Periodico di informazione dell’A lto Vicentino
anno XI n. 99 - aprile 2022
Schio: I cinquanta “angeli” della protezione civile - p.6 ◆ Fenomeno Sacrofest - p.12 Thiene: L’uomo con il metal detector - p.16 ◆ Volée vincente per il Centro Tennis - p.26
Che fine hanno fatto pause pranzo e aperitivi?
Nuovi servizi aziendali, una maggiore attenzione al portafoglio, la contrazione delle presenze dei lavoratori in visita dall’estero, una nuova abitudine a incontrarsi in contesti domestici hanno profondamente trasformato le pause pranzo.
Di mese in mese
Il futuro di Schio passa per le due aree Lanerossi
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SchioThieneMese Periodico di informazione dell’Alto Vicentino
Supplemento mensile di
Lira&Lira e La Piazza Direttore Stefano Tomasoni Redazione Elia Cucovaz Omar Dal Maso Mirella Dal Zotto Camilla Mantella Grafica e impaginazione Alessandro Berno Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com Per le inserzioni pubblicitarie Pubblistudio tel. 0445 575688
Stefano Tomasoni
utto è pronto a Schio per il via all’Operazione Piazza Statuto. Bè, diciamo quasi tutto. Il progetto da tempo annunciato di rifacimento della piazza del municipio, da decenni ridotta ad anonimo parcheggio, ha ricevuto un colpo di acceleratore decisivo con la notizia che il Comune potrà attingere a fondi del Pnrr nell’ambito del bando per la rigenerazione urbana al quale aveva a suo tempo partecipato. E se ci sono i soldi, è ovvio che le cose si fanno. Così come, sempre grazie al Pnrr, diventa ora altrettanto concreto il programmato intervento di ristrutturazione delle ex scuole Marconi, destinate a diventare la nuova sede del consorzio di polizia urbana, affacciata su una via che sarà a sua volta in parte ridisegnata proprio dal lato delle ex scuole. Insomma, grazie ai finanziamenti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza si mette definitivamente in moto la riqualificazione del rettangolo di centro storico compreso tra il municipio, la piazza e via Marconi. Evviva. Se i lavori per piazza e scuola partiranno e si concluderanno secondo i tempi previsti, Valter Orsi dovrebbe fare in tempo a vederne la conclusione entro la fine del suo mandato. Giusto per soddisfazione, non perché gli serva per essere rieletto, non potendo ricandidarsi. Soddisfazione che sarà decisamente più grande, però, se entro la primavera del 2024 gli riuscirà di giocare fino in fondo un’altra “partita” di importanza e portata ben diversa, che in città ci si sta disputando da anni, iniziata dalla precedente amministrazione e poi inevitabilmente congelata dalla crisi economica. È la “partita” dalla quale dipende una buona parte dell’assetto futuro della città: quella delle due Aree Lanerossi. La “vecchia” area intorno alla storica Fabbrica Alta, e la “nuova” area, quella in zona industriale. Beninteso, Orsi non
farà certo in tempo a vedere l’avvio di qualsivoglia lavoro né nell’una né nell’altra, ma l’obiettivo dell’amministrazione per i prossimi due anni non è quello di mettere in moto le ruspe, bensì quello di completare tutti i passaggi necessari - dal punto di vista tecnico, amministrativo e burocratico - per consegnare al suo successore le carte giuste per giocare e vincere la “mano” finale. Non c’è dubbio che, delle due, l’Area Lanerossi in centro – un buco nero di 125 mila metri quadrati - è quella al momento più strategica. Non perché l’enorme polmone produttivo abbandonato in zona industriale non lo sia, tutt’altro, ma perché è nell’area storica tra via Pasubio e via Maraschin che è davvero in ballo il riassetto dell’asse portante della città almeno per i prossimi cinquant’anni. Si tratta niente di più e niente di meno che di rigenerare la città e il suo centro, creando nuove funzioni, nuovi spazi e nuove zone di aggregazione. Il Piano Gregotti, che nei primi anni 2000 aveva immaginato per l’area un futuro di espansione edilizia in chiave residenziale e commercial-direzionale, si è infranto sugli scogli della crisi economica iniziata nel 2008 e protrattasi per un decennio. Ideato in un’epoca nella quale il crac Lehman Brothers era ancora di là da venire, il “Gregotti” immaginava “magnifiche sorti e progressive” per Schio e per tutti, arrivando a progettare nell’Area Lanerossi un volume edificabile privato di 270 mila metri cubi più 44 mila di edilizia convenzionata, più di 3 mila parcheggi in gran parte pubblici, un parco di oltre 20 mila metri quadrati, negozi e uffici in abbondanza. Ci sarebbe stato spazio per 2 mila nuovi abitanti, quasi quanti quelli di Giavenale. Un nuovo paese dentro la città. Le previsioni di crescita, del resto, pareva dovessero portare Schio oltre la fatidica soglia dei 40 mila abitanti. La crisi ha cancellato tutto. Finché in tempi più recenti è arrivato il
Di mese in mese fallimento di Aree Urbane, la società che deteneva il patrimonio immobiliare. Il Comune ha lavorato in questi anni per superare lo scoglio del fallimento, che rischiava di tener bloccata l’area per chissà ancora quanto tempo. Finalmente nelle scorse settimane è andato in scena un passaggio decisivo: l’area - con l’esclusione della Fabbrica Alta e di alcune altre pertinenze di valore storico già entrate nella disponibilità del Comune – è andata all’asta. È arrivata un’unica offerta, da parte di un privato che ha passato le verifiche del caso e si è dunque portato a casa il comparto. Ora l’acquirente avrà, com’è ovvio, le sue legittime aspettative e i suoi progetti di sviluppo per rendere remunerativo l’investimento, ma dovrà “negoziarli” con l’amministrazione comunale, tenendo conto dei vincoli che il Comune metterà dal punto di vista delle cubature e delle destinazioni d’uso. Da quel che a oggi si sa, è quasi certo che nell’area troverà posto un nuovo supermercato, di superficie un po’ più grande dell’attuale Famila di via XX Settembre, intorno ai 2.500 metri quadrati. E un punto fermo rimane quello della valorizzazione del verde pubblico, anche con la realizzazione –
Uno degli ingressi dell'ex area Lanerossi in zona industriale
prevista già in passato – di un percorso ciclopedonale lungo la Roggia maestra. Ma le notizie interessanti non riguardano soltanto l’Area Lanerossi storica. Entro l’anno dovrebbe sbloccarsi anche un passaggio importante dell’iter amministrativo-burocratico per l’altra area, quella in zona industriale, dove in futuro i grandi capannoni dell’azienda laniera verranno sostituiti da un “compound” di insediamenti commerciali e lotti produttivi. Insomma, al tirar delle somme non resta che prendere atto che in riva al Leogra pas-
sato, presente e futuro finiscono per andare a braccetto e ancora una volta il destino di Schio è legato a quello del suo “padre della patria”, Alessandro Rossi. Lui ha messo in moto lo sviluppo della città a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento e in qualche modo ancora lui, attraverso la sua eredità sia urbanistica che imprenditoriale, determinerà le chance che la città potrà avere nei prossimi anni per diventare più attrattiva. Qualsiasi candidato sindaco, nel 2024, non potrà che tenerne conto. Diavolo di un Alessandro. ◆
[4] ◆ Schio Copertina
La pausa pranzo al bar è un costo e chi prima vi si recava anche tre o quattro volte alla settimana, ora a malapena si presenta una volta. Il rito dell’aperitivo del giovedì o del venerdì sera è meno praticato e, quando non del tutto abbandonato, si tiene in casa.
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Camilla Mantella
ino a un paio d’anni fa, con l’avvicinarsi della bella stagione, passando in orario di pausa pranzo per la zona industriale di Schio non era raro vedere i tavolini all’aperto dei bar pieni di lavoratori che si fermavano con i colleghi per un pasto insieme fuori dalle mura delle aziende. Impiegati e operai si incontravano poi negli stessi bar o nell’area del Pala Campagnola anche dalle 17 in poi per il rito dell’aperitivo, riempendo i locali fino alle prime ore della serata e lasciando poi il posto, più tardi, a giovani e ragazzi che vi si fermavano per il dopocena. Pranzi e aperitivi di lavoro, però, dal lockdown del 2020 in avanti sono significativamente diminuiti e, nonostante le restrizioni legate al distanziamento sociale si stiano progressivamente allentando, i flussi non sembrano ancora tornati quelli di un tempo, con riduzioni di introiti significativi per gli operatori del settore.
Mense interne al posto dei buoni pasto Durante la pandemia molte imprese hanno preferito gestire direttamente il momento della pausa pranzo. Aziende che un tempo si affidavano a convenzioni con locali nelle immediate vicinanze degli stabilimenti, infatti, si sono organizzate per allestire mense interne ed evitare che i propri dipendenti uscissero dall’area aziendale, riducendo così le occasioni di contatto – e potenziale contagio – con personale esterno. “Negli ultimi due anni le richieste di preventivi per servizi di mensa aziendale si
Che fine hanno fatto pause pranzo e aperitivi? Nuovi servizi aziendali, una maggiore attenzione al portafoglio, la contrazione delle presenze dei lavoratori in visita dall’estero, una nuova abitudine a incontrarsi in contesti domestici hanno profondamente trasformato le pause pranzo.
sono notevolmente impennate - conferma una responsabile del catering Edelweiss, che si occupa anche di fornire pranzi alle imprese del territorio -. Le aziende si sono informate e hanno iniziato a valutare soluzioni in house per i pasti dei dipendenti”. Gli imprenditori con budget e strutture adeguate, quindi, hanno optato per portare all’interno un servizio che prima esternalizzavano fornendo buoni pasto ai dipendenti da spendere nei bar e nei ristoranti limitrofi alle proprie sedi. Bar e ristoranti che si sono visti così privati di clienti fissi e affidabili, tanto più che, una volta sperimentato il catering interno, le aziende hanno spesso deciso di confermare il servizio anche quando i picchi di contagio sono tornati a livelli gestibili.
Il peso dello smart working (degli altri) “Probabilmente anche lo smart working, il lavoro da casa, ha un suo peso nella diminuzione dei flussi di clienti legati alle pause pranzo”, osservano al bar Piazza Affari, situato in una posizione centrale della zona industriale scledense. Tuttavia, sem-
bra che non sia il non andare in azienda la principale causa delle mancate pause pranzo, tanto più che nel nostro territorio il telelavoro è ancora riservato a una quota trascurabile di lavoratori. “Appena è stato possibile, già a maggio 2020, siamo subito tornati in azienda, impiegati e operai - spiega un giovane ingegnere che lavora in una realtà metalmeccanica della zona -. L’organizzazione del lavoro nostrana è ancora molto legata al fatto che si giudica la produttività del lavoratore dalla sua presenza fisica in azienda, cosa molto diversa da quello che succede a miei ex compagni di università che ora lavorano all’estero – Germania e paesi nordici in primis – che devono ancora tornare in ufficio o che hanno optato per forme di lavoro miste, con qualche giorno da casa e altri in sede”. Probabilmente è lo smart working degli altri, intesi come i lavoratori internazionali, che ha pesato di più sulle mancate pause pranzo al bar nostrane. “Gli stranieri in visita, che prima venivano puntualmente accompagnati per delle pause pranzo veloci e informali da noi, si sono azzerati per
Schio ◆ [5] un lungo periodo – viaggi e contatti erano praticamente assenti – e ricominciano a vedersi solo di recente, ma molto meno di prima”, continuano dal bar Piazza Affari. Non è una sorpresa: dopo due anni in cui si sono gestite le riunioni di lavoro in videoconferenza su Zoom, è naturale che le aziende, anche ora che a livello europeo i viaggi tra paesi diversi sono più agevoli, si siano riorganizzate per programmare incontri in presenza solo quando strettamente necessario, abbattendo i costi di trasferta.
