casa Laner” di Folgaria e di quattro posti presso quella di Malé, nonché di tre ulteriori posti nel centro diurno Alzheimer di Trento. Per i centri diurni sono state stabilite risorse per 4.502.943,63 euro, mentre per il Servizio di assistenza domiciliare le risorse sono pari a 1.792.317 euro.

...IL TRENTINO CHE NON LASCIA SOLO NESSUNO... PIÙ EQUITÀ E PIÙ PARTECIPAZIONE DELLA RIFORMA SULLE POLITICHE SOCIALI

foto: Archivio Ufficio stampa Pat (Cavagna, Magrone); Archivio APT Valli di Sole, Pejo e Rabbi (foto Mercuy)

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO


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Inserire il pdf http://download.grandieventi.provincia.tn.it/ManifestoBregovic_A3.pdf

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RUBRICHE

Quando la situazione diventa insostenibile serve una svolta radicale

Raccolti in un unico strumento le disposizioni normative, rendendo più efficace l’organizzazione del sistema sanitario rivolto agli stranieri

Pediatra anche per i minori senza permesso di soggiorno

Soffocati dal carcere

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a Corte europea dei diritti dell’uomo ha nuovamente condannato l’Italia per il poco spazio che le nostre inadeguate strutture carcerarie concedono ai detenuti. Già nel 2009 vi era stata una condanna simile, e purtroppo la situazione non sembra migliorata di molto; non si può negare il fatto che lo status di carcerato in Italia sia decisamente peggiore della media europea, una situazione che ci si aspetterebbe quasi di riscontrare in un paese del terzo mondo. I dati parlano chiaro: con una popolazione carceraria che raramente ospita meno di 65.000 soggetti e una capienza regolamentare poco superiore ai 45.000 posti le possibilità non sono molte: o vengono aumentati i posti, o si sfruttano misure alternative alla detenzione, ma stipare le persone in uno spazio non atto ad accoglierle, dove ognuno ha meno di tre metri quadri per mangiare dormire e vivere è inaccettabile. Eppure da anni si continua a procedere in questa direzione, senza accorgersi di aver imboccato un vicolo cieco. Con il sovraffollamento la missione rieducativa diventa più difficoltosa e si affievoliscono le attenzioni di cui ogni singolo soggetto ha bisogno, in base alle peculiari necessità. Lo stesso esempio lo si può fare con il nostro sistema scolastico; se le scuole dell’obbligo fossero organizzate in classi da centinaia di studenti, nessuno riuscirebbe ad avere un’educazione adeguata. Se le strutture carcerarie ospitano un numero esagerato di soggetti, senza distinzione tra chi deve scontare una condanna definitiva e chi invece si trova in prigione da lungo tempo in attesa di giudizio senza ancora aver affrontato un processo. Dal periodo di detenzione difficilmente si potranno guadagnare dei benefici rilevanti; dove vi è disorganizzazione difficilmente si riesce a ricreare un ordine interiore. L’articolo 27 della Costituzione italiana prevede “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” e al comma successivo “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Uno Stato democratico e civile, dotato di una Carta costituzionale lunga e dettagliata, che non è in grado di attuare, ma anzi perpetra le proprie condotte in violazione di principi così importanti, è uno Stato che non sa prendersi cura dei suoi cittadini, soprattutto di quelli che dimostrano di essere in maggiore difficoltà. Non solo non siamo evidentemente in grado di mantenere le promesse e i buoni propositi costituzionali, ma nemmeno gli impegni europei e internazionali ci spronano a dare un taglio netto all’illegalità perpetrata da anni in ambito penitenziario. Alla grave situazione si sono interessati in molti, come sempre succede nel breve periodo in cui viene data rilevanza mediatica a particolari avvenimenti come la sentenza, però il problema persiste in modo continuato da troppo tempo, anche durante i periodi in cui l’interesse di radio e tv si sposta su altri temi. Un contributo irrinunciabile proviene da chi costantemente si occupa del problema, cercando continuamente soluzioni di breve o lungo periodo, da chi dietro le mura vi lavora da anni e ha come obbiettivo quello di rendere il periodo di privazione della libertà meno penoso e logorante per l’individuo, e da chi continua a portare avanti scioperi della fame in nome dei diritti dei carcerati. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ci dà la possibilità di guardare in faccia, da vicino, il problema. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’ha definita come una “mortificante conferma della incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena”, da questa consapevolezza dobbiamo ripartire, analizzando punti deboli e punti di forza di un sistema che va messo in discussione per creare qualcosa di più utile per l’intera società, o quantomeno trovare un metodo di detenzione compatibile con i diritti umani e civili che ogni singolo necessita. Giulio Thiella

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«Dobbiamo chiederci chi è un clandestino, uno che non ha il permesso di soggiornare in un paese. È una persona senza futuro perché non ha un’identità da rivendicare. Diventa una presenza illegale, illegittima. È qui, ma al tempo stesso non è qui. Vive su una soglia. È una “non persona”.» Nadir Gordimer

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antefatto: nel febbraio 2009 passò il disegno di legge proposto dalla Lega che prevedeva una tassa sui permessi di soggiorno (dagli 80 ai 200 €), legalizzava le ronde non armate di cittadini, istituiva un registro dei senzatetto ed infine offriva la possibilità ai medici di denunciare i clandestini che si servissero delle strutture sanitarie pubbliche. Quest’ultima disposizione sopprimeva il comma 5 dell’articolo 35 del decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, ossia «L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano». Tale decreto poneva quindi delle gravi problematiche: innanzitutto era possibile che una persona in pericolo di vita non andasse a farsi curare per paura di essere denunciata. Altro problema etico riguardava i medici che sentissero stridere la nuova disposizione con i dettami del loro Codice Deontologico, che recita “giuro di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica”. Potrebbe sembrare inumano “costringere” individui a non sottoporsi a delle

