SchioTHieneMese La Piazza 868

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Periodico di informazione dell’A lto Vicentino

anno XI n. 98 - marzo 2022

Schio: Ecco il nuovo ecocentro, sarà un “Parco del riciclo” - p.12 ◆ Riaprono i centri servizi per gli anziani - p.16 Thiene: Un libro per Enoch - p.10 ◆ Grotto alla maratona numero mille - p.28

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Siamo tutti ucraini [2] Di mese in mese

Adesso dobbiamo fare la nostra parte

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SchioThieneMese Periodico di informazione dell’Alto Vicentino

Supplemento mensile di

Lira&Lira e La Piazza Direttore Stefano Tomasoni Redazione Elia Cucovaz Omar Dal Maso Mirella Dal Zotto Camilla Mantella Grafica e impaginazione Alessandro Berno Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com Per le inserzioni pubblicitarie Pubblistudio tel. 0445 575688

Stefano Tomasoni

ariupol, Kharkiv, Melitopol, Mykolaiv, Cherson… Nomi e città che un mese fa quasi nessuno avrebbe saputo localizzare su una cartina geografica sono diventati all’improvviso un elenco quotidiano di morte e distruzione. Così per una volta in queste pagine è impossibile parlare soltanto di Schio e di Thiene, perché quelle città martoriate e ieri sconosciute è come se oggi fossero qui, a due passi da noi, entrate nelle vite di tutti. E ci ritroviamo a parlare di una guerra dietro casa. Una guerra voluta dallo zar dagli occhi di ghiaccio, l’uomo che adesso è possibile definire senza più alcun dubbio come dittatore criminale. Joe Biden, che già un anno fa aveva definito Putin un assassino, adesso è passato alla definizione prodromica a un processo internazionale da Tribunale dell’Aja: criminale di guerra. Chi fosse quell’uomo senza sguardo, del resto, lo si sapeva da tempo, visto che è lo stesso uomo responsabile delle guerre e dei massacri di civili in Cecenia e in Georgia, e più di recente ha giocato le sue sporche e insanguinate carte in Siria. È lo stesso uomo che non ha avuto scrupoli a sacrificare decine di bambini a Beslan in un attacco senza capo né coda contro i terroristi ceceni che li avevano sequestrati dentro una scuola. Lo stesso che ha fatto uccidere o imprigionare tutti coloro che gli si opponevano, come la giornalista Anna Politkovskaja, il dissidente Alexander Litvinenko avvelenato con il polonio e morto tra atroci sofferenze, fino a Alexei Navalny scampato all’avvelenamento e ora segregato in prigione ad libitum. Insomma, le evidenze c’erano tutte da parecchi anni. Tranne per qualche politico di casa nostra, come quello che se ne andava in giro per Mosca con la faccia di Putin sulla T-shirt, o l’altro che se lo por-

tava nella sua villa in Sardegna, o l’inventore della Grande Sciocchezza, la formula dell’“uno vale uno”. Insomma, quelli responsabili (altro che Draghi) del fatto che adesso l’Italia in Europa non può essere considerata come un interlocutore diplomatico credibile nello sviluppo di questa crisi. Certo rimaneva difficile immaginare che nel 2022 si potesse arrivare a questo, a una guerra in Europa fatta di invasioni di carri armati e cannoneggiamenti, di distruzioni di intere città, di cecchini che uccidono donne e bambini, di bombardamenti che non risparmiano ospedali e scuole, di gente che si riduce a vivere ammassata nei tunnel delle metropolitane, di milioni di sfollati. Una guerra dove cade anche l’ultimo residuo tabù, quello dell’evocazione dell’uso delle armi atomiche. E noi? Possiamo stare a guardare e voltarci dall’altra parte? No. Non soltanto perché questi milioni di poveri sfollati stanno fisicamente arrivando alle nostre porte – e abbiamo il dovere sacrosanto di accoglierli senza nemmeno provarci a sollevare qualche obiezione – ma anche perché questa volta ci siamo dentro tutti. Kiev, Mariupol, Mykolaiv hanno resistito e resistono anche per noi. Perciò dobbiamo fare la nostra parte. E del resto la faremo che ci piaccia o no, perché è abbastanza evidente che questa guerra ha aperto gli occhi sul fatto che non sia più possibile dipendere per quasi la metà del fabbisogno di gas nazionale dalle forniture russe. Dunque, tra sanzioni e nuove politiche energetiche forzate dagli eventi, è iniziato un periodo di emergenza energetica che tocca tutti. Già ce ne siamo accorti al distributore di benzina e nel pagare le ultime bollette della luce e del gas. Presto ce ne accorgeremo per via dell’inflazione, già alta e destinata a quanto pare a salire ancora. Ce ne accorgeremo anche perché quest’estate nei mesi


Siamo tutti ucraini [3] Di mese in mese più caldi bisognerà rinunciare ad azionare i condizionatori a manetta nelle case e negli uffici, mentre il prossimo inverno presumibilmente dovremo stare con meno gradi in casa e un maglione di lana in più addosso. Ma c’è qualcuno oggi che non sia disposto a mettere in conto questi sacrifici - chiamiamoli così - guardando le immagini di bambini uccisi per strada, di gente che ha perso tutto e di famiglie che si separano senza sapere se si rivedranno mai più? Fare a meno del gas russo è niente, in confronto. Poi, certo, ci sono pure quelli che hanno come centro del mondo il proprio ombelico. Quelli come il tizio sentito per strada a conversare con un amico: “Desso ghe xe quei da l’Ucraina, che i riva qua e bisogna mantignerli. Dopo ghe xe i neri, che continua rivare tuti i giorni coi barchini. Tuti in Italia i riva”. Al che ci si convince che sarebbe utile poter fare uno scambio: dieci sfollati ucraini in arrivo per ogni amante del proprio ombelico in partenza. Allora sì che se ne uscirebbe migliori. ◆

Lo Schiocco Paletti impilati Da qualche tempo in piazza Duomo sono state installate delle file di nuovissimi paletti di metallo marrone scuro lungo la zona pedonabile lato negozi e all’angolo con via Capitano Sella, in quest’ultimo caso pensati per aumentare la sicurezza dei pedoni, andando a creare un ostacolo artificiale utile a prevenire possibili incidenti tra auto in arrivo da piazza Almerico e pedoni in arrivo dal marciapiede. Sono state posizionate anche un paio di curiose “rastrelliere” come quella della foto, con altri paletti impilati e raccolti. Tutto bene per le file di paletti, resta qualche dubbio sulle rastrelliere. Perché sarà che abbiamo negli occhi la terribile guerra che si sta consumando in Ucraina, ma di questi tempi finiscono per ricordare delle batterie di missili. [S.T.]


Siamo tutti ucraini [4] Copertina - Schio Al centro, Halyna, ucraina da vent’anni residente a Schio, insieme con i due figli, che vivono in patria

“I miei figli rimangono in Ucraina. Non vogliamo stare sotto i russi” La testimonianza di Halyna, ucraina arrivata a Schio vent’anni fa, dopo aver lasciato nel suo paese due figli di pochi anni. “Come possono pensare che l’Ucraina voglia stare sotto la Russia, quando nelle province e nelle città che Putin rade al suolo le persone non si arrendono e continuano a combattere?”

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Stefano Tomasoni

entotrentacinque. È il numero dei residenti di nazionalità ucraina presenti a Schio. Sei in meno rispetto a un anno fa, dicono le statistiche dell’anagrafe comunale, ma adesso, con l’atteso arrivo di profughi in fuga dalla guerra, il numero è destinato ad aumentare probabilmente di qualche decina. Nella comunità ucraina di Schio, composta perlopiù da donne (108 su 135) molte delle quali vivono in città da parecchi anni e sono inserite nel tessuto sociale e lavorativo occupandosi spesso di assistenza agli anziani, c’è anche Halyna, arrivata a Schio giusto vent’anni fa, dopo aver lasciato nel suo paese due figli di pochi anni e aver do-

vuto mettere nel cassetto la laurea in economia presa nell’89. È una donna grintosa e determinata, con una voce tonante ma familiare. Adesso che il suo paese in fiamme cerca di resistere alla follia scatenata da Putin, si sente e si vede che dentro ha la tempesta, ma si capisce anche che se si trovasse in una delle città del suo paese martoriato dall’esercito russo, sarebbe anche lei lì a resistere e a tener duro dentro l’inferno di ogni giorno.

Vent’anni vedendo i figli un mese all’anno “Sono qui a Schio dal 2002, vengo dalla provincia di Leopoli, vicino alla Polonia – dice -. Tutta la mia famiglia è ancora lì. Prima di venire in Italia lavoravo per una strut-

tura pubblica che gestiva un certo numero di attività commerciali, negozi, ristoranti... Per voi è un po’ difficile da capire, ma da noi quando sono arrivati i comunisti hanno tolto la proprietà privata e tutto è diventato statale. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, quel sistema è andato a ramengo, le fabbriche si sono fermate, e nel corso degli anni Novanta la vita si è fatta di conseguenza ancora più difficile, per questo dalle province più vicine all’Europa siamo andati in tanti fuori dal nostro paese, a cercare lavoro. Quando io sono partita, mia figlia aveva cinque anni e tre mesi, il figlio maschio sette anni. Li ho lasciati con mia mamma, che era professoressa di lingua russa. Da allora li ho visti in genere una volta all’anno. Qui a Schio ho cominciato a fare la badante e ancora lo sto facendo. Ho sempre lavorato per famiglie che capivano la mia situazione e mi lasciavano anche due mesi liberi per poter tornare a casa. Dico sempre che a me, grazie a Dio, sono sempre capitate persone per bene. Adesso però chissà quando potrò andare a casa”. Oggi i figli di Halyna hanno uno 27 anni


Siamo tutti ucraini e l’altra 24 anni. Hanno il loro lavoro e la loro vita. O meglio, l’avevano prima che iniziasse la guerra. “Mia figlia lavora per un ente statale e non pensa di andare via dall’Ucraina. Mio figlio lavora per la difesa territoriale, non è come essere soldati ma al bisogno possono essere chiamati. E in ogni caso adesso con la guerra c’è la regola che gli uomini da 18 a 60 anni non possono uscire dal paese. Io d’altra parte in questi anni non ho mai pensato di dirgli di raggiungermi, perché a dire la verità neanche io volevo stare vent’anni qui. Hanno finito l’università, ma non voglio che facciano il lavoro che faccio io”. Difficile capire cosa voglia dire, nell’Europa del 2022, trovarsi dall’oggi al domani a vivere in un paese e in una città sotto attacco e sotto assedio, con le bombe che potrebbero caderti in testa da un momento dall’altro, con le abitudini quotidiane diventate miraggi lontani, il cibo che inizia a mancare, il lavoro improvvisamente diventato un aspetto secondario, un luogo irraggiungibile. “Paura? Certo, quando senti la sirena di allarme come fai a non averne? - osserva Halyna -. È difficile capire oggi, i ricordi del 1945 sono lontani, ma i figli mi dicono che cominciano già ad abituarsi, a vivere la realtà che esiste adesso”.