Contrazione dei consumi e disabitudine ai contatti Ora che si potrebbe ricominciare a uscire di più, anche assieme ai colleghi nelle pause di lavoro, sono la preoccupazione per l’aumento generalizzato dei costi della vita e l’abitudine a stare in casa a pesare maggiormente sulle scelte di consumo dei lavoratori scledensi. La pausa pranzo al bar è un costo e chi prima vi si recava anche tre o quattro volte alla settimana, ora a malapena si presenta una volta. Il rito dell’aperitivo del giovedì o del venerdì sera, quando ci si congeda dalla settimana lavorativa con un bicchiere bevuto assieme ai colleghi, è meno praticato e, quando non viene del tutto abbandonato, si tiene nelle abitazioni private. “Le persone hanno spostato all’interno delle mura domestiche molto della convivialità che un tempo si viveva al bar o nei ristoranti - confermano dal negozio “De Giacomi Vini e Liquori” di Schio -. Per mesi abbiamo venduto bottiglie a persone che organizzavano aperitivi in casa, con la famiglia o con pochi amici, mentre i nostri
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clienti nel settore della ristorazione pativano le restrizioni. Ora notiamo che l’organizzare ritrovi in casa ha un po’ cominciato a stufare e che le persone cercano di ricominciare a uscire, ma è indubbio che una buona quota di scledensi si sia abituata allo stare nella propria abitazione e ora fatica di più a lasciarla, qualsiasi sia l’occasione per farlo. Probabilmente stiamo vivendo una fase di passaggio che ci auguriamo possa portare a una ripresa della
E ci sono anche le diete a domicilio Ma se durante la settimana lavorativa si esce meno a pranzo in bar e ristoranti, come ci si organizza? La maggior parte dei lavoratori che non usufruiscono di mense o catering aziendali o torna a casa – qualora la pausa sia abbastanza lunga da consentirlo – oppure porta direttamente con sé, fin dal mattino, il pasto da mangiare in ufficio. Spesso si tendono a consumare sempre le stesse pietanze: panini imbottiti, pasta fredda, gli avanzi riscaldati della cena del giorno prima. Per chi desidera invece variare e non preoccuparsi di pensare a cosa cucinare stanno nascendo una serie di servizi che consegnano a domicilio, a casa o sul posto di lavoro, porzioni di cibo bilanciate e salutari tarate sulle proprie esigenze alimentari. Anche a Schio hanno aperto i battenti realtà che propongono ai consumatori diete settimanali messe a punto da nutrizionisti. Non stiamo parlando dei tradizionali delivery – dove il cliente telefona alla pizzeria o al ristorante di fiducia e si fa portare il cibo – ma di sistemi in cui il consumatore, verificate le proprie esigenze alimentari, riceve a domicilio le pietanze che più sono adeguate al suo stato di salute. Questo tipo di offerta è ancora agli albori, ma sta riscuotendo un certo interesse soprattutto tra lavoratori particolarmente impegnati, persone che vivono sole e preferiscono avere pietanze porzionate correttamente senza dover sempre acquistare al supermercato dosi eccessive che rimangono poi nel frigorifero e cittadini che hanno esigenze alimentari specifiche e che, grazie a questi servizi, non “sgarrano” mettendo a rischio la propria salute. [C.M.]
convivialità nei locali pubblici, dove le occasioni di contatto, scambio e interazione sono notevolmente maggiori”.
Cambia il modo di vivere il lavoro Nuovi servizi aziendali, una maggiore attenzione al portafoglio, la contrazione delle presenze dei lavoratori in visita dall’estero, una nuova abitudine a incontrarsi in contesti domestici hanno profondamente trasformato le pause pranzo e gli aperitivi in compagnia al termine dell’orario di lavoro. Le conseguenze di queste nuove consuetudini non hanno solo un impatto su bar e ristoranti che avevano nella clientela aziendale la fonte primaria del proprio sostentamento, ma anche sul tipo di relazioni e contatti che le persone sviluppano sul luogo di lavoro. Anche se al momento la realtà industriale dell’Alto Vicentino sembra meno toccata da fenomeni come lo smart working,la progressiva innovazione delle tecnologie produttive – che richiedono sempre meno presenza fisica anche per i lavori operai – e il desiderio di vivere una vita lavorativa non strettamente legata ai luoghi aziendali soprattutto da parte delle generazioni più giovani metteranno il tessuto produttivo di fronte a sfide significative, che faranno ripensare gli spazi di lavoro e tutto l’indotto associato alla presenza delle persone in azienda. Pause pranzo saltate e aperitivi organizzati altrove sono i primi piccoli segnali di un modo di vivere il lavoro che sta cambiando, anche da noi. ◆
[6] ◆ Schio
I vertici della Protezione civile scledense durante un'esercitazione a Marostica: da sinistra Giulio Dal Zotto, Diego Miglioranza e Stefano Brando.
Attualità “Non siamo presenti solo in caso d’incendio, siamo pronti a intervenire anche in terremoti, alluvioni, emergenza neve, smottamenti e nella ricerca di persone scomparse”, spiega il presidente Dario Miglioranza.
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Mirella Dal Zotto
ella tarda serata dell’11 marzo è scoppiato un incendio, poi rivelatosi doloso, sul Monte Brazome, poco sopra Contrà Alba, al Tretto. Per spegnerlo completamente, data la siccità del periodo, ci è voluto più di un’intera settimana, dopo aver operato per venti ore consecutive il giorno 12. Alle operazioni di spegnimento, coordinate dalla Regione, hanno contribuito i vigili del fuoco di Thiene e la protezione civile scledense, specializzata in incendi boschivi; poi sono giunti i pompieri di Schio e Vicenza e i volontari di Thiene, supportati da altre squadre della protezione civile. Due gli elicotteri impiegati per contrastare le fiamme su un fronte di diverse centinaia di metri. I carichi d’acqua, molto scarsa nel periodo, sono stati effettuati ogni cinque minuti e alcuni generosi agricoltori hanno provveduto anch’essi con le loro autobotti. Alcuni candelotti di cera, piazzati in più punti sul Monte Brazome, sono stati la causa del disastroso incendio, che ha distrutto 4 mila metri quadrati di bosco e sottobosco. Pochi i dubbi sull’origine dolosa del rogo, tanto che il sindaco Valter Orsi ha lanciato un appello su facebook, chiedendo aiuto per individuare i responsabili. Ha spiegato poi che il propagarsi delle fiamme in un’unica direzione ha rappresentato una possibilità concreta di fuga e salvezza per la fauna locale.
All'opera per lo spegnimento dell'incendio sul monte Brazome
I cinquanta “angeli” della protezione civile Il recente incendio doloso di Monte Brazome, al Tretto, ha impegnato per più di una settimana una vasta rete di soccorso e pronto intervento. Un ruolo importante lo hanno svolto i volontari della Protezione civile Pasubio Alto Vicentino.
“Effettivamente – precisa Francesco Dalla Vecchia, presidente di Faunambiente - un incendio come quello avvenuto sul Brazome non crea di norma grossi problemi agli animali selvatici, che riescono a sfuggire alle fiamme: gli uccelli volano via, i mammiferi sono in grado di scappare e le specie più piccole hanno la possibilità di rifugiarsi in buche nel terreno o ripararsi sotto le rocce e i sassi. Danni maggiori ci sarebbero stati sui piccoli nati e sulle nidiate in primavera inoltrata, a maggio e giugno, nel periodo della riproduzione e delle covate. Fortunatamente non si era in quel periodo, altrimenti i danni sarebbero stati di ben diversa entità”. Determinante, per riuscire ad aver ragione dell’incendio sul Brazome, è stato il contributo della Protezione civile Pasubio Alto Vicentino. “La nostra squadra è composta da una cinquantina di volontari, tutti abilitati e con varie mansioni, coordinati da un consiglio direttivo di cinque membri – spiega il presidente, Dario Miglioranza -. Ci ritroviamo tutti i martedì sera nella nostra sede in via Fornaci, vicino ai vigili del fuoco, anche per mantenere in perfetta efficienza i mezzi e le attrezzature, che ci permettono di far fronte a ogni emergenza. Sempre al martedì si effettua il cambio di reperibilità delle nostre tre squadre, per essere operativi, a turno, ventiquattr’ore su ventiquattro. Non siamo presenti solo in caso d’incendio, siamo pronti a intervenire anche in terremoti, alluvioni, emergenza neve, smottamenti e nella ricerca di persone scomparse”. In caso d’incendio boschivo la protezione civile viene attivata dai servizi foresta-
li, che avvisano il caposquadra reperibile; questi è chiamato a formare una o più squadre da inviare sul posto con mezzi e attrezzature. Il d.o.s. (direttore operazione di spegnimento) coordina l’intera operazione: si tratta di un funzionario dei servizi forestali con cui, unitamente ai dipendenti di Veneto Agricoltura, la protezione civile deve collaborare. “Nel caso dell’incendio sul Brazome continua Miglioranza - per quasi una settimana sono stati impiegati in vari turni tutti i nostri volontari specializzati negli incendi boschivi. Constatato che la zona interessata era alquanto impervia, sono stati fatti intervenire degli elicotteri e due Canadair, fin quando siamo riusciti a domare l’incendio, consapevoli che le alte temperature registrate, sommate alla grave siccità, potevano alimentare una combustione sotterranea molto difficile da individuare. E infatti domenica 27 marzo, oltre due settimane dopo il primo incendio, questa combustione sotterranea, favorita dal vento, ha generato un nuovo focolaio all’interno di una pineta, che siamo riusciti a circoscrivere prontamente”. “A chi ha provocato questo disastro – conclude Miglioranza - vorrei chiedere di farsi un giro per rendersi conto del danno che l’ambiente ha subìto, e a tutti, quando arriverà la bella stagione e magari aumenterà la siccità, chiedo di agire con il semplice buon senso, evitando di alimentare in ogni modo le fiamme, che poi si propagano con estrema rapidità. Sono raccomandazioni che ripetiamo spesso, ma purtroppo c’è sempre chi non le segue”. ◆
[8] ◆ Thiene Politica
I cittadini thienesi saranno chiamati alle urne domenica 12 giugno e, in caso di ballottaggio, due settimane dopo in data 26.
Daniele Apolloni
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Manuel Benetti
arà una corsa a cinque quella che porterà uno solo tra i papabili a indossare la fascia tricolore di sindaco di Thiene. In lizza quattro uomini e una donna per le Comunali 2022. I cittadini thienesi saranno chiamati alle urne domenica 12 giugno e, in caso di ballottaggio, due settimane dopo in data 26. A sostenere la cinquina di aspiranti sindaci si contano 18 liste civiche, oltre ai simboli di partito, con i primi manifesti elettorali già spuntati in città. Un solo amministratore in carica proviene dalla giunta comunale uscente: si tratta di Gianantonio “Giampi” Michelusi, assessore a Thiene sin dal 2012 su più fronti e consulente informatico e della comunicazione in proprio. Compirà 60 anni a breve ed è conosciuto anche come speaker radiofonico e cantante. Sono quattro i gruppi a sostenerlo a cui si aggiunge il Partito democratico: “Thiene per Mano”, “Thiene al Centro”, “Thien’è” ed “Equa Thiene”.
