Pareti dipinte

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PROVINCIA

DI

BERGAMO

PARETI

DIPINTE

Alla scoperta di storie dimenticate Affreschi murali esterni in provincia di Bergamo



PROVINCIA

DI

BERGAMO

Ma quanto è ricca d’arte la nostra provincia! È l’esclamazione spontanea che sorge sfogliando il volumetto curato dal Gruppo Guide “Giacomo Carrara” e che la Provincia di Bergamo dà alle stampe arricchendo, con un nuovo titolo, la collana di opuscoli turistici. Gli itinerari qui proposti rimandano a percorsi antichi, quando i viandanti lungo il cammino si imbattevano nei segni tangibili di una devozione popolare radicata e ad essi rivolgevano uno sguardo, un segno, una preghiera. Recuperiamo in queste pagine l’immagine di una “provincia dipinta”: sulle case, dentro i porticati, nelle edicole votive. A volte la conservazione è precaria e la qualità artistica non eccelsa, eppure in questi affreschi ritroviamo la nostra memoria. Ogni paese, ogni frazione, ogni borgo della nostra provincia ha un angolo dipinto: utilizziamo allora la selezione proposta da questo volumetto per riscoprire tragitti meno frequentati, indagare un territorio straordinario e rinnovare il senso di appartenenza alla nostra comunità.

L’ ASSESSORE ALLA CULTURA Tecla Rondi

IL PRESIDENTE Valerio Bettoni

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INTRODUZIONE

iste viator” (Fermati viandante): queste parole, o altre di simile significato, accompagnavano le immagini sacre lungo i sentieri, nei paesi, sulle facciate delle case, sulle edicole sacre. Noi le rivolgiamo al visitatore che compie un percorso a ritroso nel tempo e nella storia per ritrovare le radici della comunità cui appartiene e, quindi, le proprie. Andare da un paese all’altro nelle nostre valli, ma non solo, significa imbattersi in un fenomeno che non appartiene più al nostro tempo: la moltiplicazione del sacro. Noi, infatti, abbiamo luoghi e tempi definiti per i riti laici e per i riti sacri: chi vuole pregare va in chiesa. I nostri “vecchi” mettevano e trovavano il sacro dappertutto: possiamo immaginare quanti segni di croce, più o meno istintivi o consapevoli, siano stati ripetuti davanti ad una santella o davanti ad un affresco; quante preghiere a fior di labbra, quante “grazie” per mali scampati, quante devozioni recitate! Per tutto questo non c’è più tempo, però percorrere luoghi e sentieri antichi consente di riappropriarsi di costumi consolidati nei secoli e rendersi conto di come la fede sia stata l’unica arma a disposizione di tutti per affrontare malattie, pestilenze, avversità naturali, difficoltà personali. La qualità estetica delle pitture murali all’aperto non è quasi mai alta, ma i personaggi sacri, vestiti come gli abitanti di quel luogo e di quel tempo, i fedeli, austeri e seri come i santi, non ci permettono di guardare con degnazione o con sufficienza queste opere, anche se “minori”: in esse c’è tutta la storia dell’uomo, in esse c’è la vita di tutti.

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INTRODUZIONE

I temi raffigurati sono quelli più significativi della Redenzione, ma una parte molto importante è riservata ai santi: innanzitutto sono stati uomini, e quindi possono capire, poi sono diventati santi per i loro meriti e quindi possono fungere da intermediari presso Dio. Ogni santo ha la propria funzione, ma qualcuno è più importante degli altri perché protegge dalle malattie, protegge i viaggiatori, protegge i parti. Possiamo leggere lunghe storie alla fine delle quali avremo recuperato delle conoscenze, ma, soprattutto, delle emozioni che ci aiuteranno, se lo vorremo, a guardare con occhi nuovi dentro di noi. Se, come abbiamo visto, i temi più diffusi nelle pitture murali sparse sul territorio provinciale appartengono alla

Averara, via Roma, Palazzo con decorazioni architettoniche

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INTRODUZIONE

dimensione del sacro, percorrendo le vie cittadine ci imbattiamo in soggetti diversi, spia della mentalità laica dei committenti, e di qualità formali spesso più alte. Dagli studi analitici e approfonditi che sono stati fatti a vario titolo e con diverse finalità sul territorio cittadino è emerso che dalla seconda metà del Quattrocento ai primi decenni del Cinquecento a Bergamo furono costruiti edifici pubblici e case private le cui pareti esterne erano decorate con pitture, di livello più o meno elevato, che oggi, purtroppo, non sono più visibili ad eccezione di alcune che sono state recuperate dopo aver rimosso gli intonaci che le ricoprivano. Il loro stato è molto precario, tant’è che di anno in anno la loro lettura diventa sempre più difficile. Noi cercheremo di accompagnare il visitatore per le vie di Città Alta e sul territorio alla scoperta di quello che rimane da vedere; gli autori di questo opuscolo intendono precisare che la scelta delle opere illustrate si è basata essenzialmente su due criteri: la leggibilità delle immagini e la loro reperibilità, per ridurre al minimo le difficoltà al visitatore.

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BERGAMO LA CITTÀ DIPINTA


BERGAMO: LA CITTÀ DIPINTA

VIA PORTA DIPINTA ulla parete dell’edificio che affianca la facciata di San Michele al Pozzo Bianco, sede, un tempo, del consorzio dedicato alla Vergine e a San Michele Arcangelo, si possono malamente vedere i tre riquadri di un’antica decorazione risalente al secolo XVI: a destra, sotto una volta a botte con lacunari, di sapore quattrocentesco, che vuole dare profondità spaziale alla scena, è raffigurata la Vergine col Bambino in trono. Alle sue spalle ci sono due angeli musicanti; altri angioletti la circondano, mentre di fianco c’è un San Cristoforo poco leggibile. A sinistra viene raccontata una storia di carità relativa a San Donnino, una cui reliquia si trova appunto nella chiesa accanto. Il racconto è diviso in due scene: a sinistra si vedono un cavallo scalpitante, un uomo inginocchiato, il santo in piedi e dietro due soldati che richiamano due figure simili nella predella della pala di San Bartolomeo di Lorenzo Lotto. Nella scena accanto una donna avanza tenendo prudentemente in mano una scodella; vicino a lei stanno l’uomo inginocchiato e, di nuovo, riconoscibile, il santo. Secondo la leggenda San Donnino avrebbe guarito un uomo dall’idrofobia facendogli bere dell’acqua e del vino contenuti in una scodella da lui benedetta. Essendo la Carità la virtù che doveva guidare le azioni dei consorziati, si comprende la scelta del soggetto raffigurato. Purtroppo le condizioni attuali del dipinto non consentono una valutazione critica delle cromie e del linguaggio dello sconosciuto esecutore. Al numero civico 18 della stessa via si trova la casa appartenuta alla famiglia Da Terzo, un cui componente, Maffeo, potrebbe essere stato il committente dei dipinti che ancora oggi si vedono sulla facciata. Due lesene a grottesche bianche su fondo rosso delimitano ai lati la scena nella quale alcune costruzioni in prospettiva creano l’ambiente in cui si svolge l’azione. Sulla destra un idolo femminile di stampo antico poggia su una colonna a candelabra, al centro domina un gruppo dina-

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mico di cavalieri con lance e dardi: uno di essi sembra voler appiccare il fuoco all’idolo. Il resto della facciata presenta un fregio marcapiano con motivi fitomorfi. Lo stato di fatiscenza del dipinto è tale che non è possibile leggere e interpretare in modo univoco l’immagine e tanto meno fare una riflessione critica sui colori utilizzati. Ancora una volta non resta che rimpiangere la perdita di queste pitture esterne che rendevano suggestivo e intrigante il percorrere la via. PIAZZA MERCATO DEL FIENO n occasione della ristrutturazione in anni recenti dell’edificio posto al civico numero 2 della piazza, è stato recuperato il dipinto che ornava la facciata e che era stato ricoperto da uno spesso strato di intonaco nel sec. XVIII. La casa apparteneva in origine a Morando Locatelli, “drapario”, cioè mercante di tessuti pregiati, il quale, come risulta da alcuni documenti, aveva raggiunto una certa agiatezza economica. L’ accurato studio di Simone Facchinetti e di Simone Ferrari, pubblicato su “Prospettiva” nel 1997, mette in evidenza i legami di questo ciclo, databile al 1489, con opere realizzate da Bramante in Lombardia, Bergamo compresa, e quindi l’appartenenza del committente e dell’artista ad un ambiente abbastanza colto e raffinato. Nel registro superiore della facciata corre un fregio formato da elementi fitomorfi, centauri e tondi con le teste di quattro muse: da sinistra Erato, Talia, Licaste ed Hebe. La parte più estesa, centrale, è occupata da una elegante decorazione a nodi geometrici che formano un ininterrotto labirinto all’interno del quale si definiscono spazi quadrilobati e a stella a otto punte: nei primi si legge la parola “ MORL”,che sta per Morando Locatelli, nelle seconde la frase “LAUS DEO”. Nel registro inferiore rimangono tracce di una decorazione ormai illeggibile. L’ artista che ha eseguito quest’opera dimostra una conoscenza degli esempi più colti della pittura a lui contem-

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poranea e precedente (pensiamo a Leonardo per il motivo a nodi, a Bramante e forse anche a Piero della Francesca) ed è riuscito a conferire eleganza e fascino alla costruzione che ha decorato. VIA DONIZETTI isalendo la via Donizetti, si trovano sul lato sinistro alcune case che presentano tracce di antichi affreschi. Al numero civico 19 si vede in alto una balconata con due putti a cavalcioni situata tra i due oculi; a destra è dipinta

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Bergamo, Via Porta Dipinta, Vergine con Bambino in trono

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una nicchia con una figura femminile: sopra la nicchia un oculo con il cielo azzurro che rompe la cortina muraria. Al civico 17 rimane un disegno preparatorio, mentre la parte superiore della facciata del civico 15 presenta una decorazione con forme quadrilobate al cui centro ci sono un fiore e linee a raggiera: il tutto costituisce un insieme di grande effetto cromatico per l’uso alternato del giallo e del rosso. In alto corre un fregio con stemmi. VIA ARENA rocedendo si arriva in via Arena: all’incrocio con via Mayr esisteva anticamente la Casa dei Carcerati, divenuta poi la sede della Banca Diocesana, sulle cui pareti esterne eseguì degli affreschi Antonio Maria Caneva, nativo di Porlezza, detto perciò il Porlezzino (1550-1610), attivo a Bergamo dal 1593. Sebbene siano stati restaurati nel 1965, attualmente i di-

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Bergamo, via Arena, Chiesa di S. Grata in columnellis

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pinti sono illeggibili, anche se si colgono elementi architettonici che rimandano all’attività di decoratore, ma anche di progettista di architetture, del Caneva. Il pezzo più pregevole si trova al secondo piano verso la via Arena, dove colonne e lesene con capitelli corinzi dorati racchiudono la fuga di doppie arcate a crociera alla cui estremità si vedono palazzi e lembi di cielo. Scomparsi alla vista dei passanti gli affreschi di casa Angelini, si presentano quelli della chiesa di Santa Grata in columnellis. Si rincorrono in basso, a sinistra del portale, quattro archi sottolineati da un fregio vegetale bianco su fondo rosso: tra un arco e l’altro appaiono degli oculi con figure di santi; sopra è dipinto un fregio monocromo su fondo azzurro con motivi vegetali, figure umane e animali. A destra del portale rimangono: un mezzo arco uguale ai precedenti e tracce di affreschi tra cui un oculo con un santo non visibile che, dalla parziale scritta sottostante, risulta essere San Benedetto fondatore dell’ordine cui appartengono le monache che ancora vivono nel convento attiguo alla chiesa. Tutta la decorazione è ascrivibile a un maestro lombardo operante tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. PIAZZA MASCHERONI ercorrendo la strada panoramica delle Mura, si arriva nella zona ovest di Bergamo Alta, in località Colle Aperto. Avviandosi verso est si incontra subito una torre duecentesca, detta di “Adalberto” (vescovo nel sec.X ), passata la quale ci si trova in Cittadella, una piazza quadrilatera ultima testimonianza della grande fortificazione trecentesca “FIRMA- FIDES”, voluta da Bernabò Visconti. Attraversata la piazza della Cittadella si incontra un’altra area rettangolare dedicata oggi all’illustre bergamasco Lorenzo Mascheroni, ma che in origine, 1520, era definita “Piazza Nuova” in quanto successiva, in ordine di tempo, a quella principale (ex Nuova), divenuta poi “Piazza

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Vecchia”, il centro della città. Il lato meridionale della piazza è quasi totalmente chiuso dalla fronte di un palazzo, apparentemente settecentesco (ex Roncalli), di elegante e buona fattura, ma che, nella ristrutturazione degli anni 1981-82, ha evidenziato essere di un’epoca precedente. Studi recenti hanno chiarito che l’originale palazzo cinquecentesco, voluto dai Rettori Veneti, era il completamento di un progetto ambizioso che prevedeva la costruzione della piazza da dedicare ad attività commerciali (mercato delle biade, granaglie e legumi) e di un edificio pubblico con logge, ove si potessero svolgere contrattazioni di carattere economico e affiggere le sentenze criminali emanate dal Capitano del Popolo, risiedente nel palazzo della Cittadella. Il progetto del palazzo cinquecentesco venne affidato ad Andrea Ziliolo (1520), mentre la costruzione venne realizzata da Francesco Cleri e Pietro Isabello. Durante il restauro della facciata sono apparsi resti di affreschi cinquecenteschi, oggi di difficile lettura, ma che si possono virtualmente ricostruire, sulla base dello studio effettuato dal restauratore-architetto Giraldi che così li ha interpretati: sul palazzo Roncalli sopra le arcate, due teste di leone e un busto d’uomo barbuto con scettro, Venere distesa su un drappo con satiro (riquadro a destra delle arcate), giovane flautista all’estremità destra della facciata sul palazzo Benaglio, che fa angolo con palazzo Roncalli, nella fascia inferiore: un grande riquadro raffigurante una donna nuda distesa su un panno bianco e un uomo con turbante in atto di suonare un flauto sotto il pergolato; nella fascia intermedia: frammenti di decorazione monocroma a girali e animali fantastici, mentre nella fascia superiore: due piccole lunette una delle quali raffigurante una coppia amorosa. Gli affreschi sono stati realizzati da Giovanni Cariani, discepolo di Giorgione da Castelfranco, a Bergamo dal 1517 al 1523.

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Bergamo, Piazza Mascheroni, Palazzo Benaglio, Coppia amorosa

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AVERARA verara è un tranquillo centro di modeste dimensioni nell’Alta Val Brembana non lontano da Santa Brigida, un tempo, prima della costruzione della strada Priula (1593), trafficata zona di confine dello Stato Veneziano e di transito dei carri di mercanti che qui trovavano riposo e ristoro prima di affrontare la ripida mulattiera che conduceva al Passo di San Marco. Interessanti edifici, quali la via porticata e la settecentesca chiesa parrocchiale, eretta sui resti di un tempio più antico, o avanzi di torri, facenti parte di un sistema fortificato, testimoniano dell’importanza di cui godette il paese nel Medioevo e sotto la dominazione veneta.

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LA STRADA PORTICATA a strada porticata, sita al centro del paese, è quanto rimane dell’antica via mercantile che, attraverso il passo di San Marco, portava in Valtellina e nei Grigioni; ampiamente rimaneggiata nel Settecento, specialmente nella parte esterna, conserva all’interno parte della struttura originaria e della decorazione cinquecentesca. La prima fase decorativa, invece, risalente al Quattrocento, è quasi totalmente scomparsa, coperta dalla successiva; qua e là sono però visibili brani di affreschi votivi, aventi per soggetto la Madonna con il Bambino e i Santi Gottardo, Sebastiano e Rocco, gli ultimi due tradizionalmente ritenuti protettori dalla peste, e di disegni ornamentali, eseguiti nella stessa epoca anche sulla parete esterna. La seconda fase decorativa ha una data precisa, 1565, riportata vicino allo scudo gentilizio della famiglia Guarinoni, e comprende nove stemmi tra i quali spiccano quello della sopraccitata Famiglia Guarinoni, che presenta un castello turrito e merlato con due sorgenti ai lati, quello della Famiglia Bottagisi, con una botte, quello della Comunità di Averara, con una torre merlata attraversata da una freccia, quello della Famiglia Mazzoleni, con una mano che impugna una mazza ferrata, e della Famiglia

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Baschenis, con due bastoni incrociati. L’ intero ciclo, almeno per quanto attiene l’ideazione, è stato attribuito a Giovan Battista Guarinoni (1548 ca. - 1579); il pittore, che proveniva da una famiglia originaria del paese stabilitasi a Bergamo nella seconda metà del Quattrocento, si specializzò in affreschi decorativi e operò attivamente in città per committenze pubbliche e private, lasciando una serie di testimonianze della sua opera tra le quali ricorderemo quelle nella sala del Collegio dei Giuristi nel Palazzo del Podestà nonché nelle chiese di San Michele al Pozzo Bianco e della Maddalena (F. Bartoli, 1774). Pure datata è la terza fase decorativa; la data, 1700, è apposta nelle vicinanze dello stemma della Famiglia Marieni, che comprende un braccio con un virgulto verde in mano e sopra tre gigli rossi in campo bianco a tre bande azzurre. Si tratta di un affresco architettonico che si estende sull’intera facciata, inquadrando finestre e porte-finestre e che presenta anche due busti in finto marmo, forse riferibili ai proprietari dell’edificio. LA TORRE DELLA SAPIENZA affresco dipinto sotto il portico della chiesa parrocchiale di Averara, noto con il nome di Torre della Sapienza, ha da sempre attirato l’attenzione di critici e studiosi per la sua insolita configurazione, visibile ancor oggi nonostante il mediocre stato di conservazione e le numerose lacune: una torre sostenuta da cinque sottili e brevi colonne e coronata da merli a coda di rondine. Lo spazio interno è occupato da una serie di figure rettangolari, simulanti i mattoni della costruzione, che contengono scritte in latino in eleganti caratteri gotici, leggibili purtroppo solo in parte. Eseguita nel 1446 da un anonimo frescante su indicazione di un religioso, certo “prete Davide”, essa rappresenta, come l’importante studio di Lina Bolzoni I luoghi della memoria (KOS, n. 30) ci rivela, un esempio di mnemotecnica con finalità etiche. Se è vero infatti che l’arte della memoria è strettamente colle-

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gata a una società orale, essa non si perde nell’età della scrittura, anzi, come sottolinea la Bolzoni, è proprio la scrittura a ricreare la mnemotecnica a sua immagine e somiglianza: “Costruire un insieme ordinato di loci e collocarvi imagines agentes capaci cioè di emozionarci, di colpire la nostra attenzione, di farci ricordare cose e parole attraverso la catena delle associazioni: questi saranno i cardini della tradizione secolare dell’arte della memoria”. Nel passaggio dal mondo classico al mondo cristiano, la memoria si carica di una forte dimensione etica. Proprio configurazioni schematiche, come la Torre della

Averara, La Torre della Sapienza

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Sapienza, o più complesse, come l’Albero della Vita o il Cherubino, si diffondono in epoca medioevale con il preciso scopo di aiutare i fedeli a memorizzare quei precetti morali che costituiscono anche il cardine delle predicazioni, in particolare degli ordini mendicanti. A una letture ravvicinata, le scritte leggibili rivelano il loro contenuto: le quattro virtù cardinali, ovviamente nelle colonnine alla base della torre, esortazioni morali nei “mattoni” dell’edificio, e indicazioni legate al Sacramento della Penitenza, fornendo un’ulteriore testimonianza della diffusione di quell’anelito religioso che caratterizza il tredicesimo e quattordicesimo secolo. Gli altri affreschi del portico, eseguiti tra il quindicesimo secolo e l’inizio del sedicesimo, furono in gran parte strappati nel 1967 e trasferiti all’interno della Chiesa, nella Cappella della Madonna Immacolata, lasciando in loco solo delle tracce o dei lacerti. Tra questi risulta di partico-

Averara, Chiesa Parrocchiale, Madonna in trono con Bambino e due Santi 20


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lare interesse, anche per la sua leggibilità, la scena dell’Annunciazione, opera delicata e ingenua nel contempo ma non priva di eleganze formali nella descrizione, pur sommaria, del volto e delle mani della Vergine, nella gestualità composta dei due protagonisti, l’uno ancora in volo, l’altra inginocchiata, in umile accettazione della volontà divina, nell’architettura che inquadra l‘Annunciata e ne sottolinea il ruolo centrale. L’ affresco presenta la particolare iconografia del Padre Eterno nella mandorla che invia il Verbo sotto forma di Bambino, iconografia che si ritrova anche in altre opere coeve, come, ad esempio, nella scena dell’Annunciazione dipinta da un anonimo pittore del primo quattrocento nella chiesa di San Michele al Pozzo Bianco a Bergamo. Un altro affresco, che rappresenta la Madonna in trono con il Bambino benedicente tra due santi, è tuttora visibile sotto il porticato. In precarie condizioni di conservazione, anche a causa dei colpi di martellina inferti per far aderire alla superficie uno strato di intonaco con il relativo dipinto, mostra al centro la Vergine seduta in trono con il Bambino sulle ginocchia. I personaggi, statici nella solenne frontalità della presentazione, sono tutti riccamente vestiti, dalla Madonna, che indossa un mantello bianco punteggiato di fiori azzurri sopra un abito grigio, al Bambino, coperto da una lunga veste marrone con le maniche ornate di pelliccia ai gomiti, al santo re, a sinistra, con scettro, corona e mantello anch’esso di color marrone, foderato di pelliccia di ermellino, identificato come San Sigismondo, al santo vescovo, con mitria, libro e pastorale. L’ opera, di intento chiaramente devozionale, eseguita con tutta probabilità nel primo quattrocento, rivela la mano di un artista di area lombarda decisamente provinciale, ancora legato a schemi trecenteschi non solo nella simmetrica distribuzione dei personaggi, o nella loro iconica fissità, ma anche nei rapporti proporzionali tra le figure, nella quasi totale assenza di una visione prospettica, nel modo di contornare, netto e marcato, e, infine, nel ritmico ricadere a festoni dei mantelli dei protagonisti.