cure necessarie per paura di una denuncia, ma altrettanto rischioso è allontanare dal controllo sanitario persone che potrebbero aver contratto malattie nel paese d’origine ed, infine, palpabile è pure il rischio d’incentivare una medicina alternativa ed illegale. Al tempo dell’uscita del ddl, a parte lo sdegno temporaneo suscitato, gli scontri verbali in aula scemarono con un vicendevole uso del termine “razzista” tra maggioranza e opposizione utilizzandolo chi nei riguardi degli stranieri, chi nei confronti dei connazionali italiani. 2013: Al via la riforma del provvedimento Agli inizi del 2013 sembra che, pur in termini ristretti, questo provvedimento sia in via di ridimensionamento. È recente la notizia che sia stata revisionata una

norma che mira almeno a tutelare i più piccoli. Fino ad ora i minori stranieri non in possesso di un permesso di soggiorno venivano portati in consultori, in ambulatori per adulti oppure in altri istituti che offrivano servizi diversi: ciò comportava l’inevitabile continuo cambio di medico e la diretta conseguenza di limitare così la possibilità di avere una storia sanitaria organica del piccolo paziente. Tutto ciò senza tener conto che il servizio offerto a livello qualitativo, non essendo mirato all’infanzia, peccava di qualità. Non era previsto un disegno organico che prevedesse l’assistenza a livello nazionale dei minori clandestini: ogni regione gestiva da se la situazione in base all’impostazione politica locale. Le nuove disposizioni a tutela dei bambini Con il recente accordo derivante dalla conferenza Stato-Regioni si sono raccolti in un unico strumento le disposizioni normative nazionali e regionali, rendendo così più efficace l’organizzazione del sistema sanitario rivolto agli stranieri. Nella pratica saranno investiti 30 milioni a favore della salute dei giovani immigrati non in regola: dovranno essere obbligatoriamente iscritti al servizio sanitario nazionale rispettando così i dettami dell’articolo 32 della Costituzione. Altra modifica: sarà prolungato il periodo di permanenza sul suolo italiano per puerpera e nascituro finché il neonato non abbia compiuto un anno. Fino ad ora la legge prevedeva la loro espulsione al compimento del sesto mese d’età. Il diritto al pediatra è così garantito anche ai bambini clandestini. Il testo integrale dell’accordo è reperibile sul sito del Cinformi. Monica Miori

Convegno a Trento per ricordare i 40 anni di obiezione di coscienza / servizio civile

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40° anniversario della legge Marcora

n occasione del 40° anniversario della legge sull’obiezione di coscienza e servizio civile al Palazzo della Regione di Trento si è svolto la conferenza dal titolo “LA NOSTRA PATRIA È LA GENTE DA SERVIRE - Obiezione di coscienza e servizio civile; i valori di ieri, le motivazioni di oggi, le speranze di domani”. Hanno partecipato alla prima parte del convegno Vincenzo Calì (Fondazione Museo Storico Trento), Michele Dossi (Docente Liceo Da Vinci, già obiettore di coscienza) e Claudia Seppi (Volontaria in servizio civile tra il 2008 e il 2009). Il convegno è stato aperto da Vincenzo Calì che ha avuto il compito di inserire la nascita dell’obiezione di coscienza in ambito storico. Egli ambienta la nascita dell’obiezione di coscienza in un clima di contestazione contro il servizio militare obbligatorio che porta nel 1972 alla legge cosiddetta Legge Marcora che in sostanza legalizza l’obiezione di coscienza basata sulla salvaguardia dello Stato con una durata di 8 mesi in più rispetto al servizio militare obbligatorio. Secondo Calì il cardine dell’obiezione di coscienza è il libro “L’obbedienza non è più una virtù” del 1965 di Don Milani che prese posizione in favore dell’obiezione di coscienza, infatti, il massimo apice di quest’ultima si è avuto tra il 1965 e il 1967. A questo punto dopo un piccolo accenno storico si è avuto un confronto tra l’esperienza di Michele Dossi (obiettore di coscienza trent’anni fa e attuale docente del Liceo Leonardo Da Vinci) e Claudia Seppi (Volontaria in servizio civile tra il 2008 e il 2009). Per questo confronto si è deciso di seguire una “linea storica” e quindi ha preso la parola Michele Dossi.

Obiezione di coscienza e servizio civile: due mondi diversi Dossi ha subito esordito dicendo che lui si sente ancora obiettore di coscienza e che, quindi, l’etichetta “ex obiettore di coscienza” non gli appartiene. Secondo Dossi è stata molto importante la legge Marcora e non si inserisce nel periodo

“eroico” che a suo parere è prima dell’attuazione della legge qui citata. Dossi afferma che c’è molta differenza tra l’obiezione di coscienza e l’attuale servizio civile perché sono inserite in due realtà molto differenti. L’obiezione di coscienza era inserita in una realtà in cui era ancora presente il servizio militare obbligatorio e l’obbiettivo dell’obiezione di coscienza era la salvaguardia dello Stato senza entrare in un organo basato sull’uso delle armi, come può essere l’esercito, mentre il servizio civile è inserito in una realtà in cui il servizio militare non è più obbligatorio e in più quest’ultimo è una libera scelta del giovane e si è spostato su un ambito

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più umanitario. Secondo Dossi il servizio civile è una disponibilità di accorgersi di chi sta dietro e aspettarlo. Un segno di discontinuità individuato da Dossi, oltre al libro di Don Milani già citato, è “Guerre giuste e ingiuste” di Michael Walzer titolo, secondo Dossi, un po’ provocatorio dato che non esistono guerre giuste e ingiuste. Servizio civile: una scelta volontaria Claudia Seppi ha incominciato il suo discorso chiarendo che, a suo parere, il servizio civile non è un sinonimo di volontariato semmai si può parlare di scelta volontaria fatta dal giovane. Dopo aver precisato questa cosa Seppi ha detto che si sente ancora in servizio civile perché sente ancora in sè gli stessi valori che l’avevano spinta a fare domanda per il servizio civile. Secondo Seppi il servizio civile è la solidarietà individuale messa a disposizione della comunità intesa come mondo, infatti, ormai è riduttivo parlare di patria riferendosi all’Italia dato che il comportamento di ogni popolo ha una ricaduta su tutti gli altri popoli anche se in maniera lieve. Anche secondo Seppi l’obiezione di coscienza è diversa dal servizio civile ma solo sul lato della motivazione perché tutte e due perseguono un obiettivo comune cioè quello di fare qualcosa nell’ambito del sociale. Seppi chiude il suo intervento facendo una distinzione tra servizio civile obbligatorio e quello gratuito. Quello obbligatorio non dà la scelta al giovane di decidere cosa fare e ha ricadute sulla società mentre quello gratuito non rende giustizia al giovane. Seppi chiude invitando le istituzioni a mantenere il servizio civile. Maurizio Franchi