Corsa a cinque per il sindaco Tra candidature annunciate, spaccature e sorprese sono – in ordine alfabetico – Daniele Apolloni, Manuel Benetti, Alberto Ferracin, Giampi Michelusi e Giulia Scanavin gli aspiranti primi cittadini di Thiene.
Alberto Ferracin
Giampi Michelusi
Tra gli sfidanti il nome su cui hanno fatto convergenza i tre partiti di centrodestra (Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia) è quello di Manuel Benetti, 44enne titolare di uno studio di geometra in città e presidente della Pro loco, appoggiato anche dalle civiche “Noi per Thiene” e “Vivere Thiene”. La prima candidatura ufficializzata lo scorso autunno è quella di Daniele Apolloni, 60enne ex parlamentare, di professione consulente per l’amministrazione dei condomini. Si tratta per lui della seconda “scalata” al Municipio di Thiene, dopo averci provato nel 1995 prima di essere eletto deputato. Intorno al suo nome le tre liste civiche “Insieme si può”, “Vento nuovo a Thiene” e “Patto civico”. Il quarto candidato è Alberto Ferracin, 58enne agente di commercio candidato del Partito dei Moderati d’Italia di recente istituzione e nome del tutto nuovo sul piano dell’amministrazione pubblica, senza alcuna civica al seguito in questo caso.
Giulia Scanavin
C’è infine Giulia Scanavin, sostenuta dal gruppo di Christian Azzolin, esponente di “Liberi a destra”, di recente uscito da Fratelli d’Italia. L’unica esponente “rosa” nella... rosa di candidati ha 50 anni ed è presidente del Comitato “Orizzonte Thiene” e può contare su quattro liste di sostegno – in via di definizione - tutte di ispirazione civica. Da questo ventaglio di nomi, salvo sorprese dell’ultim’ora, sortirà il nuovo sindaco di Thiene che raccoglierà il testimone da Giovanni Casarotto, primo cittadino per due mandati consecutivi - quindi non più eleggibile nei comuni con più di 15 mila abitanti - e che in più interviste recenti ha dichiarato di voler abbandonare l’attività politica in città. Al nuovo eletto servirà la maggioranza assoluta al 1° turno (50% dei voti validi più uno) oppure quella relativa al secondo e ultimo round, al ballottaggio. ◆
Nel prossimo numero de La Piazza del 5 Maggio
Speciale Thiene al Voto
[10] ◆ Schio Attualità
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a guerra in Ucraina rimane la grande emergenza umanitaria del nostro tempo e dai primi di aprile gli spazi adiacenti all’emporio solidale “Il Cedro”, nei locali delle ex scuole di via Marconi, ospitano un punto di raccolta di beni di prima necessità per la popolazione ucraìna attivato su interessamento del Comune. Tutto ciò che viene donato sarà destinato alle persona accolte in città nelle ultime settimane tramite le associazioni dell’emporio e inviato in Ucraìna attraverso realtà scledensi in contatto con la popolazione del posto. È possibile donare abbigliamento e calzature, biancheria (solo nuova), coperte, asciugamani, alimentari (in scatola e a lunga conservazione, non in vetro), alimenti per bambini, prodotti per l’igiene personale (saponi, pannolini per bimbi e anziani, assorbenti donna...), medicinali come antinfiammatori, antipiretici, analgesici e materiale per il primo soccorso.
Un punto di raccolta per aiutare l’Ucraina Gli spazi adiacenti all’emporio solidale “Il Cedro”, nei locali delle ex scuole di via Marconi, ospitano un punto di raccolta di beni di prima necessità per la popolazione ucraìna attivato su interessamento del Comune
«Come amministrazione abbiamo ritenuto doveroso attivare un punto di raccolta comunale per portare a quanti hanno bisogno un aiuto concreto, in questo caso
Nuovi portabiciclette in stazione Alla stazione dei treni sono state installate nuove rastrelliere portabiciclette, inserite sulle pensiline accanto all’edificio. La caratteristica innovativa è data dalla possibilità di agganciare il telaio alla struttura metallica, rendendo così più funzionale e sicura la sosta delle bici. L’intervento dovrebbe assicurare maggior sicurezza rispetto a eventuali furti, soprattutto quando il parcheggio della bici si protrae anche per tutta la giornata.
Tre eventi per i 40 anni del “Dalla Costa” Il bilancio del progetto lanciato dal Comune di Thiene e dalla biblioteca civica si è chiuso con 177 incontri che hanno coinvolto 2.250 persone, soprattutto bambini.
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n occasione del suo quarantesimo anno di attività il Centro di Cultura “Card. Elia Dalla Costa” ha programmato tre eventi speciali: incontri in cui spiritualità, arte, etica, senso di appartenenza a un mondo sofferente si fonderanno per stimolare la riflessione profonda del pubblico.
Ciò si realizzerà grazie alla disponibilità di Fr. Lino Breda, monaco della comunità di Bose e di Mario Brunello, violoncellista di fama mondiale. Le “Sonate e partite” di Bach creeranno una “Storia biblica” raccontata in tre eventi dal titolo “Adamo, dove sei?”, “Passio” e “Il mondo che verrà”, momenti
con la raccolta di beni di prima necessità – spiega il sindaco, Valter Orsi -. Schio si è già dimostrata pronta a dare il proprio sostegno con l’accoglienza e sono certo che dimostrerà la stessa generosità nel dare risposta alle necessità primarie di un popolo costretto a lasciare le proprie case per mettersi in salvo dalla guerra». «Ringraziamo tutti coloro che risponderanno a questo appello così come gli scout, l’Associazione italiana soccorritori, i comuni cittadini e tutte le associazioni dell’emporio che si sono rese disponibili a coordinare il punto di raccolta e a curarne la logistica», aggiunge l’assessore Barbara Corzato. Il punto di raccolta sarà aperto ogni mercoledì dalle 17 alle 20 e ogni sabato dalle 10 alle 12. ◆
in cui si alterneranno riflessioni e musica. Si è scelto di destinare al Cuamm Medici con l’Africa le offerte raccolte per il progetto “Un vaccino per noi” in Sud Sudan; questo perché il fondatore del Cuamm, il medico Francesco Canova, era uno scledense ed era un ragazzo quando il card. Dalla Costa era arciprete della città. La destinazione specifica al Sud Sudan si ricollega inoltre a Santa Bakhita, alla morte di mons. Antonio Doppio in quella terra e all’attuale presenza in quell’area dell’Africa del vescovo Christian Carlassare, originario di Piovene. Tre le date: venerdì 6 maggio, alle 20,30, nella chiesa di S. Francesco; lunedì 27 giugno, alle 20,30, nel Duomo di S. Pietro; domenica 2 ottobre, alle 16, sempre nel principale tempio cittadino. ◆ [M.D.Z.]
[12] ◆ Schio Attualità Al successo del progetto ha contribuito in modo determinante la scelta di piuntare sulla collaborazione con altre realtà e associazioni culturali che operano in città. “Non abbiamo mai pensato di voler fare tutto noi, ma anzi abbiamo puntato a coinvolgere altre energie che potessero darci una mano”.
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Stefano Tomasoni
orna la scimmia in giacca e cravatta e con gli occhiali dalle lenti azzurroverdi. In altre parole, torna il Sacrofest, di cui la strampalata scimmia è da sempre il simbolo, insieme al cuore dentro il cerchio del logo. Dopo due edizioni sospese causa Covid, dal 4 al 12 giugno si ripresenta il festival di “persone, musica e cultura” nato come festa della parrocchia del Sacro Cuore e ben presto “fuggito di mano” ai suoi stessi organizzatori per diventare uno dei “brand” culturali più attesi e di maggiore interesse di Schio. Una rassegna che a ogni edizione (ora siamo alla settima) nell’arco delle nove-dieci serate in cui si articola, porta al cinema teatro Pasubio un pubblico complessivo che raggiunge le 3 mila 500 presenze, chiamando anche gente da fuori città, da tutta la provincia e in certi casi anche dal resto del Veneto. Perché Sacrofest ha abituato a portare in città ogni anno un parterre di ospiti (uomini di cultura, di scienza, di spettacolo) anche di fama nazionale e quindi di forte richiamo. Un fenomeno nato da un’idea iniziale di tre persone del quartiere che si erano messe in testa di rivitalizzare la festa parrocchiale: Alberto Vitella, Alberto Scolaro e Andrea Carmelo. Ed è con Vitella, tuttora una delle anime della manifestazione, che ripercorriamo la nascita e lo sviluppo di questo progetto culturale cresciuto davvero, come si usa dire, “dal basso”.
Vitella, partiamo dall’inizio della storia: come è partito tutto?
“L’intenzione di fondo era quella di rivitalizzare la festa del Sacro Cuore, una tradizione che col tempo si era un po’ persa e alla fine si era ridotta a una cena organizzata una sera. Ci siamo chiesti che cos’altro si potes-
Qui e nell'altra pagina, due dei tanti spettacoli che hanno sempre fatto il pieno al "Pasubio" nelle varie edizioni del festival. Sotto, l'immagine della scimmia diventata marchio di riconoscimento del Sacrofest
Fenomeno Sacrofest Dopo due anni di stop causa Covid, torna il festival nato una decina di anni fa come festa del Sacro Cuore e diventato ormai uno dei “brand” culturali più attesi e di maggiore interesse di Schio, capace di chiamare gente anche da fuori provincia. se proporre e quali strutture fossero disponibili per questo nella parrocchia. Ci siamo detti: non abbiamo campi da calcio o palazzetti, però abbiamo un teatro, il Pasubio, adiacente alla chiesa, e allora invece di fare la sagra classica, puntiamo su questo e lanciamo qualche evento in teatro. Dopodiché ci siamo chiesti: okay, e in teatro cosa proponiamo? La scelta è stata quella di proporre qualcosa che avesse un contenuto variegato, senza puntare su un filone particolare o un tema portante per ogni edizione. Abbiamo cercato da subito di coinvolgere le sensibilità più diverse. Qualcosa che potesse essere di interesse per tutti: i giovani, gli anziani, quelli più impegnati, quelli meno”. In effetti la scelta di un tema che faccia da filo conduttore è una caratteristica di molti festival o progetti culturali come il vostro, nell’intento di creare un “racconto” omogeneo per stimoli e contenuti. Voi invece avete battuto un’altra strada...
“All’inizio qualcuno aveva proposto di scegliere un tema annuale, ma è stata una scelta ragionata quella di seguire invece un modello diverso, quello di un caleidoscopio di iniziative, un appuntamento il più possibile attrattivo e coinvolgente, ma attraverso idee e incontri completamente diversi tra loro. In questo modo si toccano temi più diversi, da quello ambientale a quello scientifico e medico. E in effetti negli anni siamo andati dal cabaret al teatro impegnato, dalla musica di nicchia a quella per giovani, ma abbiamo proposto anche serate riservate alla legalità e altro ancora”. I risultati vi hanno dato ragione, visto che già alla seconda e terza edizione Sacrofest era diventato un evento capace di richiamare pubblico anche da fuori provincia.
