Colori e Sapori La Piazza n 878

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Il baccalà Attraverso i secoli da Martin Lutero ai giorni nostri. Storia di un piatto della gastronomia vicentina Birra e baccalà? Si può fare! Uscendo un po’ dai luoghi comuni, si può osare anche un abbinamento per nulla scontato Il Mais Marano Ambrata Perla Vicentina L’uva Il frutto autunnale per antonomasia Per monti e per funghi Un ingrediente umile, ma preziosissimo Il più nobile prodotto della terra Usi, costumi e credenze sul tartufo. Da sempre il cibo dei banchetti più ricchi e opulenti Colori & Sapori - Settembre 2022 - Allegato di La Piazza e Lira&Lira Colori & Sapori Settembre 2022 in Veneto - Viaggi, Sapori, Territorio

Funghi preziosi ed umili, che tendono ad occultarsi, a vivere nel silenzio magico del bosco, che quasi impaurisce con le sue ombre ed i suoi fruscii, o sui verdi prati al confine del verde, a mostrarsi solo all’ulti mo istante, a dare il senso di una conquista che è insostituibile.

Un ingrediente umile, ma preziosissimo

Tra poco arriva l’autunno, quella che tradizionalmente è la stagione dei funghi. E sarà festa. Durante le va canze di agosto, i monti sono stati percor si come ogni anno da cercatori accaniti (non sempre “acculturati” quanto si do vrebbe per rispettare l’habitat), ma anche noi “cittadini”, con sempre più facilità, tro veremo funghi ovunque. Fruttivendoli, su permarket, bancarelle ci permetteranno di comprare sia quelli che sono considerati funghi di serie A (porcini ed ovoli, fin ferli), sia gli altri che, in realtà costituisco no un cocktail, il “misto”, che meraviglio samente è equilibrio di profumi e sapori. Così, questo squisito complemento a menù importanti, pregiato piatto di mezzo, ricer cato contorno si presenta in tavola nel men tre l’autunno mostra i suoi colori, fra il gial lo ed il rosso delle vigne e dei boschi. Ed ecco, fra i tanti miracoli della natura, pro prio quando ci si sta preparando all’inver no, l’abbondanza dei funghi, questa “carne del bosco”, ricchissima di proteine, dieteti camente eccezionale per le pochissime ca lorie, che ignora completamente i grassi.

Per monti e per funghi Colori & Sapori

Così, quelli che sono considerati i te sti “sacri”, quelli di Fernando Raris, del Cetto, della stupenda associazione della Bresadola, assurgono a veri “vangeli” di sicurezza.

Prezioso e umile Si presta ad una gamma sconfinata di usi e consumi. Profuma le salse ed i condi menti, gli intingoli di tutte le preparazio ni, si unisce ai piatti di alta aristocrazia o a quelli popolari come zuppe e minestre, frittate o arrosti. Ma c’è di più: lo secchi, lo riduci in polvere che potrai usare in un mare di piatti, lo metti sott’olio, lo spo si con aglio e prezzemolo senza danneg giarlo. A volte non devi neppure cuocerlo, ba sta affettarlo e sposarlo con scaglie sotti li di grana padano, adagiarlo lieve su un carpaccio di carne. L’importante è che vi sia un filino d’olio, un pizzico di sale ed un’avarissima presa di pepe bianco appena macinato. Null’altro. Riconoscerli è fondamentale per poterli degustare I funghi riempiono, ogni anno, scaffali di librerie perché, nonostante vi sia già una sterminata moltitudine di libri sull’argo mento, non si è mai giunti alla fine. Così dalle riviste di settore, di gastronomia, ai testi di cuochi importanti, da “luminari” della micologia a dilettanti, gli scaffali del le librerie sono piene di testi che fornisco no le più diverse informazioni. Ed una ra gione più che valida esiste: non c’è altro modo di stare sicuri circa la velenosità dei funghi che conoscerli. Non c’è cuc chiaio d’argento o d’oro che annerisca, non serve a nulla mettere un oggetto di ferro durante la cottura, non serve mettere un pezzo di pane o aglio (secondo le usanze francesi) durante la cottura, per determi narne la velenosità. Bisogna conoscere, fra le tremila specie presenti in Europa, quel la sessantina che dona solo piacere e non mal di pancia, o peggio.

