Prodigio Giugno 2017

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BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO III - GIUGNO 2017 - ANNO XVIII - 102° NUMERO PUBBLICATO

WWW.PRODIGIO.IT

PROGETTO DI GIORNALE Un anno di servizio civile a PRODIGIO

Esperienze di innovazione sociale: Anffas

L’esperienza di un anno raccontata in prima persona dai giovani

Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento . Contiene I.R.

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Intervista al presidente Luciano Enderle che ci racconta attività e progetti innovativi pagina 4

Tutta la Clarina che c’é L’annuale appuntamento di maggio si conferma un evento gradito e partecipato in Clarina pagina 5

In ricordo di Pino Grande successo per il premio artistico letterario in memoria del fondatore di PRODIGIO Giuseppe Melchionna pagina 8

Tutta la Clarina che c’è


IN EVIDENZA

Un anno di Servizio Civile Si sta per concludere il progetto “Giornalismo partecipativo di quartiere”

EDITORIALE PRIMAVERA è PARTECIP (AZIONE)!

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pro.di.gio.

Nemmeno il tempo di rimettere una giacca più leggera che quasi fa caldo in maniche corte. La primavera è un po’ così, si fa attendere, ma quando meno te l’aspetti smette di fare capricci e si concede con tutta la sua bellezza ed energia. Ed è subito colori, profumi e luci che invadono ogni angolo, modificando non solo il paesaggio, ma anche il comportamento di tutte le persone, positivamente influenzate dalla bella stagione. Primavera in Clarina vuole dire festa, colori, bambini e partecipazione, l’ingrediente immancabile per ogni avvenimento importante. Anche quest’anno la festa si è svolta nel piccolo ma accogliente giardino Itea di via Gramsci, il luogo adatto ad accogliere le tante persone del quartiere che hanno piacere di trascorrere un paio d’ore assieme per condividere parole, musica, sorrisi e qualcosa da mangiare, in un’ottica di comunità che contribuisce ad arricchirci tutti. Il successo di questo evento permette di fare il pieno di energie in vista dell’attesissima estate, e al contempo dimostra quanto gli sforzi fatti per coinvolgere e sensibilizzare porti benefici a tutta la comunità. La redazione

“La mia esperienza di servizio civile”

“La grande ricchezza dei piccoli gesti“

Sono venuto a conoscenza del progetto presentato dall’associazione prodigio un po per caso, avevo da poco interrotto gli studi e stavo cercando una possibilità per mettermi in gioco e cimentarmi in un esperienza nuova. Il progetto di giornalismo partecipativo di quartiere, così denominato, aveva però catturato la mia attenzione. Non avevo e non ho tuttora grande esperienza con la scrittura ma da alcuni anni è un ambito che mi interessa e che sto cercando di coltivare. Ho presentato la richiesta e, dopo aver fatto il colloquio, scopro grazie ad una email di essere stato scelto. È il primo luglio 2016, data ufficiale di inizio progetto. Altri due ragazzi sono stati scelti per prendere parte al progetto, sono Giulio e Martina. Insieme ci occupiamo subito di alcuni progetti, che fra video riprese, interviste ed eventi vari ci portano a conoscere diverse realtà. Iniziano le prime collaborazioni, si creano diversi tavoli di lavoro che ci permettono di dare inizio ad alcuni progetti in rete. Nei primi mesi in ufficio la situazione è effervescente, cerchiamo di avere occhi e orecchie ovunque. Nei numeri estivi della nostra rivista raccontiamo le molte iniziative proposte da diversi enti che, nella bella stagione propongono attività accessibili a tutti, diamo anche inizio ad una rubrica dedicata alle storie di migrazione. Con molto impegno riusciamo a sottoscrivere un patto di collaborazione con il Comune di Trento e l’associazione Finisterrae Teatri, sulla rigenerazione urbana e i beni comuni. Questo primo passo porterà nel parco Langher, situato vicino al nostro quartiere, un progetto proveniente da molto più lontano, dal Giappone, chiamato Kaki Tree Project. Un progetto di pace, che racconta gli orrori della bomba atomica, ma che coltiva fiori e frutti di speranza. Abbiamo poi rivolto la nostra attenzione al tema del riciclo e riuso, collaborando con l’associazione Anffas e i suoi straordinari laboratori abbiamo dato il via ad un progetto di bookcrossing, realizzando da un mobile trovato in discarica una biblioteca ambulante. Fare un esperienza di questo tipo, nel mondo del sociale, collaborando e progettando con enti del terzo settore, interfacciandosi con categorie di persone molto diverse, dagli anziani alle persone con disabilità, ti permette di maturare alcuni aspetti, di considerare la diversità come una risorsa e la condivisione come una ricchezza.

Affrontare il servizio civile significa imparare a convivere con la povertà e lo sconforto, non solo e non tanto quelli a cui ti costringono i 3,60 euro all’ora previsti come “emolumento” dal sistema nazionale, quanto piuttosto quelli che si leggono nello sguardo stanco degli anziani soli della periferia, indecisi se afferrarsi a quello spicchio di dignità che rimane loro o se chiederti aiuto per compilare le carte per il trasporto gratuito, quelli che si sfiorano sulle mani coperte di cicatrici dei migranti in fila nella mensa dei nostri centri di accoglienza, quelli che si nascondono nei capelli prematuramente ingrigiti delle mamme dei ragazzi disabili che, a metà tra stoico coraggio e stanca retorica si chiedono “ma io, il tempo e i soldi per la parrucchiera dove li trovo?”. Trascorrere un periodo della propria vita in servizio civile significa però anche riscoprire l’immensa ricchezza che solo i piccoli gesti discreti e affettuosi sanno regalare, come quando ti accorgi che i pensionati delle case popolari portano tutti i giorni il pranzo al senzatetto che staziona nel loro androne e hanno persino scritto una lettera al sindaco per chiedergli di trovare anche a lui un alloggio dignitoso o quando gli studenti della professionale all’angolo rispondono al tuo appello e per una mattinata trasformano il quartiere in un salone di bellezza a cielo aperto, dove i tagli di capelli si pagano in sorrisi anziché con la carta di credito. Significa ridare dignità ad un migrante organizzando una mostra di pittura con i suoi quadri che raccontano il viaggio dal Pakistan all’Europa, significa ricevere il disegno di un bambino a cui hai appena finito di leggere una fiaba o la carezza inaspettata di un disabile intellettivo che non credevi si sarebbe mai alzato dalla sua sedia. Significa avere giorni buoni e giorni in cui il tuo cuore scoppia di fronte a tanta ingiustizia. Significa scoprire il grande potenziale del terzo settore e anche le pastoie in cui ogni tanto si infila. Significa affezionarsi ad un quartiere che non è il tuo e a degli strumenti di lavoro che in 365 giorni apparterranno a qualcun altro. Significa diventare grandi e provare a costruirsi un futuro professionale nella terra in cui si è cresciuti. Significa sentire le ruote della sedia rotelle rullare a vuoto nell’erba fresca e nonostante tutto trovare la forza di alzare lo sguardo e cercare di scorgere, lontano oltre le nubi, un cielo sempre più azzurro, sotto il quale fare spazio per tutti.

Alessandro Vanin

Martina Dei Cas

Un anno passa veloce, per quante cose si riescano a fare il tempo sembra correre, eppure guardandosi indietro la strada percorsa è davvero lunga e ricca di contenuti. Di questa esperienza di servizio civile mi porterò dietro soprattutto le soddisfazioni per i tanti risultati raggiunti, le sfide affrontate e i passi avanti fatti, un anno pieno di persone, storie, racconti ed esperienze utili e formative, sia dal punto di vista giornalistico che sociale e umano. Lavorare in squadra per realizzare dei contenuti che raccontino il sociale del territorio, la disabilità e il disagio che troppo spesso passa inosservato, permette di entrare in contatto con tante persone che vivono e lavorano in questo settore. Operatori, volontari, utenti, anziani e bambi-

ni incontrati ogni giorno per raccontare la loro straordinarietà o quotidianità, le idee e i progetti pensati per rispondere a un bisogno, la fatica di trovare il modo per realizzarli. Tutti loro rappresentano piccoli tasselli di un percorso ben più lungo di un anno, perché come me tanti altri ragazzi hanno dedicato un anno a questa esperienza, e speriamo che altrettanti ne abbiano la possibilità. Un anno a fianco di validi colleghi e accolti da un ente che da quasi 20 anni si dedica senza sosta a dar voce a chi prima non ne aveva, uno spazio di riflessione e confronto raro e prezioso in cui ho avuto la fortuna di imbattermi.

“L’opportunità di vivere un anno irripetibile”

Proprietà: Associazione Prodigio Onlus Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Sito Internet: www.prodigio.it E-mail: associazione@prodigio.it Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana).

Direttore responsabile: Francesco Genitoni. Redazione: Luciana Bertoldi, Carlo Nichelatti, Lorenzo Pupi, Giulio Thiella, Alessandro Vanin, Martina Dei Cas, Maurizio Menestrina. Hanno collaborato: Chiara Soma, Diletta Lazzarotto, Anna Baroletti Istituto Pertini, Massimo Occello, Luciano Enderle, Jacopo coop Sad, Camilla Di Pace, Milena Boller, Angela Margoni e Tenzin Khando Khoryakbaro In SCUP presso Il Quartiere Animato. In stampa: 8 giugno 2017.

