CHARTA dell'Agricoltura in Brianza

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della Agricoltura in Brianza rapporto dagli Stati Generali


Agricoltura in Brianza, l’oro in bocca Nell’autunno 2011 la Provincia di Monza e della Brianza ha avviato gli Stati Generali della Agricoltura, organizzando tre forum territoriali di dibattito e un forum conclusivo a Monza. Questo quaderno porta a conoscenza di tutti i cittadini i temi illustrati, i casi di studio analizzati, le proposte discusse, le conclusioni a cui si è pervenuti. Un confronto franco che ha visto convenire assieme gli amministratori provinciali e comunali con gli agricoltori e le loro organizzazioni di categoria, gli imprenditori della filiera agroalimentare e di servizio, i gestori dei parchi, le associazioni culturali e ambientaliste. La CHARTA DI MONZA, qui pubblicata, è un documento di intenti condiviso, frutto di un lavoro di elaborazione culturale e colturale, che potrà servire come traccia per un lavoro comune verso uno sviluppo sostenibile e una crescita dell’agricoltura nella Brianza, nonostante il denso consumo di suolo e la ridotta estensione della terra coltivabile. L’intento comune è di restituire alle generazioni a venire quanto ci hanno consegnato nel presente in salubrità, in fertilità e in produttività.

Provincia di Monza e della Brianza Settore Ambiente e Agricoltura

Contributi di: Dario Allevi Daniele Petrucci Fabio Lopez Nunes Alessandro Nebuloni Paolo Lassini Niccolò Mapelli Pietro Perrino Christina Novak Paolo Viganò Enzo Favoino Alberto Confalonieri Marco Boriani Davide Bressan Amedeo Cedro Marco Besozzi Valeriano Avezzù Mariateresa Buccafusca Paola Calaminici Laura Casadei Massimo Merati Clelia Moroni Laura Vercelloni

Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale: l’Europa investe nelle zone rurali Misura 111 - «Formazione, informazione e diffusione della conoscenza»

CONFAGRICOLTURA

COLDIRETTI

CONFAGRICOLTURA MILANO LODI MONZA E BRIANZA

Confederazione Prodotti Agricoli

I S T I T U T O L U I G I G AT T I


CHARTA

della Agricoltura in Brianza rapporto dagli Stati Generali


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La Provincia ha un ruolo centrale nel governo dell'agricoltura, in virtù dei compiti che la Regione le ha assegnato con la legge regionale n. 31/2008: Ÿ Ÿ

Ÿ

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partecipa all'attività di programmazione regionale attraverso forme di consultazione; indica gli obiettivi della programmazione provinciale, con riferimento alle condizioni socioeconomiche, strutturali e territoriali delle diverse aree sub-provinciali; individua i comparti produttivi, indicando le strategie di sviluppo qualitativo e quantitativo delle produzioni e dei servizi, nonché le strategie e gli interventi di supporto e di riconversione per quelli in condizioni di difficoltà strutturale e territoriale; definisce le strategie e indica gli interventi e gli strumenti per l'attuazione dei servizi di sviluppo agricolo di competenza provinciale; formula proposte per la programmazione agricola di competenza regionale; stabilisce le linee di indirizzo per l'omogeneo esercizio delle funzioni amministrative conferite.

Per avviare tale processo l'Amministrazione Provinciale ha indetto gli Stati Generali dell'Agricoltura nel 2011. I lavori si sono tenuti in tre aree omogenee della Provincia (Seveso-Groane, Lambro, Vimercatese) e si sono conclusi con un seminario a Monza. Quattro tappe di un forum territoriale dove sono stati chiamati a raccolta tutti gli agricoltori, gli operatori del settore, le forze politiche e la cittadinanza. Le idee e le esperienze di ciascuno hanno alimentato un patrimonio di conoscenze e di saper

fare, in vista di una Brianza sempre più verde, sempre più attenta alla conser-vazione dei propri prodotti, dei propri sapori e del proprio sapere. Obiettivo Expo «Nutrire il Pianeta, energia per la vita» è stato un riferimento per capire come muoversi nei prossimi anni, in un mondo che corre, si evolve, si globalizza. Occorre vincere le sfide dei grandi orizzonti agricoli con la qualità e la creatività del locale. Questo albo raccoglie e riepiloga l'esperienza fatta e offre al cittadino uno spaccato di opportunità e di criticità del mondo rurale in una Provincia che, volenti o nolenti, rurale non è più nella maggior parte del suo territorio. Il percorso è stato accompagnato dai massimi esperti del settore che operano nella nostra regione: ritroviamo in questa pubbli-cazione gli spunti che ci hanno offerto.

Un libro bianco concordato e condiviso con tutti gli operatori del settore affinchè rimanga in futuro una traccia chiara in un settore vitale del nostro paese, questo per la nostra sopravvivenza e per il futuro dei nostri figli. Un ringraziamento particolare va a tutti i dipendenti del Settore Agricoltura della Provincia, che si sono dedicati con abnegazione al progetto e che ogni giorno si impegnano con passione per far crescere il mondo agricolo della Brianza. Il Presidente Dario Allevi

Il Consigliere con delega per l’Agricoltura Daniele Petrucci

A conclusione dei lavori la Provincia ha siglato con i Comuni e gli operatori agrari la “Charta di Monza” che rappresenta un impegno per tutti sulla tutela del settore agricolo e sulla valorizzazione di chi opera e produce nel verde e sul verde. In questo volume si è voluto anche integrare il report con due capitoli operativi per agevolare la comprensione dei processi che portano al riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale, nonché le linee guida per chi deve realizzare le infrastrutture di equipaggia-mento del territorio agricolo, affinché siano coerenti con il fabbisogno imprenditoriale e nel contempo limitino il consumo di suolo.

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La Brianza nel 1888

levata dell’Istituto Geografico Militare

in grigio la Brianza urbana del Duemila


Il verde e il grigio oggi

MONZA

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La verde Brianza Fabio Lopez Nunes - Direttore settore Ambiente ed Agricoltura, Provincia di Monza e Brianza In effetti la Provincia di Monza ha il triste primato, assieme a quella di Napoli, nella occupazione del suolo per la città, con oltre il 56% del territorio consumato e solo il 44% dedicato alla agricoltura e ai boschi. Il partito del mattone da queste parti è convinto di aver “cantato vittoria” sul partito dell'aratro, considerando i campi come propria terra di conquista, laddove ormai vi sono zone in cui l'agricoltura è ridotta a qualche spazio di risulta fra le case. Osservando le foto aeree in internet su Google Map si constata con amarezza questo fenomeno nel trapezio compreso fra Monza, Limbiate, Barlassina e Giussano, fra il Seveso e il Lambro. La chiamano agricoltura periurbana. Le pere non c'entrano, anche se a Ceriano Laghetto c'è l'unico grande frutteto di 90 ettari di tutta l'area metropolitana lombarda, realizzato fra le due guerre e ora in fase di rinnovamento. Quel frutteto è circondato dai boschi delle Groane che sono un sito di importanza comunitaria per la conservazione della natura; quando va in fioritura primaverile attira le api e tanti altri insetti che sono nutrimento del falco pecchiaiolo; questa specie è rara e particolarmente protetta dalla Unione Europea. Nel nord Italia si riproduce quasi soltanto qui attorno al frutteto, grazie alla sua confinanza ai boschi di querce e di pini. Il frutteto di Ceriano rappresenta la coniugazione fra l'attività produttiva primaria e la conservazione della natura in un territorio dove la città prevarica sulla campagna. Questo significa agricoltura periurbana: coltivare fra gli abitati e le fabbriche, sommando la necessità di produrre alimenti con la necessità di gestire servizi per la tutela ambientale e lo sviluppo socio-economico.

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Qui, purtroppo, gli ecosistemi agro naturali hanno ceduto il passo al deserto urbano, poiché di questo si tratta; e già oggi ne possiamo verificare le conseguenze in soprassuolo nella alternanza fra fenomeni siccitosi e fenomeni alluvionali, così come in sottosuolo a causa di una crescente penuria di falda freatica potabile. Ma, per fortuna, non è ovunque così. La Brianza, nonostante tutto, è ancora in grado di offrirci diversi spazi agricoli, con importanti attività imprenditoriali, che dimostrano vivacità e innovazione.

I dati comparati di consumo del suolo in Lombardia fonte: DUSAF - Consiglio Regionale


Se osserviamo la carta della Provincia, possiamo rappresentare il territorio agricolo in alcuni compendi omogenei per caratteristiche del suolo e delle attività che vi si svolgono. Ÿ Ad ovest le campagne del basso comasco, seppure asciutte, denotate da una discreta fertilità, con vaste coltivazioni di mais, cereali, patate e ortaggi; Paesaggio di Brianza - Antonio Greppi - 1874

Ÿ l'area delle Groane, argillosa e

L Valle

caratterizzata da estesi boschi planiziali di grande valore ecologico, a cui fa eco l'analogo territorio delle “Brughiere” fra Meda e Lentate;

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Ÿ la “marmellata” urbana che si citava sopra, con le grandi conurbazioni della Brianza centrale all'interno delle quali, tuttavia, sopravvivono diversi campi reliquali, alcuni anche di notevole estensione, come l'area del Meredo a Seregno, tutelata entro un parco locale; Ÿ l'area delle colline moreniche e della valle del Lambro, quella che richiama di più alla memoria gli orizzonti paesaggistici della iconografia briantea, così ben rappresentata dai disegni di Antonio Greppi o dalle pagine dell'abate Stoppani. Qui l'agricoltura è di collina, con diversi prati stabili, boschi, alternati a seminativi, vivai e allevamenti equini; Ÿ l'area del Vimercatese e dell'Adda dove l'agricoltura è ancora protagonista del territorio, nelle sue antiche campiture che si ripetono fra un abitato e l'altro, dove sopravvivono fra i seminativi e le orticolture i piccoli fabbricati di deposito attrezzi, sporadici gelsi testimoni della antica e tradizionale coltura serica e lunghe trame di siepi alberate.

Carta delle aree geografiche della Brianza

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Aziende zootecniche per capi di bestiame 12000

9734

10000

8000

7375

6000 5079 3849

4000

numero aziende zootecniche in Provincia di Monza Brianza

I numeri dei censimenti ISTAT della agricoltura del 2000 e del 2010 forniscono valori in chiaro/scuro. Se le aziende aumentano di superficie media, il numero assoluto e la superficie complessiva si riduce. In declino la zootecnia: inevitabile sia per la riduzione delle aree agricole, sia per i crescenti problemi connessi alla direttiva comunitaria “Nitrati” che condiziona enormemente i costi di gestione aziendale. Molte aziende zootecniche hanno ridotto il bestiame in allevamento, o convertito la produzione. Diverse aziende minori hanno chiuso definitivamente le stalle. Ma non è stato così per tutti.

2000 896

450

394

400

0 capi bovini

350 300

651

270

capi suini

Aziende zootecniche in Provincia di Monza Brianza anno 2010 Aziende zootecniche in Provincia di Monza Brianza anno 2000

250 200 150 100 50 0

Gli istogrammi e la tabella dei macrodati provenienti dal recente censimento generale della agricoltura dell’ISTAT confermano il trend di decrescita della agricoltura. La Provincia è vicina al dato regionale, ma ha un minore calo di aziende rispetto al dato nazionale; cede molto, troppo, al consumo di suolo.

anno 2010 anno 2000 Aziende in complesso, Superficie Agricola Utilizzata e Superficie Totale (Lombardia, province - Anni 2000 e 2010) - Istat, VI censimento agricoltura

Province e Regioni Monza Brianza LOMBARDIA ITALIA

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Aziende Aziende Variazioni Variazioni % SAU 2010 SAU 2000 2010 2000 % 797 1.076 -25,9 9.869,36 10.609,28 -7,0 54.107 71.350 -24,2 984.870,55 1.039.592,36 -5,3 1.630.420 2.405.453 -32,2 12.885.185,90 13.183.406,76 -2,3

Variazioni % 11.050,18 11.847,69 -6,7 1.228.274,57 1.350.853,87 -9,1 17.277.022,97 18.775.270,66 -8,0 SAT 2010

SAT 2000


Si osserva un grande sforzo per la riqualificazione delle aziende a fianco all'insediamento di molti giovani agricoltori; in controtendenza rispetto al trend nazionale in Brianza il rinnovo generazionale è già in corso, con nuovi intendimenti imprenditoriali. In questo fascicolo si riportano alcuni casi di studio, in taluni casi vere eccellenze della produzione, con sperimentazioni e innovazioni che possono essere portate d'esempio anche presso province che hanno l'agricoltura quale orizzonte principale del loro territorio. Accanto all'ormai noto Asparago di Mezzago, possiamo annoverare chicche della produzione, come la Monzarella del Parco Monza, vera sfida ai campani, l'agnello brianzolo, il pane prodotto con il frumento dei nostri campi, l'orticultura con vendita diretta in pieno campo (vai, raccogli e paghi all'uscita quanto hai prelevato); per non dire della azienda dove nonno fondatore, padre e figlio adolescente sono tutti al lavoro per allevare vitelli, macellarli e venderli direttamente al consumatore in azienda; e ci stiamo avviando a recuperare la tradizione vitivinicola che si è persa nei decenni scorsi, vincoli comunitari permettendo. I cittadini si organizzano nei gruppi d'acquisto solidale (GAS) o cercano al mercato di quartiere la bancarella con i prodotti dell'orto biologico. Il pubblico, nonostante la crisi, si orienta sempre più verso prodotti che conosce, che può vedere crescere con i propri occhi.

Festa a Casate perché arriva un asino schizzo di Antonio Greppi - 1863

Polli brianzoli nell’aia. Acquarello di Antonio Greppi - 1860

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Il Sindaco di Lentate sul Seveso ha aperto gli Stati Generali dell’agricoltura ricordando che si coltiva per alimentare la gente. Ciascuno di noi ha nel momento del desinare uno spazio fondamentale della propria vita, non solo per soddisfare le proprie necessità primarie, ma anche per ritrovarsi e dialogare con i propri familiari e i propri amici e colleghi: la parola compagni nella accezione semantica originaria deriva dallo stare insieme a tavola “cum panem” con il pane. Di tutto potremo fare a meno nella nostra frenetica società dei consumi, non del produrre alimenti in pieno campo. Così i diecimila ettari di agricoltura della Brianza rappresentano un modellino di vivacità e imprenditorialità che resiste alle sfide impossibili contro l'avanzata della città.

20,0

SAU media aziendale

18,0 16,0 14,0 12,0 10,0 8,0 6,0 4,0 2,0 Monza Brianza

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Lombardia

2011

2000

Italia


Non solo deve resistere al partito del cemento, ma deve anche confrontarsi con il grande fabbisogno di infrastrutture del nostro territorio, cominciando dall'autostrada Pedemontana che si divorerà un altro 6% di provincia. E non solo; per compensare i boschi che saranno distrutti occorrerà realizzarne dei nuovi, per 88 ettari di superficie; occorrerà trovare spazi non coltivati se non vorremo aggiungere nuovi problemi a quelli già rilevanti. Alle sfide della società moderna si affiancano i rischi crescenti delle pandemie che la globalizzazione e la semplificazione ecologica esaspera. Così basta un piccolo insetto di pochi millimetri, la diabrotica, forse viaggiatore clandestino su un jumbo da chissà dove, a disastrare centinaia di ettari di colture maidicole; poi ci si rende conto che basta fare un oculato avvicendamento colturale per evitare la proliferazione infestante, ma intanto i danni sono stati fatti e i coltivatori sono sovente riottosi ad adeguarsi ai nuovi regimi colturali per evitare l'infestazione.

Il Presidente della Provincia Dario Allevi ha chiosato il proprio intervento agli Stati Generali citando il grande poeta recentemente scomparso Andrea Zanzotto «Dopo i campi di sterminio, stiamo assistendo allo sterminio dei campi». E' una espressione molto forte ma riassume in sé la forza e il grido di dolore che proviene da chi ha intuito che l'agricoltura è la nostra ultima vera frontiera; non pensiamo a cosa vi è oltre, cerchiamo di preservare i valori che abbiamo a casa nostra; abbiamo preso in prestito dai nostri pronipoti un territorio che dobbiamo restituirgli integro, magari migliorato. Questo è il senso di un documento finale che tutti i principali protagonisti della Brianza agricola hanno voluto sottoscrivere come impegno quale “CHARTA DI MONZA”.

Pecora e agnelli brianzoli

Per altri agenti la lotta è più complessa poiché occorrono antagonisti che richiedono anni per insediarsi, oppure capacità di auto produrre una immunità. E pensare che la ricetta principale sta nella prevenzione, nella conservazione dei campi e nella tutela della biodiversità. Occorre riprodurre la diversificazione colturale, variare il paesaggio, recuperare i semi antichi per essere in grado di reggere le sfide della globalizzazione nel suo complesso.

Attività in cascina schizzo di Antonio Greppi - 1863

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tà vi

No

Art. 4 quater (Tutela del suolo agricolo) 1. La Regione riconosce il suolo quale bene comune. Ai fini della presente legge, il suolo agricolo costituisce la coltre, a varia fertilità, del territorio agricolo, per come esso si presenta allo stato di fatto. Si intende suolo agricolo ogni superficie territoriale, libera da edifici e strutture permanenti non connesse alla attività agricola in essere, interessata in modo permanente dalla attività agricola, da attività connesse e dalla eventuale presenza di elementi che ne costituiscono il corredo paesaggisticoambientale quali reticolo idraulico, fontanili, siepi, filari, fasce boscate, aree umide, infrastrutture rurali. 2. La Regione riconosce il suolo agricolo quale spazio dedicato alla produzione di alimenti, alla tutela della biodiversità, all'equilibrio del territorio e dell'ambiente, alla produzione di utilità pubbliche quali la qualità dell'aria e dell'acqua, la difesa idrogeologica, la qualità della vita di tutta la popolazione e quale elemento costitutivo del sistema rurale. 3. La Regione considera il sistema rurale una componente fondamentale del suo sistema territoriale e ritiene che le criticità emergenti sul consumo di suolo agricolo devono essere affrontate con adeguate politiche finalizzate a salvaguardare le destinazioni di uso di suoli e territori agricoli indispensabili all'esercizio delle attività agricole, in una sempre crescente ottica di multifunzionalità. 4. La sospensione temporanea o continuata della attività agricola sul suolo agricolo non determina in modo automatico la perdita dello stato di suolo agricolo. 5. La Regione elabora politiche per il contenimento del consumo di suolo agricolo finalizzate ad orientare la pianificazione territoriale regionale. A tal fine: a) individua una metodologia condivisa di misurazione del consumo del suolo agricolo che abbia come criteri principali il valore agroalimentare e le funzioni del suolo stesso, nonché l'incidenza delle attività che vi insistono; b) redige periodicamente, in collaborazione con l'Ente regionale per i servizi all'agricoltura e alle foreste (ERSAF), un rapporto sulla consistenza del suolo agricolo e sulle sue variazioni;

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c) stabilisce le forme e i criteri per l'inserimento negli strumenti di pianificazione previsti dalla normativa regionale di apposite previsioni di tutela del suolo agricolo, introducendo altresì metodologie di misurazione del consumo del suolo agricolo stesso e prevedendo strumenti cogenti per il suo contenimento.»;... g) dopo il comma 3 dell'articolo 8 sono aggiunti i seguenti: «3 bis. Per favorire lo sviluppo dell'imprenditoria giovanile, è data priorità alle domande di contributo presentate alla Regione, alle province, alle comunità montane e ai comuni dalle imprese agricole condotte da giovani di età inferiore a quaranta anni, riservando fino a un massimo del cinquanta per cento delle risorse disponibili su ciascuna iniziativa. 3 ter. La Regione assicura alle imprese agricole condotte da giovani di età inferiore a quarant'anni, nei limiti delle disponibilità finanziarie e nell'ambito della programmazione comunitaria, un voucher da impiegare per servizi di assistenza tecnica, supporto tecnico specialistico e gestione aziendale.»; h) dopo l'articolo 8 è inserito il seguente: «Art. 8 bis (Promozione dell'agricoltura sociale) 1. La Regione promuove le fattorie sociali quali soggetti che svolgono, anche in forma associata, le attività di cui all'articolo 2135 del codice civile e che forniscono in modo continuativo, oltre all'attività agricola, attività sociali finalizzate alla coesione sociale, favorendo percorsi terapeutici, riabilitativi e di cura, sostenendo l'inserimento sociale e lavorativo delle fasce di popolazione svantaggiate e a rischio di marginalizzazione, realizzando attività di natura ricreativa e socializzante per l'infanzia e gli anziani. Tali attività, che sono svolte nel rispetto delle normative di settore da soggetti in possesso di adeguata professionalità, hanno carattere di complementarietà rispetto all'attività agricola che è prevalente. 2. I soggetti di cui al comma 1 collaborano in modo integrato con le istituzioni pubbliche e con gli altri soggetti del terzo settore.»; i) il comma 4 dell'articolo 9 è sostituito dal seguente: «4. Al fine di consentire ai consumatori ed agli operatori interessati l'identificazione certa delle aziende agricole che adottano le metodologie dell'agricoltura biologica, è istituito, nell'ambito dell'anagrafe digitale regionale delle imprese agricole e silvo-pastorali, l'elenco regionale degli operatori biologici, articolato per province e suddiviso in sezioni. La Giunta regionale delibera indicazioni: a) sulla tenuta dell'elenco; b) sull'articolazione delle procedure in capo alle province, agli

organismi di controllo e alla Regione; c) sulle forme di interscambio telematico tra i diversi soggetti interessati sia pubblici sia privati; d) sulle forme di pubblicizzazione nei confronti dei consumatori e degli operatori del sistema agroalimentare.»; j) il comma 5 dell'articolo 9 è abrogato; k) la lettera b) del comma 2 dell'articolo 10 è sostituita dalla seguente: «b) l'acquisizione e la dotazione di servizi e prestazioni volti all'implementazione di sistemi di qualità, nonché l'introduzione di sistemi di tracciabilità e di gestione ambientale;»; l) il comma 3 dell'articolo 10 è abrogato; m) il comma 4 dell'articolo 10 è abrogato; n) dopo l'articolo 10 sono inseriti I seguenti:

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Legge regionale 28 dicembre 2011, n. 25 Modifiche alla legge regionale 5 dicembre 2008, n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale) e disposizioni in materia di riordino dei consorzi di bonifica Estratto delle integrazioni alla LR 31/08

«Art. 10.1. (Filiera corta) 1. La Regione, con le forme di concertazione previste dalla presente legge, adotta provvedimenti volti a favorire la filiera corta al fine di conseguire i seguenti obiettivi: a) ridurre i passaggi del prodotto agricolo e agroalimentare di qualità intercorrenti dal momento della produzione al momento del consumo finale; b) favorire il mantenimento di produzioni agricole ed agroalimentari di qualità locali al fine di riconoscerne il valore di eccellenza; c) aumentare le sinergie e le opportunità di offerta dei prodotti agricoli ed agroalimentari di qualità, biologici e locali nell'ambito del commercio, della ristorazione e del turismo rurale e ambientale; d) favorire la conoscenza dei prodotti agricoli e agroalimentari di qualità lombardi e delle loro caratteristiche; e) aumentare il flusso del turismo enogastronomico verso le zone rurali e dei mercati dei prodotti agricoli ed agroalimentari di qualità locali; f) favorire intese interprofessionali e di filiera fra tutti i soggetti interessati. 2. Al fine di favorire l'acquisto dei prodotti agricoli ed agroalimentari di qualità regionali e di assicurare un'adeguata informazione ai consumatori sull'origine e sulle specificità degli stessi prodotti, la Regione e gli enti locali competenti promuovono la realizzazione di eventi, fiere e mercati dei prodotti agricoli ed agroalimentari di qualità locali riservati agli imprenditori agricoli del territorio.