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CASSIGLIO CASA MILESI asa Milesi è un’elegante palazzina in via Roma 54, decorata su tre fronti da un ignoto artista nel XVIII secolo. In alto, lungo la gronda, corre un importante fregio architettonico, formato da una serie di quadrati che contornano delle aperture ad oculo, alcune reali, altre finte. In due di questi ovali appaiono una colomba e una civetta. Al centro spicca lo stemma dei Milesi, una delle famiglie più rappresentative della comunità locale nei secoli scorsi, affiancato dalla data “1790”. Ai lati due spazi rettangolari racchiudono ciascuno un viso femminile che risalta sullo sfondo scuro. Sulla facciata principale, all’altezza del primo piano, sono affrescate due immagini sacre, circoscritte da cornici sagomate: nel riquadro a sinistra si riconoscono la

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Cassiglio, Casa Milesi, Danza macabra

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Santissima Trinità, Maria, Giuseppe e l’Arcangelo Michele, in quello di destra i Santi Antonio da Padova e (forse) Pietro. Sul fronte orientale, all’altezza del secondo piano, è dipinta una danza macabra. La scena sfrutta l’architettura della casa, giocando su false finestre simmetriche a quelle vere. Una dama si affaccia ad ascoltare la serenata del suo innamorato, un gentiluomo in abiti settecenteschi, accompagnato da un suonatore di liuto e da una figura biancovestita che canta un madrigale. Un momento di spensieratezza e di gioia, che però avrà breve durata, perché la Morte, che già trascina con una catena due vecchi, è alle spalle del “giovin signore” e sta per scoccare la freccia fatale. Da osservare l’immagine dell’anziana, che tiene in mano il rosario ed ha un vistoso gozzo, malformazione piuttosto frequente all’epoca. È evidente come il pittore intenda mettere a confronto i personaggi e i loro stili di vita: la ricercatezza dei costumi della dama e del cavaliere contrasta con la semplicità degli abiti dei contadini, così come la frivolezza dell’occupazione dei primi fa risaltare la religiosità degli altri. L’ ammonimento sulla vanità delle cose terrene si affianca all’idea dell’uguaglianza degli uomini davanti alla morte e la danza macabra assume qui aspetti di satira sociale, venata di amara ironia. Negli spazi del piano sottostante sono affrescati tre cipressi con accanto altrettanti animali: un orso, una scimmia ed un terzo non più identificabile. Anche il bestiario è ricco di significati: l’orso è simbolo di potenza e forza, ma anche di tentazione diabolica; la scimmia è allegoria dei vizi e in particolare della lussuria; la colomba che tuba e la civetta rappresentate nella gronda sono chiaramente associate all’incontro amoroso. Sul fronte settentrionale le decorazioni sono più semplici: un gallo, alcune gallinelle e forse una colomba risaltano sul fondo chiaro dell’intonaco. I colori degli affreschi sono caldi e armoniosi: prevalgono i rossi, i bruni ed i gialli dei campi. Le figure sono

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tratteggiate con garbo e molta attenzione ai costumi, ma senza particolari caratterizzazioni psicologiche: quello che conta è il messaggio, il memento mori, destinato al viandante che non può fare a meno di notare il dipinto, collocato in tutta evidenza sulla via centrale del paese. CHIESA PARROCCHIALE DI SAN BARTOLOMEO n’altra danza macabra è stata ritrovata nel 1985, durante lavori di restauro, sulla facciata della chiesa parrocchiale di San Bartolomeo. L’affresco potrebbe risalire all’epoca di costruzione dell’edificio, che fu consacrato nel 1468. Questa datazione è suggerita anche dal soggetto del dipinto, perché le danze macabre sono state realizzate per la maggior parte nel XV secolo. La più celebre della Bergamasca, quella attribuita a Giacomo Borlone nell’Oratorio dei Disciplini di Clusone, è datata 1485. Del dipinto originario, cancellato in gran parte da altri affreschi e da un portichetto, non rimane che un frammento, in cui si scorgono vari personaggi di alto rango

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Cassiglio, Chiesa Parrocchiale, Danza macabra

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tenuti per mano da spettri danzanti. Si riconoscono, allineati su due registri, un papa con la tiara, un monaco che regge il crocifisso, forse un imperatore con lo scettro e la sfera sormontata dalla croce: in tutto una quindicina di figure abbigliate con eleganti costumi rinascimentali. Le immagini della fila in alto sono meglio conservate, le altre più sbiadite; si distinguono con difficoltà delle sagome femminili. Sono curiose le figure macabre, una decina di strani scheletri senza peso, che si muovono come marionette, ossute e in carne nello stesso tempo. Due di loro indossano una parrucca con lunghi capelli biondi, altre sembrano vestite. Si ritrovano anche in quest’opera i colori locali: rosso, ocra, bruno, qualche traccia di verde. Non si colgono contenuti di tipo sociale, poiché lo scopo di questo affresco è semplicemente quello di ricordare, a chi passa, come ogni uomo, anche il più altolocato, sia già dalla nascita coinvolto nel ballo della morte. In basso a sinistra si sovrappone un altro affresco, anch’esso parzialmente nascosto dal tetto del portico. Potrebbe trattarsi di uno stemma, ma sono visibili solamente un cappello da prelato, alcuni elementi fitomorfi e parte di una scritta: “ ...ROCHIALIS DIVO… / ...RATA FVIT AB E ... / ...LLI CARDINALI… / ...ANNO D(OMI)NI 1754”. Vista la data, è ipotizzabile che il dipinto sia stato eseguito in occasione dell’ampliamento dell’edificio, i cui lavori iniziarono nel 1714.

FOPPOLO ell’ultimo paese dell’alta Valle Brembana, Foppolo, conosciuto oggi soprattutto come meta preferita del turismo invernale, in una frazione fatta di poche case, quasi tutte ben ristrutturate, baite e stalle, si può vedere un affresco risalente al 1635.

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Il dipinto segue lo spiovente destro del tetto: a sinistra, delimitato da una finta cornice, è raffigurato il gruppo della Madonna con il Bambino e i santi Carlo Borromeo e Rocco. La Madonna, posta su una pedana sopraelevata, indossa un grande manto bianco, con decorazioni floreali e geometriche, che cade a corolla e l’avvolge tutta impedendo di vedere le braccia nonostante che tengano il Bambino, piccolo re che benedice e tiene il mondo nella mano sinistra. Entrambi sono neri, con occhi penetranti. La corona della Vergine è simile al triregno papale. Alla nostra sinistra San Carlo, con tunica bianca e mantello rosso, tiene una croce astile; a destra San Rocco mostra la solita piaga sulla coscia. Entrambi sono molto allungati, con evidente sproporzione tra il busto e le gambe, ed esprimono intensa compunzione. La profondità dello spazio è suggerita dalla fuga delle mattonelle, la cui prospettiva lascia un poco a desiderare. Nella parte digradante troviamo Sant’Antonio abate con il pastorale e la campanella nella mano sinistra e il fuoco nella destra: il viso è ricoperto da una lunga barba bianca. Un girale vegetale policromo con un uccello che becca un grappolo d’uva e un serafino concludono l’immagine, in cui, a sinistra di Sant’ Antonio e in basso, appare anche una scritta a caratteri rossi molto interessante: 1635 .O TV CHE PASSI P. QVESTA VIA SALVTERAI LA VER.ne MARIA P. AMOR D. DIO GVARDATEVI FRATELI DAL BLASTEMMARE ET DAL PARLARE DISONESTO ALTRAmenti DOMINICO D EGLI VI ………….. SANCTI F. F CASTIGARA VOTION ANNO 16

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Roncobello, fraz. Bordogna, Cappella di S. Rocco, Madonna in trono con Bambino 27


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Le due ultime cifre della data non si leggono più a causa di un incauto intervento dell’ENEL negli anni ’80, però qualcuno ha provvidamente trascritto la data in alto. Come per altri affreschi di questo genere, l’identità del pittore è sconosciuta, la qualità formale è mediocre, ma ancora una volta siamo davanti ad una grande testimonianza di fede. L’ invito a pregare, a non bestemmiare e non parlare disonesto era rivolto a quei viandanti che percorrevano il sentiero (oggi F8) per andare in Valtellina attraverso il Passo Tartano. La data, corrispondente agli anni della peste “manzoniana”, giustifica la scelta dei santi e il committente, Domenico D. Sancti, era forse uno dei tanti rifugiatisi fin quassù per sfuggire al contagio.

RONCOBELLO FRAZ. BORDOGNA CAPPELLA DI SAN ROCCO osta in posizione arretrata rispetto alla facciata della chiesa di Santa Maria Assunta e San Giorgio, sorge la cappella dedicata a San Rocco della quale si hanno notizie fin dall’inizio del XVI sec. Le fonti antiche riportano infatti che, imperversando la peste che decimava la popolazione locale, venne espressa dai fedeli la volontà di costruire una cappella da dedicare a San Rocco, santo taumaturgo protettore contro le pestilenze. Numerose furono le donazioni e i legati concessi per la realizzazione di quest’opera che vide finalmente la luce nel 1526; costruita da Mastro Luca fu Martino Milesi di Ronco, venne inaugurata il 16 agosto di quell’anno, giorno in cui la Chiesa festeggia San Rocco. Diverse, nel corso dei secoli, furono le vicissitudini che caratterizzarono questa cappella che si presenta oggi chiusa su tre lati, mentre il quarto lato è completamente aperto e soltanto una cancellata separa lo spazio interno

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da quello del sagrato della chiesa. Il ciclo di affreschi che, disposti su un unico ordine, decorano le pareti, fu casualmente scoperto intorno al 1914-15; la caduta di un pezzo di intonaco, ne riportò alla luce una parte e i successivi interventi, promossi dal parroco del tempo, permisero di scoprirli per intero eliminando lo strato di calce sotto cui erano stati nascosti. La prassi di intonacare con calce bianca le pareti degli edifici, anche religiosi, era molto diffusa in tempi di pestilenze; in questo modo si pensava di poter arginare l’avanzata del male. Gli affreschi così riscoperti, le cui condizioni di conservazione non sono delle migliori, sono databili al XVI secolo; attribuiti ad ignoti artisti locali del periodo, rappresentano: sulla parete sinistra all’interno di un unico riquadro: la

Roncobello, fraz. Bordogna, Cappella di S. Rocco, Parete centrale

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Madonna col bambino e i Santi Lucia, con in mano un piattino su cui sono posati gli occhi, tipico attributo della santa, e Rocco, nel classico atteggiamento di mostrare la piaga della peste sulla gamba. sulla parete centrale: la Madonna con Bambino e i Santi Sebastiano, Rocco, Antonio abate e Pantaleone. sulla parete destra: la Madonna con Bambino incoronata dagli Angeli. Una nota curiosa accompagna la disposizione dei personaggi all’interno dei singoli gruppi; sia nella parete sinistra che in quella centrale, la posizione predominante, cioè quella al centro, non è occupata dalla Madonna, ma da San Rocco a probabile testimonianza di come la figura del santo fosse tenuta in particolare considerazione, tanto da farlo diventare “più importante” rispetto alla Madre di Cristo. Come già accennato, non è possibile risalire alla identità degli autori che si collocano sicuramente all’interno del Cinquecento; quasi certamente ci si trova di fronte a tre diversi frescanti ai quali va attribuito un gruppo di affreschi ciascuno, viste le differenze qualitative tra i singoli gruppi a cui fa riscontro una certa omogeneità all’interno delle opere che appaiono su ciascuna parete.

SAN GIOVANNI BIANCO

FRAZIONE ONETA CASA DI ARLECCHINO a tradizione vuole che Alberto Ganassa, famoso interprete cinquecentesco della maschera bergamasca, sia nato in questa casa, ormai conosciuta come Casa di Arlecchino, anche se esistono molti dubbi sull’attendibilità di tale indicazione. L’ edificio, che domina la piazzetta di Oneta, fu costruito nel tardo Quattrocento per conto dei Grataroli, autorevo-

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li e ricchi commercianti originari del luogo, che avevano fatto fortuna a Venezia e potevano vantare la proprietà dell’intera contrada. La posizione della palazzina era di grande importanza strategica, almeno fino a tutto il 1500, perché permetteva di controllare i traffici sulla Via Mercatorum, l’antica strada di collegamento tra Bergamo ed il nord Europa attraverso la Valtellina. All’interno vi era una “camera picta”, con pregevoli affreschi rappresentanti immagini sacre, emblemi araldici ed un insolito torneo cavalleresco, staccati dalle pareti una cinquantina d’anni fa e trasportati nella casa parrocchiale. Altri dipinti, di cui sono tuttora visibili le tracce, abbellivano la facciata, accanto ai portali a sesto acuto e alle finestre ad ogiva. Un affresco, ora sostituito da una copia, era posto sopra i gradini d’accesso. A contrasto con la leggiadria della piccola scala, quasi un invito ad entrare, è dipinto un energico personaggio armato di randello, sovrastato da una scritta non proprio accogliente: “CHI NO E’ DE CHORTESIA NON INTRAGI IN CHASA MIA, SE GE VENES UN POLTRON (?) GE DARO’ COL MIO BASTON”.

S. Giovanni Bianco, fraz. Oneta, “Homo selvaticus”

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La figura, inquadrata da una cornice bluastra che simula lo stipite di una porta, è cancellata nella parte inferiore da cadute d’intonaco, ma mantiene un aspetto imponente: ha lunghi capelli ricciuti, barba folta, corpo peloso ed è pronta a colpire col suo nodoso bastone. Il volto è parzialmente scomparso, ma ne rimane l’espressione minacciosa, chiaro avvertimento ai visitatori indesiderati. È il cosiddetto Uomo Selvatico, personaggio dell’immaginario popolare, rappresentato in molti affreschi dell’area alpina. Forte e rude, barba e capelli lunghi, vestito con pelli di capra, ha aspetto terrificante, ma carattere timido e mite e non ha mai fatto del male ad alcuno. Vive isolato sulle montagne, ma qualche volta sente il bisogno di avvicinarsi agli uomini ed allora si ferma ad insegnare i segreti dell’arte casearia, di cui è maestro. Proseguendo verso nord, oltre lo spartiacque delle Orobie, se ne incontra un altro a Sacco in Valtellina. Accanto al viso ha un cartiglio che avverte: “Ego sonto un homo salvadego per natura / chi me ofende ge fo pagura”. CHIESA DEL CARMINE u ancora la famiglia Grataroli a far costruire questa piccola chiesa, a pochi passi dall’abitazione, verso la fine del Quattrocento. I pochi affreschi recuperati si trovano sull’esterno della parete destra, al riparo di un portichetto colonnato. Si intravedono numerosi elementi ornamentali, lesene decorate con motivi vegetali stilizzati, bordure geometriche, a girali, intrecciate, colonne tortili, che suggeriscono l’esistenza in passato di un’ampia superficie dipinta. Inoltre, per quanto è possibile scorgere, sembra che gli affreschi oggi individuabili si sovrappongano ad altri più antichi. In basso una nicchia vuota, parzialmente contornata da un decoro intrecciato, ha il sottarco interamente ricoperto da un fregio a grottesche brune ed ocra, con il trigramma di San Bernardino al centro. Sulla parete sinistra è raffigurato San Giovanni Battista: vestito di pelo

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S. Giovanni Bianco, fraz. Oneta, Chiesa del Carmine, S. Giovanni Battista 33


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di cammello, indica un oggetto non identificabile che tiene nella mano sinistra, forse l’agnello. Di fronte si scorge un altro Santo (Pietro?), di cui rimangono soltanto la testa canuta ed un libro. In alto emerge un Cristo risorto; Gesù si staglia contro un paesaggio illuminato dai riflessi arancione di un cielo all’alba, ha la mano destra alzata in gesto di benedizione mentre con la sinistra stringe un labaro. A fianco della porta rimangono tracce di un gigantesco San Cristoforo che, appoggiato ad un bastone, cerca di attraversare il fiume nonostante il peso del Bambino che regge sulle spalle. Si tratta di uno dei tanti “portatori di Cristo” (questo è il significato del nome Cristoforo) affrescati sulle facciate di chiese e campanili. Secondo una credenza assai diffusa, chiunque ne avesse visto la figura, per quel giorno era al sicuro da una morte improvvisa e priva del conforto dei sacramenti. Il dipingerlo enorme, in modo da essere avvistato da più lontano possibile, era un atto di carità verso i pellegrini ed i viaggiatori, che ne ricercavano la confortante protezione nei pericoli e nelle difficoltà del cammino.

S. Giovanni Bianco, fraz. Piazzalina, Oratorio di S. Anna, Annunciazione 34


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FRAZIONE PIAZZALINA ORATORIO DI SANT’ANNA ungo la via Mercatorum, nel tratto fra Oneta e Cornello, è situato anche questo oratorio, sicuramente molto antico, visto che già ne parla San Carlo Borromeo negli “Atti della visita apostolica” del 1575. Antistante la facciata vi è un porticato, che aveva la funzione di riparare i passanti dalle intemperie. L’ affresco occupa lo spazio compreso fra il tetto della chiesa e quello del portico, può quindi essere visto nella sua interezza con difficoltà e solamente da una certa distanza. Un ignoto artista ha raffigurato l’Annunciazione a Maria. L’ impostazione iconografica è quella tradizionale, con le immagini dei protagonisti in primo piano: a sinistra l’Arcangelo Gabriele che giunge in volo, a destra la Vergine inginocchiata con le mani incrociate sul petto, al centro Dio Padre che si affaccia dall’alto. L’ ambiente in cui si svolge rende particolare il racconto: non l’interno di una stanza, ma un’intera città, che il pittore ha costruito con i più svariati elementi architettonici, alcuni realistici, altri assolutamente fantastici, unificando il tutto in una visione prospettica molto approssimativa. È come se si fosse divertito a rappresentare tutto quanto la sua memoria e la sua immaginazione gli suggerivano. Si vedono archi, colonne, porticati, una lunghissima scala che sale disegnando una curva, cupole, torri, guglie d’ogni foggia, decorazioni floreali, un palazzo che ricorda vagamente l’architettura fiorentina, un grande portone ad arco in cui è inserita Maria. Questa città incantata è popolata da tante piccole figure che, assorte nelle loro occupazioni, sembrano non accorgersi del grande evento. Solamente una coppia in primo piano guarda stupita verso l’arcangelo. I colori tenui e le linee morbide contribuiscono a rendere molto piacevole il dipinto.

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FRAZIONE CORNALITA CHIESA DEL CORPUS DOMINI uesti affreschi, creati per l’interno di un antico oratorio, di cui non rimangono che il campanile, l’abside e alcune murature, sono visibili nel porticato della quattrocentesca chiesa del Corpus Domini, che ha inglobato il vecchio edificio. È un portico ampio e luminoso sul fianco destro della chiesa. Secondo quanto riferiva Negroni nel 1924, su una delle travi rustiche del tetto è incisa la sigla “A.S.D. 1116”, di cui non si è trovata sinora una spiegazione convincente. I dipinti dovrebbero risalire ai secoli XIV e XV. Sulle pareti si riconoscono i Santi Giacomo Maggiore, Antonio abate, Giorgio, Bernardino, Giobbe. Molte sono le Madonne col Bambino. Ogni scena è delimitata da strisce di colore che formano una finta cornice; al di sopra sono posti i cartigli, con scritte ormai quasi illeggibili. I colori sono quelli consueti: giallo, mattone, rosso, verde, grigio. Lo stile è vario, si va da immagini piuttosto semplici ad altre di grande eleganza, segno che molti artisti si sono alternati su queste pareti. Nella Madonna col Bambino e i Santi Giacomo e Antonio abate sul pilastro destro dell’arco d’ingresso, la Vergine è seduta su un trono intarsiato e trattiene con molta dolcezza il Bambino. Ha un bellissimo abito di damasco giallo foderato d’azzurro, ricamato a grandi fiori dai colori contrastanti, in cui il pittore ha adattato con cura il gioco della decorazione alle pieghe del panneggio. Molto raffinata è anche la Madonna con la melagrana, dove il pittore riesce a rendere la maestà della Regina del Cielo semplicemente mostrandone il viso delicato, l’espressione assorta, le mani affusolate, la preziosa corona. Sullo sfondo solo una tenda. Il Bambino, in piedi sulle ginocchia della madre, mostra la Croce simbolo della Passione, ma Maria ricorda che alla morte seguirà la Resurrezione, di cui è prefigurazione proprio il frutto che tiene in mano.

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All’estremità del portico, chiusa da una cancellata, appare l’antica abside. Al centro è raffigurato Cristo in Maestà, contornato dalla mandorla iridata, con accanto l’Aquila di San Giovanni e l’Angelo di San Matteo, mentre i simboli degli altri due Evangelisti sono scomparsi. Davanti a lui siedono i Dottori della Chiesa, Ambrogio, Gregorio, Gerolamo, Agostino, grandi vecchi che dominano austeri e solenni nei loro scranni. I sacri libri spalancati, i fogli che svolazzano, i mantelli che si allargano permettono all’artista di definire efficacemente lo spazio. Nella volta e sulle pareti è raccontata la Vita di Maria. La narrazione si svolge attraverso ventidue quadri, ciascuno delimitato da una cornice dipinta a motivi floreali. Qui il linguaggio è assai diverso: i personaggi sono piccole figure dalle tipologie ripetute, inserite in un ambiente minutamente descritto, con annotazioni legate al territorio e alla quotidianità che risultano assai godibili. Nell’Annunciazione la parete della stanza è completamente decorata a piccole piastrelle colorate.

S. Giovanni Bianco, fraz. Cornalita, Chiesa del Corpus Domini, Portico affrescato 37


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Nel gruppo di Giovani donne con Maria sono rappresentati con cura gli abiti e le acconciature di moda nel Quattrocento. Nella Circoncisione vi è un bellissimo pavimento ad intarsi colorati. Nel Sogno di Giuseppe, oltre a descrivere con attenzione l’ambiente montano (il gregge sullo sfondo, le mucche che riposano), l’artista inserisce un pittoresco trio di pastori che suonano strumenti musicali. Come scrive Franco Mazzini, in questi affreschi: “...il riquadro è, all’occorrenza, il boccascena di un teatrino con scenarietti prospettici: interni pavimentati a scacchi bianco-rossi, soffitti a cassettoni, oppure soglie di portici con volte a crociera; e quando l’azione si svolge in esterni c’è spesso la quinta prospettica di mura di città, di torrioni; talora la scalinata con la scenografia urbana tutt’altro che improbabile. Insomma, un pittore che ha visto molto, che, bene o male, è al corrente delle novità..”. L’ affresco prosegue nella parte inferiore dell’abside con un alto fregio a grandi fiori stilizzati. Sul frontone, interrotto da un arco che ha cancellato parte della scena dell’Annunciazione, sono ancora visibili a destra la Madonna inginocchiata e, al di sotto, San Giovanni Battista, mentre a sinistra rimangono solamente le tracce di un Santo e, in alto, il cartiglio dell’Arcangelo Gabriele..

SANTA BRIGIDA L’ANTICA CHIESA PREPOSITURALE DI SANTA BRIGIDA l patrimonio pittorico che è stato recuperato all’interno e all’esterno di molte chiese ed oratori nelle nostre valli non è che una piccola parte di quello che era stato realizzato nei secoli passati: esso esprimeva la grande fede dei valligiani (anche se poveri, non si sottraevano alle of-

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ferte per le chiese) e nello stesso tempo raccontava le storie sacre che servivano da esempio e da sostegno a chi doveva affrontare una vita dura e grama. Se è forte la suggestione che esercitano oggi su di noi questi resti, possiamo immaginare il fascino delle stesse immagini quando erano integre. Il portico dell’antica chiesa di Santa Brigida in Valle Averara ne è un esempio. Oltre ai guasti del tempo e dell’incuria degli uomini che misero a dura prova gli affreschi, fu anche stesa una scialbatura (forse in occasione di qualche epidemia) che rese le pareti completamente bianche, come si può vedere dalle fotografie che precedono l’intervento di ripristino e di restauro degli anni ’60 del XX secolo. L’ esito di tale restauro, reso pubblico da un articolo di Giuseppe Consoli su “L’ Eco di Bergamo” del 30 novembre 1967, è visibile nel recupero, spesso parziale e lacunoso, delle pitture risalenti al XV secolo delle pareti e dei pilastri del portico.