“Effettivamente da appuntamento parrocchiale è diventato presto di interesse cittadino, e oserei dire che è uscito anche dai confini comunali. È cresciuto anche più dei nostri intenti, sicuramente all’inizio non pensavamo a questo, invece man mano è diventato un punto di riferimento, atteso dalle persone”. A questo punto la domanda è la più scontata di tutte, ma la curiosità è reale: come ci siete riusciti? Qual è il segreto del Sacrofest?
“Nessun segreto, ma una cosa che è stata importante è aver sempre puntato sulla collaborazione con altre realtà e associazioni culturali che operano in città. Collaboriamo ad esempio con il centro Cardinale Dalla Costa, con la Fondazione Teatro Civico, abbiamo collaborato con l’associazione ‘Cittadini per la Costituzione’, per gli eventi musicali
Schio ◆ [13] abbiamo avuto negli anni scorsi una buona collaborazione con l’Accademia Musicale. Insomma, non abbiamo mai pensato di voler fare tutto noi, ma anzi abbiamo puntato a coinvolgere altre energie che potessero darci una mano. Non saremmo mai riusciti, ad esempio, a far arrivare a Schio un Leoluca Orlando se non tramite ‘Cittadini per la Costituzione’, o alcuni relatori di caratura nazionale se non con l’interessamento del Centro Dalla Costa. Negli anni siamo sempre riusciti a essere in sinergia con altre realtà e questo ci ha permesso di realizzare anche qualche serata importante”.
L’immagine del festival, peraltro, accanto al logo con il cuore vede anche la faccia di una scimmia che sorride. Che significato ha?
Questo è un aspetto piuttosto inedito e interessante. Come siete riusciti a imbastire una collaborazione inter-associativa così efficace in un ambito come quello dell’associazionismo culturale cittadino dove spesso ognuno, legittimamente, va per la sua strada e porta avanti i suoi progetti?
“Direi di no. A settembre abbiamo deciso di provare a ripartire, pensando che se passava un altro anno allora sì che si rischiava di perdere la continuità, lo stimolo e la voglia. Sei mesi fa non sapevamo ancora se sarebbe stato possibile fare l’edizione, non sapevamo che evoluzione avrebbe avuto il Covid, ma abbiamo deciso di partire. Sembra che le cose vadano per il verso giusto, quindi siamo fiduciosi”.
“Io credo che a renderlo possibile sia stata la scelta di essere, come dire: aperti. È chiaro che se io cerco una collaborazione con altre associazioni o altri gruppi e parto con l’idea di imporre una mia idea precisa, tutto diventa difficile, perché l’interlocutore può avere sensibilità diverse dalle mie. Il fatto di partire invece volendo creare un momento di aggregazione importante, che abbia anche un messaggio da dare, ma con la piena disponibilità e apertura alla idee degli altri consente di ottenere risultati ben diversi. Faccio un esempio: la professoressa Elisa Cimetta, dell’Università di Padova, che interverrà quest’anno per parlare dello sviluppo della medicina del futuro, ce l’ha suggerita il Centro Dalla Costa. Abbiamo sempre lasciato che ognuno portasse del proprio, senza imporre nulla”. Insomma, siete riusciti ad attivare una vera rete di collaborazione?
“Sì, è il termine giusto. Non siamo mai stati accentratori. Crediamo che più siamo aperti più è facile avere idee buone. Altrimenti se si è in pochi a lavorare si rischia o di ripetersi o comunque di finire le idee, da un anno all’altro”. Arrivati a questo punto, si può dire che Sacrofest non è più da tempo un’iniziativa di quartiere, ma è quantomeno un festival della città.
“Assolutamente sì. Non per merito nostro, ma ha sicuramente perso la connotazione di festa parrocchiale. Il nome stesso, Sacrofest, non è legato alla parrocchia, è diventato qualcosa di diverso. Nei primi anni abbiamo dovuto fare un certo sforzo per spiegare che non si trattava di un evento religioso. A volte quando chiamavamo qualche relatore da fuori capitava di doverlo chiarire, per superare le prime perplessità spiegando il tipo di manifestazione. Non è che con questo si voglia prendere le distanze dai temi del sacro, è per dire che Sacrofest non è mai stata un’iniziativa legata espressamente a tematiche religiose”.
“Quella è frutto degli amici pubblicitari che ci danno una mano. Non ha un significato particolare. L’idea era quella di inserire un’immagine che creasse un po ‘di contrasto rispetto appunto all’idea di festa parrocchiale e di evento religioso. Volevamo trovare qualcosa che staccasse”. La pandemia ha fermato tutto per due anni, le edizioni del 2021 e del 2021 non ci sono state. Questo stop non ha compromesso la voglia di andare avanti?
In ogni caso, Sacrofest accanto agli eventi di qualità continua ad avere anche un aspetto più “nazionalpopolare”, che è quello legato alla sagra, agli stand gastronomici. Il mix rimane la formula giusta?
“La sagra, a parte il valore in sé di aggregazione, ha anche un aspetto economico: a noi piace dire che mangiando i panini si finanzia la cultura. Lo stand permette di ottenere risorse finanziarie per poter proporre degli eventi di cultura. Perché le serate in teatro sicuramente non si pagano con i soliti biglietti di ingresso, che volutamente teniamo bassi per non perdere la caratteristica di evento popolare e aperto a tutti”. Quanto costa organizzare un’edizione?
“In totale siamo intorno ai 50 mila euro. Ci rientriamo a filo, grazie soprattutto agli sponsor: se non ci fossero sarebbe dura”.
Attualità Un discreto impegno, oggettivamente. Mai avuto problemi?
“Quando siamo partiti la prima preoccupazione economica indubbiamente c’era: e se facciamo un buco nell’acqua? Abbiamo parlato dunque con il consiglio pastorale e con il parroco. E sono sempre riconoscente al parroco di allora, don Andrea Mazzon, che ci ha dato subito fiducia. Spesso le sagre, nell’ottica di una parrocchia, sono momenti che servono anche per raccogliere fondi, ma in questo caso c’era un certo rischio di andare in perdita, e tuttavia il parroco ci ha detto: partite, dovessero esserci problemi economici la parrocchia è qui. Questo è stato importante. Non c’è mai stato bisogno di ripianare, ma don Andrea è stato lungimirante”. Progetti ulteriori per il futuro?
“Quelli di continuare, finché abbiamo la forza. Per fortuna ogni anno c’è anche qualcuno di nuovo che si aggiunge. Siamo una decina di persone che lavorano per organizzare il programma, ma poi quando arrivano i giorni del festival ci sono più di cento persone coinvolte, fra chi è in cucina, chi fa i turni, chi lava i piatti, chi apre il teatro, chi si occupa della parte pubblicitaria... Ed è tutto volontariato. Un’occasione in cui i giovani lavorano con i meno giovani, in cui c’è una comunione di intenti. Chiaramente dura una settimana, poi finisce, però anche soltanto il fatto di creare questo gruppo di persone che lavora insieme è importante, ci teniamo molto. Il Sacrofest potrà andare avanti fino a che riusciremo ad avere la forza di coinvolgere tutto questo giro di persone”. ◆
[16] ◆ Thiene Attualità Fabris si è via via specializzato nella raccolta di medaglie votive e di devozione popolare, iconografia sacra in genere in una prima fase, poi verso le monete e i distintivi bellici e altri minuscoli oggetti che evocano una storia o la storia locale.
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Omar Dal Maso
e le talpe di campagna di Marano e dintorni potessero parlare, forse potrebbero raccontare di Fabio Fabris, divenuto nel tempo un loro “vicino di casa”. Magari un po’ rompiscatole, ma comunque una presenza fissa da queste parti. E, nel mondo delle favole, potrebbero costituire una valida task-force di supporto nelle spedizioni di ricerca di questo papà di 44 anni, uomo dalle mille passioni. Una di queste consiste nello scavare sottoterra per scoprire tesori dal valore il più delle volte insignificante dal punto di vista economico, ma inestimabili sul piano storico-culturale locale. Quello a lui più caro. Creativo per formazione e vocazione, con un passato – ma anche un presente – da pioniere nell’arte dei graffiti, Fabris negli ultimi tempi si è dedicato a progetti legati a studi storici, collaborando con più musei – tra cui il Siben Alte Komoine di Camporovere -, ed è coautore di due volumi illustrati dedicati, intitolati “An Allen Fronten” (traduzione dal tedesco “Su tutti i fronti”, editi nel 2017 e 2019) che riportano immagini e descrizioni accurate di migliaia di cimeli appartenenti all’esercito austroungarico. Nel tempo libero che trascorre a casa, si diletta tra i fornelli e accudisce i suoi due bimbi piccoli insieme alla compagna Veronica. Lui al contrario delle talpe ci vede benissimo e dove non arriva l’occhio nudo ecco servito lo strumento che utilizza nelle sue ricerche, un metal detector, abbinato a una piccozza “portatile” di marca Rinaldi, oltre all’abbigliamento richiesto a seconda della location. Un radar portatile calibrato per la ricerca di ogni lega, con rilevazione sotterranea fino ai 30/40 centimetri di profondità. A volte in solitaria, più spesso con un amico. Imbattendosi in “di tutto di più”
L’uomo con il metal detector Fabio Fabris tra le sue passioni coltiva fin da bambino quella della ricerca, attraverso il metal detector, di qualsiasi cosa possa collegarlo alla storia locale. Cerca e scavare per scoprire “tesori” dal valore economico il più delle volte insignificante, ma inestimabili sul piano storico-culturale locale.
quando il cicalino sonoro del dispositivo segnala metalli sotto la superficie. Fabris si è via via specializzato nella raccolta di medaglie votive e di devozione popolare, iconografia sacra in genere in una prima fase, poi verso le monete e i distintivi bellici e altri minuscoli oggetti che evocano una storia o la storia locale, che prima e dopo un ritrovamento cerca quasi avidamente di ricostruire. E raccontare poi a chi, come lui, è attratto da questa spinta di saperne di più. Come con i due libri illustrati. In 25 anni di attività, interrotta in gioventù per dedicarsi a un’altra passione, quella dei graffiti come forma di espressione artistica, ne ha viste e trovate di tutti i colori. Ma quella che non si scorderà mai è la prima uscita. “La passione per le ricerche nel suolo mi è stata passata da mio papà, quando avevo 9-10 anni. Insieme andavamo con il raschietto in cerca di fossili, selci e oggetti dell’età del ferro nelle cave ad esempio intorno al Buso della Rana a Monte di Malo, quando ai tempi era consentito. Mi piaceva l’idea di ritrovare ciò che era andato perso. Poi in terza media, quando a 14 anni come regalo per gli esami i miei coetanei chiede-
vano ai genitori un motorino, io ho voluto a tutti i costi un metal detector: ricordo che lo hanno pagato più di un milione di lire. Un modello Fisher 1212-X analogico, quello con le manovelle per capirsi, con il cosiddetto discriminatore a manopola per riconoscere la qualità dei materiali captati nel sottosuolo. Più è basso il suono, vedi col ferro, meno è probabile si tratti di un metallo nobile come oro, argento, alluminio e via via. Era stato importato dall’America e funzionava a pile: altro che i modelli di adesso digitali e ricaricabili. Parliamo di tempi in cui dalle nostre parti esistevano solo strumenti rudimentali che i recuperanti montanari, con nozioni di base di elettronica, si costruiva in casa perché in commercio non si trovava nulla”. Lo conserva ancora?