S O C I E TÀ

La società deve tutelare i diritti delle persone ma sembra che gli sforzi fatti non siano sufficienti

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Le nuove tecnologie aumentano l’emarginazione sociale?

l 10 dicembre 2012 su www.superabili.it su questo versante l’ente preposto non ha è apparso un articolo di denuncia nei tenuto conto dell’esistenza di professori confronti delle nuove tecnologie sem- e genitori ciechi o ipovedenti, mostrando pre più “non adatte” alle persone cieche ancora una volta l’insensibilità dello Stato. o ipovedenti. In occasione della “Giornata Non solo, l’uso sempre più frequente di del cieco” del 13 dicembre, la festività di libri elettronici che risultano praticamente Santa Lucia protettrice della vista, l’Unione inaccessibile per le persone con “deficit” italiana ciechi e ipovedenti (Uici) ha lanciato visivo dimostra che lo Stato non tiene nella una campagna dal titolo “I ciechi e gli ipo- giusta considerazione le necessità di tutti i vedenti subiscono una nuova esclusione suoi cittadini. sociale”. Un altro problema è l’audioSecondo l’Uici, infatti, le nuodescrizione dei programmi ve tecnologie, considerate televisivi che, nonostante il dai ciechi e dagli ipovedenti contratto di servizio Stato-Rai, come potenziale strumento sono assolutamente carenti sia di maggiore autonomia ed qualitativamente che quantitaindipendenza, in molti casi si tivamente. sono rivelate, al contrario, un Un altro punto portato alla mezzo che ha portato ancor luce nell’articolo è l’autonomia Sito Uici più all’esclusione sociale negata alle persone con con la loro quasi totale “deficit” visivo nell’uso indifferenza alle necessità della maggior parte dei e alle peculiarità dei minobancomat e postamat rati di vista. causato dall’impossibiLa stessa Uici fa notare lità della sintesi vocale. che lo Stato ha promulgaUn’altra questione che into leggi che tutelano quecide sulla vita quotidiana ste fasce di popolazione sono gli strumenti “elimima è inadempiente per na code”, solo visivi negli quel che riguarda la loro uffici pubblici e privati i attuazione con consequali non permettono ai guenze sociali molto gravi ciechi e agli ipovedenti su di una fascia debole di usufruire al meglio del della popolazione. servizio. Vari esempi di Tutto questo determina discriminazione un grave danno ad un L’articolo riporta molti diritto inalienabile per esempi concreti che fanogni individuo cioè l’inno pensare e mettono in evidenza come i dipendenza personale. cosiddetti “normali”, pur con molte buone L’ultimo punto affrontato nell’articolo è la intenzioni, spesso non prendono sul serio le mancanza sul mercato di accorgimenti tecesigenze di chi è meno fortunato e invece nici di facile realizzazione per le abitazioni di costruire una realtà sociale aperta e alla private dei ciechi e degli ipovedenti, infatti, portata di tutti costruisce anche involonta- secondo l’Uici, non esistono dispositivi riamente delle barriere insormontabili basa- tecnologici che permettono l’utilizzo di elette sul progresso e lo sviluppo tecnologico. trodomestici a persone con “deficit” visivi. Il primo esempio di discriminazione porGli esempi esposti in questo articolo tato nell’articolo è la legge Stanca (legge sono eclatanti ma rappresentano solo una n.4/2004) che, secondo l’Uici, non ha fino ad piccola parte dei problemi che i ciechi e gli oggi portato agli obiettivi prefissati. Infatti, ipovedenti si trovano ad affrontare, in più rimangono inaccessibili la maggior parte dei rispetto alle loro “quotidiane” difficoltà, con siti internet pubblici o di interesse pubblico l’introduzione delle nuove tecnologie che escludendo così l’accesso a molti servizi attualmente trascurano le “diversità”. proprio coloro che ne hanno più bisogno. Ulteriori informazioni sono disponibili qui: Altro esempio riportato è l’istituzione del www.uiciechi.it/radio/radio.asp. registro elettronico degli insegnanti, infatti, Maurizio Franchi

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iceva Socrate: «Il saggio è colui che sa di non sapere». Eppure, se pochi sono gli uomini saggi, tutti amano la saggezza, quindi sono anche in minima parte filosofi. Mi ritrovo qui nuovamente per la seconda volta, cari lettori filosofanti, per invitarvi ad un tuffo nella filosofia, l’amore-per-la-saggezza. Siete pronti? Partenza... via! Quella che vi sto per raccontare è una vicenda che mi è capitata tra capo e collo qualche tempo fa. Bazzicavo tra le parti della stazione FS di Mestre. Era domenica sera. Mi ero rifugiata in uno spazio interno, che disponeva di (non proprio comodissime) poltroncine, genere sala d’attesa. Più o meno sola, do un’occhiata, per una rapida sbirciata generale. Ciò che vedo mi colpisce e mi... annienta. Attorno a me circa una mezza dozzina di persone un poco strane: una vecchietta rugosa con un pacco enorme di vecchi giornali ai suoi piedi mi punta addosso lo sguardo con i suoi grandi ed acquosi occhi verdazzurri; un anziano signore fissa un punto davanti a sé senza vederlo; una signora bionda vestita, in pieno inverno, con una semplice maglietta con le maniche corte, mangiucchia una brioche, attorniata da borse di