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Attrezzarsi per la nuova sfida imprenditoriale a basso sostegno comunitario, i conti aziendali devono quadrare Alessandro Nebuloni - Regione Lombardia Struttura Programmazione e attuazione del Programma di Sviluppo Rurale Oggi si assiste ad un cambiamento degli scenari sia dei mercati che della politica agricola comunitaria: 1° elemento: I MERCATI Sempre più i prezzi dei prodotti agricoli sono estremamente volatili, le commodities agricole sono diventati elementi di speculazione finanziaria. Questi nuovi meccanismi di mercato subentrati dopo la crisi hanno effetto sul rapporto domanda/offerta e sui redditi delle aziende. 2° elemento: POLITICA AGRICOLA COMUNITARIA Negli ultimi mesi hanno preso corpo a livello europeo le proposte relative alla Politica Agricola Comune (PAC) per il periodo 2014 - 2020. I punti salienti della proposta sono i seguenti: Ÿ Riduzione delle risorse del bilancio comunitario destinate alla PAC dal 39,4% al 33,3%; Ÿ Riduzione del budget del 9% circa rispetto al precedente periodo di programmazione (- 12,5% nel 2020 rispetto al 2013); Ÿ Introduzione di nuovi criteri per la gestione dei

Migliaia di tonnellate

LE «MONTAGNE DI CIBO» SONO SOLO UN RICORDO Evoluzione delle scorte pubbliche di cereali (scorte d’intervento)

pagamenti diretti (1° pilastro della PAC), ridistribuzione fra paesi, riformulazione delle componenti (premio base, greening, maggiorazione per aree svantaggiate, aiuti accoppiati); Ÿ Ridistribuzione tra i paesi membri delle risorse per lo Sviluppo Rurale (2° pilastro della PAC), che rappresentano il 32% della dotazione finanziaria complessiva della PAC; Ÿ Probabile riduzione delle risorse destinate allo sviluppo rurale. La PAC, pur rimanendo la politica comunitaria più importante in termini finanziari, vede quindi ridurre le risorse disponibili per il prossimo periodo di programmazione ed è anche ipotizzabile una rimodulazione di tali risorse tra gli stati membri, con evidenti ricadute in Italia anche a livello regionale. Oggi gli aiuti diretti si basano su un criterio storico, domani la commissione prevede che solo una parte sarà finalizzata all'integrazione di reddito (premio base) mentre una componente rilevante del premio verrà dedicata al greening il “rinverdimento dell'agricoltura”, oltre a questo saranno previste delle maggiorazioni per i giovani, per le aree svantaggiate e per gli aiuti accoppiati. L’Italia verrà penalizzata perché è un paese caratterizzato da un'agricoltura intensiva. E' stato chiesto alla Commissione di non considerare unicamente la superficie come parametro ma anche la produzione lorda vendibile. Si teme inoltre un ulteriore aumento della complessità burocratica delle procedure. Per quanto riguarda lo sviluppo rurale, non si

Campagna di commercializzazione

ravvisano cambiamenti sostanziali nel contesto generale della PAC rispetto al periodo di programmazione 2007 - 2013, mentre invece ci sono delle novità rispetto agli strumenti di attuazione, cioè le misure. Più in generale, la politica sullo sviluppo rurale concorre al perseguimento degli obiettivi delineati a livello comunitario in materia di coesione economica e sociale e degli obiettivi enunciati nella “Strategia Europa 2020” di crescita intelligente, crescita sostenibile e crescita inclusiva. Gli obiettivi della politica di sviluppo rurale indicati dalla Commissione nella proposta di regolamento sono in continuità con quelli attuali e vertono su 3 obiettivi: 1. competitività del settore agricolo, 2. gestione sostenibile delle risorse naturali, 3. sviluppo equilibrato delle aree rurali. Tali obiettivi si perseguono, nel disegno comunitario, attraverso 6 azioni prioritarie attorno alle quali verrà costruito il PRS, mirate a: 1. favorire il trasferimento di conoscenze nel settore agricolo e forestale (promuovendo il capitale umano e la creazione di reti intelligenti nel settore agricolo e forestale, l'innovazione e la base di conoscenze del settore agricolo e forestale, rafforzando i legami tra l'agricoltura e la silvicoltura e la ricerca e sviluppo); 2. accrescere la competitività dell'agricoltura e la redditività dell'azienda agricola (facilitando la ristrutturazione delle aziende agricole con gravi problemi strutturali, in particolare le aziende agricole con un basso grado di orientamento al

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mercato, le aziende agricole orientate al mercato in particolari settori e le aziende agricole che necessitano di diversificazione agricola, facilitando il rinnovo generazionale nel settore agricolo); 3. promuovere l'organizzazione della filiera alimentare e della gestione dei rischi in agricoltura (integrando i produttori primari nella filiera alimentare attraverso i sistemi qualità, favorendo la promozione nei mercati locali, la filiera corta, le associazioni di produttori e organizzazioni interprofessionali, supportando la gestione dei rischi agricoli); 4. conservare e valorizzare gli ecosistemi dipendenti da agricoltura e la silvicoltura, con particolare attenzione a biodiversità e paesaggio, emissioni in atmosfera, gestione risorse idriche, gestione del suolo; 5. promuovere l'efficienza delle risorse e la transizione verso un'economia a basse emissioni nei settori agroalimentare e forestale (aumentando l'efficienza del consumo di acqua da parte dell'agricoltura, l'efficienza del consumo energetico in agricoltura e nell'industria alimentare, facilitando la produzione di biomasse per le energie rinnovabili nel settore agricolo e forestale e favorendo la riduzione delle emissioni di protossido di azoto e di metano dell'agricoltura); 6. favorire l'occupazione e lo sviluppo delle zone rurali (favorendo la diversificazione e la creazione di occupazione, promuovendo l'inclusione sociale e la riduzione della povertà e lo sviluppo locale nelle aree rurali).

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Le azioni prioritarie si traducono in una serie di operazioni, articolate in misure, ciascuna delle quali può contribuire al raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo rurale. La Provincia di Monza e della Brianza è caratterizzata da una bassa incidenza delle aree agricole, da un numero limitato di aziende agricole (800 circa secondo l'ultimo censimento agricoltura del 2010), con una superficie aziendale utilizzata media al di sotto di quella regionale e da indirizzi produttivi orientati prevalentemente verso la zootecnia da latte, gli allevamenti equini, il vivaismo, la floricoltura e le attività multifunzionali. Di seguito si descrivono le misure della nuova programmazione sullo sviluppo rurale che possono rappresentare un'opportunità per il settore agricolo ed agroindustriale della provincia di Monza e della Brianza: Ÿ Acquisizione e aggiornamento delle competenze e professionalità imprenditoriali, attraverso interventi di formazione, informazione e consulenza aziendale, in grado di supportare ed accompagnare gli imprenditori in un percorso di crescita e sviluppo; ŸAmmodernamento e sviluppo delle aziende agricole e agroindustriali e delle infrastrutture connesse all'agricoltura attraverso investimenti materiali ed immateriali orientati verso innovazione di prodotto e di processo; ŸRicambio generazionale, attraverso l'insediamento di giovani agricoltori, per garantire la continuità e lo sviluppo dell'attività agricola, in un'ottica di competitività, redditività e sostegno alle aree rurali; ŸDiversificazione verso attività non agricole,

attraverso investimenti materiali ed immateriali volti a sviluppare attività complementari; Ÿ Sviluppo e miglioramento delle superfici forestali, attraverso interventi di rimboschimento, la realizzazione di nuovi boschi e di sistemi agroforestali; Ÿ Adozione di tecniche di produzione sostenibili dal punto di vista ambientale, attraverso la concessione di aiuti per l'attuazione, su base volontaria, di impegni agro ambientali e l'introduzione o il mantenimento di pratiche di agricoltura biologica. A fronte del prevedibile ridimensionamento delle risorse delle sviluppo rurale per il periodo 2014 2020 è necessario che gli interventi riconducibili alle misure sopra descritte siano individuati sulla base di valutazioni e scelte ben precise, mirate, orientate al raggiungimento di obiettivi strategici preventivamente definiti. Emerge quindi la necessità di fare un'attenta analisi strutturale, produttiva ed economica del settore agricolo e forestale, per individuare aree, comparti e filiere, sistemi produttivi verso i quali indirizzare prioritariamente le risorse disponibili, al fine di aumentare l'efficacia degli interventi e il loro impatto rispetto agli obiettivi comunitari di competitività del settore agricolo, gestione sostenibile delle risorse naturali e sviluppo equilibrato delle aree rurali, che rappresentano il quadro di riferimento entro cui operare. La sfida per la prossima programmazione agricola per le aziende è sia sull'orientamento produttivo che sugli investimenti, perché ci sarà pochissimo margine di errore visto che il sostegno comunitario va riducendosi.


Le tre opzioni per il futuro orientamento della PAC La PAC verso il 2020: rispondere alle future sfide dell'alimentazione, delle risorse naturali e del allegato al rapporto n.COM (2010) 672/5 della Commissione Europea

Nell’ambito delle tre opzioni la Commissione prevede il mantenimento dell’attuale sistema a due pilastri. Un altro elemento comune è il futuro sistema dei pagamenti diretti che non potrà essere basato su periodi di riferimento territorio storici, ma dovrà essere legato a criteri oggettivi.

Pagamenti diretti

Misure di mercato

Sviluppo rurale

Opzione 1

Introdurre una maggiore equità nella ripartizione dei pagamenti diretti tra gli Stati membri (senza modificare il meccanismo vigente).

Rafforzare gli strumenti di gestione dei rischi. Razionalizzare e semplificare, ove necessario, gli strumenti di mercato esistenti.

Mantenere l'orientamento contenuto nella verifica dello stato di salute, consistente nell'aumentare i finanziamenti volti ad affrontare le sfide connesse al cambiamento climatico, alle acque, alla biodiversità, alle energie rinnovabili e All'innovazione.

Opzione 2

Introdurre una maggiore equità nella ripartizione dei pagamenti diretti tra gli Stati membri e una sostanziale modifica della loro concezione. I pagamenti diretti sarebbero composti da: • un tasso di base che funge da sostegno al reddito, • un aiuto supplementare obbligatorio per determinati beni pubblici "ecologici" tramite azioni agroambientali semplici, generalizzate, annuali e non contrattuali, basato sui costi aggiuntivi necessari per svolgere queste azioni, • un pagamento supplementare volto a compensare vincoli naturali specifici, • una componente di aiuto accoppiato facoltativo a favore di determinati settori e regioni (1). Introdurre un nuovo regime per le piccole aziende agricole. Introdurre un massimale per il tasso di base, tenendo anche conto del contributo delle aziende di grandi dimensioni all'occupazione rurale.

Migliorare e semplificare, ove necessario, gli strumenti di mercato esistenti.

Per renderli più coerenti con le priorità dell'UE, concentrando il sostegno sull'ambiente, il cambiamento climatico e/o la ristrutturazione e l'innovazione, e per favorire le iniziative regionali/locali. Rafforzare gli attuali strumenti di gestione dei rischi e introdurre uno strumento facoltativo di stabilizzazione dei redditi compatibile con la "scatola verde" dell'OMC per compensare le perdite di reddito gravi. Potrebbe essere presa in considerazione una certa ridistribuzione dei fondi tra gli Stati membri sulla base di criteri oggettivi.

Abolire tutte le misure di mercato, con la potenziale eccezione di clausole in caso di turbative che potrebbero essere attivate nei periodi di grave crisi.

Le misure sarebbero incentrate principalmente sul cambiamento climatico e sulle questioni ambientali.

(1) Tale aiuto equivarrebbe all'aiuto accoppiato attualmente erogato a norma dell'articolo 68 e ad altre misure di aiuto accoppiato. Opzione 3

Abolire gradualmente i pagamenti diretti nella loro forma attuale. Sostituirli con pagamenti limitati per i beni pubblici ambientali e con pagamenti aggiuntivi per vincoli naturali specifici.

15


Innovazione di prodotto e di offerta servizi Paolo Lassini - già Direttore Generale Agricoltura della Regione Lombardia Ogni discorso sulla valorizzazione dell'agricoltura richiede la presenza dell'agricoltura stessa, attività economica che è parte inscindibile di un sistema rurale e quindi di un territorio con caratteristiche originali e proprie, differenti dall'urbanizzato. Di questo devono tenere conto gli enti che fanno pianificazione territoriale. Anche se da un punto di vista economico l'attività agricola ha un valore residuale ne ha uno molto maggiore dal punto di vista territoriale e dei valori correlati, è quindi un'attività irrinunciabile, così come il ruolo degli imprenditori agricoli. Ed è per questo motivo che viene finanziata dalla Unione Europea. Il consumatore deve capire il valore di quello che compra e tutto quello che ci sta dietro, l'autoapprovvigionamento della provincia di Milano è di 35 giorni. L'attività agricola secondo il decreto legislativo 228/2001 è molto ampia e comprende anche la fornitura di servizi, le agroenergie, le attività agrituristiche, didattiche, di monitoraggio, presidio e manutenzione del territorio, la selvicoltura ecc. Tutte queste attività sono comunque complementari

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alla attività produttiva agricola che costituisce il perno della azienda agricola. L'agricoltura della provincia di Monza e Brianza, oltre alla grave crisi in atto si trova ad affrontare più di ogni altra provincia la concorrenza fisica non solo delle altre attività economiche ma anche delle infrastrutture che sottraggono e frammentano il tessuto agricolo. La concorrenza e la sfida per il futuro del mantenimento della agricoltura può essere vinta se preliminarmente si prende collettivamente coscienza dei valori delle aree rurali e della attività agricola, valori che le rendono indispensabili e insostituibili per la qualità della vita e l'equilibrio del territorio: la presa di coscienza deve avvenire sia da parte della collettività, ma anche e soprattutto degli stessi agricoltori e delle istituzioni. Ne conseguirà una rivalutazione del proprio ruolo da parte dell'agricoltore e un riconoscimento anche economico e di salvaguardia territoriale. In tal senso è già indirizzata la prossima PAC post 2013, purché i benefici pubblici possano essere realmente dimostrati e monitorati. Occorre fare in modo che il

mercato (aiutato dalle istituzioni) dica la verità ed esprima tutto il valore delle esternalità positive degli spazi rurali. In fondo questa è la sfida del tema della EXPO 2015 e nei prossimi tre anni gli agricoltori di Monza e Brianza possono giocarsi gran parte di questa sfida. Punti di forza della agricoltura di MB Ÿ Capacità imprenditoriale e di innovazione superiore alla media; Ÿ Posizione: vicinanza alle aree metropolitane (km zero, farmer market, GAS, ecc.); Ÿ Produzioni tipiche e specializzate: florovivaismo, zootecnia, apicoltura, viticoltura, frutticoltura e orticoltura; Ÿ Filiere agroalimentari: formaggi e latticini, carni e salumi, vini, miele, ecc.; Ÿ Diversificazione e multifunzionalità: agriturismo, turismo rurale, ecc. anche se la domanda di turismo rurale è ancora non completamente soddisfatta;


Ÿ Presenza Ovest Est del canale Villoresi e dei corsi d'acqua naturali in senso nord-sud; Ÿ Presenza parchi regionali e PLIS, che dovrebbero essere i primi a promuovere l'agricoltura. Punti di debolezza della agricoltura di Monza e Brianza Ÿ Frammentazione; Ÿ Consumo di suolo agricolo; Ÿ Compromissione aziendale da interventi urbanistici ed infrastrutturali; Ÿ Dissesto idrogeologico; Ÿ Limitazioni all'uso agricolo dei suoli; Ÿ Riduzione della diversità paesaggistica e della biodiversità; Ÿ Degrado dei boschi.

Ÿ Produzioni tipiche o di nicchia (ovicaprini, Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ

Proposte di innovazione di servizi e prodotti Rendere visivamente e sostanzialmente indispensabile il sistema rurale, migliorandolo e stabilizzandolo con una rete di produzione, servizi, di fruizione, di ambiente di paesaggio. Monza potrebbe porsi come sfida quanto previsto dal protocollo di Kyoto: ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili. Ÿ Riduzione dei costi di approvvigionamento, energetici, della lavorazioni; Ÿ Agricoltura biologica e integrata; Ÿ Agroenergie correlate alla attività aziendale;

Ÿ

bovini, avicoli, apicoltura, castanicoltura, piccoli frutti, piante officinali, etc.) ; Orticoltura; florovivaistico (produzione programmata per le nuove sistemazioni ambientali e di compensazione); Costruzione di nuovi canali distributivi e apertura alla grande distribuzione; Recupero e valorizzazione degli scarti e dei principi nutritivi; Gestione razionale del patrimonio boschivo; Effettuare servizi e forniture per l'ente pubblico: affidamenti diretti sino a 50.000 euro ad azienda agricola singola e 300.000 se associate; Utilizzo multifunzionale delle acque del Villoresi; Presentazione di progetti e utilizzo del fondo di cui all'art.43 della L.R. 12 /2005 per azioni agro ambientali; Incremento del turismo rurale e delle attività connesse: è un mercato con grande potenzialità perché c'è una richiesta molto forte di questo tipo da parte della popolazione.

Ÿ Confronto e monitoraggio delle diverse esperienze e dei risultati conseguiti tra le realtà imprenditoriali agricole; Ÿ Aggregazione delle aziende ( mantenendo la propria imprenditorialità) sia nei processi produttivi che nella commercializzazione che nella fornitura e acquisizione di servizi ( es. attraverso distretti di filiera o rurali); Ÿ Patti pluridecennali a tre, programmazione negoziata tra Ente pubblico-proprietariagricoltori-imprenditori extragricoli. Opportunità Ÿ nuovo PSR e nuova PAC; Ÿ nuovi modelli di gestione delle aree protette con la formazione di aziende agro ambientali; Ÿ nuove risorse per maggiori oneri di costruzione art. 43 legge 12/2005; Ÿ nuove risorse per le compensazioni dei boschi distrutti e delle infrastrutture (da utilizzare con programmazione negoziata o bandi tipo PSR); Ÿ EXPO 2015 non tanto come risorse, ma come potenzialità … individuazione di uno o più interventi significativi.

Come migliorare le azioni Ÿ Conoscere e fare conoscere; Ÿ Incidere sugli strumenti di pianificazione territoriale; Ÿ Formazione, aggiornamento professionale ed assistenza tecnica verso la imprenditorialità e l'apertura al mercato;

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La filiera corta: mille ragioni per organizzarsi Niccolò Mapelli - Agronomo, Parco della Cavallera La filiera corta, o cortissima è una scelta che l'azienda può intraprendere ed è una delle opportunità e delle sfide per un territorio come la provincia di Monza e della Brianza, così vicino ai centri urbani. Il circuito breve è quell'insieme di attività che prevedono un rapporto diretto tra produttore e consumatore, singolo o associato, che accorcia il numero degli intermediari commerciali e diminuisce il prezzo finale. Gli obiettivi perseguiti da questa forma alternativa di commercio sono: giusta remunerazione al produttore; educare il consumatore alla conoscenza dei prodotti tipici, alla freschezza e alla stagionalità della merce perché sia informato e consapevole. Ma quanto è lunga la catena commerciale e quanti sono solitamente gli operatori che si frappongono tra produttore e consumatore? Lo schema seguente esemplifica i tre casi più comuni e concreti:

Vendita diretta in campo È il caso più semplice e più consolidato, che consiste nella classica vendita diretta in azienda. Di fatto tale soluzione non comporta nessun adempimento amministrativo poiché non vi sono locali specificatamente adibiti alla vendita; essa si svolge nelle strutture aziendali già presenti (portico, aia, piazzale etc.) o all'aperto; solo nel caso in cui si posino indicazioni stradali per il raggiungimento dell'azienda occorre che i segnali rispettino le norme del codice della strada.

LUNGA

PRODUTTORE

GROSSISTI

DETTAGLIANTE

CORTA

PRODUTTORE

DETTAGLIANTE

CONSUMATORE

PRODUTTORE

CONSUMATORE

CORTISSIMA

18

Come si può vendere Con il passare degli anni e con il moltiplicarsi delle esperienze a livello nazionale aumentano anche le modalità e le soluzioni per vendere direttamente i prodotti, talvolta adeguandosi all'evolvere della tecnologia o della normativa o più semplicemente introducendo soluzioni già in voga in altre zone, soprattutto se diffuse e consolidate all'estero.

CONSUMATORE

Vendita in locale aziendale In questo caso è necessario disporre in azienda di un punto vendita organizzato, che di norma consiste in un locale appositamente allestito e attrezzato in cui esporre e vendere I prodotti. Pur non essendo prevista la comunicazione di inizio attività è buona norma comunque notificare al Comune i dati del richiedente, l'iscrizione al registro delle imprese, il tipo di prodotti e modalità di vendita.

Mercati contadini Con questa espressione si fa riferimento al classico fenomeno del mercato settimanale tradizionale, con la differenza che, invece di bancarelle di merci diverse tra loro, i Comuni hanno facoltà di autorizzare e disciplinare spazi dedicati alle sole aziende agricole.

Vendita diretta nella grande distribuzione Anche all'interno di strutture della grande distribuzione e presso i centri commerciali possono essere allestiti spazi e iniziative di promozione di vendita di prodotti agricoli locali, secondo le norme contenute nella legge 231/2005. Vendita su aree pubbliche mediante posteggio I luoghi di vendita sono qui rappresentati dai mercati tradizionali settimanali di città, di paese, di quartiere o rionali nei quali l'agricoltore si sposta con appositi mezzi per vendere la propria merce di stagione.


L'accesso agli spazi avviene previa domanda da inoltrare ai Comuni i quali, ai sensi della legge 114/98 e dalle leggi regionali di attuazione, riservano una quota (di norma il 3-4% dei posteggi complessivi), appositamente per le aziende agricole. Le concessioni sono di solito decennali e onerose. Vendita itinerante Organizzarsi per effettuare la vendita in forma itinerante presenta l'indubbio vantaggio di poter utilizzare mezzi relativamente semplici rispetto alle forme di vendita nei locali appositamente attrezzati in azienda. L'obbiettivo che si raggiunge è praticamente lo stesso, ma con lo svantaggio di dover dedicare del tempo maggiore assentandosi dal centro aziendale. Il permesso, rilasciato dal Comune di appartenenza, permette di vendere in tutto il territorio nazionale mediante l'uso di un mezzo mobile attrezzato. Il sempre più diffuso fenomeno della vendita ai GAS (Gruppi di acquisto solidale) è inquadrabile, per l'azienda agricola, sotto questo tipo di commercializzazione, a meno che siano i clienti o le famiglie a recarsi in azienda per il ritiro della merce. E-commerce o mercato elettronico Nell'era della comunicazione e dei media, sono molte le aziende agricole che hanno un sito internet dedicato che funge da vetrina o da catalogo, e che nei casi più avanzati prevede anche una sorta di carrello virtuale. Si può quindi inviare l'ordine via email o cliccando direttamente le quantità desiderate per vedersi recapitare a casa cassette o prodotti freschi o confezionati.

Locali aperti al pubblico non aziendali Vi è infine un'ulteriore opportunità, ovvero l'allestimento di locali al di fuori del perimetro aziendale, in luoghi centrali del paese, vicino a grandi vie di comunicazione o comunque facilmente raggiungibili, nei quali aziende singole od associate offrono un'ampia gamma di prodotti. Trattandosi di veri e propri “negozi” è necessario curare molto gli aspetti organizzativi e di marketing, compresa l'etichettatura e l'esposizione corretta in banchi o scaffali dedicati.Occorre tenere presente che questo tipo di vendita, generalmente multi prodotto può essere attuata se vi è un accordo tra diversi produttori, che dividono tra loro anche le spese per una persona che si occupi a tempo pieno del punto vendita. Appare evidente che, qualunque sia la forma di vendita che più si avvicina alle vostre caratteristiche od esigenze, gli obblighi tecnici, burocratici, amministrativi o sanitari correlati saranno differenti. Cosa si può vendere Tutti i prodotti dell'azienda provenienti dalla coltivazione o dall'allevamento di animali sia tal quali che trasformati. Altri prodotti, acquistati all'esterno della propria azienda purché in misura non prevalente. Si possono considerare "aziendali" anche i prodotti manipolati e trasformati che provengono da materie prime prodotte nell'azienda agricola che effettua la vendita; la trasformazione può avvenire sia nella stessa azienda, sia in aziende esterne (caseifici, macelli, mulini, ecc.). In questo caso di trasformazione dei prodotti, deve essere sempre dimostrato il legame con le attività agricole di coltivazione e allevamento svolte sul fondo.

Da chi può essere effettuata la vendita diretta Con l'entrata in vigore del decreto legislativo n° 228 del 18/05/2001, denominato "Orientamento e modernizzazione del settore agricolo", è stata ribadita la possibilità e l'opportunità di poter effettuare la vendita diretta dei prodotti agricoli da parte di tutti gli imprenditori agricoli, singoli o associati, purchè iscritti nel Registro delle Imprese della Camera di Commercio di appartenenza. Ciò che la norma ha introdotto e specificato è che per tali prodotti, l'attività di vendita non viene intesa come un'attività commerciale, bensì come una prosecuzione dell'attività agricola diventando quindi parte integrante e connessa al reddito ed alla fiscalità agricola. Nell'applicazione in sede provinciale e regionale, pur rimanendo validi i principi dell'articolo 2135 del Codice Civile e dai contenuti dettati dal d.lgs. 228/2001, "la commercializzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali" è necessario che venga stabilita una soglia che definisca tale limite di prevalenza.