“No, purtroppo l’ho rivenduto in Belgio, per una pipa di tabacco. Ne ho avuti tre in tutto perché rimango fedele all’analogico, per praticità. Di questi due ancora li utilizzo, tra l’altro identici tra loro”. E la prima ricerca con il metal detector?
“Sul Monte Vezzena, vicino al Forte Verle, sempre con mio padre: ricordo che portai a casa solo chiodi e pallini di piombo”.
Thiene ◆ [17] Montagna o campagna, esiste un terreno più “fertile” per voi detectoristi?
“Dipende cosa si vuole trovare. Nel mio caso i campi agricoli. Ma bisogna aver rispetto di chi lavora la terra, mai andare a mettere piede su appezzamenti seminati. Difatti per chi compie ricerche il periodo migliore per le uscite va da fine settembre alle prime ghiacciate. Per chi predilige i monti, invece, meglio la primavera, appena la neve si scioglie, con vegetazione meno folta e l’erba bassa”. Cosa non deve fare chi pratica questa passione, ovvero quali errori commette spesso un principiante?
“Se ci sono cartelli e recinzioni, ovviamente, non si può accedere se non chiedendo il permesso ai proprietari. La prima cosa però da mettere in conto, oltre a munirsi di attrezzatura adatta al luogo, è quella di informarsi sull’area che si va a esplorare. Tanti neofiti lo ignorano. La regola è prima lo studio e poi la ricerca, mai il contrario. È necessario documentarsi e non muoversi a casaccio, anche per evitare guai. Se si tratta di un sito archeologico o di patrimonio storico-culturale, come ad esempio la grotta di Bocca Lorenza a Santorso, non è consentito portare via nulla. Altrimenti si sconfina nel contrabbando, passando per ‘tombaroli’. Lo stesso vale per zone sacre a cui il rispetto è dovuto e inviolabile, come nel Vicentino il Cimone, il Monte Grappa o il Monte Pasubio: vanno considerate off limits, ancora più della proprietà privata”. Si tratta di un’attività libera in Italia?
“Dipende, in generale sì, ma per esempio in Veneto è richiesto un patentino per la raccolta di cimeli della Grande Guerra, di durata quinquennale, e si rischia una multa salata fino a 5 mila euro se non si è in possesso di questa licenza. In Trentino invece è pratica libera, in alcune zone dell’Alto Adige l’uso del radar è tassativamente vietato. Soprattutto è utile in tema di prevenzione: è fondamentale saper riconoscere un meccanismo di scoppio, a miccia o ad impatto, e come comportarsi in caso di ritrovamenti di residui bellici o di resti umani, che possono capitare in scenari di guerra”. Cosa fare in questi casi delicati, di fronte a un potenziale ordigno?
“I cercatori più esperti segnano le coordinate Gps del luogo di ritrovamento, quelli meno attrezzati basta lascino un segno identificativo, senza toccare nulla. Poi ovviamente va denunciato ai Carabinieri o altre autorità competenti”. Quanto c’è dello spirito da “caccia al tesoro” nelle tue sortite con metal detector e piccozza?
“Solo sporadicamente si trovano oggetti di valore: può capitare, ma non si è alla ricerca dell’oro. Piuttosto dipende dal valore che diamo noi a ciò che troviamo, as-
sociando monete, medaglie o bottoni alla storia del territorio. Spesso nei campi si trovano oggetti persi da chi lavorava i campi, o finiti nel letamaio fuori dalle abitazioni di una volta che poi si spargeva sulla terra. Un esempio? Un bottone dell’esercito francese di era napoleonica dopo un’incursione, tra Marano e Giavenale dove ho scavato, oppure una sterlina d’oro del ’800 su un sentiero in Val d’Astico, riuscendo a risalire a chi apparteneva, un signore del posto emigrato all’estero per lavorare e che fu pagato appunto in moneta straniera. Tanto che da quelle parti i discendenti vennero soprannominati gli “Sterlina”, cosa di cui sono venuto a conoscenza a distanza di anni. Certe scoperte sono affascinanti, anche quando l’oggetto in sé ha valore irrisorio”. Fare il detectorista può essere considerato un lavoro vero e proprio?
“No, nessuno lo fa per professione, anche se è vero che un mercato di scambi tra col-
Attualità lezionisti c’è, favorito dal web negli ultimi anni. Circa l’80% di chi va alla caccia di reperti sotterrati dal tempo sono privati cittadini, mossi dalla passione di un recupero, per la parte restante finiscono nel commercio on line oppure donati a enti o musei. Spesso noi collezionisti ci priviamo di qualcosa semplicemente per far ordine in casa, ma mai dei reperti a cui siamo davvero affezionati”. Tra i progetti futuri, che di sicuro saranno molteplici, cosa spicca?
“Di recente mi sono riavvicinato al graffitismo come da ragazzo. Se andare per campi e boschi consente di stare con se stessi e la natura, condividere questa forma di creatività con amici consente di riassaporare quella socialità che la pandemia aveva allontanato”. ◆
[18] ◆ Thiene Attualità La novità culturale sta prendendo forma per iniziativa dei giovani del collettivo di emergenti artisti e performer locali riuniti nel gruppo “Galleria 37”, insieme all’artchitetto thienese Elisa Fortuna.
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Omar Dal Maso
nche l’arte fa la sua… parte, per restituire non solo normalità ma anche l’intreccio di stupore e bellezza che sa suscitare, e spunti di riflessione a cui attingere. Spazio aperto alla creatività sotto molteplici forme di espressione a Thiene da fine aprile a metà giugno, grazie all’originale condivisione di intenti tra Galleria 37 e Fearch Studio, un patto – del tutto inedito - appena “sfornato” che metterà a disposizione un’area espositiva per una mostra temporanea e ospiterà tre eventi: collegati tra loro da un filo conduttore che trae la sua origine dalla filosofia e, in particolare, dal filone del moderno decostruzionismo. Ciascun autore - di opere esposte ma anche di performance di videoart o di speech aperti al pubblico in tre diverse giornate potrà offrire la propria visione e interpretazione del tema proposto, dopo l’open call chiusa il 19 marzo scorso che ha visto una ventina di artisti a candidarsi e, di recente, anche conoscersi. In buona parte si tratta di giovani vicentini e dei dintorni, ma le richieste sono pervenute da più località del Veneto. Anche questo un segno peculiare della propensione a sciogliere qualsiasi confine, ponendo implicite domande anziché esplicite risposte. La mostra e gli eventi sul vassoio culturale si propongono di analizzare e valorizzare le estreme polarità di un tema che richiama le opere del filosofo francoalgerino Jacques Derrida, scomparso nel 2004: costruire per de-costruire o de-costruire per costruire? Ad... architettare la novità culturale che sta prendendo forma dopo un primo workshop che li ha riuniti in vista del “battesimo” del prossimo 30 aprile, sono i giovani del collettivo di emergenti artisti e performer locali che si sono riuniti nel gruppo “Galleria 37” – con già in archivio una loro prima proposta nel settembre 2021 in Villa Fabris – insieme a Elisa Fortuna, architet-
Un patto per l’arte Avviata un’originale condivisione di intenti tra Galleria 37 e Fearch Studio, un patto inedito che metterà a disposizione un’area espositiva per una mostra temporanea e ospiterà tre eventi.
to thienese che ha messo a disposizione, oltre alla sua passione genuina per l’arte in ogni suo riflesso, anche lo studio che si trova al “Bosco2 di Thiene, in via del Parco 11, nell’edificio che un tempo ospitava un calzaturificio. Qui, in una location ricavata in una porzione dell’ex stabilimento industriale che ne conserva la storia oltre che struttura, sarà allestito nei prossimi giorni quello che vuole modellarsi come una sorta di “epicentro” di scosse e stimoli per artisti, visitatori e chi assisterà ai momenti di condivisione nei tre atti. I membri di Galleria 37 per questa edizione sono due promotori altovicentini già molto attivi in ambito cultura: Giulia Benvegnù, studentessa di Filosofia all’università di Padova e Stefano Franzon, innovation manager di professione. Il workshop recente si è tenuto in forma ibrida: chi non ha potuto essere presente fisicamente a Thiene nella data concordata ha potuto comunque partecipare online, utilizzando strumenti di collaborazione condivisi. “Un momento per conoscersi, farsi ispirare dalla ‘de-costruzione’, riflettere sul proprio progetto e condividerlo criticamente con altre persone”. Da ricordare che l’iniziativa gode del patrocinio del Comune di Thiene. Tre le date da segnarsi: sabato 30 aprile con l’apertura della mostra e il primo evento, a seguire sabato 14 maggio e ultima tappa il 18 giugno per salutare la primavera. Con “scalette” dei vari talk in programmazione tutte da scoprire di volta in volta attraverso i profili Instagram di Galleria 37 e di Fearch Studio, andando a toccare con approccio multidisciplinare la danza, il design, la filosofia, la pittura figurativa e ogni forma libera di espressione con intorno i 70 metri quadrati dedicati all’esposizione temporanea. Che sarà a breve dunque ospitata nello studio di architettura di recente inaugurazione in modalità “open”, per un percorso complessivo e complesso che lascia intendere di volersi ritagliare una pagina bianca da riempire e colorare di stimoli creativi, emozioni e riflessioni fuori dall’ordinario, dalla convenzionalità, e dall’omologazione. ◆
Giulia Benvegnù e Stefano Franzon, i due giovani che hanno costituito la proposta culturale Galleria 37
L'architetto Elisa Fortuna
[20] ◆ Schio
Qui e nella pagina accanto, immagini della centrale di teleriscaldamento di Ava attualmente un funzione a Schio. Sotto, la cartina con segnata l'area interessata dalla richiesta di ricerche geotermiche
Attualità
La domanda non è tanto se l’acqua calda ci sia, ma quanto profonda sia. La fase attuativa del progetto potrà prendere corpo infatti solo se si troveranno bacini idrici a una temperatura idonea e a profondità compatibile con il loro sfruttamento.
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Elia Cucovaz
e il passato di Schio è stato scritto anche grazie all’acqua – quella della Roggia, che metteva in movimento le ruote idrauliche dei primi opifici - questo stesso elemento potrebbe tornare protagonista anche nel futuro della città. Tuttavia in questo caso non si parla di acque superficiali, bensì situate a centinaia di metri sotto nel sottosuolo. Che potrebbero fornire energia non grazie al loro movimento, bensì in virtù del loro calore. La scoperta dell’acqua calda, in questi tempi di bollette salate, sarebbe tutt’altro che banale. Ed è proprio questa la scommessa di una società specializzata che proprio a Schio intende effettuare la ricerca di risorse geotermiche. Se le prospezioni confermeranno le attese, il progetto sarebbe quello di impiantare una centrale in grado di fornire riscaldamento alla città grazie al calore proveniente dalle profondità terrestri. Con l’attuale crisi energetica e le prospettive di un futuro non certo roseo per quanto riguarda la disponibilità di idrocarburi, pensare di avere, almeno metaforicamente, “il petrolio” sotto i piedi è sicuramente un’idea suggestiva. Soprattutto perché, stando a quanto spiegano i referenti del progetto, si tratterebbe di una fonte enrgetica totalmente rinnovabile e non inquinante.