S. Brigida, Antica chiesa prepositurale, Portico affrescato

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Incominciamo l’analisi dei dipinti dalla parete ovest del portico. In un arcosolio, che sovrastava alcune tombe di persone notabili, appare una Deposizione, tema che ben si addice alla funzione sepolcrale del luogo: un sarcofago segna la profondità dello spazio nel quale si accalcano, attorno a Cristo rigido e allungato, figure dolenti che manifestano con le espressioni dei visi e con il gioco delle mani il loro affetto e il loro cordoglio. Sono tutti Santi, fuorché la figura all’estrema destra, vestita di verde con un lungo copricapo bianco, che potrebbe essere l’anima del sepolto. A sinistra dell’arco è raffigurato Sant’Antonio abate, molto amato per le sue doti taumaturgiche e per la sua saggezza, comunicata dall’aspetto di vecchio con la barba bianca. Il santo è raffigurato frontalmente, in atto benedicente e con una vistosa campanella che gli pende dalla cintola. In alto una Annunciazione presenta a sinistra l’Angelo, a destra la Vergine inginocchiata, con le mani incrociate sul petto, in atto di umile obbedienza; sul libro che sta leggendo sembra di poter individuare le parole; al centro Dio Padre sovrasta il donatore. Eleganti architettu-

S. Brigida, Antica chiesa prepositurale, i Santi Paolo, Margherita, Caterina d’Alessandria e Giovanni Battista 40


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re gotiche delimitano lo spazio dell’evento sacro. A destra si vedono due riquadri: in quello in alto è raffigurato Sant’Ambrogio, orante, inserito in una mandorla iridata; in quello in basso c’è una Madonna col Bambino avvolta in un ampio mantello bianco, elegantemente panneggiato, seduta su un esile trono (da notare gli stemmi del committente: un quadrupede rampante su fondo rosso). Procedendo lungo il portico, si incontrano due resti di affreschi molto lacunosi nei quali tuttavia si riescono a leggere i soggetti: nel primo c’è Cristo dolente sul sepolcro, un Vir dolorum sorretto da angeli e attorniato dai simboli della Passione; nel secondo un edificio gotico, considerato da alcuni studiosi una chiesa, forse addirittura la chiesa di Santa Brigida, da altri un palazzo pubblico a causa della presenza dei numerosi comignoli. Si vedono anche due personaggi con pettinature che rimandano alla moda viscontea. Poi appare il colossale San Cristoforo che avanza tenendo con la sinistra il piede del Bambino che ha sulle spalle, con la destra il ramo di palma. Il santo sta attraversando un corso d’acqua nel quale si vedono una barca con la vela latina e alcune costruzioni sulla riva. Sopra il Santo si notano due stemmi uguali. Fiori stilizzati e di diverso colore formano la cornice al dipinto. Il culto di San Cristoforo, protettore dei viandanti, trova piena giustificazione in un luogo di transito come la Valle Averara che vedeva il passaggio, lungo una mulattiera prima, lungo la Strada Priula poi, di uomini e merci che dalle valli bergamasche andavano verso la Svizzera. Procedendo, ecco un “polittico” con quattro Santi, separati da una cornice a motivi floreali: Paolo, Margherita, Caterina d’Alessandria e Giovanni Battista. Da notare la spada di San Paolo, che, affilatissima, fuoriesce dalla cornice diventando, insieme al libro, un forte indicatore spaziale. Margherita, diafana e allungata, tiene in bella vista la croce e calpesta il drago; la ruota di Caterina viene utilizzata come base sulla quale si erge, con i suoi attributi, la Santa; Giovanni, rustico e severo, con il dito puntato

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verso l’alto, agita il cartiglio quasi fosse una frusta. Databili intorno al 1445, i quattro santi rimandano, per la loro eleganza e per la soluzione a cartiglio dei panneggi che crea un interessante gioco cromatico, alla pittura di Michelino da Besozzo, denunciando ancora un forte legame con la cultura milanese. L’ autore di questi santi rivela un gusto del particolare e raffinatezze nell’uso dei colori che non si riscontrano negli altri affreschi. In alto, a destra di San Giovanni, ecco San Defendente, con la spada e la mazza secondo la consueta iconografia: è di mano incerta e semplice, in quanto il suo autore ha sicuramente guardato il “polittico” a fianco nel modo di rendere i panneggi, ma non si è potuto sottrarre a certi infantilismi che si colgono qua e là, nel viso, nella rigidezza del corpo, nella stesura del colore. In basso, verso destra, si vede un santo vescovo benedicente, mentre sotto un arcosolio rimane il frammento di una Pietà: lontano, nel paesaggio di sfondo, si stagliano le tre croci del Golgota. L’ apertura di una porta, attualmente murata, ha distrutto completamente l’affresco di cui rimane solo lo stemma: una torre su un asino con due stelle in campo rosso scuro. Molto maestoso e in tensione dinamica appare il bianco cavallo di San Giorgio che si appresta ad uccidere il drago, mentre una ritrosa principessa, elegante nella sua cipriana, attende l’esito della lotta (la cipriana era un abito molto elegante dalla vita alta, in uso alla fine del Trecento, ritenuto sconveniente dai moralisti perché esaltava la bellezza del seno). Sul balcone del palazzo assistono alla vicenda due persone, presumibilmente i genitori della principessa. Andando verso l’estremità della parete si notano stemmi cardinalizi e scritte che risalgono al 1700, mentre in basso sono ancora visibili affreschi antichi: Madonna con il Bambino seduta su un trono molto singolare, Sant’Antonio e un devoto, un Santo senza busto vestito di bianco, forse San Bernardo. Chiude il tutto un grande scheletro, fornito di arco e di un lungo cartiglio. Il tetto del portico è sostenuto da tre pilastri a sezione

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quadrata, su ognuno dei quali si possono osservare resti di affreschi. Iniziando da quello più vicino alla parete ovest si vedono: San Sigismondo, stante, con lo scettro e la corona, elegantemente vestito e accompagnato da uno stemma, ora illeggibile, da collegare presumibilmente al committente; la Madonna col Bambino, seduta in trono, incoronata, quindi regina del cielo e madre del piccolo re che le sta sulle ginocchia. Nella mano destra tiene un cartiglio, mentre la sinistra le serve per tenere il Bambino. Sotto il panneggio ampio e rigonfio degli abiti si percepisce il volume formato dalle gambe; la Trinità: Dio Padre, dalla barba e dai capelli bianchi, tiene con entrambe le mani la croce sulla cui sommità poggia lo Spirito Santo. In alto corre la seguente scritta, purtroppo lacunosa: PETRUS D(E) ASENELIS PINTOR FECIT HOC (opus) / HOC OPUS FECIT FIERY SALVETUS (D) E ASENELIS MCCCCX…I. La Santa raffigurata sul secondo pilastro potrebbe essere Santa Margherita, per la piccola croce che ha in mano: se

S. Brigida, Antica chiesa prepositurale, Deposizione

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pensiamo al parto, frequente nelle famiglie contadine, ed ai pericoli ad esso connessi nel passato, è ovvio che una delle Sante più venerate fosse proprio lei, Margherita, protettrice delle puerpere. Poco leggibili risultano San Giovanni Battista e Sant’Antonio abate. Cristo deriso e San Bernardino compaiono sul terzo pilastro e non sono in buone condizioni: Cristo ha il corpo piagato, ha la canna in mano e la corona di spine, mentre San Bernardino ostenta l’Ostia raggiata; di fianco era stata riportata una sua massima che ora è impossibile leggere. Gli affreschi esaminati non rispondono ad un progetto unitario e quindi ad un’idea di fondo che li colleghi l’uno all’altro, però la presenza degli stemmi fa pensare che siano stati commissionati da persone del luogo e realizzati forse da artisti locali, che certamente non mancavano. L’ unico testimoniato è Petrus de Asenelis, di cui si sa con certezza che alla fine del 1444 era già morto, il che fornisce un sicuro termine ante quem per la datazione dei dipinti: alcuni critici ritengono che le pitture murali del portico siano state eseguite nel primo ventennio del secolo XV, mentre Oleg Zastrow dimostra come la data debba

S. Brigida, Antica chiesa prepositurale, Annunciazione

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essere spostata verso la metà del secolo. Pur accettando questa affermazione, è innegabile che alcune figure o alcuni particolari descrittivi, come si è cercato di sottolineare in questo testo, rimandano alle miniature (Taccuina sanitatis, Michelino da Besozzo) e agli affreschi trecenteschi di area milanese, pur essendo il territorio passato sotto il dominio della Repubblica di Venezia, ma non da abbastanza tempo perché si verificassero in questa sede influssi culturali veneti. La perdita delle cromie originali e lo stato lacunoso di alcune immagini consentono di dire soltanto che la qualità delle opere nell’insieme è apprezzabile, pur non essendo state eseguite da maestranze di grande rilievo e quindi individuabili per confronto con altre realtà lombarde.

SERINA uesta valle è situata in luogo sassoso et freddo in monti altissimi … sono undeci comuni … il paese è sassoso et sterile non raccogliendosi grani per tre mesi all’anno, onde la maggior parte delle persone abbandonano le patrie e vanno per il mondo. Quelli che restano attendono ai bestiami et alle terre, boschi et a carboni et le donne filano stame. Questo scriveva, alla fine del Cinquecento, il capitano Giovanni da Lezze nella sua relazione ai rettori della Repubblica di Venezia. Ben diverso è oggi l’aspetto che Serina e la sua valle offrono al visitatore, dopo che un lento sviluppo turistico controllato ha dato luogo a un’espansione del tessuto urbano senza però cancellare il suo passato. Tracce di esso emergono infatti qua e là nel centro storico che ha conservato nobili edifici quattrocenteschi in pietra, fontane rinascimentali e barocche (tra le quali sono degne di essere ricordate quella fatta costruire dal vicario Francesco Gozio nel 1581, o quella tricuspidale del 1606), strette vie con le lunghe cortine edilizie interrotte da serie di archi e di finestre, segni di antiche botteghe

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con le rispettive abitazioni ai piani superiori, secondo una tipologia diffusa anche in alcune vie della Città Alta a Bergamo, a indicare la vocazione mercantile del sito, chiese e conventi. Centro più importante dell’omonima valle, Serina è una piacevole stazione di villeggiatura distesa in una conca a 820 metri sul livello del mare, dominata dalla mole del monte Alben. Fondata presumibilmente alla fine dell’Ottocento da due Alemanni, i fratelli Ceronio e Carrerio, essa vide il passaggio dalla Signoria viscontea al dominio della Repubblica di Venezia quando divenne sede del vicario e capoluogo della comunità amministrativa della Val Brembana Superiore. Un affresco con il leone di San Marco, evidente testimonianza della presenza veneziana, è ancora visibile sulla cosiddetta casa del vicario, il luogo dove il rappresentante del potere veneto espletava le sue funzioni amministrative e giudiziarie. L’ animale ha un volto insolitamente umano e mostra, tenendola con la zampa anteriore destra, una sirena, figura emblematica contenuta nell’antico stemma di Serina. Nello sfondo un edificio cuspidato allude forse ad una delle porte d’accesso alla cittadina. Nel registro inferiore un secondo stemma che presenta al suo interno due leoni rampanti e sei gigli stilizzati, da riferirsi con tutta probabilità al vicario Pietro Paolo Oberto il cui nome appare vicino alla data 1655, sottolinea ulteriormente il legame di dipendenza dalla Repubblica di Venezia. Serina, oltre che per la sua importanza politica e la posizione geografica, sul tracciato dell’antica Via Mercatorum, è nota anche per aver dato i natali a Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio (1480 ca.-1528). Nella sagrestia della chiesa parrocchiale sono conservate alcune significative opere del pittore, eseguite nel periodo della maturità, che attestano la sua formazione veneziana. PORTICATO DI SAN BERNARDINO DA SIENA ell’area dove sorge la Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Annunciata è situato il portico della canonica, che fu intitolato a San Bernardino dopo la sua canonizza-

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Serina, Porticato di S. Bernardino, L’attività del Consorzio della Misericordia 47


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zione, avvenuta il 24 maggio 1450, a ricordo del passaggio da Serina durante il periodo del suo soggiorno bergamasco. Un affresco con la figura del santo, effigiato entro una finta edicola mentre regge con la mano destra il trigramma di Cristo, secondo la tradizionale iconografia, fu realizzato da un anonimo pittore sulla parete interna del porticato. In posizione simmetrica, separato dal precedente da un’immagine della Pietà, un altro affresco con la rappresentazione di un santo, probabilmente San Pietro Martire, questa volta a figura intera. Una forte carica espressionistica contrassegna le tre scene, data dall’uso di colori intensi e fortemente contrastati ma anche dall’evidenza scheletrica del corpo piagato di Cristo che emerge dal sepolcro e dal gioco delle mani di Maria e Giovanni che lo sostengono e si avvicinano a quelle aperte e abbandonate di Gesù. Altri interessanti dipinti, eseguiti nel Cinquecento, che illustrano solo in parte le vicende storiche di cui il luogo è stato protagonista, si susseguono sul muro interno del porticato. Proprio qui, nella cappella situata sotto il porticato stesso, si ritiene infatti possa essere rinvenuto il primo luogo di culto della comunità cristiana di Serina. Di particolare rilevanza artistica è il brano pittorico che illustra l’attività del Consorzio della Misericordia, che qui pure ebbe la sua sede, e che fa riferimento alla distribuzione di cibi e bevande ai poveri. L’ affresco, anche se molto deteriorato specie per quanto attiene la gamma cromatica, ridotta ormai a pochi toni (bianco, nero, ocra, bruno e rossiccio) risulta ancora di facile leggibilità: in un’aula molto affollata i membri del consorzio, gli uomini a destra, alcuni di essi coperti da pesanti e lunghi mantelli neri e da cappelli di varia foggia pure neri, le donne a sinistra, con un velo bianco sul capo, si preparano a svolgere la loro attività caritatevole. La scena è composta ma animata: nello sfondo si notano alcuni personaggi le cui teste ravvicinate suggeriscono un dialogo; di lato, una donna si sporge in avanti e indica con la mano il cibo da distribuire e un’altra, davanti a lei, è pronta a eseguire il compito che le compete; uno dei mi-

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nistri legge da un libro aperto che sostiene con una mano mentre un altro si tocca la barba in atteggiamento pensoso. E’ un quadro toccante, animato dalla luce che non proviene dalla finestra aperta dipinta sulla destra, ma dall’esterno, e dal primo piano si propaga uniformemente sui personaggi per spegnersi sulla parete scura del fondo. I visi, disegnati con pochi tratti, espressivi pur nella forte sintesi, il senso concreto delle cose, evidenziato in particolare negli oggetti in primo piano, la gestualità immediata che rompe l’atmosfera sospesa della narrazione, sembrano indicare l’appartenenza dell’ignoto pittore all’area lombarda e richiamano alla mente la famosa scena del mercato nella Storia di Santa Barbara, dipinta da Lorenzo Lotto nella Cappella Suardi di Trescore nel 1524. Sembra che il Pio Consorzio della Misericordia di Serina, fondato nel XIV secolo su modello dell’istituzione

Serina, Porticato di S. Bernardino

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voluta da Pinamonte da Brembate e attiva a Bergamo dal 1263, si sia insediato nell’edificio a seguito dei lavori di ampliamento dello stesso eseguiti all’inizio del Cinquecento, come attesta la data, 1537, posta a fianco della scritta dedicatoria HAEC EST DOMUS MISERICORDIAE, sopra la quale un affresco con un’immagine di Cristo in Pietà, purtroppo in cattive condizioni di conservazione, sottolinea i fini caritatevoli della Confraternita. Al di sopra della porta situata accanto all’affresco con la distribuzione di cibi e bevande ai poveri un anonimo dipinse l’Annunciazione; della scena vera e propria rimangono oggi solo due brani pittorici che presentano l’Arcangelo Gabriele, a destra, e la Vergine, a sinistra. Colpiscono da un lato la fisicità dell’angelo, colto nel momento in cui ha appena posato il piede a terra, le vesti ancora svolazzanti, e il suo modo perentorio nel comunicare il messaggio divino, dall’altro la delicatezza della Vergine e la spontaneità con cui, dopo aver chiuso frettolosamente il libro di preghiere appoggiato sul piano dell’altare marmoreo davanti al quale era inginocchiata, si volge in avanti, chinando il capo e incrociando le mani in un gesto che indica umiltà e obbedienza. Sono proprio questi dettagli, visibili nonostante le condizioni di conservazione non particolarmente buone, che ci fanno pensare ancora una volta alla mano di un pittore del Cinquecento di formazione lombarda.

VALTORTA er la collocazione geografica e la contiguità strategica con la Valsassina, Valtorta fu per secoli una zona di frontiera dove si scontravano gli interessi degli stati di Milano, Venezia e dei Grigioni, attratti dalla presenza di miniere di ferro e argento e dall’abbondanza di pascoli e boschi.

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Vantava tuttavia una propria autonomia culturale e politica poichè adottò già dal XV secolo propri statuti per regolare le funzioni, i diritti e i doveri della collettività, orientati alla solidarietà civica. Tra i comuni dell’Alta Val Brembana, annovera il più alto numero di affreschi esterni (44), segni tangibili della sua storia e delle antiche origini della sua comunità. Si tratta prevalentemente di soggetti a carattere religioso, che adornano le edicole votive e le pareti esterne delle vecchie abitazioni. Sono per lo più riconducibili alla spontanea iniziativa di fedeli che facevano erigere una cappelletta, o decoravano la propria casa con un’immagine sacra in segno di ringraziamento per una grazia ricevuta o per sottolineare una particolare devozione alla Vergine o ai Santi venerati nella tradizione locale: San Rocco e San Sebastiano, protettori dalle pestilenze, e Sant’Antonio abate. Le santelle votive sono collocate lungo i sentieri che conducono alle nove contrade: Valtorta, Fornonuovo, Rava, Grasso, Cantello, Arlongo, Costa, Ceresola e Carigno. Le condizioni frammentarie e lacunose e il cattivo stato di conservazione di molti di questi affreschi ne rendono

Valtorta, Chiesa Parrocchiale, Stemma della famiglia Annovazzi

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problematico un giudizio qualitativo. La loro datazione spazia dalla metà del Cinquecento al secolo attuale, sono opera di anonime maestranze locali e raffigurano per lo più immagini della Madonna, della quale si esaltano le diverse prerogative, accompagnate da iscrizioni che propongono brevi orazioni e inviti (rivolti ai passanti) alla preghiera e alla meditazione sui misteri della fede. Spesso sono corredati dal nome del committente che, fatta eseguire l’opera, ne lasciava ai discendenti la cura, la custodia e la reiterazione del culto. Tra i committenti figuravano molti emigrati che già nel Cinquecento si erano stabiliti in altre città del dominio veneto e mantenevano i legami con la terra di origine con frequenti donazioni alla parrocchia. Gli affreschi, in generale, presentano immagini fortemente stereotipate e legate alla iconografia popolare; tra i soggetti più interessanti si evidenziano l’Allegoria della Morte dell’edicola votiva di Rava Alta, la Vergine col Bambino e San Carlo Borromeo della Torre, la facciata di Casa Annovazzi al Cantello, la Madonna in trono con Bambino e i Santi Antonio e Sebastiano e, sempre nella frazione Cantello, una particolare scena di vita civile seicentesca, purtroppo in pessime condizioni. Storicamente più interessanti sono gli affreschi esterni alla vecchia abside della chiesa parrocchiale e il San Cristoforo della Torre, entrambi realizzati sugli edifici religiosi più antichi del paese. La chiesa di Sant’Antonio abate, della contrada Torre, è una delle più antiche e meglio conservate della Valle Brembana; costruita presumibilmente verso la metà del trecento (l’originale struttura romanica è ancora molto evidente per la semplicità delle linee e del materiale e soprattutto per l’interessante campanile in pietra a pianta quadrata con cella campanaria, aperta a bifore su ogni lato) è arricchita nel Cinquecento da pregevoli affreschi con un ciclo dedicato a Sant’Antonio abate. L’ affresco esterno, che rappresenta una figura di Santo e San

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Valtorta, Chiesa di S. Antonio, S. Cristoforo

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PARETI DIPINTE

Valtorta, Murale

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Cristoforo che regge sulle spalle un piccolo Gesù, è sicuramente antecedente ai dipinti interni, se non coevo alla costruzione della chiesa. Ne sono testimonianza la staticità e fissità delle figure, la rigidità del disegno e del contorno lineare e l’inespressività dei volti. L’ abside, adibita a sagrestia, dell’attuale chiesa parrocchiale, è oggi l’unico vano originale rimasto dell’antica chiesa di Santa Maria Assunta costruita nel Trecento quando Valtorta dipendeva dalla Pieve di Primaluna in Valsassina e apparteneva quindi alla diocesi di Milano. Ciò è testimoniato dai verbali redatti, in seguito alla visita pastorale del cardinale di Milano San Carlo Borromeo, nella seconda metà del Cinquecento in clima di controriforma, che documentano una dettagliata descrizione dell’edificio religioso come era all’epoca. La parete esterna di tale abside è decorata da due affreschi che furono eseguiti in epoca successiva (sec.XVI – 1561) da maestranze ignote (oggi sono ben conservati dopo il restauro eseguito nel 1985). Nel registro superiore è dipinto il leone alato di San Marco dal volto umanizzato e, sullo sfondo, vi è un cenno di paesaggio con città fortificata; in quello inferiore, un Sant’Antonio abate benedicente con fluente barba bianca e il bastone da pellegrino, inserito in una cornice architettonica. Nella fascia intermedia tra le due figure compaiono gli stemmi con relativi cartigli dei committenti, a sinistra quello dei Regazzoni, con l’indicazione che la spesa fu sostenuta dal vicario Lorenzo Regazzoni di Rota nell’anno 1561; a destra quello degli Annovazzi, al cui casato apparteneva quel Giovanni del Grasso che la scritta indica come committente della figura di Sant’Antonio. Sulla stessa parete è dipinta un’Annunciazione non in buono stato conservativo. Idealmente collegati agli affreschi del passato, si possono considerare i “murales” che abbelliscono oggi il centro del paese con soggetti che illustrano la cultura, il lavoro, l’ambiente e le tradizioni locali (dono di artisti bergamaschi alla comunità di Valtorta).

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PARETI DIPINTE

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BERGAMO: LA CITTĂ€ DIPINTA

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PARETI DIPINTE

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BERGAMO: LA CITTĂ€ DIPINTA

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ALBINO - FRAZ. BONDO PETELLO CHIESA DELLA MADONNA DELLA NEVE uesta antica chiesina, posta lungo la mulattiera che sale verso l’altopiano di Selvino e le cui origini risalgono alla preistoria, presenta numerosi affreschi, testimoni di una devozione popolare vissuta con grande religiosità. All’interno, sulla parete sud, tra i numerosi affreschi, una lunga scritta racconta di persone ammalate, che, fatto voto alla Madonna della neve, furono miracolosamente guarite. Sotto un arco Madonna col Bambino venerata da Tommasino Bonasi e Madonna col Bambino venerata da un devoto scampato a una caduta da cavallo, di due artisti diversi. All’esterno, sotto il portico d’ingresso, nella parte superiore della facciata, entro una larga fascia, è inserita in un’edicola, con un buon gioco prospettico, una Madonna in trono con angeli musicanti sormontata dalla figura del Padre Eterno. A sinistra l’Angelo Annunziante che sembra uscire da un edificio, di fronte Maria inginocchiata mentre prega con le mani al petto. Tutte queste opere sono riconducibili a Giovanni Marinoni, pittore locale di Desenzano d’Albino, al figlio Antonio e alla cerchia di Maffiolo da Cazzano, attivi negli ultimi decenni del Quattrocento e nella prima metà del Cinquecento.

