Periodico di informazione dell’A lto Vicentino
anno XI n. 102 - luglio 2022
Schio: Cent’anni di Rifugio Papa - p.6 ◆ L’agricoltura che salva l’acqua - p.22 Thiene: Lo “Zorro verde” che ripulisce i sentieri - p.16 ◆ Dream five, un podio da sogno - p.28
Michelusi: “Sarò un L’uomo che sta facendo sindaco imprenditore” il giro del mondo a piedi
A Thiene è cominciata l’era del sindaco Giampi Michelusi. “Vengo dal mondo delle partite Iva, il mio lavoro è sempre stato caratterizzato da intraprendenza, ed è quello che trasferirò nella figura istituzionale. Quando ero assessore mia moglie mi chiedeva a che ora sarei tornato. Mi ha detto che non me lo chiederà più”.
Nicolò Guarrera, classe 1993, è partito due anni fa con l’idea di attraversare tutto l’orbe terracqueo da Malo a Malo a piedi, con l’unica compagnia di un passeggino da trekking di nome Ezio, uno sherpa con le ruote essenziale specie nelle traversate di deserti e pianure assolate. Adesso è in Cile e lo aspettano altri tre anni di cammino.
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Di mese in mese
L’estate sta sfinendo
C
Stefano Tomasoni
hissà se tra il primo e il secondo turno delle elezioni, a Thiene, Giampi Michelusi ha pensato anche solo per un momento al “caso Tomasi” di otto anni fa, provando un brivido al ricordo dell’imprevedibile capovolgimento di fronte accaduto a Schio nel 2014, quando Dario Tomasi, candidato del centrosinistra, aveva chiuso il primo turno con un vantaggio abissale sul secondo arrivato (non proprio a un soffio dal 50% come Michelusi, ma comunque sopra il 45%), era dunque arrivato al ballottaggio col vento in poppa ed era stato poi superato all’ultima curva da Valter Orsi. A quanto dice il neosindaco nell’intervista che pubblichiamo nelle pagine a seguire, pare di no, pare che a Miche-
SchioThieneMese
Periodico di informazione dell’Alto Vicentino
Supplemento mensile di
Lira&Lira e La Piazza Direttore Stefano Tomasoni Redazione Elia Cucovaz Omar Dal Maso Mirella Dal Zotto Camilla Mantella Grafica e impaginazione Alessandro Berno Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com Per le inserzioni pubblicitarie Pubblistudio tel. 0445 575688
lusi la certezza della vittoria non sia mai venuta meno. Sull’altra sponda, all’opposizione non è servito, per ribaltare i pronostici, il messaggio scelto per arrivare al ballottaggio, quel “Dieci anni sono tanti, sono stanchi, lasciamoli riposare”, contenente una forzatura lessicale, con un rocambolesco cambio di soggetto dentro la stessa frase, e anche una forzatura politica, visto che canzonare gli avversari in campagna elettorale di solito non porta buoni risultati. Alla fine dei giochi, dunque, tocca ora a Michelusi governare Thiene, dopo aver ricevuto il testimone dal sindaco Casarotto di cui è stato in questi anni uno degli assessori di punta. Il piglio di partenza, a leggere le parole del neosindaco, c’è tutto, restano ora le promesse da mantenere. Intanto, l’estate ci sta sfinendo. Un giugno come è difficile ricordarne, all’insegna dell’afa, della siccità, dei raccolti in sofferenza. E un luglio che pare riservare una seconda metà altrettanto rovente. La parola d’ordine è resistere. Sapendo, peraltro, che ogni anno ormai sarà probabilmente la stessa storia, vista l’evidenza ormai incontrovertibile degli effetti dei cambiamenti climatici. Anche per questo, sempre più l’estate o la si odia o la si ama. È più facile amarla, visto che porta giornate lunghe, vita all’aperto, aria di vacanze magari in località esotiche o se va male qualche sporadica gita al mare o in montagna. Però c’è anche chi la odia, un po’ perché porta queste temperature insostenibili, un po’ perché tocca pensare a dove andare in vacanza, trovare un buco libero in mezzo alla folla, farsi spennare sempre e comunque. C’è chi in estate non vede l’ora di spaparanzarsi al sole in qualche spiaggia del Belpaese e godersi il caldo, e chi invece partirebbe volentieri il 21 giugno per un faro della Bretagna o per qualche località del Nord Europa per tornare a metà settembre ad arsura finita.
Poi ci sono quelli che in estate sbracano. Quelli che restano in città ma ci vivono come se fossero in spiaggia. E quindi eccoli in giro per il centro o a far la spesa ciabattando in infradito (e pantaloni corti, ça va sans dire) come fossero sul lungomare di Jesolo. Poco o niente è altrettanto fuori posto quanto qualcuno che passeggia per le vie dello struscio di una città in infradito. Poi capita di incontrare, magari non proprio in centro ma comunque per le vie di un quartiere limitrofo, quello che fa jogging con addosso soltanto un bermuda colorato e scarpe da ginnastica. O quello che risale via Btg. Val Leogra a Schio mezzo desnudo tenendo la maglietta in mano. Al che vien da pensare che se il “Cuore di Schio” l’anno scorso si è inventato l’idea di arricchire con qualche pianta e qualche ombrellone i locali di via Carducci chiamando il tutto con grande fantasia “La spiaggia di Schio”, si può tranquillamente dire che c’è gente per la quale d’estate tutta la città è una spiaggia. Beninteso, succede così ormai un po’ ovunque, purtroppo. In generale c’è una certa percentuale di gente che ha perso, o non ha mai avuto, la consapevolezza che al mare si va vestiti in un modo e in città in un altro. Forse varrebbe la pena far dire due paroline, sul tema, ai Regolamenti di polizia urbana comunali. Né quello di Schio né quello di Thiene prendono in considerazione questo aspetto. In quello di Schio, aggiornato soltanto un paio di anni fa, ci sono due articoli che chiamano in causa i comportamenti della gente, ma parlano d’altro. L’articolo 22, “Atti contrari al decoro e alla decenza” si sofferma su divieti come quello di “compiere atti di pulizia personale o soddisfare le naturali esigenze fuori dei luoghi all’uopo destinati” o su quello di sputare in terra. L’articolo 39 parla poi di “altri atti vietati in luogo pubblico”, ma si va dal gettare carta o liquidi a svolgere “pratiche sportive e ricreative pericolose o moleste”, dal classico rispetto delle aiuole al non arrampicarsi su monu-
Di mese in mese menti o edifici. Il Regolamento di Thiene, che ha un’impostazione molto simile a quello scledense, dice cose simili dall’articolo 6 in poi. Insomma, visto lo sbracamento diffuso, un’integrazioncina che mettesse nero su bianco il divieto di andare in giro come in spiaggia o in piscina non ci starebbe male in entrambi i casi. Poi, certo, c’è sempre il problema di chi fa rispettare i divieti. Una domanda che è inutile farsi, ad esempio, sul treno Vicenza-Schio, altro importante punto di ritrovo dell’estate sbracata. Qui, in un canicolare sabato pomeriggio di luglio, capita di sperimentare l’esperienza di viaggiare con un Minuetto carico di gente accaldata, con la voce registrata dell’altoparlante che ricorda ogni due per tre che sul treno “è obbligatorio l’uso corretto della mascherina”, pena dover scendere alla prima stazione se si viene trovati sprovvisti. Poi guardi in giro e di persone con la mascherina ce n'è giusta una qua e una là, sono decisamente più numerosi quelli che mettono i piedi sui sedili, con o senza scarpe. Di controllori che girano, ovviamente, non ne vedi mezzo in tutta la tratta. Sia mai che debbano davvero far rispettare il
Lo Schiocco Il semaforo più lungo Dice: via Baccarini e via Maraschin sono trafficate. Vero, allora potrebbe essere utile non disincentivare del tutto il transito veicolare su via Venezia, in modo che almeno chi arriva da sud e punta in direzione Magrè o Quartiere Operaio possa servirsi di quella direttrice, sgravando un po’ le suddette vie trafficate. Invece via Venezia – finalmente riaperta dopo essere stata chiusa, causa lavori, per un tempo biblico durante il quale probabilmente a New York sono sorti cinque grattacieli da 50 piani – si ritrova, in fondo, con un semaforo dove il ros-
divieto strombazzato dalla voce registrata e provare a far scendere alla prima stazione qualche decina di persone spesso con facce poco raccomandabili e con la metà dei loro anni, col rischio di rimediare magari
so dura più di due minuti e il verde una manciata di secondi. Il risultato è che, per evitare di doversi sorbire un’attesa snervante, si scende dal “cono di luce” e si usa via Baccarini per poi girare su via Trento Trieste, facendo comunque comodamente prima. Morale: forse a intervenire sui tempi del semaforo di via Venezia ne guadagna anche via Baccarini. Nel frattempo, il consiglio estivo per chi si ritrova al semaforo è quello di tirare fuori la sdraio dal bagagliaio e ingannare l’attesa con la Settimana enigmistica. [S.T.]
una bella malmenata e con la sicurezza di essere ripresi da una ventina di cellulari e di diventare virali sui social. Facile fare la voce registrata dentro la scatoletta e vivere fuori dal mondo, eh? ◆
[4] ◆ Thiene Il nuovo sindaco di Thiene festeggia la sera della vittoria
Copertina “Il mio programma ha 103 punti. Ci sono dei sogni e c’è tanto pragmatismo. Ci sono cose costose e altre più veloci da realizzare. Il mio impegno sarà massimo per portare a termine quanto più possibile.
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Anna Bianchini
a cominciato a lavorare da subito e con sole tre ore di sonno sulle spalle perché gli impegni sono tanti e il primo dovere era la squadra da formare. Gianantonio Michelusi, detto Giampi, che dalla mezzanotte di domenica 26 giugno è il nuovo sindaco di Thiene, ha preso possesso della scrivania in municipio che il suo predecessore Giovanni Casarotto aveva signorilmente liberato da due settimane. Poi si è fatto portare un computer, che prima non c’era, e ha sistemato una foto della famiglia, che nei prossimi 5 anni dovrà sottostare ai tempi “liquidi” e ai tanti imprevisti di un primo cittadino. Alle sue spalle la bandiera del Veneto, quella italiana e quella dell’Europa. Alla sua sinistra l’immagine del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e tanti dipinti di Thiene. Michelusi, che come assessore in municipio ci ha trascorso gli ultimi dieci anni, sa di avere adesso davanti un percorso diverso e molto più impegnativo, al servizio della sua città e dei suoi 24.126 cittadini. Per questo guarda la fascia tricolore con un sorriso consapevole, sa che è il simbolo di una grande responsabilità. Michelusi, come ci si sente a essere sindaco?