Un’area di venti chilometri quadrati L’autorizzazione alla ricerca di risorse geotermiche è stata avanzata alla Direzione Difesa del Suolo e della Costa della Regione Vene-
Alla scoperta dell’acqua calda Una società specializzata intende effettuare a Schio la ricerca di risorse geotermiche. Il progetto sarebbe quello di impiantare una centrale in grado di fornire riscaldamento alla città grazie al calore proveniente dalle profondità terrestri.
to, ufficio preposto al rilascio delle concessioni minerarie, idriche e termali, dalla società Geotermia Futura Srl, con sede a Trento. La stessa ditta ha presentato in tutto sei richieste analoghe in altrettante aree venete: Verona Nord e Sud, San Martino Buon Albergo, Bussolengo, Treviso e, per l’appunto, Schio. Quest’ultima riguarda di fatto un’area di oltre 20 chilometri quadra-
ti, che si sviluppa per la maggior parte nel territorio scledense ma che comprende in parte anche i comuni di Santorso, Piovene Rocchette, Zanè e Marano Vicentino. Anche la ragione sociale della ditta, in questo caso, è significativa. Geotermia Futura infatti è costituita nella forma di “società benefit”, formula che nell’ordinamento commerciale italiano distingue quelle imprese che nell’esercizio della loro attività oltre allo scopo di lucro perseguono volontariamente anche una o più finalità di beneficio comune. “Nel caso specifico questo bene comune è rappresentato dal rendere possibile lo sfruttamento di energia pulita ad un costo accessibile”. A spiegarlo è Dennis Bonn, referente del progetto per ISA, Istituto Atesino di Sviluppo, società finanziaria partecipata dall’Arcidiocesi di Trento e da altri enti ecclesiastici che detiene buona percentuale del capitale sociale di Geotermia Futura.
Schio ◆ [21] Ridurre emissioni e combustibili fossili “Il nostro istituto – continua Bonn – per espressa volontà dei suoi azionisti amministra il patrimonio con investimenti in vari settori con un approccio di finanza etica. La scelta di entrare in Geotermia Futura, come in altre realtà produttrici di energie rinnovabili ne è un esempio, in quanto si tratta di un ambito che offre allo stesso tempo prospettive di buoni ritorni economici e un impatto sociale positivo”. Nello specifico il ricorso al geotermico promette una riduzione delle emissioni e dell’utilizzo di combustibili fossili, la dipendenza dai quali pone di fronte a problemi che non sono soltanto ecologici ma – e la storia recente lo dimostra come non mai – anche morali. Con questa prospettiva, la scelta di Schio come delle altre aree di potenziale sviluppo di centrali geotermiche è stata dettata tanto da motivi geologici che economici. “Per le ricerche sono state individuate aree dove coesistono tanto caratteristiche geologiche tali da farci ritenere possibile la presenza di acque termali a profondità non troppo elevate, sia un bacino d’utenza abbastanza grande da permettere lo sviluppo di un sistema di teleriscaldamento economicamente sostenibile”. Schio, con la sua zona industriale e la presenza di un ospedale, oltre che di una rete di teleriscaldamento già in parte sviluppata – quella che viene alimentata oggi dal termovalorizzatore di Ca’ Capretta, risponde a entrambe questi requisiti. Queste le premesse che hanno portato la società trentina a focalizzare la propria attenzione sull’Alto Vicentino e ad avviare in Regione l’iter necessario a ottenere le autorizzazioni necessarie a compiere le prospezioni che permetteranno di appurare la fattibilità del progetto. “Dalle nostre valutazioni preliminari – spiega il referente dell’ISA – l’area di Schio presenta una struttura geologica adeguata”. Nello specifico si tratta di cosiddetti “tetti carbonatici”, ovvero formazioni geologiche risalenti ad oltre 65 milioni di anni fa, compatibili con la presenza di serbatoi idrici a temperature superiori a 50°C, situati a profondità comprese tra i 500 e 1.000 metri di profondità. Concluso l’iter autorizzativo, quindi, inizieranno le ricerche sul campo per verificare l’effettiva esistenza di tali risorse geotermiche. La domanda non è tanto se l’acqua calda ci sia, ma quanto profonda sia. La fase attuativa del progetto, quella finalizzata all’effettiva valorizzazione del calore terrestre come fonte di energia, potrà prendere corpo infatti solo se si troveranno bacini idrici a una temperatura idonea e a profon-
Attualità
dità compatibile con il loro sfruttamento. “La nostra prospettiva è quella di trovare acqua tra i 60 e i 90 gradi a circa, nell’ordine dei mille metri. Trovarla più calda o trovarla prima sarebbe una fortuna. Trovarla a oltre 2 mila metri renderebbe il suo sfruttamento anti economico”.
Un circuito chiuso Se un futuro geotermico per Scho ci sarà, non partirà nell’immediato. In ogni caso la società Geotermia Futura ha già le idee chiare su come avverrebbe lo sfruttamento di questa eventuale risorsa. “Prevediamo la realizzazioni di centrali per il teleriscaldamento cosiddette a bassa entalpia – spiega Bonn – ancora poco o nulla diffuse in Italia, che hanno un impatto paesaggistico pressoché nullo e che forniscono energia totalmente rinnovabile”. Il sistema, spiegato in estrema sintesi, prevede la creazione di un circuito chiuso: l’acqua calda viene estratta dal sottosuolo mediante un primo pozzo e fatta scorrere in tubazioni che raggiungono le utenze allacciate dove avviene lo scambio termico. Al termine del circuito l’acqua che ha ceduto il suo calore viene reimmessa tramite un secondo pozzo nello stesso bacino da cui proveniva, dove torna a scaldarsi. “Dall’esterno si vede solo la stazione di pompaggio, che avrebbe più o meno le dimensioni di una cabina elettrica, e il prelievo di calore sarebbe del tutto ininfluente rispetto alla fonte a cui attingiamo che è il nucleo terrestre stesso. Naturalmente, qua-
lora ci fosse la possibilità di passare alla fase operativa, riterremmo imprescindibile promuovere il pieno coinvolgimento delle istituzioni e dalla comunità locale”.
Tutelare la falda acquifera Il sindaco Valter Orsi intende seguire con attenzione l’evolversi del progetto. “Guardiamo con interesse a tutte le iniziative di valorizzazione delle energie rinnovabili sul territorio”. In ogni caso, ricorda che già vent’anni fa la Provincia aveva valutato il potenziale geotermico del territorio. “Schio era stata inserita fra le aree di medio interesse, ma è chiaro che la tecnologia e il contesto socio-economico sono evoluti. Già allora, comunque, una criticità emersa era legata alla necessità di tutelare la falda acquifera, risorsa del nostro sottosuolo oggi più che mai da tutelare. Porremo attenzione a questo come agli altri aspetti ambientali”. Un simile impianto comporterebbe due tipi di vantaggi: quelli di ordine economico, in quanto l’energia da fonte geotermica ha un costo competitivo rispetto ad altre fonti fossili o rinnovabili. Il secondo di ordine ecologico, in quanto un impianto del genere permetterebbe di contribuire al riscaldamento di utenze pubbliche e private, sia domestiche che commerciali, con un sistema a emissioni zero. “A nostro parere – conclude Bonn – è una delle fonti rinnovabili più promettenti in quanto ha un impatto inferiore rispetto, per esempio, all’eolico, al solare e all’idroelettrico”. ◆
[22] ◆ Schio Economia
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Stefano Tomasoni
iovani cercansi per inserimento in azienda. Pare proprio che siano tornati i tempi in cui le imprese lanciavano appelli a destra e a manca per la ricerca di manodopera. Quindici-vent’anni fa, comunque prima della grande crisi scoppiata nel 2008, la ricerca riguardava soprattutto certe figure professionali e specializzate, mentre oggi, nel momento in cui si tratta di intercettare la ripresa del dopo pandemia, le aziende segnalano la necessità di personale anche non formato. Non si trovano giovani, un po’ perché la crisi demografica li sta riducendo di numero, un po’ perché quelli che ci sono guardano al lavoro in fabbrica come quarta o quinta scelta. Eppure questo fenomeno del “chi cerca non trova” pare proprio che non sia una novità in assoluto. A Schio esisteva già giusto sessant’anni fa, quando le imprese di allora cercavano manodopera e non riuscivano a trovarla. La conferma la fornisce un passo del libro “I dieci anni che cambiarono Schio”, pubblicato dal sottoscritto una quindicina di anni fa, che riferisce alcuni curiosi episodi accaduti nell’inverno del 1962. In una città dove l’industria cresce e c’è una storica tradizione operaista, le relazioni sindacali possono diventare, diciamo così, animate. Dopo i momenti difficili e gli scioperi che si erano verificati l’anno precedente nelle principali aziende meccaniche, anche nell’inverno del 1962 si verificano episodi di conflittualità e di “braccio di ferro” fra industriali e sindacati. Non tutti i sindacati, peraltro: in febbraio la Cgil agita le acque nelle fabbriche con scioperi a singhiozzo, ma la Cisl si chiama fuori, criticando il contenuto politico dell’agitazione. Il 27 febbraio si lavora con interruzioni a singhiozzo di mezz’ora alla Ilma, alla Gregori e alla Smit; in quest’ultima fabbrica la proprietà reagisce alle sospensioni decidendo di tagliare la testa al toro e di chiudere la fabbrica per l’intero pomeriggio. Gli industriali rimangono fermi sulle loro posizioni, facendo leva sull’accordo sottoscritto dalle parti in campo nazionale. L’8 marzo Cgil e Uil proclamano uno sciopero generale nelle industrie metalmeccaniche di Schio, mentre la Cisl lascia libertà ai suoi iscritti, e non partecipa ufficialmente all’agitazione. Dietro le vertenze sindacali e gli scioperi, in quegli anni, ci sono perlopiù rivendicazioni salariali abbastanza tradizionali, legate a questioni come i premi di produzione o la redistribuzione del cottimo. Non si tratta, in altre parole, di proteste causate da
Anche sessant'anni fa si cercava manodopera Le aziende segnalano da tempo la difficoltà a trovar manodopera e soprattutto giovani da inserire al lavoro. Non è un fenomeno nuovo: anche sessant’anni fa il problema era agli onori delle cronache.
gravi crisi aziendali. Molte aziende, del resto, fanno fatica a trovare la manodopera necessaria. E finiscono a volte per rubarsela, nel vero senso della parola. “Sempre più insistenti si fanno le lamentele da parte di molti artigiani e addetti al commercio per la crescente carenza di giovani disposti ad andare, come si dice, a bottega - segnala Renato Bortoli sul Numero Unico
Addio all’Albero dei libri Ohibò, hanno “tagliato” l’Albero dei libri, al parco Donatori di sangue. Dopo una quindicina d’anni di vita, effettivamente, non se la passava benissimo. Le “copertine” di plastica che proteggevano le nicchie con dentro i libri erano consunte dal tempo, i libri ultimamente erano anche loro messi maluccio. Fatto sta che l’Albero è sparito. Era stata l’iniziativa di una privata cittadina, che aveva fatto realizzare l’albero a sue spese da un falegname. Un’idea bella e altruista: c’era chi portava un libro, chi ne prendeva un altro. Peccato.
del ‘63 -.Anche le industrie inoltrano all’Ufficio di Collocamento richieste che rimangono inevase per mancanza di concorrenti”. A mancare sono soprattutto saldatori elettrici, aggiustatori meccanici, tornitori, fresatori, montatori di macchine tessili, carpentieri, modellisti in ferro, fonditori, calderai, trapanisti, lamieristi. In febbraio questa difficoltà a trovare certe figure professionali fa passare un brutto quarto d’ora ad un imprenditore scledense. Non riuscendo proprio a coprire dei posti di cui aveva sempre più bisogno, l’industriale decide di andare a Marano per convincere tre operai di sua conoscenza a mollare l’azienda dove lavorano e a trasferirsi nella sua. Pessima idea. Arrivato a Marano, le cose per lui si mettono subito male. Invece dei tre operai, si trova di fronte al loro datore di lavoro e ad altri suoi dipendenti. I due industriali cominciano a discutere e a litigare: quello di Schio vuole assumere i tre operai a tutti i costi, quello di Marano non ci pensa proprio a perdere sei braccia preziose. Ad un certo punto, forse intimorito dalle minacce, lo scledense capisce che non è cosa e che conviene lasciar perdere, raggiunge in fretta la sua automobile e punta verso Schio. Per essere sicuri che non torni, l’imprenditore maranese e i suoi operai si mettono all’inseguimento dello scledense, ma non riescono a raggiungerlo. La “caccia al dipendente” (e a volte, come s’è visto, anche all’imprenditore) è il segnale che l’economia locale è in movimento. Le industrie se la cavano anche in periodi di “vacche magre”. ◆
[24] ◆ Schio Attualità Le taverne, un must fino agli anni ‘90, non sono quasi mai richiesta per i nuovi edifici, anche perché tendenzialmente non si realizza più il piano interrato.
