BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO V - OTTOBRE 2014 - ANNO XV - LXXXVI NUMERO PUBBLICATO
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progetto di giornale Climb for life
Minori e rifugiati
Un progetto comunicativo di sensibilizzazione per la donazione del midollo osseo
Coltivazione, simulare un’impresa
L’accoglienza dei giovani scappati da paesi in conflitto e giunti in Trentino
Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento . Contiene I.R.
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I frutti del noce: contadini e impresari
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L’
“Senza Ostacoli”
Workshop sport e disabilità Sabato 18 ottobre ore 09.00-17.30 Palestra Sanbàpolis, Trento
Progetto Performando Da dove nascono le idee L’idea del Workshop Senza Ostacoli sul tema dello sport e della disabilità nasce da un percorso di formazione promosso dall’associazione Nuove Rotte attraverso un bando del Centro Servizi Volontariato di Trento. Scopo degli incontri era quello di attivare un team di giovani con diverse esperienze nel sociale e permettere loro di sperimentarsi nella ideazione, programmazione e gestione di un progetto. Dall’esperienza formativa guidata da alcuni esperti del settore, e con il supporto della Cooperativa Sociale Arché, nasce in maniera spontanea l’idea di creare un evento interamente dedicato a temi quali il turismo accessibile, il servizio allo sport per persone con disabilità e l’approfondimento di queste tematiche su ambito territoriale. Performando è stata l’occasione per approfondire la nascita e lo sviluppo di un’idea pro-
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L’ingresso della palestra Sanbàpolis che ospiterà l’evento- Senza Ostacoli-
tra opportunità, confini e criticità
tra cui il Dott. Federico Schena, prof. ssa Donatella Donati e prof.ssa Francesca Vitali dall’Università di Verona, a seguire la testimonianza di Sofia Righetti, sciatrice paralimpica e attiva nella lotta alle barriere nello sport. Anche i protagonisti della montagna come Ivo Tamburini dell’Ass. Oltre le
L’attraversata del Lago di Garda con una barca accessibile di tre metri
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Senza ostacoli Workshop sullo Sport&Disabilità, associazione Nuove Rotte in collaborazione con la Cooperativa Sociale Arché e con il patrocinio del Centro Servizi Volontariato di Trento, in partenariato con Inail, Cip e CONI hanno piacere di presentare il primo workshop proattivo dedicato allo sport e alla disabilità nella Provincia di Trento. “Senza Ostacoli”, questo il titolo dell’evento, si terrà in una singola giornata presso la palestra polifunzionale di Sanbàpolis, a Trento, sabato 18 ottobre 2014 dalle ore 9.00 alle 17.30. Un’occasione per scoprire e affrontare i confini, le criticità e le opportunità sportive presenti sul territorio trentino per persone con disabilità motorie e psicofisiche. L’evento vuole porre l’attenzione su tutte quelle realtà associative e organizzazioni che offrono possibilità concrete di conoscere e praticare diverse discipline sportive, in un’ottica tesa all’inclusione tra persone disabili e non. La giornata prevede una parte dedicata al convegno dalle ore 9.00 alle 13.00, che verrà moderato dal dott. Raffaele Crocco giornalista RAI insieme al dott. Gianluca Samarelli presidente della Coop. Sociale Archè. Apriranno i lavori gli interventi delle istituzioni con il Rappresentante del Comune di Trento, l’Assessorato alle Politiche Sociali, dott.ssa Stefania Marconi (Direttore Inail sede di Trento), dott. Massimo Bernardoni (delegato C.I.P. Trentino Alto Adige), rag. Giorgio Torgler (Presidente C.o.n.i. Comitato della Provincia Autonoma di Trento). La discussione entrerà nel vivo con le relazioni del dott. Mauro Svaldi (psicologo e Presidente della Coop. Sociale CS4, prof. ssa Francesca Vitali e prof.ssa Donatella Donati dell’Università degli Studi di Verona per proseguire con gli interventi della dott.ssa Nunzia Mazzini (Primario Ospedale Riabilitativo Villa Rosa - Pergine Vs.) Sig.ra Graziella Anesi (Presidente Coop. Sociale Handicrea) dott. Sandro Scarpitti (delegato del Tavolo Provinciale Pari opportunità). Il workshop si arricchisce nel pomeriggio con una tavola rotonda per discutere liberamente dei temi trattati e interagire con le pratiche sportive, gli esperti e i protagonisti,
Sail around
gettuale, capire come valorizzarla, interagire con i partner e portarla a compimento. Lavorare in questi termini permette di cimentarsi all’interno di un gruppo con la difficoltà di coniugare diversi punti di vista, di mediare con attori esterni e di rispettare le scadenze. Un impegno che i giovani volontari hanno portato avanti dal mese di aprile scorso fino ad adesso, ognuno cercando di definire il proprio ruolo all’interno di un gruppo. L’esperienza maturata ha reso così possibile la presentazione di “Senza Ostacoli” che si terrà il 18 ottobre presso il polo sportivo Sanbàpolis a Trento, e in quell’occasione il gruppo di “Performando” si metterà alla prova dall’accoglienza alle persone, al service del convegno, al catering, alla comunicazione per finire con “prova lo sport”: tutto come sempre all’insegna del volontariato. Giulio Thiella
I componenti del Gruppo Performando riuniti presso la sede della Cooperativa Arché.
Vette e le loro fantastiche jolette, la dott.ssa Maria Letizia Grasso, esperta in arrampicata per persone disabili, racconteranno le loro storie e punti di vista. Poi ancora Graziella Anesi della Coop. Handicrea e la lotta per una città e servizi a dimensione di tutti e infine con il dott. Mauro Svaldi della Cooperativa Cs4 si parlerà di autismo. La conferenza sarà tradotta in simultanea nella lingua dei segni, da traduttori dell’Ente Nazionale Sordi, nonché la diretta a cura della radio universitaria Sanbaradio che si occuperà di intrattenere i presenti e non con buona musica e interventi ai microfoni dei protagonisti A filmare il tutto e a raccogliere documenti audio visivi i volontari dell’Associazione Prodigio, con il ruolo di media partner. Verrà allestita una postazione per lo Storytelling con l’obbiettivo di catturare i volti, le impressioni e pensieri di una giornata all’insegna dello sport per tutti. Tutto il materiale video raccolto andrà ad arricchire la pagina facebook in diretta evento, e sarà anche utilizzato per creare un video reportage finale a testimonianza dell’esperienza. Nella palestra attigua alla sala conferenze dalle 10.30 alle 17.30 in parallelo con il convegno si svolgerà la “prova allo sport” grazie all’allestimento di stand da parte di tutte le associazioni e organizzazioni coinvolte che già operano sul territorio e ad altre che provengono da contesti extraprovinciali. Grazie alla disponibilità di spazi offerti dalla nuova struttura di Sanbàpolis, sarà possibile per tutti vedere, conoscere e provare le diverse discipline e attrezzature rese accessibili. Dall’arrampicata in palestra artificiale per ragazzi con difficoltà psichico motorie assistiti dal gruppo di istruttori della SAT sezione Trento, la Joelette da montagna, la barca a vela access, il SUP surf della Coop. Archè Basket in carrozzina, handbike, dragon-boat e tanto altro. Lorenzo Pupi
S O L I DA R I E TÀ
Giovanni Spitale, ci racconta come da una profonda esperienza personale, possa nascere un progetto comunicativo di sensibilizzazione per la donazione del midollo osseo.
“Climb for life”
S
pro.di.gio.
ono venuto a conoscenza di “Climb for life” per puro caso, al termine di una piacevole chiacchierata serale in una locanda a Primolano; posto tra il Trentino e il Veneto è un luogo di incontro, passaggio e crocevia di esperienze, sapori e di genti. Dal racconto che mi è stato riportato ho colto subito che C.F.L. fosse qualcosa di più di un’organizzazione o un gruppo di persone, ma un’idea che nasceva da un’esperienza significativa e che univa la passione per la vita, l’arrampicata e la condivisione di esperienze. Ci vuoi raccontare meglio e direttamente con tue parole, come nasce tutto questo? Certamente! Allora, Climb for Life nasce per uno strano miscuglio di caso e necessità. Devo raccontarti una storia, cercherò di non essere troppo prolisso. Nell’agosto 2009, ero un giovane capo scout, stavo accompagnando un gruppo di ragazzi di 16, 17 e 18 anni lungo l’alta via numero uno delle dolomiti. Una sera, sotto la Croda del Becco, nelle dolomiti di Braies, i ragazzi hanno proposto una specie di gioco, un momento di riflessione: ognuno di noi avrebbe dovuto compilare una lista delle dieci cose che avremmo voluto fare prima di morire. Messa così sembra una cosa cupa, triste; in realtà mettersi di fronte all’idea della nostra fine, quella che Heidegger chiama “la possibilità dell’impossibilità di ogni possibilità”, riusciamo a capire meglio quali cose siano importanti sul serio, quali diano senso alla nostra vita. Il primo punto della mia lista, per esempio, era “vorrei salvare la vita a qualcuno”. Una volta tornato a casa mi sono messo a pensare a come avrei potuto realizzare tale desiderio, e l’idea migliore che ho avuto è stata quella di diventare donatore di sangue e di midollo osseo. Il sangue, beh, si sa: serve in una serie di contesti che vanno dalle emergenze alla chirurgia programmata. Il midollo osseo, invece, è la “fabbrica del sangue”, un tessuto liquido di cellule staminali, annidato nelle nostre ossa lunghe e piatte. Non è il midollo spinale, con cui spesso viene confuso, non sta nella colonna vertebrale e donarlo non comporta minimamente il rischio di restare paralizzati. Il midollo osseo si dona da vivi, e cura in via definitiva un sacco di malattie ematologiche, tra le quali la più nota, ma non l’unica è la leucemia. La vita, però, è strana ed ironica: infatti gli esami del sangue effettuati per diventare donatore hanno avuto un esito completamente inaspettato. Non solo non avrei mai potuto donare, ma io stesso avevo bisogno di sangue e di midollo osseo. Avevo ed ho ancora una malattia ematologica che si chiama aplasia midollare idiopatica, una malattia la cui sola cura non è un farmaco, ma una personamedicina: qualcuno che, come me, volesse donare il suo midollo osseo. Adesso la faccio semplice, ma al tempo la conoscenza della diagnosi è stata una bella mazzata: i medici mi dissero che senza trapianto, nella migliore delle ipotesi, la mia aspettativa di vita era di dieci anni. Io ne avevo ventuno. Ti risparmio la cronaca del ricovero, è lunga e noiosa, ed include gente senza capelli, chemioterapia, dolore e privazioni. A me piace parlare di cose belle, e questa storia non ne è priva, anzi. Insomma, per farla breve, non è stato possibile trovare un donatore che mi desse il suo midollo osseo, perché la probabilità media che due persone siano compatibili tra di loro sono piuttosto basse: una su centomila. Nessuno dei potenziali donatori, al tempo in tutto il mondo erano attorno ai venti milioni poteva essere la mia “persona medicina”. Insomma, la terapia
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Dall’alto: una delle nostre t-shirt; climb for life a San Vito lo Capo., da sinistra Giovanni Spitale, Adam Ondra, Stevie Haston; il logo Climb for Life; In ospedale.