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le culture incontrate sulla rotta. Un progetto ambizioso, fin dalle premesse, avvalorato da un’ attraversata a vela. Lo scopo della Ong è quella di far cooperare insieme giovani artisti e scienziati creativi, con popolazioni locali che nei pochi luoghi della costa Brasiliana ancora vivono in simbiosi con la natura. I creativi coinvolti nel progetto fungeranno da catalizzatori, inneschi, ma il motore e la forza del cambiamento saranno le stesse popolazioni e le loro culture tradizionali, perché in fin dei conti sono proprio loro a rapportarsi col territorio da millenni. Sviluppare insieme tecnologie autonome e legate al territorio, si traduce in una conservazione e valorizzazione del bagaglio di esperienze che si tramanda da secoli. Una rilettura delle tradizioni locali e dell’approccio uomo natura in un’ottica di interdipendenza dagli interessi economici verso uno sviluppo sostenibile e legato al territorio, partecipato e creativo. Una cittadella artistico-scientifica inizialmente itinerante, mossa da uno spirito nomade che mira ad assimilare più stimoli possibili, spostandosi da un luogo all’altro sulla costa influenzando e facendosi influenzare. Inizialmente questo sarà possibile proprio grazie proprio al “ Criloa”, imbarcazione a vela con cui stiamo compiendo l’attraversata, che sarà anche strumento comunicativo e operativo per entrare in contatto e in piacevole confidenza con la gente costiera. Dall’embrione “Criloa” nasceranno però nuove soluzioni, in maniera dinamica, raccogliendo spunti dagli attori di volta in volta coinvolti: artisti, artigiani del pensiero, scienziati creativi e chi voglia dare una mano. Questi saranno ospitati per semestri in un turn over continuo e vivranno a stretto contatto con la realtà locale, provando a proporre e ideare insieme nuovi stili di vita rispettosi dell’ambiente e della tradizione legata alla terra e al mare. L’insaziabile fame del Leone narrata all’inizio, ritorna dirompente, sotto forma di ingordigia petrolifera, di miopi interessi economici che puntano a trasformare le coste e l’entroterra del Brasile come in tante altre parti del mondo, in un orgia di inquinamento, spiagge monocorde affollate di turisti mai sazi di ciò che la natura può offrire. L’ Organizzazione ELO vuole rompere qualche anello di questa lunga catena fatta di interessi e spregiudicata ignoranza. Tenterà di dialogare con la gente del posto, costruendo insieme a loro un futuro migliore, che non si venda agli interessi commerciali, ma che trovi ragion d’essere nella simbiosi tra uomo, natura e cultura.

L’angolo del filosofo

Normalità. Verità?

plastica e pile di giornali sui quali adagia i piedi; un uomo torvo ed impaurito alla mia destra lancia un gemito ogni tanto; un giovane cinese (lui sì, sembra normale) traffica con il cellulare e... una coppia entra dalla porta girevole. Li guardo. Lei con la mano infilata sotto il braccio di lui,

claudicante. Lui arruffato e stanco, occhi vacui. Si siedono cautamente sulle poltroncine di fronte a me. Lei estrae una bottiglia di vino e fa per aprirla. Non ci riesce. Si guarda intorno. Il giovane cinese alla sua destra si alza e spontaneamente le apre la bottiglia. Una profusione di grazie e sprofonda il silenzio. Tutti gli occhi sono puntati sull’uomo che beve dalla bottiglia. Si sentono i respiri delle persone andare a tempo con il battito del loro cuore. Senza volerlo, lo fisso anch’io, indugiando sulla camicia sporca, gli occhi rossi, le guance scarne, le mani callose, le gambe malferme. Ed ecco: i suoi occhi mi incatenano. Spietati. Trattengo il respiro e non riesco a distogliere lo sguardo: sono prigioniera. L’uomo abbassa la bottiglia, alza un braccio e mi punta contro un dito, sussurrando, nel silenzio: «La normalità ci divide». Resto basita. Non mi muovo. Lui allora si alza e con un ampio gesto della mano traccia un sottile filo che fende l’aria, sussurrando ancora: «Il filo della normalità ci divide». Io an-

Il Brasile in questo momento storico sta infatti compiendo balzi in avanti all’insegna del progresso. Grandi raffinerie petrolifere, porti commerciali, quartieri residenziali e resort turistici crescono con estrema semplicità in prossimità di baie naturalisticamente inestimabili, come pure inestimabili sono le culture che lì si erano insediate nel tempo e che avevano trovato nel mare, nella terra e nei suoi frutti il loro vivere. La situazione oggi nei luoghi in cui si darà vita a questo progetto è cambiata molto velocemente. Chi, fino a pochi anni fa, utilizzava il legname delle foreste che degradavano naturalmente verso il mare, lo faceva in ragione di esigenze limitate e reali, come la costruzione di piccole canoe per la pesca, legna per ardere o per costruire modeste abitazioni. Con l’avvento però di influenti lobby interessate al legname, accompagnate dall’opportunità di stabilire in

quelle zone anche porti commerciali nonché stabilimenti turistici, le tradizioni sono state calpestate, in nome del progresso cieco che promette benessere a tutti. E tutti, come nella storia di cui sopra, sacrificano un po’se stessi di terra, un po’ di mare. I piccoli villaggi di pescatori non possono più usare il legname, che, insieme alla terra, diviene di proprietà del governo e, di fatto, delle multinazionali che con esso hanno a che fare. Il pescatore si adatta, si improvvisa, cerca insomma un modo per sopravvivere e visto che non può più pescare perché la zona viene adibita a parco nazionale o a resort turistico, inizia ad attrezzarsi per ospitare i turisti. Costruendo baracche con materiali di fortuna, come lamiere, amianto o plexiglas, realizza wc pubblici temporanei in spiagge un tempo incantevoli. Questi sono solo alcuni spunti che provano a descrivere un viaggio appena cominciato. Le cose da dire, da mostrare sarebbero molte, ma i fugaci momenti che riesco a dedicare a questo articolo mi fanno notare quanto sia esageratamente scandito il tempo sulla terra. Vi saluto allora amici, la vastità del mare, ci attende, ci circonda e inconsapevole ci unisce nella nostra attraversata. Lorenzo Pupi

