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L’esperta Tiziana Busato mio galateo per scettici”
Docente e cerimonialista dell’Ancep (Associazione nazionale cerimonialisti enti pubblici), Busato è convinta che “Sapere come si fa” tolga lo stress dell’improvvisazione, conferisca autorevolezza e regali la miglior prima impressione possibile. Per questo ha deciso di insegnare il galateo del terzo millennio attraverso corsi e pubblicazioni.
sarebbe stata in silenzio, non si sarebbe fatta notare. Sarebbe stata consapevole dei suoi limiti ma non li avrebbe mai imposti. Oggi invece nessuno ammette di essere ignorante, di non conoscere, non ci si pongono più le domande. Zygmunt Baumann diceva che nella società odierna ci sono troppi punti esclamativi e troppo pochi punti interrogativi. Voleva dire che le persone pretendono di sapere e non si pongono domande. Di conseguenza non si mettono in discussione e non imparano.
Lei insegna galateo a scuola. Come lo vivono i ragazzi?
Quando insegniamo ai giovani nel modo giusto loro capiscono. Spesso i giovani fanno cose non educate, come ad esempio fanno le ragazze quando si mettono con la pancia di fuori a scuola. Se le sgridiamo loro invocano il loro diritto a vestire come vogliono, ad essere libere, eccetera. Se invece noi spieghiamo che presentarsi vestite nel modo sbagliato all’interno di un contesto sbagliato è negativo per la loro imma- gine e che poi a causa dell’impressione negativa dovranno faticare il doppio per far riconoscere la validità delle loro idee e delle loro persone, allora lo capiscono. Ogni cosa che noi facciamo comunica, per cui tanto vale farlo bene.
Che ruolo hanno i genitori in questo?
Un ruolo fondamentale, ma spesso sono proprio i genitori a non rendersene conto, a non conoscere le regole e a non mettersi in discussione. Se i genitori dessero ai loro figli lo strumento del galateo sarebbe nel loro interesse per la vita.
Di recente ha fatto scalpore la protesta di un padre perché in un ristorante stellato hanno imposto al figlio di stare seduto. Il padre si è ribellato scatenando una protesta internazionale.
E ha sbagliato, significa che quel padre non conosce le regole. Nei luoghi pubblici ci sono precisi codici di comportamento e se porti un bambino glieli devi insegnare. Le regole vanno rispettate altrimenti si lede il rispetto del prossimo. Nel caso di un ristorante stellato, le corse del bambino avrebbero senz’altro infastidito, avrebbero tolto l’attenzione dal lavoro dello chef, dalla presentazione del piatto, dall’accostamento dei gusti, dal contesto generale di un ristorante questo che ha regole precise. Ma chi sei tu per farlo? Se non vuoi rispettare le regole sei tu che non ci devi andare, non pretendere che altri ti subiscano. Si tratta di avere il senso del limite, cosa che oggi manca sempre più spesso. Lei cosa propone?
Io penso che invece di protestare le persone dovrebbero fermarsi a riflettere. Oggi ci manca il buon senso che avevano i nostri anziani e questo succede in ogni ambito: nell’abbigliamento, nel mandare i figli a scuola, in cucina, al ristorante.
In questi giorni hanno incoronato Re Carlo d’Inghilterra. Abbiamo visto un cerimoniale impeccabile. In quel caso si parla di galateo?
In quel caso si tratta di un cerimoniale che ha una storia, una tradizione e un significato preciso. L’etichetta è una forma di comunicazione. Il cerimoniale inglese è il top e si chiama cerimoniale proprio perché si parla di cerimonie. Nel caso della celebrazione di un rito, la comunicazione è ancora più forte perché il rito rinforza il significato, dà ancora maggiore risalto al contenuto. C’è stato un piccolo intoppo nel cerimoniale, cioè quando il Re ha sorriso per l’emozione, al figlio erede e alla regina consorte. È stato uno strappo alla regola, impercettibile per noi, ma per chi è esperto di cerimoniale è stato evidente. L’incoronazione è stata vista da oltre mezzo mondo, non si tratta di una favola, è cultura vera. Le persone hanno guardato perché volevano sapere che cosa significano i vari elementi. Qual è il cerimoniale più antico?
Quello della Chiesa senza dubbio. La messa ripropone lo stesso cerimoniale ogni domenica: alzare il calice al cielo, unirsi in preghiera, stringere la mano. In chiesa tutti fanno la stessa cosa, ci si sente parte di un gruppo, di un credo e questo rinforza la religione, rinforza la Chiesa stessa. Così come la cerimonia di incoronazione rinforza la cara reale. Non a caso la monarchia inglese è La monarchia. Galateo e cerimoniale sono identificati con contesti snob, in realtà sono strumenti operativi. Per quanto riguarda le culture straniere come funziona?