farmacologica a cui mi ero sottoposto non era la cura definitiva, io non avevo ancora salvato la vita a nessuno e avevo conosciuto un sacco di persone che, come me, rischiavano di morire per la mancanza del donatore. Insomma, c’era un sacco da fare. Sono uscito dall’ospedale decisamente provato, ma quantomeno ero vivo. Allora ho iniziato a pensare che no, non avrei voluto morire a trent’anni, che avevo ancora un sacco di sogni da realizzare, di posti da vedere, di cose da fare. Dovevo cercare il mio donatore, ed allo stesso modo dovevo cercarlo per tutte le persone, conosciute e sconosciute, che vivevano una storia come la mia. Avevo sedici anni quando ho scalato la prima volta, poi non ho più smesso. Abito in mezzo alle montagne, per me è una cosa molto naturale. Qualcosa che mi fa sentire bene, una specie di meditazione. Una delle cose più belle di quando si arrampica è il rapporto che si crea con la persona a cui ti leghi. Metti la tua vita nelle sue mani, ed hai la sua nelle tue. Uno scalatore sa per prova provata cosa vuol dire questa responsabilità, questa necessaria fiducia. Allora ho deciso che avrei parlato agli scalatori, che avrei detto loro che questa cosa del midollo osseo è come fare sicura a qualcuno, avere la sua vita nelle proprie mani. Avrei
raccontato questa storia, la mia storia, condividendo il mio dolore ed il mio desiderio di non morire per salvare vite, auspicabilmente anche la mia. Così, appunto per caso e per necessità, ha preso il via tutta la faccenda. Per fortuna fin da subito ho avuto l’aiuto di un sacco di persone, da solo non avrei combinato un granché. L’appoggio di ADMO, associazione donatori midollo osseo, rappresenta per voi un punto di riferimento indispensabile, ci vuoi raccontare come si concretizza e quali sono le azioni comuni che vi vedono cooperare insieme? Indispensabile è dire poco! Noi, Climb for Life, non siamo nemmeno un’associazione. Siamo, a tutti gli effetti, un progetto di comunicazione di ADMO. Noi facciamo informazione tra gli scalatori, fine. Mi sento di dire che la facciamo bene, in maniera precisa, scientificamente accurata, con le parole giuste per essere eticamente desiderabile ed in modo visivamente piacevole. Ma è ADMO che gestisce tutto il ciclo dei nuovi aspiranti donatori, da quando noi li convinciamo alla auspicabile donazione. Senza ADMO il nostro lavoro non avrebbe senso. Quando l’idea iniziava a prendere forma, come sei riuscito a coinvolgere le persone intorno a te? Quali sono state le maggiori difficoltà e quali i primi risultati del vostro impegno nella sensibilizzazione? Sono sempre stato timido, da ragazzino. Mi vergognavo anche di chiedere l’ora agli sconosciuti. Mai parlato in pubblico, alla compagnia delle persone preferivo quella delle montagne e dei libri. Beh, indubitabilmente sono dovuto cambiare molto. Ho imparato a raccontare, a raccontarmi. Mi sono sempre detto che riuscire
a farlo bene sarebbe valso a trasformare in bene il male che mi era capitato. Ho semplicemente preso la mia storia ed ho cercato di farne qualcosa di utile. Il resto viene quasi da sé: il mondo non è affatto marcio come pensiamo, ad una chiamata onesta ed accorata ogni essere umano risponde. A me hanno risposto in tanti, in primis il mio carissimo amico Pietro dal Pra, uno dei più grandi scalatori italiani. Dalle nostre chiacchiere davanti ad una birra sono uscite le prime magliette, le prime strategie, i primi progetti. Non eravamo capaci di fare nulla, non sapevano nulla di comunicazione: abbiamo dovuto studiare un casino, e ne è valsa la pena. Adesso il team di Climb for Life, oltre a me e a Pietro, comprende Enrico Comunello, webmaster, Angela Bonato, biologa molecolare e grafica, suona strano ma giuro che è così, oltre ad una ventina di testimonial, tra i quali non posso non citare Adam Ondra, il più forte arrampicatore del mondo e ad altri amici che ogni tanto ci danno una mano: le sorelle Corona, Davide Carrari, Matteo Mocellin e tanti altri. Dalla tua esperienza personale nasce qualcosa di utile per gli altri, quando hai capito che convogliare energie, capacità e passioni in questo progetto era la cosa giusta da fare? Credo di aver già risposto prima: fondamentalmente già quand’ero in ospedale. Non avevo nessuna possibilità di fare qualcosa di pratico per stare meglio, o per far stare meglio i miei compagni di ventura. Non fare niente, aspettare che le cose succedessero, non essere padrone del mio destino ed artefice della mia fortuna mi è sempre risultato inaccettabile, quindi mi sono messo a fare. Quando inizi a fare ti accorgi che da solo combini poco, che prima o poi ti stanchi, e capisci quanto sia indispensabile costruire una rete di persone che credano in qualcosa. Si tratta di farsi che un’idea, anziché avere un solo paio di gambe, ne abbia dieci, cento, mille. Ti faccio a questo punto una semplice domanda dedicata a chi dei nostri lettori sente di impegnarsi in prima linea: come e dove si può donare il midollo osseo? Beh, intanto qualche informazione: per diventare potenziali donatori di midollo osseo bisogna avere un’età compresa tra i 18 ed i 38 anni, essere in buona salute e pesare almeno 50 chili. Ciò detto, basta fare un esame del sangue: la tipizzazione. I dati che si ottengono da questo test vengono inseriti in un grande database, collegato con tanti altri in giro per il mondo. Se, un giorno, qualcuno in attesa di trapianto fosse compatibile con un potenziale donatore, costui viene richiamato e sottoposto ad ulteriori visite mediche, per tutelare la sua salute e quella di chi il trapianto lo riceve. Se tutto va bene si procede al prelievo, dalla cresta iliaca o da sangue periferico. Entrambi i sistemi sono sicuri e praticamente indolori. In ogni caso, per saperne di più, basta dare un’occhiata al sito di ADMO federerazione italiana, www.admo.it, oppure a quello di ADMO Trentino, www.admotrentino.it. E poi, chiaramente, c’è il nostro: www.climbforlife.it. Siamo anche su facebook! Se vuoi aggiungere un motto o una riflessione conclusiva questo è il momento giusto... Donare il midollo osseo è una cosa facile, sicura e praticamente indolore. Salva la vita a chi lo riceve e migliora quella di chi lo dona. Io invidierò per sempre la consapevolezza di chi può svegliarsi la mattina, guardarsi allo specchio e dirsi “bene, da qualche parte, nel mondo, oggi qualcuno si sta svegliando per merito mio, perché io, quella volta, ho detto sì”. Direi che ne vale la pena, no? Lorenzo Pupi
Direttore responsabile: Francesco Genitoni. Abbonamento annuale (6 numeri) Proprietà: Associazione Prodigio Onlus Redazione: Lorenzo Pupi, Giulio Thiella, Carlo Nichelatti, Giuseppe Melchionna, Privati €15,00; enti, associazioni e sostenitori €25,00 con Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento Luciana Bertoldi, Daniele Biasi. bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437 Hanno collaborato: Martina Dei Cas, Corrado Bentini, Sara Caon, Walter 25 O 08013 01803 0000 6036 2000 intestato a “AssoSito Internet: www.prodigio.it Venturelli, Dorotea Maria Guida, Roberta Ziller, Giovanni Spitale, Luca Alfano. ciazione Prodigio Onlus” presso la Cassa Rurale di Aldeno e E-mail: associazione@prodigio.it In stampa: venerdì 3 ottobre 2014. Cadine indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”. Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana). Pagamento con carta di credito su www.prodigio.it. Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70% pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | ottobre 2014 - n. 5
IMMIGRAZIONE
L’accoglienza dei giovani scappati da paesi in conflitto e giunti in Trentino parte dall’educazione e dall’inserimento sociale, grazie ad APPM che aderisce al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.
Minori e rifugiati
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ono le 11 quando arriviamo in Via Zambra, Trento, sede anche di alcune strutture provinciali e non, per la tutela e l’inserimento di soggetti svantaggiati tra cui minori e stranieri. Ci attende un’intervista con uno dei protagonisti Trentini della lotta all’emarginazione e abbandono minorile. Il dott. Paolo Cavagnoli, presidente dell’Appm, Associazione Provinciale Per i Minori, segue ormai da anni l’accompagnamento e reinserimento sociale di giovani con problemi familiari o provenienti da altri paesi. Gli uffici sono in fermento per le tante attività in corso, veniamo comunque accolti con estremo garbo e dopo pochi minuti siamo ricevuti dal Presidente Cavagnoli nel suo ufficio che ci appare subito un ambiente accogliente e vissuto di impegno sociale. Siamo qui per dar voce all’adesione ad progetto nazionale di accoglienza insieme alla Provincia di Trento: 10 minori giunti a Lampedusa sui barconi della disperazione e fuggiti da fame, guerra e niente futuro. L’Appm è un’organizzazione, che ha all’attivo 150 dipendenti, tra operatori ed educatori, 300 minori presenti in 28 strutture sparse sul territorio. Siamo giunti qua non per confezionare il solito elogio di una struttura organizzativa che tutti sanno riconoscere seria e indispensabile, ma per evidenziare una presa di posizione del mondo del sociale, fondamentale rispetto al tema dell’accoglienza e del reinserimento sociale di minori stranieri e profughi. Come ci ricorda il dott. Cavagnoli, “questi sono ragazzi di 16-17 anni, ma con un’esperienza di vita di gran lunga superiore al cittadino medio di una città come Trento. Il progetto è iniziato ad aprile, altri ragazzi sono arrivati a maggio, a luglio e gli ultimi ad agosto. Hanno visto la guerra, hanno vissuto una pericolosa attraversata in barca, la fame, e tutto questo per venire in Italia a cercare “l’Eldorado”. Ma la realtà in cui si sono trovati catapultati si è rivelata decisamente un’altra. “ Alcuni vengono dall’Afghanistan e sono stati sfruttati durante tutto il loro viaggio. Attaccati sotto i camion, hanno marciato per giorni e giorni cercando un posto migliore, in cui ricostruirsi una vita senza violenza e orrore. Quello che risulta spesso difficile è ricostruire la loro storia, capire se sono profughi di zone di guerra o se sono venuti qui per altri motivi. Non è facile sapere la loro età e quando si dichiarano minorenni davanti alla commissione SPRAR, non c’è modo di sapere esattamente il loro dati anagrafici, perché quasi sempre sono sprovvisti di documenti. Questo è anche un modo per alcuni maggiorenni, di usufruire delle tutele rivolte ai minori, pur ovviamente esistendo una sezione Sprar per adulti richiedenti asilo. Il dott. Cavagnoli ci segnala una cosa interessante: “...a Bolzano viene eseguito il MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata), esame dell’osso che può determinare in via definitiva l’età dell’individuo, a Trento come in altre provincie nazionali questo non è previsto, pertanto è probabile che tra i minori effettivamente accolti anche livello nazionale ci siano degli adulti. Questo lo si nota spesso nei rapporti di
forza che si creano nelle strutture di accoglienza, infatti nella nostra a Campotrentino, abbiamo già avuto innocui episodi di ammutinamento, con tre centro africani che tendevano a ricoprire il ruolo di capi naturali e quindi di riferimento per gli altri. I problemi nascono spesso da cose semplici: vorrebbero semplicemente ciò che gli è stato promesso dopo quasi 2 anni di peripezie e sfruttamento: lavoro e soldi. Altre volte le incomprensioni nascono perché sono abituati ad una cultura e religione diversa dalla nostra. Parliamo nello specifico di paesi come L’Afghanistan, il nord Africa, il Congo, dove ad esempio il confronto con l’altro sesso è sicuramente diverso e purtroppo in senso peggiorativo. Per questo abbiamo anche cercato di mantenere dei ruoli femminili fissi tra gli operatori, indispensabili ad educare al rispetto della donna nella quotidianità.” Una criticità importante, ci spiega Elena Albani, Coordinatrice progetto “Sprar” per Appm, “sta nel fatto che molti di loro non accettano l’assistenza, vogliono solo cominciare a lavorare. Ma la legge italiana, prevede che nel momento in cui entri in un gruppo SPRAR, sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati, devi attendere tra i 5 e i 6 mesi per ottenere lo status di rifugiato politico e rimanere in Italia, altrimenti in caso di riscontro negativo si viene rispediti indietro. “Cerchiamo il massimo impegno durante la giornata, e questo lo facciamo con l’insegnamento della lingua italiana, passo fondamentale per poter comunicare sia dentro che all’esterno della struttura di tutela. In questo senso organizziamo lezioni di italiano due, tre ore ogni mattina e sera per tenerli occupati e perché possano iniziare a comunicare con gli operatori, infatti solo in pochi conoscono l’inglese e solo un ospite conosce il francese perché originario del Congo.” Continua il dott. Cavagnoli:”Il Progetto Nazionale del ministero degli esteri, consiste in un sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati da paesi in conflitto. I 10 ragazzi che abbiamo accolto nelle nostre strutture e gli altri 10 che arriveranno, sono seguiti da cinque educatori uomini e due educatrici donne, questo per abituare gli ospiti ad un ambiente culturale diverso dal loro contesto di riferimento. Le difficoltà maggiori sono quelle della lingua e della cultura, per questo tutto lo staff gli segue passo dopo passo, per dare loro gli strumenti fondamentali per sopravvivere una volta usciti dalle maglie della tutela.” In quei sei mesi non possono lavorare e la sfida è quella di coprire questo buco temporale e normativo, attraverso la formazione e l’educazione scolastica. Chi capisce già un po’ di italiano può andare a scuola, è il caso di un ragazzo che frequenta l’Istituto Pozzo a Trento. Per gli altri abbiamo attivato, in collaborazione con il Cinformi di Trento, corsi di lingua italiana e prevista una tutela legale, che
risulta particolarmente necessaria in queste situazioni, oltre stretta collaborazione con la Questura e le forze dell’ordine. Il permesso di soggiorno per i richiedenti asilo, permette di avere una vita normale sul territorio ospitante, di lavorare e svolgere molte delle funzioni come un cittadino prevedendo contestualmente delle limitazioni circa gli spostamenti sul territorio nazionale. “Arrivano in Italia con grandi aspettative. Crescono con l’idea che c’è ricchezza per tutti. Pensano di diventare calciatori. Uno su dieci ce la fa con impegno e determinazione a stabilirsi e a cominciare a lavorare. Di solito sono i ragazzi più volenterosi e consapevoli, che hanno davvero vissuto sulla pelle i rischi di viaggi senza ritorno, della discriminazione e della paura.” Ci raccontano di un ragazzo Afgano, serio, responsabile e umile. Quando lo hanno accolto gli è stato detto, vai a letto presto, spegni la luce e studia tanto italiano. Lui è uno di quelli che ce la farà, sempre che superi le maglie della burocrazia italiana. Uno degli obiettivi che Appm si pone è riuscire a coinvolgere in ambito lavorativo gli stessi ragazzi ex rifugiati come ci fa notare il Dott. Cavagnoli “abbiamo un operatore notturno con un passato da migrante ed ora svolge mansioni di controllo e gestione pratica degli ospiti, risultando utile come intermediario e punto di riferimento per i gruppi.”
