“Cercate
Anche gli islamici fanno i volontari alla Caritas
Le differenze di religione non sono un ostacolo per l’altruismo.
l’esempio che offre la Caritas di San Pietro, in cui operano come volontari Sara Rjali e Rashid Salhi: di religione islamica, ma ugualmente impegnati
parrocchiale del Duomo.
Una piazza da ritrovare e due piazzette da inventare
Stefano TomasoniBè, dai, tutto sommato l’anno scle dense è cominciato con una buo na notizia. Niente di straordinario, sia chiaro, però potrebbe essere un segnale interessante e incoraggiante, in particola re per il centro storico. Succede infatti che si annuncia prossima l’apertura in piazza Almerico o nelle immediate adiacenze (via de Pinedo e via Capitano Sella) di quattro nuovi esercizi commerciali: una gastro nomia-ristorante greco, un negozio di ali mentari specializzato in formaggi e salumi, un salone di bellezza e un locale di “pizza da asporto” (si dovrebbe dire così, non “piz zeria d’asporto”, perché a essere asportabile è la pizza, non la pizzeria, e perché la prepo sizione “da” si può elidere solo in rarissimi casi e certo non in questo).
Un’occasione per piazza Almerico
S’è detto, di per sè non è niente di tra scendentale: se qualcuno arrivato da fuo ri stesse leggendo queste righe potrebbe chiedersi: ma qui si scaldano per quattro negozi neanche particolarmente origina li? Ebbene sì. Chi conosce un po’ le dina miche scledensi e i punti critici del suo tessuto urbano sa bene che, con questi chiari di luna, l’apertura di quattro nego zi tipicamente “di vicinato” (non di mo da o intimo, oltretutto) nell’area oggi più
marginale del centro storico, ossia piazza Almerico/del Bao e dintorni, è una notizia. Lo è per il commercio locale, che ha biso gno come il pane di occasioni di rilancio, per riappropriarsi di spazi andati perduti e ricucire gli strappi che dieci anni di cri si hanno prodotto nelle maglie della rete commerciale cittadina. E lo è per il centro storico, che ha tante sfide aperte alle qua li pensare, ma che non può permettersi di lasciare per ultima, o di dare per persa già in partenza, quella legata a piazza Alme rico. Perché sarà pure un anonimo forti no di condomìni anni Sessanta, ma ha co munque una sua storia degna di rispetto e rappresenta una delle porte d’accesso al cuore cittadino: finché non riacquisterà funzioni e identità, il processo di rivita lizzazione del centro potrà anche (si spe ra) proseguire con successo tutt’intorno, ma non potrà mai dirsi completato. Sareb be come avere un calendario senza i me si di novembre e dicembre. Un bell’evviva, dunque, per l’annunciata apertura di que sti quattro negozi e un sincero “in bocca al lupo” agli intraprendenti titolari. Ma oltre a questa imminente cura ricosti tuente a vantaggio di piazza Almerico, è il sistema delle piazze e delle piazzette cit tadine nel suo complesso che meritereb be di essere messo sotto attenzione. Cer to, c’è in ballo il progetto che nei prossimi anni dovrebbe trasformare radicalmente
piazza Statuto, restituendole finalmente un ruolo di vera agorà a disposizione del la gente. Ma, a parte le piazze principali, ci sono anche altri punti del centro storico che presentano potenzialità di aggrega zione e socializzazione e che, con pochis sima spesa, potrebbero essere valorizzati e utilizzati meglio di quanto lo siano oggi. E in qualche caso potrebbero anche servi re per dare una forma di riconoscimento pubblico ad alcuni scledensi non più tra noi che meriterebbero di essere ricorda ti, così come è stato in via Pasubio per la piazzetta (che poi è rimasta peraltro un mini parcheggio) dedicata a suor Arlotti. Due casi, in particolare, ci vengono in mente.
La piazzetta oltre Galleria Duomo
vecchia “fissa”, ma continuiamo a pensa re che colui da cui è partita la scintilla ini ziale dell’attuale zona industriale, senza la quale la storia della nostra città nell’ulti mo mezzo secolo sarebe stata molto diver sa e ovviamente in peggio, meriterebbe di vedersi dedicare qualcosa. Ormai restano disponibili solo viuzze di nuova urbaniz zazione in periferia, francamente inade guate: almeno “piazzetta Gramola”, pur piccolina, è in pieno centro che più cen tro non si può.
La piazzetta davanti alla biblioteca
in
Lo Schiocco
250 chili
Il primo è quello della piazzetta che si apre dopo Galleria Duomo. È un angolino indubbiamente carino, su cui si affaccia no alcuni negozi di pregio e ben tre locali pubblici, ovvero una pasticceria, una ge lateria e una pizzeria. Ha già le dotazioni di partenza sufficienti, dunque, per essere una vera piazzetta; se i negozi del posto, o l’associazione “Cuore di Schio”, organiz zassero qui in estate dei piccoli spettaco li musicali o si inventassero delle picco le iniziative culturali, il centro storico si arricchirebbe con un nuovo punto di ri chiamo.
Degno già fin d’ora, secondo noi, di una intitolazione. Ad esempio all’ex sindaco Carlo Gramola. Torniamo su una nostra
Il secondo caso che abbiamo in mente è l’esterno della biblioteca civica. Qui lo spunto ce lo dà il prof. Giuseppe Piazza. A pagina 6 diamo conto di una sua propo sta che ha l’obiettivo meritorio di ricordare una figura di cui, a quasi 25 anni dalla sua scomparsa, si rischia di perdere la memo ria: Gianni Conforto, che della biblioteca civica fu per decenni anima e cuore, moto re primo e in un secondo periodo direttore, senza nulla togliere al prof. Renato Bortoli che ne fu a lungo primo e autorevole pre sidente. La proposta di Piazza è quella di co-intitolare la biblioteca a Conforto, af fiancando il suo nome a quello di Bortoli. L’idea di per sè forse risulterà poco pra ticabile, perché è difficile intitolare una biblioteca a due persone. Ma se non sarà possibile, ecco una nostra proposta alter nativa: intitolare a Conforto la piazzet ta all’esterno della biblioteca. D’accordo, è veramente mini, si fatica a chiamarla piazzetta, ma alcuni elementi di deco
“Schio siamo noi” è un gruppo di merite voli cittadini volontari che si danno da fa re per ripulire zone della città dai rifiuti abbandonati, rimediando all’inciviltà di tanti menefreghisti che gettano di tutto un po’ ovunque. Un impegno che sta dan do risultati lodevoli. Di recente, per esem pio, una giornata di bonifica in zona in dustriale, con la presenza tra i volontari anche dell’assessore all’ambiente Macu lan, ha portato alla raccolta di qualcosa come 250 chili di rifiuti. Da non credere. È evidente che abbiamo anche qui un problema non da poco con un buon nu mero di gente grezza e limitata, che ha cura e rispetto soltanto di casa propria, della sua auto e delle sue tasche, così che tutto quello che sta fuori da questi ambiti non lo riguarda. Ma poi arriva un mani polo di volontari che in poche ore racco glie 250 chili di immondizia abbandonata dai grezzi e si torna a credere nel fatto che alla fine vincano i buoni, mica i cattivi. Quelli di “Schio siamo noi”, non quelli di “Schifo siamo noi”. [S.T.]
ro dignitosi già ci sono (l’albero, la pan ca ad anello); anche soltanto liberando lo spazio dell’enorme posto auto a sinistra e usandolo per posizionare un “elemento panchina” tipo quello installato in piaz zetta 4 Novembre, si avrebbe la bozza di una piazzetta.
Intitolata a Conforto, tra l’altro, portereb be la biblioteca a cambiare il suo indiriz zo da “via Carducci” a, appunto, “piazzetta Gianni Conforto”. In questo modo, anche senza cointitolazione, quell’uomo sem plice e buono che alla biblioteca ha dato tutto tornerebbe a camminare a braccetto con la sua creatura. E se lo meriterebbe. ◆
Sara e Rashid fanno parte della rete di volontari che ogni settimana prepara le borse alimentari cui fanno ricorso centinaia di scledensi ogni anno. Non sono gli unici stranieri, ma fra i 35 volontari della Caritas del centro sono i soli di fede islamica.
Elia CucovazLe differenze di religione non sono un ostacolo per l’altruismo. È l’e sempio che ci offre la Caritas di San Pietro, in cui operano come volontari Sara Rjali e Rashid Salhi: di religione islamica, ma ugualmente impegnati nell’associazione parrocchiale del Duomo. Entrambi han no conosciuto la Caritas a causa delle loro stesse difficoltà economiche. Ma a fron te dell’aiuto ricevuto hanno deciso di ri cambiare mettendosi a disposizione della comunità. E oggi fanno parte della rete di volontari che ogni settimana preparano le borse alimentari a cui fanno ricorso cen tinaia e centinaia di scledensi ogni anno. Li abbiamo incontrati proprio negli spazi di vicolo della Giasara (da qualche mese sede, provvisoria, delle attività della Cari tas di San Pietro), durante la distribuzione di cibo settimanale.
«La nostra religione non proibisce a nes suno di fare del bene al prossimo, chiun que sia» sottolinea Rashid, 49 anni, pa dre di due figli. «Qualcuno mi ha chiesto perché lo faccio - gli fa eco Rjali, 27 anni, madre di una bimba -. Certo: è un’attivi tà faticosa. Ma per me è anche una forma di “restituzione” alla comunità dell’aiuto che a suo tempo ha ricevuto la mia fa miglia».