“È un impegno importante, si tratta di gestire una cittadina e il bene pubblico. Ho iniziato a lavorare da sindaco già dal lunedì dopo le elezioni, come avevo promesso di fare, anche nei giorni di chiusura degli uffici. L’ambiente lo conosco, ma ora sento un carico diverso. Ho dato la mia disponibilità a tempo pieno, con tutta la mia determinazione e la mia volontà di fare del mio meglio. Ho salutato i 140 dipendenti comunali, voglio che siamo insieme una squadra coesa e felice. Nella mia vita ho sempre dato il massimo e il massimo pretendo”. Di solito, quando si parla di politica, per fare colpo si parla di cambiamento, perché si dà per assodato che le cose vadano male. Lei non ha mai avuto problemi a parlare di continuità.
Michelusi: “Sarò un sindaco imprenditore” A Thiene è cominciata l’era del sindaco Giampi Michelusi. “Vengo dal mondo delle partite Iva, il mio lavoro è sempre stato caratterizzato da intraprendenza, ed è quello che trasferirò nella figura istituzionale. Quando ero assessore mia moglie mi chiedeva a che ora sarei tornato. Mi ha detto che non me lo chiederà più”.
“Come ho sempre sottolineato durante la campagna elettorale, si invoca il cambiamento quando le cose vanno male. In questi ultimi dieci anni le cose sono andate bene. Certo, c’è stato il Covid, che ha creato notevoli problemi e ha anche costretto l’amministrazione a delle ‘virate’ d’emergenza, ma la macchina non è mai ‘scoppiata’, siamo sempre rimasti nei binari. Segno di solidità, di competenza, di aver fatto le cose bene. Giovanni Casarotto, con il quale sono stato orgoglioso assessore, è stato un grande sindaco. Più che cambiare direi rinnovare”.
Ci parli del rinnovamento allora.
“Io vengo dal mondo delle partite Iva e sarò un sindaco imprenditore. Sono un manager, ho avuto la mia azienda, il mio ufficio, i miei clienti. Il mio lavoro è sempre stato caratterizzato da intraprendenza. Ed è quello che trasferirò nella figura istituzionale. Ho sempre dovuto affermarmi con le mie forze, ritengo che sia un punto di forza non indifferente”. Lei è il classico uomo che si è fatto da solo. Si racconti un po’.
“Ho fatto per tredici anni il dipendente, il mio titolare mi ha fatto studiare. Poi sono
Thiene ◆ [5] La nuova giunta
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La giunta guidata da Giampi Michelusi vede una conferma e tre assessori in quota rosa, più quattro consiglieri delegati. Gli assessori sono Anna Maria Savio (vicesindaco), Marina Maino, Ludovica Sartore, Edoardo Zampese e Nazzareno Zavagnin. I consiglieri con specifiche deleghe sono Carlo Gecchelin, Nicoletta Panozzo, Abramo Tognato e Alberto Vecelli. Il sindaco ha tenuto per sé le deleghe relative a sicurezza, attività produttive, commercio e politiche del lavoro, aeroporto, gestione del patrimonio e polo catastale, personale e organizzazione, politiche sanitarie ed edilizia privata. A Anna Maria Savio, già assessore a politiche sociali, parità di genere e associazioni di volontariato, si aggiungono le competenze in materia di Istituto Musicale Veneto e servizi demografici. A Marina Maino sono delegati i servizi di turismo e gemellaggi, animazione del centro storico, sport e tempo libero, rapporti con le partecipate, Urp, ricerca finanziamenti per progetti di sviluppo della città e del territorio, progetti integrati sovracomunali, bandi fondi europei, rapporti IPA. Ludovica Sartore è assessore alle politiche culturali e biblioteca, governo del territorio (urbanistica e paesaggio), trasparenza e prevenzione della corruzione. A Edoardo Zampese vanno i referati di bilancio, finanze, tributi ed economato, gestione economica e patrimoniale delle società partecipate. A Nazzareno Zavagnin l’assessorato ai lavori pubblici e mobilità urbana, politiche ambientali, protezione civile. stato costretto a mettermi in proprio, a causa di alcune vicissitudini mi sono dovuto reinventare. Ho cominciato con un cliente, con tantissime spese e tante cose da pagare, la mia famiglia e due bambine da crescere. Nella mia vita ho sempre fatto due lavori, ho fatto anche radio, ufficio stampa, animatore. Qualcuno ha voluto usare queste mie professioni per screditarmi, ma non hanno idea di che palestra di vita e professione siano. Ho lavorato sempre tanto, per avere una vita dignitosa con mia moglie e le mie figlie e per avere le mie soddisfazioni personali”. Ora la sua famiglia avrà a che fare con un sindaco. Avrà meno tempo per loro...
“Lo sanno e mi hanno appoggiato fin dall’inizio. Sono marito, papà, nonno, ho una famiglia meravigliosa, al mio fianco, in tutto e da sempre. Quando ero assessore mia moglie mi chiedeva a che ora sarei tornato. Mi ha detto che non me lo chiederà più. Il supporto della mia famiglia è un enorme aiuto, perché mi garantisce serenità”. Che cosa le è piaciuto di questa campagna elettorale?
“La campagna elettorale non mi è piaciuta molto, perché non ha avuto il livello serio che speravo. Ma la gente di Thiene mi ha stupito. Mi hanno avvicinato in molti sempre con argomentazioni serie: approfondimenti su qualche punto del mio programma, richieste di opinioni in merito a questioni che stavano a cuore a quel particolare cittadino. Nessun chiacchiericcio, molta serietà. Io mi sono concentrato sul mio programma, sulla squadra. Vedere che la gente mi avvicinava per questo è stata una grande soddisfazione, perché temevo che molti si sarebbero fatti trascinare nel gorgo della campagna da bar messa in atto dai miei avversari. Invece i thienesi non ci sono cascati”.
Che cosa non le è piaciuto per niente?
non eravamo in guerra, ma i loro toni erano questi. Un leader deve saper condurre, deve conoscere le regole e deve avere strategie. Non è una cosa alla portata di tutti e lui lo ha dimostrato”. Ha mai avuto paura di perdere?
“No mai. Ho corso per vincere e ho vinto. Ma so anche fare valutazioni oggettive, sapevo di avere i mezzi e gli strumenti. E sapevo anche che i miei avversari erano improvvisati e alcuni mal consigliati. Adesso auspico collaborazione con le minoranze per il bene della città. Non sono un santo, ma so cosa significa essere al servizio di tutta la città. Anche di quella parte che non mi ha votato o che ha disertato le elezioni”. Cosa significa essere il sindaco con il 40% degli elettori?
“Non mi è piaciuta la bagarre vergognosa, soprattutto quella social, messa in atto dagli urlatori sostenitori di qualche mio avversario. Una cosa indegna per chi si candida a sindaco. Ho visto liste raffazzonate create per far numero, ho visto gente illusa da falsità messe in circolo solo per creare scompiglio. Non ho mai fatto promesse tipo ‘sarai assessore’ come hanno fatto altri. Ho visto gente che urlava sui social, che diceva cose senza capo né coda. E magari erano anche in lista… Vergognoso. Ho visto candidati non leader”.
“Votare è democrazia, scegliere di non votare è una scelta democratica. Le elezioni a fine giugno sono una scelta sbagliata, sempre e indipendentemente dai candidati o dall’affezione dei cittadini per la vita politica o amministrativa. È un sistema che va ripensato. In ogni caso, mi davano fin dall’inizio 60 a 40 e così è stato. Primo al primo turno e poi vincente al ballottaggio. Sarebbe stato lo stesso se avessero votato più persone”.
“Nel senso che un sindaco deve essere un leader. Deve tirare le fila, deve governare, deve saper ‘tagliare la testa al toro’. Ho visto candidati che non riuscivano a mettere in riga una manciata di loro sostenitori sguaiati. Ma come potevano pensare di fare il sindaco? Non so di chi sia stata la regia di questa campagna social così penosa. Come dice Vincenzo De Luca, ‘abbiamo fatto la storia del cabaret’. Quando ho visto lo slogan ‘-voce + fatti’, riferito al fatto che c’era la mia voce al mercato per dare indicazioni agli utenti, ho provato pena per il mio avversario e per i suoi. Per inciso, la mia voce non ci sarà più, io non scendo a questo livello”.
“Giovanni Casarotto è stato in disparte anche per volontà mia, volevo farcela con le mie forze. Anche la campagna elettorale è una palestra. Se la giochi bene ti fai le ossa, se la giochi male te le rompi. Mi ha supportato e consigliato da signore e con esperienza e ha creduto che io ce la potessi fare seguendo la mia strada”.
“Ho stima per Alberto Ferracin. Un signore, democratico, responsabile. Ha saputo giocare per vincere e ha saputo perdere. L’unica ad avere leadership è Giulia Scanavin, che ha saputo farsi notare e ha condotto la sua squadra con un risultato rispettabile. Alcuni delle liste di Manuel Benetti sono stati offensivi e violenti e lui non ha saputo tenerli a bada. Io non ero un nemico e
Quali sono i suoi “grandi progetti” per Thiene?
In che senso?
Chi dei suoi avversari in campagna elettorale si è dimostrato leader?
Giovanni Casarotto ha tifato per lei ma non si è speso troppo per la sua campagna. Come ha raccolto il testimone?
Che cosa abbandonerà dell’amministrazione Casarotto?