Giulio Thiella

Abbonamento annuale (6 numeri) Privati €15,00; enti, associazioni e sostenitori €25,00 con bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT 67G 08304 01846 000046362000 intestato a “Associazione Prodigio Onlus” presso la Cassa Rurale di Trento indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”


A CC E SS I B I L I TÀ

Plan B Sailing: si ricomincia! Il racconto di una prima uscita in barca tutta da migliorare

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inalmente ci siamo! Dopo un inverno quasi troppo caldo, ma comunque eccessivamente freddo per permettere alle mie gambette secche (e soprattutto alla salute cagionevole da ultra novantenne piena di reumatismi) di salire su una barca, l’equipaggio delle SMIDOLLate è orgoglioso di annunciarvi l’inizio ufficiale degli allenamenti di questa stagione velistica 2017! Inutile mentire, l’emozione nel rivedere la nostra amata Hansa 303 azzurro cielo è sempre tanta, così come la consapevolezza di ricordare quasi nulla di quel poco di teoria imparata l’estate scorsa, ma va bene così. L’entusiasmo di poter finalmente tornare in acqua e la voglia di imparare compensano tutto il resto, almeno per ora.

Scendo dalla carrozzina arrivando a sedermi sul molo e da lì, finalmente, sulla barca. La fase di discesa non è stata male, noto con sollievo che le centinaia di tentativi dell’estate scorsa hanno dato i loro frutti. Diletta è già salita, da una parte controbilancia il peso dello scafo permettendo a me ed alla mia testardaggine di fare tutto da sole, dall’altra controlla che tutta questa mia smania di autonomia non si traduca in un incontro ravvicinato tra la mia testa ed il timone poco più sotto. Trasferimento riuscito, testardaggine uno, gambette secce e poco collaborative zero. Si parte! Diletta si occupa di fiocco e randa, io sto al timone. Pian piano iniziamo ad allontanarci dal pontile, riusciamo a bolinare fino a superare il canneto che ci guarda minaccioso alla nostra sinistra, primo piccolo ostacolo superato. L’agitazione lascia spazio all’entusiasmo, portiamo a termine la prima virata con lo stesso spirito del Capitano Achab mentre dava la caccia a Moby Dick. O per lo meno questo è quello che sembra a noi. Da Riva nel frattempo ci raggiunge Stefano a bordo di un’altra barchetta, le vele e lo scafo giallo acceso in netto contrasto con l’azzurro cielo della nostra. Il colore è

l’unica differenza tra le due imbarcazioni, eppure la bolina per evitare il canneto e la successiva virata eseguite da lui hanno un aspetto decisamente diverso. Sostituiamo la spavalderia del Capitano Achab con una buona dose di concentrazione. La strada da fare per aspirare ad una buona manovra è ancora tanta! Rimettiamo i piedi (e le ruote) per terra e cerchiamo di concentrarci come si deve. Le successive due ore trascorrono velocemente tra virate, strambate, un “cazza la randa” urlato al vento e vari giri di boa non proprio riuscitissimi. Rientriamo in porto, devo scendere dalla barca. Questa volta però la stanchezza ha la meglio sulla testardaggine. Le mie gambette secche collaborano ancora meno di prima, con qualche aiuto in più riesco a tornare a sedermi sulla mia amica carrozza. Sorrido. Non è stata di certo l’uscita più performante nella storia della Classe Hansa, ma è servita a ricordarci una cosa fondamentale: se abbiamo fatto schifo non è certo colpa della carrozzina! Lei è rimasta buona buona ad aspettarci in fondo al pontile, in barca le differenze non esistono, ma le SMIDOLLate, a quanto pare…invece sì! Chiara Soma

info@arche-tn.it

MARKETING SAIT

Arrivo al Centro Nautico di San Cristoforo e vedo da lontano Diletta già intenta ad armare la nostra barchetta assieme a Franco e Giulia (i due volontari in Servizio Civile presso la Coop. Sociale Archè, dove anche per noi ebbe inizio l’avventura grazie al Sailing Campus dell’estate scorsa) il tutto sotto le direttive di Stefano, nostro istruttore e membro dello staff di Archè. Al mio arrivo, Diletta sta montando l’albero del fiocco sulla prua della barca, Giulia è intenta a far passare una delle due cime del fiocco attraverso lo strozza scotte, per poi fissare il tutto con un bel nodo di fine corsa, Franco ripete la medesima operazione dal lato opposto. Fatta eccezione per quest’ultimo passaggio, contribuire attivamente all’armamento ed alla messa in acqua della barca da seduti in carrozzina (come su una sedia qualsiasi in realtà) non è cosa semplice, la maggior parte delle azioni richiedono necessariamente l’aiuto di qualcuno. Ciò non significa che io debba

stare in disparte o non sapere cosa stanno combinando i miei compagni ovviamente, Stefano infatti mi riprende per il leggero ritardo e mi sprona subito a prestare attenzione alle procedure svolte fino a quel momento. Terminata la fase di preparazione, finalmente si entra in acqua. La barca viene ormeggiata al molo galleggiante, è una bella giornata, il sole fa capolino dalle nuvole sparse qua e là, ma soprattutto, si sente chiaramente scivolare sul viso una brezza fresca proveniente da sud, cosa che, al lago di Caldonazzo non è per niente scontata.

Da sinistra Diletta e Chiara pronte a salpare pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | GIUGNO 2017 - n. 3

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ESPERIENZE D’INNOVAZIONE SOCIALE A TRENTO RUBRICA DI APPROFONDIMENTO A CURA DELLA REDAZIONE PRO.DI.GIO.

L’Intervista Presidente Enderle, ANFFAS è una delle realtà più conosciute, accreditate e ramificate che si occupano di persone con disabilità intellettive e relazionali. Ma com’è nata questa associazione? A livello nazionale, ANFFAS è nata sessant’anni fa dal bisogno dei genitori di ragazzi disabili, soprattutto delle mamme, di trovare sostegno in un contesto povero di soluzioni per famiglie come le loro. Analogo percorso si è seguito qui in Trentino, dove di recente abbiamo festeggiato i cinquant’anni dall’inizio delle attività: ANFFAS Trentino Onlus è stata infatti fondata nel 1965 da Francesca Paris Kirchner dopo aver incontrato per caso in lavanderia una sua ex compagna di scuola e aver scoperto che la donna, proprio come lei, aveva un figlio disabile. Iniziò così un nuovo percorso, atLuciano Enderle, presidente di Anffas Trentino traverso il quale costruire strutture formative e di cura adeguate, sensibilizzare l’opinione pubblica e rompere l’isolamento in cui fino ad allora erano stati tenuti i ragazzi con disabilità intellettive e relazionali.

“la direzione nazionale di ANFFAS ha contribuito attivamente alla stesura del testo di legge che nel 2016 ha stanziato 90 milioni di euro per progetti a sostegno delle persone con disabilità gravi”

Ci parli dei beneficiari dei vostri servizi… Il nostro compito è quello di consigliare e supportare le famiglie dei bambini disabili intellettivi fin dai primi mesi di vita. Abbiamo poi percorsi diversi a seconda delle età: ci sono l Paese di Oz, che si occupa dell’età evolutiva, i centri occupazionali, per coloro che hanno disabilità lievi, e i centri socio-educativi diurni, dove ospitiamo persone con disabilità gravi. Tra i nostri ultimi progetti ricordo la costruzione di una nuova ala del centro residenziale Casa Serena a Cognola di Trento, che sarà pronta entro fine 2017 e ospiterà percorsi terapeutici personalizzati per bambini con malattie rare e disabilità gravi. Qual è la soddisfazione più bella che ha avuto in ANFFAS? Bè, direi ricevere una mail dai nostri stessi utenti. Mi spiego meglio: da qualche anno abbiamo attivato il percorso “Io cittadino” attraverso il quale aiutiamo i nostri ragazzi ad autorappresentarsi, grazie all’apprendimento del linguaggio “easy to read”, uno speciale linguaggio internazionale pensato per semplificare le informazioni difficili, rendendole quindi comprensibili anche ai disabili intellettivi lievi. A conclusione di questo percorso abbiamo invitato le famiglie dei partecipanti a un momento di restituzione, ma i partecipanti stessi mi hanno scritto una mail per dire che la riunione potevamo farla direttamente con loro, perché “avevano imparato ad arrangiarsi”. Leggendo quelle righe mi son detto che il corso era servito e stava già dando i primi frutti! Con l’approvazione della legge sul Dopo di noi si sono aperti nuovi margini di speranza per le vostre famiglie… Certo, la direzione nazionale di ANFFAS ha contribuito attivamente con i propri pareri alla stesura del testo di legge, che nel 2016 ha stanziato 90 milioni di euro per sostenere progetti individuali a sostegno delle persone con disabilità gravi. Nell’ambito della ripartizione tra le regioni però il Trentino è rimasto escluso, perciò credo sia fondamentale cercare risorse altrove, perché questi temi sono troppo importanti e delicati per restare indietro. Quali sono le sfide che dovete affrontare quotidianamente? Sicuramente il riuscire a mantenere alta la qualità dei nostri servizi nonostante il calo di risorse. A ciò si aggiunge il timore che le gare d’appalto in quest’ambito siano sempre più condizionate dall’economicità della proposta, piuttosto che dalla sua effettiva qualità. Martina Dei Cas

INFO E CONTATTI

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Anffas Trentino Onlus Via Unterveger, 6 38121 TRENTO

Una foto dalla casa satellite di Aldeno

I NUMERI DI ANFFAS TRENTINO ONLUS 745 utenti in tutta la Provincia di Trento 540 collaboratori 405 volontari attivi 49 servizi erogati a Trento e in tutte le Comunità di valle 1,8 milioni di ore di cura erogate ogni anno

Progetti innovativi La casa satellite di Aldeno: in questa residenza protetta un gruppo di ragazzi con disabilità intellettive e relazionali a rotazione, si cimentano nel vivere da soli, assistiti un paio di ore al giorno da un educatore. Il progetto non riceve alcun contributo pubblico, ma è finanziato interamente da ANFFAS e dalle famiglie degli utenti.