T ra i filari carichi dell’asprigno pro fumo dell’uva matura, tinta dal so le ancora estivo, presto comparirà un’allegra e scherzosa brigata, armata di ti ni e mastelli, alla raccolta dei succosi grap poli. Settembre è il mese della vendemmia, il cerimoniale in cui il lavoro manuale del vignaiolo si trasforma in rito sacrale, a co ronamento di un anno di lavoro e di preoc cupazioni.

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Una nostra specialità Diffusa in più di 40 Paesi al mondo, vede più della metà della produzione mon diale in Europa . I vitigni italiani sono un patrimonio d’uve unico al mondo con ben 300 varietà di vitigni per una superfi cie vitata di circa 650.000 Ricchezzaettari. che non ha eguali: basti pensare che la Francia conta poco più di 40 varietà di vitigni. “L’uva altro non è - diceva Gioacchino Rossini - che vino in pillole”. La sua diffusione nel Mediterraneo La sua comparsa in Italia è avvenuta venti secoli prima di Cristo per opera dei Fenici, che iniziarono a coltivarla in Sicilia da do ve si diffuse a tal punto che la nostra peni sola fu chiamata Enotria (terra del vino).

Con l’avvento dell’Impero Romano, la viti coltura e la vinificazione si affermarono in tutta Europa raggiungendo Francia, Spa gna e persino l’Europa settentrionale. Mol tissimi erano i vini prodotti nel bacino del Mediterraneo: bianchi, rossi, secchi, ab boccati, leggeri e pesanti a bassa e ad alta gradazione alcolica; nella Roma Imperiale se ne contavano ben 140, provenienti da tutte le province. Con la caduta dell’Impero, nei secoli duri e bui del Medioevo, la vite subì una forte invo luzione e fu confinata quasi esclusivamen te all’interno dei monasteri: delle piccole oasi di pace dove si continuò a coltivarla.

Il frutto autunnale per antonomasia

Fu così che i monaci Benedettini diven nero i maggiori produttori (e consumato ri) di vino. Il flagello della filossera In seguito grazie a Carlo Magno, suo grande esti matore, il vino conobbe un nuovo boom, segnato profondamente alla fine del IX secolo dalla filossera, il micidiale parassita prove niente dall’America che flagellò gran parte dei vitigni europei. La solu zione, apparentemente semplice, fu quel la di innestare le radici di vite americana, immune a questo parassita, con i vitigni desiderati.

L’uva

Dalla semina al confezionamento, fino alla vendita finale della farina che deve essere 100% farina ottenuta solamente ed esclusi vamente dalla varietà Mais Marano

N essuna varietà tiene il confronto con il mais Marano per la prepa razione dell’amata crema gialla. Un tesoro vicentino da tutelare. A detta degli esperti, nel vicentino è stata selezionata una varietà di mais dalla quale si ricava la miglior farina di granoturco per la preparazione della polenta, il Ma rano. Le origini Prende il nome dal paese nel quale viveva il suo creatore, Antonio Fioretti, l’agricolto re che nel 1890 decise d’incrociare nel suo podere due varietà di mais locali: il Pigno letto d’Oro e il Nostrano. La sua si rivelò un’intuizione molto felice. Dopo un’attenta opera di selezione durata vent’anni, nac que infatti il nuovo granoturco che ancora oggi è custodito nella banca del germopla sma dell’Istituto Strampelli di Lonigo. Durante quegli anni la sua coltivazione si diffuse in gran parte del nord Italia, tanto da essere una delle varietà più utilizzate, ma alla fine della Seconda Guer ra, con la progressiva scom parsa della polenta dalle ta vole, il prodotto ebbe una forte crisi e crollò con l’av vento dei mais ibridi che, anche se con minore qua lità, davano una resa molto superiore. La produzione Oggi si produce una quantità molto limi tata di questa farina; un prodotto di nic chia che, nel corso della sua storia, si è af fermato come il più apprezzato fra tutti i mais vitrei. Così, dalle pannocchie di pic cola taglia di questo mais si ricava una fa rina di un colore giallo intenso, screziato da caratteristiche pagliuzze marroni, che dona alla polenta un sapore inconfondi bile, un colore più carico e una maggiore Unaelasticità.varietà tipica in purezza, dunque, ve ra perla rara di questi tempi, la cui pro venienza deriva esclusivamente da colti vazioni realizzate nella Val Leogra e nella fascia pedemontana della Provincia di Vi cenza. Il consorzio Costituito nel 1999, il Consorzio di Tutela del Mais Marano ha l’obiettivo di conser vare in purezza questa varietà tipica così importante e così presente nella cultura popolare del nostro territorio. A tale scopo avviene un at tento controllo di tutto il processo di filiera per far sì che tutti i passaggi che conducono al prodotto fi nito siano eseguiti nel pie no rispetto del disciplinare adottato dal Consorzio.