“Nulla, non c’è proprio nulla da abbandonare. Con Casarotto abbiamo sempre condiviso e completato o portato avanti progetti che erano in stallo da anni: Parco Sud, ex Comboniani, ex Ferrarin, stazione dei treni, ha chiuso il buco di Nova Thiene. È stato lungimirante e da lui io prendo spunto”. “Il mio programma ha 103 punti. Ci sono dei sogni e c’è tanto pragmatismo. Ci sono cose costose e altre più veloci da realizzare. Il mio impegno sarà massimo per portare a termine quanto più possibile. Il Covid ci ha insegnato che ci possono essere imprevisti, ma che si possono gestire. Si va avanti lo stesso”. ◆
[6] ◆ Schio
Il complesso del Rifugio Papa con il nuovo corpo - l'edificio bianco a tetto alpino - realizzato ad ampliamento. Sotto, un'immagine dell'originario rifugio Pasubio, inaugurato nel 1922
Attualità
I
Stefano Tomasoni
l Rifugio Papa compie cent’anni e riceve due “regali” degni di un compleanno così importante. A farglieli è il Cai di Schio, in collaborazione con il Comune. Il primo regalo, ormai in arrivo (23 luglio), è l'inaugurazione di un nuovo ampliamento del rifugio, un nuovo corpo, che con un design moderno e pulito, ripropone la forma a capanna alpina del primo rifugio, quello inaugurato appunto un secolo fa, il 2 luglio 1922, davanti a un’incredibile folla di quasi 4 mila persone. Il secondo regalo è una mostra che sarà allestita al Museo Civico di Palazzo Fogazzaro dal 2 ottobre al 23 marzo, curata da Claudio Rigon e intitolata “Porte del Pasubio 19162022. Dalla città della guerra al Rifugio Papa”. Saranno esposte oltre trecento fotografie, in gran parte inedite, provenienti da archivi familiari, biblioteche e musei, ma non mancheranno documenti, cartine e oggetti. Che il rifugio avesse bisogno di nuovi spazi era ormai un’evidenza confermata dal costante aumento di presenze di escursionisti e amanti della montagna in arrivo fino a Porte di Pasubio. Basti dire che prima della mostra sui 100 anni della Strada delle Gallerie, nel 2017, in zona erano stimate tra le 25 e le 30 mila presenze l’anno, mentre oggi la stima è di circa 50-60 mila. Un raddoppio che, a voler tenersi più “larghi”, è comunque sicuramente avvenuto negli ultimi 10-15 anni. L’ampliamento del “Papa” consiste in un corpo realizzato a uso logistico e comprende un magazzino, una cucina finalmente spaziosa, delle camere a sé per chi l’estate vi lavora e vive. «Nell’ultimo decennio c’è stato, come del
Cent’anni di Rifugio Papa Il Cai di Schio si fa due grandi “regali” per i 100 anni del “Papa”: un nuovo corpo del rifugio (con un magazzino, una cucina spaziosa e camere a sé per chi vi lavora e vive in estate) e, in ottobre, una grande mostra con 300 foto inedite. resto ovunque, un nuovo ciclo di crescita del turismo e del bisogno di montagna – osserva Massimo Zampieri, che da un anno ha assunto la carica di presidente della Sezione Cai scledense -. Ma sul Pasubio tutto è stato amplificato dalla fama crescente della Strada delle Gallerie e dal suo mito. Il rifugio aveva raggiunto il limite della sua capacità di dare un servizio qualitativamente dignitoso. Da qui è venuta la necessità di un nuovo ampliamento. Con Gianni Fontana, nostro socio, a cui abbiamo assegnato l’incarico, abbiamo pensato non di costruire una nuova ala, ma un corpo a sé stante accanto alla struttura originaria, unendo alla modernità del design architettonico e dei nuovi materiali la memoria del passato di questo luogo. Rimane un rifugio tipicamente di montagna, ma andava garantito un luogo di lavoro adeguato per le persone che vi lavorano e che nei mesi di punta arrivano a essere anche sedici o diciassette. Noi abbiamo la fortuna di avere un gestore storico, che si occupa del rifugio ormai dal 1979, una persona che conosce
molto bene i problemi della struttura e sa come valorizzarla. Se il “Papa” è oggi il rifugio importante che è, il merito è anche del gestore, che ha sempre lavorato per assicurare un servizio di alto livello. Come Cai siamo orgogliosi di avere un rifugio così”. Ora, con la nuova ala, si può dire che il “Papa” abbia raggiunto il punto massimo di sviluppo. Anche per semplici motivi di spazio, è difficile immaginare ulteriori espansioni. “Del resto come Sezione abbiamo anche esaurito gran parte delle risorse economiche disponibili – osserva Zampieri -. Dieci anni fa abbiamo ristrutturato la sede di via Rossi e va ricordato che il rifugio richiede ogni anno interventi di manutenzione ordinaria”. Adesso, comunque, con spazi di servizio adeguati allo sviluppo registrato, il “Papa” può guardare tranquillamente avanti per un bel po’ di anni. Certo 50-60 mila presenze all’anno tengono sempre alto anche il tema dell’andare in montagna in sicurezza, purtroppo di stretta attualità dopo la tragedia della Marmolada. Ovviamente qui non si tratta di ipotizzare eventi naturali di quel tipo, ma di fare i conti con comportamenti a volte avventati e con preparazione non idonea da parte di chi sale in montagna. “Gli eventi tragici che si verificano sui nostri monti riguardano perlopiù escursionisti, non alpinisti: persone che non conoscono i percorsi e magari nemmeno le proprie possibilità – osserva Zampieri -. Chi va in difficoltà lungo il percorso lo fa soprattutto nel rientro, a causa della stanchezza o della mancanza di attrezzatura adatta. La gente ha voglia di fare la Strada delle gallerie, ma non pensa alla discesa, al fatto che dopo tre ore di salita bisogna prevederne almeno altre due per la discesa”. ◆
[8] ◆ Schio Una delle biciclette che saranno in vendita al "mercatino" del Comune
Attualità
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Elia Cucovaz
alvate da una prematura “soppressione”, ora avranno un nuova famiglia per sfrecciare nelle strade e piste ciclabili cittadine (possibilmente nel pieno rispetto del codice della strada). ll Comune di Schio mette in vendita le bici recuperate in città e mai reclamate dai proprietari. Una sorta di “canile delle bici” che consentirà di dare una seconda possibilità alla migliore amica dell’ambiente ingiustamente abbandonata e relegata in magazzino. Un’iniziativa non certo originale, in quanto qualcosa di simile viene fatto in molte città, ma sicuramente positiva su (almeno) tre fronti: favorisce il riuso di un potenziale rifiuto, contribuisce a ridurre il traffico veicolare cittadino e consente anche a chi ha meno disponibilità di dotarsi dell’unico veicolo non toccato dai rialzi delle materie prime energetiche. Si tratta di una sessantina di biciclette in ottime condizioni che potranno essere acquistate a prezzi vantaggiosi (da un minimo di 50 euro a un massimo di 150). Chiunque è interessato può recarsi ai magazzini comunali di via Cementi martedì 26 luglio (dalle 11 alle 13) e mercoledì 27 luglio (dalle 14.30 alle 17.30) per visionare le bici e scegliere quella più adatta alle proprie esigenze. Come previsto dalla normativa, il Comune può metterle in vendita una volta trascorsi 12 mesi dalla pubblicazione dell’avviso in cui viene data notizia del ritrovamento: se trascorsi questi termini il legittimo proprietario non si fa vivo si può procedere. Nei mesi scorsi, inoltre, un centinaio di biciclette non più utilizzabili sono state date alla ciclofficina della cooperativa Samarcanda di Schio, che raccoglie pezzi di vecchie due ruote per costruirne di nuove o per ripararne altre.
Vendesi bici abbandonate Il 26 e 27 luglio il Comune terrà un insolito mercatino, quello delle bici trovate e mai reclamate. Si tratta di una sessantina di biciclette in ottime condizioni che potranno essere acquistate a prezzi vantaggiosi (da un minimo di 50 euro a un massimo di 150).
Al momento negli spazi dei magazzini comunali si trovano ulteriori 30 bici in attesa che vengano reclamate dal legittimo proprietario: nel caso in cui non ciò non accadesse trascorsi i termini previsti dalla legge il Comune potrà provvedere alla vendita anche di quest’ultime. «Le biciclette messe in vendita o date alla Ciclofficina sono state ritrovate in stato di abbandono in città nel corso degli ultimi anni - precisa l’assessore all’ambiente Alessandro Maculan -. Con queste azioni agiamo su due fronti: il primo è quello di favorire il riuso. Molte bici non sono più utilizzabili, ma alcuni dei loro pezzi possono trovare nuova vita ed evitare di diventare “rifiuto”. Da anni la cooperativa Samarcanda è attiva in questo senso con la sua ciclofficina in vicolo Maddalena e al-
L’estate dei giovani L’
estate dei giovani in città è ricca di eventi. Al Parco Robinson torna il 22, 23 e 24 luglio, dalle 20 alle 23, l’Underwool festival a ospitare la musica indipendente locale per ballare insieme sotto la luna e le stelle. Si parte il venerdì con Freez (garage rock) e The Montezuma’s revenge (demential rock). Il sabato invece sul palco saliranno Lamante (rock acustico), Montmartre Memories (alt pop), e Il
complesso del brodo (teatro canzone). Gran finale domenica con Mistagram (hip hop/ funky/reggae) Plebeians Crew, Ghianda e Crazy Crash (hip hop), An original project (lofi hip hop), Sam Friend (funky) ore 20. Si continua in musica anche il 25: Palazzo Toaldi Capra ospiterà idalle 21 il trio jazz-free improvvisation Questions. Al Faber Box in via Tito Livio 25 fino al 1 agosto ogni lunedì dalle 17 alle 21 attivi-
cuni dei suoi meccanici sono ospiti accolti a Casa Bakhita che, dopo un periodo di formazione, si sperimentano in un lavoro mettendo in pratica specifiche competenze. L’azione ambientale, dunque, si unisce a quella sociale e rappresenta sicuramente un plus per il bene della nostra comunità. Dall’altro lato cerchiamo di promuovere la mobilità sostenibile. Lo scorso anno Schio ha ottenuto il massimo punteggio dalla Federazione Italiana Ambiente Bicicletta per il grado di ciclabilità del suo territorio. Nell’ambito dell’iniziativa di FIAB–ComuniCiclabili, per il terzo anno consecutivo, abbiamo portato a casa cinque ‘bike smile’ grazie a una rete ciclabile urbana estesa, connessa e di qualità. Ci auguriamo di poter ottenere lo stesso risultato anche per il 2022». ◆ tà e giochi per ragazzi e ragazze dai 14 ai 30 anni: basket, badminton, beach volley, ping pong, frisbee, calcetto. Nei pomeriggi di giovedì, dalle 15 alle 17 invece, sempre al Faber Box, l’appuntamento è con i giochi di carte e da tavolo sempre diversi di Schio Play, rivolto in particolare ai giovanissimi, dagli 11 ai 17 anni. Ancora i giovedì, dalle 18 alle 23.45, torna alle piscine il Summer Splash Pool Party con concerti ed eventi a bordo vasche. Il 17 luglio alle 18 a Palazzo Toaldi Capra si inaugura la mostra di pittura e fotografia “Eigengrau. Sensazioni nel buio”, visitabile fino al 31. ◆
[10] ◆ Thiene
Una veduta della città di Pag, gemellata con Zanè, e a sinistra l'insegna dell'Hotel Zanè nella cittadina croata
Attualità
In Croazia c'è un Hotel Zanè
P
otranno davvero sentirsi idealmente “a casa” i cittadini di Zanè in vacanza in Croazia, nell’arcipelago di isole nell’Adriatico dove si trova anche Pag, dal 1994 gemellata ufficialmente con il comune altovicentino. Con radici che affondano più indietro, negli anni della guerra nell’ex Jugoslavia, quando aiuti umanitari partivano dalla generosità degli zanediensi attraverso l’amicizia con delle monache benedettina residenti nell’isola. Si sentiranno a casa, si diceva, non solo in virtù degli scambi culturali e di iniziative sempre intercorsi dal 1989, l’anno in cui le due comunità si sono conosciute, ma anche perché di recente un hotel cittadino è stato per così dire “intitolato” a Zanè, dopo un cambio di denominazione. Oltre che nella toponomastica, quindi, con l’omaggio del “Lungomare della città
A Pag, località gemellata con Zanè, oltre a una via, hanno ora dedicato agli zanediensi anche un hotel a quattro stelle. di Zanè”, come spesso accade tra enti locali gemellati, la curiosità risiede in una struttura ricettiva chiamata “Hotel Zanè”. Un grazioso albergo a 4 stelle che da pochi mesi accoglie turisti da tutta Europa nella località di villeggiatura sull’Adriatico. Non è dato sapere se gli abitanti di Zanè che amano trascorrere le vacanze a Pag – e sono tanti – avranno uno sconto speciale in caso di pernottamento proprio qui, ma di certo una capatina per una foto-ricordo da inviare ai parenti e concittadini rimasti a casa costituirà una tappa obbligata. Così come lo è sempre stato lo “scambio di visite” tra delegazioni dei due paesi in occasione
Prende il volo l’amicizia con Tokorozawa La visita di una delegazione della città nipponica (a 30 km da Tokyo) ha suggellato il legame tra le due comunità lontane in vista di un possibile gemellaggio.