La guida turistica “easy to read”: questa brochure home-made, cioè interamente realizzata dagli utenti di ANFFAS, è destinata a far conoscere Trento ai turisti anziani o con disabilità intellettive attraverso l’uso del linguaggio internazionale semplificato “easy to read” a loro accessibile.

Le campagne di sensibilizzazione territoriali, come quella, promossa nei cinema, sugli autobus e attraverso il sito www.chidonaviveduevolte.it volte a convogliare le donazioni ad ANFFAS nei lasciti con il motto “Una donazione a km 0 accende la tua comunità”. Tanti anche i documentari patrocinati, come quello di Franco Delli Guanti “L’altra Shoah”, sullo sterminio di disabili e malati psichici nella Germania nazista.

0461 407 511 associazione@anffas.tn.it

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E V E N T I D I Q U A RT I E R E

Festa di Primavera Tutta la Clarina che c’è - 2017 La festa di primavera in Clarina è ormai un evento consolidato e ben voluto nel quartiere, un breve ma intenso momento di incontro che riunisce enti e associazioni di varia natura, scuole elementari, materne e scuole professionali, creando un’energia sincera e spontanea. Anche quest’anno, grazie alla collaborazione di PRODIGIO, Anffas, Sad e Fai, siamo riusciti a coinvolgere tantissimi partecipanti, ognuno con un’attività da proporre o spiegare, e naturalmente una storia da raccontare. Dalle bolle di sapone giganti del laboratorio del Muse al percorso sensoriale del Quartiere Animato, tutti i bambini si sono divertiti, sia i grandi che i più piccoli. Tutto questo è reso possibile dalla voglia di mettersi in gioco per fare qualcosa in più, cercando sempre di portare la normalità anche tra quelle persone che da molti sono ancora considerate come “speciali”, “diverse”. Giulio Thiella

Stupiscono i bambini. Sono tanti. Riempiono la piazza di trilli e sorrisi. Entrano ed escono da enormi bolle di sapone, picchiano sui tamburi, lanciano palle di carta nel bidone giusto, imparando a differenziare i rifiuti. Un luogo silenzioso, talora degradato, comunque vuoto, ha preso vita. Stare insieme e fare insieme paga sempre. Siamo stati felici. Massimo Occello, Presidente Cooperativa FAI È stato davvero bello vedere come questa festa abbia permesso alle persone di poter interagire. In un quartiere spesso ci si può isolare e ci si dimentica della comunità e quindi questi momenti di condivisione sono fondamentali per comprendere la gioia dello stare insieme. Grandi complimenti a PRODIGIO per aver reso questo possibile e per aver risvegliato l’energia del quartiere. Milena Boller , partecipante

Venerdì 12 maggio, noi, un gruppetto di ragazzi parrucchieri dell’Istituto professionale Sandro Pertini di Trento, abbiamo aderito alla festa di quartiere in “Clarina”, dove erano presenti delle associazioni e altre scuole. Questa festa consisteva in “percorsi” didattici per le persone con problematiche, incapacità motorie, o altri tipi di malattie. Il nostro “compito” era quello di far sorridere queste persone, farle sentire belle e soprattutto curate, poiché per loro è una cosa del tutto sconosciuta quella della visita fissa dal parrucchiere. E vedendo il risultato della mattinata passata a fare boccoli, treccine e modellare i capelli con il gel, penso che ci siamo riusciti in pieno! Con una tavolata piena di strumenti di lavoro tra cui ferri, piastre, forbici, rasoi, spazzole e pettini e alcune sedie abbiamo potuto ricreare un mini salone all’aperto solo per loro e, a giudicare dai loro visi felici, siamo riusciti a farli sentire in un ambiente di lusso. La felicità più grande è stata vedere come tutte quelle persone volevano immortalare quel momento per loro raro, con una foto, così da ricordarsi di questa bella giornata passata in nostra compagnia. Un’esperienza nuova per tutti, ma penso anche molto significativa!

Alcuni bambini intenti a suonare durante la festa

Anna Baroletti 3^B acconciatori Ist. Pertini

Come ogni anno noi della cooperativa Sad abbiamo accolto l’invito da parte di “PRODIGIO ONLUS” a partecipare all’evento della festa di primavera “TUTTA LA CLARINA CHE C’E’” assieme a tutte le realtà del quartiere che operano nel sociale. “ PRODIGIO ONLUS” ha avuto la capacità di coinvolgerci non solo durante l’evento ma anche nella parte organizzativa rendendoci partecipi anche della filosofia che sta dietro a un’ iniziativa come questa. Come cooperativa ci siamo impegnati per creare un laboratorio manuale basato sul riutilizzo di materiale di recupero per sensibilizzare i bambini alla pratica del riciclo. Questo piccolo lavoro che i bambini hanno fatto consisteva nel creare delle cornici con del cartone recuperato dalle scatole trovate in cooperativa e dei cartoncini colorati ritagliati con forme che ricordano la primavera. Inoltre ci siamo attivati per supportare l’organizzazione mettendo in campo i nostri mezzi e i nostri ragazzi del servizio civile per il trasporto dei materiali necessari per la festa quali panche e tavoli, presi dalla protezione civile, e sedie che sono state prestate dalla nostra struttura di “ Casa alla Vela “. In generale i partecipanti mi sono sembrati molto contenti di tutte le proposte didattiche e sia i nostri volontari sia i ragazzi del servizio civile sono stati entusiasti di partecipare e mi hanno lasciato un feedback molto positivo. In conclusione ringrazio tutti gli organizzatori e i partecipanti da parte di tutta la cooperativa SAD per l’ invito e per l’ottima riuscita del evento. Jacopo Cooperativa Sad

Il cartellone realizzato dai bambini per rappresentare l’evento

Una delle attività proposte dalla Uisp (Unione italiana sport per tutti)

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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO L’ecosistema di sanità digitale TreC per la gestione dei pazienti cronici Nella Provincia autonoma di Trento è attivo il centro di competenza per lo sviluppo della sanità digitale “Trentinosalute4.0”. Il Centro, governato congiuntamente da Provincia Autonoma di Trento (PAT), Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (APSS) e Fondazione Bruno Kessler (FBK), ha la finalità di strutturare la collaborazione interistituzionale quale “punto di incontro” tra Sistema Sanitario, Ricerca e Territorio, divenendo quindi lo strumento di coesione tra gli indirizzi della programmazione sanitaria, i bisogni di innovazione espressi dal Sistema Sanitario Provinciale e le opportunità offerte dalla ricerca e dalle nuove tecnologie digitali. Tra le principali iniziative sviluppate in materia di sanità digitale, si colloca la piattaforma TreC (si legge 3C in riferimento alle iniziali di Cartella Clinica del Cittadino, ma l’acronimo evoca anche i significati del termine inglese Track = Traccia, Cammino) che è una piattaforma tecnologica basata sul concetto di Personal Health Record ed è costituita da un ecosistema di applicazioni web e mobile attraverso le quali da un lato i cittadini possono trovare un supporto alla gestione della loro salute e cura e comunicare con gli operatori sanitari e dall’altro gli operatori sanitari possono attivare modelli di monitoraggio remoto “personalizzati” dei loro pazienti. Nel corso di questi ultimi anni sono stati avviati degli studi pilota per validare la piattaforma nell’area clinica della gestione remota di malati cronici. La piattaforma è stata costruita e validata sul campo attraverso un approccio basato sui cosiddetti laboratori territoriali (living labs) che consente agli utenti finali (operatori sanitari e pazienti) di utilizzare versioni evolutive della piattaforma nella vita di tutti giorni. In questo modo gli utenti possono capire realmente come funziona il sistema nella gestione “pratica” della malattia e possono contribuire al suo miglioramento fornendo suggerimenti derivanti dall’esperienza vissuta durante il suo utilizzo. Uno dei principali ambiti di sperimentazione della piattaforma è stato quello afferente alla gestione e presa in carico di pazienti diabetici, ai quali sono rese disponibili le seguenti funzioni: • Tenere un diario su smartphone o tablet delle osservazioni personali (valori glicemici, terapia insulinica, pasti, ecc) relative alla propria malattia • Ricevere supporto nella gestione della propria malattia attraverso alcune funzioni “intelligenti” del diario (es. conteggio bolo, conta carboidrati, suggerimenti, ecc) • Condividere i dati del diario con gli operatori sanitari • Comunicare con gli operatori sanitari attraverso un sistema di messaggistica integrato • Attraverso un’app educativa basata su serious game, imparare la conta dei carboidrati Attraverso la piattaforma, l’operatore sanitario può: • Visualizzare il contenuto del diario in tempo reale sia per quanto riguarda i dati grezzi che dati elaborati • Ricevere allarmi automatici (basati su regole) legate all’andamento glicemico e alla presenza di sintomi • Attraverso un calendario condiviso, predisporre dei promemoria relativi a terapia insulinica e ad azioni da far compiere al paziente (es. misurazioni glicemie, atti-

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La funzione di “calcolo del bolo” è più opportuno vada attivata solo per i malati che hanno la capacità di effettuare la conta dei carboidrati. Per un adulto con diabete non-controllato basta una versione del diario che preveda l’inserimento di glicemia, insulina e contenuto dei carboidrati dei pasti. Per un certo malato può essere importante attivare solo la funzione di messaggistica perché in quel momento egli ha l’esigenza di stare in stretto contatto con l’operatore sanitario.

vità fisica, ecc) Comunicare con i propri pazienti attraverso un sistema di messaggistica integrato

Con questa idea, sono state avviate delle sperimentazioni con differenti tipologie di malati diabetici: bambini, adolescenti, adulti e anziani, donne e uomini, donne in gravidanza, ecc. Nel corso delle sperimentazioni sul campo, confrontandosi con i malati, famigliari, medici ed infermieri, sono cominciati ad emergere una serie di aspetti che, ad inizio progetto, non erano stati previsti o non erano stati messi a fuoco con la sufficiente chiarezza.