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Ambrata Perla Vicentina Il Mais Marano

Una vita in simbiosi Questo delizioso fungo epigeo che vive nel sottosuolo, camuffato da tubero, è costitu ito da una massa carnosa detta gleba e ri vestito da una sorta di corteccia chiamata peridio. Il tartufo nasce e cresce come un parassita in prossimità delle radici degli alberi, dove vive in simbiosi con la pianta che lo “ospita”: tanto che il colore, il profu mo ed addirittura il suo sapore, si plasma no in base al tipo di albero grazie al qua le il tartufo nasce e cresce. Anche la sua forma è determinata da fattori esterni, e cioè dalla friabilità del terreno: più questo è soffice e più il tartufo si presenterà liscio e perfetto. Le sue componenti principali, ovvero proteine, grassi, carboidrati, acqua e ceneri, risultano quantitativamente simi li ad altri funghi edibili, e, come tali, han no un’alta percentuale di acqua contenuta - fra il 75 e il 90% - unita alla presenza di molecole non digeribili dall’uomo. Questo fa sì che il suo valore nutrizionale non sia di primaria importanza, anche se si fa un notevole consumo di questo alimento.

Se per nobiltà si deve intendere l’insie me delle condizioni che determinano distinzione, eccellenza e superiorità, sicuramente il tartufo assomma in sé tut te queste prerogative. La sua particolare condizione di fungo ipogeo, dal profumo forte ed inebriante e dal sapore insolito e deciso, racchiude tutte le fragranze e gli odori del bosco, ponendolo in condizione di assoluto privilegio rispetto a qualsiasi altro prodotto della terra. Il tartufo, signo re delle mense, gioiello per ogni pietanza che lo incontri, autentico pezzo forte delle cucine più raffinate, attraversa numerose epoche storiche, caratterizzando soprat tutto quelle di opulenza e ricchezza. Re della tavola e del gusto, è conosciuto fin dai tempi più antichi. In Europa il tartufo è noto da almeno duemila anni, come testimoniano scritti e opere che ne documentano la raccolta, il commercio e la presenza già nella dieta dei Sumeri, che lo univano ad orzo, ceci, lenticchie e sena pe. I Babilonesi, invece, utilizzavano per le loro sontuose mense i tartufi degli are nili dell’Asia Minore (“Terfezia Leonis”), mentre il faraone Cheope preparava i suoi banchetti con tartufi cotti con grasso d’o ca. Anche nella Grecia Antica, dove l’arte culinaria era un esercizio assai apprezza to, il tartufo era costantemente utilizzato e il suo impiego, il suo profumo così in