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okorozawa e Thiene hanno in comune non solo l’iniziale maiuscola delle due città, ma un pezzo di storia. Due comunità distanti 10 mila chilometri tra loro, ma vicine per un fatto storico celebrato nonostante la pandemia che ha in parte ritardato e in parte modificato il programma celebrativo per il Centenario del Raid Roma-Tokyo di Arturo Ferrarin, datato 1920. Ai primi di luglio si è finalmente potuto tenere l’incontro tra le autorità giapponesi della municipalità da 330 mila abitanti, arrivate in Italia dal Sol Levante, e quelle thienesi. Un primo appuntamento ufficiale per il neosindaco Michelusi, che aveva seguito in prima persona le celebrazioni da assessore all’Aeroporto di Thiene, con l’ex primo cittadino Giovanni Casarotto che le aveva inaugurate. La delegazione nipponica, guidata dal sindaco di Tokorozawa Masato Fujimoto (ner-
lla città giapponese ha sede una storica scuola di aviazione visitata a suo tempo proprio da Ferrarin), ha avuto modo di visitare il Municipio, il Castello (con tanto di figuranti “convocati” per l’occasione speciale) e lo scalo aereo, conoscendo al contempo i rappresentanti delle principali associazioni locali e delle forze dell’ordine, oltre che i discendenti del pilota vicentino
delle feste folkloristiche locali: ogni anno a inizio autunno non sono pochi gli abitanti di Pag che trascorrono il week end della tradizionale “Sagra dei Bigoli co’ l’arna” a Zanè, mentre di recente alcuni vicentini sono partiti da qui – tra loro il vicesindaco Giuseppe Pozzer e l’assessore Monica Vezzaro – per presenziare all’11° Festival Internazionale del Merletto, uno dei prodotti caratteristici del luogo. Tra scambi scolastici dei ragazzi delle medie, partecipazioni reciproche a cerimonie e iniziative e anche qualche amore nato nella spola tra le due località, quello tra Pag e Zanè è sempre un legame consolidato nel tempo. ◆ [O.D.M.]
tanto osannato al suo approdo in Giappone oltre un secolo fa. Nel week end di permanenza gli ospiti giapponesi hanno poi visitato altre località dell’Alto Vicentino – tra cui le cantine di Breganze per un immancabile brindisi “tipico” e Lugo per un concerto dedicato agli ospiti asiatici -, dopo aver rinsaldato un rapporto di amicizia nato alla vigilia del Centenario e che prevede più iniziative per intensificare i legami culturali e, perché no, anche economici, tra le due città. Tutte queste intenzioni sono state racchiuse in una lettera di intenti che i due sindaci hanno poi firmato. Un primo passo verso un gemellaggio ufficiale che ormai si prospetta all’orizzonte. ◆
La delegazione giapponese in Comune a Thiene con i rispettivi sindaci
[12] ◆ Schio
Qui a sinistra Nicolò Guarrera sulla cordigliera Huayhuah nelle Ande peruviane e a destra nel deserto di Atacama in Cile
Il personaggio
F
Stefano Tomasoni
are il giro del mondo a piedi, attraversando gli oceani in barca, è una di quelle cose che per una persona comune è realistica e plausibile quanto essere prelevati di notte da Elon Musk, caricati su un razzo e portati gratis nello spazio. Per Nicolò Guarrera, invece, è un progetto in corso. È un’avventura iniziata giusto due anni fa, agosto 2020, che si concluderà fra altri tre. Cinque anni a piedi da Malo a Malo, attraversando tutto l’orbe terracqueo. Da solo, con l’unica compagnia di un passeggino da trekking di nome Ezio, uno sherpa con le ruote silenzioso e fedele quanto essenziale, specie nelle traversate di deserti e pianure assolate. Guarrera, classe 1993, in questo momento è in Cile e sta dirigendosi verso la Patagonia. Lo abbiamo intercettato al telefono per farci raccontare questi primi due anni di viaggio e un po’ di quel che verrà. Da cosa è partita questa voglia di mollare tutto e partire per un viaggio così estremo? E qual è la vita che si è lasciato alle spalle?
“Lavoravo a Milano alla Mondelez, una grande azienda che fa prodotti da merenda, come il cioccolato Milka, i biscotti Oreo, i Mikado. Ho lavorato lì un anno e mezzo, facevo il trade marketing del cioccolato. Già da prima di cominciare a lavorare lì, comunque, avevo deciso che sarei partito per fare il giro del mondo a piedi, ma non avevo i soldi per cominciare il progetto, così ho detto: lavoro un po’, metto via i soldi e intanto vedo anche com’è quel tipo di vita. Il lavoro mi è piaciuto molto, l’ambiente era stimolante, aperto, giovane e dinamico. Però la decisione è rimasta quella di partire”. Quando ha detto “il dado è tratto”?
“Nel maggio 2018, quando stavo facendo gli ultimi esami all’università. Mi sono chie-
L’uomo che sta facendo il giro del mondo a piedi Nicolò Guarrera, classe 1993, è partito due anni fa con l’idea di attraversare tutto l’orbe terracqueo da Malo a Malo a piedi, con l’unica compagnia di un passeggino da trekking di nome Ezio, uno sherpa con le ruote essenziale specie nelle traversate di deserti e pianure assolate. Adesso è in Cile e lo aspettano altri tre anni di cammino. sto cosa volevo fare dopo, e unendo i tasselli di quello che mi piaceva fare e mi riusciva bene ho capito che mi piace tanto camminare, e mi viene bene. Avevo già fatto diversi trekking, il Cammino di Santiago, la magna via Francigena, la Via degli Dei, qualche esperienza ce l’avevo e allora mi sono chiesto: perché non posso farne una più grande? E qual è il percorso più grande che posso immaginare? Tutto il mondo, ovviamente. Quindi ho cominciato a documentarmi, a vedere come potevo fare. C’era il problema dei deserti, perché almeno uno lo volevo attraversare, ma non sapevo bene come fare, perché il problema è essere del tutto autosufficienti per almeno una settimana. Alla fine cercando su internet ho trovato un passeggino da trekking che può portare fino a 50 kg di materiali, e a quel punto l’idea è diventata definita e ho deciso che sarei partito. Io e Ezio, il passeggino. Presa la decisione, è servito il tempo necessario per raccogliere informazioni, soldi, preparativi... mi sono dato un paio d’anni. A febbraio 2020 mi sono licenziato con l’idea di partire a maggio”. E qui è arrivato qualcosa che nessuno aveva previsto…
“Due settimane dopo infatti è partito il Covid ed è saltato tutto. Mi ero già licenziato, così ho sfruttato i mesi in più per prepararmi meglio, raccogliere più informazioni. A
fine estate, con la pandemia che sembrava arretrare, ho deciso di partire comunque”.
Ma a casa cosa dicevano? “Questo è matto”, oppure “Vai pure”?
“Quando l’ho detto ai miei genitori sono rimasti un po’ stupiti, ma non era una cosa totalmente fuori dalle mie corde. I miei viaggi li avevo fatti, ero andato in Australia a lavorare, in Spagna a studiare. I miei hanno risposto: dacci una o due settimane di tempo per pensarci. Passato il periodo mi hanno detto: essendo i tuoi genitori saremo comunque sempre in pensiero, però se tu sei felice così, va bene, vogliamo far parte del progetto. Questo mi ha aiutato tanto, perché se non avessero approvato la decisione sarebbe stato molto più difficile. Adesso mi danno anche una grande mano con la logistica”. E quindi via, col passeggino Ezio.
“Esatto. Sono partito bello carico. Nelle prime tre settimane ho attraversato l’Italia, sono arrivato in Francia a settembre e in Spagna a inizio ottobre, e lì è arrivata la notizia che chiudevano per Covid alcune delle città per cui dovevo passare io. Ero sul Cammino di Santiago, mi sono fatto tutto il percorso, sono arrivato a Zamora e lì ho forzato la marcia, portandola da 40 chilometri al giorno a 50-60, per arrivare più avanti possibile e non rischiare di rimanere bloccato”.
Schio ◆ [13] Un momento: 50-60 chilometri a piedi al giorno?
“Sì, sono arrivato anche a 60, perché non avevo intenzione di mollare e farmi chiudere lì. Io in realtà viaggio per andare lento, non mi è piaciuto dover forzare in quel modo, perché alla fine non vedi niente e arrivi alla sera stanco morto. All’occorrenza si fa, ma pagando un prezzo. Il quel momento ho dovuto partire in quarta per fare presto: avevo deciso di andare dalla Spagna all’America non in aereo ma in barca, quindi mi sono diretto verso le Canarie, dove partono le imbarcazioni private per l’attraversamento dell’Atlantico. Ai primi di novembre col traghetto sono arrivato a Las Palmas e lì ci ho messo un mese per trovare un catamarano per attraversare l’oceano”. Come caspita si fa a “trovare un catamarano per attraversare l’oceano”?