Le lezioni apprese dalla sperimentazione 1. Un sistema di sanità digitale a supporto del monitoraggio remoto di malati diabetici di tipo I (ma vale per gran parte dei malati cronici), non va applicato “a tutti” i pazienti, semplicemente perché non tutti i pazienti possono trarne un beneficio e perché lo sforzo organizzativo non sarebbe sostenibile. Va prevista quindi una funzione della piattaforma che supporti il concetto di discrezionalità per cui l’operatore sanitario deve avere la facoltà di proporre l’uso del sistema a quei pazienti per i quali sia previsto un miglioramento della qualità della cura. Ad esempio, il monitoraggio remoto può risultare utile a quei pazienti che sono motivati a migliorare la gestione della propria malattia oppure a pazienti che necessitano di essere controllati per ottenere un miglior controllo della malattia. 1. Il monitoraggio remoto di un dato paziente non necessariamente deve durare “per sempre” ma “per quanto serve”. Nella piattaforma va quindi prevista una funzione che tenga conto della dimensione “temporale” legata all’uso di questi sistemi che vanno utilizzati solo quando servono, per periodi di tempo limitati, possibilmente ripetibili nel tempo. Il monitoraggio remoto può essere attivato nel periodo successivo alla prima diagnosi dove il paziente ed i famigliari sono particolarmente provati ed hanno bisogno di sentirsi seguiti. Può essere importante per seguire in modo più continuo una donna in gravidanza con diabete pregestazionale o gestazionale. Può essere utile per monitorare in modo più attento per un certo periodo un malato con un diabete non controllato per cercare di capire meglio le ragioni dell’andamento glicemico fuori range. Può sorgere la necessità di monitorare un malato che deve trascorrere un periodo all’estero e sia quindi nell’impossibilità di accedere al CAD (Centro Diabetologico) per quel periodo. 1. Ogni paziente diabetico di tipo I è diverso dall’altro perché ogni malato non solo richiede una cura e assistenza specifica ma può avere caratteristiche psico-sociali, competenze ed esigenze relazionali differenti. E’ quindi emersa la necessita di una funzione del sistema che consentisse di “personalizzare le apps” per poter “personalizzare la cura”. Una funzione che consentisse allo specialista diabetologo di creare un app specifica sul profilo di quello specifico paziente, attivando solo quelle funzionalità “utili” per curare meglio quel paziente. Ad esempio, gli allarmi da attivare per un bambino diabetico possono essere differenti da quelli da attivare per monitorare una donna in gravidanza.

Con il procedere degli studi pilota, è quindi emersa l’esigenza di costruire una piattaforma tecnologica che tenesse conto degli aspetti appena esposti: fosse a discrezione dell’operatore sanitario, fosse proposta non a tutti ma solo alle persone per cui risultasse utile, non per sempre ma per periodi di tempo limitati e rinnovabili e che fosse personalizzabile sul profilo del singolo paziente. Le tre dimensioni di “discrezionalità”, “temporaneità” e “personalizzazione” sono di fatto le stesse del processo di prescrizione di un farmaco. E’ stato quindi abbastanza naturale definire un modello concettuale di “prescrizione di un app” che, in analogia alla prescrizione di un farmaco, consentisse agli operatori sanitari di: • • • • • •

Prescrivere l’app ai propri pazienti Personalizzare l’app a seconda del profilo del paziente Creare dei promemoria relativi alla terapia farmacologica e ad una serie di azioni da far compiere al malato (es. misurazioni personali) Attivare il sistema di messaggistica per poter comunicare in modo sicuro con il proprio paziente Attivare, con il consenso del paziente, un periodo di monitoraggio remoto per visualizzare in tempo reale i dati del diario del paziente Ricevere notifiche automatiche all’insorgere di situazioni critiche nella gestione della malattia (es. pattern glicemici fuori norma)

Il concetto “Le prescrivo un app” vuole dunque rimarcare la dimensione “medica” legata all’uso di app in ambito sanitario, soprattutto per la cura e gestione dei malati cronici. Ci sono migliaia di apps sul mercato che si rivolgono direttamente ai cittadini nell’ambito sia del benessere che della cura e assistenza. Assieme alle apps verrà proposto ai cittadini l’uso di sensori (es. wearable, ecc) sempre più raffinati ed integrati nella vita di tutti giorni. Insomma una “grande onda” di tecnologia sanitaria rivolta direttamente ai cittadini. Il sistema sanitario ha due possibilità: cavalcare l’onda o esserne travolto. Uno dei modi per non esserne travolto è considerare l’utilizzo di apps da parte del paziente come un “atto medico”, cioè come un processo gestito dall’operatore sanitario (e non dal paziente) che quindi prescrive un app così come prescrive un farmaco. Ai seguenti indirizzi, sono disponibili alcuni video che chiariscono il concetto “Le prescrivo un app”2, descrivono la piattaforma TreC diabete3 e riportano le storie di due donne con diabete4.

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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO

Il progetto AUSILIA, per il mantenimento dell’autonomia L’aspettativa di vita nei paesi più sviluppati è in continua crescita, generando importanti sfide economiche, organizzative e sociali legate all’invecchiamento della popolazione. Le organizzazioni governative cominciano a sentire l’urgenza di affrontare questi problemi, e hanno creato negli ultimi anni numerosi programmi a sostegno della ricerca e dell’innovazione nei settori dell’Health&Wellbeing, con particolare accento sulle tematiche dell’Ambient Assisted Living e dell’Active Aging. Si tratta di progetti atti a garantire una maggiore autonomia e sicurezza a persone anziane e disabili, nell’ottica di mantenerle attive ed inserite nel tessuto sociale il più a lungo possibile, per garantire loro una migliore qualità di vita e, contestualmente, non sovraccaricare il sistema socio-assistenziale. In questo contesto la ricerca dell’Università di Trento gioca un ruolo da protagonista, partecipando a numerosi progetti nazionali ed europei incentrati sul tema dell’invecchiamento attivo.

AUSILIA – Assisted Living for Simulating Independent LIving Activities AUSILIA è un laboratorio territoriale in ambito socio-sanitario, finanziato dalla Provincia Autonoma di Trento e avente come obiettivo principale la creazione di un servizio ospedaliero per la progettazione centrata sull’utente di soluzioni tecnologiche innovative per l’Ambient Assisted Living. L’idea è quella di supportare gli operatori sanitari nel definire profilo e necessità dell’utente, per creare una soluzione domotica ad-hoc che gli garantisca di vivere in modo autonomo e sicuro all’interno della propria abitazione, sfruttando al meglio le sue abilità residue. Come emerge dagli studi del settore, gli ausili forniti a persone non del tutto autosufficienti sono spesso inadeguati o non ottimizzati e questo crea uno scenario nel quale, a fronte di un investimento considerevole di denaro proprio o di finanziamenti pubblici, l’utente non è pienamente soddisfatto ed è costretto a ricorrere ai famigliari o assistenti, o ad adattare il suo stile di vita all’ausilio fornito. Spesso queste situazioni portano a una prematura ospedalizzazione. AUSILIA nasce per ovviare a questo problema, tramite un laboratorio evoluto in cui da un lato l’utente può sperimentare in un ambiente realistico vari tipi di ausili, e dall’altro il medico può valutare l’interazione dell’utente con l’am-

biente e ricavarne informazioni misurabili. Il risultato è la possibilità di selezionare le soluzioni più utili ed adeguate al paziente. Per lo sviluppo del laboratorio sono stati coinvolti nel progetto diversi dipartimenti dell’Università di Trento e l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (APSS). Il laboratorio sviluppa la filosofia di “living-lab” e si compone di un appartamento in cui il paziente soggiorna per alcuni giorni e di una palestra ausili. In palestra sono riprodotti alcuni ambienti domestici riconfigurabili nei quali il paziente, con la supervisione del terapista, prova diverse configurazioni ambientali, ad esempio spostando la posizione dei mobili o modificandone le altezze per verificare se, con una configurazione differente o con l’utilizzo di ausili adeguati, l’utente è in grado di recuperare alcuni gradi di autosufficienza. Nel frattempo, per tutto il periodo del soggiorno, vive nell’appartamento e le sue attività quotidiane vengono misurate da una serie di sensori ambientali. L’infrastruttura tecnologica presenta ai terapisti i dati aggregati sulle sue attività quotidiane, tramite i quali è possibile valutare l’efficacia degli ausili introdotti. Gli ausili non si limitano a soluzioni domotiche tradizionali ma sfruttano appieno le possibilità tecnologiche oggi disponibili, restituendo un servizio di personalizzazione senza eguali in Europa. Viste le competenze coinvolte, il gruppo di lavoro svolge non solo lo sviluppo del laboratorio ma collabora nella realizzazione di vere e proprie soluzioni domotiche innovative, incentrate sulle necessità dell’utente. Partendo da una valutazione delle necessità effettuata dal personale medico, tramite il passaggio dal laboratorio o per esperienza pregressa, il gruppo di lavoro di AUSILIA è in grado di proporre un progetto domestico abilitativo per adattare le caratteristiche dell’ambiente alle necessità dello specifico utente. La progettazione si concentra sull’ergonomia degli spazi, degli oggetti e degli ambienti, sull’implementazione della domotica, sulla robotica e sulla tecnologia ICT applicate al recupero delle abilità.