La resistenza delle persone normali Una realtà che Halyna non si aspettava potesse arrivare fino a un punto di non ritorno così drammatico. Che non ci fosse da fare affidamento sul sistema di potere russo e su Putin era assodato da anni, quantomeno dal 2014 con l’annessione della Crimea e del Donbass, ma la devastazione di una guerra indiscriminata non era uno scenario immaginabile. “Con i russi ci sono sempre stati rapporti normali, la radice delle nostre lingue è comune, noi studiavamo a scuola russo come in tutti i paesi che prima erano parte dell’Urss, neanche si pensava a una cosa del genere – assicura Halyna -. In tanti territori dove adesso Putin sta bombardando c’è almeno il 30% di popolazione russa. Sono secoli che la Russia punta a tenere dentro di sé Ucraina e Bielorussia; la Bielorussia ha lasciato fare senza troppi problemi, l’Ucraina è diversa. Da noi adesso c’è una situazione di democrazia soddisfacente. Non è come in Russia, dove raccontano alla gente che in Crimea hanno votato tutti per entrare a far parte della Russia. Sì, con la pistola alla testa hanno votato... È la disinformazione che fanno in Russia. Ho amiche che raccontano di avere sorelle in Russia che non credono che ci sia la guerra in Ucraina. Robe pazzesche”.

[5] Copertina - Schio

Già, l’Ucraina è diversa. E lo ha fatto vedere opponendosi all’invasione in tutti i modi, anche a mani vuote. “Ha visto come la popolazione ucraina è andata incontro ai russi? Nessuno ha portato fiori. Non si aspettavano nemmeno i soldati russi questa reazione ucraina, gli hanno fatto credere che sarebbero stati accolti a braccia aperte – si accalora Halyna -. Non riesco a capire come potevano immaginare che sarebbero arrivati facilmente fino a Kiev. Ma come possono

La resistenza della gente ucraina sotto le bombe impressiona chiunque la guardi da fuori, ma si comprende sentendo la carica di donne come Halyna. Che non è semplice rabbia e frustrazione, ma anche un senso profondo della propria identità, dal quale deriva la forza per difenderla.

pensare che l’Ucraina voglia stare sotto la Russia, quando nelle province e nelle città che Putin rade al suolo le persone non si arrendono e continuano a combattere? Ed è una resistenza da parte di persone semplici, normali. Anche nelle province più vicine alla Russia si combatte dappertutto. E nemmeno il Donbass avrebbero preso, se non l’avessero fatto con la forza militare nel 2014, perché quando nel 1991 tutta l’Ucraina ha fatto un referendum per dire se voleva essere libera, anche il 90% della gente nel Donbass ha votato per l’indipendenza”.

Un aiuto alle iniziative di solidarietà Una resistenza, quella della gente ucraina sotto le bombe, che impressiona chiunque la guardi da fuori. Ma che si comprende, sentendo la carica di Halyna. Che non è semplice rabbia e frustrazione, ma anche un senso profondo della propria identità, dal quale deriva la forza per difenderla. Dunque, con questa situazione di aperta e crescente ostilità della popolazione, è facile immaginare che, anche quando le parti politiche arriveranno a un accordo, la resistenza all’invasore non terminerebbe. “Quando tutto questo è cominciato avevo dei dubbi anch’io, perché una cosa è stare davanti alle armi con le mani vuote e altra cosa è guardare da fuori come noi – osserva Halyna -. Però vedo che la resistenza non smette. Putin punta a radere al suolo le città perché vuole che la popolazione dica al nostro presidente che deve capitolare, ma credo che debba aspettare ancora perché si arrivi a questo. Io prima non ero una grande sostenitrice di Zelensky, però vedendo come si sta comportando da quando è iniziata la guerra ho cambiato idea su di lui da così a così. Le persone sono pronte a morire pur di fare punto con la Russia. Anche dopo la rivoluzione russa del 1917 in Ucraina ci fu resistenza. L’identità ucraina è sempre stata separata da quella russa. Da noi ci sono chiese che hanno più storia di quelle di Mosca”. In queste settimane di guerra Halyna ha dato ovviamente una mano alle varie iniziative di solidarietà a favore della popolazione ucraina. “Ci telefoniamo tra noi connazionali, facciamo raccolte di prodotti e di soldi, tante famiglie italiane ci chiedono come fare per aiutare. Quello che possiamo fare cerchiamo di farlo. Il resto non dipende da noi. Dipende da come si muovono i paesi europei. Servirebbe una posizione e una risposta comune, per cercare di fermare questa follia”. ◆


Siamo tutti ucraini [6] Copertina - Thiene “Io sono originaria di Leopoli, ma con marito e bambini ho vissuto a Mariupol, una città oggi martoriata. Le immagini che vediamo da qui sono puro terrore per noi”.

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Omar Dal Maso

a guerra la combattono anche le madri ucraine, pur se lontane dal fronte. A 2.500 chilometri dalla loro casa e patria. Per non parlare dei propri parenti, spesso familiari stretti. E sono almeno due i conflitti, interiori ma con risvolti concreti, che alcune tra coloro che vivono e lavorano in Alto Vicentino devono affrontare all’alba di ogni giorno: abbattere l’ansia e l’angoscia che le assale in attesa di notizie dalla madrepatria e la necessità di darsi da fare, da qui, per aiutare come e quanto più si può, raccogliendo fondi e prodotti utili e diffondendo appelli. Nadia, laureata in storia in Ucraina, interprete di professione e guida turistica che ha girato città d’arte italiane portando connazionali in visita nel Belpaese, da un anno e mezzo si è adattata a un mestiere di pari dignità e di umanità superiore, quello di badante, come tante donne dell’Est Europa che vivono da queste parti. Si è stabilita qui nel 2011, parla l’italiano meglio di tanti veneti, e ha due figli maschi di 18 e 27 anni. Il più giovane è arrivato a Vicenza prima dell’invasione russa, in extremis, il giorno antecedente della chiusura delle frontiere. Il più grande è un soldato, arruolato nell’esercito ucraino. Non lo vede di persona dal Natale del 2020, e lo sente a stento per le mille cautele richieste. Tra cui non rivelarne il nome nel corso dell’intervista. “È un tenente maggiore, ufficiale di artiglieria. Non combatte da adesso, ma dal 2014 nel Donbass, da quando ha scelto la carriera militare. Dall’inizio del conflitto con la Russia non è possibile sentirci a voce, ma abbiamo una chat segreta e grazie ad alcuni compagni di università riesco a ricevere i suoi messaggi, anche se non tutti i giorni”. Leopoli, Mariupol, oltre a Kiev sono centri che qui tutti adesso conoscono dai tg: da una parte colonne di profughi in fuga e dall’altra, nelle terre orientali, le devastazioni delle bombe.

“Mio figlio ufficiale sta combattendo, prego per lui e per gli ucraini” Da interprete e guida turistica laureata in storia a badante per necessità a causa della pandemia, Nadia, arrivata dall’Ucraina nel 2011, è riuscita a far entrare in Italia il figlio diciottenne solo 24 ore prima della chiusura delle frontiere. Il più grande è un soldato e sta svolgendo servizio nel suo paese, martoriato dalla guerra.

“Io sono originaria di Leopoli, ma con marito e bambini ho vissuto a Mariupol, una città oggi martoriata – racconta Nadia -. Le immagini che vediamo da qui sono puro terrore per noi: l’ospedale pediatrico è stato bombardato, non si può accettare tanta crudeltà nemmeno in guerra. Tutti devono sapere fino a dove sono arrivati, la cosa più sacra al mondo sono le madri con i loro neonati”.

Nadia con il figlio, ufficiale nell’esercito ucraino

Nadia, che di recente si è stabilita a Sarcedo, conosce la storia e la geopolitica a puntino, in virtù dei suoi studi. Ci parla degli antefatti, di rancori mai sopiti che hanno travalicato due secoli, dei partigiani di Leopoli. E viene da chiedere come possa, una madre, sopportare l’attesa di notizie dal figlio sul fronte. “È dura e non ci si può abituare mai del tutto – spiega con la voce stavolta flebile -, ma bisogna farsi forza. So che lui combat-

te e rischia la vita già dal 2014, quando si è arruolato aveva 21 anni e quel periodo per me mamma è stato forse il più difficile da sopportare. Poi è entrato in accademia per diventare ufficiale ed è tornato in Donbass. Il pensiero ora è sempre lì, continuo a pregare per lui e per gli altri ucraini: in due milioni sono scappati e accolti in Europa, e siamo molti grati di questo, ma cosa attende gli altri 42 milioni sotto i bombardamenti?”. Oltre a svolgere il lavoro di assistenza come badante, Nadia si sta adoperando sul fronte umanitario, impiegando tutto il tempo libero. “Siamo donne all’opera con le associazioni di volontariato, vorrei fondarne una con l’obbiettivo di fare da filtro e mandare aiuti concreti e utili: più di tutto medicinali e cibo. Credo che il nostro contributo come ucraini sia importante per far capire cosa serve davvero e come siano le condizioni di vita là: l’inverno è più rigido rispetto all’Italia, c’è neve, la temperatura minima è -6° e la massima spesso non supera lo zero. Servono raccolte mirate, ad esempio biancheria termica, sacchi a pelo, materassini e oggetti utili per un clima gelido: bisogna salvare profughi e combattenti dal freddo. E attrezzi da cantiere, motoseghe, flessibili: si scava a mani nude tra le macerie per salvare vite, così come servono kit paramedici, lacci antiemorragici, flebo”. La generosità delle persone comuni, a Thiene e dintorni, è sotto gli occhi di tutti. “Il popolo di qui è da ringraziare per quello che fa per noi, bisogna solo migliorare per fare raccolte mirate di ciò che serve, evitando sprechi di tempo nello smistamento di cose poco utili e di denaro, in modo che un camion che parte per l’Ucraina carichi soltanto ciò che è veramente necessario e non materiali poi da buttare”. ◆



Siamo tutti ucraini [8] Copertina Schio/Thiene Palazzo Fogazzaro, a Schio, illuminato con i colori della bandiera ucraina

A pochi giorni dall’avvio delle ostilità sono iniziati ad arrivare anche i primi profughi ucraini. Tra i primissimi, giovani, donne e bambini con parenti residenti nell’Alto Vicentino.

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Camilla Mantella

Altovicentino ha risposto con grande prontezza e generosità alla crisi umanitaria che il conflitto in Ucraina ha provocato fin dalle prime ore dei combattimenti. Sono stati soprattutto i comuni medio-piccoli, Santorso e Marano Vicentino in primis, a muoversi per condannare risolutamente l’attacco e mettere in moto la catena degli aiuti. Facendo leva su un forte associazionismo locale e su una tradizione di apertura e accoglienza, queste municipalità sono riuscite in brevissimo tempo a organizzare punti di raccolta di materiali da inviare verso est e a monitorare da vicino i flussi dei primi rifiugiati arrivati sul territorio. Thiene, e in seguito anche Schio, hanno coordinato e dato ordine alle varie iniziative dal basso che numerosi cittadini hanno promosso già da pochi giorni dopo lo scoppio della guerra.