Quello della distribuzione del cibo è un lavoro duro che inizia alle 13 quando ar riva il camion con i generi alimenta ri freschi da scaricare e suddividere nel magazzino: pane, frutta, verdura, yogurt, carne, pane ed altri generi alimentari. Al le 16 poi comincia la distribuzione vera e propria, che prosegue fino alle 18. I bi sognosi devono presentare una tessera (consegnata previa verifica del loro stato di indigenza) che permette loro di ritirare i viveri secondo turnazioni mensili e in quantità proporzionale al numero di fa miliari. Un’organizzazione rigorosa, ma guidata soprattutto dalla voglia di fare del bene. Sicché nessuno di coloro che tende la mano viene mandato via senza almeno un piccolo aiuto.
Molti sono i cittadini di origine stranie ra, ma tanti anche gli italiani. Diverse provenienze e diverse religioni tanto fra chi viene aiutato, quanto fra chi aiuta. «Ci fa molto piacere sottolineare la presenza
Anche gli islamici fanno i volontari alla Caritas
Le differenze di religione non sono un ostacolo per l’altruismo. È l’esempio che offre la Caritas di San Pietro, in cui operano come volontari Sara Rjali e Rashid Salhi: di religione islamica, ma ugualmente impegnati nell’associazione parrocchiale del Duomo.
di persone che da assistite sono diventa ti volontari - fa presente Dinia Frigo, pre sidente della Caritas di San Pietro -. Sono persone che, anche se hanno poco, sanno condividere il loro tempo ed il loro impe gno con gli altri».
Sarah e Rachid non sono gli unici stra nieri, ma fra i 35 volontari della Caritas del centro sono i soli di religione mus sulmana.
«Per noi questo non ha importanza - con tinua Frigo -. Non chiediamo qual è la fede delle persone che aiutiamo e tanto meno di coloro che si offrono spontaneamente di darci una mano, come hanno fatto lo ro. Tanto più che si tratta di persone co stanti, precise, puntuali che svolgono un lavoro importante per noi». Contribuen do a un risultato ragguardevole. La Caritas di San Pietro lo scorso anno ha assistito quasi 500 persone bisognose per la parte di aiuti economici ed alimentari, distri buendo in tutto 30 mila kg di cibo, e oltre 200 nuclei familiari per la parte di vestia rio, con la consegna di circa 4.500 capi di abbigliamento.
Il viaggio di Rachid
«Sono partito dall’Algeria nel 1992 - spiega Rachid -. All’epoca nel mio Paese c’era la guerra civile e il futuro era incerto. Così ho deciso di partire per l’Italia, per trovare la possibilità di una vita migliore». La guer ra civile algerina, iniziata nel 1991, vede va contrapposto il governo del paese, una giunta militare insediatasi in seguito a un colpo di stato, a un fronte islamista arma to. Secondo l’Istituto per gli studi di politi ca internazionale il conflitto, durato oltre 10 anni, ha causato quasi 200 mila vittime. «Sono arrivato a Roma con un visto rego lare - continua - e in seguito mi sono spo stato a Napoli, Andria, Trani, fino ad arri vare, nel 1999, a Schio. È stato un amico a consigliarmi di trasferirmi qui, perché c’erano lavoro e opportunità». Così alla vigilia del nuovo millennio Rashid è ar rivato nell’Alto Vicentino. «Ho trovato la voro in una cooperativa, la NewCoop, dove svolgevo lavori di facchinaggio. Nel 2006 mi pareva di aver finalmente raggiunto la tranquillità per il futuro e ho fatto arriva re qui mia moglie dall’Algeria».
L’anno dopo è nata la loro prima figlia, che è sempre vissuta a Schio e che oggi fre quenta le medie in un istituto della cit tà. «Purtroppo nel 2009 la cooperativa ha chiuso e mi sono trovato senza lavoro». Complice la crisi, Salhi non è riuscito a trovare un altro impiego. «Dopo qualche tempo ho frequentato un corso professio nale di due mesi ad Arzignano per andare a lavorare in conceria. Al termine c’era già una ditta disposta ad assumermi». Ma invece di andare in fabbrica, è finito in ospedale. L’esposizione ai prodotti chimi ci, infatti, aveva fatto aggravare a tal pun to l’asma di cui è sempre stato affetto da costringerlo al ricovero. «Da allora non sono più riuscito a trovare un’occupazione stabile perché la mia ma lattia mi impedisce di fare tanti tipi di la vori. Ed è così che sono finito a chiedere aiuto prima ai Cappuccini e, dallo scorso anno, anche alla Caritas. Sono contento di poter aiutare gli altri: tutti ci ringraziano». La situazione già precaria è diventata ancor più seria a novembre con la nascita del se condo figlio. E oggi l’appartamento di due stanze che occupano non è più adatto per le esigenze della famiglia allargata. La fami glia di Rashid, oltre che dalla Caritas viene aiutata economicamente anche dai servizi sociali del Comune, con gli strumenti di sponibili, ad esempio il bonus per il riscal damento invernale. «Anche se quel che io vorrei davvero è un lavoro per dare una ca sa accogliente e un futuro ai miei figli».
La storia di Sara
Per Sara Rjali la partecipazione alla Cari tas prosegue ormai da molti anni. E si può dire che sia una questione… di famiglia. «Ho cominciato sette anni fa, per sostitu ire mio padre che era già volontario pri ma di me, ma che aveva dovuto trasferirsi a Milano per lavorare», racconta. La fa miglia di Sara è arrivata negli anni ‘80 a Schio e lei è nata in città e da allora è vis
suta sempre qui. «Ho conosciuto la Caritas negli anni della crisi, quando mio padre perse il lavoro e iniziò per noi un periodo di difficoltà».
La famiglia di Sara entrò così fra gli assisti ti della Caritas parrocchiale di San Pietro. «Continuo a prestare servizio come volon taria perché sento che aiutare i bisognosi è una cosa giusta. Vero che è un’associa zione cattolica, mentre io sono di religio ne mussulmana, ma quando si fa del bene queste differenze non contano nulla». Un valore, quello della carità, che Sara vuole trasmettere anche al figlio, che og gi ha un anno e mezzo. Ma non è detto che il suo futuro sarà a Schio.
«Io vorrei continuare a vivere qui, perché questo è il luogo dove ho sempre vissu to. Ma se le cose in Italia non dovessero cambiare è probabile che emigreremo di nuovo per cercare un paese con condizio ni più favorevoli». Ad esempio Sara, che la
vora in una trattoria nei fine settimana, e suo marito, metalmeccanico, pensano che non ci siano sufficienti aiuti per i neo ge nitori come loro. «E in particolare per una madre, non è facile continuare a lavorare – osserva -. Abbiamo già iniziato a pensare di trasferirci in Canada, dove abbiamo dei conoscenti».
Si vedrà. In attesa di conoscere cosa riser verà loro il destino, Sara e Rashid continua no a prestare servizio come volontari alla Caritas e a dare così il loro piccolo grande contributo a quel tessuto di solidarietà e accoglienza che costituisce uno dei punti di forza della città.Almeno fino a quando ci sarà ancora chi vuole impegnarsi in prima persona per mantenerlo in vita. ◆
Torna la “Variante verde”
C’è tempo fino al 20 marzo per presen tare richiesta al Comune per convertire aree edificabili in aree non edificabili. L’i niziativa, nota con il nome di “Variante vrde”, consente ai cittadini di risparmia re sull’Imu e al Comune di andare nella direzione delle legi regionali che favori scono la riduzione di consumo del suolo edificato.
I proprietari di aree edificabili posso no presentare la richiesta allo sportello QUICittadino; se accolta, l’area diventerà non edificabile e il proprietario potrà be neficiare di un forte sconto sull’Imu. En tro sessanta giorni, il Comune valuterà le domande e, se ritenute coerenti con il modello di sviluppo urbano di Schio, le accoglierà con un’apposita variante ur banistica.
Dal 2015, cioè da quando questa opportu nità è stata attivata, le domande perve nute sono 44; 38 accolte di cui 2 in mo do parziale, per una superficie a verde di quasi 93 mila metri quadri e 58.700 metri cubi di potenziale volume eliminato.
“Gianni Conforto in biblioteca è stato per decenni il factotum e poi il direttore pronto a ogni mansione. Perciò non sarebbe fuori luogo aggiungere anche il suo nome all’intitolazione della Bortoliana”
“SStefano Tomasonie esiste la biblioteca civi ca di Schio, il merito mag giore va attribuito a chi ha avuto l’idea e l’ha realizzata, cioè al promotore, il pro fessor Renato Bortoli; ma grande parte del merito nella fase esecutiva si deve anche all’umile Gianni Conforto, che non ha mai amato essere un protagonista. Bortoli era la mente, il teorico, il supervisore; Confor to era il factotum, il direttore pronto a ogni altra mansione che si rendesse necessaria. Perciò non sarebbe fuori luogo aggiungere anche il nome di Gianni Conforto all’inti tolazione della biblioteca che giustamente porta il nome di Renato Bortoli”.
A parlare è Giuseppe Piazza, ex docente del liceo “Tron”, organista del Duomo e criti co musicale, direttore del bollettino pa rocchiale di S.Pietro, giornalista e autore di libri. Insomma, un attento osservatore del mondo culturale scledense. Arriva dal la sua voce una proposta che punta a ricor dare, a 24 anni dalla scomparsa, la figura di un uomo che i Millennials non posso no conoscere, ma che è stato per decenni un punto di riferimento culturale e morale della città. Gianni Conforto, appunto.