“È il cosiddetto “barca-stop”, un mondo tutto a parte. Dall’Europa all’America l’Atlantico si attraversa da novembre a febbraio, perché in quei mesi i venti soffiano in quella direzione. Chi ha una barca a vela e vuole fare la traversata salpa dalle Canarie. Chi vuole farlo ma non ha la barca, come nel mio caso, va lì e si offre come aiuto-cuoco, o per le pulizie o le guardie di notte sull’oceano”. Ci vuole una certa scorza ad attraversare l’Atlantico in questo modo…
“Anche un po’ di incoscienza, se uno non ha esperienza, e io ne avevo zero. Sul catamarano eravamo in tre più il capitano, un australiano. È stata dura, un tipo di viaggio totalmente diverso rispetto a qualsiasi cosa si possa immaginare. Nell’oceano ti svegli e ogni giorno non c’è niente, nessun tipo di connessione. La traversata è durata un mese, perché abbiamo trovato vento cattivo. È stata l’esperienza più difficile, finora. Perché sono tanti giorni, con poca gente, che non conosci, in un ambiente ostile. Un mese dove non hai proprio niente di niente... I libri li finisci i primi tre giorni. Il cibo è quello che è, la doccia fa schifo”. Alla fine, comunque, siete sbarcati in America. E lì?
“Siamo arrivati ai Caraibi, io ho proseguito e sono arrivato a Panama, da lì in aereo sono passato a Quito, in Ecuador, e ho ricominciato a camminare tanto. Si era in aprile 2021. Ho attraversato l’Ecuador in 4 mesi, il Perù in 5, e sono arrivato in Cile dove mi trovo adesso, passando per il primo vero grande deserto, il deserto di Atacama, il più arido del mondo, con zero precipitazioni in cinquant’anni in certe zone. L’ho attraversato tra gennaio e aprile. Adesso sono a sud di Santiago e qui invece fa freddo e piove”.
na a dieci giorni di niente. Ci si porta via 20-25 litri di acqua, cibo, pasta, riso, panini, cracker con avocado, pomodori, buste pronte, tutto quello che serve per il periodo”. Nessuna paura, in un territorio del genere, di fare brutti incontri con gente poco raccomandabile o qualche animale più o meno strisciante?
“Animali è impossibile, lì nel deserto non c’è proprio niente, nemmeno scorpioni, serpenti. Quanto alle persone, i cileni sono super-ospitali. Deserto a parte, tanta gente che mi vede camminare si ferma, fa qualche chiacchiera, mi regala qualcosa, cioccolata, acqua. Dappertutto sono stato sempre aiutato tanto. Uno mi ha anche invitato a dormire a casa sua”. In Bolivia ha anche perso il passaporto. Come’è finita la disavventura?
“È andata più liscia di quel che pensavo, ho fatto denuncia in consolato a La Paz e nel giro di una settimana mi hanno fatto il nuovo passaporto”. Cioè, uno perde il passaporto in Bolivia e per averlo nuovo ci mette meno tempo che a farlo a casa sua?
“Infatti. Pensavo che ci avrebbero messo tre-quattro settimane, invece in una settimana era pronto”. Il programma da adesso in poi cosa prevede? Qual è la road map?
“Adesso ci metto un mese e mezzo per arrivare a Puerto Montt, da lì parte la Patagonia cilena, che è molto bella, parchi naturali, ghiacciai, fiordi, lagune, cascate a tutto spiano. In tre mesi prevedo di percorrere la Carretera Austral, la strada più famosa del Cile, che taglia la Patagonia cilena. È un tratto di 1300 chilometri, mi servirebbe un mese e mezzo per fari “pestando” bene, ma andrò con molta calma perché ci sono delle cose che voglio vedere, la Patagonia è molto bella. Poi proseguo in Argentina, da sotto il Perito Moreno ritorno in Cile, e a quel punto in un altro paio di mesi raggiungo Ushuaya, la città più a sud del mondo e lì terminerò il cammino in Sudamerica”. Quindi, alla fine, in Sudamerica avrà trascorso un anno e mezzo...
Attraversare il deserto vuol dire non vedere anima viva per tre mesi?
“Ci sono città a 200-300 chilometri l’una dall’altra, voleva dire da una settima-
Nel parco nazionale Eduardo Avaroa in Bolivia
Il personaggio “Eh no, da quando sono arrivato a quando me ne andrò saranno quasi due anni.Adesso ho ancora otto mesi davanti”. E poi?
“Poi il piano è arrivare in Australia, attraversarla e passare in Asia. E quando sarò arrivato in Asia sarò a meta strada, all’incirca”. Accidenti. E quindi, alla fine, tutto il viaggio quanto durerà. Più di quattro anni?
“Cinque, probabilmente. All’inizio pensavo di stare via tre anni e mezzo, poi sono diventati quattro, e adesso quattro anni e otto mesi, questo perché ho ricevuto il visto australiano troppo tardi e a tenere il programma iniziale rischierei di trovarmi lì con la loro estate, e in estate in Australia negli ultimi anni hanno il brutto vizio di dare fuoco al paese, quindi non è proprio il caso”. In Asia che rotta pensa di fare?
“Dovrei cominciare con l’Indonesia, arrivando poi a Calcutta e proseguendo verso il Pakistan. Da lì l’idea è andare al confine con la Cina, però uno dei grandi punti di domanda di questo viaggio è il visto cinese. Potrei dover trovare un’altra soluzione, che potrebbe essere passare per il sud del Pakistan, e poi l’Iran. L’opzione più improbabile è passare per l’Afghanistan. In qualche modo comunque dovrei arrivare in Iran, da lì in Azerbaigian e Georgia. Una volta in Turchia sono arrivato in Europa”. Quali sono le difficoltà più grandi che si incontrano in un viaggio del genere? La solitudine, il meteo, gli approvvigionamenti...
“I miei più grandi ostacoli sono le stagioni e la burocrazia. Sembra strano, ma in un giro del mondo a piedi, di tutte le difficoltà che puoi immaginare quella veramente tosta è ottenere i visti, i tempi per ottenerli. I visti non sono fatti per far girare la gente a piedi in giro per il mondo”.
Ma poi, quando sarà tornato, che cosa pensa di fare?
“Bisogna vedere cosa cresce di quello che ho seminato in questi anni. Avrò scritto un libro, o lo scriverò dopo, vediamo. Magari riesco a trovare abbastanza sponsor per fare altri cammini che mi diano visibilità e mi facciano lavorare come brand ambassador di qualche azienda specializzata in outdoor. Dipende da che seguito ho sui social media, da quanto sarò riuscito a creare a livello di contenuti, da quanta voglia avrò io di andare avanti. Tanti che hanno fatti viaggi lunghi poi si reinventano come operatori turistici in modalità particolari, organizzando viaggi per gruppi di persone. Quella potrebbe diventare in futuro la mia attività principale, chissà. In ogni caso, mi piacerebbe continuare a camminare”. ◆
[16] ◆ Thiene Attualità
“Macché eroe, è una condotta che dovremmo far tutti nostra o, anzi, che nessuno dovrebbe mai praticare se gli altri evitassero di buttar per terra quello che hanno in tasca in maniera incivile”.
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Omar Dal Maso
gisce in incognito, si professa allergico tanto ai rifiuti quanto ai riflettori, e rappresenta una sorta di cavaliere (civico) quanto mai senza macchia dei giorni nostri e, inoltre, della porta accanto. È un po’ uno “Zorro” moderno e, anziché il mantello e la maschera di rigoroso colore nero, predilige di sicuro le sfumature del verde, da intendersi con accezione ecologica. Al posto di armarsi della spada dell’eroe ben più famoso, lui usa le mani e alle volte un palo, portando sempre con sé una piccola sporta dove recuperare ciò che altri “passeggiatori seriali” come lui lasciano per strada. Ah, rispetto allo spadaccino mascherato, il “cittadino qualunque” nostrano si avventura tra campagne e centri urbani gambe in spalla, con al massimo il “cavallo di San Francesco” a sorreggerlo, un bastone con la punta intagliata su una estremità che usa anche per infilzare pacchetti di sigarette da infilare poi nei sacchetti dell’immondizia. Rigorosamente differenziata. Diego – nome di fantasia che gli attribuiamo accostandolo al celebre don Diego de la Vega, Zorro appunto -, sorride al paragone volutamente esagerato, ma si compiace di tanto interesse nei sui confronti. “Macché eroe – esclama dopo aver accettato lo scambio di battute -, è una condotta che dovremmo far tutti nostra o, anzi, che nessuno dovrebbe mai praticare se gli altri evitassero di buttar per terra quello che hanno in tasca in maniera incivile”. Sulla cinquantina, residente in un paese del Thienese, il nostro Zorro ecologico ha abbinato in un unico intreccio una rilassante e sana passione – le lunghe cammi-
Qui e sotto due sentieri battuti dallo "Zorro dell'ambiente" e nella pagina a lato la pinna ritrovata in una delle sue "battute di rifiuti"
Lo “Zorro verde” che ripulisce i sentieri C’è un cittadino di un paese del Thienese, appassionato camminatore, che dal primo lockdown ha iniziato a raccogliere rifiuti lungo il suo cammino. Lo fa in incognito, come uno “Zorro” che combatte per l’ambiente. Chi lo incrocia tra Centrale, Grumolo, Zanè e Carrè, sulle Bregonze in collina e in campagna rimane incuriosito da zainetto, guanti sulle mani e palo appuntito per raccoglie i rifiuti.
nate serali e all’albeggiare nei mesi invernali – con il rispetto dell’ambiente.A legarli insieme c’è una spiccata dose di senso civico e spirito di comunità che lo porta a calzare scarpe da ginnastica e insieme mettersi in spalla uno zainetto leggero, da riempire di… scoasse. Altrui. Una decina di chilometri buoni al giorno di media da ormai più di due anni, allenando il passo ma anche aguzzando la vista per scorgere ciò che “macchia” l’ambiente intorno. “Come tanti ho scoperto i benefici delle camminate a ‘km zero’ nel corso del lockdown, nella primavera del 2020 – spiega -.
Prima al massimo portavo a spasso il cane a cento metri da casa. Tra le letture sui temi dell’ecosostenibilità e dell’inquinamento globale mi sono via via informato e ho preso consapevolezza che queste sono battaglie che vanno combattute nel quotidiano, nelle piccole cose, e soprattutto senza aspettare che le facciano gli altri. Prima sono diventato più ligio io a non sporcare e non sprecare, e più passava il tempo più mi infastidiva trovare tra sentieri e stradine di campagna rifiuti di ogni tipo. Simboli dell’incoscienza – qui alza la voce - dell’uomo che da essere profondamente stupido sporca e danneggia la stessa terra in cui vive”. Da lì è iniziata una sorta di crociata personale, e sono parecchi gli altovicentini che, magari incuriositi e senza sapere di trovarsi di fronte “don Diego”, lo hanno incrociato qua e là tra Centrale, Grumolo, Thiene, Zanè e Carrè, sulle Bregonze in collina e in campagna. Scambiandoci due parole o magari salutandolo incuriositi da zainetto, guanti sulle mani e palo, nei luoghi più disparati. Qualcuno lo ha perfino scambiato
Thiene ◆ [17] Mai trovato un biglietto vincente?