Le manifestazioni e le raccolte di beni I primi giorni degli scontri sono stati segnati dalle manifestazioni per la pace e dalle raccolte di beni di prima necessità. La condanna della guerra si è concretizzata, il 26 febbraio, in una manifestazione nel centro di Thiene promossa dalla comunità ucraina e partecipata da cittadini comuni e amministratori locali dell’Altovicentino. Il 6 marzo il Palazzo Fogazzaro a Schio si è illuminato con i colori della bandiera Ucraina e l’11 marzo il Consiglio comunale dei Ragazzi di Marano Vicentino ha lanciato presso la scuola media “Alfieri” il flashmob per la pace #FridayForPeace, con la speranza di estendere l’iniziativa anche ad altre scuole. La preoccupazione per le persone nelle aree bombardate si è tradotta invece in una serie di raccolte spontanee di beni di pri-

La mobilitazione dell’Alto Vicentino Le comunità, le associazioni e i Comuni dell’area di Schio e Thiene si sono attivate con generosità per dare un aiuto concreto alla popolazione ucraina scnvolta dalla guerra, con raccolte di beni di prima necessità e poi con l’accoglienza.

ma necessità. Col passare dei giorni queste raccolte, nate spesso dall’iniziativa degli ucraini qui residenti rimasti in contatto coi connazionali, si sono fatte più sistematiche e organizzate. A Marano Vicentino – dove il 4 marzo si è costituito un Tavolo Ucraina partecipato dall’amministrazione comunale, dalla Protezione Civile, dalla Caritas maranese, dall’associazione Marano Solidarietà e da alcuni rappresentanti della comunità ucraina – grazie alla ditta Brazzale è stato possibile organizzare la raccolta presso le ex officine Pietro Berto. A Thiene, invece, l’amministrazione comunale ha aperto i locali dove era ospitata l’Ulss, in via Rasa, per poter stoccare i materiali e gestire le spedizioni. A Santorso la parrocchia ha messo a disposizione i locali del sottochiesa del Timonchio fin dal primo marzo. La generosità degli abitanti del comune e dei comuni limitrofi è stata sorprendente, come ha dichiarato lo stesso sindaco Franco Balzi: “La raccolta di aiuti umanitari, che a Santorso abbiamo concluso il 7 marzo, è stata la prima iniziativa concreta che abbiamo messo

in piedi come amministrazione comunale per l’Ucraina. Lo abbiamo potuto fare grazie alla eccezionale disponibilità di tanti generosi volontari, che meriterebbero di essere citati uno a uno. La risposta del territorio è stata straordinaria: in tutti i turni di apertura si è registrato un afflusso continuo di persone, in paziente attesa nelle lunghe file che si sono create. Molti, venuti inizialmente solo per consegnare aiuti, si sono poi trasformati in volontari, aggiungendosi a coloro che hanno trascorso ore frenetiche a smistare, inscatolare, trasportare. Anche parecchi ucraini residenti nell’Altovicentino si sono silenziosamente messi al lavoro, collaborando con i volontari italiani”. Determinante, poi, la collaborazione delle farmacie di tutto il territorio, che hanno aderito in massa tanto agli appelli della Croce Rossa Italiana per l’invio di materiale sanitario quanto all’iniziativa farmaco sospeso, che ha consentito ai clienti di donare medicinali acquistandoli direttamente in farmacia senza poi doversi preoccupare del loro trasporto verso i punti di raccolta.


Siamo tutti ucraini L’accoglienza dei profughi A pochi giorni dall’avvio delle ostilità sono iniziati ad arrivare anche i primi profughi ucraini. Tra i primissimi, giovani, donne e bambini con parenti residenti nell’Alto Vicentino, spesso madri e nonne che lavorano qui come collaboratrici domestiche o assistenti degli anziani. “Mia figlia vive fortunatamente poco lontano dal confine polacco - racconta una signora che da oltre quindici anni lavora tra Thiene e Marano -. Ho subito cercato di capire come farla uscire dal paese, dato che fin dalle prime ore di bombardamenti si sono create lunghe file per le strade e la scarsità di benzina ha reso molto difficile spostarsi con mezzi privati. Alla fine è riuscita ad arrivare in Polonia dopo aver camminato una trentina di chilometri. Dal confine ha preso un treno verso l’interno del paese, per poi fermarsi in una cittadina dove vive una mia amica. Dopo una breve sosta è riuscita a salire su un bus che l’ha portata qui da me”. Molte famiglie del territorio si sono prodigate per ospitare questi primi arrivi nelle case dei nonni assisititi da badanti ucraine o in locali sfitti. Gli stessi Comuni, come ad esempio Schio, hanno messo a disposizio-

[9] Copertina Schio/Thiene

Volontari al lavoro per organizzare una delle numerose raccolte di viveri e materiale da inviare in Ucraina a sostegno della popolazione

ne appartamenti di proprietà attualmente vuoti. Col passare dei giorni si sono messi a punto protocolli di accoglienza più strutturati, supervisionati dalla Prefettura e dall’Ulss, al fine di offrire un’ospitalità coordinata. Per l’Altovicentino sarà Santorso, comune con una grande esperienza nell’accoglienza diffusa grazie a iniziative come lo SPRAR che negli anni scorsi avevano con-

sentito l’integrazione di profughi e rifugiati politici, a fare da coordinatore. L’otto marzo è stato lanciato il progetto “Tenda di Abramo” pensato proprio per le persone in fuga dalla guerra ucraina. Nel momento in cui stiamo scrivendo l’iniziativa è ancora in fase di definizione, ma è già possibile contattare i propri comuni di residenza per mettere a disposizione spazi per l’accoglienza in abitazioni private. ◆


[10] ◆ Thiene Attualità

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Omar Dal Maso

uattro moschettieri del “bene fatto per bene”. In realtà sono almeno otto, perché l’associazione “4Inzu” nasce dall’alleanza tra quattro famiglie, coppie di genitori adottivi che non si sono accontentati di regalare una vita nuova ai rispettivi bimbi del Burundi accolti come figli a tutti gli effetti, ma si stanno battendo per erigere una casa - inzu in lingua locale ha il doppio significato di “famiglia” e di “casa” appunto – dove ospitare altri piccoli orfani che hanno il diritto di crescere in condizioni igieniche, sanitarie, sociali e scolastiche quantomeno dignitose e “protette”. Tre di questi “clan” multietnici e monocuori sono pugliesi, uno è veneto e altovicentino, costituito, almeno in origine, amichevolmente da Toni e Bea. Antonio Paciletti è un thienese che da una quindicina d’anni ormai vive a Zanè insieme a Beatriz, spagnola di Las Palmas, nelle Isole Canarie. Lui è cofondatore della onlus e vicepresidente. Nonchè novello scrittore, raccontando “la sua Africa” ma soprattutto di Enock, il figlio adottivo della coppia, che

In alto Beatriz, Enoch e Antonio Paciletti sfogliano il libro scritto per raccontare la loro storia. Qui, Antonio con Enoch

Un libro per Enoch Antonio Paciletti ha raccontato nel libro “Certe notti ti guardo dormire” la storia di amore e di umanità che ha portato lui e Beatriz ad adottare Enoch, un bambino del Burundi che oggi ha nove anni, e a dare vita, insieme ad altre tre coppie adottive pugliesi, alla onlus “4Inzu”, che nel paese africano sta costruendo un orfanotrofio.

compirà 9 anni tra pochi mesi.A completare il “clan” la cucciolosa Tsuba, una cagnolina di un anno. Dal 2017, il piccolo Enoch, burundese di nascita dal sorriso smagliante e dalle treccine fashion, ha trovato una famiglia che lo ha cercato senza demordere mai, nonostante un oceano di ostacoli, ed è il protagonista di una storia da raccontare. Racchiusa in un volume di 136 pagine intitolato “Certe notti ti guardo dormire – Storia di una famiglia con tre passaporti” uscito ai primi di marzo edito da Rizzoli, dopo il successo di una prima stesura autoprodotta e lanciata su Amazon. Ogni euro di ricavo, manco a dirlo, andrà a finanziare il progetto che Antonio Paciletti e Beatriz Barrasco, insieme agli amici di “4Inzu”, desiderano portare a termine. Sono arrivati a circa 300 mila euro i fondi raccolti e investiti nella costruzione di un orfanotrofio a Giteca, capitale politica del Burundi, una nazione martoriata dai conflitti etnici “sconfinati” dal Ruanda. Si chiama “Nice Hope House”, gestita da Aedpb, acronimo inglese che sta per Associazione Bambini in Difficoltà per il Progresso del Burundi. Nel libro si celebra la (ri)nascita di una famiglia, come il sorgere del sole dopo un buio costellato di rumori e di silenzi, che si potrebbe associare a una giungla ben più fitta di quelle dell’Equatore, rappresentata da dispensiosa burocrazia, interessi torbidi e interminabili attese per portare a termine un’adozione internazionale. “Nice Hope House” è già in parte costruita e operativa, con tre moduli abitativi

completati e un’attività di panificazione “in proprio” al via. La scuola materna costituirà il quarto modulo. C’è anche il progetto di quattro borse di studio per ragazzi universitari che collaborano con l’orfanotrofio. Tra i 50 e i 60 bambini sono ospitati qui, alcuni in tenerissima età, grazie anche alla generosità di tanti italiani, tra chi ha donato denaro e chi macchinari o attrezzature spediti in Burundi per la buona causa. Un “lieto fine senza fine” che Antonio e Beatriz si coccolano ogni giorno, al pari delle famiglie-sorelle che si sono incontrate per volere del destino sulle sponde del Lago Tanganica. Per la coppia di Zanè è impossibile scordare quanto sopportato nel passato tra peripezie snervanti descritte nel volume, e nemmeno quella sorta di “pulsione responsabile” che li spinge oggi, insieme alla altre coppie di genitori, a unire le forze per chi ha il diritto di trovare una casa e una famiglia. Inzu, appunto. Un luogo sicuro, con angeli custodi affidabili intorno, e magari con dei genitori da abbracciare all’orizzonte. “Quando arrivi lì e scendi dalla macchina, tutti i bambini ti corrono incontro e non puoi che abbassare gli occhi e incontrare i loro occhiono che ti chiedono: e io?”, raccontano mamma e papà di Enock. Che ora corre dietro a un pallone con i suoi compagni di squadra e davanti a una vita che fatica a stargli… dietro vista la sua dinamicità e vivacità. Tanto che, anche Antonio, il nuovo papà, deve aspettare la sera per averlo tutto per sé, per poter “certe notti guardarlo dormire”. ◆



[12] ◆ Schio Attualità

Il rendering che mostra come sarà il nuovo ecocentro di via Cazzola, una volta completato. Nell’altra pagina, altre immagini al computer dell’esterno della struttura

Ecco il nuovo ecocentro, sarà un “Parco del riciclo” È partito l’iter del progetto che entro il 2023 porterà alla realizzazione in zona industriale di un nuovo e moderno ecocentro-ricicleria per i rifiuti che oggi si portano alle due ecostazioni di Campagnola e di Magrè. Sarà un’area di 5 mila metri quadrati strutturata secondo i nuovi criteri del trattamento dei rifiuti.