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CASNIGO CHIESA DELLA TRINITÀ ul colle che domina Casnigo e la valle Seriana, alle prime pendici del Monte Farno, sorge la chiesa della Trinità le cui origini sono assai antiche. Sull’impianto quattrocentesco furono fatte delle modifiche raggiungendo le dimensioni e l’aspetto attuale alla fine del XVI secolo. La facciata d’ingresso presenta un porticato sostenuto da quattro eleganti colonnine in pietra, il soffitto è a crociera,

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PARETI DIPINTE

realizzato nel 1542, e trasformato com’è visibile oggi nel XVIII secolo. A sinistra del portale vi era fino al 1967 un altare. Sul parapetto esterno, sempre sulla sinistra, è visibile un’incisione con la data 1542. Dei numerosi affreschi che ornavano le pareti, le lunette e le vele della volta, alcune con sovrapposizioni, sono rimasti dei frammenti di difficile lettura. Sono immagini devozionali e sono realizzati in tre grandi riquadri inseriti in edicole con decori floreali di gusto settecentesco. Nel primo dipinto, sulla sinistra dell’ingresso, vi è raffigurato, tra due belle colonnine tortili, un devoto elegante-

Casnigo, Chiesa della Trinità

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mente vestito con uno jabot bianco, una marsina di colore ocra e la sottomarsina rossastra, accanto a un Santo vescovo che benedice una figura, ormai molto rovinata, pare di donna seduta o distesa, sofferente. Al centro s’intravedono, il devoto inginocchiato affiancato da una donna, che invoca il Santo, intorno costruzioni in rovina. Nel secondo riquadro la Trinità è assisa sulle nuvole: Dio Padre con lo scettro, Gesù con una grande croce e Maria vestita in modo molto semplice. Più in basso, tra le fiamme, le anime purganti con le mani giunte e lo sguardo rivolto in alto. Della terza raffigurazione sono rimasti solo dei frammenti: è visibile Dio Padre attorniato da angeli, figure queste sovrapposte all’immagine più antica di un Battesimo di Gesù (XVI sec.). L’ episodio è contornato da festoni con foglie e frutti dai colori: ocra, rosso e grigio-azzurro. Interessante è notare come nell’ ultimo dipinto il bouquet di frutti e foglie si presenta aperto mentre nei precedenti ha una forma allungata. Alcune vele nelle crociere presentano delle decorazioni con girali e fiori inseriti tra una fitta serie di piccole pennellate, il tutto di colore rosso. Solo una vela presenta una bella decorazione a grottesca dai toni più delicati. Sono per lo più settecenteschi con alcuni frammenti cinquecenteschi. Del XVI secolo è l’affresco nella lunetta, sopra il portale d’ingresso alla chiesa. È dipinta la Nascita di Gesù, sulla sinistra la figura di San Giuseppe che non è rivolta verso la scena principale ma è rappresentata come nelle iconografie più antiche, quando si voleva indicarne il ruolo secondario. Ancora in parte visibile, un dipinto sopra l’ingresso secondario raffigura una piccola Trinità inserita in una nicchia che presenta una cornice a rosette. Questi ultimi due affreschi possono essere collegati agli artisti che operarono all’interno della chiesa, tra questi Cristoforo Baschenis il Vecchio, i Marinoni ed altri pittori locali che nel Quattrocento e nel Cinquecento ne affrescarono le pareti.

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PARETI DIPINTE

L’ ignoto autore della facciata esterna, è invece sicuramente da collegarsi al pittore che nel Settecento lavorò per la Scuola del Suffragio dei Defunti a Casnigo. SCUOLA DEL SUFFRAGIO DEI DEFUNTI a costruzione, in discreto stato conservativo, è posta di fianco alla parrocchiale. L’ aula sede della Confraternita si raggiunge dopo una scala in pietra serena. La facciata è dipinta con tre grandi affreschi inseriti negli spazi tra le quattro finestre e nel cornicione superiore. A sinistra, è raffigurato San Michele Arcangelo che uccide con la lancia un demone, mentre pesa sulla bilancia due anime. Al centro Cristo crocifisso; dalla ferita del costato, sgorga un getto di sangue che è raccolto dalla Madonna inginocchiata vicino ad un Angelo. Sullo sfondo si riconoscono delle chiese e il profilo di una città, probabilmente Casnigo. Nell’ultimo dipinto è rappresentato un Angelo custode che salva un bambino da un drago-demone. Nella parte superiore sono visibili dei tondi contornati da festoni e girali di gusto settecentesco, in alcuni le scritte fanno riferimento alla vita del buon cristiano. Continuando alla destra della casa, in una contigua costruzione, troviamo dipinta una Trinità con due devote inserita sempre tra elaborate decorazioni. Sono immagini semplici e talvolta ingenue, ma che raccontano storie di fede e devozione di uomini d’altri tempi che hanno abitato questi luoghi.

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CERETE ALTO EX CHIESA DELL’ANNUNCIATA mmerso nel verde della vallata, Cerete appare come un tranquillo paese che convive con le vicine montagne e il lago d’Iseo che si raggiunge scendendo verso Sovere.

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Dell’antica chiesa, documentata dal 1406 e demolita nel 1725, rimangono solo alcune parti: quella finale dell’abside, oggi chiusa a formare una cappella denominata della Vergine Annunziata, di proprietà della famiglia Marinoni e la facciata esterna, che presenta alcuni affreschi ora quasi illeggibili. L’ Annunciazione è attribuita alla cerchia di Giovanni Marinoni, pittore di Desenzano d’Albino. Si leggono ancora gli stemmi della famiglia Marinoni, le figure dei Santi Bernardino da Siena e Antonio abate e un polittico con i Santi Antonio da Padova, Rocco, Sebastiano e Caterina d’Alessandria. Sulla destra, isolato da tutto il resto, è visibile un altro frammento della chiesa originale; si tratta di una parte della nicchia e della parete di fondo, tutto ciò che rimane della prima cappella a destra. Per quale motivo non fu demolita, non è dato sapere: forse perché legata alla devozione popolare o per la fama delle pitture che sono in parte ancora visibili. Si tratta di alcuni affreschi ben conservati, se si tiene conto che sono esposti agli agenti atmosferici.

Cerete Alto, Ex chiesa dell’Annunciata, Crocifissione

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PARETI DIPINTE

Nella parte alta della nicchia sono visibili i piedi di Cristo in Maestà e l’estremità della mandorla dove era inserita la figura. Sulla parete a destra della nicchia troviamo l’immagine di un Angelo con alle spalle la testa del bue, simbolo di Luca, a sinistra un altro Angelo e dietro la testa del leone, simbolo di Marco. Luca sorregge un cartiglio con una scritta gotica dove è possibile leggere la data 24 giugno 1421 (o 31) e il nome di uno sconosciuto Luca de Vitalibus. “TEMPLA LUCHAS CHURAT VITUL(ORU)M PINGENDO FIGURAS 1421( o 31) 24 GIUGNO” Sotto la figura di Marco troviamo, anche se non completa, una Ultima cena. Gli Apostoli sono descritti con semplicità; una certa freschezza, seppur venata da ingenuità, è visibile nei piatti e nei pani disposti sulla tavola. Più interessante è però la parete di fondo con la raffigurazione della Crocifissione dove, tra i toni freddi e grigi delle armature dei soldati, si levano le figure del Cristo e del buon ladrone sereno nella morte, che contrasta con la figura tormentata del cattivo ladrone. Intorno, disposti a grup-

Cerete Alto, Ex chiesa dell’Annunciata

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pi, i soldati con armature quasi stilizzate dal cimiero piumato, con lance da cavallo, mazze e animali che sembrano bardati più per uno spettacolo che per un evento drammatico quale si sta svolgendo. In primo piano sono visibili uomini e donne che impersonano una dolente Maria dal capo reclinato sorretta dalle pie donne, tutte abbigliate come personaggi della corte dei Visconti, così come la Maddalena che è rappresentata mentre asciuga con i lunghi capelli le gocce del sangue divino. Il fondo scuro è forse la fase preparatoria per un azzurro ormai perso o forse l’ignoto artista voleva rappresentare un notturno a sottolineare l’evento tragico che si andava evocando. Chi sia l’artista è difficile da stabilire. E’ quasi sicuro che la stessa mano ha dipinto San Giorgio e la Principessa nella vicina chiesa di Novezio, così come pare verosimile che l’affresco della Madonna in Maestà con i Santi Sigismondo e Cristoforo, sulla Piazza dell’Orologio a Clusone, appartenga allo stesso pittore. In particolare è stata riscontrata da Franco Mazzini una notevole somiglianza fra il cattivo ladrone e San Cristoforo.

CERETE ALTO - FRAZ. NOVEZIO SANTUARIO DELLA NATIVITÀ DI MARIA ulla parete esterna dell’antica chiesa, esposta ad occidente, possiamo vedere alcuni affreschi. Piacevole è quello che raffigura San Giorgio e la principessa. Il Santo, dalla lucente armatura grigia, cavalca un grosso cavallo bardato elegantemente ed è dipinto nel momento in cui abbatte il drago, raffigurato in basso nella figura tradizionale di un mostruoso serpente. Vicino una mesta principessa, che offre la cintura con cui il cavaliere legherà il drago, e alcuni spettatori coronati. Il fregio geometrico che circonda la rappresentazione è di tipo arcaico; vi si legge una data, in corsivo gotico, forse posta molto tempo do-

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PARETI DIPINTE

po il dipinto, 1453. Dovrebbe trattarsi, infatti, di un’opera dei primi decenni del Quattrocento, come è possibile riscontrare nella rigidità della figura della giovane donna, così come nelle pieghe dell’abito che si ammorbidiscono solo sul fondo. Un altro elemento che troviamo in affreschi anche più antichi è il tentativo di dare dinamicità alla scena uscendo dal bordo della cornice. L’autore è forse lo stesso che ha lavorato a Cerete nella Crocifissione nei primi decenni del Quattrocento e nel Palazzo comunale di Clusone. Probabilmente precedente ma dello stesso ambito, è l’immagine di Sant’ Antonio abate: il vecchio alza la mano destra in segno benedicente, mentre la sinistra poggia su un nodoso bastone, attributo insieme alla campanella, del santo. Infine un’ingenua Madonna del latte, immagine che doveva essere cara ai devoti locali.

CLUSONE lusone, antico abitato fin dall’epoca romana e centro dell’Alta Valle Seriana, conserva numerose memorie del suo glorioso passato che ne testimoniano l’importanza attraverso i secoli. Nell’ambito della pittura murale le numerose tracce rimaste, risalenti prevalentemente ai secoli della dominazione veneta, in cui fu sede del Podestà, permettono di immaginarla decorata non solo nelle facciate delle sue chiese e dei suoi oratori, ma anche in quelle degli edifici civili pubblici e privati, in un insieme multicolore in cui “le figure profane prendevano posto accanto a quelle religiose, gli stemmi orgogliosi ed elaborati si mescolavano ai cartigli dei santi” (C. Frugoni). E anche se le maestranze che vi operarono, spesso anonime, si espressero in modo quasi sempre non aggiornato sul piano linguistico, il risultato dovette essere ugualmente di grande fascino, grazie anche alla competenza nell’esecu-

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zione della tecnica dell’affresco. Un itinerario che permetta di osservare i principali dipinti su pareti esterne potrebbe cominciare dalla chiesa di San Defendente, per avvicinarsi progressivamente al centro della città e alla Basilica che la domina dall’alto, attraverso i seguenti luoghi: Chiesa di Sant’Anna, Casa Pasinetti, Palazzo comunale, Oratorio dei Disciplini. CHIESA DI SAN DEFENDENTE retta per un voto in occasione di una pestilenza nel 1470 e dedicata ai santi Defendente e Rocco, della cui confraternita era sede, l’edificio sembra sostanzialmente conservare l’aspetto originario, anche se ha subito numerose trasformazioni d’uso, soltanto il campanile è stato abbattuto ai tempi della Repubblica Cisalpina e poi ricostruito. Restaurata negli anni settanta del Novecento, presenta sulla facciata, cui è stato accostato in epoche successive un portico a tre archi, una serie di affreschi che completano il

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Clusone, Chiesa di S. Defendente, Madonna con Bambino e i Santi Martino e Defendente 65


PARETI DIPINTE

ricco apparato decorativo interno. Protagonisti di questi affreschi, nati dalla pietà popolare, sono i due santi titolari della chiesa: il pellegrino Rocco, santo ausiliatore, e il martire e soldato Defendente (che nella chiesa è rappresentato 25 volte), insieme ad altri santi. Più precisamente, sul muro esterno del portico secentesco, è rappresentata, all’interno di una sinuosa cornice, in un dipinto del diciassettesimo secolo, la figura di San Martino di Tours, replicata mentre dona al povero la metà del suo mantello e mentre gli appare il Cristo rivestito del mantello da lui donato, in cui si rende evidente l’identificazione evangelica fra Cristo e il povero. San Martino era oggetto di culto nelle valli bergamasche fin dal 774, quando Carlo Magno aveva assegnato al monastero di Tours alcune terre delle nostre zone montane. La facciata originale della chiesa presenta nella parte centrale lo stesso San Martino a lato della Madonna in trono col Bambino, mentre dall’altro lato è effigiato San Defendente. Questo prezioso trittico che porta la data del 1514, insieme al nome dell’autore Gelmus de Galopis e al nome del committente Bertolino Maffei, accosta a un colorismo vivace e a motivi decorativi cinquecenteschi nelle colonne, nel trono e nelle vesti, un impianto arcaizzante. Più in basso, la lunetta che sovrasta il portale di ingresso rappresenta la Natività con San Giuseppe, San Rocco e ancora San Defendente, al solito giovane di bell’aspetto, rivestito di abiti eleganti. Sullo sfondo un’ingenua ma vivace rappresentazione di paesaggio, con l’annuncio ai pastori. La cornice ha un’immagine di Cristo con gli strumenti della Passione e intrecci vegetali. Alla destra del portale è rappresentato nella lunetta Dio Padre benedicente; al di sotto di essa si trova una Crocifissione con i Santi Rocco e Sebastiano e, ai due lati, San Sigismondo (come si crede ora, mentre tradizionalmente la figura era interpretata come un Cristo flagellato) e San Cristoforo. Sembra esistere un collegamento tra le varie parti del dipinto, quasi si trattasse di un polittico; del resto la colomba dello Spirito Santo inserita nella cornice, tra

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il Padre e il Figlio crocefisso, rimanda in modo consapevole alla Trinità. In parte ad essi i santi della peste, un santo ausiliatore (o il Cristo sofferente) e il santo dei viandanti, come in Sant’Anna fortemente evidenziato. La critica ritiene che anche questi dipinti si possano riferire a Gelmo de Galopis e alla sua bottega, di ascendenza borloniana.( cfr. I pittori bergamaschi. Il Quattrocento, II, Bergamo, 1994). Alla sinistra del portale, un affresco più recente, rappresentante l’Annunciazione, appare danneggiato e di difficile lettura, ma ne emerge una significativa luminosità. Sulla parete sinistra del portico una lunetta datata 1597 riproduce un’immagine di San Francesco di Paola, con lunga barba e saio, in un ampio paesaggio lacustre e grandi alberi, che sembra riproporre suggestioni del lago di Iseo. Si tratta probabilmente di un quadro votivo, in occasione del novantesimo anniversario della morte del santo taumaturgo avvenuta a Tours (la patria di San Martino); ma l’occasione che ha suggerito questa rappresentazione ci è ignota. Lo stile potrebbe far pensare al pittore clusonese Domenico Carpinoni. Sopra la porta laterale della chiesa la lunetta raffigura la Madonna in Pietà sul bordo del sepolcro, con una precisa

Clusone, Chiesa di S. Defendente, Natività con i Santi Giuseppe, Rocco e Defendente 67


PARETI DIPINTE

descrizione di tutti gli strumenti della Passione. La rappresentazione è ingenua, ma non priva di una realistica efficacia; è attribuita alla bottega di Gelmo de Galopis. CHIESA DI SANT’ANNA a chiesa venne costruita nel 1487, come si legge sull’arco del portale in pietra, accanto al convento delle Terziarie francescane (e, per un certo tempo, anche delle Clarisse), di cui resta qualche traccia assai rimaneggiata nell’edificio con porticato attiguo alla chiesa. Ricordata da Carlo Borromeo nella sua visita del 1575, ebbe un periodo di chiusura fino al 1652, quando venne riconsacrata con il nome di Sant’Anna, che sostituì l’iniziale intitolazione alla Concezione di Maria. Il convento fu soppresso nel 1810 e il complesso fu adibito nel corso del tempo a varie funzioni: gendarmeria, ospizio per i poveri, fabbrica di tele diretta dal fratello di Francesco Nullo, ospedale civile.

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Clusone, Chiesa di S. Anna, Natività con i Santi Chiara, Bernardino da Siena e Francesco d’Assisi 68


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Del ricco apparato decorativo di cui era stata dotata la chiesa sul finire del Quattrocento fa parte la Natività, affrescata nella lunetta sopra il portale d’ingresso, con la presenza dei santi francescani Chiara e Bernardino, la cui devozione è assai diffusa a Clusone dove egli avrebbe più volte predicato, e dello stesso Francesco, riconoscibili per l’iconografia tradizionale. Risalente al 1502, come recita la scritta ai piedi del Bambino, questo dipinto costituirebbe un ex voto del podestà veneto della Valle Seriana Superiore Aloisio Bembo, forse ritratto nella figura a cavallo sullo sfondo. La composizione presenta uno schema rigorosamente simmetrico nella disposizione delle figure e nella rigidità dei tratti che richiamano l’ambiente padovano (cfr. I pittori bergamaschi cit.). La facciata era stata ridipinta dal pittore ottocentesco Carlo Rota con una ricca decorazione prospettica, la cui rimozione in occasione del restauro del 1991 ha messo in luce frammenti di un San Francesco e di una Madonna col Bambino e inoltre il testo in caratteri gotici dell’indulgenza francescana del 1525 e un San Cristoforo leggibile, anche se non completo. Il santo, protettore dei viandanti, è raffigurato in posizione ben visibile anche da lontano, sulla strada che dal centro del paese scende verso la campagna e la val Borlezza, come quello dell’oratorio di San Defendente che protegge la via che porta verso l’alta valle. Il santo, rappresentato frontalmente nella sua possanza, ha perduto la consueta figura di Gesù bambino portato sulla spalla. Anche l’interno della chiesa presenta interessanti, anche se spesso frammentari, affreschi del Cinquecento con figure della Madonna e santi. CASA PASINETTI (UN TEMPO BONICELLI DELLA VITE) ll’incrocio tra via Carpinoni e via De Bernardi l’edificio di antica costruzione e che in realtà unisce insieme due strutture originarie, ha subito nel corso dei secoli notevoli trasformazioni: in particolare nel Seicento, quando

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fu ristrutturato, la decorazione pittorica esterna è stata coperta da uno strato di calce. Gli affreschi, riaffiorati dal restauro negli anni ottanta, presentano una decorazione a finto bugnato che collega le varie parti dell’edificio e, su via Carpinoni, il leone di S. Marco con un putto che regge lo stemma della famiglia Bonicelli della Vite e un cartiglio con un verso degli Amores di Ovidio riguardante la vite, simbolo ovvio della famiglia. Lo stemma ritorna nella figurazione sottostante di un angelo con cartiglio inserito in un riquadro architettonico. Le decorazioni sono completate da un’elegante fascia ornamentale con motivi vegetali di tipo rinascimentale, intercalati da tondi con teste riprodotte di profilo. Sulla stessa facciata San Gerolamo penitente appare piuttosto frammentario, come frammentarie sono le figure sulla parete in via De Bernardi, in cui compare ancora il legame col simbolo della vite. Chiara Frugoni, nel suo testo: Una pagina di storia della Clusone quattrocentesca attraverso i suoi affreschi. Casa Pasinetti a Clusone, Clusone 1985, ha dato una puntuale lettura di questi affreschi e di quelli che si trovano nelle stanze interne della casa. Secondo la studiosa, l’intero apparato decorativo ha un ben preciso significato di esaltazione della dotta famiglia di notai e uomini di potere e di omaggio alla repubblica veneziana. Gli affreschi sono in prevalenza assegnati dalla stessa al secolo XV, in relazione con quelli dell’Oratorio dei Disciplini, ma le decorazioni a finto bugnato sono di un periodo successivo. PALAZZO DEL COMUNE attuale palazzo comunale, che rivela ancora in parte la sua severa architettura medievale, è edificio pubblico già dall’XI secolo. Nel 1428 divenne sede del Podestà veneto e fu sottoposto a vari rifacimenti, in particolare dopo la parziale distruzione del 1485 sotto il podestà G. F. Contarini. Gli interventi sull’edificio si prolungarono fino all’Ottocento. La complessa e varia decorazione pittorica delle pareti esterne ha il suo nucleo fondamen-

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tale in dipinti della prima metà del Quattrocento che ”sembrano appartenere tutti alla stessa radice, se non proprio alla stessa bottega. Basati su schemi tradizionali non nascondono, talvolta, un’ombra di gusto cortese e sigle tardogotiche in versione dialettale” (F. Mazzini in I pittori bergamaschi. Il Quattrocento I, Bergamo 1986) A questi sono stati qua e là sovrapposti senza troppo rispetto altri dipinti di carattere soprattutto araldico. L’ immagine più rilevante della parete verso piazza dell’ Orologio è di carattere religioso e rappresenta la Madonna in trono col Bambino tra i santi Sigismondo e Cristoforo. Anche se mortificato da interventi successivi (tra gli stemmi di varie forme e dimensioni che lo circondano, quello in pietra del podestà Pellegrino del 1513 è stato addirittura sovrapposto al fregio della cornice), l’affresco è dominato dalla gigantesca figura di San Cristoforo, che porta come il solito il Bambino sulle spalle; l’atteggiamento e lo