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s Ca o di

La vendita diretta di prodotti agricoli in fattoria è normata dall'articolo 4 del decreto legislativo del 18-5-2001, n. 228, <<Legge di orientamento e modernizzazione del settore agricolo>>. Il decreto legislativo 228/2001 all'articolo 1 afferma che <<gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel Registro delle imprese di cui l'articolo 8 della legge 29-12-1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità>>. La legge di orientamento, rispetto alle precedenti norme, ha ampliato l'ambito di applicazione della vendita diretta dei prodotti agricoli rispetto alla formulazione di cui alla legge 59/1963, in quanto si esenta espressamente dalla normativa commerciale anche la vendita di prodotti non provenienti da aziende agricole se il relativo ammontare non ha superato, nell'anno solare precedente, i limiti indicati nella norma medesima, ovvero 41.316,55 euro per gli imprenditori individuali e 1.032.913 euro per la società. Questo vale non solo per le aziende agricole, ma si applica anche a enti o associazioni che intendano vendere direttamente prodotti agricoli (articolo 4 del decreto legislativo 29-3-2004, n. 99, <<disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura>>, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), e), della legge 7-3-2003, n. 38, la disciplina amministrativa in materia di prodotti agricoli contenuta nel decreto 228/2001). 20

L'azienda agricola a Vimercate, nel Parco della Cavallera, è un tipico esempio di azienda cerealicola zootecnica che in poco più di un decennio ha saputo riorganizzarsi in funzione sia degli andamenti di mercato (problematiche legate alla zootecnica quali “mucca pazza” ed al conseguente calo di domanda) sia della frammentazione fondiaria.. L'azienda, con attività trentennale, ha modificato la produzione prevalente attraverso la riorganizzazione di spazi ed dell'ordinamento produttivo. L'attuale estensione è di circa 62 ettari. Vengono prodotte varie tipologie di colture orticole e cerealicole, ma con % diverse rispetto al passato. Oggi è una azienda che ha una elevata diversificazione di prodotto ed ha aumentato sensibilmente il proprio fatturato; la comunità locale ha risposto alla nuova offerta di prodotto con grande entusiamo.

Azienda prima della ristrutturazione orticole 1%

o di

Le normative di riferimento

stu

Li cogliete voi

patate 3% prato 24%

seminativo 72%

Azienda con vendita diretta in pieno campo orticole 4%

seminativo 42%

patate 7%

prato 5% farro 2% frumento panificabile 7%

cereali minori (avena, triticale) 33%


Agricoltura biologica con recupero di antiche varieta' e valori tradizionali: una possibile alternativa Pietro Perrino - già conservatore banca del germoplasma di Bari Le diverse forme d'agricoltura biologica permettono di produrre tanto quanto o di più delle forme d'agricoltura convenzionale, non biologiche, industriali e semindustriali. I redditi degli agricoltori, calcolati come differenza tra costi sostenuti per produrre e ricavi ottenuti dalla vendita dei prodotti, sono più elevati per gli agricoltori biologici rispetto agli agricoltori convenzionali. La superiorità dell'agricoltura biologica rispetto a quella convenzionale è molto più evidente nei Paesi in Via di Sviluppo, dove gli agricoltori sono più biologici che convenzionali, in quanto non possono permettersi il lusso d'acquistare prodotti chimici sintetici costosi, come concimi e pesticidi, per non parlare di semi certificati delle multinazionali o semi di varietà geneticamente modificate. A parte questi vantaggi economici, l'agricoltura biologica è molto meno inquinante o più ecocompatibile dell'agricoltura convenzionale e quindi offre più vantaggi sociali ed ambientali, in quanto la gente non è avvelenata da fitofarmaci e la minore emissione di CO2 permette di fronteggiare meglio i cambiamenti climatici ed il surriscaldamento globale, anche perché la conversione a metodi d'agricoltura biologica permette di fissare nel terreno tanto azoto da sostituire completamente quello chimico di sintesi, utilizzato da sistemi d'agricoltura convenzionale. Se tutta l'agricoltura mondiale si convertisse in agricoltura biologica la produzione di cibo ottenuta dalle attuali superfici coltivate, sarebbe sufficiente a nutrire la popolazione mondiale attuale e futura sino al 2050, quando la popolazione mondiale dovrebbe essere salita a 9 o 10 miliardi d'individui.

E' evidente che la conversione all'agricoltura biologica arresterebbe la corsa alla deforestazione, contribuendo ulteriormente ad una minore emissione di CO2 e di gas serra, anche perché con i metodi biologici vi è un minore ricorso ai carburanti fossili ed un maggior uso di fonti d'energia rinnovabili o meno inquinanti. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università del Michigan, sulla base di dati ventennali (1972-1992), su tutto il pianeta, ha

confermato tutti questi vantaggi dell'agricoltura biologica rispetto a quella convenzionale, in termini produttivi assoluti, di reddito per gli agricoltori, ambientali, di fabbisogno di calorie per giorno e per persona, di sicurezza alimentare e della salute dell'uomo e degli animali. I dati sperimentali dell'Istituto Rodale (Pensilvania) su alcune pratiche d'agricoltura biologica, come il sovescio di leguminose, confermano i vantaggi dei metodi biologici anche per quanto riguarda la fertilità e qualità del terreno che acquisisce una

Rapporti di produzioni tra biologico (B) e non biologico (NB) Categoria di cibo

Mondo

Paesi Sviluppati

Paesi in Via di Sviluppo

Numero

Media (B/NB)

Numero

Media (B/NB)

Numero

Media (B/NB)

Granella

171

1,3

69

0,9

102

1,6

Radici

25

1,7

14

0,9

11

2,7

Zuccheri e dolcificanti

2

1,0

2

1,0

Legumi

9

1,5

7

0,8

2

4,0

Piante da olio

15

1,1

13

1,0

2

1,6

Ortaggi

37

1,1

31

0,9

6

2,0

Frutta, escluso vino

7

2,1

2

1,0

5

2,5

Totale cibi vegetali

266

1,3

138

0,9

128

1,7

Carne e frattaglie

8

1,0

8

1,0

Latte, escluso burro

18

1,4

13

1,0

5

2,7

Uova

1

1,1

1

1,1

Totale cibi animali

27

1,3

22

1,0

5

2,7

TOTALE

293

1,3

160

0,9

133

1,8

21


Regioni temperate, colture principali Colture intercalari invernali con sovescio

Colture secondarie senza sovescio

Frumento/Orzo

Frumento/Orzo

Veccia Villosa

Coltura secondaria

1 su 3 anni

Mais/Soia

Trifoglio rosso

Coltura secondaria

1 su 3 anni Nessun apporto di azoto

Apporto di azoto sintetico

Produzioni confrontabili

Regioni aride e semiaride di zone tropicali l’acqua: una risorsa limitata Colture intercalari invernali con sovescio

Colture secondarie senza sovescio

Frumento/Orzo

Frumento/Orzo

Cajanus cajan

Coltura secondaria

Mais/Soia

Mais/Soia

Arachis Hypogaea

Coltura secondaria

Nessun apporto di azoto

Apporto di azoto sintetico

Produzioni superiori con il sovescio Maggiore ritenzione idrica con il sovescio Dall’Istituto Rodale, Pennsilvenia USA

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maggiore capacità di ritenzione idrica e quindi una maggiore capacità di fronteggiare periodi di siccità. Le evidenze presentate alla FAO dal Centro di Ricerca Danese per l'alimentazione e l'agricoltura confermano il potenziale di una nuova agricoltura biologica per assicurare più cibo di quanto ne occorre per alimentare il mondo e con minori impatti ambientali. La conversione da un'agricoltura chimica intensiva ad una biologica può inizialmente diminuire le produzioni, ma nel tempo (di norma tre anni) gli aggiustamenti determinano un bilanciamento e forniscono anche numerosi benefici non materiali, tra i quali il miglioramento del suolo. L'Organizzazione per l'Agricoltura e l'Alimentazione delle Nazioni Unite (FAO), si è dichiarata a favore dell'agricoltura biologica. Il rapporto della FAO “Agricoltura Biologica e Sicurezza Alimentare” (Organic Agriculture and Food Security) Rapporto FAO “Agricoltura biologica e sicurezza alimentare” Praticata in 12 Paesi 31 milioni di ettari coltivati 62 milioni di ettari a raccolta spontanea Fatturato: 40 miliardi di dollari USA ne 2006 Fatturato previsto: 70 miliardi di dollari USA nel 2012 Agricoltura convenzionale + Deforestazione e incendi Sono responsabili del 30% di C02 e del 90% di NO


s Ca o di

sopravvivere ai cambiamenti climatici e ai parassiti, che incontrano maggiori difficoltà ad attaccarle perché diverse. Queste antiche varietà se allevate con sistemi agricoli inquinanti possono produrre di meno delle varietà moderne, ma se allevate con sistemi agricoli non inquinanti o biologici non solo producono tanto quanto le varietà moderne, ma la qualità dei prodotti è notevolmente superiore. Ciò avviene perché i terreni non inquinati sono più fertili, conferendo alle piante una maggiore resistenza ai parassiti e ai cambiamenti climatici. Importanti microelementi presenti nel suolo non sono bloccati ma vengono assorbiti dalle piante, passando anche nel prodotto agricolo finale, cioè negli alimenti. La superiorità dei sistemi agricoli biologici rispetto a quelli moderni o industriali, ad alto impatto ambientale, è dovuta anche al recupero di semi e conoscenze tradizionali che rappresentano un valore aggiunto perché permettono di conservate risorse genetiche importanti anche per affrontare le sfide del futuro.

o di

dichiara esplicitamente che l'agricoltura biologica può risolvere sfide di sicurezza alimentare locale e globale. La produzione biologica entra nel sistema, i consumatori vogliono pagare prezzi più alti in cambio di cibi veri facendo così rientrare alcune delle spese extra dell'agricoltura biologica. La domanda per prodotti biologici ha incoraggiato Paesi come il Brasile (diventando velocemente leader mondiale nell'agricoltura biologica) e l'India che ha riconciliato le domande di cibo locale. La principale sfida ai mercati internazionali è di tenere insieme i produttori per creare valore aggiunto, scelta informata e tracciabilità. Come Catherine Badgley argomenta, la sicurezza alimentare dipende molto da quanto riescono a fare le politiche dei Governi ed i prezzi di mercato sulle produzioni. L'agricoltura biologica si può praticare con semi di varietà antiche meglio che con i semi delle varietà moderne per diversi motivi. Le varietà moderne sono ottenute da selezionatori che mirano ad ottenere piante geneticamente omogenee, che producono bene solo se allevate con laute fertilizzazioni con concimi chimici di sintesi, uso di notevoli volumi d'acqua, trattamenti con diserbanti e fitofarmaci di ogni genere per difenderle dai parassiti animali e vegetali. Parassiti che diventano sempre più virulenti perché le piante geneticamente omogenee nel tempo diventano sempre più suscettibili ai parassiti ai quali si dà la possibilità di sviluppare forme biologiche sempre più specializzate ad attaccarle. Al contrario, le varietà antiche sono selezionate dagli agricoltori che non mirano ad ottenere piante geneticamente omogenee, ma piante geneticamente eterogenee capaci di

stu

Biologico, o meglio naturale con semi antichi Esempio da una cascina nel Pavese L'azienda agricola pratica agricoltura biologica con il metodo naturale: le produzioni sono rigorosamente di stagione, la semina avviene selezionando le sementi nel rispetto della naturale vocazione del terreno ad ospitare la pianta. Il lavoro di semina avviene solo ed esclusivamente a spaglio. Si fa uso di semi tipici di zona e di vecchie varietà. Le colture crescono e maturano ricorrendo esclusivamente alle energie del terreno, senza alcun aiuto esterno. L'azienda produce a ciclo chiuso e recupera totalmente le sostanze di "scarto" o ritenute tali. Molti hanno compreso, e lo dicono, che per mangiare una carne sana è importante sapere dove e come ha vissuto un animale: se libero di pascolare nei prati o rinchiuso in uno staggio di due metri per due, a mangiare ed ingrassare, sostenuto da antibiotici per evitare infezioni o psicofarmaci per non impazzire. Per i campi vale lo stesso discorso. Da molto tempo studiosi dell´alimentazione ci mettono in guardia invitandoci a stare attenti a non sfidare la Natura nel suo lavoro. Come conseguenza continueremo a vedere sotto i nostri occhi gli effetti: fra cui un aumento delle intolleranze alimentari, cinquant´anni fa inesistenti. Meno tocchi il terreno e la pianta, più alta è la qualità del prodotto. La ricerca e selezione di varietà antiche garantisce una qualità elevatissima agli alimenti. Varietà antiche perché sono quelle meno manipolate dall´uomo, quelle che hanno conservato il patrimonio genetico più intatto e quindi più forte e che non ha bisogno di sostegno e di concimi, né chimici né biologici. Spighe di riso che convivono con piante spontanee di altro genere.

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Campagne urbane tra nuova produzione e servizi ai cittadini Christian Novack - Politecnico di Milano Il paesaggio del Vimercatese poggia su due principali invarianti territoriali che configurano la struttura naturale ed antropica del territorio: i corridoi fluviali e vallivi, che segnano il territorio in direzione Nord-Sud e la fitta trama di percorsi agricoli, che innervano le piane agricole in direzione Est-Ovest, con un passo regolare, dettato dalla partizione agraria tradizionale. Questi elementi divengono il supporto di un potenziale spazio pubblico reticolare, dilatato e diffuso, fatto di percorsi, di ambiti naturali, di servizi e di uno spazio riformato di confine fra città e campagna.

Il disegno di questa trama, pur appoggiandosi su una storica orditura, non procede in modo mimetico, ma propone un approccio trasformativo per almeno due ragioni. Innanzitutto perché è una trama a maglie notevolmente più larghe, rispetto all'ordito della divisione poderale, e tiene conto delle nuove esigenze maturate negli ultimi quarant'anni dalle imprese agricole (prima di tutto derivanti dalla meccanizzazione). In secondo conto perché la chiusura di queste trame tiene conto della nuova funzione urbana che la campagna può e deve svolgere. La trama ecologica e fruitiva di ricomposizione del paesaggio, costituisce un sistema di percorsi di carattere pubblico che ha il triplice scopo di costruire una trama di percorribilità dello spazio aperto, una rete paesistico ecologica secondaria, ed un disegno paesaggistico in relazione allo spazio agricolo e periurbano.

Ciò che qui si propone è, dunque, la costruzione di un'alleanza tra spazio urbano, dell'abitare e spazio agricolo, del produrre. L'idea è quella che solo attraverso un progetto comune, dando «valore al vuoto assumendolo come elemento strutturante del territorio, come parte integrante del tessuto urbano» (Donadieu, 2006, p. 60) è possibile immaginare una nuova forma di ruralità urbana. La continuità dello spazio aperto, la gestione delle relazioni tra lo spazio privato, pubblico, di prossimità e agricolo costituiscono un primo terreno entro cui una strategia di medio termine per la riforma del paesaggio e delle imprese agricole del Vimercatese si deve misurare.

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La trama dei percorsi storici agro campestri nel Vimercatese


Una riforma che non può che poggiare su due gambe: una che orienta le politiche ad una riforma degli spazi e del paesaggio, una seconda che pone le basi per una sostenibilità economica delle imprese agricole. Strategie entrambe praticabili in un contesto sociale e politico, come quello del Vimercatese, dove sono presenti interessanti speri-mentazioni in ambito agricolo, dove le politiche dei Parchi Locali di Interesse Sovracomunale e di alcune amministrazioni comunali danno alcuni dei frutti sperati e dove la presa identitaria del mondo dell'agricoltura è ancora presente. L'alleanza fra l'urbanista, il paesaggista, l'agricoltore e l'amministratore (Donadieu, 2006, p. 112) per la costruzione di una nuova forma di campagna urbana è forse possibile qui più che altrove.

Il potenziamento paesaggistico dei corridoi fluviali che attraversano il Vimercatese

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La trama pubblica e lo spazio aperto

La trama pubblica e la città - La rete dei percorsi, i corridoi fluviali e vallivi , i margini, si confrontano con le dimensioni, gli elementi della città, con i servizi, i centri sportivi, le scuole, ma anche con le espansioni residenziali e i quartieri a contatto con lo spazio aperto. La trama pubblica e lo spazio aperto - La rete dei percorsi, i corridoi fluviali e vallivi , i margini, si confrontano le dimensioni e gli elementi dello spazio aperto, con la struttura del territorio agricolo, con gli elementi storici che lo connotano, con il sistema delle cascine, delle piccole costruzioni agricole, delle piantate, dei filari, dei roccoli.

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I margini tra urbanizzato e paesaggio agricolo L’attenzione specifica per questi contesti nasce dalla necessità di contenere l’espansione urbana e lavorare entro un fascia intermedia di contatto tra urbanizzato e spazio aperto agricolo. In questo senso è centrale la costruzione di una relazione chiara tra le parti che si realizza ad esempio attraverso la costruzione di un bordo netto che connette, ma contemporaneamente distingue, l’urbanizzato dalla campagna, una sorta di diaframma costituito di spazi fruibili, un percorso, prati, siepi, filari alberati.

Potenziamento dei corridoi fluviali e vallivi

Gli ambiti di riorganizzazione della relazione tra paesaggio agricolo ed urbanizzato Sono gli ambiti di frangia urbana dove lo spazio aperto si confronta con lo spazio edificato, le nuove espansioni, le nuove infrastrutture tangenziali e di connessione al sistema pedemontano. Sono gli ambiti in costruire progetti di che riorganizzino la relazione fra città e campagna. I tasselli agricoli Sono gli ambiti prettamente agricoli, dove è possibile una riorganizzazione nei tempi medi delle imprese agricole nella direzione di maggiori dimensioni medie, una diversificazione delle produzioni, una più stretta relazione con i consumi collettivi, la produzione di energia.

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Il Protocollo di Kyoto, tra riduzione ad assorbimento di gas ad effetto serra Paolo Viganò - responsabile scientifico Rete Clima - no profit Il Protocollo di Kyoto è un accordo volontario tra Stati steso in occasione della COP 3 di Kyoto (Conferenza delle Parti di Kyoto, 1997) e finalizzato alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, responsabili del riscaldamento climatico. Per i Paesi sottoscrittori l'accordo prevede precisi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, da conseguirsi nel periodo 2008-2012: gli obiettivi sono fissati in un preciso valore di riduzione percentuale rispetto ai propri livelli emissivi nazionali del 1990. Qualora sottoscritto da parte di uno Stato, il Protocollo comporta l'insorgenza di obblighi di riduzione vincolanti a suo carico, e comporta sanzioni nel caso di inadempienza agli obblighi nazionali. Per l'Italia l'obiettivo di riduzione è posto al -6,5% rispetto al 1990, pari ad una riduzione di 33,9 MtCO2eq (per arrivare ad un livello emissivo di 487,1 MtCO2eq al 2012, rispetto alla baseline emissiva di 521 MtCO2eq al 1990). Tali obiettivi di riduzione emissiva sottoscritti dagli Stati nazionali vengono successivamente allocati nazionalmente ai diversi operatori che realizzano fisicamente l'emissione dentro i confini dello Stato, i quali dovranno monitorare e rendicontare le proprie

performance emissive per arrivare a conseguire entro il 2012 gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra (GHG Green House Gases) loro assegnati. Gli obiettivi di riduzione emissiva nazionali sono integrati con obiettivi di assorbimento di gas serra mediante attività in campo agro-forestale, la cui tipologia è precisata all'interno del Protocollo di Kyoto: gli artt. 3.3 e 3.4 del Protocollo prevedono infatti un pool di attività che, se direttamente realizzate dall'uomo e successive al 1990, possono essere contabilizzate quali assorbimenti netti di CO2 atmosferica, a sgravio delle attività di vera e propria riduzione emissiva collegata al Protocollo medesimo. Per l'Italia l'obiettivo di assorbimento per il periodo 2008-2012 (collegato alle attività agro-forestali) vale 16,2 MtCO2, ripartito tra le diverse attività previste dal Protocollo agli artt. 3.3 e 3.4: si tratta di un valore elevato se si conta che le variazioni degli stock di carbonio previste per l'Italia dall'uso delle attività agro-forestali sono pari al 25,1% di quelle totali di tutti i Paesi dell' EU-15. Per quanto riguarda l'Italia, ai fini del raggiungimento dell'obiettivo forestale (di 16,2 MtCO2) oggi vengono quindi contabilizzati gli assorbimenti collegati alle attività di cui all'art. 3.3 del Protocollo di Kyoto (Afforestazione e Riforestazione) oltre che gli assorbimenti collegati al processo di Gestione Forestale, l'unico processo selezionato nazionalmente all'interno del pool delle attività "facoltative" contenute all'art. 3.4. Infatti, similmente a quanto operato dalla quasi totalità dei Paesi EU-15, nell'ambito delle attività agro-forestali ammesse dall'art. 3.4 del PK - le cosiddette "attività elettive" in Italia è stato scelto di eleggere la sola Gestione

Forestale quale attività da rendicontare ai fini del Protocollo. In relazione alle attività di cui all'art. 3.4 sono quindi oggi contabilizzati i solo assorbimenti operati dalle superfici forestali nazionali oggetto di Gestione Forestale, essendo state invece escluse dalla contabilità dell'assorbimento le altre attività opzionali espresse dall'art.3.4 del PK quali la gestione dei suoli agricoli, dei prati e dei pascoli e la rivegetazione. Questa logica di contabilizzazione vale fino al 2012, termine del periodo di validità del Protocollo di Kyoto, a partire dal quale si potrebbero potenzialmente contabilizzare anche gli scambi di carbonio operati dai suoli utilizzati in usi agro-pastorali (in accordo con le indicazioni che proverranno dagli accordi definiti durante le future COP, a partire dalla prossima COP 17 in svolgimento a Durban tra novembre e dicembre 2011). Per permettere una standardizzazione dei processi di contabilità degli assorbimenti agro - forestali di carbonio, nel 2003 l'Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change, organo tecnico della UNFCCC - United Nation Framework Convention on Climate Change) ha realizzato delle linee guida che propongono iter metodologici e strumenti tecnici per il calcolo degli assorbimenti di CO2 operabili da alcuni tipici sistemi agro - forestali. Si tratta delle "Good Practice Guidance for Land Use, Land-Use Change and Forestry" (GPG for LULUCF, Ipcc 2003), create per poter permettere una "contabilità standardizzata" degli assorbimenti di carbonio legati a specifici usi del suolo, ai suoi cambi di uso, alle superfici forestali: oggi queste linee guida sono state aggiornate dalle "2006, IPCC Guidelines for National Greenhouse Gas

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Inventories" - Volume 4 (AFOLU - Agriculture, Forestry and Other Land Uses), seppure queste ultime non sono state ancora approvate ufficialmente. Se i sottoscrittori del Protocollo di Kyoto sono gli Stati nazionali, nella logica del Protocollo medesimo è frequente l'interazione tra soggetti pubblici e privati che collaborano ciascuno secondo il proprio ruolo e le proprie prerogative all'attuazione delle misure per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione ed assorbimento emissivo. I quali obiettivi, qualora non siano svolti nazionalmente, possono essere promossi in uno o più Stati esteri mediante i cosiddetti "meccanismi di flessibilità" (ETS Emission Trading Scheme; CDM Clean Development Mechanism; JI Join Implementation), che permettono di terzializzare verso Paesi Esteri (mediante remunerazione o trasferimento di tecnologia a titolo oneroso) le attività di riduzione/assorbimento che un soggetto obbligato non riesce o non vuole realizzare "in proprio". In questo sistema sono centrali alcuni tipi di soggetti privati accreditati presso l'UNFCCC (United Nation Framework Convention on Climate Change) che, con particolare riferimento proprio ai progetti collegati ai meccanismi flessibili, operano una validazione di terza parte circa la riduzione o l'assorbimento emissivo che questi progetti permettono di conseguire. In questi progetti tali enti possono generare gli specifici crediti di carbonio della normativa di Kyoto, in seguito consegnati al titolare del progetto che li potrà poi scambiare a titolo oneroso sul mercato come "titoli al portatore". Questi crediti saranno indirizzati in sede finale verso i soggetti caricati degli obblighi di riduzione