Usi, costumi e credenze sul tartufo. Da sempre il cibo dei banchetti più ricchi e opulenti

solito e la sua strana crescita diedero vita ad una serie di leggende sulla sua nascita, ma anche sui suoi effetti. Persino quando Roma era il Caput Mundi, il tartufo era molto apprezzato, basterebbe ricordare il trattato di gastronomia di Apicio o le ri cette del console Locullo, universalmente noto per i suoi esagerati banchetti. È co munque nel Rinascimento che il tartufo raggiunge la sua massima diffusione, tanto da creare una sorta di dipendenza psico logica ai tanti signori e signorotti dell’epoca. Miti e leggende Tralasciando l’aspetto puramente culinario, già in passato si cercò di comprendere qua le fosse l’origine bio logica del tartufo. Non essendo possibile spie garne l’origine, la scienza e le credenze popolari lo co prirono di mistero a tal punto che studiosi, filosofi e naturalisti azzardarono svariate ipotesi sulla sua origine. Plutarco ne teorizzò la nascita dall’azione combi nata di acqua, calore e fulmini; c’era chi asseriva si trattasse di un organo di ripro duzione degli insetti, chi lo classificò tra i minerali e chi un’escrescenza degenerativa del terreno, cibo del diavolo e delle stre ghe. Solo nel 1827, dopo numerosi tenta tivi di classificazione, De Bornholz stabilì che i tartufi non appartenevano né al re gno animale né a quello vegetale, bensì a quello dei funghi.

Le varietà Esistono diverse specie di tartufo: in primis il ri nomato tartufo bian co pregiato , ma an che il bianchetto , il tartufo nero pregia to , il tartufo estivo o scorzone, il tartufo nero invernale , il tar tufo nero liscio, il tartu fo uncinato. Le differenze fra il tartufo bianco e quello nero si evidenziano in cucina secondo un prin cipio fondamentale: il tartufo nero viene consumato cotto ed in quantità, mentre quello bianco, con il suo profumo acuto ed inconfondibile, è impiegato per lo più in minime dosi aromatizzante, quasi esclu sivamente crudo, affettato con l’apposito taglia tartufi direttamente sulla pietanza.

Il più prodottonobiledella terra

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Colori

& Sapori

Si può fare!

andare su birre alcoliche o molto alcoliche come le bock, triple, barley wine e altre an cora. Un matrimonio tutto italiano che dà grandi soddisfazioni è con la Elixir di Ba ladin, un’ambrata demi-sec, consigliata in questo abbinamento da Teo Musso in per sona. Passando al Belgio si potrebbe an che pensare a una Duvel, una strong ale facilmente reperibile anche al supermer cato, che grazie all’alcol e alla abbondan te carbonatazione garantisce la pulizia del palato.

Altre ricette regionali Cambiando regione e provincia ci trovia mo molto spesso di fronte a preparazio ni di baccalà e stoccafisso che vedono nel pomodoro un ingrediente fondamentale, come nel caso delle preparazioni marchi giane o liguri. In questo caso ci troviamo a combattere con l’acido della passata, e quindi dobbiamo contrapporre una birra morbida, con un residuo zuccherino an che importante, che attenui la sensazione acida. Perfette sono alcune doppelbock, come la molto diffusa Paulaner Salvator o la più ricercata Ayinger Celebrator. Ma si potrebbe pensare anche a una weizenbock come la Schneider Aventinus. Questo vale ancora di più con le preparazioni a base di stoccafisso calabresi e napoletane, ar ricchite dalla presenza spesso ingombran te del peperoncino piccante. Anche qui dovremo andare alla ricerca di morbidezza, dolcezza, “mal tosità”. Una biere de garde, come la nota 3 Monts po trebbe essere un degno compagno, ma anche al cune sweet stout, stando attenti a non esagerare con il tostato dei malti. Da provare, come abbinamento alternativo, con le fortemente luppolate India Pale Ale. Ricordatevi però una cosa: sovrano deve essere sempre il gusto personale di ognu no. Lasciatevi guidare quindi dall’istinto e realizzate l’abbinamento che più vi rende piacevole l’esperienza gustativa. L’abbina mento perfetto è sempre e solo dentro di voi, e nasce dal connubio fra i vostri gusti personali e la magia del momento. Uscendo un po’ dai luoghi comuni, si può osare anche un abbinamento per nulla scontato

Birra e baccalà?