“Finora no, ma confesso che un’occhiata la do sempre. Confido che prima o poi succeda, anche magari per 5 euro...”.
Tra i lettori sorgerà legittimamente il dubbio sul perché mantenere l’anonimato. Semplici modestia e riservatezza?
per un “operatore ecologico in borghese”, come lui stesso si definisce scherzandoci su. “Ultimamente in realtà ho riscoperto la montagna – dice – passione che avevo coltivato da giovane per poi accantonarla a causa dello stress per il lavoro. Lì si trova forse meno sporcizia, ma quando c’è fa ancora più male. Tra i monti amo andare in compagnia, mentre tra i campi preferisco da solo”. Cosa trova in giro e cosa raccoglie di norma?
“C’è un po’ di tutto. Pacchetti di sigarette e mozziconi, confezioni di alimentari come ad esempio merendine e tappi di bottiglie di plastica. Portafogli mai trovati – dice con una battuta -, però tanti gratta & vinci già grattati”.
“Mi ha sempre dato fastidio chi fa beneficenza o si dedica al volontariato e poi se ne vanta, figuriamoci per un atto semplicissimo e normale come raccogliere qualcosa che sporca i nostri paesaggi o le nostre strade – spiega -. Capisco la curiosità, ma non sto facendo niente di speciale, piuttosto sono ben contento di raccontare la mia storia sperando in un effetto emulazione. Comunque so di non essere l’unico della zona. Basti citare ad esempio le giornate ecologiche in cui si pulisce e raccoglie in compagnia, divertendosi pure. Io semplicemente preferisco farlo in solitaria, amo riflettere mentre sto all’aria aperta”. Una curiosità: si trovavano più rifiuti nel corso delle ondate pandemiche o negli ultimi tempi?
“Sicuramente tra primavera ed estate del 2020. A volte tornavo a casa con due sportine piene di cartacce e plastica dopo un’ora e mezza di camminata. Non so spiegar-
Attualità melo: forse c’era più gente in giro, che poi con le aperture si è spostata in montagna e nei luoghi di vacanza. Posso dire che si trova più immondizia lungo le piste ciclabili, evidentemente più di qualcuno crede di poter gettare a terra quello che usa mentre pedala che tanto poi passa qualcuno del Comune a raccogliere. È una pessima abitudine”. Esiste una cosa particolarmente strana od originale che ha trovato sul suo cammino?
“Una volta ho raccolto una pinna da mare di gomma, credo da bambino per il numero di piede, tra Zanè e Centrale lungo la ciclopedonale. Forse qualcuno si era tuffato nel sorgo dei terreni coltivati a fianco, e ne ha persa una per strada”.
A proposito di tuffi, visto che è tempo di vacanza: al mare se ne va in ferie anche lo spirito civico o rimane sempre in allerta in caso di bisogno?
“Quello mai, anche in spiaggia se vedo qualcosa nella sabbia lo raccolgo, ormai è più forte di me”. ◆
[18] ◆ Schio Attualità Una preparazione atletica specifica durata diversi mesi e l’abitudine a sfide sportive impegnative ha permesso agli scledensi di compiere la traversata e di raggiungere in circa un’ora le coste del Continente.
U
Elia Cucovaz
na traversata di tre chilometri e mezzo, su un tratto di mare profondo fino a 300 metri e soggetto a correnti a volte imprevedibili, sospinti soltanto dalla forza delle proprie braccia e gambe… e soprattutto da una grande passione. Una passione che ha portato tre amici scledensi ad attraversare tutto lo Stivale per compiere un’impresa a lungo preparata proprio nelle vasche dell’impianto natatorio cittadino: l’attraversamento a nuoto dello Stretto di Messina. I protagonisti dell’impresa sono Lisa Buzzaccaro. Alessandro Mei e Stefano Sella, triatleti amatoriali associati al Martina Dogana Triathlon Team, che
I tre scledensi che hanno attraversato lo stretto di Messina a nuoto. Da sinistra Alessandro Mei, Lisa Buzzaccaro e Stefano Sella
A nuoto tra Scilla e Cariddi Tre amici scledensi hanno attraversato lo stretto di Messina a suon di bracciate. I protagonisti dell’impresa sono Lisa Buzzaccaro. Alessandro Mei e Stefano Sella, triatleti amatoriali associati al Martina Dogana Triathlon Team, che hanno portato a termine con successo la loro sfida a Scilla e Cariddi. hanno portato a termine con successo la loro sfida a Scilla e Cariddi. Un sogno a lungo coltivato: i tre infatti avrebbero voluto cimentarsi nella prova già nel 2020, anno in cui l’evento era stato annullato a causa del Covid. Insieme a loro atleti da tutta Italia tra cui un altro vicentino, Stefano Cotrozzi, un “veterano” alla traversata dello stretto a nuoto che aveva già completata nel 2019. La prova ha preso il via sulle coste siciliane (Torre Faro, nelle vicinanze di Messina) in una finestra temporale appositamente dedicata ai nuotatori in cui il normale traffico marittimo viene sospeso. A seguire gli atleti, delle barche d’appoggio con personale pronto a intervenire in caso di necessità: anche un banale disturbo, in mare aperto, può rappresentare un rischio non indifferente. “Un’altra importante assistenza fornita dalle squadre di supporto imbarcate è quella di segnalare eventuali correzioni di direzione in relazione alle correnti che possono spingere i nuotatori fuori rotta, allungando di conseguenza la distanza da percorrere e rischiando di compromettere la riuscita della traversata – spiega Alessandro Mei –. Da questo punto di vista va fatto un plauso all’ottima organizzazione dell’evento che ci ha permesso di concentrarci appieno nel gesto atletico e di goderci l’emozione di questa sfida che è sempre, prima di tutto, con se stessi”. Oltre a questo, una preparazione atletica specifica durata diversi mesi e l’abitudine a sfide sportive impegnative come gli “iron man”, la più lunga tra le distanze del triathlon, ha permesso agli scledensi di compiere la traversata senza esitazioni e
di raggiungere in circa un’ora le coste del Continente. “Si tratta di emozioni indescrivibili – racconta Stefano Sella –. Anche un pizzico di sano timore, perché, nonostante tutto ci stiamo sempre confrontando con un elemento infinitamente più grande di noi. Però la cosa che fra tutte mi è rimasta più impressa è stata vedere concludere la traversata a una sportiva mantovana, che aveva già domato lo stretto in passato, peraltro con un tempo di tutto riguardo, ma che ha voluto ripetere l’impresa ancora una volta dopo aver vinto una sfida veramente strenua: quella contro un cancro. Mi pare un bellissimo esempio di come la forza di volontà può aiutarci a superare anche le situazioni più dure. Ogni sfida si vince prima di tutto nella testa”. Anche Lisa Buzzaccaro racconta dell’emozione di vivere momenti assolutamente unici, tanto più che hanno rappresentato il coronamento di lunghi allenamenti. “Avevo cominciato a prepararmi sei mesi fa – spiega -. È un’esperienza che mi sento di consigliare a tutti: sia che si stiano cercando nuovi stimoli personali, sia per potenziare la propria autostima anche per affrontare tutti gli altri ostacoli della vita: trovare un obiettivo e lavorare giorno dopo giorno per raggiungerlo, un passo alla volta – o, in questo caso, bracciata dopo bracciata – vuol dire tantissimo e quando alla fine arrivi a dire ‘ce l’ho fatta’ scopri dentro di te un’energia che aiuta tantissimo anche e soprattutto al di fuori dell’ambito sportivo. Se uno lo vuole, cominciando ad allenarsi 6-12 mesi prima la traversata dello stretto si può preparare, meglio se con il supporto di un preparatore professionista”. ◆
[20] ◆ Schio Attualità “Basta la disattenzione di un momento perché una persona getti a terra il mozzicone e rischi di appiccare il fuoco – dice Marco Matone, residente a due passi dalla zona di maggior pericolo -. È quello che è successo nell’incendio più grave dei quattro che si sono sviluppati tra metà maggio e metà giugno, ovvero quello della sera del 21 maggio”.
T
Camilla Mantella
ra la metà di maggio e la metà di giugno si sono sviluppati, nella zona dell’Istituto “Martini”, su viale Petitti di Roreto, ben quattro incendi. Purtroppo si tratta di episodi sempre più frequenti, dovuti a una serie di fattori concomitanti che mettono a rischio la scuola e le abitazioni dei residenti dell’area. Un’area, peraltro, che ha già vissuto anni or sono un devastante incendio, quello dell’Asilo Rossi, da cui l’edificio non si è ancora ripreso. “Ricordo bene la notte dell’incendio all’Asilo – racconta il professor Marco Matone, che abita accanto all’edificio distrutto -. Se si fosse propagato a una struttura adiacente con tetto ricoperto di catrame, tutte le case della zona alta di via Conte sarebbe-
La zona di via Petitti di Roreto a rischio incendi, anche per la continua caduta di polline dal pioppo fronte scuola. Nella pagina a fianco, il cedro e il pioppo che, loro malgrado, sottolinea Marco Matone, rischiano di diventare un potenziale rischio per l'incolumità dei residenti
C’è un rischio incendi lungo il “viale del Castello” Nelle ultime settimane si sono sviluppati, nella zona dell’Istituto “Martini”, su via Petitti di Roreto, ben quattro incendi, dovuti a una serie di fattori che mettono a rischio la scuola e le abitazioni dei residenti dell’area. Una zona, quella interessata, che ha già vissuto anni or sono il devastante incendio dell’Asilo Rossi.
ro andate in fumo. Quando noi residenti denunciamo che negli ultimi anni il rischio di incendi non ha fatto che aumentare esponenzialmente lo facciamo con cognizione di causa, motivati tanto dalle esperienze vissute quanto, soprattutto, da un’attenta analisi della situazione attuale dell’area”.