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emissiva che non riescono a raggiungere i propri obiettivi di riduzione "in proprio", ed hanno quindi necessità di raggiungerli anche fruendo di riduzioni/assorbimenti operati da una terza parte (scambiati a titolo oneroso proprio attraverso i crediti). I crediti volontari di carbonio dentro i mercati volontari Emulando i mercati dei crediti ufficiali collegati alla normativa di Kyoto sono nati anche i cosiddetti "mercati volontari", che ripropongono dinamiche e relazioni simili a quelle dei mercati ufficiali nei confronti di soggetti economici (Aziende) che vogliono ridurre o compensare le proprie emissioni di gas serra su base volontaria: questi mercati si inseriscono in logiche aziendali di green marketing o di CSR (Corporate Social Responsability), scambiando crediti di carbonio non collegati alla normativa di Kyoto (quali i crediti VER, Gold Standard, VCS, …. etc.) con soggetti economici proattivi in campo ambientale. Questi mercati attualmente non regolamentatipossono essere occasione per operare attività ad elevato valore ambientale, che altrimenti probabilmente non sarebbero realizzate, a condizione però che gli operatori in essi presenti si muovano in logica di correttezza e di trasparenza: meglio

sarebbe che gli operatori che operano su questi mercati nel campo della compensazione forestale di CO2 si rifacessero agli standard tecnici collegati all'attuazione del Protocollo di Kyoto (quali - per esempio - le sopraccitate GPC for LULUCF dell'Ipcc, un requisito attualmente non vincolante), ma la complessità tecnica e scientifica di queste metodologie può essere un ostacolo alla loro diffusione ed al loro impiego. Ma, letti in una logica differente, questi mercati volontari potrebbero anche costituirsi come occasione di remunerazione per coloro che hanno disponibilità giuridica di fondi agro-forestali: in alcune precise e specifiche condizioni, infatti, i soggetti che operano sui mercati volontari per la generazione dei crediti di carbonio volontari potrebbero arrivare a remunerare gli agricoltori che desiderano afforestare le proprie aree (anche utilizzando incentivazioni o sussidi pubblici), ad integrazione del loro reddito agricolo realizzato su altre aree. Queste condizioni si verificano nei casi in cui ci si trovi in ambito urbano o si operi un imboschimento di terreni agricoli, cioè le uniche aree nazionali i cui assorbimenti di carbonio non sono già contabilizzati dallo Stato Italiano (nell'ambito dei propri obiettivi di assorbimento emissivo di cui sopra). Fino alla scadenza del Protocollo di Kyoto, infatti, lo Stato Italiano contabilizza in maniera esclusiva l'assorbimento di carbonio di tutte le superfici nazionali (indipendentemente dalla loro proprietà, pubblica o privata), utilizzando poi tale assorbi-mento per il raggiungimento degli obiettivi forestali nazionali collegati al Protocollo di Kyoto. Il "Piano dettagliato per il triennio 2004-2006 per la realizzazione del potenziale massimo nazionale di assorbimento


di carbonio" avrebbe voluto assegnare alle Regioni il compito di gestire gli assorbimenti di carbonio regionali, concedendo ai possessori dei fondi che operavano gli assorbimenti i relativi crediti di carbonio: se il Piano fosse stato approvato, le Regioni avrebbero avuto il compito di definire gli iter speditivi per la stima degli assor-bimenti di carbonio da parte delle diverse superfici agroforestali regionali, registrando poi tali assor-bimenti dentro un registro regionale e remunerando poi i titolari di tale aree con i crediti di Kyoto (successivamente valorizzabili a livello economico mediante lo scambio nei mercati dei crediti). Tale progetto non ha però mai visto la luce, quindi ad oggi è solo lo Stato che ha il ruolo di contabilizzare tali assorbimenti attualmente non remunerati a nessun soggetto- ed utilizzare gli specifici crediti forestali in rispondenza ai propri obiettivi di assorbimento definiti nell'ambito dell'adempimento agli obblighi del Protocollo di Kyoto. Come già detto superiormente potrebbe però esistere uno spiraglio per i titolari di aree agricole e che vengano poi afforestate: tale spiraglio è costituito da alcuni soggetti operanti sui mercati volontari che potrebbero remunerare con una quota non rilevante ma neppure simbolica- i titolari dei sopraddetti fondi nel caso questi cedano loro in esclusiva la contabilità dell'assorbimento di carbonio operato dalle foreste di neoformazione realizzate sui loro fondi. Assorbimento che oggi, in assenza di qualunque altro tipo di registro o di sistema di contabilità del carbonio su queste aree, non potrebbe essere alternativamente contabilizzato né remunerato da alcuno. Ragionando quindi in una logica privatistica,

secondo Rete Clima® la possibilità di generazione di un ricavo da questi assorbimenti è funzionale al fatto che questi possano essere "creditati", quindi che intervenga uno dei sopraccitati enti di certificazione che validi l'assorbimento di carbonio del progetto di forestazione, sulla base della sua conformità a precisi standard tecnici. Seppure operante "solo" sui mercati volontari di carbonio, Rete Clima® utilizza una metodologia compensativa validata conforme agli standard tecnici collegati all'attuazione del Protocollo di Kyoto (quali le Good Practice Guidance for Land Use, Land-Use Change and Forestry dell'Ipcc), un livello di accuratezza tecnica non richiesto dai mercati volontari e spesso neppure compreso nella sua valenza. La validazione della conformità della metodologia di Rete Clima® agli standard dell'Ipcc è stata ricevuta da RINA, soggetto accreditato all'UNFCCC e già operante nell'ambito della validazione dei progetti "ufficiali" collegati al Protocollo di Kyoto. In questa logica, qualora Rete Clima® realizzi un progetto forestale e ne modellizzi l'assorbimento secondo le linee guida dell'Ipcc (avendo disponibile in esclusiva la fruizione dell'assorbimento di carbonio operato dal fondo afforestato), può interfacciarsi con RINA e ricevere da questo ente la validazione dell'iter compensativo: insieme alla validazione vengono ricevuti anche i crediti volontari di carbonio, da poter poi collocare sui mercati volontari a disposizione delle Aziende che vogliano acquistarli per la neutralizzazione delle proprie emissioni ai fini di "green marketing" o di CSR (Corporate Social Responsibility). Ultima condizione per la creazione di reddito a partire da questi crediti

volontari così creati è che questi crediti riescano poi ad essere collocati sul mercato dei crediti volontari, a soggetti economici disposti a compensare volontariamente le emissioni di CO2 collegate alle proprie attività e produzioni. Un iter così articolato, che si fonda su logiche perfettamente coerenti con le prassi del Protocollo di Kyoto, potrebbe quindi permettere una remunerazione per i privati che, in questa condizione di mancanza degli strumenti normativi e tecnici per una gestione locale dei crediti di CO2, altrimenti non sarebbe possibile. Il percorso con cui questo reddito viene ad essere creato è tecnicamente e scientificamente ineccepibile, dal momento che, seppure non richiesto dai mercati volontari e comunque sovraordinato rispetto agli standard operativi spesso presenti in questi mercati volontari non regolamentati, si rifà agli strumenti espressi dall'Ipcc ed alle logiche di validazione di terza parte dei progetti. Questo iter esprime quindi in piccolo le logiche dell'attuazione del Protocollo di Kyoto su scala locale, in una logica di creazione di concrete azioni locali capaci di generare positivi effetti ambientali (locali e globali).

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La filiera della gestione degli scarti organici e il ruolo dei suoli nella lotta ai cambiamenti climatici E. Favoino, A. Confalonieri - Scuola di Agraria di Monza La necessità di recepire gli obiettivi del protocollo di Kyoto per la lotta all’effetto serra e al cambiamento climatico ha acquisito nel tempo un peso sempre più rilevante nella definizione della politica ambientale. Da questo punto di vista, la biomassa è stata troppo a lungo considerata esclusivamente come una potenziale risorsa energetica sostitutiva dei combustibili fossili. A partire dalla fine degli anni ‘90 invece, il progressivo approfondimento di tali temi ha portato ad una valutazione scientificamente più equilibrata in cui il ruolo della sostanza organica nel suolo viene considerato un fattore di rilievo nella strategia complessiva di lotta al cambiamento climatico.

Quello che scaturisce dalle valutazioni più recenti è che la fertilizzazione organica provoca nel tempo un accumulo di carbonio nel suolo, il che potrebbe fungere da meccanismo per la sottrazione, nel bilancio complessivo, di anidride carbonica all’atmosfera. Alcuni calcoli hanno giustamente sottolineato il fatto che un aumento dello 0,15% del carbonio organico nei suoli arabili italiani potrebbe fissare nel suolo la stessa quantità di carbonio rilasciata in atmosfera per l’uso di combustibili 1 fossili in un anno in Italia . Nell’ambito di alcune ricerche svolte per conto della Commissione Europea (sulle diverse opzioni di gestione dei rifiuti biodegradabili in conseguenza degli obiettivi di riduzione del loro smaltimento in discarica, come previsto dalla Direttiva 99/31/CE),

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Effetto dei differenti regimi di fertilizzazione annua con compost sui livelli di sostanza organica nel suolo: applicazione del modello previsionale al Sud Europa (spiegazioni nel testo, le 4 linee dall’alto in basso corrispondono al profilo di accumulo o impoverimento di sostanza organica nel suolo, in conseguenza di una fertilizzazione pari a 15, 10, 5 e 0 tonnellate di sostanza secca per ettaro e per anno)

concentrazione SO % peso suolo

8

7

6

5

4

3

2

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101 106 111 116 121 126 131 136 141 146 151 156 161 166 171 176 181 186 191 196 201 206 211 216 221 226 231 236 241 246 251 256 261 266 271 276 281 286 291 296

year

0 tonnes/ha.yr

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abbiamo definito un modello sugli effetti delle pratiche di fertilizzazione organica2; il modello è relativamente semplificato, ma in buona sostanza tiene conto dei principali pool di carbonio nel terreno e nell’atmosfera e delle loro dinamiche di trasformazione. Nella figura sono riportate le 4 curve di accumulo (od impoverimento) di sostanza organica nel terreno su un arco temporale di 300 anni, assumendo valori dei parametri che governano il modello tipici dell’Europa Meridionale e a regimi di fertilizzazione con compost pari rispettivamente a 0, 5, 10 e 15 t/ha di sostanza secca all’anno (per ottenere il peso fresco si può moltiplicare per 1,5 circa, assumendo il 35% di umidità). È evidente la magnitudo delle differenze di concentrazione di sostanza organica nel suolo già dopo un tempo

5 tonnes/ha.yr

10 tonnes/ha.yr

15 tonnes/ha.yr

1 Prof. P. Sequi al Compost Symposium, Vienna, 29-30 Ottobre 1998 2 Il modello non viene qui descritto integralmente per brevità. Per i relativi dettagli, si può consultare il paper: Favoino, E., Hogg, D.: “Composting and Greenhouse Gases: strategic views and a preliminary assessment”: in: Atti della Conferenza “Biological Tretament of Biodegradable Waste”, organizzata dalla Commissione Europea a Bruxelles, 8-10 aprile 2002.; la presentazione è consultabile on-line sul sito: Http://ec.europa.eu/environment/waste/eventspast/bio_program me.htm


relativamente breve, magnitudo non trascurabile alla luce del ragionamento sopra richiamato sulla quantità di carbonio da accumulare nel suolo onde bilanciare le emissioni in atmosfera da tutto il sistema antropico ed industriale. Per tutto quanto sopra, le due conferenze sul cambiamento climatico di Bonn (16-27 luglio 2001) e di Marrakech (29 ottobre-10 novembre 2001) hanno sottolineato l’importanza di includere nelle valutazioni globali anche il contributo sino ad ora purtroppo negletto dell’arricchimento (o dell’impoverimento) di sostanza organica nel suolo. È, questa, la premessa per impostare politiche conseguenti di promozione delle pratiche di fertilizzazione organica e di recupero delle biomasse mediante compostaggio. Oltre all’effetto diretto sul “sequestro” di carbonio nel suolo, la fertilizzazione organica consente: Ÿ di sostituire almeno parzialmente la concimazione chimica (evitando il consumo di combustibili fossili per la produzione e lo sviluppo di altri gas-serra come l’N2O in conseguenza della loro applicazione); Ÿ di migliorare la lavorabilità del suolo (il che significa risparmiare energia nelle lavorazioni principali e complementari); Ÿ di migliorare la ritenzione idrica (diminuendo la richiesta di energia per l’irrigazione); Ÿ di diminuire l’erosione e la conseguente mineralizzazione intensiva di sostanza organica negli strati superficiali (che determinerebbe un ulteriore trasferimento di anidride carbonica nell’atmosfera nel bilancio complessivo).

Questo tipo di considerazioni è adottato sempre più di frequente come principio guida per le decisioni politiche in campo ambientale. Coerentemente con esse, i Gruppi di Lavoro su “Agricoltura” e “Suolo” nell’ECCP (Programma Europeo sul Cambiamento Climatico) hanno raccomandato l’adozione - tra l’altro - di politiche e pratiche intese al recupero del ruolo centrale della fertilizzazione organica dei suoli, incluso il sostegno alle strategie di compostaggio. Tali principi hanno d’altronde ispirato alcune pratiche di sostegno economico all’uso dei fertilizzanti organici (incluso il compost) di recente adozione da parte di alcune Regioni italiane. Ci riferiamo in particolare alle azioni sviluppate, nell’ambito dei Programmi di Sviluppo Rurale, dalle Regioni Abruzzo, Campania, EmiliaRomagna, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Puglia le quali, riconoscendo il ruolo-chiave della sostanza organica nel garantire fertilità, prevenire eutrofizzazione da concimi chimici, sequestrare carbonio, combattere l’erosione, favorire una più efficiente ritenzione idrica, ecc. hanno adottato contributi a favore degli agricoltori che utilizzano ammendanti organici. Va infine rimarcato che per tutto quanto sopra, anche la recente Comunicazione della Commissione Europea sulla Strategia per il Suolo3, e i conseguenti report dei Gruppi di Lavoro istituiti nell’ambito della “Consultazione Europea sui Suoli” focalizzano l’importanza della sostanza organica, oltre che per il sequestro di carbonio nei suoli, anche per la lotta alla desertificazione e dall’erosione e per il miglioramento delle condizioni edafiche complessive.

Vale la pena a tale proposito analizzare un report della Commissione EU, Unità Suoli, dal titolo significativo: “Review of existing information on the interrelations between soil and climate change”4 (“Rassegna delle informazioni disponibili sulle relazioni tra suolo e cambiamento climatico”), che è nel suo complesso una clamorosa conferma del fatto che le strategie di lotta al cambiamento climatico non possono più dimenticarsi della importanza della componente-suolo. 3

Communication from the Commission to the Council, the European Parliament, the Economic and Social Committee and the Committee of the Regions: “Towards a Thematic Strategy for Soil Protection”, COM(2002)179 4 Il report, in inglese, può essere scaricato dal sito http://ec.europa.eu/environment/soil/review_en.htm

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È significativo riportare alcuni passaggi del comunicato-stampa con cui l’allora Commissario all’Ambiente Dimas e l’Unità Suoli presentano il Report sul sito UE: “(…) Il suolo contiene circa il doppio del carbonio presente in atmosfera e tre volte quello trattenuto dalla vegetazione. I suoli europei sono un'enorme riserva di carbonio visto che ne contengono circa 75 miliardi di tonnellate che, se gestiti male, possono avere gravi conseguenze. Se ad esempio non si proteggono le torbiere ancora presenti in Europa, verrebbe emesso lo stesso quantitativo di carbonio prodotto da 40 milioni di automobili in più.” Particolarmente significativo, poi, il seguente passaggio: “Il rapporto, una sintesi dei migliori dati disponibili sulle connessioni tra suolo e cambiamenti climatici, sottolinea la necessità di sequestrare il carbonio nei suoli. La tecnica è competitiva in termini di costi ed è già disponibile, non richiede tecnologie nuove o sperimentali e presenta un potenziale di mitigazione comparabile a quello di qualsiasi altro settore economico. In linea con la strategia tematica per la protezione del suolo e per ottenere un maggior sequestro di carbonio nel suolo occorre invertire l'attuale andamento di degrado del suolo e migliorare le pratiche di gestione”. ŸLeggendo diffusamente il report, vi sono dei messaggi di fondo che finalmente ricevono un riconoscimento istituzionale, ed al massimo livello di credibilità e di impatto strategico.

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Ÿ Non è tanto il livello attuale di sostanza organica quello che conta, quanto l’effetto del cambiamento (al rialzo od al ribasso) indotto dalle diverse pratiche: in altri termini, anche nei Paesi del Nord Europa è importante la fertilizzazione organica, (nonostante il tenore già elevato di carbonio nel suolo) proprio per mantenere il pool esistente, mentre sarebbero clamorosi (e clamorosamente positivi) gli effetti di strategie e Piani di Azione intesi ad elevare il preoccupante livello di sostanza organica nelle nostre condizioni pedoclimatiche. La cartina di cui alla Figura 2 mostra la povertà di sostanza organica nei suoli dell’area mediterranea, e – rimanendo in ambito italiano - sottolinea la condizione di particolare degrado (con tenori di C inferiori all’1%) dei suoli in Sicilia, in diversi comprensori sardi, e sulla “dorsale Adriatica”. Ÿ Le strategie di lotta al cambiamento climatico non possono solo concentrarsi sulla dimensione energetica del problema, enfatizzando oltremodo la necessità di produrre energia rinnovabile (nel caso specifico, da biomassa); la produzione di fonti rinnovabili (es. le energy crops) potrebbe infatti andare addirittura a discapito della conservazione del pool di C nel suolo (es. nel caso di passaggio da prato-pascolo a seminativo per energy crops), con un effetto complessivo negativo (che le analisi del ciclo di vita, come abbiamo più volte sottolineato, faticano a calcolare ed evidenziare dal momento che sono relativamente “indifferenti” agli effetti-suolo delle diverse strategie.

Livelli di Carbonio organico nel suolo in Europa.


Riportiamo infine, tradotti e condensati, alcuni dei messaggi-chiave elencati nel “rapporto Esecutivo”. Gli stock di C nei suoli europei Gli stock di C nei suoli nell’Europa dei 27 sono circa 75 miliardi di tonnellate; circa il 50% è localizzato in Svezia, Finlandia e Regno Unito e circa il 20% è nelle aree a torbiera. Torbiere e suoli “organici” Le maggiori emissioni di CO2 dai suoli risultano dal cambiamento di uso e specialmente dal drenaggio (per conversione alla coltivazione, ndt) dei suoli organici, nel cui caso si possono avere emissioni di 20-40 t di CO2 per ha ed anno. L’opzione più efficace per gestire il C del suolo allo scopo di combattere il cambiamento climatico è preservare gli stock esistenti, specialmente in torbiere e suoli organici. Uso del suolo e C l’uso del suolo, ed i cambiamenti nello stesso, influenzano gli stock di C in modo significativo. In media, è probabile che i suoli europei accumulino C (agendo da sink) in condizioni di prato-pascolo o foresta (con stime da 0 a 100 miliardi di t di C per anno) e che agiscano invece da “fonte” di C in condizioni di suolo arabile. (con stime da 10 a 40 miliardi di t di C per anno). Perdite di C dal suolo si hanno quando i prati-pascoli, le foreste o gli ecosistemi naturali sono convertiti in seminativi; viceversa, la riconversione di seminativi determina un aumento degli stock di C nel suolo, anche se questo è più lento.

Gestione del suolo e C La gestione del suolo ha un impatto determinante sul C del suolo. Le misure intese alla buona gestione del C nel suolo sono disponibili e ben conosciute, e molte di queste sono praticabili e relativamente poco costose (rispetto ad altre strategie di lotta al cambiamento climatico, ndt) da implementare. La gestione intesa a ridurre le emissioni di N e di C è un approccio utile a evitare emissioni dei gas serra CO2, CH4 ed N2O. (rammentiamo ancora una volta l’importanza dell’uso del compost ad es. per prevenire l’emissione di N2O da fonti di N a pronto effetto come i concimi chimici, ndt). Sequestro di C per quanto efficiente nel ridurre o rallentare l’accumulo di CO2 in atmosfera, il sequestro di C di sicuro non è determinante, di per sé, nella lotta al cambiamento climatico, in ragione della limitata dimensione di tale effetto5 e della sua potenziale reversibilità; tuttavia, può giocare un ruolo primario nella mitigazione del cambiamento climatico, specialmente grazie alla sua disponibilità immediata ed al basso costo di implementazione per farci “guadagnare” tempo (nei decenni in cui il C è “intrappolato” nel suolo, ndt). Le politiche EU ed il C del suolo – I requisiti ambientali nella richiesta di cross-compliance della nuova Politica Agricola Comunitaria sono uno strumento che potrebbe essere usato per mantenere ed incrementare il C nel suolo. (…) la Politica UE sulle energie rinnovabili non è necessariamente una garanzia per una gestione appropriata del C del suolo.

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Come abbiamo più volte argomentato, la “limitazione dell’effetto” è in realtà una distorsione di valutazione determinata dal corrente approccio metodologico per la valutazione del “sequestro di C”, che si basa su una limite (arbitrario) di persistenza di 100 anni, al di sotto dei quali il C non è considerato “sequestrato”. In realtà, anche la permanenza “temporanea” (es. per 50 o 70 anni) di C nel suolo determina, nel bilancio complessivo, un aumento del pool di C nel suolo ed una diminuzione di quello in atmosfera, e nel frattempo induce gli effetti ammendanti (migliore lavorabilità, migliore ritenzione idrica, ecc.) che a loro volta riducono l’input energetico al settore agricolo.

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Sempre in ambito della riproduzione animale alla Provincia sono assegnate le funzioni riguardanti la vigilanza amministrativa sulla tenuta dei libri genealogici - registri anagrafici quali strumenti mirati al miglioramento genetico del bestiame da reddito e alla salvaguardia delle biodiversità. Vengono altresì svolti controlli atti a garantire la corretta applicazione in termini di tracciabilità e trasparenza delle attività riproduttive, come previsto dalla normativa nazionale che disciplina la riproduzione animale. Nell'ambito delle produzioni biologiche, la Provincia istruisce le procedure di iscrizione e cancellazione delle aziende biologiche dall'elenco della

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Il recupero della Pecora brianzola

Regione Lombardia, si occupa dell' accoglimento delle notifiche e delle relative istruttorie, della trasmissione degli elenchi provinciali degli operatori biologici al Servizio Regionale competente, della vigilanza sugli Organismi di Controllo presso gli operatori iscritti, nonché della eventuale cancellazione dell' operatore dall' elenco provinciale in caso di sospensione a seguito di infrazione o irregolarità gravi comunicate dall' Organismo di controllo. Infine, nell'ambito degli OCM (Organismi di Controllo di Mercato), la Provincia svolge funzioni di controllo dei meccanismi di qualificazione atti a definire e a regolamentare l'erogazione di fondi mirati al sostegno della filiera produttiva attraverso una pianificazione dei prezzi, di sovvenzioni alla produzione e alla distribuzione dei diversi prodotti all'esportazione. La pecora Brianzola era fino a non molto tempo fa, allevata in cascina nel triangolo compreso tra Como, Lecco e Monza: il suo utilizzo era prevalentemente destinato alla produzione di carne. Anticamente la popolazione era costituita da un elevato numero di capi che è andato progressivamente aumentando fino all'ultimo conflitto mondiale, quando raggiunse l'apice della sua diffusione. Non formava greggi dediti alla transumanza, ma veniva mantenuta al pascolo attorno alla azienda. Nel dopoguerra il repentino inurbamento della Brianza ne ha purtroppo decretato un rapido declino, portando la razza sull'orlo dell'estinzione. Un gruppo di allevatori, con il sostegno delle amministrazioni provinciali, si è impegnato per il suo recupero e rilancio, salvando l’ultima popolazione ridotta a

circa duecento capi agli attuali seicento. L'Associazione della pecora Brianzola, costituita nel 1999, oggi opera su di un ampio territorio con oltre cinquanta allevamenti distribuiti nelle Province di Lecco, Como e Monza. Nel 2004 la Regione Lombardia ha inserito la Brianzola nel piano di sviluppo rurale come animale da salvaguardare e quindi oggetto di contributi per l'allevatore. Il 7 aprile 2008 l'”Agnello di razza Brianzola” è stato inserito dalla Regione Lombardia nell'elenco dei prodotti tipici regionali. In Provincia vi sono diverse aziende che hanno avviato l’allevamento di questa razza nel Parco delle Groane, a Mombello e ora anche nel Parco Valle Lambreo. La taglia e la struttura conferiscono alla razza doti di grande resistenza, robustezza e rusticità. La principale differenza tra la Brianzola e la più numerosa cugina Bergamasca è da ricercare sul piano funzionale. Il mantenimento stanziale della Brianzola nei pascoli prossimi alla cascina, normalmente recintati, quindi turnati e più ricchi, ha offerto loro una maggiore disponibilità di alimento; questa circostanza ha permesso di selezionare la razza in base alla prolificità, carattere poco compatibile con le fatiche della transumanza. Ed è proprio la prolificità della Brianzola, per la quale parti gemellari o plurigemellari sono la regola, ad averne orientato l’utilizzo da carne piuttosto che per il settore lattiero caseario. La pecora Brianzola partorisce due volte ogni 14 mesi, manifestando ottime doti di fertilità e producendo agnelli di buona qualità.


Come rispondere alle emergenze pandemiche nel settore agroforestale Marco Boriani - Regione Lombardia - D.G. Agricoltura – Servizio fitosanitario regionale I mutamenti climatici e la globalizzazione sono i due fenomeni che, più di altri, hanno contribuito e contribuiscono a favorire la diffusione di parassiti e patogeni in ambito agroforestale. I mutamenti climatici si concretizzano in aumenti delle temperature medie e alterazioni del regime delle precipitazioni annuali che accentuano la comparsa di condizioni che limitano la tolleranza alle avversità, accrescendo così la dannosità di molti parassiti e favorendo altresì la diffusione di quelli di origine esotica. La conseguenza più evidente dei mutamenti climatici è rappresentata dalla crescente diffusione, in ambito forestale, di fenomeni di deperimento che si originano da stress di varia natura e sono aggravati dagli attacchi di patogeni e insetti fitofagi. Altra grave conseguenza delle modificazioni del clima è l'introduzione e la diffusione di patogeni e insetti esotici in aree dapprima indenni, con una significativa espansione dei loro areali di distribuzione dove possono svilupparsi in forma epidemica, determinando conseguenze negative sulla biodiversità e sugli equilibri biologici degli ecosistemi interessati dalla loro comparsa.