Elena Albani: “È un esperienza che stiamo portando avanti da sei mesi, un lavoro impegnativo che comprende anche l’organizzazione degli spazi e dell’autosufficienza dei ragazzi, ne stiamo aspettando altri 10. Il problema esiste, e credo, che insieme a tutto lo staff lo stiamo affrontando con impegno e determinazione. Abbiamo assunto volutamente un ruolo educativo. In primis, abbiamo fatto loro conoscere il territorio, come fare la spesa, stirare, cucinare, coltivare uno sport e imparare come muoversi coi mezzi pubblici. L’obbiettivo fondamentale è quello di insegnarli a stare nella nostra società. Tutti i giovani sono seguiti da un operatore legale del Cinformi, abbiamo anche rapporti diretti con la questura e gli assistenti sociali, esiste quindi una rete di persone e organizzazioni attive e consapevoli intorno a loro. L’impegno di Appm e di tutti gli educatori ed operatori continua senza sosta, nonostante manchi ad oggi, una seria informazione sul problema dei richiedenti asilo e una presa di coscienza più condivisa a livello di opinione pubblica. Tanto si è fatto e molto si deve certamente fare, per concedere a questi ragazzi in fuga dal loro paese, un futuro migliore. Non hanno rischiato la vita e investito tutto semplicemente per rubare lavoro come qualche maligno ancora pensa, ma stanno rincorrendo ognuno a suo modo un sogno, un sogno infranto lungo il cammino e pagato a duro prezzo. L’intelligenza e la sensibilità di una comunità che gli accoglie sta nel comprendere che essi possono essere integrati a tutti gli effetti e divenire un valore aggiunto di esperienze, competenze e modi di vedere il mondo. Lorenzo Pupi
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Lo status di rifugiato:«Colui che, (...) temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra. » art 1.convenzione di Ginevra, 28 luglio 1951
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Spostamento seggi elettorali
A novembre ritornano gli incontri per le coppie
Al fine di evitare l’interruzione dell’attività didattica in occasione delle varie tornate elettorali l’Ufficio Elettorale ha provveduto a trasferire presso il centro sociale (ex elementari) Solteri in via dei Solteri 66, i tre seggi elettorali precedentemente ubicati presso la scuola elementare “Gorfer”. Inoltre la scuola elementare “Crispi” si è trasferita nella sua sede storica di via S. Giovanni Bosco recentemente ristrutturata, mentre i seggi elettorali rimarranno ubicati presso l’edificio di Via Veneto 43.
Quattro appuntamenti gratuiti a villa Mersi il giovedì sera
Aggiornamento albo scrutatori
Pagina a cura del Comune di Trento
I cittadini italiani maggiorenni, interessati ad essere inseriti negli elenchi delle persone che potranno svolgere il compito di scrutatore nelle sezioni elettorali, possono presentare la domanda all’Ufficio elettorale del Comune in Piazza di Fiera 17 entro il 30 novembre 2014. Chi è già inserito nell’albo non deve invece ripresentarla.
Aggiornamento tessere elettorali
In vista delle elezioni amministrative della primavera del 2015 si segnala la possibilità che qualche elettore abbia esaurito tutti i diciotto spazi disponibili nella tessera elettorale per la certificazione del voto. In questo caso – da subito e senza aspettare il giorno delle votazioni – si può richiedere all’Ufficio Elettorale di Piazza di Fiera 17 una nuova tessera elettorale. In caso di cambio di abitazione all’interno del comune l’Ufficio Elettorale provvede invece a consegnare un tagliando adesivo da applicare alla tessera elettorale che riporta la nuova residenza e il nuovo seggio elettorale di appartenenza. E’ importante che ogni elettore sia in possesso di una tessera elettorale che riporti i dati aggiornati della residenza e della sezione in cui votare.
Accoglienza familiare: un corso per chi vuol esser volontario Il Servizio Attività Sociali da anni sostiene progetti rivolti a famiglie in temporanea difficoltà attraverso l’aiuto concreto di volontari. Il volontario nell’accoglienza familiare è una risorsa sociale ed educativa molto preziosa per altre famiglie e per i loro figli che ,accompagnandoli per alcune ore in attività di gioco, svago, compiti, diventa così un punto di riferimento importante. Lo Sportello Affetti Speciali organizza nel mese di novembre il corso “Facciamo crescere i legami che fanno crescere”, rivolto a coloro che vogliono conoscere l’accoglienza familiare, per poi mettersi in gioco con flessibilità, collaborazione e responsabilità. DATE: Sabato 8 novembre dalle ore 9 alle 13; mercoledì 19 novembre dalle ore 20.15 alle 22.15 e sabato 29 novembre dalle 9 alle 13 (date da confermare). ISCRIZIONI: entro il 27 ottobre, tramite mail a accoglienza_familiare@comune.trento.it; il corso verrà attivato con un minimo di 10 partecipanti. COSTO: gratuito. CONTAT TI: dott.ssa Soraya Rudatis tel. 0461.889948.
Anche quest’anno nel mese di novembre il Comune di Trento, in collaborazione con il Tavolo della formazione alle relazioni familiari, propone un ciclo di incontri ad accesso gratuito rivolto alle coppie della nostra città. L’iniziativa dà la possibilità di leggere il proprio vissuto e la propria esperienza, di riflettere sul proprio progetto di coppia e di cercare soluzioni alle difficoltà del quotidiano. Nella consapevolezza che se i problemi possono essere comuni, le risposte possibili sono molteplici in quanto ogni rapporto di coppia è di per sé unico. Il percorso prevede quattro incontri che si terranno il giovedì sera alle 20.30 a villa Mersi. Esperti del settore affronteranno temi diversi quali la relazione di coppia, la sessualità, gli aspetti giuridici e la progettualità della coppia nel sociale, coinvolgendo attivamente i presenti. L’organizzazione del percorso è curata dal Comune di Trento e dal Tavolo alla formazione alle relazioni familiari, che accoglie al proprio interno il Punto famiglie ascolto e promozione, l’Ucipem, il Consultorio familiare dell’Azienda sanitaria, l’Associazione laica famiglie in difficoltà, l’Associazione famiglie per l’accoglienza, l’Associazione famiglie insieme, l’Associazione famiglie nuove , il Forum delle Associazioni familiari del Trentino. Per informazioni 0461 884498 - 884477, servizio-attivitasociali@comune.trento.it.
Ritorno a casa: opere ritrovate della collezione Thun In mostra da novembre a Cappella Vantini Sarà inaugurata venerdì 21 novembre a Cappella Vantini la mostra dal titolo “Ritorno a casa: opere ritrovate della collezione Thun”, organizzata dalla Soprintendenza per i Beni culturali, dal Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali e dal Comune di Trento. L’esposizione intende valorizzare un importante nucleo di opere d’arte - appartenute alla collezione del conte Matteo II Thun (1812 - 1892) e provenienti da Palazzo Thun e da Castel Thun - acquistato dalla Provincia autonoma di Trento nel dicembre 2013: dipinti, sculture, libri e documenti, assicurati al patrimonio collettivo, che oggi “tornano a casa”, nella cappella di famiglia, grazie ad un’iniziativa che per una volta consente di ripristinare il nesso tra l’oggetto e il contesto di appartenenza. La mostra presenterà - oltre a vari ritratti di famiglia ottocenteschi (Matteo Thun, Raimondina Thurn, Carolina d’Arsio, Violante Martinengo Cesaresco) dipinti da Ludovico Lipparini, Giovanni Pock e Ferdinando Bassi e al prezioso busto marmoreo di Raimondina Thurn scolpito da Luigi Ferrari - altre opere della committenza thuniana, come le Nature morte floreali di Tommaso Castellini, accanto ad una selezione di lettere e volumi, un tempo conservati rispettivamente nell’archivio e nella biblioteca di famiglia e ora custoditi presso l’Archivio provinciale di Trento. Informazioni Ingresso libero dal 22 novembre al 1° febbraio 2015; dal martedì alla domenica: 10 - 18 (lunedì chiuso). Giorni di chiusura: 8 dicembre, Natale e Capodanno.
Alloggio pubblico Presentazione domanda per la locazione di un alloggio pubblico e l’erogazione del contributo integrativo sul canone di locazione
Sito Internet del Comune di Trento: www.comune.trento.it Numero Verde 800 017 615
C’è tempo fino al 31 dicembre 2014 per presentare le domande per la locazione di un alloggio pubblico e per l’erogazione contributo integrativo sul canone di locazione, riferite ai Comuni di Trento, Aldeno, Cimone e Garniga Terme. Prima della presentazione della domanda sarà necessario richiedere ad un CAF convenzionato con la PAT l’attestazione ICEF edilizia pubblica aggiornata (che non dovrà essere superiore allo 0,23 per le domande di alloggio pubblico ed allo 0,21 per le domande di contributo integrativo). La domanda potrà essere presentata agli sportelli
del Servizio Casa e Residenze protette del Comune di Trento sito in via Torre d’Augusto 34. Per facilitare la domanda, sotto forma di intervista, è stato predisposto uno schema riepilogativo delle informazioni che il richiedente dovrà conoscere; tale schema potrà essere ritirato presso gli uffici o all’indirizzo internet www.comune.trento.it.