Osservando alcune semplici regole... L’Italia, si sa, è terra di grandi tradizioni enogastronomiche. E sono molto spes so proprio le tradizioni ad aiutarci quan do dobbiamo abbinare un vino a un cibo. Non c’è piatto della cucina regionale che non abbia il suo degno compagno in ta Accadevola. così che anche per il Bacalà alla Vicentina si vada a pescare sui vini della provincia berica, selezionando quelli che meglio accompagnano l’opulento piatto. In questo bel gioco di coppia purtroppo la tradizione non ci viene in aiuto se, invece del vino, ci accingiamo ad abbinare una birra al piatto che mangiamo. L’Italia infatti non è terra di tradizione bir raria, con le dovute eccezioni. Non quanto altre nazioni come il Belgio, l’Inghilterra e la Germania per lo meno. E l’arte dell’abbinamento fra birra e cibo è spesso sconosciuta ai più.

Poche e semplici regole Sembra opportuno quindi richiama re qualche semplice regola per aiutarci a orientarci. Le birre normalmente vanno abbinate per contrapposizione: ad ogni stimolo in un senso, dobbiamo contrap porre uno stimolo in direzione esattamen te contraria. E affinché il matrimonio sia armonico, i due stimoli dovreb bero essere di pari intensità. Andiamo quindi a recu perare il gioco degli ab binamenti con i baccalà d’Italia proposti nell’arti colo sul vino e proviamo a mettere vicino una bir ra, cercando di dare alcuni consigli pratici su tipologie facilmente reperibili in com Partiamomercio. da casa nostra e dal piatto prin cipe della cucina berica: il Bacalà alla Vi centina. Il piatto, in questo caso, è sapido, grasso, gustoso ma delicato. Per contra stare la sensazione liquida lasciata in boc ca dall’unto ci dobbiamo affidare a birre che creino secchezza e che “asciughino” la sensazione oleosa. In questi casi possiamo

La storia Un meraviglioso commercio fu messo in moto da un pesce secco, facilmente tra sportabile, che sopportava una lunga du rata, che veniva “rimesso a nuovo” dopo una bella mazzolatura e un lungo bagno in acqua, che non deperiva e che si trasporta va come fosse legna!

La cucina di magro divenne una sorta di viatico per l’anima, la cucina di precetto affinò le tecniche e i cibi divennero puri, beatificanti.

Ma chi, per primo, aveva messo le mani su questo pesce ba stone, su questo stockfish?

Fra i diversi deliberata, a Trento si ritrovò la voglia di “candido” anche nella mensa e, come precisò lo scrittore Camporesi nel suo “La carne impassibile”, l’orologio della chiesa si sincronizzò su quello della cuci na e fu un ritornare al mangiar di magro, all’astinenza, ai digiuni.

ga Anseatica, per fare lucroso commercio delle sue mercanzie. Fece però naufragio e, in una scialuppa, arrivò assieme a parte dell’equipaggio al le isole Lofoten in Norvegia. Il Ramusio, scrittore del ‘500, scrisse di questo fatto marinaro e precisò che le Lofoten sono ”... in culo mundi”! Il Querini trovò là due cose: pesci bastone stesi ad asciugare e donne molto ospitali, se è vero, come è vero, che dopo neanche un anno nacquero una serie di bimbi mo retti dagli occhi neri, talché ve ne è ancora traccia fra quelle distese di neve. Portò lo stoccafisso in Italia, il nostro Querini, ma non fu sufficientemente apprezzato: Vene zia godeva di pesce fresco, sicché il merca to, allora, non decollò. Diffusione e declino Diversa, per tornare a noi, fu la diffusio ne del pesce dopo le direttive del Conci lio di Trento: chiaramente i ricchi continuavano a mangiare tro te, temoli, carpe o lucci, bar bi o gamberi di fiume e le popolazioni sulle rive del mare il pescato, ma il po polo dell’entroterra trovò in quest’alimento risoluzione alle imposizioni religiose.

Attraverso i secoli da Martin Lutero ai giorni nostri. Storia di un piatto della gastronomia vicentina.

Quando, nel 1517, Martin Lute ro, professore di esegesi biblica, affisse sui portali del Duomo di Weittemberg le sue 95 tesi, con le quali contrastava il potere papale, dichiarando che non si poteva supplire alla mancanza di fede con le opera e negando l’infallibili tà dei Concili, squassò il mondo cattolico che corse, appena fu possibile, nel 1545, ai ripari con il Concilio di Trento.