Esempi di specie esotiche introdotte artificialmente sul nostro territorio Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ Ÿ

Cocciniglia del gelso (Psedalaucapsis pentagona) - 1885 Iceria degli agrumi (Icerya purchasi) - 1900 Tignola del pesco (Cydia molesta) - 1921 Dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata) - 1944 Tingide del platano (Corythuca ciliata) - 1964 Minatore fogliare della robinia (Parectopa robiniella) 1970 Metcalfa (Metcalfa pruinosa) - 1979 Ifantria (Hyphantria cunea) - 1983 Tarlo asiatico (Anoplophora chinensis) - 2000 Punteruolo rosso delle Palme (Rhynchophorus ferrugineus) - 2004

A ciò si devono aggiungere gli effetti della globalizzazione che si manifestano nella facilità con cui il commercio e i trasporti possano agevolare il rapido spostamento, oltre che degli uomini, delle materie prime, delle derrate alimentari e del materiale legnoso e di moltiplicazione, con i rischi che ciò comporta nella diffusione di organismi indesiderati. Tali circostanze facilitano l'ingresso nei Paesi della Comunità Europea di specie esotiche di varia provenienza. Delle specie di artropodi d'importanza agraria e forestale introdotte nel nostro Paese, tra le più recenti e conosciute si possono infatti ricordare la Diabrotica del mais Diabrotica virgifera virgifera (LeConte) e il Moscerino dei piccoli frutti Drosophila suzukii (Matsumura), il Tarlo asiatico Anoplophora chinensis (Forster), il Cinipide del Castagno Dryocosmus kuriphilus (Yasumatsu) e il Punteruolo rosso delle palme Rhynchophorus ferrugineus (Olivier). Le strategie possibili si basano sull'intensificazione delle attività di monitoraggio e sull'attuazione degli interventi specificamente più idonei per ripristinare la funzionalità delle cenosi vegetali, così da prevenire e contenere tempestivamente le pullulazioni delle popolazioni di tali organismi nocivi. Il monitoraggio deve però innanzi tutto prevenire l'introduzione di tali organismi in aree di possibile nuova introduzione. Molti parassiti esotici arrivano infatti attraverso il materiale di propagazione. Lo scambio internazionale di materiale vegetale si è al giorno d'oggi intensificato enormemente, aumentando i rischi di nuove introduzione e rendendo sempre più complessa l'opera di salvaguardia delle frontiere. L'impiego

La diabrotica del mais (Diabrotica virgifera virgifera) Insetto arrivato probabilmente a bordo di un Aeroplano alla Malpensa, da cui si è diffuso. Si combatte mediante la rotazione dei campi con buona efficacia. Se si mantiene la monocultura maicola viceversa i danni sono molto rilevanti, come si può osservare nell’immagine sottostante.

sempre più frequente di specie arboree esotiche in piantagioni legnose o come specie ornamentali, ha spesso veicolato importanti parassiti nativi delle aree di origine dei vegetali. Nell'era della globalizzazione dei mercati la sanità del materiale vegetale assume importanza strategica, con ricadute che possono risultare rilevanti per le economie nazionali e regionali.

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Galle provocate al Castagno dal Cinipide

Le ingenti risorse impiegate nel tentativo di prevenire o arginare la diffusione epidemica di pericolosi parassiti non hanno impedito l'accrescersi del numero delle introduzioni accidentali, che è in continuo aumento. Una nuova strategia non dovrà quindi solo limitarsi ai controlli doganali, che presentano oggettivi limiti, ma anche definire un sistema internazionale di produzione dei vegetali che contribuisca, con elevati standard di qualità, a minimizzare la diffusione, con il materiale di moltiplicazione, di pericolosi organismi da quarantena. A ciò però si deve anche aggiungere la necessità di provvedere, in ambito locale, alla diffusione di una corretta informazione sulle specie dannose, che privilegi le finalità informative invece della sempre troppo spesso diffusa vocazione a creare allarmismi, alimentati da notizie non documentate, che non portano alcun contributo di conoscenza, ma generano spesso solo esagerate apprensioni.

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Il Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu, più conosciuto come Cinipide Galligeno del Castagno, è un insetto da quarantena soggetto ad un decreto di lotta obbligatoria (Decreto Ministeriale del 30 ottobre 2007). Attualmente risulta presente in quasi tutte le regioni italiane. La sua diffusione è favorita dallo spostamento del materiale di moltiplicazione infestato che risulta, durante l'inverno, asintomatico. Quest'insetto ha la capacità di portare ad un rapido deperimento le piante attaccate. Il deperimento è conseguenza del mancato o ridotto sviluppo dei germogli derivanti da gemme che, a primavera, a causa della presenza delle larve nei tessuti meristematici, si evolvono in galle. La ridotta fioritura, che si ripercuote sulla produzione mielaria e frutticola, oltre che il ridotto accrescimento delle piante colpite, sono il risultato più evidente della presenza di consistenti popolazioni di questo insetto. L'azione operata dagli antagonisti naturali nel mantenere il Cinipide al di sotto della soglia di danno è quanto si verifica nell'areale d'origine della specie ed è l'obiettivo dei programmi di lotta biologica attualmente in corso in Italia. Esperienze condotte hanno infatti dimostrato l'utilità e l'efficacia del parassitoide specifico Torymus sinensis Kamijo nel ricondurre la popolazione del Cinipide ad una condizione di equilibrio con l'ecosistema-bosco, premessa per un controllo stabile, a medio e lungo termine, di questa specie esotica. L'introduzione di questo antagonista specifico ha interessato, in questi anni, molte regioni italiane. L'obiettivo di questi rilasci è di raggiungere un equilibrio dinamico tra l'ospite e il proprio specifico antagonista, che è la condizione necessaria e sufficiente per mantenere sotto controllo questa specie nel tempo. La presenza del Cinipide del Castagno in Lombardia è nota dalla primavera del 2006. Attualmente quest'insetto è presente, con popolazioni eterogenee, in quasi tutte le aree castanicole della Lombardia. I trattamenti insetticidi sono scarsamente efficaci e danno risultati controproducenti. Il 2 maggio 2008 ad

Il Cinipide del Castagno Albino (Bergamo) fu rilasciato un primo gruppo di antagonisti, la cui successiva generazione fu rinvenuta nella primavera 2009. Attualmente il T. sinensis si trova stabilmente insediato in Valle Seriana e quell'area costituirà pertanto la prima “area di moltiplicazione” dell'insetto in Lombardia. Le modalità d'introduzione sono di tipo “propagativo”: all'introduzione segue la successiva diffusione naturale dell'antagonista. Tale modalità risulta molto efficace a medio e lungo termine perché consente una regolazione naturale della dinamica di popolazione dell'ospite. Ci troviamo quindi di fronte ad un antagonista specifico che non può essere riprodotto in laboratorio: è una qualità decisiva per ottenere nel tempo il controllo del Cinipide e il mantenimento delle sue popolazioni al di sotto della soglia di danno; è anche un limite, soprattutto nelle fasi iniziali, potendo ottenere solo in Natura individui dell'antagonista da rilasciare. Nuove introduzioni sono previste nei prossimi anni e contribuiranno a diffondere ulteriormente l'antagonista nelle aree dove non risulta presente. Il Cinipide ha un ruolo, in questa fase storica e nelle aree di maggiore presenza, sulla produzione e sugli accrescimenti legnosi. Tuttavia si tratta di una condizione temporanea che sarà già destinata, nei prossimi anni, a regredire. L'attivazione di meccanismi di autoconservazione interni alla specie, legati alle disponibilità alimentari, e i condizionamenti dovuti all'introduzione e diffusione del suo parassitoide specifico, così come il concorso di altri antagonisti generici e indigeni, porteranno la consistenza numerica delle sue popolazioni al di sotto della soglia di danno e in una condizione di equilibrio dinamico, negli ecosistemi interessati, tale da garantire nel tempo una normalizzazione della sua presenza. Torymus cinensis - l’antagonista

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Il Cinipide del Castagno in Lombardia: attualità e prospettive di controllo


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AVVICENDAMENTO è quello che presenta la maggiore efficacia in assoluto. La scelta colturale deve privilegiare la redditività della coltura o, per chi produce unità foraggere, il fabbisogno foraggero aziendale. L’azienda potrebbe indirizzarsi, nella pianura irrigua, verso la soia o il sorgo da granella, o verso una doppia coltura: cereale vernino (preferibilmente l’orzo anche per la sua precocità di raccolta) seguito dalla soia. Ulteriori alternative potrebbero essere colza, erba medica, o pisello proteico a semina autunnale. L’azienda zootecnica ha nel silomais la principale fonte di unità foraggere e le alternative sono condizionate dalla necessità di compensare questa mancanza. Nelle aziende dove il mais è coltivato insieme a prati stabili in aree non irrigue, l’alternativa è limitata a cereali vernini raccolti a maturazione cerosa, quali frumento e triticale. Un’ulteriore alternativa potrebbe essere la soia con semina su sodo.

Metodi di controllo ripartiti per obiettivi

Riduzione della popolazione

Protezione della coltura

Avvicendamento

Cure colturali

Semina ritardata

Concianti e geodisinfestanti

Trattamenti adulticidi per ridurre le ovideposizioni

Trattamenti adulticidi per proteggere la fecondazione

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Ogni azienda agricola presenta caratteristiche proprie per gli ordinamenti colturali adottati, per le condizioni pedoclimatiche e per i risultati economici che le scelte aziendali possono produrre. Gli aspetti tecnici ed economici condizionano la gestione aziendale. Essa deve quindi essere finalizzata a prevenire la crescita numerica delle popolazioni dell’insetto anche in assenza di danni e proprio per prevenirne la comparsa. Questa specie è infatti in grado di causare perdite di resa anche molto consistenti, che sono spesso la conseguenza di una sottovalutazione o mancata gestione e alle quali non è possibile porre rimedio a coltura in campo. Tra i metodi occorre quindi distinguere quelli che determinano un controllo della popolazione nel tempo e quelli che hanno validità solo nella protezione della coltura nell’anno in corso, ma non hanno un effetto signifi cativo nel contenere il numero di larve e adulti che si svilupperanno l’anno successivo:

Estratto da ERSAF

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La lotta alla Diabrotica del mais

SEMINA RITARDATA L’effetto positivo dell’avvicendamento è legato al fatto che le larve muoiono di fame nel giro di pochi giorni non trovando di che alimentarsi al momento della loro nascita. Lo stesso risultato può essere ottenuto seminando il mais solo dopo che più del 50% delle uova sono già schiuse. CURE COLTURALI L’ottimale sviluppo della coltura è un elemento fondamentale per ottenere buone produzioni e per contrastare l’attacco dell’insetto. Pur non rappresentando delle vere e proprie tecniche di controllo, le cure colturali possono influire in modo significativo sulle rese. Semina tempestiva, concimazione, irrigazione e rincalzatura possono influenzare positivamente lo sviluppo dell’apparato radicale. CONCIANTI E GEODISINFESTANTI Esperienze pluriennali hanno dimostrato la validità di alcuni concianti nel contenere il danno radicale e ridurne l’impatto sulle rese. Analoghe valutazioni possono essere fatte per i geodisinfestanti anche se il loro utilizzo in questi ultimi anni è stato trascurabile. TRATTAMENTI ADULTICIDI A) Controllo delle ovideposizioni Deve essere applicato prima che le femmine abbiano deposto un numero signifi cativo di uova. B) Protezione della fecondazione In presenza di popolazioni molto numerose l’attività degli adulti sulle sete durante la fioritura può interferire con la fecondazione riducendo il numero di cariossidi attese. Questo danno è generalmente secondario o limitato ad aree limitate degli appezzamenti, ma talvolta può essere significativo. Attraverso un monitoraggio attento degli adulti nelle prime settimane dalla loro comparsa è possibile ottenere informazioni utili sulla necessità d’intervenire.

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In un territorio dove l’agricoltura sta assumendo un ruolo vieppiù residuale per l’avanzata della città, l’attività orticola assume una importanza crescente. Soprattutto nell’area del Vimercatese si sono recuperate attività tradizionali che si stanno radicando e costituiscono una proposta interessante di valorizzazione del territorio; fra queste l’asparago rosa di Mezzago. In Lombardia il nome Mezzago è da sempre associato all’asparago, oltre che ad un noto luogo di ritrovo e musica per i giovani. Diversamente da quanto accade in tutto il resto d’Italia, dove si producono turioni completamente verdi o bianchi, quelli raccolti a Mezzago mantengono l’apice rosato (3-4 centimetri) e la rimanente parte completamente bianca. Il ciclo produttivo inizia ai primi di aprile e termina circa a fine di maggio. Il caratteristico colore e le peculiari qualità organolettiche, determinate dalle condizioni

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pedoclimatìche del mezzaghese - terreno argilloso con particolare presenza di minerali ferrosi - fanno dell’asparago rosa di Mezzago un prodotto unico e particolarmente pregiato. Dal 2000 è stata avviata un’iniziativa volta alla reintroduzione dell’asparago rosa, recuperando una tradizione dei primi del ‘900 e che ha raggiunto l’apice negli anni ’30, quando gli asparagi venivano venduti ai mercati ortofrutticoli di Monza e Milano. Negli ultimi decenni purtroppo questo tipo di coltivazione è stato soppiantato da altre a carattere intensivo e dalla riduzione dei lavoratori agricoli. Ma taluni campi ad asparago sono rimasti nel piccolo Comune prossimo all’Adda, tanto da mantenere viva la tradizionale sagra dedicata proprio a questo ortaggio, la cui prima edizione risale al maggio 1960. Negli ultimi anni l’obiettivo di riscoprire l’antica tradizione è ormai una realtà; le sinergie tra Amministrazione Comunale, Regione Lombardia, la Provincia e l’Istituto Sperimentale per l’Orticoltura di Montanaso Lombardo e l’impegno della

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Un paese e una passione per l’agricoltura: Mezzago e l’asparago rosa

Cooperativa asparagicoltori e di altri agricoltori hanno consentito produzioni “eccellenti” dal punto di vista qualitativo e in misura sufficiente per sostenere le aspettative dei consumatori locali. Oggi questa produzione occupa 12 ettari di campi attorno al paese: è una realtà piccola, ma fondamentale per la sua vitalità e qualità. L’orgoglio di una comunità locale attorno al suo prodotto coinvolge tutti i cittadini che partecipano alla sagra come a un momento di vita collettiva. Nel ristorante della Sagra, gestito su base interamente volontaria, è stata sviluppata una cucina modellata sull’asparago che dimostra le potenzialità creative che si possono sviluppare attorno ad un semplice, genuino ortaggio coltivato nel campo dietro casa. Per sostenere questo prodotto, il Comune ha istituito un apposito marchio e la Regione lo ha incluso fra quelli tipici regionali. La realizzazione dell’autostrada Pedemontana sottrarrà alcuni campi a questa coltura. Si sta cercando di reperire nuove aree per compensare questa perdita, anzi per aumentare la produzione. Intanto l’asparago di Mezzago è comparso sugli scaffali di diversi centri commerciali della Brianza: costa più degli altri, ma il prodotto viene comunque acquistato, segno che la popolazione apprezza e valorizza ciò che ben conosce e stima.


Contenimento del consumo di suolo e tutela del territorio nel quadro delle scelte del PTCP Dario Allevi - Presidente della Provincia di Monza e della Brianza “...Grazie per essere intervenuti a questa tappa così importante dei nostri Stati Generali, dedicata a uno degli argomenti che più ci sta a cuore: la tutela della bellezza più importante. Quella della nostra terra. Per questo vorrei partire oggi prendendo in prestito le parole di un grande poeta contemporaneo, Andrea Zanzotto, profondo conoscitore dei nostri tempi, che diceva “Dopo i campi di sterminio, stiamo assistendo allo sterminio dei campi”. Non è, questo, un banale gioco di parole ma una lucida consapevolezza della cementificazione selvaggia che ha colpito le nostre città con l'inevitabile e progressivo impoverimento del suolo a cui stiamo assistendo.

Affrontare questi temi in Brianza è ancora più indispensabile perché lo si fa partendo da un triste primato: quello di essere la seconda Provincia più urbanizzata d'Italia dopo quella di Napoli; consapevoli di essere una delle aree più sviluppate d'Europa dove nascono 20 imprese al giorno ma altrettanto certi di avere il 56% del suolo già consumato! Un territorio - lo sappiamo bene - dove gli abitanti sono cresciuti dell'11% negli ultimi 10 anni e che fa della nostra Provincia la prima per densità demografica in Italia: nei nostri 55 Comuni vivono 852.000 persone, 2000 per kmq! Ebbene qui in Brianza dove ogni giorno perdiamo 4.000 mq di aree libere (pari a 12 campi da tennis!!) è necessario dire ad alta voce: STOP! Basta cemento!

La Provincia lo sta dicendo fin dal primo giorno. E lo sta dicendo anche a costo di dover poi lottare nelle aule del tribunali perchè ci troviamo a bloccare talvolta nuovi insediamenti produttivi e/o ampliamenti di strutture già esistenti: sono tutti casi di evidente incompatibilità con la tutela del paesaggio e delle aree libere. Per questo faccio mio l'appello di Carlin Petrini, Presidente di Slowfood, che nei giorni scorsi dalle prime pagine di un grande quotidiano nazionale ha chiesto a tutti - alle Istituzioni in primis - una grande alleanza per salvare il paesaggio, anche alla luce dei recenti disastri accaduti in Liguria…

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“ Non c'è bisogno di nuove case, non c'è bisogno di nuovi capannoni: è ora di capire che chi li fa li fa soltanto per il proprio tornaconto privato e intanto distrugge un bene comune. Rispettiamo la proprietà privata ma il bene comune deve avere la precedenza. Il paesaggio - forse a prima vista meno tangibile dell'acqua - è un bene comune perché tutelandolo si preservano l'ambiente,la sicurezza delle persone,le attività agricole, i suoli, la bellezza. Il privato, fatti salvi i suoi diritti, non può privare il resto della comunità di qualcosa d'insostituibile e di non rinnovabile”. E noi – che siamo e rappresentiamo il pubblico abbiamo il dovere di difendere e proteggere il bene comune. Per questo il PTCP al quale stiamo lavorando ha come obiettivo centrale il controllo del consumo di suolo ricercando, insieme ai Comuni e alle forze sociali, vaste aree del territorio da assoggettare a tutela, utilizzando tutti gli strumenti previsti dalla normativa vigente.

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Ci stiamo concentrando - insomma - sull'insieme delle tutele determinate dai parchi, dagli ambiti agricoli strategici e dalla rete verde di ricomposizione paesaggistica insieme a tutti gli ambiti soggetti a salvaguardie di diversa natura che oggi rappresentano l'85% delle aree ancora libere in Brianza.

Non possiamo anteporre i vantaggi degli oneri di urbanizzazione alla difesa della nostra terra: per questo stiamo facendo insieme ai Comuni il censimento delle aree dismesse perché lì e solo lì è possibile investire, costruire, riqualificare … cominciamo ad investire sulla qualità rispetto alla quantità, puntiamo al bello.

Questo suolo libero va difeso a tutti i costi e la Provincia - che lo sta facendo con le unghie e con i denti,a costo di scontentare molti - chiede di poter contare su un esercito speciale, disposto a combattere accanto a noi questa battaglia: vogliamo i 55 Sindaci al nostro fianco!

E allora mi piacerebbe lanciare un grande piano di recupero di queste aree abbandonate, siano esse pubbliche che private: sono 107 tra grandi e piccole quelle censite finora per una superficie occupata che sfiora i 3 milioni di metri quadrati! Il mio appello ai Sindaci è: partiamo da qui per la nostra grande alleanza targata MB a difesa del suolo. Sono convinto che le nuove generazioni, almeno su questo … ci ringrazieranno...”


Gli ambiti agricoli strategici Davide Bressan La legge regionale definisce le norme e i criteri per la individuazione degli ambiti destinati all'attività agricola di interesse strategico ai sensi della legge di governo del territorio. Il piano territoriale di coordinamento provinciale definisce gli ambiti agricoli strategici (AAS) e stabilisce i criteri per la modalità e l'individuazione delle aree agricole nel Piano di governo del territorio a scala comunale; soprattutto stabilisce le norme di valorizzazione, di uso e di tutela degli stessi in rapporto con gli strumenti di programmazione e pianificazione regionale. Sono AAS quelle parti di territorio provinciale connotati da uno specifico e peculiare rilievo, sia sotto il profilo congiunto all'esercizio dell'attività agricola , sia all'estensione ed alle caratteristiche agronomiche del territorio. Gli elementi per l’individuazione degli AAS sono: Ÿ riconoscimento della particolare rilevanza dell'attività agricola; Ÿ l'estensione e continuità territoriale di scala sovracomunale, anche in rapporto alla continuità e all'economica di scala produttiva e alla qualificazione di peculiari filiere e di produzione tipiche; Ÿ le condizione di specifica produttività dei suoli. All'individuazione e caratterizzazione degli ambiti agricoli strategici risultano utili i seguenti elementi: Ÿ valutazione della classe del valore agroforestale; Ÿ aspetti socioeconomici del settore agro-silvopastorale comprensivi delle filiere agroindustriale e le opportunità multifunzionali dell'agricoltura; Ÿ valutazione della vocazione turistico-fruitiva dell'attività agricola;

Ÿ studi ed analisi esistenti in ordine all'economia di

Ÿ entità dei contributi comunitari assegnati alle

settore sotto il profilo della competitività; Ÿ ricognizione della presenza di elementi naturali e di valenza ambientale specificamente connessi all'attività agricola, anche con riferimento alla Rete Ecologica Regionale e alle connotazioni paesaggiste dei contesti rurali; Ÿ valutazione delle interferenze con le aree urbanizzate e le infrastrutture per la mobilità e i grandi impianti industriali ed energetici; Ÿ relazioni con le aree territoriali del Programma di sviluppo rurale. L'individuazione delle aree destinate all'agricoltura deve nascere da un'analisi dei caratteri del tessuto rurale produttivo comunale, sia negli aspetti socioeconomici e culturali che in quelli territoriali, ambientali, naturalisti e paesaggisti. La definizione degli ambiti agricoli strategici spetta dunque al PTCP, di cui ne è documento obbligatorio, mentre i Comuni devono concorrere alla loro definizione. Certamente gli ambiti agricoli strategici possono intersecarsi e sovrapporsi anche con altri ambiti inseriti nel sistema rurale-paesistico-ambientale: Ÿ ambiti a prevalenza ambientale e naturalistica (normalmente soggetti a norme regionali, nazionali e comunitarie); Ÿ ambiti di valenza paesistica del Piano del Paesaggio Lombardo; Ÿ sistemi a rete. Parametri fondamentali per la determinazione degli ambiti agricoli strategici: Ÿ numero, tipologia e consistenza delle aziende agricole operanti sul territorio comunale;

aziende dislocate sul territorio comunale; Ÿ eventuali studi ed approfondimenti relativi alla fertilità dei suoli e all'uso del suolo eseguiti alla scala di piano; Ÿ presenza di attività di tipo agrituristico e didattico, o di vendita diretta di materie prime prodotte in azienda ed in generale di attività legate alla multifunzionalità del settore; Ÿ produzione di prodotti agroalimentari tradizionali o tipici o di materie prime la cui lavorazione concorrerà alla produzione degli stessi; Ÿ tipo di prestazioni ambientali; Ÿ presenza di zone umide, fontanili, siepi e filari e di zone con vegetazione naturale e seminaturale; Ÿ presenza di aree agricole che costituiscono continuità del sistema verde, o funzionali alle compensazioni; Ÿ presenza di superfici ricadenti in Parche, riserve naturali, aree protette; Ÿ presenza di usi civici ed altri diritti particolari; Ÿ presenza di elementi distintivi del paesaggio agricolo tradizionale, di edifici e manufatti di valore storico; Ÿ presenza di aree agroforestali che svolgono azioni di protezione ambientale e di presidio idrogeologico; Ÿ stato e dinamica dell'attività agricola nelle aree di frangia periurbana con individuazione di quelle aree che possono svolgere funzioni di presidio a fenomeni di conurbazione o di offerta di servizi ambientali e ricreativi.