nuisco, sconvolta. Lui mi si avvicina, e con lui la donna, e mi parla ancora: «La vita è un pronto-soccorso. La gente ha paura di me perché dico la Verità». Mi viene da piangere. La donna al suo fianco, con la voce impastata: «Nessuno di noi qui ha una casa - e si guarda attorno - e lui è matto» fa, con un sorrisino. Lui annaspa e quasi urlando mi scaglia in faccia: «I soldi e il potere non servono a nulla». «Sono d’accordo», gli rispondo. Si placa e si risiede. Io sto ferma al mio posto in stato catatonico. La signora bionda si alza ed improvvisamente apre una borsa di plastica. Distratta, cerco di capire perché. Dalla borsa escono panini enormi, che lei distribuisce a tutti i presenti tranne me. Infine, mi si avvicina e mi chiede: «Vuoi? Hai fame?». «No, grazie», le rispondo. Lei fa spallucce e si rimette a sedere. Tutti mangiano, per nulla sorpresi. Allora mi alzo e le vado accanto: «Lavori per un’associazione? Sei una specie di angelo custode?», le chiedo. Lei mi sorride e risponde, in un italiano stentato: «No. Ogni domenica, però, porto da mangiare per loro» e con un gesto abbraccia tutta la saletta. «Ma compri tu tutte queste cose?» insisto. «No. La Provvidenza». In quel preciso istante annunciano il

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mio treno e, dopo un saluto generale un po’ frettoloso, devo scappare. Volo per le scale e acciuffo il treno appena in tempo. Una volta seduta, ho il respiro corto e il cervello confuso. Mi vengono in mente le parole di Merleau-Ponty: «Il Filosofo è l’uomo che si risveglia e che parla». Davanti agli occhi ho l’immagine dell’uomo “matto” che mi ha parlato della “normalità”. Ma cos’è la normalità? Mi ha parlato di Verità. Cos’è la Verità? Sono io la “normale” o è lui ad esserlo? Chi è il matto tra noi? Non sono riuscita a mettermi “nei suoi mocassini”, come recita un proverbio pellerossa. A immedesimarmi in lui. Eppure, rivedendo la sua immagine con gli occhi della mente, lo comprendo benissimo: un uomo, allegoria del Filosofo, che guardandosi attorno, vede un mondo che lo rifiuta e non lo capisce. Un uomo che mi instilla il dubbio: normale è bello? Normale è vero? O Verità e normalità fanno a pugni? Non so. E so di non sapere. L’animo mio - crocianamente - è rimasto sospeso e l’immagine di sé medesimo, proiettata nel futuro, balena sconvolta come quella riflessa nello specchio d’un acqua in tempesta. Sara Caon

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D I SA G I O

A vent’anni dall’inizio dell’immigrazione, un’occasione per tirare le fila

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“Dall’Albania al Trentino: immigrazione 1991-2011” di Leonora Zefi e Matilda Sula

n’analisi puntuale che lascia poco spazio all’interpretazione: dati alla mano il saggio di Leonora Zefi mira a ridimensionare e diradare gli ancora persistenti pregiudizi sulla comunità albanese in Trentino. L’indagine ripercorre la storia del loro esodo, iniziato in massa agli albori degli anni Novanta, e il fatto che alcuni di loro trovarono rifugio tra le valli locali, alla ricerca di opportunità, integrandosi non senza sforzi. In questo libro sono approfondite le motivazioni che hanno costretto un popolo alla fuga, le cause che hanno generato il sospetto nella comunità d’accoglienza, le fasi migratorie che si sono succedute sul territorio, i protagonisti del viaggio e l’integrazione durante quest’ultimo ventennio. Dai dati sono avvalorati da statistiche aggiornate e da relatori competenti che trattano le tematiche dell’identità, della cultura migratoria e confrontano le memorie dei popoli coinvolti. Tra i risultati emerge che la comunità albanese è quella che meglio s’è integrata in Trentino, a distanza di un ventennio dalla prima migrazione di massa. Non solo, questa prima prova di accoglienza è stata quella decisiva che diede il giusto incentivo per lo sviluppo del volontariato trentino. Altra caratteristica saliente, rispetto alle altre comunità di stranieri, è la matrice maschile dell’emigrato albanese: erano (e sono) per lo più uomini a lasciare il paese, avviando il ricongiungimento familiare una volta trovata una propria sistemazione

nel nuovo territorio. (Il confronto con, ad esempio, molte signore dell’Est diventa spontaneo: queste raggiungono l’Italia impiegandosi come assistenti domestiche per mandare soldi ai famigliari

La copertina

rimasti nel paese d’origine). Cosa risalta da questo atteggiamento? La volontà di non ritornare in patria e quindi la scelta di ricostruirsi una vita, integrandosi, nel nuovo paese. Sono poi trattati anche aspetti economici ed imprenditoriali a cui partecipano attivamente anche gli esponenti della comunità albanese affittando o comperando case ed aprendo attività commerciali. Altro risultato è l’ambizione di secolarizzare i figli a favore del lavoro

qualificato superando la mentalità come immigrato manodopera specializzata. Una fuga dalla governo assoluto: la migrazione Cosa diede il via all’esodo di massa dall’Albania? La causa principale fu l’instaurazione di una dittatura di stampo comunista che pose le sue radici dalla fine della seconda guerra mondiale, impoverendo gradualmente l’aspetto culturale, linguistico ed economico dello Stato albanese. Dal 1977 il paese ruppe i rapporti con gli altri stati, chiudendosi nell’isolazionismo, e questo gesto diede il via ad una forte crisi economica. Dal 1989 partirono le prime ribellioni e nel dicembre dell’anno successivo il governo dovette permettere la creazione di partiti indipendenti, determinando la fine del monopolio del partito comunista. L’emigrazione albanese iniziò con la caduta del regime comunista e con il diritto per le persone di espatriare liberamente. Dall’inizio di marzo 1991 gli esodi si fecero massicci e l’immigrazione clandestina dall’Albania è stata ininterrotta. Dieci anni più tardi prima la comunità marocchina, poi quella albanese si contendevano il primato numerico in Italia, sorpassati poi dai rumeni. Alla fine del 2010 gli albanesi regolarmente registrati in Italia erano quasi mezzo milione. Disumanità ed accoglienza I migranti partivano alla volta dell’Italia aspettandosi di trovare condizioni di libertà, opulenza, cibo e lavoro in abbondanza e, soprattut-