Il nuovo piano sociale scommette sulle persone Un welfare di comunità che valorizza le risorse del territorio Lo scorso giugno il Consiglio comunale ha approvato a larga maggioranza il piano sociale del Territorio Val d’Adige. Il via libera al nuovo strumento di pianificazione sociale conclude un cammino che ha visto il testo approvato anche dai Comuni di Aldeno, Cimone e Garniga Terme e dalle dodici Circoscrizioni del Comune di Trento. Inizia ora ufficialmente la fase attuativa del piano, con la concretizzazione delle azioni in esso indicate. Frutto di un percorso partecipato che ha coinvolto duecento soggetti e circa mille persone, il nuovo piano sociale del territorio della Val d’Adige cerca di rispondere alla complessità dei bisogni con interventi puntuali e di qualità. Il modello a cui si ispira è quello del welfare di comunità, che mira a valorizzare e sostenere le risorse del territorio. Ecco allora che nella nuova impostazione il cittadino non è più solo un soggetto passivo destinatario di servizi, perché l’aiuto sociale diventa sempre più un investimento sulla persona, chiamata a scommettere sulle proprie risorse e a intrecciare nuove relazioni. L’aiuto, trasformandosi quando possibile in “auto mutuo aiuto”, fa leva sul senso di responsabilità favorendo così l’uscita dalla condizione di marginalità e il conseguente recupero di un ruolo sociale. Con il risultato che il cittadino in difficoltà sarà sempre più dipendente dalle risorse della comunità e sempre meno dipendente dall’ente pubblico, che pure mantiene un forte ruolo di regia e programmazione. Il nuovo welfare diventa quindi in un fattore di crescita sociale e di sviluppo, che cerca di affrancare le persone dal bisogno inserendole in nuovi percorsi di vita. Per informazioni è possibile contattare il servizio Attività sociali al numero 0461 884477.
LE INIZIATIVE DELLA XXI GIORNATA MONDIALE Alzheimer, due incontri informativi e un camper per testare la memoria L’Alzheimer è in continuo aumento sia a livello mondiale che locale e rappresenta una vera emergenza sanitaria ed assistenziale. Per queste ragioni nel 1998 un gruppo di familiari ha fondato Alzheimer Trento onlus, oggi punto di riferimento per tutti coloro che si occupano di questa malattia. Attualmente Alzheimer Trento ha 225 soci tra i quali 25 sono volontari che offrono il loro tempo per varie attività. In occasione della ventunesima giornata mondiale dell’Alzheimer, l’associazione ha programmato una serie di eventi, per informare e sensibilizzare sul tema della prevenzione e dell’assistenza. Il 20 settembre, alle ore 10, nell’aula grande della fondazione Bruno Kessler, ci sarà un incontro scientifico sul tema Ricerca: uno sguardo al futuro per alimentare la speranza nel presente. La mattinata del 21 settembre sarà dedicata al test della memoria per i cittadini in un camper in piazza Pasi curato dall’unità di Neurologia dell’azienda sanitaria di Trento. Infine il 26 settembre, alle 17.30, nella sala conferenze della fondazione Caritro in via Calepina il dottor Fabio Cembrani e il filosofo Marcello Farina dialogheranno sul tema Il valore della fragilità: l’etica nell’accompagnamento della persona affetta da demenza”.
ESTERI
Racconto vincitore del concorso “Arte & conflitto”, Associazione Culturale Differenze di Pescara
Jalalabad
“ACCELERA” grida Mike, passandosi le mani sudate tra i capelli corti. Pietro e Caterina si sporgono dal finestrino del veicolo militare, ma sulla riva del fiume vedono solo due bambini che guidano un asino carico di sacchi alla ricerca di un guado. Lo frustano, lo accarezzano e lo incitano, ma la bestia è troppo stanca per proseguire. “Finiranno col farsi male” si agita Caterina “dobbiamo aiutarli” Fa per scendere, ma Pietro la ferma, indicandole la strada. Da dietro la curva è apparso un autobus con le tendine di lana e i sonagli sul parabrezza. Sembra uno di quelli che a suon di litanie popolari e pettegolezzi di comari sono sopravvissuti agli americani e ai talebani e ancora collegano Jalalabad ai villaggi sul fiume Kunar. Eppure quella carretta nasconde qualcosa di nefasto: nessuno scende né sale. Non ci sono donne né venditori ambulanti né musica. “È un’imboscata” sussurra l’autista e di colpo tutto è chiaro. Mike contatta via radio il contingente americano. Sono a poche miglia, ma non arriveranno in tempo. Pietro si morde il labbro fino a farlo sanguinare: sono in trappola. Dietro hanno il fiume, davanti l’autobus, dal quale scendono degli uomini armati, che si schierano davanti alla macchina; il più giovane, ancora imberbe, fa cenno di arrendersi. “È solo un controllo!” grida in un pessimo inglese. “Non scendete” ordina Mike “i vetri della macchina sono antiproiettile. Se restiamo dentro forse ci salviamo!” “Ma noi siamo dottori” si dispera Pietro “siamo qui per curare i bambini” Ed è una mezza verità. Caterina pensa al giorno in cui l’ha convinta che un mese di volontariato avrebbe impreziosito il loro curriculum. Per lei che ama le sfide e in Italia non ha neanche un cane di cui sentire la mancanza è stata una palla da cogliere al balzo. Da quando sono arrivati, tre settimane fa, ha affrontato più di cinquanta casi di labbro leporino ed estratto qualche dente. Con le ferite dell’anima è un vero disastro, ma nella difficile arte di rattoppare corpi nessuno può batterla. Pietro invece è un guru dell’ortopedia che dispensa in egual misura protesi e commenti sardonici sulla cucina locale. Ha affrontato nell’arco dello stesso anno il divorzio e la promozione a primario e per metabolizzare, anziché rilassarsi in un centro benessere come le persone normali, è scappato in Afghanistan, trascinando Caterina con sé. Desideravano disperatamente dare un senso alla propria vita ma, pur sapendo che sarebbe stata dura, non temevano di perderla. Pietro si rammarica di non essere passato dal paese a salutare i genitori prima di partire. Caterina piange, pensando alla sua migliore amica e a quella chiamata skype che rimanda sempre. Le sue però non sono lacrime di paura, ma di rabbia. Certo, teme di soffrire, di essere torturata, di morire sola in una terra lontana, ma ancora di più si strugge perché non potrà più assaggiare le piccole cose quotidiane che rendono grande la vita. “Siamo dottori” mormora Pietro per l’ennesima volta. “A loro non importa” balbetta l’autista e ricomincia a salmodiare nella stessa lingua e appellandosi allo stesso Dio dei loro assalitori. Il vento porta ai fedeli il richiamo del muezzin. Gli uomini guardano il cielo terso, poi si stringono nelle spalle e riabbassano gli occhi. Il sangue chiama sangue. Fin da piccoli hanno imparato a credere nel Paradiso e per loro è reale, come l’inferno in cui sono cresciuti. Il ragazzo spara in aria e il desiderio di vendetta gli corrode le vene. “Scendete” urla ancora. Mike prova a contattare la base, ma nessuno risponde. Pietro abbraccia Caterina. “Mi dispiace” mormora. Poi è di nuovo silenzio. In macchina manca l’aria. Il soldato si fa il segno della croce ed estrae dal cruscotto una granata. Serve nell’esercito degli Stati Uniti da quando, a sedici anni, dopo averlo sorpreso a rubare per l’ennesima volta,
lo sceriffo Faust Rosenberg gli disse “O la leva o il riformatorio”. Se fosse stato più attento a lezione di letteratura, avrebbe capito che da uno con quel nome non poteva venire nulla di buono, ma i se ed i ma non sono vocaboli da militari e le campane hanno già battuto l’ora dei rimpianti. Come ogni condannato a mor-
per un master e non è potuta tornare. I suoi genitori e la nonna hanno capito. Sono fieri di lei, della dottoressa che è diventata. E hanno ragione: è diventata una che conta, ma a che prezzo? A quante cene di famiglia ha rinunciato? Quanti amici ha perso nel cammino? Quanti rapporti umani ha distrutto brandendo l’ascia
Siria, una città bombardata
te, anche lui ha un ultimo desiderio: quello di andarsene con un gran botto, trascinando nel baratro quanti più nemici possibili. I talebani dal canto loro non pensano a niente. Il sole li cuoce e il vento li sferza: è il giusto prezzo della vendetta. Un raglio improvviso però riporta tutti all’amara realtà. L’asino si è azzoppato scivolando lungo il fiume e la bimba per salvare il carico è finita in acqua. Le sue grida perforano le orecchie del commando, ma gli uomini hanno imparato dagli americani il significato del termine danni collaterali. Caterina guarda l’asino dibattersi, come faceva il cavallo del nonno quando per andare a vedere i vigneti prendevano la scorciatoia sul torrente. A casa li aspettava la nonna, con la torta di mele. Lei ne divorava due fette, poi correva a strigliare l’amato cavallo...che già chiamarlo cavallo era un atto di lealtà! Aveva le gambe storte ed era brutto come i debiti, ma per lei neanche le principesse delle fiabe avevano mai conosciuto bestia migliore. Quando era morto, aveva obbligato il nonno a piantare un roseto in sua memoria. L’afgana si dibatte nel fiume, l’italiana scava nei meandri della memoria e si vergogna. Ha organizzato il funerale del cavallo, ma non del nonno. Quando se n’è andato era a Londra
del successo? Forse però non è troppo tardi per rimediare. “Voglio scendere!” grida. “La prego” implora l’autista. Mike le afferra il braccio, ma lei si divincola e cade sullo sterrato. Con una mano mette il velo, con l’altra toglie le scarpe e corre al fiume. Saltella cercando di schivare i ciottoli più acuminati, mentre il giovane talebano la tiene sottotiro, pensando che da dietro somiglia a sua madre. Anche lei cammina così, da quando non ha più i soldi per comprarsi le scarpe. Sta per sparare, ma il vecchio Jalal scende dall’autobus e con fare regale gli intima di fermarsi. È lui il capo, quello che decide chi vive e chi muore. Caterina fa segno al bambino di continuare a tirare l’asino, si butta nel fiume e afferra la bimba. La trascina al sicuro, vicino al maschietto e incita entrambi a nascondersi. Poi alza le mani e torna sui suoi passi. In lontananza si odono i cingolati americani. Il ragazzo non vuole sparare alla donna che ha salvato la sua gente, ma ai poveri non è concesso perdere anche la reputazione. “WADREGA” ordina Jalal, grattandosi la barba “FERMATI. In fondo siamo tutti figli di Allah” Il giovane lo guarda, sconvolto. L’ultimo che ha detto una cosa del genere è stato l’iman di Jalalabad e quelle parole gli sono costate la
La ricerca della verità e la narrazione sono le forme migliori di resistenza
Un’eredità preziosa
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n tempi di crisi come questi di eredità si fa un gran parlare. Ci sono quelle giacenti, quelle contese, quelle immobiliari, quelle all’estero, quelle dove il passivo è il doppio dell’attivo e poi quelle immateriali, le più preziose e difficili da conservare, intrise di valori, sudore e speranze. Ci sono i lasciti di persone dai nomi comuni, ma niente affatto ordinarie. Ci sono gli articoli di James e Steven, giornalisti americani decapitati dall’Isis. E le foto di Andrea Rocchelli, morto documentando la guerra in Ucraina. Ci sono i reportage di Simone Camilli, la cui telecamera si è spenta per sempre durante il disinnesco di una bomba nella striscia di Gaza, assieme alla vita degli artificieri che lo accompagnavano. C’è il testamento di Olga, Lucia e Bernardetta, le tre anziane suore che avevano rinunciato a molte comodità nostrane per ricucire il cuore del Burundi. C’è il ricordo di David, cooperante britannico scampato ai Balcani e barbaramente ucciso in un deserto mediorientale. C’è la disperazione dei loro cari, di chi ha