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Camilla Mantella
ino a qualche anno fa l’oggetto del desiderio immobiliare della classe media scledense era la casa a schiera o bifamiliare con il giardino e la taverna dove ospitare gli amici. Tra la fine degli anni ’80 e la crisi del 2008 un’intera generazione di nuovi acquirenti di case – i figli dei baby boomers che avevano costruito le villette indipendenti negli anni ’60 e ’70 – sono andati ad abitare in nuove lottizzazioni costruite per soddisfare le esigenze di famiglie che guardavano entusiasticamente al futuro. I colori più usati per le facciate erano il giallo, il rosa acceso, il salmone. Le abitazioni si sviluppavano tipicamente su tre piani: al piano interrato la taverna e i garage, al piano terra la zona giorno con la cucina rigorosamente divisa dal salotto, al piano primo la zona notte. Le metrature erano significative, i piani regolatori permettevano ancora un consumo di suolo poco accorto, il potere d’acquisto dei salari medi era sensibilmente più elevato. Oggi le cose sono cambiate. I nipoti dei baby boomers delle casette singole, ovvero i figli degli abitanti delle case a schiera, hanno stipendi ed esigenze molto diverse da quelle dei loro genitori. Quando comprano casa ristrutturano le abitazioni lasciate vuote dai nonni, recuperando le costruzioni degli anni ’60 e ’70, oppure acquistano appartamenti di nuova costruzione con metrature di molto inferiori a quelle delle case dove sono cresciuti. Sono generalmente più attenti all’impatto ambientale e hanno gusti estetici influenzati dal design scandinavo, pulito e minimale, e dal desiderio di stare più a contatto possibile con la natura.
La casa cambia colore e dice addio alla taverna Grandi zone giorno, colori tenui, vetrate sul verde, metrature necessariamente ridotte, una stanza aggiuntiva per lo smart working o la didattica a distanza: queste le caratteristiche delle nuove abitazioni scledensi. “La presenza di vetrate nelle abitazioni è sempre più indispensabile, per godere al massimo della luce naturale e del panorama - spiega l’architetto Michele Faoro di Studiofficina Architettura -. Ove non vi siano affacci panoramici, si ricerca un affaccio privato, verso il giardino. Grandi vetrate, spesso apribili con infissi scorrevoli, consentono una continuità tra interno ed esterno, verso giardino o terrazzo che sia, che consente di vivere l’esterno come estensione della zona giorno, soprattutto nel periodo estivo”. I colori più richiesti per decorare gli ambienti interni sono molto lontani dai toni accesi degli anni ’90 e dei primi anni 2000. “Nell’ultimo periodo si usano molto i colori naturali, quali il corda, il beige, il tortora, il marrone. Rimangono frequenti anche i vari toni del grigio”, continua Faoro, anche se, aggiunge, cominciano a essere richiesti anche colori molto vivaci, per singoli spazi eccezionali. L’ambiente su cui si concentrano i maggiori sforzi progettistici e le maggiori risorse è la zona giorno, che nella stragrande maggioranza dei casi si struttura in un unico grande open space – il più ampio possibile - dove la cucina la fa da padrona, con isole centrali che ospitano lavelli e piani cottura. Quella della cucina come fulcro dell’abitazione è una vera e propria rivoluzione rispetto agli anni precedenti. Se pensiamo alle case abitate dai nostri nonni, la cucina
è spesso relegata a piccole stanze separate dal resto della casa. Nelle abitazioni degli anni ’60, infatti, il vero protagonista è il salotto, con la TV a troneggiare circondata da divani a poltrone. Nelle case a schiera le cucine sono più importanti, ma pur sempre separate dal soggiorno. Oggi, invece, la cucina è l’investimento più considerevole in termini di arredamento e il suo design è estremamente importante. E le taverne, così indispensabili negli anni ’90? “La taverna non viene quasi mai richiesta per i nuovi edifici, unitamente al fatto che tendenzialmente non si realizza più il piano interrato, costruendo completamente fuori terra per questioni economiche e di salubrità degli ambienti - risponde Faoro -. Per lo stile di vita attuale, le case spesso sono più piccole che un tempo e valorizzano gli spazi e gli ambienti vissuti quotidianamente. Nelle ristrutturazioni, quando la taverna è già presente in una casa, raramente viene arredata con la stessa attenzione delle zone principali. Rimangono però gli appassionati che mai potrebbero rinunciarvi per le cene con gli amici”. Grandi zone giorno, colori tenui, vetrate sul verde, metrature necessariamente ridotte, una stanza aggiuntiva per lo smart working o la didattica a distanza: queste le caratteristiche delle nuove abitazioni scledensi, in attesa che la prossima generazione stravolga, ancora una volta, i gusti e le esigenze di quella precedente. ◆
Thiene ◆ [25]
La chiesetta delle Dimesse è tornata come nuova
Attualità
Conclusi i lavori di restauro della facciata di uno dei gioielli architettonici che Thiene custodisce nel suo centro storico.
L
a chiesetta delle Dimesse ritrova la sua bellezza originaria, dopo la conclusione dei lavori di restauro recenti. Se ne sono accorti tanti thienesi di passaggio tra le vie De Muri e De Marchi, di fronte a via Dell’Eva e all’ex seminario dei Comboniani, ammirando la nuova “luce” della facciata di uno dei gioielli architettonici che la città di Thiene custodisce nel suo centro storico e che l’incedere degli anni e dei fattori ambientali aveva progressivamente guastato. Un’opera di cura e di salvaguardia di un tassello del patrimonio culturale e religioso locale, nel quartiere della Conca, si è conclusa a inizio primavera, grazie a un investimento di 44 mila euro che ha interessato le statue sommitali, le grate in ferro
battuto, il ripristino degli intonaci a marmorino ed infine il portone ligneo di scuro pregio, quasi una scultura ad altorilievo. Da tempo, ormai, la preziosa chiesetta dedicata alla Concezione della Beata Vergine Maria mostrava segni di degrado, soprattutto nella facciata, dove le sculture in pietra tenera di Vicenza erano prossime al collasso. Con inoltre le pareti esterne in parte annerite dall’inquinamento, dando l’ingresso sulla strada. La chiesetta tornata all’antico splendore delle origini risale al periodo tardo barocco: un tempo costituiva un luminoso spazio incastonato in un collegio che occupava un’estesa area di Thiene, luogo sacro di ritiro e di preghiera. La compagnia delle Suore Dimesse, o Com-
pagnia della Madonna, si occupava della visita periodica agli ammalati, della catechesi e soprattutto dell’accoglienza di giovani donne. Una vocazione sociale proseguita nei secoli seguenti, dopo la soppressione delle Dimesse, utilizzando il collegio per attività legate alla scuola, alla sanità, all’educazione. ◆ [O.D.M.]
[26] ◆ Thiene Sport Piace la nuova configurazione “verde” del Circolo thienese dopo i lavori di riqualificazione con la novità dei campi di padel installati entro l’estate.
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Omar Dal Maso
no spazio ricreativo e per la ristorazione rivisto e ampliato all’ingresso, un nuovo blocco per gli spogliatoi degli atleti che frequentano il circolo e, non ultima, la novità assoluta dei campi attrezzati per la moda sportiva del momento, vale a dire la pratica del padel, appena in prospettiva. Il centro Tennis Thiene dopo circa 6 mesi di lavori di riqualificazione conclusi di recente è pronto a dare il benvenuto agli appassionati della racchetta e agli onnipresenti amanti del calcetto amatoriale, ma anche agli aspiranti “padelisti”, termine fresco di conio che sta coinvolgendo migliaia di italiani un po’ ovunque. Per il nuovo bar è già tutto pronto e servito: l’idea è creare un’atmosfera accogliente per tutti i fruitori del centro, in particolare con l’approssimarsi della bella stagione e la possibilità di riunisci all’aria aperta. Ancora qualche mese di attesa, invece, per l’installazione dei blocchi rettangolari che costituiscono la “gabbia” per il padel, destinato a coppie di giocatori. Sul piano economico, trattandosi di impianti sportivi pubblici in concessione è stato il Comune di Thiene ad accollarsi il costo di 235 mila euro per lo stralcio di lavori ultimati a marzo. Riqualificato anche il verde esterno e le al-
Volée vincente per il Centro Tennis Piace la nuova configurazione “verde” del Circolo thienese dopo i lavori di riqualificazione con la novità dei campi di padel installati entro l’estate. berature perimetrali, con nuove piantumazioni, una siepe, il rifacimento di muretti, delle recinzioni e delle grondaie dei campi 3 e 4 che necessitavano di intervento, dopo che negli anni passati l’attenzione era stata rivolta al rifacimento dei terreni di gioco dedicati al tennis, il “primo amore” del centro sportivo, adeguandoli ai tempi e favorendo così un serve & volley di colpi. Senza scordare la pratica del calcetto, disponibile su due campi, che vede la struttura thienese di fronte alla Piscine ospitare una ventina di gruppi di giovane a rotazione, nelle ore serali e nei fine settimana. Da qui era nata anche la necessità della messa a punto di nuovo locali a uso spogliatoio e servizi igienici adeguati. Il Centro Tennis Thiene è in gestione dal 2009 a un’associazione sportiva dilettantistica locale che cura i “talentini” nostrani della racchetta e accoglie i fedelissimi soci di un nobile sport per antonomasia ma in realtà alla portata di tutti, anche grazie al lavoro di istruttori qualificati. Giova ricordare che nell’ultima decade, ol-
tre alle periodiche manutenzioni, nel 2011 stati rifatti due campi da tennis in play-it e i nuovi viali di accesso ai campi, e nel biennio 2015–2017 altri due terreni in erba sintetica per il gioco del tennis, oltre a quelli “double-face” in cui si può calciare il pallone grazie all’installazione delle porte e alle linee a terra. “La vivacità del Centro Tennis richiedeva un restyling innovativo – ha detto Giampi Michelusi in vesti di assessore allo sport in sede d’inaugurazione - adeguato a fornire risposte puntuali ai giovani e agli adulti praticanti”. L’attività didattica a oggi consta di un centinaio di ragazzi che frequentano la scuola, seguiti passo passo dai “quattro maestri moschettieri” che insegnano loro i trucchi del mestieri e li avviano alla pratica agonistica. “La nostra mission è quella di creare un ambiente polisportivo aperto a tutti - spiega Luca Todeschin, presidente di Tennis Thiene - dove si possa praticare lo sport in serenità, diffonderlo tra i ragazzi e favorire momenti di condivisione, svago e sana fatica. Proprio l’attività didattica che si svolge nella scuola è il nostro punto di forza, nonché l’obiettivo primario delle scelte del Centro, che intendono privilegiare l’attività giovanile. La classe d’età maggiore dei nostri tennisti è quella della fascia tra 8-18 anni. Vengono svolti corsi per disabili e al mattino corsi di tennis per studenti delle scuole superiori. Riguardo al padel, praticabile qui da maggio, permetterà di completare i servizi del Centro con uno sport destinato a grandi sviluppi nel futuro. Saremo una delle prime strutture in convenzione, considerato che esistono quasi esclusivamente location private nel Vicentino e in Alto Vicentino in particolare”. ◆
[28] ◆ Schio Spettacoli
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Mirella Dal Zotto
ono stati tre gli appuntamenti con Schio Teatro Popolare, organizzati dalla Fondazione in collaborazione con il Comune e con il circuito teatrale regionale Arteven, per portare in scena i talenti del nostro territorio. Programmati a inizio stagione al Civico, sono poi stati spostati all’Astra in attesa dell’agibilità definitiva del teatro storico di via Maraschin.