L’

Stefano Tomasoni

erba sfalciata, la sedia sfasciata, la lavatrice rotta, il materasso sfondato, il forno a microonde fuso, le scatole e gli imballi di cartone, i cocci e le tegole rotte, i rifiuti elettrici. Quando capita di avere questi scarti o questa roba vecchia da buttare via, si carica l’auto e, nei giorni di apertura, si porta tutto alle ecostazioni di Campagnola o di Magrè. È quel che si continuerà a fare ancora per un paio d’anni, dopodiché entrerà in scena lui, il “Parco del riciclo”. Il nuovo e più moderno ecocentro che manderà in pensione la struttura di Campagnola e renderà secondaria quella di Magrè, che però rimarrà attiva. Il “Parco”, il primo del genere nell’Alto Vicentino, sarà un’area di 5 mila metri qua-

drati in zona industriale, in via Cazzola, alla fine dell’ampia curva che porta verso il depuratore e l’impianto di smaltimento dei rifiuti. Un nuovo punto di raccolta attrezzato con appositi contenitori per il conferimento di ogni tipologia di rifiuto da parte di utenze domestiche e non domestiche.

“Serve restare al passo con l’evoluzione nel campo dei rifiuti” Quello del nuovo ecocentro è un progetto che affonda le sue radici ancora nel primo mandato dell’amministrazione Orsi. “Che ci sia esigenza di un nuovo ecocentro credo sia consolidato – spiega l’assessore all’ambiente, Alessandro Maculan -. L’esperienza dei due attuali ecocentri è stata importante, andavano benissimo quando sono stati costruiti a inizio anni duemi-

la e hanno fatto fino in fondo il loro lavoro. In vent’anni, peraltro, l’evoluzione nel mondo del trattamento dei rifiuti è stata notevole e anche la sensibilità ambientale nel campo del recupero della materia è cresciuta notevolmente: si è ormai capito che non tutti questi volumi di materiali sono rifiuti da destinare a discarica o incenerimento, ma in realtà sono in gran parte recuperabili. Questa evoluzione è stata accompagnata dalle diverse politiche di raccolta differenziata che si sono sviluppate in questi vent’anni nei nostri comuni. Di conseguenza, le ecostazioni sono l’anello fondamentale per la chiusura del cerchio del ciclo di raccolta integrato dei rifiuti”. In definitiva, gli attuali ecocentri pur soddisfando le esigenze della città, non sono più al passo con le evoluzioni che ci sono state anche nel mondo del recupero della materia.

Ci sarà anche un’area “ricicleria” Il nuovo ecocentro sarà dotato anche di una vera e propria novità: una “ricicleria”, ossia un’area dedicata e coperta dove si potranno portare oggetti ancora utilizzabili prima che diventino rifiuti, un punto


Schio ◆ [13] di raccolta che si troverà proprio all’inizio del percorso interno dell’impianto e dove gli operatori presenti valuteranno con l’utente quali materiali possono essere ancora valorizzabili sul mercato. “Il Parco del Riciclo è ideato per superare l’accezione negativa attribuita a queste aree, che sono indispensabili per il recupero di materiali e che invece spesso vengono ancora definite discariche – spiega l’assessore all’ambiente Alessandro Maculan -. Questo progetto è un’importante novità per Schio e per l’intero territorio, in linea con quanto prevedono le attuali politiche nazionali e sovranazionali per il trattamento dei rifiuti e la promozione del riuso, che relegano a ultima ipotesi lo smaltimento definitivo per incenerimento o sotterramento dei materiali. Con questa nuova opera intendiamo sottolineare l’impegno della nostra città nel contribuire alla salvaguardia dell’ambiente sotto il profilo di una corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti che, se ben strutturata, li trasforma in risorsa. La ricicleria sarà una parte essenziale di questa struttura d’avanguardia, che ha l’ambizione di inserirsi a pieno nella strategia europea delle 4 R: riduco, riuso, recupero, riciclo”.

Aperto sei giorni su sette, H24 Il nuovo ecocentro utilizzerà nuove tecnologie che consentono di allargarne l’utilizzo e di prevedere una vera e propria “rivoluzione” negli orari, elemento che finora ha rappresentano il punto debole degli ecocentri. Il “Parco” sarà aperto sei giorni su sette e per determinate categorie di rifiuto sarà accessibile a qualsiasi ora del giorno mediante accesso elettronico associato al proprio codice fiscale. L’ecocentro sarà suddiviso in tre zone. Nella parte centrale ci saranno i cassoni per i rifiuti, l’area dedicata al conferimento “H24” e un capannone per lo stoccaggio dei beni riutilizzabili. Nella zona circostante verrà creato un percorso sopraelevato rispetto al piazzale, con passerelle pedonali e posti auto per agevolare la fase di conferimento. Infine una zona, in prossimità dell’ingresso, sarà destinata agli uffici e alla guardiola. Saranno previsti due percorsi diversi per gli utenti che conferiscono i rifiuti e per i mezzi di AVA che si occuperanno del ritiro. L’ingresso avverrà sempre da via Cazzola senza impatto sulla viabilità perché è prevista un’area-filtro esterna. Prevista anche, in totale, una cinquantina di posti auto a servizio degli utenti e degli addetti ai lavori. Ci sarà spazio anche per il verde, con un’area di 250 metri quadrati dove verranno piantumate specie arboree autoctone e un percorso didattico per sensibilizzare alla cultura del riciclo.

Attualità

L’area sarà dotata di videosorveglianza e negli orari di apertura sarà sempre presente un’équipe che vigilerà sul corretto conferimento e darà supporto sulla destinazione dei materiali.

La maggiore novità della futura struttura sarà la “ricicleria”, ossia un’area dedicata e coperta dove si potranno portare oggetti ancora utilizzabili prima che diventino rifiuti.

Il bando entro l’anno, i lavori entro il 2023 Il progetto è inserito nel Piano degli investimenti 2022 ed è arrivato alla sua fase esecutiva. Attualmente è in definizione l’indagine archeologica, passaggio che la legge impone sempre di fare quando si interviene in una zona industriale. Una volta fatta quella, resterà da capire – se per allora non sarà già stato chiaro – quale sarà l’esito del bando di finanziamento nell’ambito dei fondi del Pnrr a cui il Comune ha partecipato puntando a coprire una parte consistente della spesa necessaria alla realizzazione del nuovo ecocentro, che ammonta in totale a 1 milione e 450 mila euro.

“L’obiettivo è ottenere un cofinanziamento del valore di circa un milione di euro – dice Maculan -. Abbiamo grosse aspettative in questo senso, perché il progetto rispetta al cento per cento i requisiti di accesso al bando. Qui si va verso il recupero di materia con una nuova concezione di servizio al cittadino, si va a servire un bacino di utenza relativamente ampio qual è quello della città di Schio e quindi si va a integrarsi nell’ultimo decreto legge in materia di economia circolare. Una volta che avremo l’esito della richiesta fatta, si procederà con l’emanazione del bando di gara che, terminate presumibilmente per fine anno le procedure per l’assegnazione dei lavori, dovrebbe portare alla realizzazione dell’opera nel corso del 2023”. Si capirà presto, dunque, se anche il Pnrr contribuirà all’opera. In tutti i casi il progetto del nuovo ecocentro di via Cazzola è partito e arriverà fino in fondo. Vicino al depuratore e non distante dall’impianto di Ca’ Capretta. Quasi un “polo del trattamento e dei rifiuti”, a quel punto. Tutto si tiene. ◆




[16] ◆ Schio

Un originale acquario dove tutti gli oggetti, anche i pesci, sono realizzati all’uncinetto dagli anziani dei centri servizi. Nella foto sotto, ospiti al lavoro ancora in attività con l’uncinetto

Attualità

La preoccupazione, ora, è che quanti in passato avevano goduto dei servizi tornino davvero a usufruirne: due anni di confinamento e solitudine hanno reso molti anziani più timorosi e li hanno disabituati al contatto con gli altri.

U

Camilla Mantella

na buona notizia per il mondo della terza età scledense. Con l’arrivo della primavera ricominceranno le attività presso i centri servizi per anziani “San Francesco”, nel parco di via Baratto in centro, e “La Filanda”, presso la casa albergo di via Camin a Magré. I centri, gestiti da “La Casa” in convenzione con il Comune di Schio, hanno alle spalle una storia trentennale e per la prima volta, a causa del Covid, hanno subìto uno stop quasi biennale che ne ha ridotto drasticamente l’operatività. La quasi totale interruzione dei servizi – che consistono in attività di stimolo e aggregazione per le fasce più anziane della popolazione – è stata molto pesante per gli utenti, la maggior parte dei quali ha sofferto la solitudine di un confinamento individuale all’interno delle mura domestiche, con scarsissime possibilità di socializzazione e senza le competenze digitali necessarie per poter mantenere i contatti con il mondo esterno. Nel giro di pochi giorni i partecipanti alle attività dei centri servizi hanno visto la loro routine sociale mutare sensibilmente, in una fase della vita in cui cambiamenti così drastici nelle abitudini sono di difficile gestione.

Riaprono i centri servizi per gli anziani Dopo due anni di attività a singhiozzo a causa della pandemia, gli spazi dei complessi “San Francesco” e “La Filanda” riaprono i battenti per gli anziani che ne usufruiscono in orario diurno.

“Prima della pandemia le settimane programmate dai centri avevano sempre in agenda attività, feste, pranzi, gite e rappresentazioni teatrali, ma da due anni solo nei pochi mesi estivi è stato possibile realizzare qualche iniziativa, con tutte le limitazioni imposte dal Covid - raccontano assistenti sociali e volontari che animano le iniziative dei due centri cittadini -. Ciò si è ripercosso negativamente soprattutto sugli utenti esterni dei centri, ovvero quegli anziani che, non abitando nei complessi residenziali San Francesco e La Filanda, accedevano alle nostre proposte solo nelle ore diurne. Perfino nei mesi in cui la presa del virus si era fatta meno stringente era diventato davvero complicato organizzare qualsiasi cosa: il numero ridotto di persone che potevamo accompagnare in bus per visite guidate sul territorio, la necessità di mantenere costante un distanziamento sociale che ci obbligava ad attività perlopiù statiche, la preoccupazione che non avvenissero troppi contatti tra residenti interni delle strutture e ospiti esterni, hanno reso difficile offrire agli utenti quei momenti di svago e convivialità che sono così importanti per il loro benessere. Un po’ più semplice, invece, è stato mantenere attiva l’animazione per gli abitanti stabili dei due complessi, che hanno sempre potuto fare affidamento, eccetto nei momenti più rischiosi della pandemia, sui servizi offerti”. In queste settimane gli operatori stanno lavorando per la ripartenza, grazie anche

al supporto dei volontari che da anni li affiancano nello svolgimento delle varie attività. “Con il mese di aprile si riapriranno le attività, sperando che il virus ci permetta di ritrovarci - continuano i referenti dei due centri -. Abbiamo già in programma di festeggiare insieme la Pasqua”. I centri sono aperti 4 pomeriggi alla settimana, mentre il servizio pranzo è disponibile dal lunedì al sabato: per l’accesso è necessario il green pass e una tessera di iscrizione del costo di 30 euro annuali. Gli utenti possono usufruire del servizio ristorazione per il pranzo e del servizio di parrucchiera e pedicure, senza contare le attività manuali e culturali che vengono proposte settimanalmente. A Magrè il gruppo infermieri volontari cura l’ambulatorio aperto tutte le mattine dal lunedì al venerdì e il gruppo corale della Filanda ha ripreso la sua attività grazie alla preziosa collaborazione del maestro Valerio. La preoccupazione, ora, è che quanti in passato avevano goduto dei servizi tornino davvero a usufruirne: due anni di confinamento e solitudine hanno reso molti anziani più timorosi e li hanno disabituati al contatto con gli altri. Per questo si sta pensando di animare gli spazi esterni dei due centri assieme a realtà associative e gruppi scout che consentano l’apertura di questi luoghi a tutta la comunità scledense, facilitando l’incontro tra generazioni e creando occasioni di ricreazione e dialogo. ◆



[18] ◆ Thiene

l prof. Lorenzo Meneghini, coordinatore del progetto che ha visto i due studenti del “Corradini” premiati dal Cern.