perso un amico, un figlio o un padre mentre faceva il proprio lavoro. Un dolore sordo, uguale a quello di chi ha dovuto dire addio al marito caduto da un’impalcatura o al fratello inghiottito da una cisterna. Un lutto privato che dovrebbe essere accompagnato dall’indignazione e dalla rabbia dell’opinione pubblica, perché queste morti non state frutto di una tragica fatalità o del destino avverso, ma della crudeltà e dell’efferatezza umana. Credo che tutti dovremmo fermarci almeno un secondo per ricordare James, David, Olga e quelli che come loro hanno scelto di lottare con la forza dell’esempio e delle parole, nella convinzione che la narrazione e la ricerca della verità siano le forme migliori di resistenza. I loro nomi sono stati al centro del notiziario, di qualche chiacchiera al bar e di molti di status su facebook per una manciata di giorni e ora sono pronti a cadere nel tritacarne della storia. Proprio per questo, il racconto che segue (vincitore del concorso “Arte & conflitto”, Ass.ne Culturale Differenze- Pescara) è dedicato a loro. Martina Dei Cas
pensione anticipata ad opera dello stesso Jalal, che l’ha accusato di essere filoamericano e l’ha spedito in montagna. Il vecchio fa segno ai suoi di tornare sull’autobus e riparte con loro. Caterina cerca con lo sguardo i bimbi, ma sono scomparsi; così va alla macchina e si accascia sul sedile. Mike sgomma verso il convoglio americano. L’Afghanistan scorre dal finestrino, terra brulla di macerie e rancore. E all’improvviso è troppo. “Ferma!” urla Caterina. Con i vestiti ancora bagnati corre al fiume e vomita. Non sa che sull’altra riva Jalal sta facendo lo stesso. La giovane dottoressa vorrebbe solo mangiare una pizza in compagnia e non sentir più parlare di guerra, neanche al telegiornale. Vorrebbe mettere lo smalto e tornare alla sua scrivania immacolata. Anela a tutto questo e lo avrà, appena tornata a casa. Ma ora sa che non le basterà più, perché dopo questo terribile incontro sulla strada per Jalalabad vorrebbe che lo avessero tutti. Vorrebbe che lo avessero i bambini che ha rattoppato in città e quelli che ha salvato dal fiume, vorrebbe che lo avesse Jalal, perché un vecchio non dovrebbe spegnersi guardando la sua terra marcire. Un vecchio dovrebbe morire abbracciando i nipoti e non il kalashnikov. Caterina lo vorrebbe con tutto il cuore e sapere che le sue sembrano solo le sciocche utopie di una ragazzina viziata la ferisce più di una lama. Il senso d’impotenza le mozza il respiro, mentre con gesti sconnessi si strappa il velo e si addentra nel fiume. Vuole ripulirsi, ma il fango la imbratta sempre di più. Perde l’equilibrio, ma due manine l’afferrano e la riportano a riva. È il bambino dell’asino. “Madame” chiama. “Parli inglese?” “Sì, il nonno dice che non devo diventare come lui. Che devo studiare.” “È una brava persona allora” “È quello che ti voleva sparare” Il sorriso si gela sul volto di lei. “Jalal?” Lui annuisce “Mi ha detto di riferirti che ora non ha più nessun debito con te” “Cosa?” “Sai, sul bus c’erano mio fratello e mio zio, ma erano pronti a rinunciare a me e a mia sorella per la loro guerra. Tu invece avresti dato la tua vita per noi. Il nonno ha detto che si è vergognato davanti ad Allah e che la nonna l’avrebbe preso a bastonate se tornava a casa senza i suoi nipoti preferiti.” Caterina lo abbraccia, mentre il sole tramonta sulle montagne, nascondendo le lacrime degli uomini. Oggi nessuno sparerà a nessuno da un lato all’altro di Jalalabad. Oggi non ci sono soldati né guerriglieri, ma solo persone stanche di lottare. Domani Jalal comincerà a progettare un’altra azione dimostrativa, gli americani a pattugliare il mercato e i bambini a cadere sulle mine, ma sul fiume il mondo si è fermato. Il bimbo rimette il velo a Caterina, accarezzandole i capelli come fa con la mamma quando è triste. Poi le allunga una scatola di cartone, dov’è racchiusa una piccola lampada ad olio. “È un regalo da parte del nonno, dice che con questa luce illuminerai le tue azioni e non ti smarrirai lungo la strada della vita” spiega, mentre una strana nebbia inizia a salire. La ragazza si fruga nelle tasche e trova un fiammifero. Con deferenza accende la lampada, è sbilenca e un po’ ammaccata, ma il suo debole chiarore conferisce un tocco di magia alla squallida riva del fiume. Caterina è così assorta nei suoi pensieri, che non si accorge dell’arrivo di Jalal. “Esprimi un desiderio” le ordina e al contempo la supplica il vecchio “e risali subito a bordo di quella dannata jeep, perché il mondo ha bisogno di persone come te!”. Poi prende suo nipote per mano e si allontana, non più vecchio e affranto, ma baldanzoso ed etereo come uno di quegli spiritelli misteriosi che popolano le fiabe delle Mille e Una Notte. Martina Dei Cas
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Cup Trentino: un nuovo numero per prenotare col cellulare
a lunedì 15 settembre si sono ampliate le funzionalità di «Cup Trentino» dell’Apss per essere sempre più vicini ai cittadini e migliorare l’accesso alle prestazioni sanitarie erogate dalla sanità pubblica e privata della provincia di Trento. Un nuovo numero telefonico, dedicato a coloro che utilizzano il cellulare per le prenotazioni delle visite specialistiche e degli esami, si aggiunge a quello tradizionale a tariffazione ripartita 848 816 816. I cittadini che telefonano al Cup utilizzando il cellulare potranno avvalersi del numero geografico 0461 379400. «Cup Trentino», nato nel 1999, ha unito in un unico sistema le prenotazioni delle visite e degli esami erogati dalla sanità pubblica e privata della provincia di Trento permettendo al cittadino di avere un solo interlocutore e all’Apss di monitorare i tempi di attesa delle prestazioni specialistiche. Con «Cup Trentino» è possibile scegliere la modalità di prenotazione preferita: telefonica, tramite internet o direttamente in uno degli sportelli «Cup Trentino» diffusi sul territorio provinciale. In questi anni, la modalità di prenotazione più utilizzata dai cittadini è stata la prenotazione telefonica. Fino ad ora, digitando il numero a tariffazione ripartita 848 816 816, è stato possibile effettuare le prenotazioni dal telefono fisso al costo di una chiamata urbana e dal telefono cellulare secondo la tariffa prevista dal piano tariffario scelto dal cittadino. Dall’analisi dei dati di prenotazione è risultato che le chiamate da cellulare sono in continuo aumento: attualmente il 37% delle 816 mila chiamate viene effettuato dai telefonini (dati riferiti ai primi otto mesi del 2014). L’Apss ha pertanto deciso di istituire un nuovo numero telefonico geografico - 0461 379400 - che
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permetta a coloro che chiamano dal telefono cellulare di accedere alle tariffe urbane spesso meno onerose rispetto a quelle applicate dai gestori alle chiamate verso i numeri speciali. Utilizzando il numero 0461 379400 dal telefono cellulare la tariffa applicata sarà quella urbana definita dal piano tariffario scelto dal cittadino mentre coloro che decidono di utilizzarlo da telefono fisso pagheranno il costo della chiamata urbana o interurbana in base alla località da cui chiamano. L’orario per le prenotazioni telefoniche resta invariato: dalle ore 8 alle ore 18, dal lunedì al venerdì e dalle 8 ore alle ore 13 il sabato, esclusi i festivi. Attualmente il call center di «Cup Trentino» è dotato di 90 linee telefoniche in entrata. Il sistema gestisce 2.270 agende attive di prestazioni specialistiche ambulatoriali in regime istituzionale e 651 agende attive in libera professione. Nel 2013 il call center del Cup ha gestito complessivamente circa un milione e duecento mila movimenti tra prenotazioni, disdette e informazioni (nei primi otto mesi del 2014 sono circa 820 mila). Vale la pena ricordare che negli ultimi anni le prenotazioni attraverso il web hanno avuto un grosso impulso passando da circa 13 mila contatti nel 2008 a circa 60 mila nel 2013 (cifra raggiunta nel 2014 nei primi otto mesi). Accedendo dall’indirizzo www.apss.tn.it e cliccando alla voce «cup on line» è possibile consultare in tempo reale, 24 ore su 24, la disponibilità su tutto il territorio provinciale delle prestazioni sanitarie agganciate al sistema «Cup Trentino», prenotare, disdire e consultare i propri appuntamenti con identificazione mediante la tessera sanitaria oltre a verificare la fascia oraria in cui si rileva la minore concentrazione di telefonate per poter accedere più facilmente al call center telefonico.
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Le nuove direttive per la prevenzione e la cura del diabete
a Giunta provinciale ha adottato la delibera dell’assessora provinciale alla sanità, Donata Borgonovo Re, con cui si definiscono le nuove linee guida dell’attività di prevenzione e cura del diabete in Trentino. La delibera si inserisce nel Piano di miglioramento dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari (Apss) e consolida le linee di azione del Piano provinciale diabete in corso di approvazione da parte dell’assessorato alla salute e solidarietà sociale. In particolare, la delibera introduce “logiche di appropriatezza prescrittiva”, in continuazione del percorso già iniziato dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari. Le direttive riclassificano i pazienti sulla base dell’età (adulta e pediatrica) e del quadro clinico, e mirano
quindi a favorire una classificazione precisa degli stessi. Inoltre, le nuove logiche prescrittive verranno rafforzate e consolidate nel Piano provinciale diabete in corso di predisposizione da parte dell’assessorato provinciale alla salute e solidarietà sociale. Sul fronte della spesa sanitaria, la decisione della giunta introduce, in analogia con le Regioni limitrofe, i prezzi massimi di rimborsi per tipologia di dispositivo: siringhe, aghi, apparecchio pungidito e varie tipologie di strisce. I prezzi massimi, così come riportati nel provvedimento, avranno validità triennale a decorrere dal 1 novembre 2014 e sono stati preventivamente discussi e concordati con le rappresentanze della farmacie pubbliche e private.
Educazione alimentare e fame nel mondo: progetto di ASSFRON per le scuole
lla presenza del vescovo trentino di Kotido in Karamoja (Uganda) mons. Beppino Filippi, del presidente del Consorzio dei Comuni Paride Gianmoena, del dott. Roberto Ceccato dirigente del Servizio Infanzia e istruzione del primo grado e del dietologo Michele Pizzinini, il presidente dell’Associazione Scuola Senza Frontiere (ASSFRON) Andrea Acquisti e il segretario Carlo Bridi hanno presentato il progetto di sensibilizzazione nelle scuole sui temi dell’educazione alimentare, degli sprechi del cibo, della fame. Il progetto dell’Assfron cade proprio nell’anno dedicato dalle Nazioni Unite al tema dell’agricoltura famigliare, degli sprechi e dell’alimentazione, con eccessi di cibo da una parte e la fame nel mondo dall’altra. Dopo il successo del progetto sul tema “L’acqua per tutti”, che ha visto l’associazione incontrarsi con ben 200 classi trentine di ogni ordine e grado, la proposta per l’anno scolastico 2014/2015 riguarda il problema dell’alimentazione e dell’educazione al cibo.