“Negli anni ’50 ero studente al liceo classi co di Schio – ricorda Piazza -. Il prof. Borto li, mio insegnante d’italiano, ebbe la bril lante idea di promuovere una biblioteca civica a Schio. Nel 1955 fu aperta la prima sede in via Marconi, entro pochi e piccoli locali nel mezzanino del palazzo Astra. Ri cordo la cerimonia d’inaugurazione e gli scritti ironici, poco generosi, verso la bella iniziativa di Bortoli da parte di Giambat tista Milani, con il quale avevo iniziato la collaborazione giornalistica sul quotidia no cattolico ‘L’Avvenire d’Italia’. Cercai di esprimere timidamente la mia opinione positiva in proposito, ma Milani mi liqui dò con poche parole dicendo che a lui pia ceva scherzare e usare l’ironia. C’era anche Gianni Conforto, ma non aveva il titolo per dirigere una biblioteca, in quanto la guerra gli aveva impedito di continuare gli studi all’Università di Venezia. Dopo una breve esperienza di segretario nella scuola superiore, fu assunto come biblio tecario, ma di fatto svolgeva le funzioni anche del direttore Bortoli, impegnato nell’insegnamento al liceo”.
Conforto - che durante la guerra aveva fatto parte del corpo di spedizione dell’Ar
“Intitoliamo la biblioteca anche a Gianni Conforto”
Ecco la proposta che arriva dal prof. Giuseppe Piazza, per riconoscere il valore e il ruolo svolto per decenni nel panorama culturale scledense dall’ex direttore della biblioteca e grande appassionato di montagna.
mir in Russia - si era poi formato alla bi blioteca Bertoliana di Vicenza, dove aveva studiato e testato nella pratica la biblio teconomia, la tecnica della catalogazione, la classificazione decimale Dewey, che Bortoli aveva già introdotto nel sistema bibliotecario scledense.
“Successivamente divenne lui stesso il di rettore della biblioteca di Schio – ricorda Giuseppe Piazza - e organizzò il trasferi mento dai locali troppo piccoli di via Mar coni a quelli ben più spaziosi di via Car ducci, dove prima era ubicata la Cassa di Risparmio, la cui nuova sede era diventata il palazzo costruito al posto del mercato co perto in piazzetta IV novembre. Conforto era già in pensione quando poi la biblioteca fu spostata nella sede attuale, nello storico edificio dell’antico Ospedale Baratto”.
Chi ha conosciuto Gianni Conforto sape va bene che la sua vita era divisa tra due passioni, alle quali dedicava di fatto tutto il suo tempo: la biblioteca, appunto, e la montagna.
“Erano i suoi due amori: prima la monta gna (era un camminatore provetto e co nosceva ogni sentiero, ogni sasso del Pa
subio, e di tutte le montagne della zona) e poi la biblioteca – dice Piazza -. Abitava in via Caussetta, solo di notte, almeno così penso, poiché risiedeva abitualmente in biblioteca o nella sede del Cai”.
E anche lì, nella sede del Club alpino ita liano, in via Rossi, fu lui – e chi sennò? - a dare dignità di biblioteca, con cataloga zione professionale, all’abbondante ma teriale librario sulla montagna custodito dall’associazione. Tant’è che oggi in sede Cai la biblioteca interna gli è stata dove rosamente intitolata.
“Era un cliente fisso della Lanterna Ros sa in via Milano – continuano i ricordi di Giuseppe Piazza -. Lì lo incontravo quan do mi capitava di consumare un pasto in quel ristorante di fronte alla mia abitazio ne: si conversava in modo libero e piace vole su argomenti di ogni genere. Ho sem pre avuto da lui consigli assennati e utili. La cordiale amicizia era continuata anche quando fece parte dell’Asges, l’associazio ne dei giornalisti e scrittori scledensi. Era una persona saggia, semplice, informata, leale, dotata di raro equilibrio”.
Verissimo. E, aggiungiamo noi, era una delle persone più trasparenti e intellet tualmente oneste che si potesse incon trare. Doti innate, ma affinate anche da quella sua appartenenza alla montagna e dal suo spirito profondo, qualcosa che ti pulisce dentro giorno dopo giorno. Sapeva inquadrare le persone, ne coglieva l’essen za senza mai dare di nessuno giudizi criti ci in presenza d’altri. Insomma, Conforto è stato un uomo che sicuramente, al redde rationem, è arrivato sereno, con animo li bero e a braccia aperte. Che, alla fine, è il vero traguardo della vita. ◆
Negli anni Cinquanta e Ses santa la ricerca dell’uranio divenne una delle attività di punta dell’Eni, un po’ in tutta Italia. Un gruppo ricerche Somiren di Milano, azienda dipendente dall’Agip Nucle are dell’Eni, arrivò 62 anni fa anche in Val Leogra.
“Cercate l’uranio a Schio”
Nel 1958, proprio in questi giorni di fine gennaio, una ventina di ingegneri e geologi dell’Eni arrivò in città, su segnalazione di un professore dell’Università di Pisa, per iniziare nei dintorni le ricerche di un possibile giacimento di uranio. Che non fu mai trovato.
“AStefano Tomasonindate a cercare a Schio, nell’alta provincia di Vi cenza: lì potrebbe esserci un buon giaci mento di uranio”. Dev’essere stata grosso modo questa la “dritta” arrivata sul finire del 1957 a Roma, agli ingegneri dell’Agip Nucleare, la società dell’Eni costituita l’anno prima per coordinare le attività dell’ente di Enrico Mattei nel settore ap punto dell’energia nucleare.
La ricerca dell’uranio, in quegli anni, era diventata a tutti gli effetti una delle atti vità di punta dell’Eni, proprio alla luce del crescente interesse verso la produzione di energia atomica. L’uranio è un elemento che si trova nella crosta terrestre, presente in basse concentrazioni in gran parte del le rocce, dei terreni e delle acque. Là dove la concentrazione è superiore, può (o me glio, poteva all’epoca) essere conveniente avviare un’attività di estrazione, ovvia mente per utilizzarlo nella produzione di energia nucleare.
A partire dagli anni Cinquanta e ancora più negli anni Sessanta vennero fatte ri cerche di giacimenti di uranio un po’ in tutta Italia. Il giacimento più significati vo fu individuato nel sottosuolo di Novaz za, una frazione del comune di Valgoglio, a nord di Bergamo. Aveva dimensioni ri dotte e, di fatto, non entrò mai in attività.
Ma all’epoca gli esperti di Agip Nucleare misero gli occhi anche su Schio, a quanto pare su indicazione arrivata dall’universi tà di Pisa. Ecco dunque che 62 anni fa, pro prio in questi giorni di fine gennaio, una
nutrita équipe di geologi dell’Eni arrivò in riva al Leogra per iniziare le ricerche nei dintorni della città. A dare notizia del sin golare arrivo fu il Giornale di Vicenza in un breve articolo datato 15 gennaio 1958. “C’è o non c’è l’uranio a Schio? - esordisce l’anonimo autore del pezzo -. Questa è la domanda che la popolazione scledense e gli abitanti di alcuni paesetti circonvicini, con particolare riguardo a quelli della zo na a nord est, si pongono da alcuni giorni. La domanda è giustificata dalle visite ef fettuate in questa zona da un gruppo di geologi e di tecnici che, muniti di contato re Geiger Muller, vanno compiendo delle ricerche sui terreni scledensi. Sono arri vati infatti da qualche giorno a Schio, dove hanno preso alloggio all’albergo Stadio in via Riboli, una ventina fra geologi e tec nici guidati dal prof. Giorgio Cassinati di Milano. Fanno parte del gruppo ricerche Somiren di Milano, azienda dipendente dall’Agip Nucleare dell’Eni. I geologi so no stati indirizzati nella nostra zona dal prof. Giorgio Marinelli, incaricato di bio chimica all’Università di Pisa, allo scopo di effettuare delle ricerche nel sottosuolo scledense. Infatti il nostro sottosuolo, che pare risalga al periodo che va dal paleozoi co superiore al mesozoico inferiore, offre fondate possibilità che vi siano dei giaci menti di uranio”.
In quella prima fase si trattava soltanto di “puntate esplorative”, con lo scopo di raccogliere elementi utili a stendere un piano di ricerca preciso e indirizzato ver so specifici territori; esauriti i sondaggi, le ricerche preliminari e le verifiche, sareb
bero eventualmente iniziate le ricerche vere e proprie.
“I geologi si fermeranno a Schio per un pe riodo di tempo imprecisato, che logicamen te sarà in relazione con l’andamento dei ri lievi” concludeva l’articolo del giornale.
Non si sa quanto poi gli esperti mandati dall’Eni/Agip Nucleare abbiano realmente soggiornato in città e sondato il territorio circostante alla ricerca di possibili tracce di uranio. Di certo non si arrivò mai alla seconda fase, quella delle ricerche “vere e proprie”, evidentemente perché la fase esplorativa si era conclusa senza grande successo.
Di lì a trent’anni, poi, il referendum del 1987 avrebbe messo la pietra tombale sul nucleare in Italia, decretando anche la fi ne di ogni ulteriore velleità di ricerca di uranio nel paese. La domanda iniziale del quotidiano locale, dunque, rimane tutt’og gi senza risposta certa: c’è o non c’è l’ura nio a Schio?
Fili e lampioni
“Cucù…bàu sète”: pare proprio che gio chino a nascondino questi lampioni della strada che porta da Piane alla Località Ca pitello, verso il Belvedere. Quasi completa mente nascosti dal fogliame, e d’inverno ce n’è pure pochino, non si capisce bene cosa illuminino. Che dire poi delle liane pendenti dai fili, sempre lì vicino? Meglio dare una ripulita. E che luce sia. [M.D.Z.