Clusone, Palazzo del Comune

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sguardo affettuoso del santo e la spontaneità di Gesù hanno una loro non convenzionale freschezza. Il cartiglio nell’altra mano del bambino invita il viandante a confidare nell’ aiuto del Santo; del resto l’intero dipinto sembra rivestire una funzione votiva anche per la presenza di San Sigismondo, ausiliatore in caso di febbre secondo la tradizione popolare. La Madonna, in rigida posizione frontale, è seduta su un trono la cui parte superiore di complessa architettura gotica culmina, forse, con la duplice rappresentazione della rosa di montagna, stemma della città. E’ da segnalare la cornice con tondi raffiguranti busti di profeti e putti inseriti in un fregio vegetale; bello è anche lo sfondo naturale alle spalle di San Sigismondo. Tra gli stemmi, alcuni a fresco altri a rilievo, segnaliamo quelli con il leone rampante, simbolo della valle Seriana e quello con la rosa alpina in campo rosso e giallo, simbolo della città. Gli altri appartengono a Rettori o Podestà di Clusone. Tra questi quello con gigli e biscione sovrasta il luogo da dove il Rettore rendeva note le sue decisioni. Uno degli affreschi meglio conservati, ma di significato oscuro, è quello all’estremità destra della parete che rappresenta all’interno di una struttura architettonica dipinta (con quattro pilastri e una volta a crociera) una figura femminile che regge una colonna e un libro aperto e sotto di lei stemmi ed elementi decorativi. Altri stemmi sono anche sulla parete rivolta verso piazza Sant’Andrea, dove è l’ingresso attuale del Comune. Quanto all’orologio, opera di Pietro Fanzago del 1583, vi si possono leggere, in virtù di un complesso meccanismo, l’ora in cui sorge il sole, la lunghezza della notte, il solstizio, la costellazione attraversata dal sole, la posizione della luna rispetto al sole e alla terra nel giorno indicato insieme all’anno, al mese, all’ora e ai minuti. Ai lati dell’orologio si trovano otto volti alati che rappresentano la rosa dei venti i cui nomi sono riportati. L’ autore, appartenente ad una celebre famiglia di artisti che operò dal 1400 al 1800 e che ha lasciato a Clusone parecchie opere, era eccellente meccanico e fonditore

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ORATORIO DEI DISCIPLINI oratorio è parte di un antico complesso di edifici sacri, comprendente, oltre alla Basilica secentesca di Santa Maria Assunta e San Giovanni Battista (sorta come rifacimento di un edificio precedente), la Chiesa di San Luigi pure secentesca e la casa della Misericordia. Queste costruzioni sono attualmente oggetto di un progetto globale di restauro che intende creare accanto al centro del culto un moderno spazio museale. L’ oratorio fu sede della Confraternita dei Disciplini bianchi e venne edificato nel XIV secolo; nel corso del secolo successivo, in ricordo della sua venuta a Clusone, fu dedicato a San Bernardino. Dopo la soppressione della Confraternita nei primi anni dell’Ottocento, l’edificio fu aggregato alla parrocchia e divenne sede della Confraternita dei morti. Rimaneggiato a più riprese con l’aggiunta di un prolungamento laterale a sinistra e di un portico, esso fu sopraelevato forse nel 1673 con l’apertura di una porta e l’inserimento di una scala che portava nel piano superiore alla sala di riunione. L’ oratorio, completamente affrescato, ha al suo interno delle affascinanti rappresentazioni di episodi della vita di Gesù

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Clusone, Oratorio dei Disciplini, Il Trionfo della Morte e la Danza macabra 73


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attribuite a Giacomo Borlone cui appartiene anche la Crocefissione effigiata sull’arco trionfale. Pittore popolare ed ingenuo, il Borlone operò a Clusone nel Quattrocento e diede qui prova del suo gusto per i colori vivaci e, nella rappresentazione narrativa semplice ma spesso suggestiva, sembra rivelare un’influenza di Antonio Vivarini. Sulla parete esterna della parte più antica dell’oratorio spicca l’affresco che costituisce l’opera più famosa di tutta la città che fu purtroppo gravemente danneggiato, con la perdita della parte inferiore, in occasione del sopralzo di cui si è detto sopra: il Trionfo della morte e la danza macabra. I numerosi studi collegati anche ad alcuni importanti convegni (l’ultimo risale al 1999 e i suoi atti sono stati pubblicati a Clusone nel 2003 col titolo La Signora del mondo. Utili in particolare il saggio di G. Scandella su Danza macabra di Clusone e danze macabre europee: i personaggi a confronto e quello di A. Fracassetti, Giacomo Borlone de Buschis: il pittore dell’oratorio dei Disciplini) hanno messo in luce la difficoltà di lettura del complesso insieme, anche dopo gli ultimi e

Clusone, Oratorio dei Disciplini, Il Trionfo della Morte (part.)

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recenti restauri. In ogni modo sembra che l’affresco comprendesse in cinque scene l’illustrazione dei Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso per desiderio e commissione dei Disciplini, la cui pietà si incentrava sulle realtà ultime della fede cristiana proposte come continuo elemento di riflessione. Più specificamente, nel registro superiore, partendo dalla sinistra, sono raffigurati tre cavalieri a caccia col falcone, colpiti dai dardi della Morte (citazione di un poema allegorico del secolo XIII sull’Incontro dei tre vivi e dei tre morti, in cui i morti richiamano alla mente dei vivi l’incombenza della morte): la scena appare come una introduzione al tema centrale dell’affresco. Al centro, il trionfo della morte, motivo di derivazione italiana, ne celebra la potenza: essa si innalza dominatrice, come il Cristo giudice alla fine dei tempi, sul sepolcro in cui giacciono il papa e l’imperatore; attorno stanno diversi personaggi di classi sociali elevate (religiosi e laici) che offrono alla morte doni propiziatori che tuttavia non ne mutano l’inflessibile atteggiamento. I cartigli che la Morte tiene nelle sue mani contengono messaggi morali invitanti a una vita onesta in vista di una buona morte. Il secondo registro rappresenta la danza macabra: un corteo di coppie costituite da un vivente e uno scheletro. Rispetto al trionfo in cui la morte appare come destino inesorabile di tutti, questa rappresentazione esprime il senso individuale della stessa morte. Ognuno dei personaggi sembra in cammino verso il proprio giudizio. E’ stato sottolineato come questi personaggi richiamino un’iconografia diffusa nel nord dell’Europa. Il terzo registro non è più leggibile se non in due piccoli frammenti di cui uno rappresenta l’ingresso dell’inferno con alcune figure di dannate e i cartigli dei vizi capitali e l’altro un gruppo di disciplini bianchi con l’immagine di un santo che suggerisce l’idea del paradiso. L’ autore di questo mirabile complesso, che sembra risalire al 1484 o 85 in base a una data leggibile sul primo cartiglio a sinistra, rimane sconosciuto, anche se esiste un rapporto non casuale almeno sul piano progettuale fra la

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decorazione interna del Borlone e quella esterna che porta “a non escludere la medesima mano piuttosto che ad affermarla” (cfr. Clara Forte, in Il trionfo della morte e le danze macabre, Clusone 1997, pag. 393; A. Fracassetti ritiene addirittura probabile l’attribuzione al Borlone); certamente l’impostazione sicura e la realizzazione tecnicamente pregevole rivelano una mano esperta e artisticamente abile.

NEMBRO - LOCALITÀ S. VITO CHIESA DEI SS. VITO E MODESTO ungo la strada che sale verso Selvino si incontra questa località, adagiata sul pendio che scende verso la valletta sottostante dove scorre il torrente Carso. Un pugno di case in pietra addossate l’una all’altra e, qua e là, nuove costruzioni. La chiesa, sorta sul finire del XV secolo, presenta, sotto uno stretto portico che conduce all’ingresso secondario, tracce di affreschi.

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Nembro, Chiesa dei SS. Vito e Modesto

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Dipinti alla fine del Quattrocento, in una semplice cornice, troviamo le immagini di una Madonna col Bambino e dei Santi Sebastiano, Antonio abate e Rocco. Tre santi invocati dalla devozione popolare per evitare e proteggere dalle malattie. L’affresco denota la mano di un pittore, probabilmente locale, molto semplice e poco informato su quanto di nuovo si andava evidenziando nell’arte in quegli anni.

ROVETTA EX ORATORIO DEI DISCIPLINI fianco della chiesa parrocchiale si trova l’antico Oratorio dei Disciplini. Sulla facciata, quattro riquadri tra le belle finestre, presentano affreschi legati alla Passione di Cristo. Il primo dipinto, oggi purtroppo illeggibile, è seguito dalle raffigurazioni della Crocifissione, della Deposizione e della Resurrezione. Nel primo dipinto la Croce è posta al centro tra Maria e Giovanni. Più articolata è la Deposizione dove si vede Maria sorretta dalle pie donne, mentre dietro si intravede una figura maschile, difficile da identificare. Un uomo sorregge il corpo inanimato mentre Nicodemo è intento ad alzare le gambe di Cristo per deporlo nel sepolcro. Una donna, forse Maddalena, è prostrata a terra, un’altra figura femminile sorregge la mano divina ormai senza vita. Nella Resurrezione Gesù sorregge un vessillo, tutt’intorno si diffonde un colore giallo ad indicare la luce divina. Una parte delle scritte che commentano gli affreschi è ancora leggibile: D.B. TULINUS D.IOMAURI DE VIZARDIS CURARE FECIT 1685. Quasi di fronte, sulla parete destra della chiesa parrocchiale dedicata a Ognissanti dove sono affiorati alcuni antichi dipinti del Cinquecento, in un piccolo riquadro si può vedere Cristo in Pietà tra due Santi.

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VALGOGLIO

CHIESA PARROCCHIALE n vasto e semplice portico protegge la facciata ricca di dipinti votivi e devozionali, alcuni dai colori accesi e in parte ben conservati. Si possono leggere alcune date: 1510 e 1623. I dipinti sono sostanzialmente databili ai primi anni del Cinquecento, seppure alcuni sembrino più antichi. Inseriti in riquadri affrescati a grottesche rosso/bruno su fondo giallo, sono disposti senza un ordine particolare. In alto a sinistra vi è una bella Fuga in Egitto, immersa in un paesaggio dai toni chiari del verde e con un tenue cielo azzurro, una serie d’alberi sembra indicare un sentiero; poco più avanti c’è una chiesa. Il Bambino appare proteso a raccogliere datteri da una palma, mentre un elegantissimo angelo, in veste chiara decorata a piccoli fiori, incede sicuro. Nel riquadro più in basso è dipinto San Sebastiano in una struttura architettonica molto elementare. Una cornice poi separa l’immagine di San Biagio, riconoscibile dal rastrello che è il simbolo del martirio da lui subito. Dovrebbe essere un “pettine” da cardatore, ma qui è semplificato nell’attrezzo usato da chi frequentava la chiesa. Una porta che immette nel luogo sacro reca una la scritta “IN ME OMNIS SPES VITAE 1623”. Sopra troneggia un grande San Cristoforo che sorregge un piccolo Bambino. Su un cartiglio si legge EGO/SUM/LUX/MUNDI. Alla sua destra è raffigurato San Martino insolitamente elegante, su un possente cavallo dalla coda avvolta in un legaccio di cuoio; accanto vi è il povero coperto dal mantello e in basso a destra si trova l’immagine di un devoto dall’aria dimessa. Il tutto immerso in un paesaggio giocato sui toni rossi, gialli, verde/azzurro mentre sul fondo si intravedono rocce e alberi. Una scritta riporta il nome, forse del devoto, Iacopus de Marchi (?). Sotto è raffigurata una Natività delimitata da una cornice a disegni geometrici. E’ riconoscibile: Santa Lucia che pre-

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senta il devoto; una dolce Maria dalla veste bianca decorata con tenui fiorellini mentre il Bambino è appoggiato a terra ed è circondato da angeli. Seguono San Giovanni Battista e Sant’Antonio abate. Di fianco si trova l’immagine di Cristo nel sepolcro con il volto e il corpo dolente circondato dagli strumenti della passione. Si ripete la figura di Sant’Antonio abate. E’ questa un’immagine frequente perché il santo, oltre che essere invocato contro il “fuoco di Sant’Antonio”, era considerato anche protettore degli animali. Sovrasta una Trinità, con la figura dominante del Dio padre e un devoto dalla giacca azzurra. Infine una Madonna col Bambino e San Rocco, dove la figura di Maria appare molto materna e Gesù porta un abitino simile a quello che dovevano indossare i bimbi al tempo del pittore. Affiorano numerose scritte in parte ormai illeggibili, una sopra San Biagio riporta quanto segue: ANNO MDCLVIII DIE XX AUGUSTI DIE CONGREGATIONIS MENSVALIS HABITAE ARCHIPRBRO ALEXANDRO GHIRARDELLO CLUSONIS / RESTORE & GEORGIO DE CACCIAMALIS. Una tenera Madonna del latte è dipinta sull’angolo esterno della parete, sopra una pietra inserita ad angolo che assume, sotto l’effetto della luce, le sembianze di un volto.

Valgoglio, Chiesa Parrocchiale, Fuga in Egitto

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LOVERE TORRE CIVICA IN PIAZZA VITTORIO EMANUELE II affresco era già stato oggetto nel passato (anno 198687) di un intervento di restauro nel corso del quale era stato liberato da uno spesso strato di intonaco che lo celava ma nello stesso tempo lo proteggeva. Poco tempo dopo le condizioni del dipinto richiedevano un nuovo rapido intervento in quanto la situazione era peggiorata. Le cause responsabili furono individuate nell’esposizione del dipinto ad ogni tipo di intemperie, la sua collocazione sul muro della torre civica che ospita un orologio segnaore, la vetustà stessa del dipinto, l’inquinamento. La commissione provinciale e il restauratore incaricato univocamente indicarono come unica possibilità di intervento l’asportazione dal luogo originale e la collocazione in ambiente protetto. Venne inoltre deciso di realizzare un altro affresco che ripetesse fedelmente l’originale. Il restauratore Andrea Mandelli presentava il progetto che veniva accettato e il 29 luglio 1999 l’Amministrazione provinciale di Bergamo, in accordo con la Soprintendenza per i Beni Artistici, disponeva l’incarico per: ”....strappo, restauro, collocazione su appositi pannelli di tutti i dipinti dell’affresco denominato leone alato con stemma e dipinti contigui ignoto 1447, mq. 15,5 circa, sito su parete esterna della torre civica di Lovere e rifacimento in loco a buon fresco del leone alato con stemma...”. Le operazioni furono ben accolte dalla popolazione locale che, incurante di sottigliezze filogiche, si ritrovò un bel leone nuovo fiammante completo delle parti mancanti. Una diversa filosofia del restauro convinse la Soprintendenza a ritagliare e cancellare le parti abusivamente ricostruite.

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CAPPELLA DI SAN PIETRO a Cappella di San Pietro, un portale d’ingresso e alcuni muri di recinzione sono quanto rimane dell’antico convento di San Maurizio, edificato nel 1448 dai Frati

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Minori Conventuali e soppresso dal governo napoleonico nel 1805. Venduto ai privati, fu demolito cinque anni dopo. Su questi edifici sono tuttora visibili alcuni affreschi di buon livello che testimoniano l’importanza del complesso monastico. Sopra il portale d’ingresso, in via San Maurizio, accanto alla moderna chiesa dell’Immacolata, è dipinta una Annunciazione di notevole eleganza. La scena contorna l’arco a tutto sesto della grande porta, con l’Arcangelo Gabriele a sinistra e la Vergine a destra, immobili nella solennità del momento, entrambi inginocchiati e leggermente chinati in avanti, con visi dolcissimi e belle mani incrociate sul petto. Tra loro un lungo muro merlato, oltre il quale si vedono tracce di case ed una catena di montagne innevate che risaltano contro l’azzurro del cielo. La Madonna è vestita semplicemente con un abito color mattone ed un mantello verde chiaro; al contrario l’Angelo è abbigliato con insolita ricercatezza: indossa una veste nelle gradazioni del marrone, colletto e polsini in tessuto trasparente bianco e tunica aperta lateralmente su un sottabito chiaro, con una deliziosa acconciatura a piccoli riccioli, ornata da una coroncina di rose candide. Di grande armonia gli accostamenti cromatici: i colori caldi delle terre del primo piano e le delicate tonalità perlacee dello sfondo. Poco lontano, nel piazzale antistante la chiesa, è situata la Cappella di San Pietro, un piccolo ambiente al quale si accede attraverso un arco a sesto acuto chiuso da una cancellata. Non si conosce lo scopo per cui la Cappella è stata eretta né il motivo della dedicazione a San Pietro, visto che gli affreschi che decorano la facciata e le pareti interne celebrano soprattutto l’Ordine francescano. Nella cuspide della facciata è dipinto un piccolo Crocifisso alato, da cui partono i raggi delle stimmate diretti verso San Francesco, inginocchiato devotamente sulla sinistra con le braccia spalancate. Il teschio raffigurato alla sommità dell’arco richiama il Calvario e sottolinea una corrispon-

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denza tra Francesco e Cristo. Il saio del Santo, di colore più chiaro, crea un piacevole contrasto col legno della capanna alle sue spalle. Di fronte due frati assistono stupiti all’evento miracoloso; uno di loro, per vedere meglio, si fa schermo agli occhi con la mano destra. Sullo sfondo appare un ampio paesaggio, descritto con ricchezza di dettagli: una città fortificata, ben difesa da torri cuspidate, è parzialmente nascosta da alture che scendono a strapiombo verso il lago. Sulla destra si vede un’importante chiesa gotica con annesso convento, sulla sinistra un bellissimo scorcio del lago d’Iseo e della sua costa frastagliata, come si può ancora ammirare dal colle San Maurizio. Sulle lesene laterali due soldati, che indossano una lucente armatura, si differenziano fra loro solamente per l’attri-

Lovere, Via S. Maurizio, Annunciazione (part.)

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buto caratterizzante: quello con l’asta è San Giorgio che trafigge il drago; l’altro, con il vessillo crociato, è San Maurizio. Egli era ufficiale primicerius della Legione Tebea, un’unità militare composta da soldati egiziani, che fu martirizzata verso la fine del III secolo, al tempo di Massimiano Cesare, per essersi rifiutata di sacrificare agli idoli. Fra questi martiri la tradizione annovera anche Sant’ Alessandro, patrono di Bergamo. All’interno della Cappella è collocato un altare, che ha il paliotto affrescato con Cristo in pietà. Il corpo di Gesù spicca livido contro lo sfondo scuro, chiuso in un ideale triangolo, a svelare una solitudine che neppure la presenza di Maria e Giovanni, colti nel gesto amorevole e pieno di compassione di sostenergli le braccia, riesce ad alleviare. I panneggi accartocciati, una certa rigidità nella posa, l’insistenza sui dettagli pietistici come il sangue che sgorga copiosamente dalle ferite, richiamano analoghe composizioni d’artisti d’Oltralpe. Un altro affresco, di grandi dimensioni e dai colori brillanti, funge da pala d’altare. Il pittore utilizza con perizia la

Lovere, Cappella di S. Pietro - Trinità

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parete centinata di fondo e la divide simmetricamente in due parti con la verticale rappresentata dall’iconografia della Santissima Trinità. La linea inizia con Dio Padre, circondato da un nimbo d’angeli immersi nei colori dell’iride, prosegue con la colomba bianca, emblema dello Spirito Santo, continua con Maria che tiene in braccio il piccolo Gesù, il Figlio, per concludersi con un Ostensorio. L’ inconsueta presenza della Madonna all’interno della Trinità mette in risalto la funzione mediatrice della Vergine nell’Incarnazione, espressa nel Vangelo di Luca (1,35): “Lo Spirito Santo verrà sopra di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà della sua ombra; per questo il bambino che nascerà, sarà santo e chiamato Figlio di Dio”. La Madonna è rappresentata come Regina celeste, assisa sul trono, incoronata dagli angeli. La attorniano i Santi Pietro, barba e capelli bianchi, che tiene tra le mani un libro aperto ed una grande chiave; Caterina d’Alessandria, elegante principessa con la ruota uncinata e la spada, simboli del suo martirio; Maria Maddalena con abito quattrocentesco a vita alta, copricapo imbottito a turbante e il vasetto degli unguenti; infine Paolo, armato di spada, di cui il pittore dà un’inconsueta immagine alquanto rustica. A ridosso del fregio, entro edicole gotiche traforate, sono disposti i quattro Evangelisti. L’ aquila in alto a sinistra contraddistingue San Giovanni. Giovane, senza barba, con tunica verde e mantello bianco bordato di rosso, a piedi nudi, regge tra le mani un calice da cui esce un serpente, simbolo del veleno e del male. Questo attributo vuol ricordare come Giovanni, facendo il segno della croce, fosse riuscito a bere senza danno una coppa di veleno e convertire così il sacerdote di Diana che gli aveva lanciato la sfida. Di fronte, con un abito violetto foderato in turchese, appare San Matteo, anch’egli a piedi nudi, caratterizzato dalla presenza di un piccolo angelo. Gli altri due simboli, il bue di San Luca ed il leone di San Marco (uno strano leone araldico!), sono riprodotti in basso, in bell’evidenza. Sopra di loro due personaggi, abbigliati sfarzosamente secondo la moda del tempo, sono verosimilmente i ritratti

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dei committenti, forse gli stessi ricchi fabbricanti di panni che in quegli anni avevano fatto edificare nel paese l’imponente basilica di Santa Maria in Valvendra. L’uomo a sinistra, più giovane, tiene in mano uno scritto parzialmente srotolato e porta un cappello morbido, ampio mantello con pellegrina di colore rosso, foderato e bordato di pelliccia chiara, stivali a punta verde-azzurri, mentre quello più anziano indossa un sorcotto senza maniche bianco, rifinito in pelliccia nocciola, che lascia vedere una tunica verde-mare a manica corta e sottomanica color bruciato, chiusa da sei bottoncini bianchi. L’ artista aggiunge poi cartigli, angeli musicanti e adoranti, decorazioni; in tal modo non c’è uno spazio che non sia dipinto. “Dinanzi al trono [della Madonna], tre oggetti liturgici: un reliquario, un Crocifisso ed al centro un ostensorio gotico per l’Eucaristia, esatta riproduzione dell’ostensorio della chiesa loverese di San Giorgio, datato 1488. In alto entro la cornice la data dell’affresco: 1494, scritta in caratteri arabici ad eccezione della cifra 4,

Lovere, Cappella di S. Pietro

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tracciata alla maniera nordica con un 8 dimezzato trasversalmente. La data è dipinta in nero, con caratteri inframmezzati dai simboli della Passione”. (G.A. Scalzi). Negli spicchi della volta a crociera, entro un tondo raggiato, sono rappresentati quattro Santi francescani, col saio marrone dei Frati Minori, cappuccio col bavarino e cordiglio bianco. Antonio da Padova (1195-1231), sacerdote e dottore della Chiesa, ha come attributo il giglio, simbolo di purezza. Bonaventura da Bagnoregio (1218 ca-1274), generale dell’Ordine francescano, fu cardinale e vescovo di Albano. Il titolo vescovile è evidenziato dalla mitria, dal pastorale e dal piviale; il cappello cardinalizio è appeso al ramo di un albero, perché, quando glielo portarono, egli stava lavorando in cucina e lo indossò soltanto dopo aver finito il lavoro. Bernardino da Siena (1380-1444), con il volto emaciato dalle penitenze, stringe un crocifisso con un sole raggiato entro il quale è inserito il trigramma IHS, che rappresenta il nome di Gesù. Ludovico d’Angiò (1274-1297), vescovo di Tolosa, è identificato dagli attributi vescovili e da una corona, che è dipinta alle sue spalle per ricordare che questo Santo, erede del re di Napoli Carlo II d’Angiò, aveva rinunciato al trono per abbracciare la vita religiosa. All’incrocio dei costoloni, entro un cerchio di spine, l’icona della Veronica con il Volto Santo. Secondo Scalzi l’affresco è: “assegnabile sicuramente ad un pittore del Sud Tirolo come dimostrano gli inconfondibili ritratti di quell’ambiente: le profonde incisure, la tipologia dei personaggi e il tono generale della composizione, caratteri qui uniti ad eleganze formali e ad alcune raffinatezze forse indirettamente mutuate…dall’ambiente svevo…”. È un pittore non particolarmente attento alla caratterizzazione psicologica o fisiognomica dei suoi personaggi, ma assai piacevole per l’immediatezza del racconto e la vivacità del colore e che lascia intuire un buon patrimonio di conoscenze sia per come sa utilizzare la luce e gli spazi sia per la presenza d’interessanti simbologie.