Lanugine, foglie secche e mozziconi “La siccità di quest’anno non ha fatto che accrescere i problemi cronici di un contesto naturalmente portato a sviluppare incendi – prosegue Matone -. In prossimità dell’ingresso principale della scuola superiore si trova un enorme pioppo centenario, che da metà aprile a metà maggio produce una lanugine simile a polline che va a ricoprire tutta la superficie antistante. Questa lanugine abbiamo appurato essere altamente infiammabile: basta un mozzicone di sigaretta gettato per terra per far appiccare il fuoco che, complice la siccità, trova subito terreno fertile nelle foglie secche che si accumulano sulla strada, pulita con una frequenza inferiore a quella che necessiterebbe. Se il fuoco riuscisse ad arrivare al pioppo, cosa che finora siamo riusciti fortunosamente a evitare, questo diventerebbe un’enorme e pericolosissima torcia infuocata”. Certo è che, comunque, per far partire un incendio serve che qualcuno inneschi il
fuoco. “Sul viale ci sono parecchie panchine che vengono usate come luogo di ritrovo. Basta la disattenzione di un momento o un cestino considerato troppo lontano perché una persona getti a terra il mozzicone e rischi di appiccare il fuoco. È proprio quello che è successo nell’incendio più grave dei quattro che si sono sviluppati tra metà maggio e metà giugno – precisa Matone -. È successo attorno alle 20.30 di un sabato sera, il 21 maggio. Stavo uscendo per cena con mia moglie e sono stato attirato dalle voci concitate di un gruppo di ragazzi che si stavano agitando perché non riuscivano a contenere le fiamme che si erano sprigionate da uno dei mozziconi che avevano gettato. Sono subito accorso e ho scaricato il contenuto dell’estintore che tengo in casa, ma non è stato sufficiente: il fuoco è stato soffocato per un breve momento, ma poi ha ripreso vigore. Alcune mie anziane vicine nel frattempo mi hanno portato alcuni secchi d’acqua e, alla bell’e meglio, siamo alla fine riusciti a contere le fiamme”.
Una vasca piena d’acqua Il professor Matone vive con un estintore sempre a portata di mano e la vasca da bagno perennemente colma d’acqua, in caso di necessità. “Sono un docente universitario di fisica e sono abituato ad affrontare i problemi con metodo scientifico – sorride -. È chiaro che le condizioni climatiche nelle quali
Schio ◆ [21] viviamo ed episodi d’incendio sempre più frequenti, sommati a una pulizia approssimativa del verde del luogo e alla sua frequentazione da parte di persone che non ne conoscono le specificità e i rischi non può che portare, prima o dopo, a un incendio che non saremo in grado di controllare con le sole forze di qualche residente preoccupato o dei collaboratori scolastici dell’istuto superiore, che hanno confermato di essere abituati a spegnere ‘qualche principio d’incendio’ ogni anno. Il problema è che finché ci si accorge subito della fiamma, magari durante il giorno, si riesce a far fronte al problema senza far intervenire i vigili del fuoco, che peraltro accorrono sovente dopo un bel po’ di tempo a causa di squadre sempre impegnate su altri fronti, ma se l’incendio arrivasse a propagarsi durante la notte non ci sarebbe nulla da poter fare, proprio come successo all’Asilo Rossi”. La soluzione che i residenti propongono per risolvere il problema è drastica, ma parte dal presupposto del rischio di incolumità per le persone. “Pulire l’area non è sufficiente: nei periodi di massimo picco della produzione della lanugine del pioppo occorrerebbero passaggi giornalieri se non più volte al giorno – spiega Matone -. In pratica l’amministrazione comunale dovrebbe incaricare qualcuno di tenere monitorata l’area solo per prestare attenzione al pioppo e al fogliame circostante, ma non mi sembra una strada praticabile. Si potrebbe invece lavorare di più sul comportamento delle persone, mettendo cartelli di periocolo incendio e installando più posacenere lungo la via: potrebbe essere un incentivo a un comportamento più responsabile, anche se non risolverebbe del tutto il problema, dato che c’è sempre chi non rispetta le regole o non presta adegua-
ta attenzione. Purtroppo temo che l’unica soluzione per risolvere la questione e limitare sensibilmente il rischio di incendi sia abbattere il pioppo, risolvendo così il problema della lanugine infiammabile e della possibilità che la pianta si trasformi in una torcia gigantesca”.
Cosa dice l’amministrazione comunale Gli uffici comunali preposti sono stati informati del rischio a più riprese, anche attraverso una relazione molto dettagliata prodotta dal professor Matone. Finora sono stati effettuati degli interventi aggiuntivi di pulizia, che si sono però rivelati insufficienti. “Abbiamo ricevuto la relazione del professor Matone – afferma Alessandro Maculan, assessore alle politiche ambientali, al verde pubblico e alle politiche collinari e rurali -. I nostri tecnici dopo aver effettuato un sopralluogo hanno predisposto la pulizia dell’area per scongiurare possibili inneschi. Le condizioni di grave siccità che interessano anche il nostro territorio ci portano ovviamente a mantenere alta l’attenzione soprattutto nelle aree potenzialmente a rischio. Come sappiamo, infatti, siamo di fronte a una situazione di emergenza. La richiesta del professor Matone e di altri residenti di intervenire sulle specie arboree in zona Castello necessita di ulteriori approfondimenti per capire il da farsi, dal momento che si tratta di piante che rientrano nel patrimonio del verde pubblico cittadino”. Tenere alta la guardia I residenti dell’area sono seriamente preoccupati per ciò che sta accadendo. “Oltre al pioppo ci preoccupa anche il cedro dell’Himalaya che pende verso la strada
Attualità inclinandosi progressivamente. Un tempo veniva regolarmente potato, ora non più e da pareri di esperti del settore andrebbe rimosso per il rischio di crollo sulle abitazioni – conclude Matone -. Inoltre, se il fuoco dovesse raggiungere anche questo albero, potrebbe arrivare letteralmente a esplodere: per le sue caratteristiche naturali, infatti, questa pianta se viene incendiata si surriscalda molto in fretta ed esplode velocemente È necessario che si faccia una riflessione sistemica sull’area, che si guardino dati e numeri e che si soppesino tutti i rischi. A nessuno fa piacere rimuovere alberi centenari, ma va trovata una soluzione a un rischio più che concreto. Si potrebbe ad esempio valutare una rimozione qui e una ripiantumazione di altre specie in altre aree di verde pubblico, bilanciando così la perdita. Siamo abbastanza fortunati da essere circondati dal verde e il parco del Castello non risulterebbe eccessivamente impattato dalla rimozione di uno o due alberi, per quanto imponenti. Siamo però sfiduciati: sentiamo di non essere ascoltati e che la nostra incolumità vale molto poco. Non stiamo parlando dell’abitazione di un singolo residente, ma di un’area dove vivono più persone e studiano centinaia di ragazzi. È una questione di protezione della collettività”. Qualsiasi sia l’opzione che la politica deciderà di adottare per ridurre il rischio, la scelta va compiuta in fretta. Il cambiamento climatico non è clemente e la siccità diventerà una condizione endemica e un pericolo costante, soprattutto in aree già a rischio come la zona alta del Castello. ◆
Un nuovo parcheggio Il tratto finale “a monte” della passeggiata alberata di via Lungo Leogra è definitivamente diventato un parcheggio. Sotto le piante, inserite a spina di pesce fin quasi a invadere la striscia di ghiaia riservata ai pedoni, si trova stabilmente parcheggiato un numero di auto ormai sufficiente a dichiarare l’area un mini-park. Avviata di punto in bianco un paio d’anni fa, la pratica si è allargata e ormai appare consolidata. A questo punto tanto vale regolarla, asfaltando e segnando i posti con le strisce bianche come nella metà della via verso il ponte. Sono pur sempre 7-8 posti auto in più. [S.T.]
[22] ◆ Schio Il laghetto di Giavenale (foto Progetto LIFE)
Attualità
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Camilla Mantella
obbiamo fare i conti con la siccità. Ci raccomandano ovunque di non sprecare l’acqua e i sindaci del territorio si rincorrono con ordinanze per invitare le persone d un consumo più consapevole di questa risorsa. Sono consigli utili e di buonsenso, peraltro già messi in pratica da centinaia di sceldensi. Ma è sufficiente? Guardiamo qualche numero tratto dal Rapporto ISTAT 2021. L’Italia è il Paese europeo che consuma più acqua potabile pro capite. In media il 42% dell’acqua che viene distribuita lungo la rete idrica viene persa, nel “virtuoso” Nord Est le perdite si assestano tra il 25 e il 35% del totale. Finché piove e nevica tutto l’inverno, la perdita è meno evidente. Quando, invece, soffri la siccità, sapere che di quel poco che hai a disposizione ti arriverà al rubinetto tra il 65 e il 75% è molto più pesante. Altro dato interessante: per l’uso domestico si usa solo l’8% del totale dell’acqua che fluisce attraverso la rete. All’industria va il 22%, all’agricoltura attorno al 70%. Se finché mi lavo i denti chiudo il rubinetto mi sento un cittadino responsabile, ma non è che abbia fatto una grande differenza. Letta in questo modo, pare tutta colpa dei contadini e di una popolazione che non fa che mangiare pasta e verdura. La realtà è che dei campi colivati, solo una minima parte produce alimenti destinati direttamente all’uomo: la maggior parte produce mangimi per animali allevati intensivamente, che poi mangiamo acquistandone la carne. Senza contare che sono proprio i contadini i primi a essere duramente colpiti dalla scarsità di acqua e, dato che i loro prodotti sono alla base della catena di lavorazione alimentare, i loro problemi poi si ripercuotono su tutti. Servono dunque metodi di coltivazione e di allevamento meno intensivi e capacità di consumo critico da parte delle persone. “Grazie al progetto europero LIFE, a Giavenale è stato creato un laghetto che permette di collezionare l’acqua: si è trattato di un investimento relativamente economico rispetto alla progettazione di grandi infrastrutture e sta aiutando noi contadini a far fronte all’emergenza - spiega Alessandro Cavedon, che gestisce l’azienda agricola biologica “Orti di Sant’Angelo” con campi tra Giavenale e Marano Vicen-
L’agricoltura che salva l’acqua (anche con un laghetto a Giavenale) La siccità ha rimesso al centro il tema dell’acqua e le soluzioni antispreco. Servono metodi di coltivazione e di allevamento meno intensivi. A Giavenale è stato creato un laghetto che permette di collezionare l’acqua e sta aiutando i contadini a far fronte all’emergenza.