to, facili opportunità per intraprendere una nuova vita. Ben presto le illusioni si scontrarono con la realtà: emblematico e simbolico fu l’arrivo della nave Vlora, che attraccò l’8 agosto 1991 nel porto di Bari. Il capitano fu costretto a dirottare il mercantile verso le coste italiane e, con le 20.000 persone a bordo, la nave è ancor oggi associata all’episodio del più grande approdo di clandestini in Italia. I profughi, appena sbarcati, furono rinchiusi nello stadio di Bari e le immagini del lancio di cibo dagli elicotteri, e della tensione della polizia, fecero il giro del mondo: evidenti furono le difficoltà che sorsero nel gestire così tante persone. Per quanto riguarda il territorio trentino, la Provincia si impegnò attivamente per sostenere l’accoglienza dei profughi ma trovò la popolazione locale impreparata. Gli arrivi più consistenti furono quelli dell’inizio anni Novanta e del 1997: ai primi albanesi mancava un aggancio iniziale in loco che potesse fare da tramite con la comunità, mentre i secondi furono avvantaggiati perché potevano contare su un sostrato già preparato. Durante l’indagine non viene sottovalutato il ruolo dei mass media che spesso rinvigorirono le paure dei trentini alimentando i pregiudizi già esistenti. Così per i profughi divenne ancor più difficoltoso trovare lavoro ed opportunità d’inserimento. Per agevolare l’integrazione venne istituto il “Piano Alternativo”: un accordo tra Provincia e commissariato del governo che prevedeva una sistemazione per le famiglie, ma

non tutti comuni accettarono di accogliere profughi nei loro confini. Nonostante ciò, dai dati emerge il carattere comunitario della società trentina che, guidata da un dettagliato piano in materia di convivenza ed inserimento, ha saputo sviluppare il senso dell’appartenenza evitando pericolose ghettizzazioni. Ad oggi... Cos’è cambiato in questi vent’anni? Che gli albanesi, oltre a mostrare una volontà d’integrazione, hanno cambiato le priorità: se inizialmente le urgenze vertevano sul lato economico ora sono più motivazioni famigliari a spingere per lavorare sull’accettazione sociale. Altra nota che si ricava dalla ricerca riguarda l’educazione impartita ai giovani: nella maggior parte dei nuclei famigliari i genitori incoraggiano l’uso di entrambe le lingue e culture al fine d’avvantaggiare i figli nell’integrazione di entrambi i contesti, nonché spingono per un’istruzione più approfondita per dare la possibilità ai figli di uscire dalla categoria lavorativa dell’“operaio specializzato”. L’indagine ha lasciato anche degli spunti su cui lavorare: s’è notato che le donne sono la categoria meno soddisfatta dell’ambito lavorativo e meno integrata. In ogni caso quest’analisi ha voluto raccogliere e districare una materia complessa come quella dell’integrazione di un popolo in Trentino, proponendosi non come risultato finale d’una vicenda, ma come strumento per avvicinare anche i “non addetti ai lavori” a questa problematica per migliorare l’integrazione del futuro. Monica Miori

“Io mi taglio”, “Sono stata violentata da bambina”, “Paranoie. Solo paranoie”

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Forum di Prodigio. Il nostro vaso di Pandora si scoperchia.

alvolta chi redige un articolo viene inconsciamente coinvolto in un meccanismo di autoreferenzialità: il suo punto di vista è traslato su un binario soggettivo e si trova a portare avanti un discorso ampiamente influenzato dal suo ruolo e dal contesto in cui opera. Ebbene, questo è uno di quegli articoli. Non può passare inosservato, come credono i suoi fruitori, l’organismo che in questi anni si è alimentato, crescendo in sordina, tra le pagine web di Prodigio: il forum www.prodigio.it/forum.asp. Nato come valvola di sfogo, come spazio alla portata di tutti perché tutti potessero usufruirne, a distanza di anni il forum della nostra associazione si è imposto accogliendo e facendo interagire persone ed esperienze. Per far capire ai non addetti ai lavori di cosa si sta parlando si potrebbe specificare che si tratta di una “piattaforma comunicativa online sul disagio sociale”: in realtà tale definizione svela pochissimo del marasma di emozioni, relazioni e traumi che il contenitore “forum” racchiude. C’è chi ha subito violenze sessuali durante l’infanzia, c’è chi le violenze se le sta procurando autonomamente per alleviare il dolore nell’età adulta, altri ancora cercano consigli perché non sanno come trattare una persona cara che, ad un occhio esterno, sembra rasentare la pazzia. Non sono solo richieste d’aiuto o appelli, ma si tratta di una vera piazza in cui la gente, con tutta la pacatezza possibile, si confronta

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quotidianamente: la forza del forum risiede nella grande partecipazione e trasparenza degli utenti che narrano senza filtri le loro vicende e si scambiano pareri sulle possibili soluzioni, o sulle cause, che hanno dato vita a particolari comportamenti e situazioni. Le tematiche sono le più disparate: un grande afflusso di commenti rimane incentrato nella sezione dedicata all’autolesionismo e alla sindrome di borderline. Le varie esperienze, raccontate da gente di tutta Italia, per quanto cambino i nomi dei soggetti coinvolti, lasciano spesso emergere dinamiche comuni. Non è un forum per chi crede nelle favole Non è un forum adatto a tutti. Chi crede nelle fiabe è bene che lo eviti perché con un candore sconvolgente riesce a raccontare storie che lasciano brividi e lo stomaco contorto. Alcune vicende, che siano sulla pedofilia, sull’uso di eroina, sui tagli per non sentire il dolore... sono qui narrate in prima persona e non rimangono un unicum. L’auditorio che s’è creato non è un pubblico estraneo, un pubblico da sensibilizzare, ma sono colleghi, compagni di sventure che, per vicende traverse, sono giunti al medesimo punto e alle stesse, barbare o apparentemente incomprensibili, esperienze. I consigli sono mirati e sporadici sono gli interventi di “esterni” che entrano per giudicare: chi solitamente risponde è perché si riconosce nelle vicende descritte. Per qualcuno che si sente incom-