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SOLTO COLLINA

TRITTICO DEVOZIONALE lla parete di una bella casa in pietra adiacente alla Torre Foresti, in via Fantoni 5, è addossata una santella che attira l’attenzione per la sua architettura classicheggiante, con colonne, architravi e timpano, entro cui

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Solto Collina, Via Fantoni, Trittico

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sono dipinte con dovizia immagini sacre, decorazioni di gusto barocco e scritte che invitano alla preghiera. Nello spazio centrale, delimitato da due colonne che sorreggono un arco a tutto sesto, è raffigurata la Beata Vergine Assunta in cielo, come indica la didascalia nel sottarco. La Madonna, incoronata di stelle e accompagnata da angioletti adoranti, ascende verso l’alto con espressione estatica, su uno sfondo di nuvole rosate. Alla sua sinistra, entro due colonne sormontate da un architrave, è raffigurato San Pietro, riconoscibile dalle due grandi chiavi che stringe al petto, l’una d’oro, l’altra d’argento: del Paradiso e dell’Inferno o del legare e dello sciogliere, secondo le varie interpretazioni. È invece quasi del tutto scomparsa l’immagine collocata simmetricamente sul lato opposto, dove s’intravede solamente un fanciullo sorretto da un personaggio vestito d’azzurro, un’iconografia che può rammentare San Giuseppe, spesso rappresentato con in braccio Gesù Bambino. In alto, al centro del timpano, fa bella mostra un cartiglio di un intenso colore blu, contornato da un motivo giallobruno a foglie e girali, con la giaculatoria: “REGINA / ADVOCATA NOSTRA / ORA PRO NOBIS”. Ai lati due bei mazzi di fiori bianchi con fogliame azzurro, legati da un elaboratissimo fiocco stilizzato. Un’altra scritta, parzialmente cancellata, compare in basso: “INDULGENZA PER CHI RECITA ….TRE AVE MARIA”. Accanto si scorgono ancora tracce di angeli monocromi e la nota “ 9 / 5 + 68 “, che potrebbe essere riferita alla data d’esecuzione del dipinto, perché sembra confermare il “1868” che appare in alto, entro il fregio di gigli araldici e piccoli tondi che segue la linea cuspidata del timpano. Un cartello turistico collocato nei pressi informa che il dipinto è stato ristrutturato nell’estate del 2000. Nel corso dei lavori, i restauratori hanno riscontrato che l’opera originale era stata eseguita in quattro giornate e che il pittore, rimasto anonimo, aveva usato la tecnica dello spolvero.

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TAVERNOLA - FRAZ. CAMBIANICA CHIESA DI SAN MICHELE a chiesa di San Michele (o San Michelone, com’è affettuosamente chiamata) appare improvvisamente all’angolo di due strade, nel centro storico di Cambianica. Dell’antica struttura, importante testimonianza d’architettura romanica, rimangono un’abside semicircolare ed una piccola navata, che hanno le pareti decorate da affreschi di particolare interesse sia per l’arcaicità che per la presenza d’immagini inusuali, come quelle di San Simonino e San Gottardo. Si tratta di opere non sempre ben leggibili, nonostante i recenti restauri, perché la chiesetta, cessate le sue funzioni nel 1575, è stata variamente utilizzata, fino a diventare la bottega di un falegname. Attraverso una finestra è possibile scorgere all’interno Cristo Pantocratore e gli Evangelisti nella calotta absidale e una Crocifissione, alcune Madonne col Bambino e numerosi Santi sulle pareti. All’esterno rimangono tracce di quattro riquadri con raffigurazioni sacre sulla parete settentrionale. Ogni pannello è incorniciato da un bordo rettangolare a colori alternati, con motivi vegetali schematici. Si riconoscono, da sinistra, San Giorgio, San Cristoforo, San Michele e la Madonna del latte. La scena con San Giorgio e la principessa è stata quasi completamente cancellata dall’apertura di una finestra. Si vedono ancora la lancia del Santo, il muso di un bel cavallo bianco ed il viso dolce della principessa, che ha una lunga treccia castana ed una corona ornata di piccole perle. Le stesse perline abbelliscono l’abito bicolore, mattone ed ocra in un vivace contrasto cromatico. San Cristoforo ha un volto ingenuo, contornato da riccioli castani. Il suo abito bicolore è stampigliato a fiori bianchi dai piccoli petali ed è schiarito da un grande colletto ricamato. Porta sulla spalla un piccolissimo Bambino che reg-

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ge una scritta a caratteri gotici, di cui il tempo ha risparmiato soltanto alcune parole. Il Santo tiene in mano un ramo di palma. Una leggenda racconta che Gesù, dopo aver rivelato la sua identità al traghettatore, gli aveva promesso che il suo bastone sarebbe fiorito. Cristoforo piantò allora a terra il bastone, che divenne una palma, prefigurazione del suo martirio. Come sempre, il Santo è dipinto in grandi dimensioni: la sua figura doveva essere vista da lontano, nella convinzione che il viandante che la scorgeva fosse, per quel giorno, preservato dalle disgrazie accidentali. A fatica si riesce a leggere il terzo riquadro, dove è raffigurato l’Arcangelo Michele, al quale era dedicata la chiesa. S’intravedono due grandi ali rosse e il piatto di una bilancia con una piccola anima a mani giunte. È questa una delle iconografie tradizionali di San Michele, raffigurato nell’atto di pesare il bene e il male. Altre volte è raffigurato con l’armatura, mentre sconfigge un drago che rappresenta Satana. La Madonna del latte, con veste azzurra e mantello rosso bordato di pelliccia chiara identica a quella che ricopre lo schienale del trono, stringe teneramente fra le braccia il suo

Tavernola, fraz. Cambianica, Chiesa di S.Michele, i Santi Giorgio, Cristoforo, Michele e la Madonna del latte 91


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Bambino. L’ immagine di Maria con i segni della regalità era assai frequente nel Medioevo; veniva invocata come Nostra Signora, un appellativo che nel periodo feudale, quando capo del territorio era il Signore, veniva rivolto alla sua sposa, alla quale era riconosciuto un ruolo che non trova paragone altrove nell’antichità e che diminuirà poco a poco nelle epoche successive. Miklós Boskovicts e Mariolina Olivari, nella pubblicazione

Tavernola, fraz. Cortinica, Santuario della Madonna di Cortinica, Alluvione del 1950 92


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“I Pittori bergamaschi. Le origini”, ipotizzano che l’autore sia un “...Pittore attivo tra il secondo e il terzo quarto del XIV secolo che prende il nome convenzionale Maestro di Tavernola – Cambianica da un gruppo di affreschi datati 1364 nella chiesa di S. Michele in Cambianica. Si tratta di una personalità indubbiamente minore del panorama artistico del periodo, che ci illustra la tenace sopravvivenza di certi orientamenti stilistici nella decorazione di chiese di campagna….La pittura schiettamente vivace e popolaresca dell’anonimo assume in queste opere, risalenti alla seconda metà del secolo, caratteri di parlata dialettale, legata a tradizioni culturali del passato e distaccata dalle contemporanee istanze artistiche dei centri maggiori”. “…Un maestro artigiano, dunque, che usa stereotipi e schemi secondo una scrittura formale elementare. Tuttavia egli ha un punto di forza rilevante nel colore che stende a masse intense e pure, e al quale affida il compito di costruire l’immagine, ignorando i valori dell’articolazione spaziale e del plasticismo…”.

TAVERNOLA - LOCALITÀ CORTINICA SANTUARIO DELLA MADONNA DI CORTINICA a San Michele una strada conduce al Ponte del Diavolo, oltre il quale si raggiunge il Santuario mariano di Cortinica, dove è custodita un’immagine quattrocentesca della Madonna con il Bambino e Santi Stefano e Antonio abate, opera di ignoto. L’ edificio risale al 1600, ma è stato largamente rimaneggiato nel tempo. Gli ultimi importanti lavori ebbero luogo nel 1954, quando furono costruiti la cupola e un nuovo porticato. L’ ampia scalinata è abbellita dalla Via Crucis realizzata nel 1948-49 dal pittore bergamasco Giuseppe Grimani (Castro 1911-1998). Gli affreschi della facciata sono stati eseguiti nel 1955, per ringraziare la Vergine Maria che aveva salvato gli abitanti di Tavernola da due disastrose alluvioni.

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Il primo dipinto ricorda l’Avvallamento del 4 marzo 1906, quando una terribile frana fece inabissare nel lago numerosi edifici posti sulla riva. Scomparvero la darsena, la torre medioevale, il setificio e parecchie abitazioni, alcune delle quali di notevole prestigio, con logge e gallerie affacciate sul Sebino, tuttavia miracolosamente morì soltanto una persona. Il pittore rappresenta in primo piano la torre e le eleganti palazzine del lungolago sgretolate dalla furia dell’acqua, resa con grandi pennellate di celeste, viola, bianco, verde. Sullo sfondo il cielo è rosato e le montagne azzurre per la lontananza. In alto, seduta su un trono di nuvole e circondata da angioletti, ieratica e benedicente, appare la Vergine incoronata, che reca sulle ginocchia il Bambino ugualmente incoronato: un’immagine rigida e severa, che contrasta vivamente con la dinamicità del paesaggio. Il secondo affresco ricorda l’Alluvione del 1° agosto 1950, quando un violentissimo nubifragio ed una terribile grandinata si abbatterono nella notte su gran parte del paese, provocando ingenti danni, ma nessuna vittima. Il pittore rende con efficacia il fiume d’acqua che scorre nella strada e travolge tutto quanto incontra sul suo percorso, mentre scrosci di pioggia velano le case e la montagna. Un’immagine grigia, ricca di tensione e di movimento, illuminata dalla luce di Maria che scende dal cielo accompagnata da due grandi angeli che stendono sopra di lei un lungo drappo. Una Madonna giovane, con le braccia spalancate a proteggere Tavernola, vestita molto semplicemente, senza ornamenti ma assai elegante nella leggerezza del volo. Il dipinto è firmato “Manini 1955”. Vittorio Manini, pittore bergamasco (Sant’Omobono Imagna 1888 - Bergamo 1974), noto come ritrattista e pittore di nature morte, si è dedicato con successo anche all’arte religiosa ed ha affrescato chiese e santuari di Bergamo e della Lombardia. Nella parrocchiale di Trescore Balneario ha realizzato la sua opera più cospicua, consistente nella decorazione dell’intera cupola. Un ultimo dipinto è visibile all’esterno della parete destra. Ancora la Madonna, affiancata da due angeli adoranti,

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che veglia su Tavernola e sul Sebino. Un realistico scorcio del lago, con le colline della sponda bresciana sulla destra ed il cementificio di Tavernola sulla sinistra, occupa una vasta porzione dell’affresco. In primo piano due lavoratori della cava di calcare del Monte Saresana ed una famigliola in preghiera simboleggiano la gente del luogo. Una visione di pace, sottolineata dai colori luminosi e trasparenti, dove la fatica quotidiana è riscattata dalla fede e dalla serenità degli affetti. L’ affresco è firmato da Luigi Arzuffi e datato 1982. Questo artista (Bergamo 1931 – 1995), figlio d’arte, pittore e scultore, eseguì ritratti, paesaggi ed affreschi a tema sacro. Ha lavorato molto in provincia di Bergamo, ma anche in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia. Di lui lo studioso mons. Luigi Pagnoni scrive: “…Osservava senza giudicare. Ma poi tornava, fedele alle scelte iniziali, all’esperienza maturata alla scuola del padre e di Funi, affinando il suo personale linguaggio espressivo: disegno accurato, amore per atmosfere giocate su toni caldi, pennellate sciolte per modellazioni delicate, composizioni pulite ed essenziali, senza audacie e rapimenti retorici…”.

Tavernola, fraz. Cortinica, Santuario della Madonna di Cortinica, Avvallamento del 1906 (part.) 95


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BERGAMO: LA CITTĂ€ DIPINTA

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ARCENE CHIESA DEI SANTI ROCCO E CARLO a chiesa è in via San Giovanni Bosco, a poca distanza dal cimitero. Eretta come ex-voto dopo l’epidemia del 1630, è caratterizzata dalla presenza di tre cripte, ora chiuse, che custodiscono ancora i resti di molti defunti del XVII e XVIII secolo. L’ ingresso è preceduto da un piccolo portico, nel quale tre grandi affreschi illustrano altrettante Storie di San Rocco. La narrazione inizia sulla sinistra della facciata, in un grande riquadro che ben s’inserisce nello spazio delimitato da due lesene che sostengono un finto arco. San Rocco, all’interno di un lazzaretto, conforta un appestato. Attorno molti ammalati sono distesi per terra in giacigli di fortuna, mentre un monatto porta via a spalle un infermo appena spirato. L’ ambiente è costruito prospetticamente con ampio respiro, le belle finestre laterali e il bianco delle lenzuola poste in successione danno luce alla scena, dove però dominano il marrone e il grigio, colori che sottolineano la presenza del dolore e della morte. Il secondo episodio, nel riquadro a destra della facciata, racconta la morte del Santo. Rocco, guarito miracolosamente dalla peste, ritorna a Montpellier, suo paese natale, ma non è riconosciuto dai suoi concittadini e viene imprigionato come spia. Rimane in carcere cinque anni, sino alla morte, avvenuta nel 1327. Allora finalmente gli abitanti della città lo riconoscono e subito inizia il culto a San Rocco, invocato contro la peste e le ferite. Il pittore mostra un corteo di persone che visitano devotamente la salma, mentre una schiera di angeli si affaccia dalle nuvole per assistere all’evento. La storia si conclude sul soffitto del portico, entro un grande medaglione incorniciato da festoni di frutta, in cui appare San Rocco in gloria sullo sfondo di un cielo dai riflessi rosati. Come da tradizione, il Santo è vestito da pellegrino, con il mantello a mezza gamba, il lungo bastone a cui è appesa la zucca per l’acqua e, ben evidente sulla

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PARETI DIPINTE

Arcene, Chiesa dei Santi Rocco e Carlo, Storie di S.Tarcisio

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coscia sinistra, il bubbone della peste. Nei primi due dipinti prevalgono i colori terrosi, accostati con armonia a qualche tocco di verde e di rosa, mentre nell’ultimo riquadro il pittore ha usato soprattutto l’azzurro per creare l’effetto di uno sfondamento verso l’alto. Tuttavia le nuvole troppo compatte e le tinte “dolciastre” dei decori tolgono qualità all’insieme, tanto da far pensare che qualche incauto ritocco possa aver compromesso la primitiva fisionomia dell’opera. Gli affreschi sono stati eseguiti nel 1927 da Luigi Cassani (1893–1946), pittore trevigliese discendente da una nota famiglia di produttori di mobili intarsiati, che si dedicò con successo soprattutto al ritratto, dove si distinse per l’attenzione al “vero” e la plasticità delle figure. Meno nota è la sua produzione come affreschista, a cui si è applicato attorno alla metà degli anni Venti. Di questa attività si conoscono, oltre ai dipinti di questa chiesa, solamente due immagini di Madonne a Treviglio e un’Annunciazione nella chiesa della frazione Battaglia. Nel 1926 aveva affrescato la sala consiliare del Municipio, ma il dipinto, dal titolo Il trionfo dell’Italia fascista, fu ricoperto d’intonaco dopo il 1945. Nei pennacchi che sovrastano le colonne, in piccoli spazi vagamente triangolari, sono dipinte invece le Storie di San Tarcisio, un Santo particolarmente venerato in questa chiesa, dove era ricordato anche con una pregevole statua, ora collocata nella parrocchiale. La vicenda di San Tarcisio è simile a quella di Santo Stefano, che fu lapidato dagli ebrei di Gerusalemme, come Tarcisio fu lapidato dai pagani di Roma. Di lui ha scritto solamente Papa Damaso, vissuto nel IV secolo: “Tarcisio portava i misteri di Cristo, quando una mano criminale tentò di profanarli. Egli preferì lasciarsi massacrare, piuttosto che consegnare ai cani arrabbiati il corpo del Signore”. In tempi più vicini a noi, la figura del Santo è divenuta popolare grazie al romanzo Fabiola, sulle persecuzioni contro i Cristiani, scritto nel 1853 dal cardinale Wiseman e più volte ridotto per il cinema, in cui Tarcisio appare come un ragazzo forte e consapevole.

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Il pittore rievoca il martirio del Santo attraverso quattro scene, piuttosto difficili da leggere, perché le figure sono piccole ed appena accennate, quasi fossero dei bozzetti. La prima storia, a sinistra per chi esce dalla chiesa, è ambientata in un luogo chiuso, probabilmente una catacomba. Il Santo, inginocchiato, riceve un contenitore dorato da un uomo vestito di bianco, affiancato da altre persone in atteggiamento devoto. La scena successiva si svolge in una piazza. I templi classici sullo sfondo e l’abbigliamento dei personaggi, in toga e calzari, rimandano all’antica Roma. Tarcisio, colpito dalle pietre scagliate da alcuni uomini, è quasi accasciato al suolo, ma le braccia sono ancora incrociate strettamente al petto, a difendere l’Ostia consacrata. Nel terzo racconto, mentre gli assassini si stanno allontanando, un soldato, riconoscibile dal cimiero e dagli schinieri, trascina via il Santo morente. Sulla sinistra uno dei lapidatori si copre il viso con le mani, forse già conscio della gravità dell’avvenimento. L’ ultimo episodio è di nuovo ambientato nella catacomba. Il corpo di San Tarcisio è disteso sulla nuda terra; gli sono accanto, in atteggiamento di grande dolore, le stesse persone che erano presenti nella prima scena. Sul muro alle sue spalle è scritto: “IN PACE / IN REFRIGERIO / VIVAS IN DEO / CUM SANT(IS)”.

CANONICA D’ADDA VILLA PAGNONI illa Pagnoni è un’elegante costruzione di via Matteotti, attigua alla chiesa parrocchiale di Canonica d’Adda. In questi ultimi anni è stata trasformata in abitazione plurifamiliare e per questo ora viene indicata come ex-villa Pagnoni. Guido Fumagalli e Rosa Bacis, nel libro Canonica d’Adda.

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Dalle origini ai giorni nostri (1989), informano che l’edificio deriva il nome da Ernesto Pagnoni, un ingegnere milanese trasferitosi dopo il 1908 a Canonica d’Adda, dove “acquistò la villa dell’ing. Pietro Pasetti, che ristrutturò e abbellì con dipinti, arazzi, graffiti e ornamenti interni di pregiato valore con la collaborazione dei pittori Prof. Ferdinando Bialetti e del bergamasco Vittorio Manini”. Pagnoni divenne poi sindaco di Canonica, dove morì nel 1928. La villa dovrebbe essere stata costruita “nella seconda metà dell’ Ottocento in quello stile eclettico allora tanto di moda”. All’ingresso c’erano “due bellissime e ben proporzionate colonne a fascio littorio”, realizzate nel 1815 da Luigi Canonica, l’architetto di Napoleone, che sono state abbattute in tempi recenti per dare spazio alle auto. La struttura che oggi ammiriamo è quindi frutto dei rifacimenti compiuti all’inizio del secolo scorso ed i dipinti che ne ornano la facciata sono d’epoca moderna, opera

Canonica d’Adda, Villa Pagnoni (part.)

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di noti artisti del primo Novecento. È tuttavia ipotizzabile che l’edificio ottocentesco abbia affiancato o inglobato costruzioni preesistenti, perché su una parete di Villa Pagnoni è collocata una lapide che recita: “DOMVS V. CAPITOLI / S. STEPHANI MAIORIS / MEDIOLANI RESTAVRATA / 1711”. Questa scritta richiama la storia della Pieve di Pontirolo Vecchio (antica denominazione di Canonica d’Adda), un’importante chiesa che già nell’anno 896 aveva autonomia e privilegi e nel 1155 aveva giurisdizione su ben 36 paesi, i quali vi facevano capo per i più importanti compiti pastorali, come i battesimi, le cresime e i matrimoni. Il capitolo era costituito da venti Canonici, retti da un Prevosto. A seguito probabilmente di abusi nella gestione delle prerogative, nel 1577 San Carlo Borromeo soppresse la Pieve e ne trasferì beni e diritti alla chiesa di Santo Stefano in Broglio a Milano. Nel 1584 la chiesa di Canonica, dedicata a San Giovanni Evangelista, fu aggregata alla nuova Pieve di Treviglio. Poiché nel tempo le sue strutture architettoniche si erano degradate, nel XVIII secolo fu ricostruita dalle fondamenta, dando origine all’attuale chiesa parrocchiale, che mantiene la dedicazione a San Giovanni Evangelista ed è adiacente a Villa Pagnoni. Per quanto si è potuto vedere, la Villa è costituita da più fabbricati uniti fra loro, che si affacciano su un giardino alberato. Dal primo blocco, attraverso un passaggio ad arco (in cui è murata la lapide con la data 1711 di cui si è parlato) si entra in un cortile, dove altre parti dell’edificio sono decorate con motivi geometrici piuttosto semplici. Gli affreschi visibili dalla strada coprono interamente la bella facciata di gusto neoclassico, a destra del cancello d’ingresso. Si tratta di una decorazione assai particolare, disposta con molto ordine a fasce orizzontali, piacevole a vedersi. La prima striscia, vicina alla gronda, è un fregio con vasi e volute di foglie e fiori, di colore beige su fondo blu. Al di sotto vi è un alto bordo con quattro medaglioni,

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sostenuti ciascuno da due putti alati che hanno un paesaggio come sfondo. Si distinguono prati, alberi, una gallina, il cielo azzurro. In ogni oculo è inserito il viso di un artista famoso: Pietro Perugino, Raffaello Sanzio, Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci. La terza fascia è composta da alberi stilizzati, tutti uguali: di ognuno si vede la parte inferiore della chioma verde smeraldo, il sottilissimo tronco, due rametti disposti come le ali di una farfalla, collegati da un nastro bianco

Canonica d’Adda, Villa Pagnoni, Massimiliano Sforza a passeggio per le vie di Milano 103


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che percorre l’intera facciata. Tra i tronchi, altri due medaglioni: Tiziano Vecellio e Antonello da Messina. Sopra l’arco a tutto sesto del bel portone d’ingresso sono affrescati simmetricamente due angeli biancovestiti. A sinistra di questo fabbricato ve n’è un altro, diverso nell’architettura ma altrettanto ricco di decorazioni architettoniche a motivi prevalentemente geometrici. Sono bordure, festoni, nastri, una maschera, riquadri, fiori stilizzati, arabeschi nei caldi colori del mattone, che coprono l’intera facciata e proseguono nell’edificio a fianco, dove sono collocati anche alcuni tondi con ritratti. Un’importante scala porticata, che sale al primo piano, copre parzialmente la facciata. A fianco dei gradini vi è un affresco di Ferdinando Bialetti, artista pavese (Mede Lomellina 1864 – Pavia 1958), affreschista, ma anche pittore di paesaggi, ritratti e nature morte. Il dipinto rappresenta Massimiliano Sforza a passeggio per le vie di Milano. Il ragazzo, affiancato dagli scudieri, cavalca un destriero bianco nelle vie deserte della città. Fanno da sfondo un importante palazzo con finestre a bifora ed un vasto giardino, con belle piante verdi che spiccano contro un cielo molto chiaro. L’ artista fa parecchie citazioni da opere del Quattrocento, quasi a ricreare anche nello stile il periodo a cui l’episodio si riferisce. Lo si nota ad esempio nel modo in cui rappresenta gli alberi, ma soprattutto nella raffigurazione del ragazzo. Il cavallo che si staglia imponente in primo piano, il bianco del pelo che spicca sul rossastro dei mattoni, la mancanza d’animazione nella strada danno alla scena il risalto di un dipinto equestre. Nel Rinascimento i grandi condottieri erano celebrati con statue o dipinti a cavallo; Bialetti usa lo stesso sistema per onorare il figlio di Ludovico il Moro, che nel 1512 riconquistò il ducato di Milano. I grandi pannelli decorativi della villa furono invece commissionati verso la fine del 1920 a Vittorio Manini, artista bergamasco (Sant’Omobono Imagna 1888 – Bergamo 1974), noto come ritrattista e pittore di nature morte caratterizzate da eccellente mestiere. Inoltre, a

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Canonica d’Adda, Villa Pagnoni

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partire dagli anni ’30, egli sviluppò con successo un’intensa attività di decoratore e di pittore d’arte sacra per numerose chiese della Lombardia. Tra le tante, si possono ricordare le chiese di Sant’Omobono Imagna, Curno, Calolziocorte, Tavernola, Predore e soprattutto la chiesa parrocchiale di Trescore Balneario, dove Manini ha affrescato l’intera cupola.