Ci sono volute quasi 2000 ore di lavoro da parte del Gruppo Volontari Turbine Schio per completare l’intervento. “Inizialmente l’ipotesi era quella di tormare a farle funzionare. Poi abbiamo dovuto desistere: lo stato del macchinario, i costi, la potenza limitata che si sarebbe generata dall’impianto non hanno permesso di proseguire su quella strada”.
Le turbine sono diventate un museo
Camilla MantellaDalla fine dello scorso anno al Lanificio Conte fa mostra di sé un’area espositiva dedicata alle antiche turbine dello stabilimento, che servivano per la produzione dell’energia indispen sabile per far funzionare i macchinari dell’opificio. Un allestimento con reperti accuratamente restaurati, visitabile tutti i sabati dalle 15 alle 19 e le domeniche dalle 15 alle 19, con la possibilità, in entrambe le giornate, di partecipare a una visita guida ta gratuita alle ore 17. Ridare vita a turbine così fortemente de teriorate è stata una vera impresa portata avanti, sotto il coordinamento dell’Ufficio Tecnico Comunale, dal Gruppo Volontari Turbine Schio, formato da ex dipendenti della De Pretto Escher Wyss (oggi Andri tz Hydro), che solitamente offre la propria disponibilità e il proprio tempo ritagliato alla pensione per rimettere in sesto im pianti fermi da tempo e donarli, attraver so l’Operazione Mato Grosso, ai paesi del Terzo Mondo.
Abbiamo approfondito la storia di que sto recupero con i suoi protagonisti, chie dendoci anche se sarebbe stata ipotizza bile una diversa destinazione d’uso delle turbine: e se, al posto di metterle in una sala espositiva, le si fosse fatte di nuovo funzionare per produrre energia elettrica pulita?
Dopo varie ipotesi e valutazioni, tra cui quella di rimettere in funzione lo storico impianto per la produzione di energia, si è optato per riconvertire all’uso didattico-museale l’ex centralina idroelettrica dello storico lanificio.
Un restauro impegnativo
“Siamo stati coinvolti nel progetto diretta mente dal Comune di Schio - spiega l’in gegner Aldo Cateni, referente del GVTS -. Inizialmente si era pensato anche a un recupero della centrale idroelettrica Um berto I nell’area ex Lanerossi, ma in un se condo momento si è preferito concentrare le energie sull’ex Lanificio Conte”.
Il restauro delle turbine si inserisce nel più ampio quadro di recupero del Lanifi cio iniziato a partire dal 2005.
“Le antiche turbine erano visibili solo at traverso il solaio di vetro del piano rialza to, mentre i generatori di corrente si in travedevano dalla vetrata fissa realizzata all’interno della galleria pedonale rica vata durante il restauro degli edifici che permette il passaggio all’interno del vec chio stabilimento - dice l’architetto Ales sandra Nicoli, che ha seguito il recupero per conto dell’Ufficio edifici storici, Servi zio Manutenzioni del Settore Lavori Pub blici del Comune -. Dopo varie ipotesi, tra cui la valutazione di un possibile riuso a scopo di produzione di energia, si è opta to per riconvertire all’uso didattico muse ale l’ex centralina idroelettrica dello sto
rico lanificio. Abbiamo voluto consentire un’ampia accessibilità ai due livelli della centralina, e, grazie all’integrazione della parte impiantistica e delle installazioni multimediali di tipo museale, si è potu to proporre un’esperienza interattiva per far capire l’originario funzionamento del la centralina nelle sue varie componenti”.
“Il restauro è stato molto impegnativoracconta l’ing. Cateni -. Abbiamo iniziato a occuparcene a metà 2017 e i lavori si sono protratti per tutto il 2018. Lo smontaggio del macchinario negli ambienti della cen trale, per poi trasportarne i pezzi presso i locali messi a disposizione dall’Andritz Hydro, è stato molto delicato. Fortunata mente abbiamo potuto contare sulla ven tina di volontari del nostro gruppo che, grazie alla loro lunga esperienza, hanno ripulito e riassemblato le varie compo nenti. Ci sono volute circa 130 giornate di lavoro, quasi 2000 ore, per terminare l’at tività: una bella sfida, dato che le turbine si trovavano in uno stato di conservazio ne molto precario. Prendere parte a questo progetto è stato stimolante, sia per l’inte resse tecnico del lavorare su turbine così antiche (sui macchinari era impressa la
data 1906), sia perché ci ha permesso di sentirci utili alla comunità, intento che anima ogni progetto del nostro Gruppo”. “Oltre al recupero delle turbine è stato svolto anche un importante lavoro per rendere visitabili i due vani tecnici dove sono collocate, inizialmente accessibi li solo dall’interno per interventi di ma nutenzione - aggiunge l’architetto Nicoli -. Abbiamo fatto una serie di interven ti strutturali, impiantistici e di abbatti mento delle barriere architettorniche, cercando di rispettare quanto più possi bile le caratteristiche del fabbricato e la destinazione d’uso museale, in accordo con la Soprintendenza per i Beni Cultu rali. L’esiguità degli spazi a disposizione, la collocazione del cantiere nella galleria pedonale e la vicinanza con gli eserci zi commerciali hanno reso complessa la direzione dei lavori, ma grazie alla colla borazione di tutte le attività della galleria e alla competenza degli attori coinvolti è stato possibile completare gli interventi previsti”.
Da motore del Lanificio a esposizione interattiva
Oggi “Le Turbine” fanno mostra di sé ai visitatori del weekend, ma un tempo era no il vero e proprio motore del lanificio. “Ogni centrale idroelettrica è costituita da un’opera di captazione delle acque, da un’opera di trasporto delle acque e infine da macchinari che trasformano l’energia idraulica in energia meccanica e quest’ul tima in elettrica - spiega l’architetto Nico li -. Nel caso della centralina dell’ex Lanifi cio Conte, l’opera di captazione e trasporto delle acque è avvenuta sfruttando la pre senza della Roggia Maestra. L’impianto è costituito da due vasche che costituiscono due camere libere in cui sono inserite due turbine del tipo Francis adatte a salti d’ac qua medi, con dislivelli né troppo alti né
troppo bassi. Di fatto l’acqua della Roggia entra nelle vasche e viene controllata at traverso un regolatore meccanico del flus so d’acqua e un sistema di paratoie. Quan do l’acqua allaga le vasche, la turbina e la girante contenuta in ogni camera libera si trovano immerse in acqua corrente. L’e nergia meccanica, prodotta dalle pale della turbina attraverso il movimento dell’acqua, viene trasmessa al generatore di corrente situato nella stanza retrostante, mediante una catena che collega l’albero della giran te e l’albero del generatore. A questo punto i poli magnetici che costituiscono il rotore interno al generatore, grazie al movimen to rotatorio della turbina a cui sono colle gati, creano un campo magnetico rotante. All’esterno del generatore una corona di avvolgimenti conduttori genera all’inter no la corrente elettrica: con questo sistema si trasforma l’energia meccanica prodotta dall’acqua corrente in energia elettroma gnetica e quindi in elettricità”.
“Perché non inserire anche una turbina moderna?”
Sulle turbine dell’ex lanificio Conte c’è anche chi si è chiesto in questi mesi – ne ac cenniamo nell’articolo – perché non potessero essere recuperate per tornare a produr re energia, con un intervento magari simile a quello dell’ex lanificio Cazzola che sfrut ta ugualmente l’acqua della roggia. A quanto detto dai tecnici che sono intervenuti al Conte, la risposta è che in questo caso le turbine non potevano essere rimesse in funzione a meno di sostituire molti pezzi, il che rendeva l’intervento antieconomico. C’è però anche chi sostiene che sarebbe tuttora possibile installare al Conte un im pianto di nuova realizzazione per la produzione di energia elettrica tramite turbine. Si tratta di un ingegnere del territorio che, chiedendo di non essere citato con il no me, avanza una sua idea.
“Cosa impedisce di destinare una parte dello spazio al Museo Conte all’inserimento di una moderna turbina? – si chiede il professionista -. Oltretutto sarebbe un ottimo connubio tra antico e moderno. Non si dica che farebbe rumore o sarebbe poco poten te o, peggio, che non c’è acqua, perché nei fatti non pare proprio e con le tecniche di costruzione che ci sono oggi molti ostacoli sarebbero superati senza tante difficoltà. Sarebbe certo una goccia in mezzo al mare, ma tutti gli impianti fotovoltaici da un misero KW nelle nuove abitazioni cosa sono? Tante gocce fanno un secchio, sono tutte opportunità per ridurre gli inquinanti in atmosfera”.
“Per la musealizzazione dello spazio ci sia mo rivolti allo Studio Cremasco, che ha curato sia la parte infografica sia la parte relativa ai video trimensionali – aggiunge Stefania Torresan dell’Ufficio Promozione del Territorio del Comune . Raccontare co me avviene la produzione di energia elet trica attraverso le turbine non è così scon tato, proprio perché è un aspetto molto tecnico e specifico: ecco quindi la volontà di riprodurre in modo ‘attraente’ l’ingres so dell’acqua nel vano turbine. È stata rea lizzata una proiezione che simula l’acqua della Roggia che entra nel camera delle turbine”.
E se invece le turbine fossero state rimesse in moto?