Attualità

G

Omar Dal Maso

inevra “chiama” Thiene e, soprattutto, lo fa per complimentarsi con due studenti del liceo “Corradini” ormai prossimi alla maturità. I destinatari sono Diletta De Boni e Edoardo Rossi, “ambasciatori” dei giovani “corradiniani” in un evento speciale: entrambi frequentano la classe quinta a indirizzo scientifico nell’istituto cittadino e il lavoro di ricerca presentato dai due in accoppiata, nell’ambito di un convegno svoltosi a fine febbraio, è stato assai apprezzato. Il mittente dei lusinghieri complimenti è il Cern, il Centro Europeo per la Ricerca Nucleare che ha sede appunto a Ginevra, attraverso il messaggio della responsabile della comunicazione interna dell’organizzazione scientifica, sostenuta e finanziata da 23 stati d’Europa. A colpire è stata la presentazione dei due diciottenni, “davvero efficace e avvincente” come ha spiegato Marina Maino, dirigente scolastico del liceo: “Il messaggio ha rivolto parole di apprezzamento per il progetto e in particolare ha elogiato gli studenti del Corradini per la competenza dimostrata nella discussione”. Il tema portante del convegno era il legame tra le cosiddette “scienze esatte” e quelle del “sociale”, con punto focale l’analisi di differenze e dei punti di congiunzione tra due “sfere” solo in apparenza distanti. Lo studio deriva anche dall’esperienza maturata nell’alternanza scuola/lavoro – ora denominata Pcto – che ha permesso di abbinare il “sapere al saper fare”, come gli stessi Edoardo e Diletta hanno sottolineato. Parole di lode giunte nella tavola rotonda finale dopo le esposizioni dei progetti che, considerata l’autorevolezza dell’ente da cui provengono, assumono un peso specifico

Diletta De Boni

I complimenti del Cern a due studenti del “Corradini” I destinatari delle lodi arrivate da Ginevra sono Diletta De Boni e Edoardo Rossi, della classe quinta a indirizzo scientifico del liceo thienese, che hanno svolto un lavoro di ricerca nell’ambito di un convegno realizzato in febbraio dall’organizzazione scientifica europea.

speciale non solo per i “messaggeri” incaricati di illustrare il frutto del lavoro di team, ma per l’istituto superiore thienese, che tra l’altro ha appena festeggiato i 60 anni di storia (fu fondato nel 1961) e conta oggi sei indirizzi di studio. Diletta, assieme al gruppo guidato dal prof. Gerardo Campagnolo, si è occupata di analizzare dati legati alla pandemia, con riferimento alla campagna vaccinale, cercando di esaminare i risvolti sociali della pandemia. Uno dei contributi più significativi è l’analisi dell’incremento della violenza di genere, confrontando Italia, Regno Unito e Australia durante il periodo di convivenza forzata del primo lockdown. Edoardo, invece, assieme al suo team, si è occupato di analizzare dati legati al basket, confrontando quelli raccolti a scuola durante le lezioni di Scienze motorie e sportive con quelli

Edoardo Rossi

ottenuti durante la “Notte dei ricercatori” dal centro BODaI-Lab di Brescia. “Quando ho ricevuto le congratulazioni dal Cern – ha commentato la preside Maino per il lavoro svolto dagli studenti, stimolati dai docenti, e per come gli stessi erano riusciti a presentare il frutto delle loro ricerche e a sostenere un dibattito di fronte a un pubblico di studiosi, mi sono sentita emozionata e orgogliosa”. A coordinare il progetto thienese è stato il prof. Lorenzo Meneghini, da oltre vent’anni “corradiniano” doc dietro la cattedra di matematica e fisica. Lui stesso in passato ha partecipato a corsi di aggiornamento nella sede Cern di Meyrin, nella periferia di Ginevra. Il docente ha spiegato come questo successo sia stato costruito sulla capacità dei ragazzi di far parlare i numeri e di leggere la realtà e di comunicare il tutto con competenza e sicurezza. A collaborare nelle diverse fasi la stessa prof.ssa Maino e il prof. Demetrio Dalla Pria. Se è vero che a “inorgoglire” dirigenti e studenti del liceo è stata la menzione per così dire istituzionale da parte del Cern, non da meno hanno portato soddisfazioni i commenti giunti dall’Italia tra coloro – insegnanti di materie scientifiche - che hanno assistito al convegno. Giusto citarne alcuni tra i più significativi: “Il lavoro che state facendo è d’oro. Senti questi ragazzi come parlano e trattano questi temi. Stupendo”, “Bel progetto… fuori dalla mia comfort zone e per questo ammirabile”. ◆



[20] ◆ Schio Attualità

C’è chi sostiene che proprio qui da noi l’emergenza climatica del pianeta si faccia sentire con particolare intensità. Un aumento delle temperature definito “allarmante” da chi di recente ha voluto richiamare l’attenzione sul problema con una performance durante il mercato settimanale.

P

Elia Cucovaz

er i nostri nonni la questione del cambiamento climatico si poneva in termini semplici: “Quando el Sumàn el ga el capèlo, se piove oncò, doman xe belo”. E questo era quanto. A pensarci bene, questo proverbio, in tutte le sue molteplici varianti, dimostra un preciso atteggiamento nei confronti della meteorologia. “Forse non possiamo prevedere il tempo – sembra dirci la saggezza popolare – ma non è poi una gran tragedia”. Per la civiltà rurale un clima più secco o più piovoso del dovuto poteva fare la differenza tra abbondanza e carestia. Tuttavia non veniva mai meno la fiducia, instillata da una secolare esperienza, che ai giorni neri sarebbero seguiti immancabilmente tempi migliori.

Vuoi vedere che il clima cambia in peggio proprio a Schio? Gli attivisti di Extinction Rebellion Altovicentino, sostengono che a Schio e Malo negli ultimi 50 anni c’è stato un aumento delle temperature medie di ben 3,2 gradi centigradi, e di 1,2 gradi dal 2020. Numeri che, secondo il comitato, spiegherebbero “il moltiplicarsi degli eventi meteorologici intensi e dei danni all’agricoltura e alle attività produttive”.

Oggi il sentimento generale è radicalmente diverso. Non si guarda più alle questioni climatiche con la stessa fiduciosa serenità delle generazioni che ci hanno preceduto (e, ironia della sorte, ciò avviene proprio ora che il benessere non dipende più così direttamente dall’andamento della stagione). Quello che per secoli è stato percepito come un ciclo naturale, sostanzialmente immutabile pur nell’alternarsi delle burrasche e della siccità, del caldo e del freddo, oggi ci appare piuttosto in forma di grafico ascendente. Una linea che rappresenta l’aumento delle temperature, il ritiro dei ghiacciai, la violenza dei fenomeni atmosferici. Con previsioni per il futuro tutt’altro che rosee.

Le temperature dell’Alto Vicentino Anche guardando al nostro “piccolo orticello” – se così possiamo chiamare il territorio dell’Alto Vicentino – è sensazione comune (almeno per i non più ragazzini) che il clima sia abbastanza diverso da quello di venti o trenta anni fa. Ma c’è anche

chi sostiene che proprio qui da noi la “febbre” del pianeta si faccia sentire con particolare intensità. Un aumento delle temperature definito “allarmante” dal comitato Extinction Rebellion Altovicentino, che di recente ha voluto richiamare l’attenzione con una performance durante il mercato settimanale. Gli attivisti, vestiti di rosso, hanno sfilato reggendo cartelli che dichiaravano un aumento delle temperature medie a Schio e Malo di ben 3,2 gradi centigradi, negli ultimi 50 anni, e di 1,2 gradi dal 2020. Variazioni messe a confronto con l’aumento medio di circa 0,5 °C registrato in Veneto e di 0,3 °C a livello mondiale. Numeri che secondo il comitato spiegherebbero “il moltiplicarsi degli eventi meteorologici intensi e dei danni all’agricoltura e alle attività produttive”, portando come esempi l’alluvione del 2010, le grandinate del 2017, la tempesta Vaja del 2018, i nubifragi del 2020. Le conclusioni, secondo il gruppo (una rete internazionale di cui il comitato Alto Vicentino costituisce solo uno dei molti nodi), sono queste: “Il Veneto e in partico-


Schio ◆ [21] lare la nostra provincia vanno considerati zona rossa per il cambiamento climatico. È evidente che la situazione continuerà a degenerare ogni anno che passa. Se vogliamo avere qualche speranza di salvare l’ambiente in cui viviamo e di conseguenza noi stessi dobbiamo agire ora per affrontare la grave crisi ecologica”.

I dati Arpav: “Variazione preoccupante” Quindi gli abitanti dell’Alto Vicentino devono davvero considerarsi nell’occhio del “ciclone climatico”? Per cercare di porre la questione in termini rigorosi abbiamo interpellato l’Arpav, l’agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, che ci ha risposto per bocca di Fabio Zecchini, dell’ufficio dati e clima, il cui lavoro è focalizzato anche sul tema dei cambiamenti climatici. La sua analisi (che possiamo riportare qui solo in estrema sintesi, concentrandoci sugli aspetti che riguardano più da vicino il nostro territorio) parte proprio contestualizzando la situazione della nostra regione. “Analizzando i dati delle stazioni attive negli ultimi trent’anni – riporta l’esperto – troviamo per il Veneto (come peraltro in regioni limitrofe) un trend significativo di incremento delle temperature medie annue di circa +0.55 °C a decennio”. Una variazione che l’Arpav definisce “preoccupante”. Per fare un confronto, l’aumento medio di temperatura per le terre emerse nello stesso periodo di tempo è stimato in +0,33 °C per decennio. I cambiamenti climatici infatti non si manifestano allo stesso modo in tutte le aree del pianeta. “Il Veneto si inserisce nell’hot spot mediterraneo, zona nella quale gli effetti del riscaldamento globale sono accelerati”. E questo si concretizza in estati e autunni più caldi, primavere più piovose, “notti tropicali” d’estate e sempre meno gelate in inverno. “Concentrandoci specificamente sull’Alto Vicentino - continua Zecchini – non disponiamo di serie storiche complete e omogenee degli ultimi 60-70 anni e non è quindi semplice verificare”. Tuttavia, attraverso un’elaborazione dei dati in possesso di Arpav e confrontando la temperatura media con quella del ventennio 1961-1980 l’esperto ha ottenuto che mediamente nell’ultimo decennio l’aumento si attesta sui +2,3 °C. Aggiunge tuttavia che questo dato ha poco significato in sé. “L’aumento dal 2010 a oggi ha poco significato. Non è consigliabile fare calcoli su così pochi anni. Il salto dell’ultimo decennio rispetto al precedente segue il trend generale di circa +0,55 °C”.