Ogni cultura ha il suo protocollo ed è importante conoscerlo quando si ha a che fare con persone straniere, in particolar modo nell’ambito lavorativo. Oggi si parla di interculturalità e conoscere le usanze altrui è utile. In oriente le usanze sono molto diverse, al nord anche. Pretendere di fare a modo nostro può costare pericolosi incidenti diplomatici per questo i rappresentanti istituzionali devono studiare il galateo dei paesi che visitano. Dove e quando nacque il galateo?
In Veneto, a Nervesa della Battaglia, nel 1558, quando una famiglia doveva far sposare un figlio scapestrato che a causa del suo modo di fare era impresentabile. Chiamarono Monsignor Giovanni Della Casa il quale scrisse appunti destinati a Galeazzo. Il galateo nacque così. Ma c’è una cosa ancora più interessante che riguarda Schio e l’Alto vicentino…
Ci spieghi…
Il grande Alessandro Rossi, industriale, imprenditore, geniale uomo d’intuito, creò un villaggio per i lavoratori, con lavatori, bagni e tutto quel che serviva. Ma subito si rese conto che gli operai e le donne non erano educati. Gli uomini facevano i bisogni fuori dai bagni, le donne si accapiglia- vano ai lavatori, non avevano regole e non si sapevano comportare. Ebbe un’intuizione geniale: fece un inserto con regole nel catechismo e ogni domenica durante la messa il prete dava una regola da rispettare. Usò insomma il galateo per educare una società alla civiltà.
La stessa terza pagina del Corriere della Sera nacque per divulgare il galateo…
Certo. Quando Eugenio Torrelli Viollier lo fondò nel 1876, sua moglie Maria Antonietta Torriani, nata come la Marchesa Colombi, volle la terza pagina per sé. Da allora è dedicata alla cultura, ma all’inizio lei dava indicazioni e regole di comportamento ai borghesi che erano molto ricchi ma non educati e snobbati dall’aristocrazia. Ogni settimana pubblicava una regola di comportamento in pubblico. Lo stesso faceva la televisione nel servizio pubblico ai suoi esordi.
Come definirebbe lei il galateo?
Una zona di comfort. Il galateo insegna quelle regole che ci fanno vivere bene, che eliminano lo stress, perché conoscendole noi sappiamo comportarci in qualsiasi contesto pubblico. La gente predilige Giorgio Armani perché se una persona indossa Armani sa di essere a posto. Il galateo è uno strumento pratico che non deve essere esibito, ma usato. Allo stesso tempo non è una gabbia, lo si deve usare in pubblico non è necessario a casa. Dona regole che danno libertà assoluta, perché mettono al riparo da critiche e giudizi. Il galateo è quella cosa che permette sempre di fare un’ottima prima impressione. ◆
Attualità
Omar Dal Maso
Guai anche solo a osar parlare di sport surrogato del tennis, si rischia di venire impallinati da un esercito di seguaci della vibora o della bandeja, i colpi che chiunque pratica il padel da qualche tempo ha, se non imparato ad eseguire, quantomeno sentito nominare. Attenzione che tra Thiene e Schio e dintorni si contano oggi almeno un migliaio di potenziali “tiratori” più o meno scelti di palline gialle, simili - ma non identiche, variano pressione e circonferenza e di conseguenza il rimbalzo - alle “consorelle” del tennis. Un numero approssimativo ma non lontano dalla realtà dei fatti sommando gli iscritti dei club nati da queste parti nell’ultimo biennio e chi nei box trasparenti ci sta capitando per caso o per curiosità. E poi ci ritorna, magari, dopo aver sgranato i canali di Youtube per attingere a più skills possibili, talvolta saltando l’abc visto che si tratta – in apparenza – di una disciplina per tutti.
Sul piano del divertimento lo è, mentre per la pratica agonistica c’è da sudare e anche parecchio.
Vista poi la concorrenza in aumento. Così come “spuntano” istruttori e corsi, tornei, app, attrezzatura tecnica e kit da padellista con tutto un indotto intorno.
Lo dicono i numeri: crescono i praticanti ad ogni livello, di pari passo proliferano impianti in Italia e l’Alto vicentino non si esime da questa padelmania dilagante. T acciando chi la definiva, con scherno come “moda passeggera”.
Il caso-Spagna, in cui da ormai oltre 20 anni lo sport della pala (la racchetta) e della pelota spopola trasversalmente all’età, al