Storie di emigrazione Stefano Rota della compagnia Stivalaccio Teatro ha raccontato una storia di emigrazione di fine ‘800, in quel particolare e sofferto momento storico quando a emigrare eravamo proprio noi, ora definiti “la locomotiva d’Italia”. “Cèa Venessia. Odissea nostrana dal Nord Est all’Australia” è stato un racconto realistico, di pancia, su chi a cavallo tra otto e novecento cercò un posto migliore in cui vivere, chiamato prima “Cèa Venessia” (Piccolo Veneto) e poi, come in tante altre parti del mondo, Little Italy. Rota ha messo i poveri panni di Giacomo Piccoli, di Orsago (Treviso), raccontando la sua miseria e la sua speranza con efficace immedesimazione, coinvolgendo i presenti: il pubblico non era molto numeroso ed è stato un peccato, perché Rota ha saputo essere spiritoso e serio, leggero e profondo, comunque sempre dentro il suo personaggio sfaccettato che viveva mille emozioni. “4 milioni e 439 mila sono i Veneti che hanno lasciato le loro case in cerca di fortuna, tra il 1876 e il 1978 – scrive Marco Zoppello nelle sue note di regia –. Stati Uniti, Brasile,Argentina, Canada e Australia le rotte più percorse. Ho visitato New Italy, una piccola colonia australiana, alcuni anni fa, parlando con uomini e donne immigrati molti anni addietro e le loro storie si sono depositate in me, pronte a riaccendersi, come bronse cuerte: ci ha pensato Stefano Rota ad aiutarmi a soffiar via la cenere e ne è nato un racconto popolare, comico e drammatico insieme”.
Il teatro popolare merita applausi L’emigrazione, la violenza sulle donne e il peso delle parole sono stati i temi protagonisti dei tre spettacoli in calendario per Schio Teatro Popolare, ospitati all’Astra in attesa dell’agibilità definitiva del Civico.
La Compagnia degli Evasi
È stata poi la volta della Compagnia degli Evasi, con “Hotel Blues”; in questo spettacolo, ha colpito principalmente il testo di Roberto Ross (direttore di scena, collabora fra gli altri con Monica Guerritore, Giuliana Musso, Marco Paolini, Ugo Pagliai, Gioele Dix), che ruota attorno a una sorta di vendicatore di donne abusate. Si capisce solo nella parte finale che il gestore di un alberghetto malfamato di periferia, uomo in crisi personale e professionale ma sempre e comunque ottimista, in realtà “elimina” conto terzi maschi violenti a cui alcune donne devono sottostare. Il linguaggio è crudo e la recitazione calata in una realtà degradata: i due interpreti, Andrea Carli e Matteo Ridolfi, sono riusciti a trasmettere, in maniera diametralmente opposta, tutto il dramma interiore dei loro personaggi. Alla fine, l’autore fa capire che il violento è stato eliminato, ma la missione dell’albergatore proseguirà per tutelare a modo suo le donne che richiederanno certi servizi. Brava e innovativa, questa compagnia a metà strada tra il teatro professionale e quello amatoriale, che si autofinanzia e ricerca copioni originali: coraggiosa la scelta del testo, vincitore del Premio Sipario 2018, attenta la regia che ha saputo far reggere il ritmo fino alla sorpresa finale, efficace la scelta delle musiche.
Le parole di Marta Dalla Via Infine, Marta Dalla Via, che è sempre una garanzia (ultimo prestigioso riconoscimento, nel 2019, il premio Melato per il teatro), ha chiuso il percorso di Schio Teatro Popolare presentando “Le parole non sanno quello che dicono”, testo da lei scritto e interpretato. Si tratta di un lavoro interamente dedicato alle pecore nere del linguaggio, quelle parole che non si dovrebbero dire, che spesso si pensano, che ipocritamente a volte si negano. “È più importante cambiare le parole o le cose che quelle parole intendono?”. È questa la stimolante domanda che Marta Dalla Via formula al pubblico che la segue da anni e che all’Astra si è proposto numeroso; l’attrice poi non rinuncia, a fine spettacolo, a una sorta di laboratorio con gli spettatori, chiamati a rispondere a imbarazzanti domande per alzata di mano, prendendo posizione. Marta Dalla Via, del resto, non è certo nuova a sperimentazioni, soprattutto con i giovanissimi delle superiori e, con il fratello Diego, ha anche partecipato al Civico al percorso “Lovers. Innamorarsi di un teatro”. Sul palco è stata scoppiettante e polemica, inesauribile; a integrare le sue battute sagaci, le musiche di Roberto Di Fresco che, per la legge dei contrapposti, giocavano con pochissime parole inglesi, ripetute dall’inizio alla fine. Il pubblico ha applaudito e sicuramente pensato. Se non altro, proprio a pensare prima di parlare. ◆
[30] ◆ Schio Attualità
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on l’arrivo della primavera sono tornate le “Passeggiate alla scoperta della città”. Si tratta di una decina di appuntamenti “a passo lento”, programmati da marzo a luglio per conoscere il paesaggio urbano e la storia di Schio. Si sono organizzati anche incontri dedicati ai più piccoli, con laboratori e giochi per esplorare alcuni dei nostri luoghi-simbolo. L’iniziativa è partita domenica 20 marzo, con una passeggiata tra le vie del centro per scoprire la “Schio letteraria”: una quarantina di persone avevano prenotato l’incontro e hanno ascoltato poesie e prose di poeti e scrittori legati Schio, come Ernest
Si passeggia in città Con l’arrivo della primavera vengono riproposte le “Passeggiate alla scoperta della città”, una decina di appuntamenti “a passo lento” programmati da marzo a luglio.
Hemingway e Romana Rompato. Ad Alessandro Rossi e alla sua visione di città è stato invece dedicato l’appuntamento di domenica 10 aprile, che verrà replicato sabato 4 giugno. Nella passeggiata di domenica 8 maggio si andranno invece a esplorare le tracce medievali presenti in città, come ad esempio
Alberi e cartelli Concordiamo col fatto che, nelle strade trafficate, si debba tagliare gli alberi a tre metri dalla carreggiata: potrebbero essere pericolosi in caso di caduta. Ma nelle strade secondarie, magari in collina o in montagna, che senso ha? Già ci pensano gli incendi a danneggiare, a volte irreparabilmente, il patrimonio boschivo… vogliamo contribuire anche noi all’eliminazione del verde? Togliamoli, i cartelli come questo, da strade sterrate dove di certo non passano i tir. Altrimenti, “taja de qua, taja de là, eco che ‘l bosco resta pelà”. [M.D.Z.]
Detto tra noi Ho scritto a Putin Caro direttore, ho scritto a Putin. Gli ho detto che anche nel mio cognome c’è una Z, ma la Z dell’amicizia, non della battaglia cone quella dei suoi carri armati. Gli ho detto che a qualcuno calpestare il giardino degli altri piace e addirittura se ne vanta, o nega di averlo fatto anche se c’è chi può giurare di averlo visto. Gli ho detto che se il suo popolo lo segue è perché non sa ciò che accade realmente in Ucraina, ossia i massacri dei cittadini inermi, gli stupri, le torture, le deportazioni ad opera dei soldati russi: non lo sa perché gli è concesso di conoscere solo la versione ingannevole del regime, pena – diversamen-
i resti del Castello o la chiesa quattrocentesca di San Francesco. Il Giardino Jacquard sarà poi il punto di partenza di altri due appuntamenti: il primo previsto per sabato 25 giugno, per scoprire i personaggi illustri di Schio, il secondo in cartellone per sabato 16 luglio, per lasciarsi incantare dalla meraviglia di uno dei giardini romantici più belli d’Italia, al chiaro di luna e sotto le stelle. I bambini dai 6 ai 12 anni, sabato 26 marzo, allo Jacquard, hanno potuto partecipare a un originale gioco dell’oca infernale sulle tracce di Dante, mentre sabato santo, il 16 aprile, c’è stata una simpatica una caccia alle uova. Sabato 14 maggio potranno conoscere l’affascinante storia del giardino e del teatro progettati da Caregaro Negrin, mentre l’ultimo appuntamento per loro, il 18 giugno, avrà come punto di ritrovo il Castello di Schio, per cimentarsi in qualche gioco medievale. Le “Passeggiate alla scoperta della città” sono organizzate dall’ufficio per la promozione del territorio del Comune e dall’Associazione Trama. Per tutti gli appuntamenti è necessaria la prenotazione. ◆ [M.D.Z.]
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te – l’arresto e il peggio che ne verrebbe. Gli ho detto che per lui l’unico modo di passare il meno miserevolmente possibile alla storia sarebbe quello di interrompere questa guerra disumana, predatoria, vile, selvaggia. Gli ho detto che mi disgusta il comportamento della Chiesa ortodossa di Mosca, che non ha il coraggio di esprimere il suo dissenso se veramente quanto sta accadendo in Ucraina la turba e indigna. Gli ho detto che non sono i popoli a volere la guerra ma i loro governanti, drogati dal veleno dell’ingordigia, dalla brama di dominio, dall’ebbrezza del potere. Gli ho infine detto che se a governare i popoli fosse la donna, mai si scatenerebbe la
guerra, mai si sarebbe trascinati in questa tragedia, perché la guerra è l’urlo dell’odio e del dolore, perché le guerre sono la casa, gli affetti, il lavoro e il futuro brutalmente distrutti, sono i sogni infranti, i cieli incendiati, senza più sole stelle e arcobaleno. Questo, direttore, ho scritto a Putin. Rimane inspiegabile il mistero del silenzio di Dio di fronte a tanta sofferenza e crudeltà. In terra di Ucraina, dove continua la furia devastante dei bombardamenti, la primavera non farà rifiorire i giardini e verdeggiare i prati, non ci sarà in estate la gioia di mietere il grano; e chi tutto avrà perduto mai riavrà quanto gli è stato tolto. Luisa Spranzi