Obiettivo del progetto è quello di coinvolgere il maggior numero possibile di scolari/studenti, per far loro capire l’importanza di un corretto rapporto con il cibo per non sprecarlo. Per lanciare il progetto Assfron ha realizzato “Cibo per tutti senza sprechi - Un diritto fondamentale di ogni essere umano”, un video didattico di Mediaomnia molto accattivante e ricco di importanti testimonianze e di messaggi forti (Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, Andrea Zaghi, fondatore di Last minut Market, del dietologo trentino Michele Pizzinini e del vescovo mons. Beppino Filippi, di Baselga del Bondone). Il dramma della fame colpisce quasi un miliardo di persone nei Paesi impoveriti e, di questi, 100 milioni sono i bambini a rischio di morte per fame, mentre nella civiltà occidentale lo spreco di alimenti ha superato la soglia del 50%. È recente la notizia che in Trentino il 37% delle persone è in eccesso di peso od obeso. Ma come già per altre precedenti iniziative, Assfron vuole legare la trattazione di questa
problematica ad alcune iniziative concrete e che abbiano anche intenti didattici. In quest’ottica le scuole trentine saranno invitate a realizzare, là dove possibile, degli orti scolastici, così come lo scorso anno un gruppo di scuole ugandesi della regione del Karamoja ha costruito dei pozzi per l’approvvigionamento dell’acqua grazie all’aiuto dei bambini e dei ragazzi trentini e di alcuni donatori privati. Inoltre Assfron accompagnerà l’iniziativa nelle scuole con un concorso sul tema della corretta alimentazione e della lotta alla fame nel mondo. I migliori elaborati saranno premiati a fine anno scolastico: il bando è scaricabile sul sito www.scuolasenzafrontiere.it. Sostengono il lavoro dei volontari la Provincia autonoma di Trento tramite il Dipartimento della Conoscenza, il Consorzio dei Comuni trentini e la Cassa Rurale di Trento. L’esperto di Assfron Carlo Bridi è disponibile a incontrare le scolaresche in forma gratuita. Basta contattare l’associazione via mail (info@
scuolasenzafrontiere,it) o per telefono (335.6625182)
...IL TRENTINO CHE NON LASCIA SOLO NESSUNO...
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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO
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io Stampa della Provincia a APP realizzata dall’Uffic “Incentivi PAT ” è la nuov se gli incentivi a re ai cittadini e alle impre sce no co far r pe nto Tre di autonoma e dai vari settori pubblici miche messi a disposizion no eco à ivit att lle de no te le sosteg vare in un unico luogo tut i PAT ” ti darà modo di tro tiv cen “In . cia vin Pro lla inc de simi gli entivi navigazione. Sono moltis di a tem sis ce pli sem un informazioni con rivolti e alla tipologia divisi in base a chi sono raccolti, catalogati e sud te! Buona Navigazione vare quello più adatto a tro e ch ta res n No to… d’interven
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Provincia autonoma di Trento
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S O C I E TÀ
La forza di raccontarsi
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“Più unico che raro”
uca Alfano è un ragazzo del 1977, grande tifoso del Varese Calcio, squadra della sua città, e amico di molti dei giocatori che si sono susseguiti in questi anni tra le fila del club. Da ragazzino gli piaceva giocare a pallone, ed era anche molto bravo. Tirare calci a un Supertele nel vicolo sotto casa è divertente, ma passare al primo campetto di una squadra trasmette un’emozione diversa, e per il piccolo Luca vestire la divisa ufficiale dell’Azzate Calcio bastava a sognare già la Serie A, con il suo idolo Maradona. La sua avventura calcistica è stata purtroppo molto breve, costretto a
smettere a causa dei primi problemi di salute che si sono manifestati quando aveva 13 anni. I sintomi orientarono i medici verso la diagnosi di vasculite, una patologia che colpisce la circolazione sanguinea. Inizia così per Luca un lungo percorso di cura che non gli permetterà più di giocare. Abbandonare l’agonismo a quell’età è un brutto colpo per chi come lui voleva realizzare un sogno, però non si è fatto abbattere e ha proseguito dritto per la sua strada con positività e coraggio. Dopo aver macinato chilometri tra un ospedale e l’altro, a dieci anni dalla prima
diagnosi i medici si corressero e tornarono sui loro passi, comunicando a Luca che secondo loro era affetto da un’altra rarissima sindrome. Ci vollero altri dieci anni e altri medici per escludere nuovamente le patologie diagnosticate in precedenza, senza però riuscire ancora a trovare un nome per la sua malattia, aggiungendo, anzi, che probabilmente nemmeno i libri di storia potevano aiutarli a scoprire di cosa si trattasse. Oggi, dopo 24 anni di battaglie, la famiglia Alfano non sa ancora contro cosa stia combattendo Luca. Lui però un nome quasi scientifico glielo ha trovato, e sembra calzarle a pennello, infatti “la bastarda” è una malattia talmente rara e indecifrabile che lui potrebbe essere l’unico al mondo ad esserne affetto. “Combattere sempre mollare mai!” uno dei suoi motti preferiti lo descrive bene, ciò che avrebbe atterrito in tanti non ha indebolito il suo spirito. Ad un certo punto però nasce in lui il bisogno di raccontarsi, “ho tenuto dentro tutto per troppi anni, poi mi sono aperto scrivendo”. A marzo di quest’anno è uscito il libro “Più unico che raro”, con cui Luca ha deciso di mostrarsi apertamente ripercorrendo la sua storia, la passione per il calcio e le difficoltà che ha dovuto superare, con sincerità e con la forza di chi va sempre avanti, a testa alta, senza farsi intimorire dagli ostacoli che può incontrare. Il libro è uno sfogo di ricordi ed emozioni, che
Muro dello stadio di Varese
in pochi mesi ha già fatto registrare numerose vendite e critiche molto positive dai tanti lettori che hanno così potuto conoscerlo. Oggi Luca cerca solo di essere se stesso, va a seguire il Varese allo stadio Franco Ossola con l’aiuto del fratello e degli amici, e anche se la malattia lo debilita fisicamente, lui è sempre “CARRRICO”, altro suo grande motto, che è stato dipinto su un muro dello stadio stesso da alcuni tifosi in suo onore. La sua energia e vitalità sono contagiose e gli hanno attirato l’interesse e la simpatia di un numero sempre crescente di sostenitori che hanno conosciuto la sua storia grazie al libro, e che lo seguono e incoraggiano sui social network, dove l’instancabile Luca è molto attivo. Altri al suo posto si sarebbero disperati sapendo di essere gli unici al mondo ad affrontare una sfida come questa ma Luca è di un’altra pasta, nulla è impossibile e ogni ostacolo che gli si pone davanti diventa un traguardo da superare, sempre “carrrico” e con il sorriso in volto, perché come dice lui, “chi sorride è il padrone del mondo”. Giulio Thiella
I frutti del noce: contadini e impresari
A Basejump
I
Sfida “estrema”
n riferimento agli ultimi incidenti mortali accaduti a dei giovani base jumper stroncati in un volo mortale dal monte Brento, vorrei esporre alcune personali considerazioni. Troppe le vittime causate da questo “sport” estremo. Questi tragici episodi fanno scaturisce in me un sentimento di rabbia. Raffronto la mia vita e quella di tanti altri disabili, vittime di incidenti stradali, a quella delle persone che cercano forti emozioni e scariche di adrenalina nella pratica di “sport” estremi. Stare in carrozzina da più di trent’anni ha fatto maturare in me un profondo senso di attaccamento e rispetto nei confronti della nostra esistenza, facendomi imparare ad apprezzare le piccole cose di ogni giorno, nonostante le notevoli difficoltà. Da anni incontro giovani studenti cercando di trasmettere loro il rispetto e la sacralità della vita. Superare il limite, sia correndo in macchina, sia lanciandosi da una montagna alta 1000 metri, fa emergere il vuoto spirituale che spesso banalizza la vita di oggi e spinge a deliri di onnipotenza da un lato e infelicità dall’altro. Non è necessario, a mio parere, vivere sempre “al massimo”, tra falso eroismo e incoscienza creando uno stile di vita che non è da imitare. Un auspicio: che tutti coloro che vogliono mettersi veramente alla prova, si avvicinino a persone che nonostante impedimenti fisici, riescono a trasmettere la gioia di vivere ogni giorno, senza per questo ritenersi una categoria di serie “B”. Questa è la sfida “estrema”. Giuseppe Melchionna Presidente Associazione Prodigio
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Vendita e coltivazione nel simulare un’impresa
partire da luglio di quest’anno è possibile acquistare ortaggi di coltivazione biologica a Dimaro - Val di Sole (TN), in via della Chiesa. Il progetto di coltivare un orto è partito già l’anno scorso ma solo da quest’anno la cooperativa sociale GSH di Dimaro ha deciso di pensare più in grande e puntare alla vendita dei prodotti. Il terreno, fornito in comodato gratuito dalla parrocchia di Dimaro, è stato meglio organizzato e reso accessibile a tutti i ragazzi che prendono parte alle attività del centro. Un relativamente piccolo appezzamento (circa 100 mq) che, tramite dei “cassoni” rialzati, permette anche a coloro che hanno difficoltà a stare in piedi e a camminare di lavorare comodamente da seduti. Purtroppo dei cinque cassoni preventivati solo due, per ragioni economiche, sono stati impiantati (anche se in futuro si spera di aumentarne il numero). L’aspetto più interessante dell’iniziativa è che essa costituisce un progetto di “simulimpresa”. L’obbiettivo è quello di rendere i ragazzi imprenditori di se stessi, con gli obblighi e le responsabilità che ne derivano. Nell’assemblea di fondazione è nata l’associazione cooperativa “I frutti del Noce” con lo scopo di dare a ognuno un ben definito ruolo e per organizzare meglio il lavoro. Dopo l’atto costitutivo dell’associazione i ragazzi si sono spartiti le cariche tramite votazione (presidente, direttore, responsabile amministrativo, addetto contabile), il tutto ovviamente tenendo conto delle capacità di ognuno. Anche chi ha più difficoltà riveste comunque un ruolo come “socio contadino” che opera all’interno dell’orto. Lo scopo è che indipendentemente dalle capacità ogni membro sia partecipe, sia presente sull’orto e sappia cosa si sta portando avanti. Settimanalmente ci si riunisce in un’assemblea generale e si gestisce l’organizzazione dell’orto supportati dagli educatori, i quali rivestono il ruolo di mediatori e non hanno un gran potere decisionale. La ricchezza di questo modo di gestire il lavoro consiste nel fatto che i ruoli sono ribaltati, i ragazzi possono sperimentarsi
in un’attività nuova decidendo autonomamente cosa è meglio fare senza che siano gli educatori a impartire comandi. Intorno all’orto si è poi sviluppato un marketing da quando si è deciso di venderne i prodotti. Si è optato per rivolgere il prodotto agli abitanti e la vendita è effettuata direttamente sul posto. Grazie ad un’operazione di volantinaggio “casa per casa” si è superata l’iniziale difficoltà di farsi conoscere. In breve si sono presentati i primi curiosi e, grazie anche a un buon passaparola, sono arrivati i clienti. Il progetto è partito a maggio e non sarebbe stato possibile realizzarlo senza la piena disponibilità dell’amministrazione comunale che ha messo a disposizione gli operai del comune per arare il terreno. Si è poi organizzata una giornata sociale con i ragazzi dell’Istituto agrario di San Michele all’Adige, i quali hanno insegnato ai ragazzi come disporre gli spazi all’interno dell’orto e hanno aiutato a seminare e a collocare gli ortaggi in modo adeguato. Alla riapertura delle scuole il loro aiuto si renderà nuovamente necessario per debellare un insetto (senza ricorrere all’utilizzo di pesticidi) che quest’estate ha attaccato le radici dei vegetali compromettendone la salute. C’è poi stata la collaborazione dell’Appm (Associazione provinciale per i minori) che ha costruito uno spaventapasseri e c’è in cantiere la proposta di organizzare una giornata coi bambini delle scuole elementari per colorare i cassoni e renderli consapevoli dell’attività. Non c’è ancora nulla di ben definito per quanto riguarda il futuro dell’orto, ancora non è stata fatta una valutazione di entrate e uscite dell’anno. Il terreno è limitato e non si potrà allargare ma forse si potranno aggiungere altri cassoni. Vi è poi l’idea di coinvolgere gli abitanti di Dimaro in una gara per l’orto più bello, in modo da farsi conoscere dalla comunità. Infine possiamo affermare che il raccolto è stato buono, nonostante l’estate piovosa, composto da: fagiolini, cavolo rapa, pomodori, cipolle, zucchine, insalata gentile, radicchio, biete, basilico, prezzemolo ed erbe aromatiche. Daniele Biasi