ROMANO DI LOMBARDIA PORTICI DELLA MISERICORDIA Portici della Misericordia furono edificati nel tardo Quattrocento, su commissione di Bartolomeo Colleoni. Sono scanditi da 16 arcate, ognuna delle quali individua a piano terra una bottega, sovrastata da alloggio al primo piano e legnaia nel sottotetto, a formare un interessante complesso di gusto veneziano. La costruzione non ancora finita fu donata al Consorzio della Misericordia nel 1475, alla morte del condottiero. Sulla parete di chiusura dell’edificio è dipinta una Deposizione, firmata dal bergamasco Girolamo Poloni (Martinengo 1877 – Milano 1954), autore di numerose tele, in particolare ritratti, ma noto principalmente come affreschista. Secondo la critica, egli riusciva a dare il meglio di sé proprio sugli spazi ampi. Ha lasciato numerosi lavori nel suo paese natale e nella provincia di Bergamo, oltre che in varie chiese della Lombardia, del Piemonte e della Svizzera, dove era apprezzato forse più che nella zona d’origine. La Deposizione è larga più di 4 metri ed alta 2 metri e mezzo. Di forma semicircolare, ben inserita nello spazio delimitato dal soffitto in mattoni della volta dei portici, è contornata da un fregio bianco e grigio con motivi floreali stilizzati. È stata realizzata nel 1933, in sostituzione di un affresco seicentesco di Lodovico Costa, pittore di Soncino (Cremona) e restaurata di recente. La composizione si snoda su due grandi righe incrociate

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che misurano lo spazio: una linea verticale scura, formata dalla Croce che si prolunga in basso nella figura di Maria, l’altra orizzontale chiara, rappresentata dal sudario su cui è disteso il corpo di Cristo. Al centro, proprio nel punto d’incontro, è dipinto il volto della Vergine, reso luminoso dal velo candido che le avvolge il capo. La Madonna si china amorevolmente verso il Figlio, bianco nel pallore della morte e ricoperto da gocce di sangue. Le sta accanto San Giovanni, un giovane con barba corta, molto compito, a differenza della Maddalena, inginocchiata sull’altro lato, che ha i capelli sciolti e le braccia allargate in un’iconografia del dolore di sapore quattrocentesco. Da sinistra sopraggiungono due donne avvolte in mantelli bianchi. A terra sono appoggiati alcuni simboli della Passione: il martello, la tenaglia, la corda e la corona di spine. Sullo sfondo il cielo plumbeo sottolinea la tragicità del momento. Accompagnano il dipinto alcune scritte. La data “Anno MCMXXXIII” affianca uno scudo che è contornato dalla

Romano di Lombardia, Portici della Misericordia, Deposizione (part.) 107


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frase “O CRUX AVE SPES UNICA”, mentre un cartiglio ricorda “JUBILEUM / HUMANA / REDEMPTIONIS”. CHIESA DI SAN ROCCO una delle tante chiesette costruite dopo la terribile pestilenza del 1630, che aveva falcidiato la popolazione locale. Sorge in aperta campagna, nel luogo dove furono sepolti i morti per l’epidemia. È dedicata a San Rocco, patrono dei pellegrini ed invocato contro la peste e le malattie contagiose in genere. Un portico ad archi su colonne di pietra protegge la facciata, che è ricoperta da un grande trittico dove la Morte trionfa nei suoi aspetti più macabri. Lo spazio centrale è occupato dalla visione del Purgatorio, con le anime che guardano speranzose verso l’alto, dove Cristo risplende in un alone di luce. Alla sua destra siede la Madonna, che intercede in loro favore. I defunti che hanno espiata la pena vengono liberati dalle fiamme da due angeli che giungono in volo. In grandi cartigli appaiono due implorazioni: “OPERA MANVM TVARVM DOMINE NE DESPICIES” e “OPERI MANVVM (TV)ARUM PORREGES DEXTERAM”. Negli spazi laterali dominano due grandi scheletri: quello di destra imbraccia la falce ed ha un’espressione ghignante che si fa beffe della fragilità umana; l’altro è accompagnato da teschi, uno dei quali ha la tiara, a ricordare che non c’è autorità che possa fermare la Morte. Teschi ed ossa incrociate abbondano anche nelle decorazioni. Questa insistenza sui simboli mortuari potrebbe però esser frutto di ritocchi successivi, considerate le molte ridipinture che si notano in tutto l’affresco e in particolare sulle finte lesene laterali, in cui i motivi funebri sono ripetuti con stili, colori ed esiti diversi. Ne risulta una pittura “povera”, dove il segno è sommario ed il colore improbabile, da cui traspare non tanto la preoccupazione per gli aspetti artistici quanto l’ammonizione ad un cambiamento di vita.

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Romano di Lombardia, Chiesa di S.Rocco, Il purgatorio

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TREVIOLO - FRAZ. RONCOLA

ORATORIO DI SAN SPIRIDIONE E SANTA MARIA NASCENTE a piccola costruzione, di proprietà privata (è annessa alla vicina Villa Volpi), è collocata ben in evidenza su un poggio rivolto verso il Brembo. Non si hanno notizie circa le sue origini. Secondo Angelo Pesenti, che ha cercato di ricostruirne la storia, l’oratorio potrebbe essere stato edificato nei primi anni del 1600, forse per l’adempimento di un voto dei proprietari, scampati alla pestilenza del 1630. Ha facciata a capanna con portale d’ingresso e due finestre rettangolari disposte simmetricamente. Una terza finestra, ancora rettangolare ma di fattura diversa, si apre sopra il portale. Nella fascia triangolare in alto è stato riscoperto recentemente un affresco dove, sullo sfondo di un cielo color pervinca, sono rappresentati tre santi. Al centro campeggia San Spiridione, un vescovo vissuto nel IV secolo nell’isola di Cipro, ancora molto venerato in Oriente. Per opera dei mercanti veneziani il suo culto si diffuse anche in Occidente, nei territori soggetti alla Serenissima ed in particolare nelle campagne, perché considerato protettore contro i fulmini e la grandine. Il Santo (la cui figura è incompleta per un’ampia caduta di colore) è raffigurato con la mitria e il pastorale, in atteggiamento benedicente. Le braccia aperte permettono al pittore di mostrarne l’abito bianco ed il bel mantello, di cui sono ancora godibili i colori, un rosa antico ricco di luce ed il verde muschio della fodera. Particolare è la rappresentazione del viso: una bella faccia giovane da contadino, con i pomelli rossi, incorniciata dalla barba fulva. Questa iconografia vuole ricordare che San Spiridione, prima di diventare un prelato di grande generosità e carità, era stato un semplice custode di greggi, come tanti abitanti delle isole greche. Alla sua destra è inginocchiato un altro Santo, che gli si ri-

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Treviolo, fraz. Roncola, Oratorio di S.Spiridione e S. Maria Nascente, S. Filippo Benizi 111


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volge con la mano tesa. È un uomo con lunghi capelli castani, barba a punta, tunica verde e svolazzante mantello ocra. A terra, davanti alle ginocchia, ha un libro. Alle sue spalle è tranquillamente accucciato un leone. Dovrebbe trattarsi di San Marco evangelista, che ha come attributi caratterizzanti il Vangelo e il leone (spesso alato) e che generalmente è rappresentato in età matura, abbigliato con tunica e pallio, il mantello di lana, lungo fino ai piedi, in uso presso gli antichi greci e romani . Più problematica è l’identificazione del Santo inginocchiato alla sinistra di San Spiridione. È giovane, con pochi capelli ed un accenno di barba, indossa abito e mantello neri, forse l’abito ha una cintura in vita. Tiene in mano un ramo con tre gigli e sotto il braccio un libro chiuso. Alle sue spalle sono dipinti dei rami frondosi. Potrebbe essere San Filippo Benizi (1233-1285), quinto generale dell’Ordine dei Servi di Maria, canonizzato nel 1671. Il suo culto era però vivo da secoli e autorizzato da Leone X già dal 1516. Giovanni Cariani, importante pittore bergamasco, nel 1517-18 lo aveva raffigurato in una pala della chiesa di San Gottardo in Città Alta, ora a Brera, su probabile commissione dei Serviti che in quella chiesa avevano una scuola. Anche il San Filippo Benizi di Cariani ha abito e mantello neri, tre gigli nella mano sinistra e il libro. Di diverso ha il sole sul petto (attributo però usato raramente) e il libro aperto con la scritta: “Servus tuus sum ego et filius ancillae tuae”. La restante parte della facciata presenta estese tracce di colore, con decorazioni e figure molto sbiadite, a testimonianza d’antichi affreschi in gran parte cancellati da nuovo intonaco, come suggerisce la picchettatura visibile su tutta la superficie. All’altezza della finestra centrale, collocate simmetricamente entro finte nicchie centinate a semicerchio, quasi a simulare delle statue classiche, appaiono due figure femminili. Quella di destra è elegantemente vestita, indossa un abito dalle tinte rosate con mantello azzurro; nella mano sinistra stringe qualcosa che potrebbe essere la palma del martirio, mentre con la destra sorregge un libro. L’ altra

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donna è vestita come un’antica matrona romana, con una tunica dai colori violacei ed un mantello più chiaro che sale a coprirle il capo. È difficile ormai identificare queste Sante, ma è ancora possibile rilevare l’abile mano del pittore che le ha dipinte. Sotto la finestra altre macchie di colore fanno pensare alla presenza, in passato, di uno stemma: si vede vagamente un campo azzurro attraversato da una banda diagonale e sormontato da una macchia gialla, che suggerisce l’idea di un cartiglio.

Treviolo, fraz. Roncola, Oratorio di S.Spiridione e S. Maria Nascente, S. Spiridione 113


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VERDELLO ORATORIO DEI MORTI DEL RAVAROLO n località Prati Ravaroli, a circa un chilometro da Verdello, si incontra un oratorio che ricorda le vittime della terribile pestilenza del 1630. È ancora ben evidente la scritta: “FRATELLI CARI / FATE ELEMOSINA / PER LI POVERI M / DEL CONTAGGIO” sormontata da un

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Verdello, Oratorio dei Morti del Ravarolo

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teschio con due ossa incrociate, posta accanto alla porta d’ingresso, sopra l’apertura per le elemosine. La richiesta ritorna poi sul lato opposto, dove il teschio è accompagnato dall’iscrizione: “ELEMOSINA A LI (?) MORTI”. Sul pavimento del piccolo sagrato due tondi, realizzati con ciottoli disposti a mosaico, ricordano le principali date della storia di quest’edificio: il 1643, anno di costruzione e il 1975, anno dell’ultimo restauro. Completano il mosaico lo stemma del Comune di Verdello e la riproduzione del cappello degli Alpini, ai quali si deve il merito della ristrutturazione. Nella parte alta della facciata, protetto da un portico a tre archetti impostati su due colonne, è inserito un affresco, circoscritto da un fregio a nastri nei toni del verde e del bruno, molto deteriorato e in parte cancellato. Domina la scena Cristo risorto, sfavillante in una raggiera di luce, che stringe uno stendardo candido e benedice. È accompagnato da angeli tubicini, disposti ordinatamente ai lati, che hanno grandi ali e reggono dei cartigli con scritte in parte scomparse. A sinistra si legge a fatica: “CANT...ENIM / TUBA”, a destra: “OMNES RESURGEMUS”. I colori (mattone, ocra, violetto, verde e azzurro) sono chiari e luminosi, talvolta con effetto cangiante. Il dipinto ha subito nel tempo numerosi ritocchi ed è ormai impossibile stabilire quanto resta di originario. Addirittura è stata cancellata una figura sulla sinistra, dove ancora si contano quattro trombe ma solamente tre Angeli. L’ immagine rimane comunque interessante per la singolarità del tema. Solitamente le pitture associate al ricordo dei defunti invitavano alla meditazione sulla morte e sul giudizio divino mostrando i tormenti dell’oltretomba, con i dannati spinti da orribili demoni verso l’Inferno o le anime sprofondate nelle fiamme del Purgatorio. Al contrario qui il pittore pone l’accento sulla resurrezione di Cristo, inviando ai passanti un messaggio di speranza in un aldilà che dà senso e misura alla vita terrena.

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“La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull’immaginazione popolare più direttamente di qualunque altro tipo di pittura...” “Manifesto della pittura murale”, 1933

DOSSENA E CALCIO: DUE ESEMPI DI PITTURA MURALE BERGAMASCA TRA XX E XXI SECOLO ualunque ricognizione sulla pittura murale moderna e contemporanea non può prescindere dall’opera e soprattutto dalla teorizzazione elaborata da Sironi. L’ artista già dal 1° febbraio 1932 sul “Popolo d’Italia” sosteneva che quando si dice pittura murale ”...non si intende soltanto il puro ingrandimento sopra grandi superfici di quadri che siamo abituati a vedere, con gli stessi effetti, gli stessi procedimenti tecnici, gli stessi obiettivi pittorici. Si prospettano invece nuovi problemi di spazialità, di forma, di espressione, di contenuto lirico o epico, o drammatico. Si pensa ad un rinnovamento di ritmi, di equilibri...” E’ una chiave di lettura fondamentale ed imprescindibile ancora oggi non solo per chi opera ma anche per lo spettatore-critico. La semplice dilatazione della pittura da cavalletto è decisamente improponibile. Il passeggero che percorresse l’asse centrale di Calcio, via Papa Giovanni e le adiacenze o il centro e le frazioni di Dossena, avrebbe la gradevole sensazione che le amministrazioni comunali hanno non soltanto risolto un burocratico problema di arredo e di abbellimento urbano ma hanno avviato una lezione di educazione civica e di sensibilizzazione al godimento estetico che finisce per coinvolgere anche il più distratto e indaffarato degli umani. Senza contare poi che la varietà delle forme e degli stili ma soprattutto l’impatto cromatico hanno senza dubbio un effetto tonificante sull’immagine di sè che le due cittadine vogliono comunicare

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CALCIO n occasione della inaugurazione di alcuni affreschi nel mese di novembre 2002, il sindaco Nicola Mercandelli ripercorrendo le tappe di una iniziativa che risale al 1999 ha dichiarato: ‘’ ...abbiamo voluto coniugare l’aspetto estetico e quello culturale. Una scelta con cui cerchiamo di conservare e tramandare la memoria storica del nostro paese...tutti i dipinti illustrano Calcio nella sua storia o nei suoi aspetti di vita quotidiana..’’. La commissione artistico-tecnica, presieduta dal critico Mauro Corradini e dall’architetto Tullio Lazzarini ha convenuto con gli artisti temi e tipologie di intervento. Le opere sono state realizzate non solo da artisti singoli ma anche dagli allievi appartenenti alle Accademie di Belle Arti di Sassari, Brescia, Birmingham. Con questa scelta, dopo l’ondata di artisti bergamaschi, bresciani e milanesi, si è praticata un’apertura verso altre regioni e verso l’Europa. La stessa scelta estetica è proseguita con la partecipazione, tra l’altro, delle Accademie di Belle Arti di Barcellona, Vienna, Brera di Milano e Carrara di Bergamo. L’ amministrazione comunale ha quindi confermato una linea culturale coraggiosa distribuita nel corso del quinquennio, con convinzione l’ha perseguita e realizzata profondendo energie e risorse, cercando collaborazioni e compartecipazioni. La cittadinanza, dopo qualche perplessità iniziale, ha capito e collaborato mettendo a disposizione i propri muri privati, muri dipinti appunto, offerti con orgoglio civico al pubblico godimento nel solco di quel lontano auspicio di Sironi, che l’arte riprendesse quella dimensione sociale che per secoli l’aveva caratterizzata. Tra le numerose opere sparse sui muri della case di questo paese della pianura bergamasca, si segnalano:

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Giovanni Repossi: Regina della Scala signora di Calcio Nel 1365 Regina della Scala acquista, accanto ad altre terre già possedute, la Calciana e ottiene dal marito Bernabò

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Visconti il famoso privilegio del 1366 molto vantaggioso per il suo feudo (tutte le regalie “...sive in aqua sive in terra...” e l’amministrazione della giustizia “...merum et mixtum imperium et gladii potestatem...” ) e indirettamente, in modo molto minore, per la popolazione. Regina mostrò sempre vivo interesse per le sue proprietà che tentò in ogni modo di migliorare e rendere più produttive. Nel 1380, con il permesso del marito, alienò ai Suardo ed altri “condomini’’ l’intero territorio ma il privilegio conservò i suoi effetti fino alla rivoluzione francese. Nel murale la nobildonna è una regina da libro delle favole attorniata dai suoi dignitari. Italo Ghilardi: L’amministrazione della giustizia a Calcio L’ artista si trova ad operare proprio nei giorni dell’attentato alle torri gemelle di New York (l’allusione numerica lo rivela) e il fatto gli favorisce una riflessione che gli permette di attualizzare e nello stesso tempo di storicizzare la macro e la microstoria. La Calciana, posta al confine tra la repubblica di Venezia ed il Ducato di Milano, era stata per

Calcio, Trento Longaretti, La processione del Santo patrono

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secoli terra di contrabbando malavitoso. Tra il 1740 ed il 1762 ci furono decine di processi per omicidio e furono eseguite sentenze capitali proprio in piazza Silvestri. Ghilardi già aveva rappresentato negli anni ‘70 carcerati e disperati di varia natura. Nei riquadri di un’ampia parete distribuisce e accosta, in modo suggestivo, evanescenti e monocrome figure settecenteshe e moderne casacche carcerarie riempite della loro dannazione. Rimanendo fedele a se stesso e al tema raggiunge così una originale soluzione iconografica e stilistica. Calisto Gritti: L’ arrivo della ferrovia a Calcio Nel 1876 l’amministrazione comunale ottiene, con l’aiuto del senatore Ercole Oldofredi, la costruzione della stazione ferroviaria sulla nuova linea Treviglio-Coccaglio. L’ eccessiva lontananza dal centro del paese non ebbe poi la benefica ricaduta economica e sociale sperata. L’ avvenimento, comunque significativo, viene interpretato e storicizzato dal Gritti nel quadro positivistico dell’esaltazione del progresso tecnico-scientifico ricorrendo ad un linguaggio cubo-futurista che esalta l’aspetto propulsivo della modernità. L’ esplicita citazione di Leger, visibile nella dinamica e colorata locomotiva, viene rilanciata come disponibilità dell’autore non soltanto ad interrompere momentaneamente i propri percorsi tematici e stilistici ma a sfidare i condizionamenti ambientali. La porzione di parete, centrale ma architettonicamente sacrificata e soprattutto esposta a sud e con un supporto in cemento che ha sconsigliato l’affresco tradizionale, sta già perdendo l’intensità dei colori originali con un effetto suggestivo di invecchiamento precoce, certamente prevedibile dall’autore Pietro Ricci: L’ arrivo dell’illuminazione Il tema dell’arrivo della illuminazione pubblica, posta significativamente di fronte a quello della ferrovia, indica una precisa regia tesa ad individuare i momenti di impatto tra gli avvenimenti della macro-storia e gli episodi della micro-storia della comunità calciana. Ricci, che è anche auto-

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re del monumento in piazza Silvestri, attraverso l’utilizzo di terre scure rievoca le atmosfere di un mondo contadino ritmato dall’alternanza notte-giorno e dalla suddivisione interno-esterno che viene sconvolto e reso indistinto e perciò “moderno” dalla pubblica illuminazione. Il linguaggio espressionisticamente naif è in grado di cogliere l’aspetto corale, addirittura epico di tale trasformazione sociologica. Trento Longaretti: La processione del santo Patrono In un’atmosfera senza tempo, di quelle così tipiche dell’artista che non si fa mai ingabbiare in una dimensione cronachistica ma allusiva ad un mitico e indistinto passato (il cavaliere e la dama, la torre) avviene la processione del santo Patrono. I chierici, il sacerdote con lo stendardo svolazzante, i fedeli procedono piegati in avanti come ostacolati dal

Calcio, Giovanni Repossi, Regina della Scala signora di Calcio

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vento. Il processo di sintesi e di stilizzazione che fanno parte dell’abitus mentale dell’artista e che sono cosi indubitabilmente riconoscibili, vengono qui esaltati dalla collocazione giusta (un lato visibile della piazza da cui muovono anche oggi le processioni) e dalla esecuzione cromaticamente accurata nel trasporto dal cartone al mosaico. Giovanni Sara: La transumanza Sul margine inferiore si legge: dono dell’autore 1999, un ringraziamento a Dio per avergli concesso la vista e una citazione dal salmo 181. L’ opera presenta sullo sfondo il profilo delle Orobie e poi, con una prospettiva a volo d’uccello, il percorso delle greggi e le soste all’ombra di antiche pievi, ormai nella pianura. Con un procedimento abbreviato viene portato in primo piano il pastore, di età avanzata, con l’inseparabile cane di razza bergamasca e due capre scure in mezzo a bianche pecorelle che a lui rivolgono uno sguardo dialogante. Lo stile rivela una scelta figurativa tradizionale, frutto di grande mestiere ma non accademica.