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Gli ambiti agricoli strategici nella proposta di PTCP della Provincia Amedeo Cedro - architetto co-estensore della bozza di Piano territoriale di coordinamento L'attività agricola costituisce il primo fattore per l'equilibrio ed il benessere ambientale di un territorio. Proprio sulla base di questa priorità la Regione ha stabilito che nella redazione dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale si debba prestare particolare attenzione al riconoscimento ed alla valorizzazione della attività agricola stabilendo che i PTCP debbano obbligatoriamente individuare gli ambiti del territorio provinciale destinati all'attività agricola di interesse strategico dettando i criteri per l'individuazione a scala comunale delle aree agricole nonché specifiche norme di uso e tutela. E' importante rilevare l'innovazione di queste disposizioni introdotte dalla Legge Urbanistica Regionale che riconoscendo alle attività agricole un ruolo strategico di interesse provinciale limitano

sensibilmente le possibilità dei singoli comuni di cambiare le destinazioni urbanistiche delle are agricole senza l'assenso dell'ente provinciale. Quella che vediamo in figura è un tavola del PTCP di Monza e Brianza che riporta insieme ad altre aree che poi andremo ad illustrare, l'individuazione degli ambiti agricoli di interesse strategico (in campitura di colore verde intenso) nei quali le norme del PTCP consentono esclusivamente gli interventi e le trasformazioni funzionali alla attività agricola vietando ogni altra attività estranea alla funzione agricola. L'individuazione degli ambiti agricoli di interesse strategico è stata operata secondo specifici criteri di riferimento: le condizioni di produttività dei suoli e il riconoscimento della particolare rilevanza dell'attività agricola provinciale sulla base dei dati

conoscitivi dell' Ente Regionale per i Servizi all' Agricoltura e della banca dati del Sistema Informativo Agricolo della Regione Lombardia; le specifiche rilevanze ed obbiettivi espressi dal Settore Ambiente ed Agricoltura della Provincia (come meglio illustrate dall'Ing. Bressan); l'estensione delle aree agricole e la loro continuità territoriale; la funzione ecologica paesistica e la presenza di elementi naturali e di valenza ambientale. Il lavoro di individuazione si è svolto per fasi successive ed ha richiesto un notevole impegno sia da parte del PIM e dei suoi consulenti così come delle singole amministrazione comunali ognuna direttamente interpellata, nonchè degli uffici tecnici provinciali che hanno svolto un consistente lavoro di coordinamento messa a punto e controllo incrociato dei dati. All'interno degli ambiti agricoli di interesse strategico che vediamo riportati nella tavola è consentita esclusivamente l'attività agricola, essi comprendono una superficie complessiva pari a 100 Km² più della metà delle aree libere non urbanizzate della provincia. Come evidenziato nella stessa tavola, gli ambiti agricoli di interesse strategico fanno parte di un più ampio sistema di aree verdi non urbanizzate il cui insieme è definito come “ sistema rurale paesaggistico ambientale” sottoposto a specifiche tutele, che in modo articolato hanno il comune obbiettivo della tutela e valorizzazione della funzione agricola dei suoli.

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In particolare osserviamo: campiti nella tavola con bordo verde scuro, l'estensione dei Parchi Regionali che, anche se non rientrano nelle competenze del PTCP sono subordinati a specifiche normative di salvaguardia e sono sede di diverse attività agricole; i Parchi Locali di Interesse Sovracomunale che per buona parte sono ricompresi negli ambiti agricoli di interesse strategico, campiti nella tavola con righe trasversali in verde scuro, e la rete verde di ricomposizione paesistica, campiti in colore verde chiaro.

Ambiti d’interesse provinciale

In particolare osserviamo: campiti nella tavola con bordo verde scuro, l'estensione dei Parchi Regionali che, anche se non rientrano nelle competenze del PTCP sono subordinati a specifiche normative di salvaguardia e sono sede di diverse attività agricole; i Parchi Locali di Interesse Sovracomunale che per buona parte sono ricompresi negli ambiti agricoli di interesse strategico, campiti nella tavola con righe trasversali in verde scuro, e la rete verde di ricomposizione paesistica, campiti in colore verde chiaro. Gli ambiti agricoli di interesse strategico fanno quindi parte di un sistema rurale paesistico ambientale che ammonta ad una superficie complessiva di 164 Km² pari all' 85 % delle aree libere non urbanizzate della provincia, con un patrimonio di aree ed attività rurali che si estende ben oltre i 100 Km² della parte compresa negli ambiti agricoli di interesse strategico.

Parchi regionali Parchi locali d’interesse sovraccomunale Rete verde di ricomposizione paesaggistica Ambiti destinati all’attività agricole d’interesse strategico Confini comunali Confine provinciale

Infine è importante rilevare che anche per la parte del territorio provinciale non urbanizzata, non compresa nel sistema rurale paesaggistico ambientale, il PTCP individua specifici ambiti di interesse provinciale, campiti nella tavola in colore giallo, per una entità complessiva di 14 Km², pari a circa la meta delle aree libere non tutelate, dove è previsto il mantenimento o il recupero delle aree per uso agricolo anche di interesse strategico , art 46 delle norme di piano.

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s Ca o di

Infine è importante rilevare che anche per la parte del territorio provinciale non urbanizzata, non compresa nel sistema rurale paesaggistico ambientale, il PTCP individua specifici ambiti di interesse provinciale, campiti nella tavola in colore giallo, per una entità complessiva di 14 Km², pari a circa la meta delle aree libere non tutelate, dove è previsto il mantenimento o il recupero delle aree per uso agricolo anche di interesse strategico , art 46. Kmq

% su non urbanizzato

Superficie territoriale

405,57

Aree urbanizzate

212,01

52%

Aree non urbanizzate Di cui tutelate: - in parchi regionali - in PLIS -Ambiti agricoli strategici - di cui in PLIS - di cui fuori Plis - rete verde di ricomposizione Di cui non tutelate

193,56 164,73 67,15 47,05 100,10 39,83 60,27 89,69 28,83

48% 41%

100% 85%

7%

15%

Ambiti d’interesse provinciale 44

% su superficie Territoriale

14,39

o di

Ha abbandonato il posto fisso in una azienda informatica per dedicarsi alla terra, con la politica dei piccoli passi. Ciascun campo presi in carico è stato delimitato con una folta siepe di arbusti e alberi dove possono sostare e nidificare gli uccelli insettivori; la siepe separa i campi biologici da quelli a gestione diversa. Si producono ortaggi con il metodo d’irrigazione a goccia, in filari diversificati per prodotto e stagionalità, al fine di avere sempre qualcosa da immettere sul mercato. L’azienda vende direttamente al consumatore tramite i GAS e nelle aree mercatali, grazie all’impegno di tutta la famiglia. Il bilancio aziendale è in equilibrio anche in assenza di importanti sostegni dalla PAC. L’azienda è preoccupata per l’opera Pedemontana che sarà adiacente ai propri campi e rischia di incidere profondamente sulla produzione e la qualità.

Gli ambiti agricoli di interesse strategico fanno quindi parte di un sistema rurale paesistico ambientale che ammonta ad una superficie complessiva di 164 Km² pari all' 85 % delle aree libere non urbanizzate della provincia, con un patrimonio di aree ed attività rurali che si estende ben oltre i 100 Km² della parte compresa negli ambiti agricoli di interesse strategico.

stu

Biologico e filiera corta Esempio da una azienda familiare a Mezzago


L'edificazione rurale, limiti ed opportunità Fabio Lopez Nunes - Direttore settore Ambiente ed Agricoltura, Provincia di Monza e Brianza Occorre favorire l'insediamento di infrastrutture agricole, i cosiddetti “centri aziendali” (un tempo erano le cascine) corrispondenti al reale fabbisogno aziendale, scoraggiando la realizzazione di “cattedrali nel deserto” che si rivelano di pesante impatto ambientale e sovente sovradimensionate anche rispetto alle capacità imprenditoriali e di copertura finanziaria dei richiedenti; contestualmente occorre porre un freno al consumo di suolo da parte di soggetti che non hanno le effettive qualità di agricoltore ma che mirano ad altri obiettivi, ancorché legittimi nelle loro aspirazioni ma non conformi alla destinazione di zona. Inquadramento normativo La normativa di riferimento è prevista dagli articoli 59 e 60 della legge regionale di governo del territorio 28.4.2005 n.12 e sue modifiche ed integrazioni. Tra gli elementi fondamentali, è prescritto: Ÿ Nelle aree destinate all'agricoltura dal piano delle regole sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive necessarie per lo svolgimento delle attività agricole Ÿ La costruzione di nuovi edifici residenziali di cui al comma 1 è ammessa qualora le esigenze abitative non possano essere soddisfatte attraverso interventi sul patrimonio edilizio esistente secondo taluni indici che non possono essere superati dai piani di governo del territorio Ÿ Su tutte le aree computate ai fini edificatori è

istituito un vincolo di non edificazione debitamente trascritto presso i registri immobiliari, modificabile in relazione alla variazione della normativa urbanistica. Ÿ Nelle aree destinate all'agricoltura, gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi fabbricati sono assentiti unicamente mediante permesso di costruire; il permesso di costruire può essere rilasciato esclusivamente: a) all'imprenditore agricolo professionale per tutti gli interventi di cui all'articolo 59, comma 1, a titolo gratuito; b) in carenza della qualifica di imprenditore agricolo professionale, al titolare o al legale rappresentante dell'impresa agricola per la realizzazione delle sole attrezzature ed infrastrutture produttive e delle sole abitazioni per i salariati agricoli, subordinatamente al versamento dei contributi di costruzione nonché al titolare o al legale rappresentante dell'impresa agromeccanica per la realizzazione delle attrezzature di ricovero dei mezzi agricoli e di altri immobili strumentali, con esclusione di residenze ed uffici e subordinatamente al versamento dei contributi di costruzione; limitatamente ai soggetti di cui alla lettera b), anche alla presentazione al Comune, contestualmente alla richiesta di permesso di costruire, di specifica certificazione disposta dall'organo tecnico competente per territorio, che attesti, anche in termini quantitativi, le esigenze edilizie connesse alla conduzione dell'impresa.

L'attestazione va dunque richiesta alla Provincia esclusivamente dai titolari d'impresa diversi dall'Imprenditore Agricolo Professionale qualificato IAP qualificato in via definitiva. Per i titolari della qualifica di IAP l'accertamento dell'effettiva esistenza dell'azienda agricola è effettuato dal Comune. Più delicata e controvertibile la situazione dei titolari di qualifica IAP condizionata, cioè rilasciata per la fase transitoria di avviamento dell'impresa, ovvero per due anni (prorogabili di un ulteriore anno). In questo caso l'attestazione appare necessaria. La qualifica IAP condizionata ha infatti un carattere fiduciale provvisorio da consolidarsi con il provvedimento definitivo; sono frequenti i casi in cui la Provincia nega il riconoscimento a termine periodo per il mancato conseguimento degli obiettivi di legge. In questi casi, qualora nel frattempo l'operatore avesse già realizzato gli edifici di progetto, si potrebbero verificare due diverse condizioni: ŸNel caso risultasse comunque attiva una azienda agricola non professionale, si dovrà procedere alla verifica di congruità dei fabbricati rispetto al fabbisogno attualizzato e, per mantenere gli edifici realizzati in piena legittimità, l'imprenditore sarà tenuto a versare gli oneri d'urbanizzazione al Comune; ŸNel caso in cui al controllo provinciale l'azienda non fosse stata avviata, si verificherebbe una illegittimità urbanistica dei fabbricati, poiché persistenti in assenza del titolo abilitante: il Comune si vedrebbe costretto a revocare il permesso di costruzione e ingiungerne la demolizione. Tale situazione è da evitarsi, nell'interesse pubblico e

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dell'operatore; è ciò che deve essere scongiurato. L'attestazione preliminare della Provincia può offrire quindi una disamina del progetto da parte dei tecnici esperti dell'ente, che, sebbene non ponga totalmente al riparo da una situazione come sopra delineata, assicura ad ogni modo maggiori garanzie di affidabilità dell'intervento. Per questo si ritiene corretto richiedere l'attestazione provinciale anche ai destinatari di una qualifica IAP condizionata. Alla richiesta di certificato IAP provvisorio il progetto edilizio deve essere già esistente o essere pronto per l'immediata cantierizzazione; altrimenti i tempi della burocrazia inevitabilmente eroderanno lo spazio imprenditoriale dell'operatore. Cosa verifica e cosa non verifica la Provincia Il compito della Provincia non è sostitutivo delle verifiche normali operate dagli Uffici tecnici comunali in relazione al regolamento edilizio e agli indici plani volumetrici di PRG/PGT. La normativa regionale, peraltro “figlia” di precedenti norme dello Stato e della Regione stessa, indica limiti massimi non derogabili; contestualmente limita l'accesso alla edificazione a taluni fattori che la Provincia deve verificare e quindi attestare: Ÿ Le esigenze edilizie connesse alla conduzione dell'impresa Ÿ L'impossibilità di soddisfare il fabbisogno mediante intervento sul patrimonio edilizio esistente Ÿ La congruenza delle tipologie edilizie rispetto al paesaggio rurale Ÿ La consistenza patrimoniale della

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azienda e la titolarità del diritto edificatorio (aspetto molto rilevante per gli agricoltori che non sono proprietari dei terreni) Ÿ Il ciclo produttivo aziendale e relativo programma di sviluppo nel tempo, per poter calibrare il corretto carico insediativo L'attestazione non riguarda quindi i limiti di rispetto algebrico dell'indice edificatorio (di competenza comunale) ma il quantum che occorre alla singola azienda: esso pertanto può risultare assai inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, mai superiore. Condizioni escludenti l'attestazione: 1. Incompletezza documentale; 2. Mancanza di titolarietà dei diritti edificatori e della possibilità di trascrivere il vincolo sul pubblico registro immobiliare (diritto reale esercibile solo dal proprietario); 3. Sovradimensionamento delle infrastrutture richieste rispetto al ciclo produttivo esistente o

progettato, comprensivo del programma di sviluppo pluriennale, anche se rientrante nei limiti massimi d'edificabilità indicati dalla L.R.12/05; 4. Prevalenza funzionale ed effettiva delle infrastrutture previste per attività complementari rispetto a quelle propriamente agricole (esempi: sovradimensionamento stalle per un numero di capi di bestiame decisamente superiore al ciclo previsto, parcheggi auto superiori a quelli occorrenti per il personale impiegato e per l'eventuale vendita diretta e/o agriturismo; spazi agrituristici sovradimensionati; serre che non sono tali per conformazione e per tipologia delle coperture e dei rivestimenti; spacci aziendali sovradimensionati rispetto al prodotto aziendale, ecc.); 5. Fabbricati non consoni al paesaggio agrario. In definitiva l'edificazione rurale deve essere considerata come un supporto alle effettive necessità di conduzione del fondo e non una scorciatoia per edificare dove non si può. Un adeguato equipaggiamento avrà più facile accesso ai finanziamenti pubblici disponibili e sarà più compatibile con il territorio. Occorre che insieme Provincia, Comuni e organizzazioni agricole operino per agevolare la corretta applicazione della legge.


Valorizzazione della figura dell'Imprenditore Agricolo Professionale Marco Besozzi - Provincia di Milano - settore Agricoltura “È imprenditore agricolo colui che esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento di animali e attività connesse. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura” E' il D.lgs. 228/2001 chiamato anche “legge di orientamento” che introduce questa nuova definizione di imprenditore agricolo, sostituendo la vecchia definizione che risaliva al 1942. Con questo decreto la nostra agricoltura si allinea ai dettami della politica agricola comunitaria che si apre alla multifunzionalità e amplia e chiarisce il concetto di Art. 2135 del Codice civile Imprenditore agricolo. [I]. È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. [II]. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. [III]. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

attività connessa. Inoltre si introduce per la prima volta il termine generico di “animali” che va a sostituirsi alla parola “bestiame” allargando di fatto l'imprenditoria agricola a qualsiasi forma di allevamento. Diverse figure imprenditoriali nel corso degli anni si sono succedute in ambito agricolo rispecchiando l'evoluzione economica del Paese passando da un agricoltura di sussistenza basata in prevalenza sull'autoconsumo ad una agricoltura moderna che deve interagire con il mercato mondiale. Al coltivatore diretto e all'imprenditore agricolo a titolo principale subentra la figura dell'imprenditore agricolo professionale, colui che in possesso di adeguate conoscenze e competenze professionali dedica alla attività agricola almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e ricava dalla medesima attività almeno il 50% del proprio reddito globale di lavoro. E' questa oggi la figura più evoluta in campo agricolo a cui si riconoscono i maggiori sostegni agli investimenti.

Il Decreto Legislativo n°99/04, così come modificato dal D.lgs n°101/05, dispone che sia considerato Imprenditore Agricolo Professionale il soggetto (persona fisica) che sia in possesso dei requisiti di

tempo impiegato reddito ottenuto capacità lavorativa. Requisiti del tempo e del reddito Lo IAP deve dedicare alla attività agricola e alle attività connesse (come definite ai sensi dell'art. 2135 del Codice Civile vedi a pag. 2) almeno il 50% del proprio tempo complessivo di lavoro e deve ricavare dalla attività agricola almeno il 50% del proprio reddito complessivo da lavoro. Ai fini del conteggio del reddito complessivo da lavoro si escludono:

Attività connesse

Commercializzazione

MANIPOLAZIONE CONSERVAZIONE TRASFORMAZIONE COMMERCIALIZZAZIONE VALORIZZAZIONE

l’impresa agricola puo’ vendere prodotti agroalimentari di terzi a patto che l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalla propria azienda non superi

SOLO DA PRODOTTI OTTENUTI PREVALENTEMENTE DALLA COLTIVAZIONE DEL FONDO E DEL BOSCO O DALL’ALLEVAMENTO DEGLI ANIMALI

EURO 41.316,55 PER LE IMPRESE INDIVIDUALI EURO 1.032.913,80 PER LE SOCIETA’ D.LGS. 228/2001 art 4 Se si superano questi valori si applicano le disposizioni relative alla disciplina del commercio (d.lgs.114/98)

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Ÿ le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse

equiparati, Ÿ le indennità e le somme percepite per l'espletamento di cariche pubbliche, ovvero in associazioni ed altri enti operanti nel settore agricolo, Ÿ i redditi non da lavoro come, ad esempio, i redditi da capitale e da fabbricati Tutti i soggetti ai quali è riconosciuta la qualifica di IAP o che ne fanno richiesta devono essere registrati, attraverso il Sistema Informativo Agricolo della Regione Lombardia (SIARL), nell'anagrafe delle imprese agricole lombarde. La scheda anagrafica deve essere mantenuta aggiornata a cura dell'agricoltore, avvalendosi dei centri di servizio attivi presso le organizzazioni di categoria. Come previsto dall'art. 34 della l.r. 30.12.2008 comma 1 lettera c) l'attestazione di IAP viene rilasciata dalle amministrazioni provinciali. Requisito della professionalità Fonte normativa: D.g.r. 16.2.2005 n.7/20732: Per dimostrare il requisito delle competenze professionali occorre aver esercitato per almeno due anni l'attività agricola come titolare, coadiuvante familiare o lavoratore agricolo, oppure aver conseguito un titolo di studio di livello universitario, di scuola media superiore o di istituto professionale e centro di formazione professionale nel campo agrario per un percorso formativo della durata di almeno undici anni.

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Requisito della esistenza della azienda agricola In materia di edilizia agraria, a qualifica IAP ottenuta compete al comune verificare la sussistenza della azienda agricola. Negli altri casi è la Provincia che deve attestare. In ogni caso la Provincia è tenuta ai controlli a campione e a scadenza. Quando una attività agricola si avvia e quindi non vi sono ancora le coltivazioni o allevamenti in campo, oppure non vi sono ancora le strutture edilizie e tecnologiche occorrenti, è necessario presentare un progetto aziendale che illustri il ciclo aziendale previsto, la prospettiva imprenditoriale, la programmazione finanziaria pluriennale da cui si dimostri la credibilità dell'investimento e del rientro economico dello stesso. Il legislatore ha tolto i limiti dimensionali di una azienda per ritenerla agricola, ma non ha tolto la verifica di effettiva esistenza. Poiché i requisiti succitati sono imprescindibili, per ottenere la qualificazione ancorché provvisoria è essenziale dimostrare la credibilità del progetto, la veridicità delle soluzioni proposte, l'assenza di finalità palesate o occulte diverse da quelle agricole prevalenti. Sono causa di diniego al riconoscimento (condizionato o definitivo) progetti aziendali che abbiano finalità prevalentemente secondarie (produzioni industriali) o terziarie (commerciali, turistiche, residenziali, ecc.), oppure ancora solamente ricreative e di consumo familiare. I richiedenti dovranno impegnarsi a mantenere per almeno cinque anni le condizioni dichiarate, costituenti i requisiti stabiliti per ogni categoria di soggetti per il riconoscimento, segnalando inoltre all'amministrazione tutte le variazioni di tali requisiti.

Professionalità LAUREA O DIPLOMA IN CAMPO AGRARIO VETERINARIO O DELLE SCIENZE NATURALI AVERE ESERCITATO PER ALMENO DUE ANNI ATTIVITA’ AGRICOLA COME TITOLARE, COADIUVANTE O LAVORATORE AGRICOLO

Tempo ALMENO IL 50% DEL PROPRIO LAVORO DEDICATO AD ATTIVITA’ AGRICOLA ALMENO 900 ORE CALCOLATE ATTRAVERSO LE TABELLE REGIONALI DEI VALORI MEDI DI IMPIEGO DI MANODOPERA

Reddito Agricolo IL REDDITO PRODOTTO DALL’ATTIVITA’ AGRICOLA DEVE ESSERE ALMENO IL 50% DEL REDDITO GLOBALE DA LAVORO DELL’IMPRENDITORE IRAP + CONTRIBUTI PUBBLICI COMUNITARI STATALI REGIONALI

Altri redditi NON DEVE SUPERARE IL 50%: REDDITO DA LAVORO DIPENDENTE (RC) REDDITO DA LAVORO AUTONOMO (RE) REDDITO DI IMPRESA (RF- RG) REDDITO DIVERSI (RL)


s Ca o di stu

Ha avviato la azienda il nonno, la conduce il figlio, il nipote adolescente segue l’attività studiando all’Istituto Tecnico di Agraria di Limbiate per tramandare la tradizione di famiglia: allevare vitelli e ora venderne le carni direttamente al consumatore. Le radici e un secolo di storia: è la fine del 1800 quando il nonno si trasferisce da Triuggio ad Albiate, dove ha acquistato dei terreni rurali. Il lavoro del contadino continua così con il figlio e poi con i nipoti. Nel 1979 si fonda l’attuale agrozootecnica che va via via crescendo anche con l’aiuto dei figli. Nel 1998 al fine di valorizzare al meglio le proprie produzioni nella continuità e nel rispetto della tradizione nasce un marchio registrato di qualità garantita e pioniere della filiera corta. Ancora oggi la società agricola rappresenta l’avanguardia delle aziende agro zootecniche della provincia di Monza e della Brianza, premiata dalla Regione Lombardia nel 2011.

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Attrezzarsi per mantenere la zootecnia

Per l'agriturismo viene utilizzo un vecchio fabbricato di mq 350, composto da 2 piani e cantina, risalente a fine 800 in passato adibito a casa del fattore, ora ristrutturato per accogliere il pubblico. La produzione di formaggi freschi e stagionati, yogurt, budino, gelati, ortaggi, frutta e carne viene destinata alla ristorazione agrituristica ed al punto vendita in azienda che propone, attraverso apposito distributore, latte crudo proveniente dalle bovine di razza frisona presenti nella tenuta. L'azienda è stata premiata nel 2010 per la categoria "Aziende Storiche". La più estesa azienda dell’area del Seveso è interamente inclusa nel Parco delle Groane dove occupa ora oltre 55 ettari di seminativo.

La famiglia ha avviato, inoltre, un'inedita collaborazione con altre imprese agricole del Lodigiano e del Pavese per realizzare un Consorzio dedicato alla vendita diretta dei prodotti dei tre territori.

E’ una grande cascina lombarda, una delle poche sopravvissuta all’avanzare della città e simbolo della passione verso la terra. Il padre, oggi scomparso, ha fondato la Fiera zootecnica di Camnago, il più importante appuntamento per il mercato del bestiame del territorio brianteo. Il cambio generazionale, unitamente alle problematiche della direttiva nitrati, hanno indotto la figlia a ristrutturare radicalmente l’azienda per reggere le sfide del mercato. L'azienda, a conduzione familiare, è passata da azienda agricola/zootecnica che aveva come cliente principale l'industria di trasformazione ad azienda agrituristica che effettua vendita diretta. Da oltre 400 capi di vacche da latte si è passati a un centinaio, mantenendo viva la produzione lattiero casearia.