l’utenza debole, con riferimento al progetto di abitazioni ergonomicamente efficienti e integrate funzionalmente con dispositivi “intelligenti” tramite l’applicazione di teconologie domotiche all’avanguardia. Il laboratorio di Misure e Robotica del Dipartimento di Ingegneria Industriale (DII – MiRo), sotto la guida del prof. Mariolino De Cecco, si occupa di meccatronica, robotica e misure che si sviluppano nella realizzazione degli apparati sensoriali da installare nell’appartamento domotico e nella palestra ausili, nella codifica di algoritmi di compressione dati e successiva elaborazione e presentazione degli stessi. Il Centro Interdipartimentale di Tecnologie Biomediche (BIOtech), con il gruppo di lavoro coordinato dal dott. Giandomenico Nollo, si occupa da un lato della definizione di modelli organizzativi per il servizio sanitario provinciale in materia di ricerca clinica e sanitaria, formazione e aggiornamento dei professionisti e operatori e innovazione delle tecnologie per la salute, dall’altro della valutazione dei modelli e dei sistemi oggetto di sperimentazione. In AUSILIA BIOtech porta le proprie competenze nella valutazione delle tecnologie sanitarie, integrando i metodi classici della HTA (Health Technology Assessment) con l’introduzione di tecniche innovative di valutazione dello sforzo fisico ed emozionale derivato dall’uso degli ausili. Infine, il Dipartimento di Economia e Management DEM, con la collaborazione del prof. Andrea Francesconi, collabora con AUSILIA sulla definizione del modello di business e di sostenibilità del laboratorio. Completa il gruppo di ricerca il servizio per l’informazione e la valutazione degli ausili dell’Azienda Provinciale per il Servizio Sanitario (APSS – ABILITA), guidato dal dott. Giovanni Guandalini, che si occupa della valutazione clinico-funzionale dell’utente di AUSILIA al fine di verificarne l’idoneità, le performance e le difficoltà, accompagnando l’utente durante il percorso di sperimentazione in AUSILIA e partecipando alla valutazione interdisciplinare per elaborare il progetto personalizzato per l’adattamento domestico.

La ricerca effettuata dall’Università di Trento in ambito di tecnologie assistenziali si esprime in AUSILIA mettendo a disposizioni le migliori competenze in tutti i settori di interesse. Il Multimedia Signal Processing and Undestanding Lab del Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione (DISI – MMlab), sotto la supervisione del prof. Francesco De Natale, si occupa del coordinamento generale del progetto, della realizzazione dell’infrastruttura ICT, della realizzazione delle interfacce utente sia per l’utilizzatore del servizio che del personale clinico, dell’interpretazione automatica delle necessità dell’utente e dell’interfacciamento automatico con il sistema domotico dell’appartamento. Il Centro Universitario Edifici Intelligenti del Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica (DICAM – CUnEdI), il cui responsabile è il prof. Antonio Frattari, svolge ricerche per lo sviluppo dell’home automation e l’ergonomia dello spazio abitativo (ambienti, arredi, oggetti d’uso) per

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L E T T E R AT U R A

Grande successo per la prima edizione del Premio artistico-letterario nazionale Giuseppe Melchionna S

i terrà martedì 13 giugno alle 17.30 presso la sala conferenze della fondazione Caritro in via Calepina la premiazione della prima edizione del concorso artisticoletterario nazionale Giuseppe Melchionna, dedicato alla memoria del nostro storico presidente e fondatore, venuto a mancare nel settembre 2016. Oltre cinquanta partecipanti da tutta Italia si sono confrontati sui temi della disabilità e dell’inclusione sociale, elaborando racconti, poesie e fotografie di grande valore stilistico e di ancora più alto significato morale. Fanno ben sperare infatti i tenaci messaggi lanciati dagli autori, soprattutto dalle classi della Scuola media di Roncegno e dell’Opera Armida Barelli di Rovereto, che si sono messe in gioco assieme alle professoresse Maria Lidia Sava e Nives Manni, nella convinzione che le barriere architettoniche e i pregiudizi si possano rompere solo attraverso una profonda rivoluzione culturale. Eterogenei per età, professione e provenienza anche i vincitori, selezionati dalla giuria composta dalla presidente della cooperativa HandiCREA Graziella Anesi, dalla responsabile dell’Ufficio Qualità dei servizi del Servizio politiche sociali della Provincia autonoma di Trento Flavia Castelli, dalla critica teatrale e scrittrice Antonia Dalpiaz, dal presidente della cooperativa FAI Massimo Occello e dal direttore di Unimondo Fabio Pipinato. A trionfare per la sezione “Racconto” è stato

l’agente di polizia locale di Trento Daniele Zambelli Franz, seguito dallo studente di Giurisprudenza veronese Roberto Madinelli e dal poeta romano Luigi Marcellini. Tutto al femminile invece il podio della sezione “Poesia”, con Silvana Valente, campionessa paralimpica di ciclismo in tandem vicentina, seguita da Livia Santini, docente di inglese di Ravenna e da Nadia Martinelli, ex assessora alla cultura del comune di Centa. Sono state infine premiate le fotografie del judoka napoletano Guglielmo Farinelli, del cuoco e scalatore lagarino Matteo Isacchini e dell’architetto sordo veronese Giacomo Albertini. Per scoprire da vicino le loro opere, vi invitiamo ad abbonarvi al nostro giornale e a richiedere una copia dell’antologia “Dov’è il problema?”, a cura della nostra collaboratrice Martina Dei Cas, corredata dalla biografia di Giuseppe Melchionna, così come raccontata dalle persone che più gli sono state vicine in questi quarant’anni di lotta per garantire la dignità e l’eguaglianza di trattamento dei disabili in Trentino e non solo. La Redazione

In dialogo con Alejandro Solalinde Dal Messico l’incredibile storia di coraggio e riscatto del prete candidato al Nobel per la Pace che difende i migranti dalle angherie dei narcos «Che bello il vostro lavoro per dare voce a chi di solito non viene ascoltato, come i disabili, gli anziani, i migranti e le persone più vulnerabili. Anche noi in Messico avremmo bisogno di una redazione accessibile, che racconti al mondo la storia del mezzo milione di uomini, donne e bambini centroamericani che ogni anno attraversano il Paese con la speranza di raggiungere gli Stati Uniti e sfuggire così alla violenza di strada e alla povertà» esordisce Padre Alejandro Solalinde nell’incontrarci a Bolzano in occasione del tour italiano di presentazione del suo libro I narcos mi vogliono morto, scritto a quattro mani con la giornalista Lucia Capuzzi. Noi sorridiamo: non capita infatti tutti i giorni di ricevere i complimenti di un candidato al Premio Nobel per la pace 2017. Poi il prete di frontiera, classe 1945, ci benedice e ci racconta della sua metamorfosi da prelato borghese, con due lauree e un appartamento confortevole, a missionario itinerante, che dal 2007 ha fatto dei binari ferroviari la propria parrocchia. I migranti centroamericani non possono infatti circolare liberamente in Messico perché non hanno i documenti in regola e quindi l’unica alternativa per raggiungere il tanto agognato Nord diventa attraversare il Paese sulla Bestia, il treno merci che, grazie al Trattato NAFTA per il libero scambio firmato nel 1994 tra Messico, Canada e Stati Uniti trasporta quotidianamente prodotti di consumo a basso costo dal terzo al primo mondo. «La Bestia è un treno infernale, o meglio, come ogni macchina è

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Martina Dei Cas insieme ad Alejandro Solalinde neutra, ma l’uso che alcuni uomini potenti costringono altri uomini poveri a farne è crudele – spiega Solalinde – Nel mio ostello, Hermanos en camino ad Oaxaca, e negli altri sessanta rifugi per i migranti sparsi nel Paese arrivano quasi ogni giorno persone senza braccia o senza gambe, gravemente mutilate per essere cadute dal treno. Oltre a questo pericolo – continua – i migranti sono spesso sequestrati dalla polizia corrotta o dai cartelli del narco, due istituzioni criminali per le quali il traffico di esseri umani è una vera miniera d’oro». La regola è semplice: “plata” o “plomo”, denaro o pallottole, o paghi o muori. «E se non puoi pagare succedono cose terribili – racconta il sacerdote – quest’anno per esempio il

cartello degli Zetas, il più sanguinario del Messico, fortemente radicato a Veracruz, ha cominciato a mozzare un dito a ciascun migrante per poi recapitarlo alle famiglie in patria unitamente a una richiesta di riscatto. E se nessuno può pagare per te, allora per sopravvivere sei costretto a compiere i lavori sporchi del cartello, come gli omicidi su commissione; ma la cosa che più mi fa rabbia in assoluto è l’indifferenza della polizia, che spesso concorre alla commissione di questi crimini: io quest’anno ho presentato 811 denunce di concussione, ma ne sono state accolte solo due». Solalinde non ha paura di schierarsi contro l’impunità, i narcos e i poteri forti, per questo i cartelli hanno messo sulla sua