preso questo è il terreno giusto per capire che non è trascurato né solo. Non è esattamente il paese dei balocchi: discussioni che iniziano con “sono stata violentata da bambina”, “autolesionismo”, “metodi per lasciare un borderline”, “chiedo aiuto, sono malato e ho voglia di far male agli altri”...non premettono sicuramente la serenità come filo conduttore. Ma non è solo pedofilia e sindrome di borderline: si trova anche l’appello lanciato da una ragazza in cerca di consigli perché i genitori sono restii riguardo al suo fidanzamento con un ragazzo in sedia a rotelle. Ultimamente questa discussione “Amare un disabile... amore diverso” sta avendo una nuova cassa di risonanza. Anche il caso di una ragazza anoressica che inserisce dei pesetti nel reggiseno per non far scoprire alla madre del calo di peso rientra nella varietà di disagi raccolti nel forum. Ed ancora trapela il candore di un ragazzo che vede i suoi atti di autolesionismo non come un pregio, ma neppure come un difetto, solamente come attività che porta avanti perché gli procura piacere farlo, nonostante ammetta di non trovare cause “concrete” poiché nell’ambito privato tutto procede per il meglio. Una soluzione troppo

semplice perché venga accettata dalla morale comune. Parallelamente ci sono altri personaggi che non se la vivono con altrettanta serenità e sperano di trovar al più presto una soluzione. Tutti s’improvvisano psicologi di tutti. Perché questo, forse, cercano: non l’aiuto di un individuo solitamente etichettato come “professionista” che tende una pietosa mano dall’Olimpo della conoscenza psichiatrica (e che spesso si rivela fondamentale!): sembra che i netsurfers considerino più apprezzabile e meno invasivo l’intervento di altre persone che già ci sono passate.

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | febbraio 2013 - n. 1

La prima impressione che si ha approcciandosi al forum è che si abbia a che fare con gente consapevole ed intelligente. Le citazioni a testi specialistici non mancano e neppure approfondite analisi psico-comportamentali che si regalano l’un altro: la terminologia utilizzata è specialistica e rivela in controluce la voglia di trovare sia accettazione sociale sia riscontri scientifici ai loro disturbi. Anche l’atteggiamento adottato dagli utenti non sfocia nella disperazione, ma mantiene un tono moderato che per i non esperti potrebbe apparire incongruo con l’argomento trattato. Come non usare un linguaggio duro, aspro parlando di persone che hanno fatto del male. Oppure ancora ci si può chiedere leggendo le conversazione cos’è che spinge a non denunciare il proprio stupratore ma, anzi, a giustificarlo anche a costo di arrangiare ragionamenti cavillosi? Le domande che sorgono non hanno risposte univoche. Tra le poche considerazioni certe che possono venir avanzate è come il forum sia diventato un’ancora di solidarietà per persone dai trascorsi più disparati, che si cercano e si confrontano sicure di poter esser comprese. Monica Miori


PA SSAT E M P O

“5 premi Oscar 2012 per un film d’altri tempi...”

La psicologia del colore

Che significato hanno i colori e come vengono utilizzati?

The Artist

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iglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, migliori costumi e miglior colonna sonora: tante statuette ma, soprattutto, di grande “peso”. Prodotta nel 2011 in Francia, l’opera in questione sfida i canoni delle produzioni moderne portando una ventata di “novità” in un panorama fatto di 3D ed effetti speciali. Certo, la “novità” è... il muto. Pellicola girata in bianco e nero con protagonisti privi di voce e dialoghi proiettati su schermate statiche come nella tradizione del cinema degli anni Venti. Di grande rilevanza, invece, la colonna sonora, una volta eseguita dal vivo per accompagnare la riproduzione del film e, in questa occasione, realizzata perfettamente per andare a braccetto con l’enfatizzata espressività e gestualità degli attori. Le vicende si svolgono a Hollywood: nel 1927, George Valentin (occulto tributo?) è uno degli interpreti di maggior successo del cinema muto di genere romantico e avventuroso. All’uscita di una sua proiezione, acclamato e assediato da una folla di fotografi e ammiratrici, viene immortalato insieme ad una giovane riuscita quasi per caso ad avvicinare il suo idolo. La foto viene poi pubblicata sulla prestigiosa rivista Variety e, poco tempo dopo, i due si ritroveranno sul set di un nuovo film, Valentin come protagonista e la ragazza, Peppy Miller, alle prese con le prime esperienze come comparsa. Tra di loro si crea subito una forte attrazione, ma nulla di compromettente. Dal 1929, con l’avvento del sonoro e del parlato nel cinema, le loro carriere cominciano a seguire strade diverse: George è riluttante all’introduzione di questa nuova peculiarità mentre, per la giovane, rappresenta il trampolino verso il successo. Valentin decide quindi di andare contro corrente e proseguire con le sue convinzioni, abbandona la sua casa di produzione e finanzia ed interpreta un nuovo film muto che, però, risulta essere un colossale fallimento e lo incanala verso il viale del tramonto. Caduto nel dimenticatoio come attore, lasciato dalla moglie e rovinato finanziariamente tanto da essere costretto a mettere all’asta i suoi averi, vive in un fatiscente appartamento quando, un giorno, decide di bruciare le pellicole da lui interpretate (tranne quella nella quale incontrò la giovane Peppy Miller). Riesce miracolosamente a scampare all’incendio da egli stesso provocato grazie al tempestivo intervento dell’inseparabile cane che, quale suo “miglior amico”, riesce ad attirare l’attenzione di un poliziotto verso la casa in fiamme. Ma la giovane non lo ha dimenticato e, una volta appresa la notizia dell’accaduto, lo ospita in casa sua affinché egli possa rimettersi. Tuttavia, frenato dall’orgoglio, torna nella sua abitazione e tenta il suicidio, ma la donna riesce e fermarlo prima che commetta l’irreparabile. Ella insiste per farlo tornare al lavoro e convince il suo ex produttore ad ingaggiarlo nuovamente, grazie all’estro artistico di Valentin che reinventa le sue performance senza rinunciare al suo credo per il “mutismo”. Grandioso tributo al cinema di inizio Novecento del regista francese Michel Hazanavicius che ci mostra come la tecnologia avanzi di gran carriera ma, tutto sommato, il desiderio di divertimento ed intrattenimento del pubblico possa essere soddisfatto con semplicità e senza l’ausilio di dialoghi cervellotici. Un tuffo nel passato che ha il sapore del nuovo. Da vedere, anche per i più diffidenti. Matteo Tabarelli