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LA CHARTA DI MONZA Siglata a Monza il 3 dicembre 2011

NOI Amministratori locali della Provincia di Monza e della Brianza, Responsabili delle organizzazioni di categoria degli agricoltori, Responsabili delle organizzazioni imprenditoriali del Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, stakeholder; VISTA a Legge Regionale 5 dicembre 2008, n. 31 “Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale”; PREMESSO CHE la Provincia di Monza e della Brianza ha organizzato nell’autunno 2011 gli “Stati Generali della Agricoltura di Brianza” per avviare una fase di programmazione partecipata delle attività di sostegno e sviluppo per un settore ritenuto primario e strategico dall’Ente; i suddetti Stati Generali si sono svolti in quattro forum tematici sull’intero territorio durante i quali sono stati sviscerati i diversi aspetti e le prospettive per lo sviluppo dell’a gricoltura; nei forum tematici hanno avuto la possibilità di intervenire tutti i rappresentanti delle diverse esperienze e problematiche che insistono sul territorio, contribuendo ad un fervido dibattito;

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DATO ATTO CHE le aree libere dall’urbanizzazione sono ormai meno della metà del territorio provinciale, e quelle effettivamente coltivate ammontano a circa diecimila ettari soltanto; occorre porre un freno al consumo di suolo e favorire il permanere delle attività agricole a presidio del territorio non urbano, incentivando l’imprenditoria primaria e l’offerta di servizi agro ambientali alla cittadinanza; occorre considerare attentamente le dinamiche dei mercati globali, governati in gran parte dalla Politica Agricola Comunitaria (PAC) che avrà la propria nuova articolazione nel quinquennio 2013 – 2017; le proposte per la PAC formulate dalla Commissione UE, seppur lodevoli nel principio di favorire un recupero della capacità produttiva comunitaria e delle politiche agro ambientali rappresentate nel nuovo principio di “greening”, di fatto penalizzano fortemente l’agricoltura italiana e brianzola in particolare, poiché privilegiano il latifondo rispetto alla piccola proprietà e conduzione, propria di questo territorio; la nuova PAC, pur mantenendo un budget totale congruente al passato, in valore assoluto, sarà distribuita su superfici territoriali molto più estese, per effetto dell’allargamento dell’Unione e su linee di sostegno assai più difficilmente intercettabili dalle nostre aziende;

CONSIDERATO CHE abbiamo discusso e sviluppato in questi giorni di forum le diverse e principali problematiche che coinvolgono l’imprenditoria agraria; abbiamo convenuto sulla necessità di coniugare gli sforzi per favorire la buona salute dell’agricoltura in Brianza, tutelando l’integrità delle aree, il rinnovamento generazionale e la capacità di innovazione e crescita delle imprese; abbiamo convenuto che gli imprenditori agricoli devono avere la capacità di innovarsi sia nei prodotti che nei servizi al cittadino, sull’asse della qualità di nicchia, della valorizzazione del prodotto locale genuino e della filiera corta; ciò premesso DICHIARIAMO E C’IMPEGNAMO ciascuno per propria responsabilità e competenza: 1. a tutelare l'integrità territoriale agricola, considerando inalienabili almeno i terreni ricompresi negli ambiti agricoli strategici, nelle aree protette e nella rete ecologica regionale e provinciale, limitandone l'uso diverso solo ai casi di assoluta e dimostrata impossibilità a farne a meno; ovvero a garantire l'integrità dei fondi agricoli nei piani comunali di governo del territorio; 2. a sostenere ogni azione utile presso gli organi regionali e comunitari competenti affinché venga considerata la peculiarità dell'agricoltura periurbana quale componente essenziale della preservazione del territorio, approvando misure che sostengano tali realtà e non soltanto il grande latifondo;


3. a promuovere nuove forme che: a. valorizzino la produzione genuina locale e la filiera corta, b. incentivino la diversificazione di prodotto all'interno della stessa azienda, c. orientino ad una produzione maggiormente in grado di auto sostenersi in situazioni di ridotto o nullo sostegno comunitario, onde reggere alle sfide dei prossimi decenni, d. offrano servizi ambientali e alimentari direttamente al cittadino e al sistema allargato della pubblica amministrazione; 4. a favorire il permanere dell'agricoltura come produzione primaria per l'alimentazione e per i sistemi verdi, dando atto che il territorio brianteo è inadatto alle produzioni bioenergetiche per superficie, frammentazione, paesaggio; 5. a favorire il recupero di tradizioni agronomiche anche remote, quali sementi antiche, che possano offrire nuovi prodotti ricercati dal mercato sia nella filiera alimentare che in quella relativa al verde; 6. a favorire altresì politiche di compensazione ambientale rispetto alle nuove infrastrutture che non dovranno mortificare ulteriormente l'attività agricola: a. Limitando i nuovi rimboschimenti ad aree che siano state effettivamente ritirate dall'attività agricola e/o comunque sempre con il consenso dell'agricoltore; b. incentivando la realizzazione di siepi, filari e percorsi verdi curati dagli stessi imprenditori

agricoli con il finanziamento pubblico nei limiti previsti dall'ordinamento e fino al conseguimento del corretto bilancio economico da consolidarsi nel tempo; 7. ad incentivare il ricambio generazionale e favorire il salto qualitativo degli operatori attraverso il riconoscimento della figura dell'imprenditore agricolo professionale; 8. a limitare l'edilizia aziendale al fabbisogno effettivamente necessario e a non lasciarsi indurre dalla tentazione di edificare al limite massimo dell'indice territoriale anche quando non serve per la produzione del reddito agricolo, al fine di contenere il consumo di suolo fertile, utile per lo svolgimento dell'attività; 9. a mitigare i fenomeni di frammentazione agraria causati da nuova viabilità, sia nella scelta dei tracciati rispettosi della campitura esistente che nella realizzazione di adeguati manufatti di scavalcamento in sicurezza per le macchine agricole; 10. a favorire inoltre politiche ed iniziative imprenditoriali che conducano al pieno rispetto della “direttiva Nitrati” per quanto attiene agli spandimenti e alla loro qualità; 11. a creare distretti di filiera e di territorio o altri istituti similari per agevolare l'aggregazione aziendale e l'ottimizzazione del mercato; 12. a privilegiare l'incontro fra produttori agricoli e consumatori diretti anche mediante la realizzazione di contratti fra mondo agricolo e sistema delle mense pubbliche e della rete della ristorazione;

13. a sviluppare la crescita delle fattorie didattiche e delle attività di educazione alimentare, connettendo il mondo della scuola con quello dell' agricoltura; 14. ad istituire un gruppo di lavoro per programmare iniziative ed eventi qualitativamente importanti da inserire in Expo 2015 che sappiano creare modelli da mantenere nel tempo anche dopo la manifestazione universale; 15. a rispettare le regole comunitarie sui processi e le filiere; questo perché è il presupposto per poter far valere le proprie legittime ragioni a qualsiasi livello istituzionale. Dario Allevi - Presidente della Provincia di Monza e della Brianza Daniele Petrucci - Conisigliere Provinciale con delega alla Agricoltura Massimo Sasso - Sindaco di Lentate sul Seveso Antonio Colombo - Sindaco di Mezzago Luigi Besana - Vice Sindaco di Albiate Tiziano Tenca - Giunta della Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura MB Giovanni Barzaghi - Presidente Confartigianato Imprese MB Paola Santeramo - C.I.A. Amedeo Cattaneo - Confagricoltura Carlo Franciosi - Coldiretti Roberto Cavaliere - Copagri

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Riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale - indirizzi operativi A cura del servizio provinciale Agricoltura L'Imprenditore Agricolo Professionale – IAP - è colui che si sostiene attraverso l'esercizio della attività agricola, fondando su di essa la primaria fonte di reddito, di ore di lavoro impiegate e di capacità professionali. Nel panorama dei soggetti che possono operare nel settore primario è la figura che può utilizzare appieno tutte le agevolazioni e i sussidi che l'ordinamento comunitario, nazionale e regionale assegna al comparto. Il settore primario è quello che, per garantire la produzione alimentare per l'umanità e la manutenzione del territorio agro naturale, gode delle maggiori sovvenzioni pubbliche di provenienza comunitaria. Il riconoscimento delle figure professionali esistenti in agricoltura è disciplinato dal Decreto Legislativo 29.3.2004 n. 99 “Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazioni amministrativa in agricoltura, a norma dell'art. 1, comma 2, lettere d), f), g), l) e) della legge 7 marzo 2003, n. 38” ed è stato modificato sostanzialmente con il D.lgs 27.5.2005 n.101. Sussistono orientamenti applicativi differenziati e talvolta difficoltà a comprendere le disposizioni vigenti, per cui si ritiene opportuno precisare le modalità con le quali si può procedere all'accertamento del possesso dei requisiti di Imprenditore Agricolo Professionale IAP (figura introdotta dal citato Decreto in sostituzione della figura di Imprenditore Agricolo a Titolo Principale ex-lege 153/75) nonché al rilascio del certificato provvisorio o condizionato e di quello definitivo.

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Imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 del Codice Civile, come modificato dal Decreto Legislativo 18 maggio 2001 n. 228 (“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'art. 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57”): Art. 2135 (1) Imprenditore agricolo. [I]. È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. [II]. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. [III]. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

Tale definizione vale sia per le persone fisiche che per le persone diverse da quelle fisiche (società di persone, società di capitali, società cooperative). L'imprenditore agricolo definito dal Codice Civile rappresenta la figura più “semplice” di imprenditore operante in agricoltura. Al fine di poter attribuire ad un soggetto la qualifica di Imprenditore agricolo ai sensi del Codice Civile in base alla definizione stessa del concetto di imprenditorialità - il soggetto deve produrre beni e servizi per fini commerciali e non per autoconsumo. Sono quindi da ritenersi escluse da tale qualifica le persone che coltivano un campo a solo scopo ricreativo e del tempo libero, tipo orto familiare. L'imprenditore agricolo deve pertanto essere in regola con gli adempimenti che la normativa prescrive per qualsiasi imprenditore. In primo luogo e quindi deve essere in possesso di iscrizione I.V.A. per l'attività agricola. Inoltre deve essere in possesso di iscrizione alla C.C.I.A.A. (Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura) per l'attività agricola e all'INPS (Istituto Nazionale di Previdenza Sociale) per la previdenza agricola. Alcune categorie di soggetti (in genere per volumi di affari o dimensioni aziendali inferiori a certi limiti) non richiedono l'iscrizione alla C.C.I.A.A. e/o all'INPS in base alle specifiche norme civilistiche e previdenziali; pertanto tali soggetti - e solo loro possono essere considerati imprenditori agricoli anche senza esservi iscritti.


In buona sintesi, il soggetto che esercita attività agricola a fini commerciali può essere considerato Imprenditore agricolo ai sensi dell'art. 2135 del Codice Civile, senza necessità di ulteriori accertamenti, anche se esercita in modo prevalente un'altra attività. Il possesso dei requisiti di Imprenditore agricolo ai sensi dell'art. 2135 del Codice Civile non è tuttavia di per sé sufficiente per l'accesso a tutte le agevolazioni previste per il settore agricolo dalle varie normative. Imprenditore agricolo professionale Il Decreto Legislativo n°99/04, così come modificato dal D.lgs n° 101/05, dispone che sia considerato Imprenditore Agricolo Professionale il soggetto (persona fisica) che sia in possesso dei requisiti di

tempo impiegato reddito ottenuto capacità lavorativa Requisiti del tempo e del reddito Lo IAP deve dedicare alla attività agricola e alle attività connesse (come definite ai sensi dell'art. 2135 del Codice Civile – vedi a pag. 2) almeno il 50% del proprio tempo complessivo di lavoro e deve ricavare dalla attività agricola almeno il 50%

del proprio reddito complessivo da lavoro. Ai fini del conteggio del reddito complessivo da lavoro si escludono: · le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati, · le indennità e le somme percepite per l'espletamento di cariche pubbliche, ovvero in associazioni ed altri enti operanti nel settore agricolo, · i redditi non da lavoro come, ad esempio, i redditi da capitale e da fabbricati Nelle zone svantaggiate riconosciute ai sensi del Reg. CE 1257/99, art. 18, le percentuali sopra riportate sono ridotte del 25%; non è questo il caso della Provincia di Monza e della Brianza. Tutti i soggetti ai quali è riconosciuta la qualifica di IAP o che ne fanno richiesta devono essere registrati, attraverso il Sistema Informativo Agricolo della Regione Lombardia (SIARL), nell'anagrafe delle imprese agricole lombarde, istituita con deliberazione della Giunta regionale VII/5327 del 02/07/01, modificata ed integrata dalla deliberazione Giunta regionale VII/12103 del 14/02/2003. La scheda anagrafica deve essere mantenuta aggiornata a cura dell'agricoltore, avvalendosi dei centri di servizio attivi presso le organizzazioni di categoria. L'attestazione di IAP viene rilasciata dalle amministrazioni provinciali.

Le domande di riconoscimento possono essere presentate sia dalle persone fisiche che, tramite il legale rappresentante, dalle persone giuridiche (società di persone o di capitali). Il riconoscimento della qualifica IAP ha valore su tutto il territorio nazionale. Giova ricordare che il riconoscimento IAP consente l'accesso ad una serie di istituti d'agevolazione fiscale e urbanistica, nonché a rilevanti sostegni finanziari pubblici, non assegnabili agli altri cittadini. Per questo motivo la Provincia è tenuta a controllare accuratamente la persistenza dei requisiti prescritti e la veridicità delle dichiarazioni. Gli eventuali abusi comportano quindi pesanti sanzioni amministrative e anche penali, oltre alla perdita della qualifica di IAP. La Provincia è tenuta ad informare gli organi di magistratura, l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza qualora dovesse rilevare l'illegittimo godimento dei suddetti benefici, qualificabile quale evasione/elusione fiscale o addirittura frode ai danni dello Stato.

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Requisito della professionalità Fonte normativa: D.g.r. 16.2.2005 n.7/20732: Per dimostrare il requisito delle competenze professionali occorre aver esercitato per almeno due anni l'attività agricola come titolare, coadiuvante familiare o lavoratore agricolo, oppure aver conseguito un titolo di studio di livello universitario, di scuola media superiore o di istituto professionale e centro di formazione professionale nel campo agrario per un percorso formativo della durata di almeno undici anni. Requisito della esistenza della azienda agricola In materia di edilizia agraria, a qualifica IAP ottenuta, compete al comune verificare la sussistenza della azienda agricola. Negli altri casi è la Provincia che deve attestare. In ogni caso la Provincia è tenuta ai controlli a campione e a scadenza. Quando una attività agricola si avvia e quindi non vi sono ancora le coltivazioni o allevamenti in campo, oppure non vi sono ancora le strutture edilizie e tecnologiche occorrenti, è necessario presentare un progetto aziendale redatto da un professionista abilitato (agronomo o perito agrario) che illustri il ciclo aziendale previsto, la prospettiva imprenditoriale, la programmazione finanziaria pluriennale da cui si dimostri la credibilità dell'investimento e del rientro economico dello stesso. La relazione può essere redatta anche dalla organizzazione di categoria a cui il richiedente è iscritto; la Provincia può anche ritenere attendibile

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la relazione redatta da un agricoltore che dimostri di avere esercitato la professione da tempo. In Lombardia si dice “ofelé fa el to mesté”: non saranno ritenute adeguate per questo fine le relazioni redatte dagli geometri, architetti e ingegneri anche se hanno presentato il progetto edilizio. Il legislatore ha tolto i limiti dimensionali di una azienda per ritenerla agricola, ma non ha tolto la verifica di effettiva esistenza. Poiché i requisiti succitati sono imprescindibili, per ottenere la qualificazione ancorché provvisoria è essenziale dimostrare la credibilità del progetto, la veridicità delle soluzioni proposte, l'assenza di finalità palesate o occulte diverse da quelle agricole prevalenti. Sono causa di diniego al riconoscimento (condizionato o definitivo) progetti aziendali che abbiano finalità prevalentemente secondarie (produzioni industriali) o terziarie (commerciali, turistiche, residenziali, ecc.), oppure ancora solamente ricreative e di consumo familiare. Fra i casi più tipici di situazioni ostative al riconoscimento IAP si possono segnalare: · i maneggi destinati alla tenuta di cavalli sportivi conto terzi e non all'allevamento zootecnico; si verifica il dimensionamento delle scuderie rispetto al bestiame che si intende allevare, la presenza di parcheggi e spazi per gli avventori che esuberino rispetto al fabbisogno per il ciclo aziendale zootecnico, i quantitativi minimi di parti previsti ed ottenuti, il commercio degli

animali prodotti; · i canili, dove l'attività prevalente sia la tenuta di cani d'affezione conto terzi, la vendita di prodotti e servizi per questi ultimi: si verifica il dimensionamento della struttura rispetto ai cani e ai cuccioli che si intende allevare, la presenza di parcheggi e spazi per gli avventori che esuberino rispetto al fabbisogno per il ciclo aziendale zootecnico, i quantitativi minimi di parti previsti ed ottenuti, il commercio degli animali prodotti; · i garden center orientati al commercio e vendita al dettaglio di piante alloctone in dimensione prevalente rispetto alla produzione aziendale; · aziende i cui campi sono stati destinati in prevalenza alla realizzazione di centrali fotovoltaiche o campi eolici; · orti familiari; · aziende che esibiscano progetti delle infrastrutture edilizie non conformi alle esigenze agrarie denunciate (per esempio false serre prive dei requisiti di completa trasparenza e corretta areazione; ville sontuose prevalenti sull'impiantistica imprenditoriale; stalle sovradimensionate) a prescindere dal rispetto degli indici massimi di edificabilità. La questione della edificazione agraria è affrontata nel successivo capitolo, tuttavia assume un peso rilevante nella valutazione complessiva dei requisiti di IAP.


IN SINTESI: Requisiti per le persone fisiche: · Dimostrare sufficiente capacità professionale; · Ricavare almeno il 50% del proprio reddito di lavoro dall'agricoltura (ridotto al 25% in zone montane); · Dedicare almeno il 50% del proprio tempo di lavoro all'agricoltura (ridotto al 25% in zone montane). Requisiti ulteriori per le società: · Contenere nel proprio nome la dizione "società agricola"; · Avere almeno un socio in possesso della qualifica di I.A.P.; · Avere come oggetto sociale esclusivamente l'esercizio dell'agricoltura Soggetti interessati: Aziende agricole (Individuale, Società di Persone, Società di Capitali e Cooperative) iscritte alla CCIAA, titolari di partita I.V.A. con codice agricolo.

I richiedenti dovranno impegnarsi a mantenere per almeno cinque anni le condizioni dichiarate, costituenti i requisiti stabiliti per ogni categoria di soggetti per il riconoscimento, segnalando inoltre all'amministrazione tutte le variazioni di tali requisiti.

Coltivatore diretto Giova, per completezza d'informazione, integrare le linee guida con una illustrazione del concetto di coltivatore diretto nell'ordinamento vigente. Egli è colui che svolge abitualmente e manualmente la propria attività in agricoltura, a condizione che, con la forza lavoro propria e del nucleo familiare, sia in grado di fornire almeno un terzo della forza lavoro complessiva richiesta dalla normale conduzione dell'azienda agricola. La figura del coltivatore diretto è quindi riferita a requisiti di carattere sia soggettivo che aziendale, diversamente dal concetto di imprenditore agricolo e di IAP che è riferito a requisiti di carattere esclusivamente soggettivo. Il coltivatore diretto è un imprenditore agricolo che si avvale esclusivamente o prevalentemente di mano d'opera familiare, mentre “l'imprenditore agricolo conduttore” si avvale prevalentemente di mano d'opera salariata. Si precisa che il coltivatore diretto è considerato “imprenditore agricolo”, anche qualora non abbia la titolarità formale della azienda agricola: è il caso del coltivatore diretto coadiuvante collaboratore nell'impresa familiare agricola della quale sia titolare un altro familiare o come nel caso in cui sia socio di una società agricola, alla quale compete la titolarità dell'azienda agricola, assumendo la veste di imprenditore agricolo “indiretto”. Normalmente il coltivatore diretto è comunque anche in possesso dei requisiti previsti per la figura di IAP, ed è in tale veste che accede ai benefici

previsti: ciò accade ad esempio in campo urbanistico e per la concessione di finanziamenti, aiuti e contributi previsti nel settore agricolo. LEGGE 26 maggio 1965, n. 590 Art. 31. Ai fini della presente legge sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all'allevamento ed al governo del bestiame, sempreche' la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessita' della coltivazione del fondo e per l'allevamento ed il governo del bestiame. Nel calcolo della forza lavorativa il lavoro della donna e' equiparato a quello dell'uomo. La presente disposizione - a modifica di quanto previsto al n. 2 dell'articolo 2 della legge 6 agosto 1951, n. 604 - si applica anche agli interventi previsti dal decreto legislativo 21 febbraio 1948, n. 114 e successive modificazioni ed integrazioni.

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Cosa fare: Per ottenere il riconoscimento della qualifica di I.A.P. (provvisorio o definitivo), l'imprenditore o la persona giuridica con sede legale in Provincia di Monza e Brianza (come risulta dalla visura camerale) deve presentare una domanda al Settore Ambiente ed Agricoltura della Provincia di Monza e Brianza, utilizzando la specifica modulistica allo scopo predisposta e disponibile anche in internet sul sito:

www.provincia.mb.it/agricoltura Il termine dell'istruttoria per il rilascio di tale riconoscimento è di 45 giorni. L'Amministrazione competente è quella della sede legale dell'azienda: se essa ha i terreni o il centro aziendale nel territorio di questa Provincia, la sede legale presso altra Provincia (caso tipico della sede presso uno studio commercialista) l'istanza va presentata in quella Provincia, e viceversa. L'istanza può essere inviata mediante l'impiego di posta elettronica certificata (PEC), indicata sul sito Web della Provincia stessa. In questo caso le dichiarazioni e i documenti vanno trasmessi in formato *.pdf. I disegni preferibilmente in formato *.dwg (release non più recente di 2006) o *.dxf gisdataset esri o esricompatibile; in carenza è ammesso anche *.pdf. In ogni caso le marche da bollo dovranno, ovviamente, essere recapitate manualmente o inviate a mezzo posta: il procedimento non potrà perfezionarsi in assenza di esse.

La Provincia di Monza e Brianza riceve le istanze dei richiedenti, effettua l'istruttoria e conclude il procedimento con comunicazione espressa di accoglimento o diniego. Inoltre la Provincia di Monza e Brianza procede ai controlli previsti dal D.P.R. 445/2000 sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive rese nell'istanza. L'esito positivo dell'esame viene infine comunicato alle Amministrazioni comunali eventualmente a mezzo P.E.C. o fax. Certificato provvisorio La materia della attestazione provvisoria del requisito, insieme a numerosi altri aspetti applicativi, è stata disciplinata con il Dlgs 101 del 27.05.2005 che ha integrato il Dlgs 99/04 introducendo l'art. 1 comma 5 ter, cioè successivamente all'emanazione delle direttive regionali. Oggi interessa tutti gli imprenditori agricoli (e non più solo quelli giovani) che, sebbene non siano in possesso dei requisiti di IAP, si impegnino a conseguirli entro un biennio. La norma non contiene indicazioni applicative o procedurali; l'unico vincolo che pone a carico dell'imprenditore è l'obbligo di iscrizione nell'apposita gestione dell'INPS.

Per attivare una casella di posta elettronica certificata, si consulti il sito specifico del Governo: https://www.postacertificata.gov.it/home/index.dot

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Decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 come modificato dal Decreto legislativo 27.5.2005 n. 101: Articolo 1… comma 5-ter Le disposizioni relative all'imprenditore agricolo professionale si applicano anche ai soggetti persone fisiche o societa' che, pur non in possesso dei requisiti di cui ai commi 1 e 3, abbiano presentato istanza di riconoscimento della qualifica alla Regione competente che rilascia apposita certificazione, nonché si siano iscritti all'apposita gestione dell'INPS. Entro ventiquattro mesi dalla data di presentazione dell'istanza di riconoscimento, salvo diverso termine stabilito dalle regioni, il soggetto interessato deve risultare in possesso dei requisiti di cui ai predetti commi 1 e 3, pena la decadenza degli eventuali benefici conseguiti. Le regioni e l'Agenzia delle entrate definiscono modalita' di comunicazione delle informazioni relative al possesso dei requisiti relativi alla qualifica di IAP. …

La Regione Lombardia nella D.g.r. 16.2.2005 n.7/20732 assegna facoltà all'amministrazione provinciale di prorogare eventualmente il biennio in funzione di particolari condizioni. Pare evidente che, se il soggetto interessato dovesse raggiunge i requisiti prima del biennio, potrà richiedere in anticipo il rilascio del certificato definitivo.


società di persone società di persone

SS - SNC SAS

almeno un socio almeno un socio accomandatario società cooperative almeno un socio amministratore società di capitali SRL - SPA almeno un - SAA amministratore

due anni, richiedere alla Provincia una proroga ulteriore del termine di un anno. Decorso inutilmente anche tale termine, il titolo IAP non può essere confermato.