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AT T I V I TÀ
L’attraversata nord-sud e ritorno del Lago di Garda con Corrado Bentini e la sua barca accessibile di tre metri: è un sogno che diventa realtà
“Sail around”
Sono Corrado Bentini, classe ‘54 nato a Ravenna, appassionato fin da ragazzo di sport acquatici, soprattutto di vela, ma non la vela puramente agonistica, no! Mi piace la simbiosi che si crea fra l’uomo e la sua barca, l’uno aiuta e viene aiutato dall’altra a contrastare o a servirsi del vento e delle onde. A causa di un incidente d’auto ho gravi difficoltà a camminare, sommate a problemi cardiaci ed altri acciacchi, secondo alcuni dovrei starmene a vegetare tranquillo in casa, evitando sforzi e stress, ma per me questo non sarebbe più vivere ma anzi, un lento spegnersi triste ed inutile. L’idea è nata nel novembre 2013 alla fine dell’ultima lezione del corso di specializzazione per accompagnatori-istruttore di vela per persone disabili. Non come prova di fine corso ma come mezzo per dare visibilità alla Cooperativa Arché. Alcuni noti marchi di energy drink sponsorizzano i cacciatori di adrenalina, Archè invece può far realizzare un’impresa se non pazza, almeno fuori dall’ordinario: il giro in barca non stop? No, forse troppo.. Ma Sail Around” si! Pensieri di andata e ritorno: “Suoni e ritmi diversi, la musica del porto, le sartie percuotono gli alberi delle barche, il basso gracchiare degli ormeggi ed il sottile fischiare del vento...” “la Punta di San Vigilio, poi finalmente un soffio di Peler che mi porta verso sud. Altra pausa di calma piatta, poi una buona bolina che mi condurrà in un bordo lungo fino a Lazise.” La vita è e deve essere una continua lotta, incruenta forse, ma sempre fonte di fatiche, gioie e delusioni in un susseguirsi di momenti contrastanti fra loro, come il freddo della tempra per il ferro rovente. Grazie agli amici di Archè che hanno reso possibile il mio tentativo e spero la riuscita di questa mia traversata qualunque sia il suo esito sarà un’esperienza resa meravigliosa dell’aiuto di fratelli fino a poco tempo fa sconosciuti, fautori di una beneficenza morale preziosa ed apprezzata. Corrado Bentini
C
orrado appoggia le sue stampelle sul pontile e sale sulla barca accessibile della Cooperativa Archè, l’Acess 303. Sono le 8.30 a Porto San Nicolò, quando si spiegano le vele gialle e il peler da nord sospinge a 15 nodi verso sud. A seguirlo in questa impresa ci sono i marinai e volontari della Cooperariva Archè. Un viaggio con alto valore sociale per dire a tutti che questa impresa non è estrema, ma accessibile anche a chi, come Corrado, a dispetto della sua disabilità, vuole metteresi in gioco. 80 miglia nautiche sul Garda, in solitaria, non è certo un’impresa proprio per tutti! Infatti Corrado è solo al termine di un’esperienza maturata in 2 anni con la Cooperativa Archè che prima di permettergli di affrontare le gelide acque del lago di Garda su una barca accessibile, la ha seguito attraverso un percorso formativo di 800 ore per imparare ad usare imbarcazioni classe Acess e per insegnare a sua volta ad altre persone disabili la pratica della vela. Solo alla fine di questa lunga avventura, nasce l’idea: “Sail Around”. Una passione per la vela che Corrado matura fin da piccolo e che gli permette, oggi, di muoversi in assoluta libertà. Le sfide non lo hanno mai fermato da quando nel 2006 un grave incidente gli precluse l’uso completo delle gambe. Orgoglioso delle sue capacità e della sua intraprendenza ha messo in atto anche le esperienze maturate durante i due campionati italiani di vela per disabili a cui ha partecipato. Nel suo periplo del lago è stato seguito e monitorato dall’imbarcazione “Archè”, un cabinato accessibile di 12 metri che ha svolto la funzione di assistenza durante tutta l’impresa. L’equipaggio della Cooperativa Archè, formato da quattro giovani volontari e due skipper, ha condotto la barca, assistito Corrado nelle soste e ha ripreso il tutto con le
Diario di bordo:
Corrado Bentini
cineprese. Il progetto infatti non finisce rientrati in porto, perché è importante ora più che mai, diffondere i valori che hanno caratterizzato questa navigazione, come il coraggio, l’amicizia, la sfida con se stessi e il piacere della navigazione in solitaria. La sfida, sarà portare tutte queste suggestioni su pellicola, producendo un cortometraggio da proporre e presentare ai diversi film festival locali e nazionali. Ecco allora che si rende indispensabile l’aiuto di un
altro amico di crociera, Alessio Osele, regista indipendente che si occuperà di supportare i giovani videomaker nella realizzazione e montaggio del video conclusivo. Corrado è partito lunedì 15 settembre da Riva del Garda, ha navigato in solitaria per 80 miglia nautiche fino a Lazise ed è approdato nuovamente a porto di San Nicolò, con un bel vento da sud mercoledì 17 settembre. Lorenzo Pupi
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RUBRICHE
L’Angolo del filosofo
“Duro è fare i conti con la realtà”
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dio le valigie, odio doverle fare ed odio l’idea di farle. Odio soprattutto le valigie che non si chiudono, quelle dove ti ci devi seder sopra, quelle che hanno bozze e spuntoni che emergono da tutte le parti e che per quanto premi non riesci a livellare, e la cerniera che s’inceppa ad ogni piè sospinto. Ma, in modo particolare, odio dover prendere un treno munita di valigia. Tutto questo complicato ambaradàn, di cui sopra, per fare una valigia e poi può accadere che... il treno sia soppresso, ergo fulmini, saette e ovviamente la mia valigia da scagliare contro la personificazione delle ferrovie; che sia in partenza al binario 5, ergo fulmini, saette e l’immancabile valigia da scagliare contro le scale e i sottopassaggi affollatissimi; che il treno sia stracolmo di persone, ergo vorresti buttare, con l’aiuto di qualcuno, la valigia dal finestrino oppure lasciare che tutti pensino che la soluzione migliore sia che ti infili la valigia in bocca, tutta intera; il treno sia stracolmo di persone e valigie, valigie, valigie, ergo, i tuoi incubi futuri si popoleranno della loro forma, della loro dimensione, del loro colore, e rimarrai traumatizzata a vita; il treno parta ad un soffio dal tuo naso, e dalla tua valigia, in barba a te che hai fatto una faticaccia abnorme per trascinarla fin là, ergo, valigia + treno
= vi odio; che il treno ti stia ad aspettare ed il conducente paziente attenda che tu salga, ergo, tutti i passeggeri ti fisseranno con odio perché con te porti un esemplare di valigia da infilare da qualche parte e ciò porterà anche te a fissare con odio la tua stessa valigia); g) la tua valigia si rompa prima che tu riesca a salire sul treno (ergo, proverai un irrefrenabile impulso a gettarla sotto il treno e l’istinto potrebbe all’istante
tradursi in azione). A parer mio, dunque, è sopportabile avere una valigia con sé e partire con la suddetta in treno solo se: a) fosse piena di stecche di cioccolata; b) fosse piccola, leggera, flessibile, veloce, poco ingombrante, morbida e, in sostanza, pieghevole come un fazzoletto; c) il treno ci fosse, fosse vuoto, fosse sempre al binario 1, e ti aspettasse (in caso, poi, che si rompesse la valigia, che un bel capotreno moro e con i muscoli d’acciaio scendesse in un battibaleno e, paziente, ti aiutasse con fervore); d) tu avessi un facchino alle tue dipendenze (anche un genitore/fidanzato/ fratello/cugino/amico può andar bene) che ti portasse la valigia, te la sistemasse sul treno e ti facesse comodamente sedere su un posto accanto al finestrino mentre lui te la incastra perfettamente sul portabagagli (ciò naturalmente implica che, al termine della corsa, il suddetto facchino compaia di nuovo magicamente per eseguire le medesime operazioni nell’ordine inverso). Quanto detto, per concludere, nulla o poco ha a che fare con la filosofia, eppure anche un “Angolo del Filosofo” come il nostro deve, talora, confrontarsi-scontrarsi con una realtà dei fatti - ahimè - costituita da treni e valigie. Duro, ma necessario, è farci i conti. Sara Caon
La Cooperativa FAI e i comitati e associazioni Oltrefersina, insieme
RaccontArti
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a Cooperativa Fai, collaborando con il Comitato delle Associazioni e Gruppi dell’Oltrefersina, la Circoscrizione Oltrefersina e il Polo Sociale Oltrefersina Mattarello e grazie ad un importante contributo della Fondazione Cassa Rurale di Trento, ha avviato nei mesi scorsi il progetto “Oltrefersina: una comunità aperta va incontro al bisogno”. Il progetto si pone come obiettivo la valorizzazione e la riattivazione dei rapporti tra persone adulte, uomini e donne, che abitano nel quartiere dell’Oltrefersina. Attraverso un modello di intervento partecipato calato nei quartieri, le esigenze dei singoli emergono e si condividono
PROGETTO OlTREFERSINA una comunità aperta va incontro al bisogno
RaccontArti
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FOTO AUTUNNO WALTER VENTURELLI
SCRITTURA PITTURA FOTOGRAFIA RACCONTO
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Viale alberato colline della Val di Non
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all’interno di piccoli gruppi. Nascono così micro attività proposte dagli stessi interessati, in base alle loro passioni e interessi e allo stesso tempo si sostengono le reti di aiuto e le potenzialità che offre il territorio. Siamo partiti contattando le persone delle Associazioni, e abbiamo individuato un primo interesse nell’ambito della poesia e del racconto. È nato così il percorso
‘RaccontArti’ che è stato promosso sul territorio raccogliendo l’interesse di un gruppo di persone. Si tratta di un’esperienza di creazione e rappresentazione: le persone vengono accompagnate nell’esprimere sé stesse attraverso strumenti e modalità personali (pittura, racconto, poesia, etc.) mettendosi in gioco e condividendo vissuti e passioni. Si articola in incontri settimanali guidati dai professionisti Annalisa Morsella e Paolo Vicentini (attori, registi, coreografi) durante il periodo settembre -ottobre. Il percorso ha raccolto fin da subito una significativa partecipazione da parte del gruppo e i primi risultati sono stati presentati durante la Festa “Oltrefersina insieme” il giorno 20 settembre, attraverso la proiezione di un breve video e un momento di confronto con alcuni partecipanti. RaccontArti rappresenta un esempio di attività per avvicinare le persone, per conoscersi, condividere e creare relazioni, facendo anche in modo che chi vi partecipa sia erede e promotore a sua volta di nuove iniziative e idee da sviluppare. FAI crede da sempre nel valore dell’incontro e coglie questa opportunità per confermare il suo impegno, oltre che tra le mura domestiche delle famiglie anche tra le persone, sul territorio. Daniela Amosso.