Rimane da chiarire un aspetto, però: per ché si sia scelta la musealizzazione e non si sia cercato di far tornare le turbine alla loro funzione originaria, quella di produ zione di corrente. “Inizialmente l’ipotesi era proprio quella di farle funzionare - ri sponde Cateni -. Poi abbiamo dovuto desi stere: lo stato del macchinario, l’alto costo economico, la potenza limitata che si sa rebbe generata dall’impianto non hanno permesso di proseguire nel progetto ori ginario”.
In ogni caso, lungo la Roggia ci sono altre turbine che vengono utilizzate per la pro duzione di energia idroelettrica e non è escluso che in futuro ne vengano recupe rate di ulteriori, come la “Umberto I” della Fabbrica Alta, per destinarle alla genera zione di energia green.
Al Lanificio Cazzola, ad esempio, la Pro ton Engineering di Santorso ha rimesso in funzione l’antica centrale: probabilmente non si riusciranno a ottenere grandi po tenze energetiche, ma si tratta pur sempre di energia pulita, spesso incentivata con finanziamenti statali. Un’energia legata al nostro territorio, con una simbologia for te, come ben racconta l’esposizione al La nificio Conte.
C’è anche uno scledense dietro la app che dà la caccia a sconti e coupon
La startup ha vinto un premio internazionale promosso dall’Agenzia Spaziale Europea, del valore di 100 mila euro. Permetterà di continuare a sperimentare nello sviluppo di applicazioni che sfruttano la geolocalizzazione europea GSA per offrire servizi ai consumatori.
Giovanni Spiller, under 30 scledense, è tra i quattro fondatori di una start-up che ha creato Argeo, una app con la quale dare la caccia a buoni, coupon e prodotti in regalo, da cercare per le strade della città e “catturare” con lo smartphone.
Camilla MantellaGiovanni Spiller è nato a Schio 29 anni fa e si è diplomato al liceo scientifico Tron. Laureato in Giuri sprudenza all’Università Cattolica di Mi lano, ha da poco vinto, assieme al team di ragazzi con cui ha fondato la start-up Fimesp, una competizione internazio nale partecipata da centinaia di aziende e promossa dall’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea. Il premio, di 100 mila euro, per metterà alla loro impresa di continuare a sperimentare nel campo dello sviluppo di applicazioni che sfruttano la geolocalizza zione europea GSA per offrire nuovi servi zi ai consumatori.
Abbiamo raggiunto Giovanni, che ora vi ve a Milano, per farci raccontare come si diventa uno startupper, cosa significa avviare e sostenere progetti di innova zione tecnologica e quali sono i suoi con sigli per i ragazzi che, al termine delle scuole superiori, sono chiamati a com piere delle scelte per costruire il proprio futuro.
- Giovanni, come nasce una start-up?
“La nostra avventura è iniziata nell’esta te del 2017. Allora stavo studiando per l’e same di stato da avvocato. Era l’estate di Pokemon-Go: l’applicazione che consen tiva di “catturare”, grazie alla tecnologia della realtà aumentata, i famosi protago nisti del cartone animato. Un vero e pro prio boom che teneva incollati agli smar tphone centinaia di ragazzi. Assieme a Francesco Pio Fiorito, Massimiliano Me neghello e Enrico Lucio Piscopiello, amici di lunga data, ci è venuta l’idea di provare a declinare Pokemon-Go usando la realtà aumentata per catturare non personaggi di un gioco, ma sconti e coupon da poter riscattare nei negozi.
Pian piano l’idea si è fatta sempre più strutturata: avremmo unito il divertimen to del digitale con la possibilità di fare ac quisti negli esercizi commerciali, offrendo a locali, negozi, grandi catene l’opportunità di farsi pubblicità in modo nuovo. France
sco e Massimiliano si sarebbero occupati dello sviluppo del prodotto e del marke ting, io della parte amministrativa e legale, Enrico avrebbe sviluppato il software: era nata Fimesp, la start-up che ha dato vita ad Argeo, la nostra applicazione”.
- Come siete riusciti a trasformare la vostra idea in una società?
“I primi otto mesi di attività sono stati tutti di lavoro nel tempo libero: ci trova vamo la sera e nei weekend per sviluppare il nostro progetto e nel frattempo conti nuavamo a portare avanti i nostri percor si professionali precedenti per poterci garantire delle entrate. La vera svolta è av venuta nell’estate del 2018, quando siamo riusciti a pubblicare una prima versione dell’applicazione: un prototipo da perfe zionare, ma funzionante. Abbiamo svolto alcuni test con delle aziende che hanno accettato di collaborare con noi e abbiamo invitato tutte le persone di Milano che co noscevamo a provare l’applicazione. I ri
sultati sono stati davvero soddisfacenti: abbiamo così iniziato a cercare finanzia tori, attirando l’attenzione di due fondi di finanziamento italiani e di un incubatore (programma progettato per accelerare lo sviluppo delle imprese innovative, ndr) di Lisbona, in Portogallo.
Nel frattempo abbiamo cominciato a pro porci alle catene commerciali e ai nego zi, a presentare la nostra realtà in alcune fiere internazionali – come il Mobile Wor ld Congress di Barcellona, a cui abbiamo partecipato nel febbraio 2019 – e a parteci pare a una serie di concorsi, fino alla vitto ria del contest MyGalileoApp a Praga alla fine dello scorso anno”.
- Quali sono le principali difficoltà che uno stratupper si trova ad affrontare? Quali, inve ce, le maggiori soddisfazioni?
“La cosa più sorprendente è che ciò che all’inizio immaginavamo sarebbe stato difficile in realtà si è dimostrato più sem plice del previsto, mentre abbiamo incon trato ostacoli che non avevamo minima mente calcolato. Costituire la società è stato semplice: mi aspettavo un percorso burocratico molto più articolato, ma in re altà si è rivelato più veloce di ciò che pen savo.
Difficile, invece, è riuscire a spiegare la no stra tecnologia ai potenziali clienti, che spesso confondono la realtà aumentata con la realtà virtuale. Ci troviamo sovente di fronte ad aziende molto strutturate, che però sono ancora poco esperte nel mon do digitale: non è facile dover convincere della bontà della propria idea chi non ti conosce e non conosce ciò che stai propo nendo, ma questo è anche un aspetto mol to stimolante del lavoro.
Ho iniziato a seguire anche la parte di svi luppo commerciale. I riscontri dei clienti
stanno facendo crescere molto Argeo: ab biamo imparato ad avere un approccio più pratico, a confrontarci mostrando subito il prodotto, ad essere flessibili alle richie ste del mercato. Tutto dipende da noi: è meraviglioso, perché siamo giovani, non abbiamo responsabili a cui rendere con to, ma allo stesso tempo è molto sfidante perché non sai mai se stai facendo giusto, ammesso che un “giusto” esista in profes sioni così nuove, dove non esistono per corsi precedentemente battuti da altri da ripercorrere”.
- Da Schio a Milano sola andata, passando da Giurisprudenza all’alta tecnologia: un bel salto. “Il mio è stato un percorso con dei salti notevoli, ma rifarei tutto. Gli studi uma nistici mi hanno insegnato a essere velo ce nelle associazioni mentali e rigoroso nelle argomentazioni e nei ragionamen ti: quando ho a che fare con gruppi di tec nici informatici non mi sento fuori posto. Quanto a Milano, penso sinceramente sia la miglior città italiana dove vivere in que sto momento: non solo dal punto di vista professionale, per le moltissime opportu nità che vengono offerte al mondo in cui lavoro, ma anche dal punto di vista perso nale, perché è una città davvero europea, piena di eventi, con un sistema di traspor ti efficente e attenta ai suoi abitanti. Se dovessi dare un consiglio a un ragazzo o a una ragazza che si accinge a terminare il liceo, nella Schio dove ho trascorso l’in fanzia e l’adolescenza, gli direi sicuramen te di non preoccuparsi, di studiare ciò che sente più affine: ciò che conta davvero è essere pronti, avere una buona attitudine al lavoro ed essere capaci di sbagliare. Sba gliare tanto e in fretta, regalandosi la pos sibilità di esplorare percorsi che non ci si sarebbe mai immaginati di poter fare”. ◆
La Giornata della Memoria
In città è stata particolarmente senti ta e celebrata, quest’anno, la Giornata della Memoria: alcuni importanti in contri hanno occupato l’ultimo fine setti mana di gennaio.
Venerdì 24, a Palazzo Toaldi Capra, lo scrittore e cultore della Resistenza Ugo De Grandis ha ricordato il 75° anniversa rio della deportazione dei partigiani scle densi nel corso di una serata dal titolo “A Mauthausen c’era la neve”. Come sempre, molto partecipato il suo intervento, ac compagnato dalla chitarra di Ugo Reste glian e dalla voce di Roberta Tonellotto. Dedicata in particolare ai ragazzi delle scuole superiori la mattinata del 24 all’A stra e la serata del 25 al Civico: il Comples so Strumentale Città di Schio, diretto dal maestro Lombardo, in collaborazione con il Comune, ha portato la testimonianza di Daniel Chanoch, uno degli ultimi soprav
vissuti ai campi di sterminio, bambino ad Auschwitz, Dachau e Mauthausen. “Infan zia rubata” è stato un toccante momento che non verrà facilmente dimenticato da chi era presente. Efficaci nel sottolineare alcuni momenti intensi, le musiche ese guite al pianoforte da Filiberto Zanella. Il Centro di Cultura “Cardinale Elia Dalla Costa”, con il Comune, l’associazione Lu dus Soni e l’AIED (Associazione Naziona le Ex Deportati), ha organizzato per il 26 pomeriggio, sempre al Teatro Civico, una Giornata della Memoria insolita, dando spazio alla storia di Eva Maria Levy-Segré, protagonista del libro di Anna Lavatelli “Il violino di Auschwitz”. Eva, promettente violinista, morì suicida a Birkenau e il suo violino, riportato in Italia dal fratello che lo fece riparare da un liutaio, fu acquistato dall’ing. Carlo Alberto Carutti, che lo pre sta in particolari occasioni, aiutando con
Sempre più “strisce” illuminate
Aumentano in città i passaggi pedonali illuminati con le nuove tecnologie a led, che consentono di mettere più in sicurez za gli attraversamenti stradali, specie nei punti più a rischio.