testa una taglia da un milione di dollari e la Corte interamericana dei diritti dell’uomo gli ha assegnato quattro agenti di scorta. «Mi hanno picchiato, arrestato, hanno dato fuoco alla casa in cui vivevo con me dentro – sussurra – sarebbe stupido affermare che non corro rischi. Proprio per questo dai ragazzi della scorta mi son fatto promettere che se dovesse succedere il peggio, anziché fare gli eroi, cercheranno di mettersi in salvo. Io però sono sereno e mi affido alle cure di un giovane amico nato a Nazareth oltre 2000 anni fa». «Padre, ma dove trova la forza di andare avanti?» chiediamo ammirati. «Qui – conclude accarezzando la croce di legno che gli pende sull’abito, sempre bianco per rassicurare le vittime di tratta e prendere a colpo d’occhio le distanze dalle divise blu dei federali e dalla tenuta nera degli squadroni della morte – e nelle storie come quella di Albertito, un ragazzo guatemalteco che è arrivato al nostro centro perché la polizia gli aveva rubato tutti i soldi necessari ad affrontare il viaggio ed ha scelto di restare in Messico per fare la denuncia. Come sempre il processo si è concluso con un nulla di fatto, ma lui ha deciso di non emigrare più, ha studiato diritto, si è sposato e adesso è il coordinatore delle nostre attività e lotta ogni giorno per impedire che altri giovani centroamericani subiscano la sua stessa sorte». Martina Dei Cas

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PROGETTI NELLE SCUOLE

“Bulli 2.0”, il Cyberbullismo raccontato per immagini. Progetto realizzato insieme agli studenti e insegnanti dell’Istituto Comprensivo Centro Valsugana Scuola Secondaria di Primo Grado di Roncegno Terme L’avvento delle nuove tecnologie ha permesso a quei comportamenti verbali, fisici e psicologici violenti e vessatori, ripetuti nel tempo ai danni di bersagli facili e/o incapaci di difendersi e comunemente denominati bullismo, di propagarsi anche attraverso la rete. Secondo fonti Eurispes, 1/5 dei ragazzi italiani in età scolare ha trovato informazioni false sul proprio conto in Internet e il 34% del bullismo si è trasformato da fisico in virtuale. Il cyber bullismo si concreta in diverse azioni, come il flaming, la denigrazione, le molestie, la sostituzione di persona, l’inganno e la persecuzione e presenta una scala di gravità che va dall’instillare una sensazione di malessere e disagio nella vittima, fino alla vera e propria istigazione a compiere svariati atti. L’anonimato e l’assenza di limiti spazio-temporali rendono ancora più subdola questa forma di violenza sociale che, ancora una volta, prende di mira chi a causa della sua disabilità, etnia, credo religioso, orientamento sessuale o altro, viene percepito come “altro”. Obbiettivo della nostra azione svoltasi durante questo anno scolastico è stato quello d’insegnare agli studenti come tutelarsi sulla rete e come usare il web in maniera sicura e istruttiva. Riteniamo che sia importante rendere gli studenti consapevoli di una tematica così delicata e sfaccettata come quella del “Cyberbullismo” nell’ottica di un’educazione basilare sui rischi delle lesioni alla privacy in rete, che permetta di informare e prevenire atteggiamenti e comportamenti pericolosi. In questo contesto è stato altresì necessario favorire e sviluppare la percezione della diversità come valore da incoraggiare, anziché come motivo di isolamento e inclusione. Durante i sei incontri svolti insieme agli studenti delle

classi prime delle della Scuola Secondaria di Primo Grado “Marco Pola” di Roncegno Terme, sono stati organizzati dei momenti di gioco alternati alla riflessione di gruppo in accordo con i docenti di riferimento e in base alle peculiarità della singola classe coinvolta. Bisogna stimolare i ragazzi a rendersi protagonisti nel conoscere e raccontare la tematica del bullismo in rete, sensibilizzando gli altri compagni. Si è potuto così lavorare insieme per la realizzazione di un breve cortometraggio in cui si mettono in sinergia modi diversi di vedere lo stesso problema. Quindi attraverso un approccio pratico gli studenti hanno messo in scena insieme ai formatori delle situazioni che raccontano la loro percezione del bullismo sul web. Il risultato del lavoro è una testimonianza sincera e attuale, quasi una fotografia delle dinamiche che queste ragazze e ragazzi vivono ogni giorno tra i banchi di scuola, da soli davanti al pc o smarth phone in relazione a gruppi reali e virtuali anche fuori dal contesto scolastico. Dopo un sondaggio sulla percezione che i ragazzi hanno del mondo virtuale e dei social network, sono stati brevemente illustrati, esempi di diverse forme di bullismo che si possono trovare in rete e i diritti dei minori garantiti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Infine, attraverso alcuni giochi di ruolo, sono state realizzate e riprese le scene per un corto informativo in cui si promuove l’utilizzo sicuro e costruttivo del web e l’accettazione delle diversità come valore da riconoscere e tutelare. Questo piccolo percorso di sensibilizzazione crediamo possa rendere gli studenti protagonisti nel raccontare una realtà spesso sommersa, attraverso un linguaggio, quello del video più vicino a loro e di facile comprensione. Con l’analisi di uno o più episodi di cyberbullismo, legato all’uso distorsivo di Internet e degli smartphone, si è svi-

Il progetto “L’Eco delle De Gaspari” Il giornalismo entra nelle scuole per coinvolgere i ragazzi nel racconto di un anno particolare Quest’anno l’associazione PRODIGIO ha collaborato con la Scuola primaria De Gaspari e con l’omonima associazione che riunisce genitori, insegnanti ed ex-alunni, alla realizzazione del primo notiziario della scuola, interamente ideato e scritto dai ragazzi della 5aA, l’unica classe dell’ultimo anno. L’intera scuola durante l’anno ha ospitato tantissimi progetti e iniziative portate avanti dalle singole classi, e per dare risalto al lavoro svolto è stato deciso di documentare il tutto attraverso gli strumenti video e cartacei. Anche l’associazione Wasabi è stata coinvolta per realizzare un film insieme ai bambini di tutte le classi, dalle prime alla quinta. Con ogni classe è stato scritta una precisa scenografia, di modo da raccontare nella maniera più completa e divertente tutte quelle esperienze fantastiche che i bambini hanno avuto la possibilità di vivere durante l’anno. Un risultato molto spontaneo e allegro, come se fosse stato filmato dagli occhi di un bambino. La proiezione, avvenuta durante la tradizionale festa di fine anno, è stata accolta con gioia e soddisfazione da parte di tutti i genitori e gli insegnanti presenti, nonché da tutti i bambini che si sono impegnati tanto affinché questo film prendesse vita. Dalla costruzione degli strumenti al reportage per descrivere i luoghi della scuola, dalle aiuole realizzare grazie all’Ufficio Beni Comuni di Trento alle salse preparate con le spezie dell’orto scolastico, tutto è stato documentato attraverso il video e il giornale, frutto di alcuni incontri formativi con i ragazzi, al fine di trasmettere loro le principali regole sul giornalismo, e una parte più laboratoriale dedicata proprio alla raccolta del materiale fotografico, delle interviste e di tutte quelle informazioni indispensabili per raccontare al meglio questa bellissima scuola.

luppato un dibattito volto alla mediazione tra le esigenze legate alla necessità di essere connessi al mondo virtuale e di farne buon uso, nel rispetto dei diritti di tutti, soprattutto prendendo le distanza da atti di prevaricazione o avversione nei confronti di soggetti più deboli o svantaggiati. Speriamo che questa esperienza possa essere utile quanto meno a innescare attenzione e curiosità sul fenomeno, che solo se conosciuto e affrontato insieme in maniera capillare si può arginare. Questo implica secondo noi un grosso lavoro culturale in cui siano gli studenti stessi a proporre azioni e riflessioni condivise in risposta a dinamiche di cyberbullismo che per loro natura tendono a rimanere enigmatiche e intelligibili ai più, soprattutto agli adulti. Lorenzo Pupi

AAA VOLONTARI CERCASI Le associazioni “Insieme” e “NuoveRotte” ti propongono di partecipare al nuovo progetto estivo di escursioni in montagna “Walk in progress”, assieme a giovani ragazzi disabili, i loro educatori e altri volontari.

Date:

11 - 16 GIUGNO 2 - 16 - 30 LUGLIO (eventuale recupero)

I giovani giornalisti in erba alle prese con il giornale

Orario:

8.30-16.30 Per adesioni: elisa.stefanati@gmail.com Per creare un buon clima di gruppo daremo priorità ai volontari con età inferiore a 40 anni e a chi potrà offrire maggior disponibilità. E’ un’occasione da non perdere se anche tu hai voglia di fare un’esperienza particolare o semplicemente fare 4 passi in compagnia di alcuni amici per i monti della Vallagarina. Ti aspettiamo! Aiutaci a diffondere la notizia! Inoltra l’e-mail o passa parola! Grazie!