Calcio, Calisto Gritti, L’arrivo della ferrovia a Calcio

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Umberto Faini: Dall’Oglio la roggia Donna porta fertilità ai campi Attraverso una prospettiva ampia e profonda, si intravede il percorso stilizzato del fiume dipinto con isolati ma gustosi dettagli di alberi e campi coltivati. Da un’ansa si distacca la roggia che si trasforma antropomorficamente in una giovane ninfa: Donna (da domina-Regina della Scala) che allarga le braccia come a fecondare l’intera pianura. La sua figura soltanto è realizzata a mosaico. La tecnica mista determina un grande effetto scenografico complessivo. Mino Marra: La filanda Insofferente a delimitazioni troppo scontate dello spazio rappresentativo, l’artista ne ricava uno suo proprio impaginando tre suggestivi lacerti pittorici rievocativi della realtà storica della cittadina. Basandosi su testimonianze relative alle condizioni del lavoro minorile della fine del XIX secolo (la paga, per quanto molto bassa, rappresentava per le famiglie contadine l’unica entrata in denaro essendo i mezzadri pagati in natura) focalizza nelle bambine impegnate in filanda e perciò private dell’infanzia (la bambola) quelle figure, le “cariatidi”, che in ogni tempo e paese reggono sulle proprie spalle il peso tremendo della più dolorosa quotidianità. Il tema così intensamente partecipato viene illustrato con sobrietà e chiarezza di dettagli semanticamente significativi. Candido Baggi: I mulini Come per magia sotto il pennello del Baggi ricompaiono i mulini, più o meno dove erano sempre stati per essere poi cancellati dalla modernità. La ruota è immobile ma l’acqua che scorre da sempre poco sotto potrebbe riattivarla. L’ opera dell’ artista è perfettamente inserita in un contesto che ancora oggi rivela le tracce di un insediamento lavorativo legato allo sfruttamento idraulico: perlomeno energia pulita. Sergio Battarola: Le mandrie Il mondo poetico di Battarola è denso di mitologiche, zoomorfe, terrifiche divinità-mostri riconducibili all’archetipo

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del Minotauro. Nell’opera presentata le forme sono apparentemente quelle a cui ci ha abituato ma il clima complessivo è quello di un contesto meno cupo e problematico, più vicino alla tranquilla mansuetudine di manze ben pasciute indifferenti ai problemi esistenziali. Angelo Boni: Palude e vegetazione nella piana dell’Oglio Con un linguaggio molto analitico, più adatto forse a un quadro da cavalletto che ad un murale, l’artista documenta l’intreccio di specie botaniche che vivono in simbiosi nelle gore del fiume costituendo quel paesaggio caratteristico visibile presso la cascina Lavello o alle bocche del Naviglio Civico o lungo la roggia Antegnata Mario Cornali: Il passaggio delle truppe di Napoleone a Calcio Nel 1792 Napoleone, in pochi mesi e contro ogni previsione, travolge la poderosa armata austriaca. Le sue truppe, at-

Calcio, Mino Marra, La filanda (part.)

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traverso il nuovo ponte di Calcio, inseguono il nemico mentre gli abitanti, che non avevano dimenticato violenze e saccheggi delle armate francesi, si barricano nelle loro case e i condomini offrono denaro e viveri in cambio della tranquillità Ecco come una lezione di storia può essere trasferita su muro. Realizzato con la tecnica del graffito, fondo rosso su superficie grigia monocroma. Effetto complessivo di grande sintesi nel disegno della scena di massa. Franco Bassignani: Il guado a Calcio Raffinato come un grande quadro da cavalletto, con sapienti passaggi cromatici e variazioni tonali, si apre sull’angolo del muro, un paesaggio di acque e boschi poco distante dall’antico guado. Mario Lazzarini: Il palazzo lungo il Naviglio Lungo il naviglio si rispecchia il palazzo. Dall’ampio loggiato si sono affacciate intere generazioni di signori ma anche un innumerevole stuolo di servitù ognuno con il suo fardello di aspettative e di rimpianti, di piccole gioie e grandi dolori. Lambendo le fondamenta l’acqua, scorrendo, si è portata via tutto, indifferente. Oggi l’edificio, restaurato, ristrutturato e destinato agli anziani racconta altre storie di solitudine e di rimpianti e della volontà della collettività di alleviarli. Pietro Leddi: La fine dei privilegi della Calciana L’ opera posta programmaticamente sulla facciata del palazzo comunale era stata intitolata “Il carro contadino-allegoria di un tempo lontano”. In effetti tutta la composizione ruota attorno ad un carro in cui comunque le simbologie riconducono, ad abundantiam, ad una problematica storico-politica. Molto opportunamente quindi il titolo rettificato suona ’’La fine dei privilegi nella Calciana’’ e riconduce alla fine di un lungo medioevo rurale (da Regina della Scala a Napoleone) e all’aprirsi di illuministiche speranze.

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Central University of England Departement of Fine Art of Birmingham: Il mondo contadino: mucche e farfalle Dipinto con colori solidi e resistenti ad altezza di bambino fuori dall’uscita della scuola, come un invito a metterci le mani sopra per acchiappare le farfalle e palpeggiare il mantello rosso-pezzato delle vacche. L’ abbinamento mucche e farfalle, preferito a quello molto più filologicamente congruente mucche-mosche indica, se ce ne fosse bisogno, quanto il mondo contadino percepito dall’infanzia di oggi sia assolutamente virtuale rispetto a quello reale pure in grande trasformazione. Accademia di Belle Arti di Sassari: La raccolta del grano Raccolta o battaglia del grano nel senso archetipo del termine come virile e faticosa ma anche gioiosa epica lotta per strappare alla terra (e poi letteralmente abbracciare) il biondo prezioso raccolto. Il gruppo sardo ha interpretato l’iconografia della mietitura con sobrietà citando di un rito collettivo solo due contadini vigorosi. Maria Jannelli: Primo giorno di scuola Amarcord per ultrasessantenni questo commovente immagine dei due remigini dall’aria spaurita (quando la scuola induceva un sacro rispetto e l’analfabetismo era una piaga sociale che si cercava di combattere) ci riporta ai primi anni del secolo scorso e ad un sistema di valori tradizionali che vengono qui ‘’fotografati’’ e storicizzati con grande acume psicologico e capacità di ambientazione. Monocromo come una vecchia pellicola in bianco e nero. Accademia di Belle Arti di Brescia: Il filare dei gelsi Naif nella sua impostazione sintetica con gelsi stilizzati sulla riva di un improbabile ruscello. Il gruppo bresciano sceglie di utilizzare una tecnica ed un linguaggio che si rifanno al Divisionismo Giovanni Repossi: Il territorio di Calcio Difficilmente mappa o cabreo o fotografia aerea avrebbe

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potuto dare una sintesi cosĂŹ suggestiva del territorio della Calciana. La tessitura astratto-concreta dei campi coltivati con le relative botaniche specificitĂ e le rogge e gli edifici rurali si espande e si ricompatta illuminandosi sempre attraverso le tessere del mosaico, splendenti sul grigio neutro del muro

DOSSENA I murali di Dossena risalgono agli anni 1981-84 e sono occasionati dalla straordinaria iniziativa di un concittadino, Filippo Alcaini. Allievo e poi insegnante della scuola d’arte Fantoni, pittore, restauratore, decoratore di grande perizia tecnica ma soprattutto personaggio mitico sul piano

Calcio, Pietro Leddi, La fine dei privilegi della Calciana

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della grande, generosa umanità e capace di attivare entusiasmi sinergici tra artisti già ampiamente affermati e giovani promettenti, l’Alcaini attiva la Pro-Loco in un progetto turistico-pedagocico-culturale di grande spessore. A distanza di tanti anni i protagonisti ricordano ancora il particolare clima di collaborazione e di entusiasmo creativo che si concludeva inesorabilmente con grandi mangiate e bevute che si protraevano fino a notte fonda alle “Beccacce” una sorta di campestre osteria da lui gestita e curata dalla madre per la parte culinaria-bergamasca. La sua tragica e prematura scomparsa ha concluso quell’esperienza lasciando però alla propria terra un patrimonio di arte contemporanea che si aggiunge a quello già particolarmente ricco e conosciuto di arte antica presente nella chiesa parrocchiale, prezioso scrigno di capolavori che testimoniano l’importanza religiosa ed economica del paese nei secoli passati. Il notevole numero di murales presenti a Dossena impone una necessaria scelta per la loro descrizione; è comunque un modo per incuriosire il visitatore e spingerlo alla scoperta dell’intero patrimonio. Filippo Alcaini: La Pietà L’ affresco si trova all’interno di una cappelletta fuori dal centro abitato in direzione del passo della Beccaccia. Il paesaggio per quanto stilizzato richiama quello reale circostante. La madre, in ginocchio sul duro terreno tenta di risollevare il figlio ma il suo sguardo drammaticamente rivolto verso l’alto sembra non comprendere il senso umano-divino di tanto strazio. L’ anatomia del Cristo è impeccabile ma non accademica. Alla luce di quanto è poi successo pare di scorgere un oscuro presagio autobiografico. Luigi Arzuffi: Annunciazione Nel corso della sua lunga carriera l’artista ha affrontato tutti i possibili soggetti utilizzando tutte le tecniche. Il tema sacro e in particolare la Vergine, lo hanno sempre personalmente e intimamente coinvolto. Nel dipinto in que-

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stione la soluzione iconografica appare decisamente originale. L’ angelo appare di schiena e di tre quarti, piegato in avanti, solo il piede destro appoggia per terra. La mano destra rivolge l’indice verso la Madonna e la destra regge con disinvoltura il giglio. Solo le ali sono fortemente illuminate, il volto giovanile è immerso nella penombra. L’ Annunciata, seduta su di un umile sedile di pietra, é colta nell’atto di strisciare il busto lungo lo sfondo chiaro del muro rivelando quello stato d’animo di stupore ed inquietudine che precede l’accettazione. Fabio Borgogni: Cartina Un vecchio signore seduto a gambe accavallate campeggia dentro uno spazio rigorosamente prospettico e assolutamente essenziale. Compie un gesto banale e nello

Dossena, Patrizia Masserini, Il riscatto della natura

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stesso tempo antico: inumidisce una cartina di tabacco. La soluzione grafica prima che pittorica è di grande immediatezza. Angelo Capelli: Roccolo Molto vicino e sensibile ai temi legati alla terra, l’autore rappresenta qui uno dei luoghi che economicamente, socialmente e culturalmente hanno caratterizzato nei tempi passati la più vera tradizione bergamasca e che oggi o sono in rovina o adibiti ad altri usi. I tre protagonisti contadini-cacciatori appaiono solenni nel disporre con razionalità gabbie e vegetazione in un progetto coscientemente ecologico. Piacevole la resa formale, sobriamente narrativa. Gianluigi Lizioli: Fauna alpina Un capriolo campeggia su un roccia scoscesa. Intorno a lui pinete e ghiacciai e montagne, un eden incontaminato. L’ artista sceglie un unico, simbolico esemplare faunistico che parte da una esigenza naturalistica ma la oltrepassa aprendosi al ricordo forse di un mondo che rischia di scomparire in modo definitivo. Trento Longaretti: Madonna col Bambino Pittore longevo, prolifico, universalmente riconosciuto dalla critica e assai apprezzato dal mercato, Longaretti ha messo a frutto tutti gli insegnamenti passivi ed attivi dell’ Accademia (intesa nel senso più nobile). Nell’opera in esame riprende alcune “cifre“ perennemente presenti nella sua produzione sacra e profana e in particolare la compenetrazione madre-figlio. Ignazio Nicoli: Allegoria storica L’ artista, allievo di Funi, ha avuto modo per formazione culturale e per suggestioni ambientali derivategli dal contesto storico di praticare l’allegoria come genere pittorico di sintesi tra paesaggio, figura umana, allusioni e densità di simbologie che comunque devono lasciare margini all’enigma. Nella fattispecie dovrebbe essere rappresentata

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Dossena, Trento Longaretti, Madonna con Bambino

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la popolazione affamata di Dossena che rifiuta di cedere le opere d’arte patrimonio della chiesa-comunità in cambio di cibo. Episodio-simbolo di virtù civiche che sopravvivono nella memoria storica di una fiera popolazione montanara. Antonio Tarenghi: Forza di ieri “Forza di ieri” è titolo evocativo di un mondo naturale ed umano insieme che è stato modellato dalla fatica e dalla sofferenza di intere generazioni del passato (si pensi solo all’assetto dei sentieri e dei boschi) e nello stesso tempo ha determinato la psicologia e il carattere bergamasco. Nel sintetizzare tutto ciò l’artista si trova assolutamente a suo agio.

Dossena, Francesco Battaglia, La miniera

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Francesco Battaglia: La miniera La miniera, per quanto ora dismessa, è nella storia e nella memoria della comunità di Dossena. Il giovane artista immagina le dure condizioni di lavoro rappresentando un giovane nerboruto e con una lunga chioma che emerge dal buio della galleria. Mino Marra: Composizione di figure La composizione rappresenta due gruppi di figure femminili, tutte giovani abbigliate per lo più all’antica con una presenza più moderna nell’acconciatura e nell’abito ed un nudo dalla posa statuaria. Pur nella ripetizione dei tipi umani la composizione risulta variata e gradevole. Decisamente avvertibili certe stilizzazioni riconducibili all’alunnato presso il Longaretti. Patrizia Masserini: Il riscatto della natura La giovane artista non si lascia intimidire dalla co-presenza di colleghi tanto più famosi e vecchi di lei e sceglie un formato e una iconografia decisamente innovativa, oltre che un linguaggio figurativo fresco ed essenziale. La natura non viene rappresentata nei suoi aspetti descrittivi e aneddotici ma in una forma simbolica che vede due polsi umani avviluppati da un lungo nastro metallico creato dalle mani da cui ora sono imprigionati. Ma la natura ha la forza di correggere l’improvvido errore di una tecnologia usata in forma distruttiva e speculativa e dal metallo germogliano sagome che per metamorfosi si trasformano in verdi foglioline. Emilio Nembrini: Il battesimo di Gesù La lunghissima carriera di affreschista ha portato il Nembrini, oltre che in tutta Italia, in Spagna ed in altre nazioni europee. Nessuna incertezza quindi nell’affrontare un tema ed un’iconografia che gli sono congeniali. Le figure del Cristo e del Battista sono costruite con grande mestiere sia nell’anatomia che nel panneggio e nella gestualità. Originale l’ambientazione paesaggistica legata alla co-

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noscenza della valle Brembana, certamente incongruente con la Palestina, con una bella visione dei ponti di Sedrina in sequenza scorciati da sotto in su. Cecco Previtali: Lo sport Calcio, ciclismo, sci da fondo, tamburello, una scelta di attività sportive che possono essere praticate sul territorio interpretate da giovani e scattanti atleti ma, si lascia intendere, anche da più sedentari villeggianti. Manifesto ‘’turistico’’ certamente finalizzato ad una ricaduta sulle attività economiche ma anche segno che marca la trasformazione antropologica degli antichi mestieri montanari verso i nuovi stili di vita della modernità. Previtali sa trasformarsi, se necessario, da delicato pittore e acquarellista in grafico pubblicitario. Piero Urbani: Maternità Pittore di grande mestiere, provinciale nel senso più alto del termine, non si lascia impressionare dalle novità delle mode, pesca nel repertorio che gli è più congeniale delle cose semplici e naturali e perciò universalmente riconoscibili. L’ intenso rapporto madre-figli viene colto e inserito in un rustico giardinetto che è il prolungamento di un implicito sereno ambiente familiare. Filippo Alcaini: Crocifissione All’interno della cappelletta il paesaggio, di fiamminga freschezza, rispecchia fedelmente la realtà esterna costringendo lo spettatore a misurarsi e a rapportarsi con il mondo circostante. Una figura femminile inginocchiata e coperta da uno scialle nero prega silenziosamente. Un uomo di profilo, modernamente vestito, come in un accorato rituale pagano offre al Cristo crocifisso una ciotola di latte appena munto per lenire la sofferenza dello spasimo. Del Salvatore controluce, inchiodato ad un albero secco non si percepisce che il profilo della contorsione, espressione di un dramma antitetico alla pace della luce serale.

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Dossena, Filippo Alcaini, Crocifissione

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Dossena, Antonio Tarenghi, Forza di ieri

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Angelo Bonfanti: La stalla La stalla non come riparo per gli animali (capitale strategico per la sopravvivenza della famiglia contadina) ma prolungamento, soprattutto nella stagione invernale, dello spazio abitativo e lavorativo (l’uomo che impaglia). Le due bestie hanno piena dignità di protagoniste. In questo mondo il Bonfanti scava con una grande carica di umana simpatia utilizzando un linguaggio carico di mestiere. Dietelmo Pievani: Deposizione Pievani è artista complesso, aperto a sperimentazioni che lo hanno costantemente avvicinato alla parte più viva e innovativa della cultura artistica contemporanea. Pur vicino in certi suoi esiti a soluzioni concettuali ha però sempre dichiarato che i suoi riferimenti andavano ricercati in pittori come Paolo Uccello o Piero della Francesca. Il graffito in questione appare piuttosto una libera citazione dal Pontormo. Fulvio Rinaldi: Fontanella Il soggetto è esplicito e non richiede particolari interpretazioni critiche. In controtendenza rispetto a tante correnti contemporanee l’iperrealismo del Rinaldi ambisce ad oltrepassare la riproduzione perfetta dell’apparenza delle cose per approdare ad una interpretazione più sentimentale e poetica del reale. Ornella Vignaga: Lotta di galli Non di galli da combattimento e di scommesse si tratta ma di vivacissimi e ruspanti galletti locali. In seguito a notizia riferita oralmente, sembra che la giovanissima artista, in accordo con il proprietario del muro, ha voluto rappresentare una sorta di ”impresa araldica”. Per un certo carattere fumantino la famiglia era ed è conosciuta in paese, tra altre famiglie omonime, con il soprannome di “GALETÌ“ (galletti). L’ opera, di non grandi dimensioni, risulta anche formalmente divertente.

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BERGAMO: LA CITTĂ€ DIPINTA

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BERGAMO: LA CITTĂ€ DIPINTA

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE A.V., Affreschi murali esterni in alta Valle Seriana: i segni dell’arte e della fede popolare, Comunità Montana valle Seriana Superiore, 1993 A.V., Le Muse. Enciclopedia di tutte le arti. Vol. XII. Istituto Geografico De Agostini. Novara, 1968, pag. 216 A.V., I segni dell’uomo e del tempo – Affreschi esterni nell’Alta Val Brembana, Bergamo, 1990 A.V., Bergamo e provincia, TCI, Milano, 2001 A.V., Santa Maria Annunciata in Serina, Centro Culturale Niccolò Rezzara, Bergamo, 2000 G. Alessandretti, La Torre Svelata, in: Istituzioni e territorio, n. 5 L. Angelini, Arte minore bergamasca, Bergamo, 1974 F. Bartoli, Le pitture, sculture ed architetture delle chiese ed altri luoghi pubblici di Bergamo, Vicenza, 1774 R. Belotti, Magnifica Communitas Serinae (in appendice: Don Tomaso Carrara Erasmi, Notizie istoriche di Serina e di Leprenno), Bergamo, 1998 L. Bolzoni, I luoghi della memoria, in: KOS, n. 30 G. da Lezze, Descrizione di Bergamo e del suo territorio. A cura di V. Marchetti e L. Pagani. Bergamo, 1989 G. Medolago/R. Boffelli, La Chiesa già parrocchiale di Santa Maria Assunta e San Giorgio martire in Bordogna di Roncobello – Comune di Roncobello - 2004 N. Morali, Clusone, Clusone, 1975 N. Morali, Il Santo del mese nella pittura murale di Clusone, Clusone, 2002 A. Pesenti, Curnasco, Albegno, Treviolo e Roncola. Ed. Ferrari, 2001, pag. 196-201. G.A. Scalzi, I pittori bergamaschi. Il Quattrocento, vol. II. Ed. Bolis, 1994, pag. 541.

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INDICE

Introduzione ...................................................... pag. 5 BERGAMO: LA CITTÀ DIPINTA Via Porta Dipinta ...................................... “ Piazza Mercato del Fieno .......................... “ Via Donizetti.............................................. “ Via Arena .................................................. “ Piazza Mascheroni .................................... “ LA VALLE BREMBANA Averara la strada porticata .......................... “ la Torre della Sapienza .................. “ Cassiglio casa Milesi ...................................... “ chiesa parr. di San Bartolomeo ........ “ Foppolo .................................................... “ Roncobello – fraz. Bordogna...................... “ San Giovanni Bianco: Oneta – casa di Arlecchino ............ “ Oneta – chiesa del Carmine .......... “ Piazzalina ...................................... “ Cornalita ........................................ “ Santa Brigida.............................................. “ Serina ...................................................... “ porticato di San Bernardino .......... “ Valtorta ...................................................... “ LA VALLE SERIANA Albino – fraz. Bondo Petello...................... “ Casnigo chiesa della Trinità ........................ “ scuola del Suffragio dei Defunti .... “ Cerete Alto ................................................ “

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INDICE

Cerete Alto – fraz. Novezio........................ “ Clusone chiesa di San Defendente .............. “ chiesa di Sant’Anna ........................ “ casa Pasinetti .................................. “ palazzo del Comune ...................... “ oratorio dei Disciplini .................... “ Nembro – loc. San Vito ............................ “ Rovetta ...................................................... “ Valgoglio .................................................... “ IL LAGO D’ISEO Lovere Torre Civica.................................... “ cappella di San Pietro .................... “ Solto Collina .............................................. “ Tavernola fraz. Cambianica ............................ “ loc. Cortinica.................................. “

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LA PIANURA Arcene ...................................................... “ Canonica d’Adda ...................................... “ Romano di Lombardia portici della Misericordia .............. “ chiesa di San Rocco........................ “ Treviolo – fraz. Roncola ............................ “ Verdello...................................................... “

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I MURALES Calcio ...................................................... “ Dossena .................................................... “

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Bibliografia ...................................................... “

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Testi A cura del Gruppo Guide “Giacomo Carraraâ€? di Bergamo: Virginia Ceruti, Elvira Dragone, Lorenzo Geroldi, Lucia Patt, Giuliana Speziali, Fausto Vaglietti, AnnaMaria Zanga, Anita Zetti Coordinamento: Fausto Vaglietti Fotografie Fausto Vaglietti Coordinamento editoriale Sandro Ghezzi Redazione Giuseppe Zambaiti Progetto grafico e impaginazione Videocomp, Bergamo Stampa Stamperia Editrice Commerciale - Bergamo ŠProvincia di Bergamo - 2005

In copertina: Averara, Strada porticata, Stemma della famiglia Guarinoni Retro copertina: Valtorta, murale Aletta sinistra: Clusone, Oratorio dei Disciplini, il Trionfo della Morte (part.). Aletta destra: Lovere, Cappella di San Pietro, San Pietro


PROVINCIA

DI

BERGAMO

Cultura & Turismo Via Borgo S. Caterina, 19 - 24124 Bergamo Tel. 035 387604/617 - Fax 035 387606 www.provincia.bergamo.it segreteria.cultura@provincia.bergamo.it




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