Attualità conseguenze sulla salute umana e richiede interventi di adattamento i cui costi saranno via via crescenti.

Aumentano i fenomeni intensi, dalle siccità alle alluvioni Per quanto riguarda invece l’aumento dell’intensità delle precipitazioni Zecchini fa presente che non si riscontrano trend statisticamente significativi. E tuttavia rileva che “negli ultimi 15 anni le piogge in regione sono aumentate mediamente del 15% rispetto al periodo 1993-2006, con aumenti maggiori proprio nelle aree già di per sé più piovose, come l’Alto Vicentino”. Altri indicatori segnalano aumenti nell’intensità media delle precipitazioni registrati nell’ultimo quindicennio nella nostra regione, in particolare durante gli eventi di pioggia intensa (+27%). Per quanto riguarda gli eventi singoli, sostiene che sia troppo complesso provare ad attribuirne la causa al cambiamento climatico. “Di certo, però, più temperatura comporta più energia che comporta più eventi intensi di ogni tipo: dalla siccità alle alluvioni”. Insomma, stando ai dati, l’Alto Vicentino, che per anni si è considerato in certo qual modo un’isola felice, non può dirsi estraneo agli effetti del mutamento climatico. Nei documenti dell’ufficio dati a clima dell’Arpav citati da Zecchini è riportato che l’alterazione delle condizioni climatiche impatta sugli ecosistemi e nella loro capacità di sostenere la vita e che l’estremizzazione di tali fenomeni determina

Le previsioni per il futuro Che previsioni a questo punto, si possono fare per il futuro? I modelli utilizzati da Arpav per prevedere quali cambiamenti sia ragionevole attendersi anche su scala regionale sono elaborati nell’ambito di programmi internazionali come il progetto “Euro Cordex”, che coinvolge alcuni tra i più importanti enti di ricerca nel campo della climatologia): “Ipotizzano che vi sia una relazione tra l’aumento delle temperature che stiamo osservando e i gas che l’uomo immette nell’atmosfera utilizzando i combustibili fossili”. In base a questi modelli, se le emissioni umane continuassero al ritmo attuale, in aree del Veneto come la pianura vicentina possiamo attenderci un’accelerazione dell’aumento delle temperature, per arrivare entro la fine del secolo a +5,5 °C rispetto a oggi. Se le emissioni venissero ridotte al livello dell’era pre-industriale, l’aumento nello stesso arco di tempo sarebbe comunque di un grado. Uno scenario intermedio di contenimento dei gas-serra porterebbe a un aumento delle temperature medie superiore ai due gradi. Vada come vada, c’è da scommetterci, il Summano, che già ne ha viste di cotte e di crude, continuerà a sfoggiare, di quando in quando, il suo cappello. Meno facile da prevedere è chi ci sarà a guardarlo e con che sguardo lo farà.◆


[22] ◆ Schio Il personaggio “Nell’Europa unita dobbiamo credere oggi più che mai. In questo i giovani sono sensibili e preparati, è il momento di farli diventare veramente protagonisti del loro futuro”.

I

“Rimarrò sempre un professore” Michele Di Cintio è un intellettuale conosciuto per il suo impegno come docente di storia e filosofia, come preside di liceo (a 35 anni fu il più giovane d’Italia in questo ruolo) e poi come ispettore ministeriale. E in particolare per il suo impegno a favore degli ideali europei e dei diritti umani.

Mirella Dal Zotto

l professor Michele Di Cintio è un intellettuale molto conosciuto in città per il suo impegno come docente di storia e filosofia, come preside di liceo e poi come ispettore ministeriale. Ha insegnato didattica della storia per la SSIS del Veneto (la Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti di scuola secondaria) e didattica interculturale della storia all’Università di Padova per i master di studi interculturali. Ha ricevuto nell’88 il prestigioso premio “J. Monnet” dal Parlamento europeo. Attualmente è presidente della sezione vicentina della SFI (Società Filosofica Italiana), dell’Accademia di Studi Storico Filosofici “Areté” e del CIRFDI (Centro internazionale di ricerca e formazione per il dialogo interculturale). Ha firmato trenta volumi come autore o coautore e ha scritto numerosi saggi e articoli su riviste specializzate. È ora in libreria, da lui curato, “Filosofia della liberazione”. Incontriamo il prof. Di Cintio nella sua casa piena di libri, fra gli adorati cani, per parlare di lui come intellettuale, uomo di scuola, divulgatore. “Mi sono laureato a Bari in filosofia teoretica nel 1972 – esordisce – e sono arrivato a Schio nel ’75; all’inizio ho insegnato italiano e latino allo scientifico, in seguito sono passato al classico, dove ho promosso la sperimentazione linguistica. Avevo 35 anni quando sono diventato preside al Corradini di Thiene ed ero il più giovane dirigente scolastico d’Italia: in quella scuola sono rimasto per tredici anni, fin quando, nel 1998, ho vinto il concorso ispettivo per l’area di scienze storico-sociali”. Un grande impegno nella scuola, il suo, ma anche per la promozione dei diritti umani e dell’europeismo, quanto mai attuale.

“Da sempre questi due vitali macrotemi mi affascinano; il premio “Jean Monnet” per

poi la scuola non può e non deve essere un’impresa. C’è ben altro e forse adesso ce ne rendiamo conto: i governi non devono risparmiare sulla pelle degli studenti, devono investire ora più che mai nell’educazione e nell’istruzione”. Lei non smette, comunque, di fare scuola.

me è stato di grande importanza e mi ha ulteriormente spronato a proseguire nella direttiva. Con Antonio Papisca ho collaborato al corso di laurea in diritti umani all’Università di Padova, unico in Italia (se ne contano cinque in Europa). Mi sono attivato nella promzione dei campus internazionali per gli studenti e per il PES, il Parlamento Europeo degli Studenti. Nell’Europa unita dobbiamo fortemente credere, oggi più che mai; direi che i giovani in tal senso sono sensibili e preparati: è il momento di farli diventare veramente protagonisti del loro futuro”. Ma la scuola fa abbastanza, professore?

“La scuola fa quel che può, soprattutto in questi ultimi tempi, ma sono tanti i docenti impegnati a non limitarla ai programmi curricolari, per dare spazio e lustro alla nostra storia e all’educazione civica. La riforma Moratti non è stata un bene per la scuola, sia chiaro: inglese, informatica e impresa non bastano, e

“Rimarrò sempre un professore, fa parte del mio Dna. Nel 2007 sono andato in pensione e nel 2008, a Padova, ho fondato l’ADEC (Associazione docenti europeisti per la cittadinanza), presiedendola per tre anni. Sempre nello stesso anno ho promosso la sezione vicentina della Società Filosofica Italiana, aprendo al pubblico i corsi, che tuttora hanno molto sèguito anche a Schio; la filosofia è e deve essere di tutti, ci credo profondamente. Sul filo di questa idea è nata anche Areté, accademia popolare di studi storici e filosofici: i corsi, aperti al pubblico di qualsiasi estrazione e con qualsiasi titolo di studio, vengono spesso legati a viaggi culturali per scoprire le nostre radici”. Corsi, viaggi e convegni importanti, ci risulta.

“A giudicare dalla frequenza, direi proprio di sì. Ero a Palermo anche un mese fa per parlare della realizzazione del sogno europeo e sempre di Europa ho parlato recentemente a Vicenza, Padova, Valdagno”. I giovani come rispondono? Perché è questa la cosa più importante.

“Sono meravigliosi e hanno sete di sapere e di poter fare. Entro fine anno, tra Veneto e Sicilia saremo in grado di produrre con loro dei video che arriveranno a Strasburgo. Saranno i giovani studenti a ispirare, a Polizzi Generosa, un paesino delle Madonie, un manifesto per il nuovo umanesimo, che si realizzerà grazie al contributo della Fondazione Borgese. All’umanesimo si deve tornare, se vogliamo una società più giusta, libera e pacifica; non ce n’è più soltanto bisogno, si tratta di una necessità impellente”. ◆



[24] ◆ Schio Spettacoli

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Mirella Dal Zotto

al 2018 Schio è “Città che legge”, qualifica riconosciuta alle città italiane che si impegnano ad attuare politiche pubbliche di promozione della lettura; in questo senso, grande importanza rivestono le biblioteche civiche ed è proprio grazie all’aiuto della biblioteca “Bortoli” che sono nati e si sono sviluppati i gruppi di lettura a Schio. Attualmente ce ne sono quattro di operanti: “Letture incrociate”, guidato da Giuliana Cavion, con una ventina di partecipanti che si ritrovano mensilmente presso i locali della biblioteca civica; “Le lettrici del lunedì”, coordinate da Caterina Tabelli, con venticinque iscritti che durante la pandemia hanno continuato l’attività sul loro sito Facebook e dall’ottobre scorso hanno ripreso in presenza, settimanalmente, sempre in biblioteca civica; “Letture in Famiglia”, all’interno delle proposte culturali della Famiglia di SS. Trinità, con una trentina di iscritti che si incontrano ogni settimana nei locali dell’associazione, guidati da Elisa Franchetti; “Lettori in Circolo”, gruppo con venti partecipanti coordinato da Michela Colbacchini, che si ritrova mensilmente al Circolo Cattolico di Magrè. Nell’ambito del Bando Cultura 2022 del Comune di Schio, i quattro gruppi di lettura, guidati tutti da donne, hanno presentato un progetto congiunto dal titolo “Schio città che legge (tutto l’anno)”. Questo si articola in quattro momenti che sottoline-

Quattro gruppi di lettura, un progetto comune Nell’ambito del Bando Cultura 2022, i quattro gruppi di lettura attivi a Schio (guidati tutti da donne) hanno presentato un progetto congiunto dal titolo “Schio città che legge (tutto l’anno)”, che ha programmato quattro occasioni di promozione della lettura.