Il socio o l'amministratore conferente il titolo alla società deve sottoscrivere l'istanza; nel caso dell'amministratore, egli deve anche dichiarare di apportare la sua qualifica IAP ad una sola società (art. 1, comma 3-bis del Dlgs 99/04). Le figure del rappresentante legale e del socio IAP sono concettualmente distinte, ma possono coesistere nella medesima persona fisica.

Rilascio del certificato definitivo Il soggetto che ritiene di aver conseguito tutti i requisiti previsti per il riconoscimento definitivo di IAP può presentare istanza alla Provincia di Monza e della Brianza, come indicato in precedenza. Alla domanda deve essere allegata la documentazione a seguito descritta, oltre ad una copia della carta di identità del titolare/legale rappresentante, per autocertificazione ai sensi del D.P.R. 445/2000, e due marche da bollo da Euro 14.62 ciascuna. Eventuali integrazioni verranno richieste successivamente, se necessarie.

Durata della qualifica condizionata L'attestato provvisorio IAP ha valore due anni a decorrere dalla data di presentazione dell'istanza; entro tale scadenza, stabilita ai sensi dell'art. 1 comma 5-ter del Dlgs 99/04, l'imprenditore deve risultare in possesso dei requisiti IAP. L'imprenditore che non dimostri l'avvenuto conseguimento del titolo di IAP entro il termine di due anni, decade dagli eventuali benefici conseguiti con il titolo provvisorio. Per ragioni motivate non dipendenti dalla volontà del richiedente, egli può, prima della scadenza dei

Le aziende devono : · essere iscritte nel Registro delle Imprese, Sezione Speciale Imprese Agricole (se non fiscalmente esonerate); · aver costituito il fascicolo aziendale nel Sistema Informativo Agricolo della Regione Lombardia, operazione possibile tramite i soggetti abilitati (Centri di Assistenza Agricola che hanno sede presso le Organizzazioni di Categoria); · essere titolari di partita I.V.A.; · essere iscritte o avere inoltrata domanda di iscrizione I.N.P.S.

Documentazione occorrente per accertare il possesso del requisito «tempo» dedicato alla agricoltura Il possesso del requisito del tempo di lavoro deve essere verificato confrontando il tempo che l'imprenditore agricolo dedica alla attività agricola (e alle attività connesse) con il tempo che lo stesso imprenditore dedica a eventuali attività extraagricole. La Lombardia, per quanto riguarda il requisito del tempo, ha preso come base di partenza la dimensione e l'ordinamento colturale dell'azienda agricola condotta, e ha così valutato la necessità di manodopera in 1800 ore l'anno; per accedere dunque alla qualifica in Lombardia occorre raggiungere almeno il tetto delle 900 ore annue. A tal fine, il tempo che l'imprenditore agricolo dedica all'attività agricola deve essere calcolato in modo convenzionale e standardizzato, utilizzando le apposite tabelle regionali aggiornate (BURL del 24/12/2007). Pertanto, l'imprenditore agricolo interessato, congiuntamente alla richiesta di riconoscimento della qualifica di IAP, dovrà presentare all'Ente competente apposita scheda aziendale in cui siano indicate le coltivazioni e gli allevamenti praticati dall'azienda. Tale scheda è parte integrante dell'istanza. Il tempo dedicato alla eventuale attività extra-agricola deve essere ricavato dalle documentazioni relative a tale attività, prodotte dal soggetto interessato, o in altro modo ritenuto opportuno dalla Provincia.

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In ogni caso il requisito deve intendersi posseduto se si verifica che il fabbisogno di manopera dell'azienda non sia inferiore al 50% del monte ore annuo previsto per un lavoratore agricolo, ovvero di 1800 ore. Si precisa che per ogni azienda agricola sarà possibile il conseguimento del requisito qui richiesto da parte di due soggetti (per non meno di 900 ore ciascuno) fino alla copertura del fabbisogno di manodopera dell'azienda stessa. Documentazione occorrente per il calcolo del requisito «reddito globale» da lavoro agricolo Il possesso del requisito del reddito di lavoro si verifica nel caso in cui l'imprenditore ricavi dalle attività agricole almeno il 50 % del proprio reddito globale da lavoro. A tal fine la quota di reddito globale da lavoro che l'imprenditore ricava dall'attività agricola dovrà essere calcolato in modo analitico sulla base delle documentazioni fiscali e/o contabili di cui l'azienda agricola dispone (bilancio agli effetti fiscali, dichiarazioni IVA e IRAP oppure fatture/ autofatture in tutti i casi in cui l'azienda non è tenuta ad avere altra documentazione fiscale e/o contabile). La direttiva regionale prevede che il reddito prodotto dall'attività agricola sia l'imponibile assoggettato a IRAP. Si dovrà comunque tener conto anche di quelle voci di reddito che, pur non scontando aliquota IRAP ridotta, risultino tra

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l'attività d'impresa o altro riconducibili alle attività agricole previste dall'art. 2135 del codice civile riportato all'inizio (come ad esempio agriturismo non determinato forfettariamente, allevamento eccedentario). A seguito di eventi eccezionali documentati, l'amministrazione provinciale può, su richiesta dell'interessato, tener conto di particolari condizioni al fine della verifica del requisito di cui trattasi. Per i soggetti esonerati dall'applicazione IRAP, il reddito agricolo potrà essere calcolato utilizzando la metodologia del reddito lordo standard. La quota di reddito globale da lavoro che l'imprenditore ricava dalla eventuale attività extraagricola deve essere rilevato dalle dichiarazioni dei redditi prodotte dal soggetto interessato, o da altre documentazioni relative a tale attività o in altro modo ritenuto opportuno dalla Provincia. A tale fine dovranno essere considerati tutti redditi percepiti in conseguenza della attività lavorativa prestata (redditi percepiti sotto qualsiasi forma, purché risultino conseguenti ad un apporto di lavoro nella attività extra-agricola, ivi compreso il reddito dalla vendita di energia da FER installata in azienda). In ogni caso, ai fini del conteggio del reddito complessivo da lavoro, non si calcoleranno i redditi diversi. Secondo il parere espresso dalla Direzione Generale Agricoltura della Regione Lombardia “i soggetti per i quali non è possibile dimostrare il possesso del requisito del reddito unicamente per ragioni burocratiche (non è ancora stata presentata

la dichiarazione fiscale per l'anno di riferimento), pur essendo sostanzialmente in possesso del requisito in parola, potranno dimostrare in modo alternativo il possesso del requisito fornendo all'Amministrazione idonea documentazione fiscalecontabile dalla quale si possa evincere il conseguimento del rapporto reddito agricolo/reddito globale di lavoro così come previsto dalla normativa.” Come “idonea documentazione” viene richiesto: · Bilancio dell'azienda agricola; · Copia della documentazione relativa ai redditi non agricoli; · Dichiarazione sostitutiva atto di certificazione ai sensi del D.P.R. 445/2000 resa dall'interessato dove si confermi il bilancio presentato, i redditi non agricoli eventualmente posseduti, con l'impegno di presentare appena disponibile, entro i termini prescritti dalla normativa fiscale, la relativa denuncia dei redditi. Nel caso di società agricole l'accertamento riguarderà il socio o l'amministratore che apporta la qualifica di IAP alla società, il quale dovrà essere iscritto all'INPS. Nel caso di società agricole cooperative, ammesse agli stessi benefici fiscali previsti dalla normativa della piccola proprietà contadina, l'accertamento della qualifica soggettiva riguarderà l'amministratore.


articoli 59 e 60 della legge regionale di governo del territorio 28.4.2005 n.12 e sue modifiche ed integrazioni Art. 59. Interventi ammissibili. 1. Nelle aree destinate all'agricoltura dal piano delle regole sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive necessarie per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dall'articolo 60. 2. La costruzione di nuovi edifici residenziali di cui al comma 1 è ammessa qualora le esigenze abitative non possano essere soddisfatte attraverso interventi sul patrimonio edilizio esistente. 3. I relativi indici di densità fondiaria per le abitazioni dell'imprenditore agricolo non possono superare i seguenti limiti: a) 0,06 metri cubi per metro quadrato su terreni a coltura ortofloro-vivaistica specializzata; b) 0,01 metri cubi per metro quadrato, per un massimo di cinquecento metri cubi per azienda, su terreni a bosco, a coltivazione industriale del legno, a pascolo o a prato-pascolo permanente; c) 0,03 metri cubi per metro quadrato sugli altri terreni agricoli. 4. Nel computo dei volumi realizzabili non sono conteggiate le attrezzature e le infrastrutture produttive di cui al comma 1, le quali non sono sottoposte a limiti volumetrici; esse comunque non possono superare il rapporto di copertura del 10 per cento dell'intera superficie aziendale, salvo che per le aziende ortofloro-vivaistiche per le quali tale rapporto non può superare il 20 per cento e per le serre per le quali tale rapporto non può superare il 40 per cento della predetta superficie; le tipologie costruttive devono essere congruenti al paesaggio rurale. 4 bis. Per le aziende esistenti alla data di prima approvazione del PGT, i parametri di cui ai commi 3 e 4 sono incrementati del 20 per cento. 5. Al fine di tale computo è ammessa l'utilizzazione di tutti gli appezzamenti, anche non contigui, componenti l'azienda,

compresi quelli esistenti su terreni di comuni contermini. 6. Su tutte le aree computate ai fini edificatori è istituito un vincolo di non edificazione debitamente trascritto presso i registri immobiliari, modificabile in relazione alla variazione della normativa urbanistica. 7. I limiti di cui al comma 4 non si applicano nel caso di opere richieste per l'adeguamento a normative sopravvenute che non comportino aumento della capacità produttiva. 7 bis. Gli edifici ricadenti nelle aree destinate all'agricoltura, dei quali sia prevista la demolizione ai fini della realizzazione di infrastrutture per la mobilità di rilevanza nazionale e regionale, possono essere ricostruiti anche in deroga alle previsioni del presente articolo, nonché dello strumento di pianificazione comunale, previo accertamento della loro effettiva funzionalità.

Art. 60. Presupposti soggettivi e oggettivi. 1. Nelle aree destinate all'agricoltura, gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi fabbricati sono assentiti unicamente mediante permesso di costruire; il permesso di costruire può essere rilasciato esclusivamente: a) all'imprenditore agricolo professionale per tutti gli interventi di cui all'articolo 59, comma 1, a titolo gratuito; b) in carenza della qualifica di imprenditore agricolo professionale, al titolare o al legale rappresentante dell'impresa agricola per la realizzazione delle sole attrezzature ed infrastrutture produttive e delle sole abitazioni per i salariati agricoli, subordinatamente al versamento dei contributi di costruzione nonché al titolare o al legale rappresentante dell'impresa agromeccanica per la realizzazione delle attrezzature di ricovero dei mezzi agricoli e di altri immobili strumentali, con esclusione di residenze ed uffici e subordinatamente al versamento dei contributi di costruzione;

c) limitatamente ai territori dei comuni indicati nella tabella allegata alla legge regionale 19 novembre 1976, n. 51 (Norme per l'attuazione delle direttive del Consiglio della C.E.E. nn. 159, 160 e 161 del 17 aprile 1972 e della direttiva n. 268 del 28 aprile 1975 nella Regione Lombardia), ai soggetti aventi i requisiti di cui all'articolo 8 della legge 10 maggio 1976, n. 352 (Attuazione della direttiva comunitaria sull'agricoltura di montagna e di talune zone svantaggiate) e all'articolo 8, numero 4), della l.r. 51/1976, subordinatamente al pagamento dei contributi di costruzione, per tutti gli interventi di cui all'articolo 59, comma 1 . 2. Il permesso di costruire è subordinato: a) alla presentazione al Comune di un atto di impegno che preveda il mantenimento della destinazione dell'immobile al servizio dell'attività agricola, da trascriversi a cura e spese del titolare del permesso di costruire sui registri della proprietà immobiliare; tale vincolo decade a seguito di variazione urbanistica, riguardante l'area interessata, operata dal PGT; b) all'accertamento da parte del Comune dell'effettiva esistenza e funzionamento dell'azienda agricola; c) limitatamente ai soggetti di cui alla lettera b) del comma 1, anche alla presentazione al Comune, contestualmente alla richiesta di permesso di costruire, di specifica certificazione disposta dall'organo tecnico competente per territorio, che attesti, anche in termini quantitativi, le esigenze edilizie connesse alla conduzione dell'impresa. 3. Dei requisiti, dell'attestazione e delle verifiche di cui al presente articolo è fatta specifica menzione nel permesso di costruire. 4. Il Comune rilascia, contestualmente al permesso di costruire, una attestazione relativa alle aree su cui deve essere costituito il vincolo di non edificazione di cui all'articolo 59, comma 6.

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La attestazione di fabbisogno edilizio delle aziende agricole - modalità operative A cura del servizio provinciale Agricoltura La Provincia, nella sua qualità di istituzione delegata alle funzioni in materia di agricoltura (una volta proprie degli ispettorati agrari), è chiamata ad attestare il fabbisogno delle aziende agricole in termini di infrastrutture edilizie, residenza per il coltivatore, serre. Talune indicazioni particolarmente stringenti riportate a seguito hanno l'esclusivo obiettivo di chiarire quali sono i limiti a cui ci si attiene nel procedimento. La Provincia intende favorire l'insediamento di infrastrutture corrispondenti al reale fabbisogno aziendale, scoraggiando la realizzazione di “cattedrali nel deserto” che si rivelano di pesante impatto ambientale e sovente sovradimensionate anche rispetto alle capacità imprenditoriali e di copertura finanziaria dei richiedenti; altresì intende porre un freno al consumo di suolo da parte di soggetti che non hanno le effettive qualità di agricoltore ma che mirano ad altri obiettivi, ancorché legittimi nelle loro aspirazioni ma non conformi alla destinazione di zona. La normativa di riferimento è prevista dagli articoli 59 e 60 della legge regionale di governo del territorio 28.4.2005 n.12 e sue modifiche ed integrazioni, che si riporta nella pagina seguente, dove sono in grassetto i passaggi più attinenti la materia. Cosa verifica e cosa non verifica la Provincia Il compito della Provincia non è sostitutivo delle verifiche normali operate dagli Uffici tecnici comunali in relazione al regolamento edilizio e agli indici plani volumetrici di PRG/PGT. La normativa regionale, peraltro “figlia” di precedenti norme dello Stato e della Regione stessa,

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indica limiti massimi non derogabili; contestualmente limita l'accesso alla edificazione a taluni fattori che la Provincia deve verificare e quindi attestare: · Le esigenze edilizie connesse alla conduzione dell'impresa; · L'impossibilità di soddisfare il fabbisogno mediante intervento sul patrimonio edilizio esistente; · La congruenza delle tipologie edilizie rispetto al paesaggio rurale; · La consistenza patrimoniale della azienda e la titolarità del diritto edificatorio (aspetto molto rilevante per gli agricoltori che non sono proprietari dei terreni); · Il ciclo produttivo aziendale e relativo programma di sviluppo nel tempo, per poter calibrare il corretto carico insediativo. L'attestazione non riguarda quindi i limiti di rispetto algebrico dell'indice edificatorio (di competenza comunale) ma il quantum che occorre alla singola azienda: esso pertanto può risultare assai inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, mai superiore.

Quali documenti presentare alla Provincia Per ottenere l'attestazione occorre presentare i seguenti documenti in originale o copia conforme: 1. Richiesta di attestazione redatta e eventuale indicazione di delega di rappresentanza alla associazione di categoria; 2. Planimetria per estratto catastale dei terreni interessati e da asservire; 3. Schede catastali connesse attualizzate; 4. Planimetria non inferiore a scala 1/10.000 di corografia della azienda agricola con indicati i terreni il luogo d'intervento e i terreni da asservire; 5. Planimetrie, alzati e sezioni del progetto edilizio in scala non inferiore a 1/100, completa di calcoli plani volumetrici, esatta utilizzazione di ogni spazio interno ed esterno al centro aziendale; tipologie edilizie previste in armonia con il paesaggio agrario; 6. Particolari esecutivi limitatamente alle attrezzature agricole da verificare (macchinari di stalla, mungitrici, vasche liquami, silos, sistemi di smaltimento, ecc.); 7. Relazione di agronomo o di perito agrario o gli agrotecnico - o del C.A.A. o dell’agricoltore stesso - descrittiva del ciclo aziendale e del bilancio previsionale agrario per il periodo di programmazione dell'investimento: attività, fabbisogno di impianti fissi e macchine mobili, ciclo d'ammortamento, ecc.. Fra gli elementi utili alla definizione del ciclo aziendale:


a. Indicazione delle fonti d'approvvigionamento della provvista finanziaria per l'investimento (% di risorsa propria, di mutuo, di contributo pubblico e quale, ecc); b. Descrizione del ciclo produttivo e delle attese di remunerazione; c. Eventuale possesso delle quote latte, protocolli produttivi applicati o simili occorrenti e degli altri prerequisiti prescritti dall'ordinamento; d. Grafico a linea dei tempi di ritorno previsti per l'investimento; e. Eventuali attività collaterali previste e loro incidenza percentuale (mai superiore al 49%); f. Unità lavoro previste nell'insediamento; g. Elenco delle macchine in possesso e quelle di cui si prevede l'acquisizione o altra forma di possesso anche temporaneo - dato essenziale per la stima del fabbisogno di ricovero; h. Distinta dei fabbisogni di stoccaggio delle materie prime e seconde e loro localizzazione nel centro aziendale; i. Rappresentazione descrittiva e grafica del ciclo dei rifiuti e dei reflui; j. Calcolo di congruenza delle aree di spandimento liquami ai fini del rispetto delle norme in materia di nitrati - ove occorrente;

k. Indicazione di eventuali finanziamenti PSR già conseguiti o richiesti alla Provincia; 8. Eventuale situazione aziendale esistente completa di mod. Unico degli ultimi esercizi (non oltre un triennio); 9. Quant'altro ritenuto utile per la migliore comprensione del profilo aziendale esistente e progettato; 10. Copia degli atti di provenienza dei terreni interessati; per i terreni in affitto, comodato o uso, oltre alla suddetta copia, anche la dichiarazione di tutti i proprietari e/o legali rappresentanti dei proprietari con la quale si dichiarino irrevocabilmente disponibili a trascrivere l'atto di vincolo nel pubblico registro immobiliare.

3.

4.

5.

Criteri per il rilascio / diniego Condizioni necessarie: 1. Completezza della documentazione sopra riportata; 2. L'azienda deve esistere sul territorio, avere terreni in possesso su cui edificare o avere il nulla osta del proprietario come sopra descritto; per le nuove aziende è sufficiente la promessa di vendita o di cessione in uso/affitto/comodato unitamente alla dichiarazione di cui al precedente punto 10;

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7.

relazione (vedi precedente punto 7) sul ciclo aziendale previsto: occorre che il progetto sia misurabile e verificabile sul territorio, basato su una stima di sviluppo attendibile e congruente all'andamento del mercato e alla remunerazione credibile; I fabbricati previsti o da ristrutturare devono avere dimensione congruente al fabbisogno descritto nella relazione; I fabbricati devono avere aspetto esteriore armonico rispetto alle tipologie tradizionali lombarde: salvo vincoli locali più restrittivi, è ammesso l'uso della prefabbricazione, ma i rivestimenti devono richiamare i pigmenti, i cromatismi, i materiali dell'architettura rurale briantea con l'inserto del cotto faccia a vista, le malte nei colori delle terre naturali, i tetti con coperture in tegole (salva la facoltà di coperture fotovoltaiche) o similari; in generale i capannoni devono avere un solo piano fuori terra e una altezza all'intradosso non superiore a mt. 6; i depositi di materie prime e seconde che possano generare odori vanno insilati o comunque previsti in locale chiuso, se del caso dotato di apposito sistema di ventilazione filtrante e anti mosche; per i reflui valgono le specifiche norme di settore; L'area circostante il centro aziendale va delimitata con idonea siepe alberata di almeno mt. 5 di larghezza, salvo comprovata

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8.

impossibilità a provvedervi; le specie arboree e arbustive da mettere a dimora sono da individuarsi nell'abaco delle specie autoctone della Lombardia (zona di pianura) reperibile sui siti web e nel Piano territoriale di coordinamento provinciale; Coordinate gauss-boaga (Monte Mario Italy1) o WGS84 (specificare il dato) del centro aziendale (vertici del poligono di pertinenza edilizia e punto di accesso sulla pubblica via); funzione reperibile mediante accesso al SIARL o usando tool tipo Google Earth o simili.

Condizioni escludenti l'attestazione: 1. Incompletezza documentale; 2. Mancanza di titolarietà dei diritti edificatori e della possibilità di trascrivere il vincolo sul pubblico registro immobiliare (diritto reale esercibile solo dal proprietario); 3. Sovradimensionamento delle infrastrutture richieste rispetto al ciclo produttivo esistente o progettato, comprensivo del programma di sviluppo pluriennale, anche se rientrante nei limiti massimi d'edificabilità indicati dalla L.R.12/05; 4. Prevalenza funzionale ed effettiva delle infrastrutture previste per attività complementari rispetto a quelle propriamente agricole (esempi: sovradimensionamento stalle per un numero di capi di cavalli

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5.

superiore al ciclo previsto, parcheggi auto superiori a quelli occorrenti per il personale impiegato e per l'eventuale vendita diretta e/o agriturismo; spazi agrituristici sovradimensionati; serre che non sono tali per conformazione e per tipologia delle coperture e dei rivestimenti; spacci aziendali sovradimensionati rispetto al prodotto aziendale, ecc.); Fabbricati non consoni al paesaggio agrario.

Gli uffici, previo appuntamento, sono disponibili a valutare in contradditorio i progetti presentati. Il settore, ai sensi dell'art.10bis della legge 241/90 sull'accesso agli atti, anticipa le proprie conclusioni ove negative o parzialmente negative, assegnando un ulteriore termine congruo per modificare o completare gli atti, decorso inutilmente il quale procede nei successivi 30 giorni al diniego.

Luogo di presentazione e termini istruttori La documentazione va presentata presso la sede del Settore Ambiente e Agricoltura della Provincia di Monza e della Brianza nell'orario e nel luogo indicato sul sito web ufficiale della Provincia di Monza e della Brianza. E' equipollente il deposito mediante l'impiego di posta elettronica certificata indicata sul sito della Provincia stessa in questo caso le dichiarazioni, i documenti e le fotografie vanno trasmessi in formato .pdf . I disegni preferibilmente in formato .dwg (release non più recente di 2006) o .dxf gisdataset esri o esricompatibile; in carenza è ammesso anche .pdf. Qualora la documentazione presentata sia completa ed esauriente, l'amministrazione emette l'atto conclusivo entro 30 giorni dal protocollo di arrivo. Qualora sia incompleta, avanza richiesta d'integrazione anche a mezzo di fax o posta elettronica certificata; il termine dei 30 giorni decorre dal completamento della documentazione richiesta.

Per attivare una casella di posta elettronica certificata, si consulti il sito specifico del Governo: https://www.postacertificata.gov.it/home/index.dot


Indice Presentazione Dario Allevi e Daniele Petrucci

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La verde brianza Fabio Lopez Nunes

pag.

Attrezzarsi per la nuova sfida imprenditoriale a basso sostegno comunitario, i conti devono quadrare Alessandro Nebuloni

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Gli ambiti agricoli strategici Davide Bressan pag. 13 pag. 16

La filiera corta: mille ragioni per organizzarsi Niccolò Mapelli

pag. 18

Campagne urbane tra nuova produzione e servizi ai cittadini Christian Novak

pag. 39

6

Innovazione di prodotto e offerta di servizi Paolo Lassini

Agricoltura biologica con recupero di antiche varietà e valori tradizionali: una possibile alternativa Pietro Perrino

Contenimento del consumo di suolo e tutela del territorio nel quadro delle scelte del PTCP Dario Allevi

pag. 41

Gli ambiti agricoli strategici nella proposta di PTCP della Provincia Amedeo Cedro L'edificazione rurale, limiti ed opportunità Fabio Lopez Nunes

pag. 42 pag. 45

Valorizzazione della figura dell'Imprenditore Agricolo Professionale Marco Besozzi

pag. 47

La CHARTA DI MONZA

pag. 50

Riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale - indirizzi operativi A cura del Servizio provinciale Agricoltura

pag. 52

La attestazione di fabbisogno edilizio delle aziende agricole modalità operative A cura del Servizio provinciale Agricoltura:

pag. 60

pag. 21 pag. 24

Il Protocollo di Kyoto, tra riduzione ad assorbimento di gas ad effetto serra Paolo Viganò

pag. 27

La filiera della gestione degli scarti organici e il ruolo dei suoli nella lotta ai cambiamenti climatici Enzo Favoino e Alberto Confalonieri

pag. 30

Come rispondere alle emergenze pandemiche nel settore agroforestale Marco Boriani

pag. 35

Valeriano Avezzù Mariateresa Buccafusca Paola Calaminici Massimo Merati Clelia Moroni Laura Vercelloni

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