Oltre 100 anni prima, nel 1432, il nobile veneziano Piero Querini, con la sua “cocca”, nave carica di vino cretese, di sacchi di pepe, spe zie, profumi e broccati, lasciate le colonne d’Ercole con un vento ga gliardo, si diresse verso i porti della Le

Il pesce bastone divenne per tanto merce preziosa ed appetita per scambi commerciali, barattato con qualsi Il baccalà

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Infarinare i vari pezzi di stoccafisso, irro rati con il soffritto preparato, poi disporli uno accanto all’altro, in un tegame di cot to o alluminio oppure in una pirofila (sul cui fondo si sarà versata, prima, qualche cucchiaiata di soffritto); ricoprire il pesce con il resto del soffritto, aggiungendo an che il latte, il formaggio grana grattugiato, il sale, il pepe. Unire l’olio fino a ricoprire tutti i pezzi, li Cuocerevellandoli.a fuoco molto dolce per circa 4 ore e mezzo, muovendo ogni tanto il re cipiente in senso rotatorio, senza mai me scolare. Questa fase di cottura, in termine “vicentino” si chiama “pipare”. Solamente l’esperienza saprà definire l’esat ta cottura dello stoccafisso che, da esem plare ad esemplare, può differire di con sistenza. Il bacalà alla vicentina è ottimo anche dopo un riposo di 12/24 ore. Servire con Buonpolenta.appetito!

Baccalà alla vicentina

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asi altro prodotto, fonte di ricchezza per i paesi nordici. Ma questo predominio del nord s’incrinò quando si sviluppò la pesca del merluzzo con relativa salatura: il sale era un plusvalore che annientò la vendita di stoccafisso! In tavola Fu importante questo pesce, secco o sala to, nella storia della gastronomia italiana? Ahimè, assolutamente no: non se ne parla mai nei grandi pranzi Rinascimentali. Ne parla, poco, a dire il vero, lo Scappi, cuoco segreto di Pio V (“segreto” vuol dire cuoco personale, quello che gli faceva da man giare tutti i giorni e non solo nei pranzi ufficiali), autore della più grande opera re lativa al mondo della gastronomia del Ri Bisognanascimento.però arrivare all’Artusi nel 1891 per avere alcune ricette nel suo “L’arte del mangiar bene e la scienza in cucina“. An che se ignora il baccalà alla vicentina e quello mantecato alla veneziana. Questa la storia del prodotto più amato dai vicentini, la cui ricetta è variamente inter pretata, ma solo nei particolari: latte, ci polla, formaggio sono presenti in tutte le ricette. C’è chi discute sulla sardea, chi dice che non ci vuole uno spicchio d’aglio, chi non vuole il burro ma, a dire il vero, ci va dentro tanto di quel latte e formaggio che un poco di burro...che male può fare?

La “Venerabile Confraternita del bacalà alla vicentina” suggerisce una ricetta che è il frutto di studi e di comparazioni tra le numerose ricette in auge nei ristoranti e nelle trattorie più famose del Vicentino tra gli anni Trenta e Cinquanta, senza demo nizzare le varianti attualmente in servizio. • 1 kg di stoccafisso secco • 500 g di cipolle • 1 litro olio d’oliva extravergine • ½ litro di latte fresco • Poca farina bianca • 50 g di formaggio grana grattugiato • un ciuffo di prezzemolo tritato • sale e pepe RICETTA CLASSICA Ammollare lo stoccafisso, già ben battuto, in acqua fredda, cambiandola ogni 4 ore, per 2-3 giorni. Levare parte della pelle. Aprire il pesce per lungo, togliere la lisca e tutte le spine. Tagliarlo a pezzi quadrati, possibilmente uguali. Affettare finemente le cipolle; rosolarle in un tegamino con un bicchiere d’olio, ag giungere le acciughe dissalate, diliscate e tagliate a pezzetti; per ultimo, a fuoco spento, unire il prezzemolo tritato.

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