Giulio Thiella

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PA G I N A D E L L A C U LT U R A

Una Fotografia I bambini invisibili della Romania

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o zaino del viaggio in Romania è ai piedi del letto, ancora da disfare. Sullo schermo del computer, le fotografie che ho scattato scorrono una dopo l’altra. Foto di gruppo, primi piani di sorrisi, profili assorti. Lineamenti così diversi uno dall’altro: i capelli biondi di chi ha origini ungheresi, i tratti scuri dell’etnia rom, le linee familiari dei figli di italiani. Sono le bambine e i bambini del doposcuola della Fondazione Caminul Francesco, nel piccolo paesino di Beius. Questa settimana, per loro, sarebbe di vacanza. Al doposcuola, però, i bambini sono voluti venire lo stesso. Qui trovano ciò che nel resto delle loro vite manca. Le fotografie che sto scorrendo riguardano la gita in montagna che abbiamo fatto lunedì. Sullo sfondo appaiono i paesaggi dolci della Transilvania in primavera. All’improvviso, la mia mano che scorre le immagini si blocca. Uno scatto in particolare attira la mia attenzione, e noto qualcosa che non ho notato quel giorno. Ho scattato l’immagine sul pullman in viaggio verso le montagne. Seduto nel posto davanti al mio c’era Alec, 7 anni. Per un po’ ha riso con gli altri bambini, ma poi, quasi senza che me ne accorgessi, si è zittito. Ho notato il riflesso del suo viso sul finestrino, e mi sono sporta verso la fessura tra il sedile e il vetro, scattando una sola foto. Il suo piccolo naso sfiora appena il finestrino, le lunghe ciglia scure spiovono sulle guance, il labbro inferiore sporge in fuori. Visto così, da questa angolatura, sembra solo assorto. Ne intuisco la vera espressione, a metà tra il triste e lo smarrito, solo guardando il suo riflesso sul

vetro. È come se Alec stesse scrutando in quel riflesso per cercare sé stesso. È come se non si trovasse. È come se stesse facendo delle domande, e trovasse in risposta solo l’immagine del suo viso stagliata contro il paesaggio fuggevole, già sparito prima che lui sia riuscito davvero ad afferrarlo. Da qualche parte fuori dall’inquadratura, nei sedili posteriori, ci sono anche Jana, di 9 anni, e Marcu, di 11. Sono i suoi fratelli. Nina, la direttrice del centro, si è seduta di fianco a me e mi ha raccontato la loro storia. Come molti dei trentatré bambini che frequentano il doposcuola, Alec, Jana e Marcu provengono da un contesto familiare turbolento. Nella casa dove sono cresciuti alleggiava l’odore acido dell’alcol, misto alla paura dello scatto di una mano nervosa. Sono stati affidati ai nonni paterni, e solo Marcu, il più grande, vede di nascosto la madre, risposata con un altro uomo che le operatrici del doposcuola sospettano sia altrettanto violento. Marcu compare sullo sfondo di molte fotografie, ma in nessuna sorride. Quando i tre fratelli sono arrivati al centro un anno fa non comunicavano, completamente chiusi verso il resto del mondo. Un anno dopo, i due più piccoli hanno fatto passi avanti, e ora i momenti di chiusura durano pochi istanti, su un pullman che va in montagna. Marcu, invece, parla solo per descrivere gli scenari da incubo che costruisce fin nei minimi dettagli nella sua mente. Ha gravi problemi di concentrazione, e la sua scrittura è un groviglio incomprensibile che ricorda la trama del filo spinato.

Lo sguardo assorto di Alec, 7 anni, durante un viaggio in pullman Paesaggisticamente, la provincia rumena è bellissima. Umanamente, è desolante, e desolata. Chi riesce a trovare lavoro conclude invariabilmente la giornata al bancone del bar. Alla sera tardi, è l’alcol a guidare i pensieri e le azioni delle madri e dei padri, e i risultati lasciano sempre il segno. Molti dei bambini che frequentano il doposcuola crescono soli, ignorati dalla famiglia e della comunità. Nelle classi scolastiche vengono emarginati perché catalogati come irrispettosi, incapaci o violenti. Faticano a rimanere seduti a lungo, si distraggono in fretta. Le loro reazioni sono spesso esagerate, e il rendimento scolastico scarso. Sono bambini dimenticati, destinati a diventare adulti invisibili. Sono i bambini che, alla fine di una penosa giornata scolastica, entrano correndo dal portoncino della Fondazione Caminul

Francesco e si gettano tra le braccia morbide delle operatrici. La fondazione è un luogo di guarigione. Qui i bambini ricevono aiuto per i compiti, giocano, imparano a suonare uno strumento. La maggior parte di loro non arriverà alla fine del percorso scolastico, e il traguardo di una vita che valga la pena di essere vissuta sarà semplicemente un lavoro dignitoso. Ma non importa. Forse le braccia aperte, un interesse vero verso il loro piccolo mondo, la sensazione di sentirsi accettati, l’incoraggiamento a fare sempre un po’ meglio di ieri, forse questo basterà a farli uscire dall’invisibilità. Forse questo basterà a farli diventare genitori migliori per i loro figli. Diletta Lazzarotto

Abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene

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hi sa quante volte ogni bambino che inizia a giocare a pallone ha sognato di poter pronunciare questo motto. Ebbene, i ragazzi della Fisdir guidati dal referente tecnico Signoretto ci sono riusciti nel migliore dei modi, laureandosi campioni del mondo in Portogallo nei mondiali di calcio a 5 per ragazzi con sindrome di Down, riscattando anche la figuraccia rimediata dai loro colleghi professionisti della nazionale di calcio che negli europei di Lisbona del 2004 non andò oltre il girone, con buona pace di Del Piero e compagni. Gli azzurri della Fisdir, federazione italiana disabilità intellettivo-relazionale, hanno battuto il Portogallo con un secco 4-1 con tripletta di Riccardo Biggio e gol di Marco

Sfregu. Pareggio con il Portogallo 4-4, due goleate con il Messico e poi di nuovo vittoria con il Portogallo. L’italia si aggiudica anche il premio per il miglior portiere e per il miglior marcatore. “Che bello vederli giocare a calcio, dice Signoretto, che poi continua: sono molto contento perchè i ragazzi si sono allenati tutto l’anno e sono riusciti ad ottenere il risultato prefissato”. Abbiamo chiesto al signor Signoretto di spiegarci nel dettaglio come funziona la preparazione di questi giocatori e quali obiettivi si pone per il futuro. Ci ha detto che i ragazzi si allenano tutto l’anno nelle loro rispettive squadre, poi i migliori vengono convocati in nazionale. come accade per i loro colleghi professionisti. I

nostri calciatori hanno vissuto l’esperienza con gioia, ma anche con molto impegno, infatti sono molto felice della vittoria. Prima della finale non ha dormito nessuno, poi la loro felicità era incontenibile. Mi auguro che questa disciplina possa essere portata anche alle paraolimpiadi dove per ora non è prevista la partecipazione di sportivi con disabilità intellettiva. I calciatori, continua il referente, durante l’anno si allenano con colleghi border, cioè ragazzi con un lieve ritardo mentale, il nostro obiettivo è certamente l’integrazione di queste due disabilità, per poter un domani farli giocare insieme. C’è stato un momento molto toccante durante la premiazione a Roma. Erano presenti il ministro per lo sport Lotti

e quello delle Paraolimpiadi Pancalli, tutti sono letteralmente impazziti alla vista di Francesco Totti, che con molto affetto a detto loro:” o! Io mica l’ho vinto un mondiale di calcio a 5 so invidioso”. I ragazzi sono impazziti o è del resto ogni giovane farebbe alla vista di un campione come quello. Insomma “non è certo da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio... dall’altruismo... dalla fantasia,... Camilla Di Pace

“Dagli occhi di Mia, autobiografia di un cane” Il mondo canino si racconta: di Stefano Margheri

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tefano Margheri nasce a Trento il 10 agosto 1969, evidenzia fin dai primi anni di vita uno spiccato interesse per il mondo animale. Pur adottando un percorso scolastico di natura scientifica, con successiva laurea in Giurisprudenza, mantiene e coltiva la propria passione cinofila attraverso studi e master che nel corso degli anni gli conferiscono le qualifiche di educatore/istruttore cinofilo e di istruttore specializzato nei disturbi comportamentali del cane. E’ tutt’oggi docente in numerosi corsi di preparazione per istruttori ed in stage sul comportamento canino, in ambito locale e nazionale. Cura importanti rubriche per riviste cinofile nazionali e pratica, come conduttore, diverse discipline cinofilo/sportive. Da tutto ciò è nato “ Dagli occhi di Mia,

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autobiografia di un cane”, racconto che riesce a mettere in primo piano la vita e il punto di vista di Mia, consegnadole quasi una peculiarità umana, la coscienza. Marco Paolini riferendosi a Jack London diceva: “Gli animali dei suoi racconti sono come gli esseri umani”. Conciliabile in parte anche con il racconto di Margheri. Mia è un Labrador Nero realmente esistito. Tutti i fatti, gli aneddoti e gli eventi narrati in questo libro sono, allo stesso modo, realmente accaduti. La novità sta, piuttosto, nell’aver dato a Mia voce e scrittura, permettendole di raccontarsi a conclusione della vita terrena. Oltrepassato il “muro sensibile”, e scivolata nell’universo senza tempo, Mia decide di dedicare al mondo umano un ultimo “…dono tangibile…”: sé

stessa narrata da sé stessa. Ha, così, inizio un viaggio a ritroso, partendo dal primo giorno di vita e muovendosi lentamente verso il giorno di fine. Si descrive, Mia, attribuendo alla memoria il compito di immaginarsi nel presente e nel passato, annullando il tempo e contrastando la morte con il sentirsi ancora in vita. Emergono, nel corso delle pagine, le descrizioni di ciò che è stato autentico e vero, con il richiamo a concetti e principi di etologia, di apprendimento e di psicologia canina. Il primo periodo insieme alla mamma ed ai fratelli, il distacco da essi per l’accoglienza presso il nuovo proprietario, i mesi iniziali in una località montana e il successivo trasferimento in città. Gli incontri con altri suoi simili, l’imparare comportamenti e azioni di vita quotidiana,

il visitare luoghi e ambienti di rara bellezza naturalistica, lo svolgere le discipline cinofilo – sportive fino a partecipare a competizioni locali e nazionali. Il tutto “filtrato” dai suoi occhi, in uno scorrere di emozioni, percezioni e sensazioni tipicamente canine. In aggiunta, un insieme di considerazioni sulla vita, sull’amicizia, sull’amore, sulla felicità, sulla tristezza e sul dolore, in un’ottica di analisi espressa dalla mente del cane. Filo conduttore l’elemento dell’acqua, da fonte di gioioso inebriarsi a strumento di unica consolazione. Il raccontarsi di Mia è il raccontarsi di tutti i cani, un’ode cantata e dedicata a questa meravigliosa ed esclusiva specie domestica.