Scrivere per sentirsi liberi
L’informazione dal carcere
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er chi deve scontare una pena in carcere, il contatto con il mondo esterno diventa difficile, e ciò contribuisce a separare ancora di più due mondi già divisi da un’incolmabile distanza. Scrivere diventa per molti non solo un’occasione per tenersi in contatto con familiari e affetti, ma anche un momento per mettere ordine alle idee, sfogarsi o semplicemente stare un po’ da soli con se stessi. In molte strutture penitenziarie sono state attivate vere e proprie redazioni giornalistiche, organizzate dalle associazioni di volontariato e gestite dai detenuti stessi, rappresentando un importante strumento d’inclusione sociale e di apertura verso l’esterno. Mettere nero su bianco i proprio pensieri diventa quindi un modo per reintegrarsi in quella società che da dietro le mura sembra ancora più lontana. Allo stesso tempo questo permette ai detenuti di impegnarsi nella creazione di un prodotto intellettuale che nasce dalle loro esperienze personali, favorendo il senso di integrazione e agendo concretamente per combattere l’alto tasso di recidiva, causato soprattutto dalle pene privative della libertà. Una realtà molto affermata è la redazione di “Ristretti Orizzonti” della casa di reclusione Due Palazzi di Padova, che attraverso la collaborazione tra detenuti e volontari rappresenta un polo per l’informazione dal carcere. La rivista e il sito offrono un grande archivio, attuale e aggiornato, che affronta tutti gli aspetti di questa realtà. Dai problemi di convivenza con i compagni al rapporto con gli agenti, dai legami familiari alle difficoltà che s’incontrano nel lungo percorso di reinserimento, tutto è trattato con cura e passione da chi ha vissuto in prima persona queste difficili esperienze. L’informazione dal carcere rappresenta non solo un forte mezzo di sensibilizzazione riguardo le condizioni di chi è ristretto, ma anche un utile deterrente per tutti coloro i quali intendono perseguire condotte criminali o sono a rischio devianza in quanto, trasmettendo loro uno scorcio della sofferenza quotidiana che vive un detenuto, si compie un’importante azione preventiva. Sul territorio trentino è attivo dal 1999 il notiziario “Oltre il Muro” redatto da APAS, Associazione Provinciale di Aiuto Sociale, che approfondisce le tematiche relative ai percorsi di inclusione e alle misure alternative e promuove le attività di assistenza svolte. Da gennaio 2013 è stato attivato un progetto di redazione presso la casa circondariale di Spini di Gardolo, dove un gruppo formato da una decina di detenuti pubblica “Dentro” Parole dal carcere, grazie al quale hanno l’occasione per riflettere e confrontarsi sui temi più sensibili della detenzione, producendo degli scritti che permettono a chi sta fuori di conoscere il carcere attraverso l’esperienza diretta di chi scrive. Le parole di chi ha deciso di scrivere attraverso le sbarre trasmettono spesso un sentimento di colpa e rammarico per i comportamenti perpetrati e il male arrecato, ma in molti si legge anche la speranza di un cambiamento in positivo una volta espiata la pena. L’occasione di esprimersi permette di ricucire quella frattura che allontana sempre più la realtà carceraria dal mondo libero e che rischia di pregiudicare il percorso di reinserimento del reo nella società. Link utili: Ristretti Orizzonti www.ristretti.it o www.ristretti.org Giulio Thiella
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AMBIENTE
L’impronta umana che rischia di schiacciare la Terra
Sfruttamento del territorio e sostenibilità ambientale
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al 20 agosto il pianeta è in debito e nessuna manovra finanziaria potrà risanarlo. Ciò che è stato consumato fino a tale data sono le risorse rinnovabili, calcolate su base annua e a livello globale dal Global Footprint Network, organizzazione che compie studi sull’impronta ecologica prodotta dalle nazioni e dalle singole persone. Un sistema chiuso come la Terra sopravvive grazie ad una serie di fattori che in milioni di anni di adattamenti hanno creato un equilibrio perfetto per la nascita e l’evoluzione di forme di vita come la nostra, ma la velocità la quale produciamo, consumiamo e scartiamo oggi non tiene conto della capacità delle risorse naturali di rigenerarsi e quindi di sostentarci in futuro. Stiamo vivendo sulle spalle di chi verrà dopo, consumando come non ci fosse un domani risorse che non ci spettano. La causa di questo risiede nel nostro stile di vita influenzato dal consumo e dallo spreco. I nostri oggetti hanno vita sempre più breve, basti pensare all’abbigliamento o alle apparecchiature elettroniche in continua evoluzione e aggiornamento. Molti di questi beni non verranno mai usati al massimo del loro potenziale e finiranno quindi in un cassetto o gettati, per fare spazio ad altri più nuovi. Questo ciclo è troppo veloce per poter essere perpetrato a lungo e riciclare in questo caso non basta, in quanto ogni processo di trasformazione dei rifiuti richiede enormi quantità di energia e ciò che viene recuperato è solo una piccola parte di quello che è stato immesso nel processo produttivo. Il discorso riguardante il cibo è più complicato; secondo uno studio sulle perdite alimentari condotto nel 2011 dalla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, un terzo del cibo prodotto va perso lungo il processo produttivo e la commercializzazione. Dai dati emerge che una gran parte dello spreco avviene durante le fasi di coltivazione, raccolta, stoccaggio, lavorazione e selezione dei prodotti, in quanto le aziende impongono standard restrittivi riguardanti le qualità fisiche di questi, come la dimensione, la forma e il colore delle verdure, prima che vengano messi sul mercato. A dare il colpo di grazia a questo processo è il consumatore finale, che contribuisce producendo scarti da prodotti scelti e lavorati appositamente per lui. Quindi, nel momento in cui decidiamo di gettare della carne avanzata, non stiamo solo sprecando quel cibo, ma anche l’acqua e il mangime usati per allevare quell’animale, senza contare i costi in termini di tempo ed energie impiegati
per il trasporto di un cibo che non verrà nemmeno consumato, determinando anche un incremento del prezzo finale. Non è tutto, perché serviranno altro tempo ed energie per raccogliere questi rifiuti, lavorarli, trasportarli e stoccarli. A fronte di quasi un miliardo di persone denutrite, si è calcolato che in Europa e in Nord America lo spreco alimentare raggiunga i 100 kg di cibo pro capite all’anno, più del doppio rispetto a cinquant’anni fa, e sono proprio i costi occulti creati dai nostri gesti quotidiani che stanno causando l’erosione delle risorse e una sempre più marcata disparità nell’allocazione di queste ultime. Responsabilizzarsi riguardo al cibo quindi non vuol dire solo consumare meno, ma soprattutto consumare meglio e con più attenzione. Il sito del Global Footprint Network dà la possibilità di calcolare il proprio impatto sull’ambiente rispondendo ad un questionario dettagliato sul nostro stile di vita. Non avendo un’automobile, facendo la raccolta differenziata e non consumando eccessiva elettricità, mi illudevo di essere “eco-compatibile”, o quanto meno di non essere poi molto impattante sulla salute
del pianeta. Il risultato (vedi grafico in alto) non mi ha lasciato dubbi, difatti se tutti al mondo consumassero quanto me, avremmo bisogno non di uno solo, ma di ben 2 pianeti. Questo significa che non tutti potrebbero permettersi una casa con acqua corrente, gas naturale ed energia elettrica, essere serviti da tutti i servizi pubblici di cui beneficiamo, o ancora acquistare beni di consumo con i ritmi attuali. “Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro”. Queste parole di un grande Capo tribù nativo americano dovrebbero essere un importante monito per il presente, perché ci ricordano di non perdere di vista ciò che è più importante per la nostra sopravvivenza. Rivalutare le risorse significa consumare con rinnovata consapevolezza, abbandonando la superficialità, gli eccessi e gli insostenibili ritmi di consumo che hanno caratterizzato l’atteggiamento dei paesi industrializzati nell’ultimo secolo. Fonte: www.footprintnetwork.org Giulio Thiella
Presentazione del libro
Non smettere di Sognare
L’
11 settembre in occasione della conferenza Stampa di presentazione dell’ultima tappa della gara di Handbike del circuito europeo EHC, è stato presentato anche l’ultimo libro di Dorotea Maria Guida. “Lo sport è uno di quei motivi per il quale si ritorna a vivere e a gioire della vita, dopo che è stata stravolta da traumi severi. Un’arma efficace per ritornare a vivere e sognare”. Questa è stata la frase più ricorrente che le persone intervistate hanno espresso. Grazie all’attività sportiva che passa dal ciclismo all’atletica, dal tennis al ballo in carrozzina, dalla vela al mondo dei motori si riesce a sognare e ritornare ad avere una vita piena e attiva. Il libro è una raccolta di Ventotto interviste ad atleti Paralimpici, Nazionali e campioni in molte discipline, tra cui handbike, wheelchair tennis, sci alpino, moto, vela, automobilismo, paracadutismo, con la postfazione del noto giornalista sportivo Claudio Arrigoni. Le tante storie narrate sono coinvolgenti ed emozionanti e hanno per protagonisti atleti e campioni di diverse discipline. Prima di tutto le Frecce Gialle della P.a.s.s.o. Cuneo, i ciclisti dell’Handbike, con il Presidente della Polisportiva Sergio Giuseppe Anfossi che è riuscito a imbrigliare nel grandioso sogno del ciclismo Paralimpico almeno una ventina di giovani atleti tra i quali: Elena Serrao, Marcello Trentin, Francesco Fieramosca, Valentina Rivoira, che ritroviamo tra le pagine di questa raccolta. Poi il Wheelchair tennis, organizzato dall’Associazione senza ostacoli cuneese inizialmente sotto forma di Campionati Italiani e poi di Torneo Internazionale Indoor “Alpi del Mare”, al quale partecipano atlete e atleti provenienti da ogni parte del mondo, con le storie degli azzurri Fabian Mazzei, Marianna Lauro, Luca Spano e Antonio Moretto. Seguono le storie di coloro che “cavalcano i motori”: Luca Donateo e Lorenzo Bogi per l’automobilismo, Matteo Baraldi, Emiliano Malagoli e Claudio Filipazzi per il motociclismo, Gianfranco Pigozzo per i Go-kart, quelle del velista azzurro Fabrizio Olmi, di Danilo Destro e Aldo Baudino che ritroviamo anche nella disciplina dello sci alpino. E poi ci sono tutte le altre esperienze, quelle più appassionanti e grintose che appartengono all’universo femminile, con Silvia Distefano, Silvia Griseri, Paola Maria Bevilacqua Moneta, quelle delle partite di calcio, dei lanci con il paracadute, dell’impegno nelle cariche politiche e sociali di Mirko Tomassoni, Francesca Giordani, Luca Barisonzi, Salvo Campanella, Stefano Rametta. Storie straordinarie, emotivamente coinvolgenti, donne e uomini che ogni giorno lottano per affermare il loro diritto all’inclusione, storie di sconfitte e di successi, storie vere e drammatiche, tutte ugualmente unite nella passione per lo sport, unica strada possibile per un’esistenza senza ostacoli. Il racconto in forma d’intervista concede al lettore una confidenzialità e una condivisione pressoché totale con le vicende personali degli atleti. Ogni narrazione, diversa per stile ed espressività, è un viaggio in un vissuto unico e irripetibile che porta con sé il desiderio di rinascere dopo un brutto incidente o una malattia con la determinazione di portare avanti un progetto di vita e realizzare un sogno. «Un documento importante, pregno di dolore ma anche di rinascita, di sublimazione della propria residua capacità fisica e della propria voglia di esistenza. Ciò che rimane negli occhi e nel cuore di chi legge questo intenso libro è la capacità umana di sopravvivere e di reinventarsi. La forza, la libertà, di un’alba e di un tramonto, respirati e vissuti con la forza dell’essere umano nel cuore.» (Dalla Prefazione di Paola M. Bevilacqua Moneta)
Profilo Bio-Bibliografico dell’autrice
Dorotea Maria Guida nasce a Palermo nel 1972 e fino al 1999 vive a Bagheria. Nel 2008 vince il I Premio Narrativa de Variabile con il racconto Lettere dell’Alfa Beto, successivamente pubblica on-line Diversa/Mente... Abile, una raccolta di racconti sui tema di amicizia, amore e passione, oltre la disabilità. Nel 2010 collabora come redattrice per la rivista “pro. di.gio.” Onlus di Trento e, nel 2011, pubblica “Ops...ho scordato la disabilità a casa” (Primalpe). Da quell’anno è responsabile dell’Ufficio Stampa dall’Associazione P.a.s.s.o. Cuneo e redattrice di articoli per il sito web di Disabili-Abili (www.disabiliabili.net). Nel 2013 un suo racconto, Il Ciaramiddaro, viene inserito nell’antologia “Il’t Almanach 2014” (Primalpe) e L’Handbike a Cuneo fa parte della raccolta Rendiconti 2013 (Nerosubianco) Ufficio Stampa P.a.s.s.o Cuneo pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | redazione@prodigio.it | ottobre 2014 - n. 5
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