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opo aver spiegato il significato e l’origine del colore, che come detto si genera nell’occhio dell’osservatore ed è a tutti gli effetti creato dal nostro cervello, è il caso ora di soffermarsi sul fatto che è possibile, quindi, definire il colore come un’impressione sensoriale in quanto ciascun individuo lo “percepisce” in modo differente. Tutto questo non è spiegabile solamente col fatto che non esistono mai due occhi e due cervelli uguali tra loro perché l’interpretazione del colore varia non solo da individuo ad individuo, ma perfino la stessa persona lo può percepire differentemente in momenti diversi ed in base allo stato d’animo del momento. Lo stesso colore può pertanto generare sensazioni differenti. Lo studio di questo fenomeno prende il nome di “psicologia del colore”. Ogni colore ha un significato psicologico specifico ma anche personale e variabile e fino ad ora non classificabile scientificamente. È operativamente consolidato dividere le gradazioni cromatiche in tre macro aree e cioè i colori caldi (rosso, arancio e giallo), quelli freddi (verde, blu e viola) e neutri (nero, grigio e bianco). Di seguito riporto alcuni esempi di significati assegnati ai vari colori sulla base, soprattutto, di consuetudini e di operatività grafiche ricordando però che non ci sono studi scientifici specifici che li avvalorino. Significato psicologico e uso dei colori caldi: • il rosso, più caldo e dinamico, denota qualcosa di attivo, stimolante, passionale, emozionante e potente. Se utilizzato in piccole dosi nella sua forma più pura attira l’attenzione su elementi critici e segnala un pericolo. Questo colore è stato scelto come principale da Youtube e Google +:

• l’arancione, non così travolgente e forte come il rosso, è equilibrato, vibrante e pieno di energia pur essendo accogliente e invitante. Di solito si utilizza per dare un’impressione accogliente e invitante. Questo colore è stato utilizzato come principale da Amazon;

• il giallo, colore caldo più luminoso e il più energizzante, è simbolo di felicità,

Cercasi volontari Attenzione attenzione: volontari cercasi. Abiti a Trento, o lontano da qui ma conosci comunque l’Associazione Prodigio? È proprio te che stiamo cercando! Se decidi di essere dei nostri, avrai la possibilità di: scrivere articoli per il nostro bimestrale, anche seduto comodamente sul tuo divano di casa; accompagnare i disabili dell’Associazione agli incontri nelle scuole, conferenze, tavole rotonde, convegni; collaborare attivamente agli eventi organizzati e promossi dall’Associazione; esprimere la tua creatività e voglia di fare al servizio dei diversamente abili. Non esitare, ti vogliamo così come sei!

Per info chiama i numeri: 0461 925161 o 335 5600769, oppure visita il nostro sito: www. prodigio.it. Siamo a Trento, in via Gramsci 46 a/b

calore, stimolo ed espansività quindi si usa per far trasparire l’allegria e la felicità scelto da IMDb (sito internet che permette di scaricare i film);

Significato psicologico e uso delle gradazioni fredde: • il verde, colore freddo secondario, è simbolo di calma, equilibrio e rigenerabilità e rappresenta la stabilità; • il blu trasmette affidabilità, fiducia, sicurezza ma anche calma e spiritualità. Il blu scuro è molto usato per progetti aziendali e commerciali mentre quello chiaro per i siti web sociali che rappresentano la calma e la cordialità infatti è stato usato nelle sue sfumature come colore cardine del social network Twitter e da Skype;

la pulizia, la speranza e l’apertura ma anche la sterilità e la semplicità. Questo colore è stato scelto da Bing.

Mettetevi alla prova: che sensazioni vi trasmettono queste immagini? Quale figura da le seguenti emozioni?

Inserite i numeri delle figure nelle caselle a fianco della parola

Felicità Passione Purezza • il viola simboleggia la nobiltà, l’abbondanza e la dignità, ma può anche rappresentare la creatività e la fantasia. Le tonalità più scure del viola sono associate alla ricchezza e al lusso mentre le tonalità più chiare del viola alla primavera e al romanticismo. Questo colore declinato nelle sue varie sfumature è stato scelto come colore principale di Facebook con una piccola aggiunta di azzurro, Yahoo, Wordpress e Linkedin.

Significato psicologico neutri: • il nero rappresenta il potere, l’eleganza e la modernità ma anche il mistero; • il grigio simboleggia la neutralità e la calma. Una mancanza di vivacità può essere associata al design conservativo. Questo colore è stato scelto come principale dall’enciclopedia online Wikipedia;

Mistero Calma Equilibrio

Dopo queste due prime puntate che mi hanno permesso di introdurre il colore la prossima puntata verterà su una delle difficoltà o “diversità” collegate alla visione del colore; inizieremo con il daltonismo. Maurizio Franchi

QR CODE... cos’è? Dal 2012 questo giornale sarà multimediale. Infatti accanto ad alcuni articoli troverete questa strana immagine che è come un codice a barre che nasconde un indirizzo web. Attraverso un’applicazione del vostro smarthphone potete accedere facilmente a ulteriori contenuti video o foto. Con il codice sotto potete consultare la nostra pagina facebook.

• Il bianco rappresenta la chiarezza,

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