ano altrettanti importanti appuntamenti di risonanza locale e nazionale, inerenti alla promozione della lettura: la giornata internazionale della donna (8 marzo), la giornata mondiale della poesia (21 marzo), la giornata mondiale del libro e del diritto d’autore (23 aprile) e “Il Veneto legge – Maratona di lettura” (a fine settembre). Per la giornata internazionale della donna i gruppi di lettura hanno proposto un incontro con Michela Di Cintio dal titolo “Mitiche–Donne dell’immaginario nella cultura greca”: la serata ha goduto della partecipazione di un folto pubblico ed

è stata un ottimo inizio nel cammino del progetto. Per la giornata mondiale della poesia si è invece proposto un evento diffuso che ha coinvolto una ventina di bar di Schio, Caffè&Poesia: al momento di pagare la consumazione, ai clienti è stato offerto un gradito cartoncino con un componimento poetico stampato sopra. Per la giornata mondiale del libro e del diritto d’autore è in programma un incontro con Fabio Peserico dal titolo “L’invenzione perfetta – La meravigliosa storia del libro dai volumina all’e-book”. Nel 2022, inoltre, si celebra il centenario dell’inaugurazione del rifugio Achille Papa e i gruppi di lettura di Schio ricorderanno l’occasione a settembre, dedicando alla letteratura di montagna “Il Veneto legge – Maratona di lettura”. Ci sarà un incontro con uno scrittore e verranno organizzate due o tre serate sullo stesso argomento in zone periferiche della città (Giavenale, Tretto, Poleo) per divulgare il più possibile l’amore per la lettura. ◆

Oltre alla prosa, anche jazz e balletto

L’

Astra di Schio ha ospitato due serate di jazz e balletto, entrambe introdotte dal suono delle sirene d’allarme, per ricordare il dramma ucraino. Venerdì 4 marzo “Connection”, serata jazz, ha aperto Schio Musica. Di grande richiamo, per gli appassionati del genere, i musicisti sul palco: Fabrizio Bosso alla tromba, Rosario Giuliani al sax, Alberto Gurrisi all’organo Hammond e Marco Valeri alla batteria. Bosso e Giuliani vantano una collaborazione ventennale e sono considerati dei fuoriclasse, non solo in Italia: Bosso stupisce negli assoli alla tromba, Gurrisi è un funambolo del sax; entrambi sono ospiti fissi dell’Umbria Jazz Festival e, in quartetto con Alberto Gurrisi e Marco Valeri,

spazia da ritmi vorticosi ad altri lenti e profondi, dimostrando grande classe e preparazione. Insieme, a Schio, hanno entusiasmato gli spettatori appassionati venuti ad ascoltarli: non era il pubblico delle grandi occasioni, ma in origine il concerto era stato programmato al Civico, dove avrebbe avuto una cornice diversa, più calda, raccolta e acusticamente migliore. Fra i pezzi più applauditi, “A Winter Day”, che Giuliani ha voluto dedicare al popolo ucraino. Venerdì 11 marzo sul palco dell’Astra hanno danzato i giovani ballerini di Opus Ballet che, nell’ambito del Festival Danza in Rete, realizzato in collaborazione col Comunale di Vicenza, si sono esibiti con originali coreografie sulle “Quattro Stagioni”

di Vivaldi. Grazie al balletto contemporaneo gli spettatori hanno goduto di movenze ariose, plastiche, sinuose, in grado di evocare alberi e uccelli, cacciatori e foglie che cadono, paesaggi innevati… tutto con il sorprendente linguaggio del corpo: stupisce osservare come Aurelie Mounier sia riuscita a ideare, con i suoi ballerini, dei movimenti impensabili, valorizzati ancor più dai costumi, essenziali e luminosi. Non c’è proprio da sorprendersi quando si legge che il Ministero della Cultura, dallo scorso anno, finanzia la compagnia, che ha presentato i suoi spettacoli in vari e prestigiosi contesti nazionali e internazionali, ottenendo importanti riconoscimenti. Sono del tutto meritati. ◆ [M.D.Z.]


Schio ◆ [25] Spettacoli un padre che mi ha avuto a cinquant’anni, certo non giovanissimo. Momò e io siamo vicini”. Ci sono due versioni cinematografiche del romanzo: una con Simone Signoret e quella più recente con Sofia Loren; ovviamente non sono paragonabili alla versione teatrale, ma quali sono i punti di forza di ognuna?

“La mia personale idea è che il cinema, che porta lo spettatore nella realtà delle situazioni, non riesce a rendere la visione poetica, mentre il teatro, come il libro, è in grado di farlo. Non voglio dire che quelle cinematografiche non siano degne interpretazioni, ma il teatro è un’altra cosa”. Maria Laura Rondanini, sua moglie, è assistente alla regia: cosa ha saputo suggerirle?

Orlando: “Da Schio e dalla Fondazione mi aspetto grandi cose”

“È lei “la capa”, ovviamente. Oltre dieci anni fa siamo partiti con un progetto in autoproduzione per portare nuove parole e nuovi testi a teatro: anche se li amo moltissimo, non esistono soltanto i classici e bisogna cercare di essere sempre più vicini al pubblico, alla gente, portando la vita di oggi in scena. Maria Laura e io stiamo seguendo autori come Domenico Starnone e Lucia Calamaro e a Schio ho già proposto, rispettivamente, “La scuola” e “Si nota all’imbrunire”. Nella vostra città trovo tanta sensibilità verso l’innovazione”.

“Apprezzo il patrimonio di archeologia industriale di questa città e ricordo che le coperte della vostra Lanerossi hanno riscaldato i miei sogni di bambino. Apprezzo anche i giovani organizzatori della Fondazione, che si fanno in quattro per mettere a proprio agio attori e spettatori”.

Come attore lei sta ricreando contatti e trasmettendo emozioni in un momento in cui il pubblico, che sta uscendo da una pandemia, viene catapultato in una realtà di guerra e/o, ben che vada, di crisi economica. Cosa dice al proposito?

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Mirella Dal Zotto

Come ha affrontato l’impegno arduo di interpretare un ragazzino che insegna agli adulti?

l Teatro Astra ha ospitato Silvio Orlando, tornato in città con “La vita davanti a sé”, opera teatrale tratta dall’omonimo romanzo di Romain Gary. Orlando, uno fra i più apprezzati attori contemporanei, ha curato l’adattamento teatrale e firmato la regia. Perfettamente inserito nella contemporaneità europea, fatta di migrazioni e crisi, il romanzo dà voce agli ultimi e Orlando ha scelto di interpretare Momò, un ragazzino che vive nella banlieue parigina con Madame Rosa: i due si aiutano nella vita e nella morte, semplicemente volendosi bene. Silvio Orlando, vincitore di una Coppa Volpi, due David di Donatello, due Nastri d’Argento, un Globo d’Oro e due Ciak d’Oro, ha accettato di raccontarci questa sua poetica versione de “La vita davanti a sé”.

“Mi ha aiutato il romanzo stesso, la magica alchimia che Gary è riuscito a creare: non c’è pateticità, non c’è retorica, semplicemente si racconta la vita di alcuni fra gli ultimi, senza farsi trasportare dall’ideologia, ma cercando la poesia. Durante il primo lockdown, nel periodo di chiusura forzata, ho fatto mio il materiale umano del romanzo e ho pensato a come trasformarlo in carne per il teatro”. Quale caratteristica di Momò ha sentito più sua? L’essere, per dirla alla napoletana, uno scugnizzo, l’essere fatalista, l’empatia con l’anziano…

“È stato il personaggio a scegliermi, mi ha commosso e travolto. Anch’io, orfano di madre a nove anni, ho sentito il peso di un’assenza, ho un buco nero nella mia vita. Anch’io ho vissuto con una nonna e con

“Dico che il teatro ha una possibilità storica unica: può rompere la chiusura e la solitudine, che sono mali sociali del nostro tempo. Quanto mi piace ascoltare, dietro le quinte, il chiacchiericcio degli spettatori prima dello spettacolo... È vitale e qualche volta, quando arrivo in scena, mi scuso per doverlo interrompere. Stiamo uniti, stiamo vicini: questo mi sento di raccomandare”. È stato a Schio per la terza volta: si è fatto un giro in città? È rimasto colpito da qualcosa?

“A Schio apprezzo il patrimonio di archeologia industriale e ricordo che le coperte della vostra Lanerossi hanno riscaldato i miei sogni di bambino. Apprezzo anche i giovani organizzatori della Fondazione, che si fanno in quattro per mettere a proprio agio attori e spettatori: sono da lodare, hanno un grande talento unito a una disponibilità che non si trova sempre. Mi aspetto grandi cose da Schio e dalla sua Fondazione, sul serio”. ◆


[26] ◆ Thiene Attualità

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n messaggio da… mettere piazza a cuore aperto, con donne di Thiene e dintorni a scriverlo non attraverso carta e penna o una tastiera, ma attraverso lo sguardo, il corpo, e la dinamica presenza. Un perentorio “No alla violenza” si può dire e meglio ancora dimostrare anche in punta di piedi, o meglio, a passo di danza. Ne sono convinti almeno un miliardo di persone in tutto il mondo, vale a dire tutti coloro che hanno partecipato alle migliaia di flash mob a metà febbraio con il centro storico di Thiene prescelto come scenario artistico, più precisamente piazza Chilesotti nel cuore della città. E che è diventato una sorta di anticipazione “mondiale” proprio qui in Alto Vicentino, rispetto agli analoghi eventi organizzati nei cinque continenti andati in scena lunedì 14 febbraio, con Thiene in anticipo di due giorni al sabato pomeriggio per motivi logistici e la presenza del mercato settimanale in quella data. È stato un evento a libera partecipazione, promosso attraverso i social, associato alla campagna “One Bilion Rising Revolution 2022” su scala planetaria. Da queste parti ha visto in prima linea le associazioni Jazzercize e Asd Santo ‘95, un tutt’uno a tenere le fila di un appuntamento – il secondo dopo quello del 2020 prima della pandemia – che si è svolto con l’approvazione del Comune di Thiene a partire dal lancio della proposta in tutto il mondo. Un even-

Un flash mob contro la violenza In centro storico a Thiene è andata in scena una sorta di “anteprima” di un evento che ha coinvolto milioni di persone in tutto il mondo.

to tra musica e danza certamente riuscito - con la moderna modalità del flash mob e la “preparazione” da remoto attraverso un video con la coreografia da ballare - sia per partecipazione della gente che per l’entusiasmo dimostrato. Un messaggio simbolico in arte, dedicato alla difesa di donne, ragazze e bambine oggetto di abusi e di prevaricazione, ma anche alla tutela di madre Terra, intesa come pianeta da salvaguardare. Tutti temi cari a

chi, magari per la prima volta, si è cimentato in piazza Chilesotti, divertendosi prima di tutto, come assicurano dall’associazione promotrice che ha creato le basi per allestire l’evento, legato da un filo invisibile di speranza a migliaia di altre location nel globo terrestre (almeno 70 gli Stati in cui si è assistito a uno o più flash mob, migliaia solo negli Stati Uniti). La danza, ancora una volta, è stata filo conduttore per amplificare la voce delle donne. ◆ [O.D.M.]