Il piano di progressivo adeguamento è iniziato nel 2016 e in tre anni ha porta to ad adeguare un totale di 23 passaggi pedonali. A questi si è aggiunto nel 2019 un altro “pacchetto” di strisce meritevoli di attenzione: in via Pio X fronte farma cia e nei pressi dell’incrocio di via Europa Unita, in via Venezia all’incrocio con via Milano, in via Roma fronte chiesa San Benedetto, in via Veneto in zona indu striale, in via Maraschin (uno in pros simità di via XX Settembre e altri due all’incrocio con via Cardinal Dalla Costa), in via Venezia all’incrocio della rotatoria con via Vicenza, in via Baccarini all’in crocio della rotatoria con via Vicenza, in via Cristoforo Magrè all’incrocio con via Parafitta, in viale Roma fronte “gelataro” e all’incrocio con via Campo Sportivo, in via Campo sportivo all’incrocio con viale Roma e infine in via Rovereto fronte ca serma Cella.
Quest’anno il Comune ha in programma altri interventi.
“L’attenzione ai pedoni è un tassello che contribuisce a rendere più fruibili gli spostamenti a piedi, garantendo, come in questo caso, la sicurezza anche in ora rio notturno o di scarsa visibilità – dice il sindaco Valter Orsi -. Le risorse per que sto intervento arrivano dalle sanzioni elevate dalla Polizia locale: con questi in troiti il Comune non fa cassa ma li rein veste completamente”.
la musica a non dimenticare anni bui del la Storia. Al Civico, presente anche il no vantenne Carutti, il violino di Auschwitz è stato suonato in modo struggente da Ales sandra Sonia Romano; racconti e brani di musica classica e yiddish, tra i preferiti di Eva Maria, sono stati accompagnati dalle letture di Federica Zanella e Davide Pro sdocimi, attori di Schio Teatro Ottanta. Pa role, musiche e immagini hanno toccato le corde più intime ricordando la tragedia della Shoah, nella convinzione che il tem po passa, i superstiti se ne vanno uno do po l’altro, ma la memoria va tenuta viva, vivissima, con ogni mezzo che giustifichi il fine ultimo: non ripetere tragedie che con l’umanità nulla hanno da spartire. Altre iniziative collaterali sono state una mostra fotografica di Paolo Tomiello al To aldi Capra, con immagini scattate in occa sione di una visita ad Auschwitz, Birkenau, Mauthausen, e uno spettacolo di danze tra dizionali ebraiche ai Salesiani: l’associazio ne “La Farandola” di Vicenza ha messo in scena “Shanà Tovà! Buon anno!”. ◆ [M.D.Z.]
Artigiani coraggiosi
Tessari è appena tornato da Parigi, dove ha esposto alla fiera Maison&Objet. “Di ritor nare in ufficio per ora non se ne parla proprio”.
Da ingegnere a falegname
Mirella Dal ZottoNicola Tessari, falegname al Tretto, crea splendidi mobili e oggetti d’arredo che stanno avendo successo a li vello internazionale. È appena tornato da Parigi, dove ha esposto a “Maison&Objet”, una fiera particolarmente prestigiosa, e fi no al 2 febbraio è presente anche a “A&D, Artigianato e Design”, una mostra diffusa organizzata da CNA a Vicenza.
La sua è una storia professionale che si in treccia con precise scelte di vita. Laureato in ingegneria elettronica, ha lavorato per una quindicina d’anni in più industrie dell’Alto Vicentino, ricoprendo posizioni in ambito tecnico-commerciale. La vocazione per la falegnameria è stata tardiva, ma la spinta data dalla possibilità di trasformare una passione in un lavoro è stata determinan te, grazie anche all’appoggio della moglie. “Ho sempre considerato un privilegio divertirsi lavorando - dice -. È una mol la incredibile affrontare le difficoltà, co munque presenti in qualsiasi attività professionale, con lo spirito leggero di chi ama il proprio lavoro”.
- Cos’ha di tanto particolare l’elemento-legno che altri elementi non hanno?
“La particolarità del legno è di essere un materiale vivo, che si muove, evolve, in vecchia. Ha caratteristiche diverse a se conda della specie legnosa, e un artigiano deve saperle ben sfruttare”.
- Anche la sede della sua attività è piuttosto insolita e decentrata: lavora a Bosco di Tretto. È funzionale?
“All’inizio è stata una scelta pratica: mio suocero mi ha messo a disposizione il lo cale e io ne ho approfittato. Adesso non ri uscirei a immaginarmi in un altro posto, perché lavorare qui è funzionale alla mia attività. Ad esempio, per la tornitura uso esclusivamente legni locali, molti dei qua li arrivano proprio dal Tretto. Lavorare da un’altra parte sarebbe un po’ come per un pescatore stare lontano dal mare”.
- A cosa s’ispira per le sue creazioni? Cosa la guida nelle scelte stilistiche?
Laureato in ingegneria elettronica, Nicola Tessari ha lavorato per una quindicina d’anni in industrie dell’Alto Vicentino, finché ha prevalso la vocazione per la falegnameria. Ora al Tretto crea splendidi mobili e oggetti d’arredo.
“Apprezzo le linee semplici ed eleganti: il mio ideale di design sta tra Italia, Scan dinavia e Giappone. Pulizia, minimali smo ed essenzialità mi affascinano, sono aspetti che trovo necessari usando il le gno, che dal punto di vista estetico è pro tagonista di suo: è pieno di linee, colori, sfumature e richiede un disegno rispetto so e attento alle sue peculiarità”. - Crea mobili e oggetti, sono funzioni d’uso ben diverse.
“Per quanto riguarda i primi è importante la dialettica con il cliente e la sfida è co niugare la funzione-mobile con un’este tica gradevole e desiderata dal commit tente; se però il legno ha personalità, se ha nodi e una vena figurata, devo tenerne conto durante la fabbricazione. L’abilità di disegnare attorno alle singolarità del le gno può aggiungere particolari straordi nari al pezzo e non potranno essere repli cati, rendendo perciò unico il manufatto. Al contrario, nella lavorazione di torniture o oggetti artistici, il disegno è libero, nei li miti imposti dal materiale stesso, e i lavori non hanno scopo che non sia il loro aspet to. La semplicità è poi la chiave per crea re oggetti e mi trovo così a rimuovere co stantemente dettagli dalle mie torniture; la lavorazione può essere straordinaria mente complicata e difficile, ma l’aspetto finale dev’essere semplice e fluido. Tutto il mio lavoro ha una preponderante parte manuale; lavorando solo con pezzi unici,
gli attrezzi manuali danno una flessibilità illimitata e recuperare tecniche di lavora zione tradizionali è un tratto qualificante del mio modo di operare”.
- Cosa le viene più richiesto?
“Per quanto riguarda i mobili, forse i tavoli sono i pezzi che mi è capitato di fare più spesso. Per le torniture, pezzi più artistici, il cliente di solito non ha parte nel proces so creativo, per cui si trova a scegliere tra pezzi già pronti, che lo attirano in modo soggettivo. Nel settore mobili la clientela è quasi esclusivamente locale, mentre per le torniture artistiche può essere interna zionale; mi avvalgo di un sito specializza to per la vendita on line e lavoro con l’A merica e l’Europa: l’ultimo pezzo è finito in Svezia”.
- Oltre alle vendite, le esposizioni… “Adesso sono a Parigi e a Vicenza, ma con Artemest ho pezzi esposti a New York; con altri clienti a Venezia, Torino, Roma; e poi in Francia, a Nizza. Ho esposto in galleria a Brighton, Milano e ovviamente anche a Schio con due personali. Faccio parte di un’associazione culturale, Fenster, con al tri artisti dell’Alto Vicentino, con la quale abbiamo organizzato alcune collettive”.
- Dedicarsi all’artigianato artistico significa optare per una nicchia che non sempre garantisce continuità di commesse. Lei è contento di come le vanno gli affari? Tornerebbe a fare l’ingegnere?
“Dal mio punto di vista la continuità di commesse non è il problema più grande; lo è di più la complessità della burocra zia e delle pratiche fiscali, assolutamente sproporzionata per il volume di affari. Nel resto d’Europa, oltre ad agevolazioni spe cifiche per il settore, la parte fiscale è mol to più semplice e affrontabile. Comunque, di ritornare in ufficio per ora non se ne parla proprio. Sto benissimo qui”. ◆
Con dicembre se n’è ufficialmen te andato l’anno del bicentena rio della nascita di Alessandro Rossi. La fine dell’anno solare, peraltro, non signi fica che si debba considerare espletato e concluso il dovere di ricordare la figu ra dell’uomo che più ha lasciato il segno nella storia scledense. Prosegue, ad esem pio, la mostra “Rossi 200” all’ex lanificio Conte, l’evento più importante delle ce lebrazioni organizzate nel corso dell’an no da poco archiviato. E scavalla il ‘19 per entrare nel “ventiventi” una pubblicazio ne dedicata ad Alessandro Rossi data alle stampe a fine novembre da due scrupolo si ricercatori e cultori della storia locale, Edoardo Ghiotto e Bruno Velo: “54 iscrizio ni nel bicentenario della nascita di Ales sandro Rossi” (Edizioni Summano). Fermi lì. È vero che il titolo tradisce l’im pronta limpidamente archivistica del vo lumetto - e i contenuti ne danno conferma - ma non si creda con ciò che si tratti di un lavoro a esclusivo uso degli amanti della ricerca storica. Non si legge ovviamente come un racconto, ma se lo si affronta co me se lo fosse, magari arricchendo la let tura con una dose di immedesimazione nello spirito del tempo, si arriva in fondo con la sensazione di aver comunque letto una storia sui generis: non tanto quella di Rossi, quanto quella del rapporto tra lui e gli scledensi. Non una storia individuale, dunque, ma corale.