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La redazione


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Typography on board Un progetto dedicato al riuso creativo, all’arte e alla condivisione di sport e territorio

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ypography on board è un progetto presentato dall’Associazione Nuove Rotte al Piano giovani di Pergine e Valle del Fersina e che ha preso avvio questo inverno. E’ percorso dedicato ai giovani dai 15 ai 29 anni suddiviso in tre fasi che propone di stimolare i partecipanti ad apprendere facendo, attraverso un processo di avvicinamento attivo e propositivo che mira a trovare connessioni tra discipline sportive e artistiche affini: skateboard, Sup Surfing, l’arte del riuso e la grafica creativa, in un contesto culturale e naturale unico, quello dell’Alta Valsugana. Il percorso coinvolge diverse organizzazioni del territorio Trentino, tra cui il Centro Giovani Kairos, l’istituto Don Ziglio, la Coop.Soc. Arché, l’Istituto Artigianelli, 100-one freeride-shop, che a diverso titolo hanno fornito e stanno fornendo supporto tecnico e logistico nel processo di realizzazione e valorizzazione di tavole da skateboard. attraverso un processo di riuso di vecchie tavole da snowboard non più utilizzabili. Un’esperienza completa strutturata in tre laboratori pratico-teorici tra loro consequenziali che in parte si sono già svolti all’interno di contesti educativi e inclusivi, come l’Istituto Don Ziglio, il Centro Giovani #Kairos e dal 17 giugno per tutta l’estate sul lago di Caldonazzo al Centro Nautico Ekon. La prima fase del progetto ha già coinvolto in maniera costante quindici giovani del territorio in un percorso di creazione e riuso presso i laboratori del legno del Centro Don Ziglio di Levico Terme. Le ragazze e i ragazzi hanno svolto un modulo di sei incontri in cui i giovani hanno lavorato il legno, laminati e il vetro-resina con materiali vergini e di risulta, per giungere ad ottenere complessivamente più di dodici tavole da skateboard dalle forme originali. Questa fase è stata un’occasione di confronto dall’alto valore educativo perché i giovani partecipanti hanno potuto lavorare in un contesto inclusivo, un luogo strutturato nella

gestione delle persone con disabilità intellettivo-cognitive, che seguite dai loro operatori ed educatori esperti, hanno collaborato attivamente all’intero processo pratico e teorico per la realizzazione delle tavole. La seconda fase del percorso, tutt’ora in corso, prevede invece un laboratorio artistico e creativo, tenuto da un giovane Grafic Designer del territorio, Stefano Borgogno, esperto del settore ed edotto nelle tecniche di “lettering” e tipografia applicata. Questa delicata parte del progetto intende sviluppare e implementare le tecniche artistiche e visive dei giovani coinvolti, nonché le attività di ideazione, progettazione e realizzazione grafica che permetterà alla fine della seconda parte del percorso, di valorizzare le identità dei giovani coinvolti, impresse in maniera originale su ogni singola tavola. Alcune di queste saranno utilizzate per il loro valore artistico intrinseco e quindi esposte in due momenti distinti e dedicati. Saranno organizzati nel dettaglio dagli stessi giovani aderenti al progetto e si terranno rispettivamente il 17 giugno al Centro Nautico Ekon e a fine estate al Centro Giovani #Kairos di Pergine Valsugana. Gli eventi di restituzione saranno pensati per segnare una continuità tra le diverse esperienze e i laboratori svolti precedentemente, stimolando la connessione tra due strutture pubbliche come il Centro Giovani #Kairos e Il Centro Nautico Ekon, nell’ambito dei Piano Giovani di Pergine e della Valle del Fersina. La possibile equazione, la terra sta all’acqua, come lo skateboard sta al Sup surf sarà il punto di forza nella terza fase del progetto, che prevederà attività dedicate alla pratica e manutenzione del Sup Surf e vedrà ancora una volta coinvolti i giovani in attività insieme a persone con disabilità relazionale e cognitiva, in un contesto dove la condivisione, lo sport e il benessere sono alla base delle relazioni. Sarà possibile conoscere il lago da vicino attraverso l’utilizzo dei Sup surf, tavole da surf che si manovrano pagaiando in piedi e che permetteranno ai giovani partecipanti di approc-

ciarci all’acqua da un punto di vista insolito dove sicurezza, avventura e divertimento sono assicurati. Lorenzo Pupi

Alcuni dei partecipanti al progetto

Arco a Ruota Libera! Il progetto “Riciclofficina” con l’Ass.Nuove Rotte arriva ad Arco, grazie ad un progetto dei Piani Giovani di Zona Alto Garda e Ledro. Riuso, partecipazione, sport, benessere psicofisico e ambientale, tutto questo nel progetto che mira a creare un punto di incontro e scambio nel Cantiere 26

U

n gruppo di giovani del territorio con la passione per le biciclette e la meccanica creerà la prima Riciclofficina in Alto Garda. I ragazzi saranno protagonisti nella progettazione, ideazione, implementazione e infine inaugurazione di uno spazio dedicato all’uso popolare e giovanile della bici. Essa sarà valorizzata come strumento di educazione ambientale, mobilità sostenibile, riuso e riciclo dei materiali e con risvolti sull’educazione alla salute. L’obbiettivo è la creazione di uno spazio fisico e relazionale aperto al territorio. L’associazione Nuove Rotte presenta Progetti Giovani dal 2012 in Alto Garda e Ledro, vanta dunque una conoscenza radicata del territorio ed ha sviluppato numerose collaborazioni con molte realtà. Ciò le ha permesso di svolgere un’approfondita analisi del contesto nel quale si inserisce la presente proposta progettuale. Il contesto dell’Alto Garda si presta favorevolmente per la sua conformazione territoriale allo sport Outdoor ed al turismo dolce. In questo momento sono insediate in loco progettualità che valorizzano questi aspetti quasi totalmente in un’ottica turistica e da consumatori passivi di un servizio. Il progetto qui descritto vuole invece coniugare la vocazione del territorio appena espressa con un declinazione spiccatamente giovanile, improntata alla sostenibilità e tesa alla valorizzazione delle capacità progettuali e manuali dei giovani coinvolti. Nuove Rotte, soggetto capofila di “Arco a Ruota Libera” è nata nel 2009 e nel 2012 ha avviato il progetto “Riciclofficina” a Rovereto che prevedeva il potenziamento dei prerequisiti lavorativi per giovani migranti attraverso la meccanica delle biciclette. Dopo un anno di sperimentazione questo progetto è decollato, raccogliendo l’interesse della cittadinanza e dei servizi sociali del Comune di Rovereto, permettendo di fondare l’Associazione “Ruota Libera” con la mission di gestirlo integralmente. Ad oggi lo spin off di

Nuove Rotte conta più di 700 soci, ha un importante bilancio e attua circa 25 percorsi annui per soggetti a vario titolo svantaggiati che hanno così la possibilità di raggiungere prerequisiti minimi per l’inserimento lavorativo. Come analisi di contesto segnaliamo anche il piano giovani realizzato con Progetto 92 come capofila nel 2014 “Centro Riuso Permanente”, che ha visto un gruppo di ragazzi conoscere e sperimentarsi sulle tematiche del riuso e riciclo di beni e materiali presenti sul territorio. I giovani avevano espresso interesse per approfondire la possibilità di realizzare una Riciclofficina come quella che avevano appunto visitato a Ruota Libera durante l’esperienza di qualche anno fa. Questo progetto aveva dato l’avvio alla costruzione del centro del riuso a Riva di Garda 15. Segnaliamo infine l’importanza di una connotazione sportiva voluta esplicitamente per creare relazioni positive e intergenerazionali in un centro come il centro giovani Cantiere 26. Il progetto lì presentato, si auspicano i promotori, possa dare all’area dei supporti logistici, come una rastrelliera capiente e degli attrezzi per la manutenzione delle bici, utili ad attrarre giovani con la passione per le biciclette e per altri sport su ruota come il monociclo, monopattino e skateboard. Un percorso di partecipazione e condivisione che vede il punto di forza nella capacità di stimolare le abilità manuali dei partecipanti e nel valorizzare le loro passioni. Un progetto per rendere il Cantiere 26, nello spazio dedicato alla Riciclofficina, ancor più un punto di riferimento, una vera e propria palestra di cittadinanza attiva e consapevole. Lo spazio Riciclofficina potrà rappresentare così una risorsa per i ragazzi e per la comunità: un luogo di ritrovo in grado di coniugare lo spazio strumentale con uno spazio culturale e creativo centrato sulla valorizzazione delle biciclette e della cultura della rigenerazione. Lorenzo Pupi

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | GIUGNO 2017 - n. 3

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