“Bibliopassioni” ha fatto centro

gruppate per aree tematiche, regalando “nozioni & emozioni” ai partecipanti e occasioni di lavoro, guai a scordarlo, per formatori ed esperti nei più svariati ambiti. Una statistica a parte riguarda il pubblico interessato a corsi, eventi e laboratori con il fascino intramontabile della lettura come denominatore comune: 1.786 tra bambini e ragazzi, 144 adolescenti e 324 adulti, per una platea complessiva di 2.254 anime. La lunga avventura intrapresa nel mese di luglio 2020 (ma il ventaglio di proposte era stato ideato prima dell’ondata Covid ed è stato in parte rivisitato) e conclusa con il 2022, lascia in eredità anche una pubblicazione a colori che ripercorre le varie iniziative con i momenti più belli. Un opuscolo che sarà distribuito agli utenti che ne faranno richiesta direttamente alla sede della Biblioteca, a Palazzo Cornaggia. ◆

Il bilancio del progetto lanciato dal Comune di Thiene e dalla biblioteca civica si è chiuso con 177 incontri che hanno coinvolto 2.250 persone, soprattutto bambini.

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n anno e mezzo di iniziative extra e originali, per un totale di 177 incontri, coinvolgendo 2.250 persone di tutte le età, con tante “pagine” dedicate ai più piccoli. È il bilancio culturale del progetto “Bibliopassioni a tutto campo”, dopo che nelle scorse settimane la lunga rassegna che ha attraversato la pendemia Covid-19 si è conclusa, rendendo merito a Comune di Thiene, Biblioteca Civica e l’oltre centinaio di persone che hanno colla-

borato tra operatori dei vari ambiti e volontari. Tutti uniti decretando il successo di un progetto che già in fase di presentazione (e concorso) aveva riscosso ampi consensi. Tanto da meritare un finanziamento da 30 mila euro da parte dello Stato e un secondo posto su scala nazionale all’interno del bando “Città che legge”, indetto dal Ministero della Cultura, tra le città sotto i 50 mila abitanti. Una quarantina le proposte attuate, rag-



[28] ◆ Thiene

Grotto alla recente ultramarotna sulla sabbia di San Benendetto del Tronto. Sotto, con il pettorale 999 alla sua...999esima maratona, corsa a Brescia

Sport

Di recente è arrivato anche un inedito successo nella ultramaratona 50 km sulla sabbia di San Benedetto del Tronto, con il titolo di campione italiano tra i master sempre di categoria over 70.

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rima di partire al suono dello start della maratona di Brescia, a metà marzo, Antonio Grotto si è accorto che di fianco a lui stava per scattare una donna con il numero di pettorale 666. Entrambi si sono messi a ridere perché lui portava la stessa cifra capovolta: il 999, tante come le corse podistiche corse fin qui dall’ultramaratoneta giramondo di Thiene. Dopo aver tagliato il traguardo bresciano domenica 13 marzo – con l’ennesimo primo posto nella categoria d’età 70/74 anni – l’ex imprenditore ora in pensione e nonno a tempo pieno, è già pronto per partecipare in questi giorni alla “Roma Marathon”. La millesima emozione, una corsa simbolicamente speciale. Fino alla successiva ovviamente. A Brescia, dunque,Antonio si è ritrovato, alla consegna dei pettorali, la bella sorpresa di ricevere lo stesso numero delle sue corse. Qualcuno, evidentemente, aveva “fatto la spia”, con lui del tutto ignaro del regalo che lo attendeva prima di partire. “Gli organizzatori mi hanno assegnato il 999, non so chi abbia fatto arrivare la voce, visto che mi ero iscritto normalmente – dice -. Mi ha fatto piacere ovviamente, perfino mi hanno ringraziato loro e questa accoglienza è stata per me davvero toccante. Poi è venuta la soddisfazione del primo posto al termine di 6 ore di corsa”. Dopo i canonici 42,195 km, tempo di una foto ricordo e delle premiazioni, qualcuno lo chiama all’intervista all’arrivo e poi subito a pensare all’ennesima, anzi, millesima, prossima fatica. C’è chi agogna “quota 100” su altri piani e chi, già in pensione, ha aspirazioni ben più alte, quella “quota mille” che nulla ha a che fare con le altitudini, per quanto lo sportivo thienese ami anche la montagna. Nel conteggio rientrano maratone e ultramaratone, in pianura, sugli altopiani e, una

Grotto alla maratona numero mille Antonio Grotto, 72 anni, è ormai arrivato al traguardo rincorso da 35 anni. Fresco vincitore di categoria anche nella 50 km sulla sabbia, con la Maratona di Roma in questi giorni taglia il suo millesimo traguardo.

novità assoluta per lui, pure in spiaggia. Di recente Antonio Grotto ha corso a Malta e Siviglia, fuori dei confini, in un periodo in cui, dopo aver girato tutti i continenti prima come per lavoro e come atleta, sta prediligendo le corse sul suolo italico viste le complicazioni nell’affrontare viaggi internazionali tra tamponi di partenza e di rientro e gare annullate. Ecco perché ha scelto la maratona della capitale, in una rosa di 25 eventi nel globo, per festeggiare una corsa iniziata negli anni ‘80 “nel mezzo del cammin della sua vita”, quando per caso, durante una vacanza in Sardegna, cominciò a “galoppare” sui piedi quasi per noia intorno 37/38 anni. Un’età in cui, su per giù,

gli atleti professionisti cominciano a riporre le scarpe negli scatoloni dei ricordi. Per lui anche una novità, in mezzo a tante conferme e ai piazzamenti sempre sul podio tra i runner più “veterani”, in una competizione in cui qualche temerario le scarpe nemmeno le calza: un inedito successo nella ultramaratona 50 km sulla sabbia di San Benedetto del Tronto, con il titolo di campione italiano tra i master sempre di categoria over 70. “È stata durissima quella gara, corsa in pieno inverno, su e giù per la costa adriatica – ammette Grotto – ma ne è valsa la pena come esperienza”. Fatta la 999esima corsa, il pensiero va a quota mille al ritmo di una maratona a settimana, “correndo sopra a qualche malanno di stagione” come ci confida, e con unica pausa di 15 giorni in vista del traguardo simbolico. E poi? È già in calendario la corsa numero 1001 o “a posto così”? “Per ora la lascio in bianco, so solo che dopo Roma mi farò una settimana di vacanza. Comunque ci sono varie opzioni sul tavolo, vedremo un po’ come va anche la situazione intorno, ma non penso minimamente a smettere: né di correre né di dedicarmi all’altra mia passione del trekking: in estate ho in programma di farlo in Albania, uno dei pochi posti dove non sono ancora stato”. Una nuova... alba per Antonio corridore giramondo, che intanto sarà già di corsa nel suo secondo “millennio” di maratone. ◆ [O.D.M.]



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L’Historic Club Schio ha portato a scuola la storia dei motori e della prima auto arrivata in Italia (a Schio)

L’Historic Club Schio ha accolto l’idea dell’Istituto Professionale Statale G. B. Garbin di Schio con la prof. De Maggio, di partecipare ad un incontro culturale con l’obiettivo di integrare le conoscenze degli allievi del corso di “Formazione evoluzione motoristica”. Venerdì 25 febbraio si è quindi tenuta, all’esterno della scuola, una conferenza sulla storia della prima vettura circolante in Italia, la Peugeot Tipo 3 - arrivata proprio a Schio acquistata da Gaetano Rossi nel 1893 - sulla storia ed evoluzione dei veicoli che oggi definiamo “auto d’epoca” e sul sottile filo che connette l’arte di saper fare e le eccellenze scledensi nel tempo, anche attraverso la storia della famiglia Rossi. Il presidente del club, Alessandro Rossi discendente dell’omonima famiglia, ha così raccontato lo sviluppo dell’automobile che, in oltre 120 anni di vita, ha rivoluzionato la vita ed il mondo economico. Quale migliore occasione essere a scuola per ricordare la storia d’avanguardia artigianale e industriale di Schio raccontando, attraverso la storia di un oggetto - inizialmente per pochi - i conseguenti influssi sociali, culturali e di libertà? L’occasione della conferenza ha permes-

so di esporre alcune auto d’epoca prestate dai soci del club: questi ultimi hanno aderito con entusiasmo alla proposta di fare toccare con mano i giovani l’evoluzione dell’automobile. Si sono potuti osservare i contenuti del progresso e la costante evoluzione, non disgiunta dalla capacità di sapere realizzare oggetti sempre più complessi ed integrati, con un costo finale quasi costante. I giovani studenti si sono incuriositi ponendo domande. Alcuni quesiti hanno riguardato la tecnica automobilistica meccanica e “analogica”, altri la prima vettura, il contesto in cui quest’auto era comparsa sulle strade vicentine, nonché la curiosità di scoprire la storia di alcune delle vetture storiche dei soci del club presenti alla conferenza. A distanza di oltre 140 anni dalla costruzione della prima autovettura e a 130 anni dalla circolazione della prima vettura in Italia, la Peugeot tipo 3 (telaio n. 25), l’automobile continua ad unire le persone e a rappresentare la libertà di spostarsi, visitare il mondo e conoscere la storia. All’incontro con gli studenti, il presidente del club Alessandro Rossi ha tracciato un ritratto della prima vettura immatricolata in Italia, condotta da un suo avo, ricordando che questa vettura ancora esiste ed è esposta al Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. Nel 2017 questa vettura, condotta dallo stesso presidente dell’Historic Club Schio, ha partecipato alla rievocazione storica del rally della London-Brighton, riservato alle sole vetture ante 1905. Purtroppo un’avaria meccanica l’ha portata a fermarsi per preservare la meccanica, tuttavia l’avere partecipato assieme ad altre arzille vetture, ha dimostrato che la buona meccanica, può durare a lungo, più delle persone che l’hanno progettata. L’Historic Club il 12 dicembre 2021, ha donato al Comune di Schio una riproduzione fotografica in scala reale della Peugeot tipo 3, esposta presso la Fabbrica Alta di Schio, all’ingresso “Francesco Rossi”, ben visibile dalla pubblica via. La missione dell’Historic Club Schio federato all’Automotoclub Storico Italiano (ASI), unisce da sempre, alla storia e

al sapere tecnico di tutti i veicoli d’epoca, la valorizzazione del territorio e della sua storia e cultura, perché ritiene indispensabile sensibilizzare alla conservazione di ciò che oggi è normalità ma, in futuro, potrà essere seno di storia e civiltà per i giovani di oggi. Diego Filippi Consigliere Historic Club Schio

Lo Schiocco Madonna con colonnino

Ci sono delle brutture paesaggistiche che potrebbero essere evitate. Un esempio è questa colonnina della fibra piazzata da poco in modo che un bel capitello, a Poleo, venga nascosto agli occhi dei passanti, che però possono ammirare in tutto il suo grigiume la colonnina stessa. Due potrebbero essere le ragioni della collocazione: o non c’era proprio modo di trovare altro posto (il che ci sembra alquanto strano, bastava spostarsi di pochi metri) oppure la Madonna sta utilizzando ogni mezzo, fibra compresa, per comunicare con i fedeli e riportarli a sé. [M.D.Z.]




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