Con “54 iscrizioni”, lo dice il titolo, Ghiot to e Velo hanno messo insieme, in ordine rigorosamente cronologico, una mole non completa e non definitiva, per loro stessa ammissione, di iscrizioni, targhe, lapidi, busti, cippi che hanno a che fare con Ales sandro Rossi e che si trovano in giro per la città e i paesi d’intorno. “Angoli citta dini – dice l’assessore alla cultura Barbara Corzato nel saluto introduttivo – dove la memoria di Rossi e delle sue opere è viva e alla portata di tutti”.
La ricerca nasce da un’idea di Bruno Velo, che all’inizio era partito con l’obiettivo di rintracciare quante più iscrizioni possibile riguardanti il “padre della patria” scleden se, ed è finito con l’accorgersi, parole sue, “che esiste tutto un piccolo esercito di per sonalità, grandi e piccole, che hanno me ritato di venire immortalate nel marmo o simili”. Ed è qui che è entrato in scena Edo ardo Ghiotto, già da anni al lavoro su una raccolta di iscrizioni scledensi destinata a diventare una pubblicazione ricca e defini tiva. I due hanno lavorato sui loro materiali e ne hanno tratto, appunto, 54 testimonian ze che confermano la presenza costante e l’impegno a tutto campo di Rossi nel tessu to sociale della città e del territorio. Ciascuna delle 54 schede comprende il te sto dell’iscrizione, il luogo dove si trova (e dove in certi casi si trovava in passato), la
Alessandro Rossi è dappertutto
Edoardo Ghiotto e Bruno Velo hanno dato alle stampe un volumetto che contiene 54 tra iscrizioni, targhe, lapidi, busti, cippi che hanno a che fare con Alessandro Rossi e che si trovano in giro per la città e i paesi d’intorno. Pur nel taglio archivistico, ne esce una storia sui generis: quella del rapporto tra il Senatore e gli scledensi.
traduzione nel caso di testi in latino, qual che breve commento di particolare inte resse che aiuta a contestualizzare e infine alcuni rimandi bibliografici.
Ecco allora non soltanto le iscrizioni più ovvie come quelle del basamento della statua dell’Omo o del monumento a Ros si, ma anche tutto un florilegio di testi monianze, in parte posate dallo stesso industrial-senatore e in parte volute da scledensi – dipendenti, cittadini o isti tuzioni - in segno di riconoscenza e rin graziamento per le tante opere lasciate alla città o sostenute con generosi con
tributi: dall’asilo alle scuole elementari, dal macello all’ex convento di S.France sco, dall’orfanotrofio all’ospedale Baratto. Per non dire del ruolo di fondatore di una scuola tecnica che nel tempo è stata deci siva per la formazione di generazioni di vicentini, l’Istituto tecnico industriale di Vicenza (poio intitolato appunto a Rossi), dal quale sono uscite molte delle miglio ri teste della provincia, tra tutti Federico Faggin.
Non sorprende, perciò, che nell’ultima parte del volumetto, avvicinandosi l’età del “resoconto”, abbondino le targhe e i ri conoscimenti degli scledensi nei confron ti di Rossi, riconosciuto come benefattore e promotore di benessere e sviluppo per una larga comunità.
Tra le testimonianze più simpatiche, vale ricordare la medaglia d’argento che Rossi, alla fine della festa per i suoi 70 anni ma anche per i 50 anni di attività industria le, regalò a tutti i suoi coetanei scledensi, coniata per l’occasione con questa scritta: “Alessandro Rossi / 1819-21 novembre 1889 / ai suoi coetanei di Schio in attesa della seconda vita”.
A fronte di tutto questo, lascia sempre un po’ interdetti la semplicità, al limite della reticenza, della lapide murata sulla faccia ta della casa di via Pasini dove Alessandro il Grande nacque: “In questa casa nacque addì 21 novembre 1819 Alessandro Rossi Senatore del Regno. Morì in Santorso addì 28 febbraio 1898”. Va bene il low profile ti picamente scledense, ma quando è troppo poco è troppo poco. ◆
Stefano TomasoniUn Timi da “skianto” e un Amleto take away
Tra dicembre e gennaio la stagione di prosa ha portato a Schio Fi lippo Timi, uno dei più istrionici attori italiani, e la Compagnia Berardi Casolari con il premiato “Amleto take-away”.
Mirella Dal ZottoAmetà dicembre all’Astra è stato messo in scena “Skianto”, di e con Filippo Timi, uno dei più istrionici at tori italiani, ospitato a Schio per la prima volta dalla Fondazione Teatro Civico, che ha voluto offrire al pubblico l’opportuni tà di assistere a un lavoro sulla disabilità che è comunque un viaggio nell’anima di ognuno di noi. Timi lo propone ormai da un lustro nei maggiori teatri italiani, con successo di pubblico e di critica. Si tratta di una storia amara, ispirata da una cugi na disabile, e mette a nudo l’essere handi cappato e l’essere normale: lo fa in modo impietoso, senza veli, usando spesso e vo lentieri l’arma dell’ironia, indispensabile per alleggerire tematiche complesse lega te ai pregiudizi, alle malcelate violenze di medici e familiari, agli stereotipi. Filippo Timi è così in simbiosi con il per sonaggio da far veramente capire cosa
può balenare nella mente di un disabile, facendocelo riconoscere come abile, se non altro nel donarci momenti di intensa introspezione. Sul palco l’attore si presta a essere buffo e disarmante nella sua in nocenza e si muove in una scena colora tissima, con costumi altrettanto colorati e onirici. Di supporto, le musiche dal vi vo che contribuiscono al racconto tragico, magico, comico, commovente; accompa gnano Timi anche nelle sue acrobazie alla cyclette e nei balli scatenati.
Già, perché quest’opera, per il protagoni sta, è una fatica psichica e fisica, lo pren de in toto, tanto da fargli dichiarare che “gli esseri umani sono disabili alla vita e siamo tutti un po’ storti se ci confrontia mo con la grandezza della Natura”. Questo suo darsi completamente al pubblico ha fatto sì che i presenti, anche quelli schiaf feggiati dalla durezza del tema, abbiano applaudito alla fine a lungo e con convin zione.
Orizzonte Danza, ottimo musical
In clima natalizio Orizzonte Danza, scuola diretta da Ornella Pegoraro, ha riproposto all’Astra il musical “Rewri te The Stars”, liberamente ispirato alla figura di Barnum, che tanto e meritato successo ha ottenuto alla fine dello scor so anno al concorso nazionale fiorentino “Into the Musical”, nel corso del quale sei soliste e un grande gruppo di ventun ra gazzi sono stati tutti premiati. Eleonora Pasin si è inoltre aggiudicata il premio per la migliore coreografia. Lo scorso an no, sia a Firenze che a Bologna, Orizzon
te Danza ha fatto incetta di tanti altri prestigiosi premi, dimostrando di esse re un’eccellenza nel territorio per il suo settore.
Un Amleto da funamboli
Giovedì 16 e venerdì 17 gennaio, il Teatro Ci vico ha invece ospitato in doppia serata la Compagnia Berardi Casolari in quell’”Am leto take-away” che ha fatto conquistare proprio a Berardi un prestigioso Premio UBU 2018 come miglior attore. Non veden te, si muove in scena con una sicurezza di sarmante, aiutato solo in alcuni momenti da Gabriella Casolari, un po’ angelo protet tore e un po’ elemento determinante a far girare il testo per il giusto verso. Va detto: trasporre in poco più di un’ora il capolavo ro di Shakespeare facendolo a pezzettini, mangiandoselo e sputandolo con trovate geniali o allacciandolo alla propria biogra fia è un funambolismo stilistico che può dissacrare o esaltare.A noi l’intreccio è pia ciuto, ma per goderselo appieno bisogna cogliere al volo battute sarcastiche metten do ben a fianco l’opera originale, sempre at tuale e ricchissima di stimoli. In un’epoca in cui “Essere o non essere” è diventato “Es sere o apparire”, magari su facebook, Berar di e Casolari fan bene a mettere i puntini sulle “i” e farci pensare alla società mordi e fuggi dove ci si può postare senza rughe grazie a miracolose app.
In un’ora il ritmo non cala mai e obbliga a non perdersi e a farsi colpire dai paradossi, dagli ossimori e dalle contraddizioni di que sto mondo veloce, dove ogni città è Babele. Scena all’osso, con un sipario per crocifigger si e un fondale dove Padre Pio sta vicino a Che Guevara, dove una panca diventa di tut to, dove la bianca camicia di Amleto si cam bia con la maglia dell’Inter, pazza e spesso perdente squadra. Anche per questo lavoro, lunghi minuti di applausi, tutti meritati. ◆
Da anni la scuola, anche avvalendosi dell’aiuto di importanti esperti esterni, sta promuovendo il musical come spet tacolo coinvolgente, in grado di far ri saltare non solo i migliori talenti, com’è giusto che sia, ma anche il lavoro corale di chi, appassionandosi al genere, s’im pegna a fondo per la riuscita dello spetta colo. In un Astra gremito in ogni ordine di posti abbiamo assistito a “Rewrite The Stars”, dove è parsa subito chiara la pre parazione accurata di tutti i ragazzi sul palco (una settantina, alla fine, un mira colo di tecnica che ci siano stati tutti), il loro grande entusiasmo, la gioia di aver realizzato insieme qualcosa di bello e go dibile.
M.D.Z.
Orchestra e campane, concerti per il nuovo anno
L’anno è finito e iniziato all’insegna dell’ottima musica, con due spettacoli davvero riusciti: il Concerto di Capodanno al Civico e il Concerti di Campane per i 200 anni del Duomo.
Mirella Dal ZottoSono stati due gli appuntamenti musicali maggiormente graditi dagli scledensi durante le festività nata lizie: il Concerto di Ca podanno al Civico e il Concerto di Campane per il bicentenario del Duomo. Per il Concerto di Ca podanno, “Imprese e Cultura”, cordata di imprenditori che lo scorso anno ha tenuto a battesimo la mani festazione auspicando di farla entrare nella tradizione cittadina, ha organizzato domenica 29 dicembre un doppio spettacolo, in considerazione dell’overbooking dello scorso anno. Più frequentato quella delle 17, ma il Civico era quasi al completo anche alle 21: ciò testi monia il grande interesse per la musica e il teatro di via Maraschin è il luogo de putato per passare un paio d’ore in un’at
mosfera di classe, godendo di un’ottima acustica.
Anche quest’anno è stata scelta l’orchestra Labirinti Armonici, diretta dal maestro Giovanni Costantini, mentre gli interven
ti operistici sono stati affidati alla soprano Giulia Bolcato e al tenore Alex Magri, voci veramente notevoli. Caratteristica peculia re dell’ensemble, comunque, è stata come lo scorso anno la simpatia, propria soprat tutto del direttore, che ha saputo donare anche alla nostra città quel clima festaio lo e un po’ burlone che da sempre si respi
ra nei concerti di capodanno viennesi. Tra polke, valzer, pezzi d’opera e operetta, mar ce e danze ungheresi, il Civico ha ospitato un’autentica festa della musica, con tanto di brindisi finale in foyer. Unica nota dolen te, il fatto che il prossimo Concerto di Capo danno non potrà essere ospitato al Civico, che verrà chiuso per lavori da metà 2020 a metà 2021: sarà ultimata la colombaia, che garantirà, con la platea, la galleria e i pal chetti, un totale di circa 500 posti a sedere. Domenica 5 gennaio, organizzato dal Cen tro di Cultura “Card. Elia Dalla Costa”, si è tenuto il Concerto di Campane che ha aperto i festeggiamenti per il bicentena rio del Duomo. L’idea è nata grazie al mae stro Giovanni Bonato e sono stati chiama ti in città alcuni componenti della Scuola Campanaria di S. Marco di Vicenza. Un centinaio di persone si sono raccolte in taja ra, luogo privilegiato per l’ascolto, ma tanti in transito in centro hanno avuto modo di ascoltare suoni insoliti e celestiali. Ben cinque le chiese coinvolte nel concerto: le campa ne hanno suonato con tempismo perfetto per una mezz’ora, e il fina le è spettato al princi pale tempio cittadino.
Il calendario degli appuntamenti per fe steggiare il bicentenario del duomo si snoda fino al 25 aprile e comprende con certi, celebrazioni, visite guidate e incon tri culturali. Dopo quella data, altre inizia tive sono in programma fino al 29 giugno, festa del patrono. ◆
Stelle scledensi per lo Schiaccianoci
“Lo Schiaccianoci” di Tchaikowsky è un classico da proporre prefe ribilmente a ridosso delle festi vità natalizie. A Schio ci ha pensato Scop pio Spettacoli, offrendo a un numeroso pubblico la versione del Russian Classical Ballett: un allestimento dignitoso, con al cuni ballerini che hanno saputo spiccare. A noi, però, questo balletto offre lo spun to per ricordare tre ballerini, ex allievi di Domus Danza, scuola diretta da Enrica Marcucci, che proprio a dicembre si sono esibiti con successo nello “Schiacciano ci” rispettivamente a Sarasota, Amburgo e Roma.
Filippo Valmorbida, ventiquattrenne ori ginario di S.Vito di Leguzzano e ora primo ballerino professionista oltreoceano, dopo aver danzato in Italia, Inghilterra, Nuova Zelanda e Australia è riuscito a essere il protagonista, proprio nel ruolo del magico
Schiaccianoci, in Florida (Sarasota), dove sta godendo di un meritato successo. Chiara Ruaro, ventenne scledense, parti ta a soli quattordici anni da Schio e ap prodata dopo un’audizione alla scuola del prestigioso Hamburg Ballett, è ora uffi cialmente nel corpo di ballo della città te desca e nel periodo natalizio ha interpre tato con successo più ruoli nel balletto di Tchaikowsky, dimostrando doti e versati lità.
Matilde Dal Zotto, la più giovane dei tre (è sedicenne), ha debuttato in dicembre al Teatro Nazionale di Roma con gli allie vi della scuola del Teatro dell’Opera e con ballerini professionisti dell’Opera stessa. Lo scorso marzo era nel gruppo dei mi gliori allievi per ballare al Senato nell’in termezzo della Cavalleria Rusticana e a fine novembre, al Teatro Orione della ca pitale, è stata scelta per esibirsi nel gala
Domus Danza si conferma dunque come ottimo vivaio di talenti. ◆
Detto tra noi
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Così a “Scultori in Piazza” sono nati i Re Magi e il cammello del presepe ligneo
Quarta e conclusiva edizione di “Scultori in Piazza” per il Presepe. Metà settembre: sono cercato al telefono dalla segretaria del Sinda co di Schio per la conclusione con i Re Magi dell’avventura natalizia. Scelgo come compa gni di lavoro Franco Broccardo di Santorso per Baldassarre che porta in dono la mirra e Livio Tasin di Tenno (Tn) per la realizzazio ne di Melchiorre col cofanetto colmo d’oro. Io mi assumo il compito di scolpire Gaspare con l’incenso, ricorrendo ad aggiunte laterali al tronco di libocedro di modeste dimensioni per il braccio con il turibolo e il piede sporto. È la quarta e ultima volta, ne sono sicuro… e in una visita di verifica ai magazzini del la Prealpina mi trovo a considerare con ma linconia il tronco di base dell’enorme cedro del Libano finora utilizzato per i vari perso naggi del presepio, abbattuto con rimpianto di tutti nel 2006. Cavo all’interno per i quasi due metri e mezzo di altezza suturato prov visoriamente con una iniezione di cemento che non ha tranquillizzato sulla sua soprav vivenza, presenta una base radicale di circa due di diametro. Che fine farà? Chi ci potrà metter mano data la presenza problemati ca di terra e sassi fagocitati? Eppure, anche lì c’è stata vita… anzi, proprio da lì è partita
quella vita che sgusciava impreziosendo i palazzi del centro: dal suo sviluppo e dalle sue diramazioni sono stati tratti la Madon na, S.Giuseppe, il Bambino nel 2016; il bue, l’asino e l’Angelo l’anno successivo. Ultima mente dai suoi rami i due pastori e la mam ma che invita il figlio ad offrire il suo amato pallone. Non può finire nel nulla, data la ric chezza delle sue spalle! Ed ecco un pensiero pazzo, contro ogni tornaconto, contro ogni interesse… Penso, schizzo, ci giro attorno e l’idea si fa strada, anche se mi fa paura l’im pegno: sono la forma, le dimensioni, le ca ratteristiche a parlarmi, oltre la storia!
Osservando il tronco capovolto, con quel ri masuglio di radici assetate di azzurro, ci in travvedo dentro nitida la figura di un cam mello, umile e silente compagno in un viaggio verso la speranza. Sarà che forse in esso riconosco persone affidabili che mi hanno sostenuto rendendo possibili le mie svariate avventure artistiche: forse non avrei mai concepito il Cristo del Summano se non avessi potuto far conto sulla compe tenza e sulla collaborazione dell’amico Gil do… forse i Magi non si sarebbero arrischiati di affrontare un così lungo e periglioso viag gio nel deserto se non ne avessero potuto di
sporre liberamente. A volte Cammelli, a volte Cammellieri... e ci apriamo alla vita!
Sempre tanta ansia e paura precedono il pri mo colpo di scalpello, né più né meno del co raggio necessario per la prima spinta sui pe dali nella fase di avvio di una impegnativa salita. Tutt’attorno banchi di nebbia in una giornata novembrina… Ma anche una certez za: il Sole continua ad esistere sopra la coltre, e la luce si farà più nitida ad ogni goccia di sudore. Le mani, gli occhi, il mio pensiero so no sempre più ammagliati da quella creatura in fieri che ha scelto proprio me per svelarsi. I Re Magi saranno sicuramente scolpiti ma non potrà mancare tra loro un rassicuran te Cammello che, ricavato dal punto di con tatto tra la terra e il cielo, ha reso possibile l’incontro tra la materialità e il limite con i loro ideali e aspirazioni! L’immenso valore della disponibilità e del servizio!
Giorgio Sperotto