tino -. Dobbiamo però lavorare per preservare questo bacino: le tecniche agronomiche che abbiamo adottato in azienda sono sostenibili e ci aiutano a gestire gli impatti negativi della siccità. Irrighiamo con irrigatori micro-splinker, che producono getti d’acqua molto fini che si infiltrano meglio su terreni che prepariamo adeguatamente prima della semina e utilizziamo anche l’irrigazione a manichetta, collocando tubicini riutilizzabili in plastica vicino agli apparati radicali delle piante, trasferendo l’acqua a bassa pressione e garantendo umidità a una più ampia superficie di terreno. Irrigando con questi metodi riduciamo drasticamente il consumo di acqua, che solitamente viene sparsa su estesioni di campi coltivati – pensiamo a quelli coltivati a mais – con mega irrigatori che nebulizzano la risorsa idrica e fanno cadere al suolo quello che ne rimane compattando il terreno e creando una crosta che rende difficile la penetrazione dell’acqua. Inoltre lavoriamo con attenzione il suolo, usando pacciamature in paglia che schermano il calore e trattengono l’umidità”. Agli “Orti di Sant’Angelo”, inoltre, dedicano parte della terra alla coltivazione del cosiddetto sorgo sudanese, una pianta che cre-
sce rapidamente, resiste alla siccità e arricchisce il terreno. “È una pianta che rigenera il suolo: tiene occupati i campi per dieci mesi e per molti potrebbe essere una scelta antieconomica – spiega Cavedon -. Noi guardiamo al lungo periodo e sappiamo che con il suo contributo potremo ottenere terreni più fertili e resilienti per le colture future. E poi sperimentiamo con nuovi ortaggi tipici dell’area africana o asiatica, dove i contadini hanno già selezionato varietà più resistenti alla siccità: stiamo cercando di educare i consumatori a nuovi gusti e ad alternative d’acquisto più sostenibili anche dal punto di vista del consumo di acqua”. Coltivare senza sprecare acqua è possibile, ma si riesce a fare sulla scala sostenibile della piccola e media produzione locale, che preferisce la biodiversità alla monocoltura. Se è vero che il 70% dell’uso dell’acqua è in questo settore, è indispensabile avviare una profonda riflessione sulla sua gestione e distribuzione – lavorando anche sull’abbattimento delle perdite. Nel frattempo, come consumatori attenti, ricordiamoci di chiudere il rubinetto, ma pure di scegliere con attenzione quello che mettiamo nel piatto. ◆
[24] ◆ Schio Il personaggio
Dallo Zecchino d’Oro alla storia della disco music, quella di Dj Gaggia è la vita di uno che ha fatto del divertimento il suo lavoro. Ha anche pubblicato un libro, “VINIli”, con il sommelier Daniele Di Marco: “Lui ha scritto di vini, io ho abbinato le canzoni giuste. Del resto, il vino è musica”.
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Mirella Dal Zotto
ncontriamo Luciano Gaggia, One man show, in un bar del centro: una chiacchierata con l’obiettivo di parlare di un uomo che ha fatto di tre passioni, musica vino e cibo, la sua vita. Gaggia fa parte della fortunata categoria di chi lavora divertendosi o, meglio, di chi ha fatto del divertimento il suo lavoro. “Nasco come disc-jockey – esordisce – cioè come uno che gioca con la musica, che diverte se stesso e gli altri con le note: bellissimo! A casa ho una collezione di 27 mila vinili e 6 mila cd: li conservo gelosamente, anche se oggi giro a feste con ben altra attrezzatura”. Partiamo dalle origini.
“Il mio vero nome è Luciano Sbalchiero e sono nato il 9 luglio del 1961 a Malo, paese dove sono rimasto solo per qualche mese; poi i miei si sono trasferiti a Schio per aprire un negozio di frutta e verdura. Il primo disco l’ho ricevuto in regalo da una zia suora, era un disco di musica classica; a 7 anni ho partecipato allo Zecchino d’Oro cantando “Pietre” di Antoine alle selezioni e poi un brano composto tutto per me dalla professoressa scledense Maria Antonietta Piva, si intitolava ‘Sogno di un bambino beat’. Non ho vinto, ma ho segnato da allora la mia strada. Durante l’adolescenza seguivo mio fratello, che bazzicava volentieri nel mondo delle radio libere: tempi storici per la musica. Con lo pseudonimo di Nocciolina DJ giravo tra Vega Radio, Radio City, Antenna Veneta… finché Emanuele Conte, speaker di Radio Padova, mi ha trasformato da Nocciolina a Gaggia: aprendo e pun-
Luciano Gaggia, nome d'arte di Luciano Sbalchiero, insieme con Jo Squillo. Sotto con Luca Zaia e il libro "VINIli" di cui Gaggia è coautore
Le passioni di Dj Gaggia Musica, vino e cibo. Sono le passioni di Luciano Gaggia, nome d’arte di Luciano Sbalchiero, l’one man show da sempre conosciuto come Dj Gaggia. “Quando sono alla consolle cerco di trasformarmi in psicologo e capire ciò che vorrebbe ascoltare chi ho davanti. Poi tra un brano e l’altro ascolto racconti di vita, gioie e dolori”.
tando a caso il dito su una serie di cognomi dell’elenco telefonico, mi ha suggerito proprio Gaggia. A quel tempo, lavoravo in radio e contemporaneamente aiutavo mio padre trasportando col camion frutta e verdura: dormivo pochissimo; a scuola ero abbastanza capace, ma mi sono fermato dopo la terza media. La vita è stata la mia grande prof”. Beh, utile chiamarsi come una macchina da caffè per uno che vive di notte…
“Vero, e di notte la gente si manifesta per quel che è, garantito! La musica è emozione, ricordo: può far sorridere o commuovere. Quando sono alla consolle cerco di trasformarmi in psicologo e capire ciò che vorrebbe ascoltare chi ho davanti: il divertimento inizia così. Poi, fino a notte fonda, tra un brano e l’altro ascolto racconti di vita, gioie e dolori. Non si spara sul dj, può diventare un confidente”. È richiesto in molte feste vip e in molti concerti: vuol citare quelli che per lei sono i memorabili?
“Ho intrattenuto il pubblico in due con-
certi storici: quello di Zucchero a Plan de Corones nel ’97 e quello di Antonello Venditti nel ’99; ho aperto la festa della Formula Uno quando ha corso per la prima volta a Baku; ho animato quella della figlia del Presidente della Georgia e quella di Mourinho a Madrid con l’Inter: un sogno, anche perché sono interista”. E tifoso del Lane, come ben si può vedere su Tva.
“Certo che sì. Mai andati così male, proprio mai”. Parliamo di famiglia?
“Sono sposato dall’88 con Alessandra, ho un figlio che si chiama Nicolò. Mia moglie mi è sempre stata vicino, anche se per il mio lavoro le nostre vite viaggiano su binari diversi. Forse è proprio questo che ci ha tenuto insieme: tanti miei amici si sono separati, io no. Con la pandemia, poi, insieme a lei ho confezionato e commercializzato una gran quantità di cesti gourmet: vino e cibo sono le mie altre passioni, quindi in era Covid, a discoteche chiuse, mi sono reinventato. Ho pure pubblicato un libro, “VINIli”, con il sommelier Daniele Di Marco: lui ha scritto di vini, io ho abbinato le canzoni giuste. Del resto, il vino è musica”. In discoteca è a contatto con i giovani. Cosa ne pensa?
“Che sono più giovane e mi diverto più di loro! I giovani, oggi, hanno tanto e non si
Schio ◆ [25] E di Schio che ci dice?
“Che è una città fin troppo tranquilla, dove ho molti amici e mi posso rilassare. Per i giovani c’è troppo poco”. Lei passa dalle feste vip alle sagre con nonchalance, non porta alle stelle le prime e non snobba le seconde. Ma ci saranno delle differenze sostanziali…
stupiscono più. Soprattutto, hanno l’appoggio più o meno incondizionato dei genitori: si buttano con più difficoltà nella vita. Noi eravamo indubbiamente meno istruiti, avevamo meno mezzi ma andavamo allo sbaraglio. È vero che il lavoro scarseggia, è vero che i giovani sono sottopagati e fanno bene ad andare all’estero per avere migliori condizioni se non le trovano qui, però manca la volontà di lottare. Ai miei tempi c’era, e vorrei vedere i ragazzi più convinti e combattivi, meno rassegnati”.
“La differenza la fanno le persone: ci sono feste vip dove ci si diverte come no, e ci sono feste di piazza che sono dei successi (vedi Made in Malga, che ad Asiago sta crescendo molto) e altre che risultano dei flop. Io provo ad animare, è questo il mio scopo. Mi diverto col vip e con la persona comune in ugual modo. Sono contento quando la gente lo è”. Però non aveva mai animato la festa del patrono in città. Lo ha fatto egregiamente con Irene Guglielmi, ottima cantante, e gli scledensi di tutte le età sperano in un bis.
Il personaggio “Che vuole, nessuno è profeta in patria: quando Nicola, del Cuore di Schio, mi ha proposto di piazzarmi davanti al Duomo per far cantare e ballare gli scledensi, quasi non ci ho creduto. L’ho fatto molto volentieri e con una certa emozione: sono proprio contento del successo della serata”. Dove se ne andrà adesso a far cantare e ballare?
“Sono richiesto in più città friulane, sarò all’Elba e soprattutto, per la Mostra del Cinema di Venezia, animerò la festa vip prima dell’apertura ufficiale. Il mio non è un lavoro, è una gioia. Il lavoro vero, quello fatto di sudore, fatica e stress, è ben altro e mi rendo conto di essere un privilegiato”. ◆
L’Odissea in danza (e vista al femminile) La Carmen di Nuovo T radurre l’Odissea in balletto a scene, puntando tutta l’attenzione sulle figure femminili piuttosto che su Ulisse? Difficile, ma non impossibile, a giudicare dallo spettacolo proposto nella cornice del parco della Fabbrica Alta. Lo hanno fatto, riuscendoci molto bene, sei scuole di danza della provincia, sotto la direzione del regista Arturo Cannistrà, che si è avvalso dell’efficace ed esplicativa drammaturgia di Riccardo Zuliani. La direzione artistica ha portato la firma di Cannistrà e di Ornella Pegoraro di Orizzonte Danza, che insieme hanno creduto in un lavoro d’équipe, non facile da realizzare in un ambiente dove spesso ci sono delle rivalità. “Porto avanti da anni il progetto ‘Leggere per Ballare’ di Rosanna Pasi, presidente della FNASD (Federazione Nazionale Associazioni Scuole di Danza) – dice il regista ed ex primo ballerino, - nato in sordina e ora
realtà importante in Italia, perché unisce il mondo delle scuole di danza con quello delle scuole istituzionali, ideando un lavoro in rete tra arte, cultura e politica territoriale. Personalmente sono molto attento all’universo femminile, alla letteratura, alla moda che si rifà all’antica Grecia, come quella di Saint-Laurent e Chanel, quindi mettere in scena l’Odissea pensandola al femminile, trasformando le donne nelle vere eroine del poema omerico, è stata una sfida che ho subito accettato e che ha raccolto il favore del pubblico”. Sul palco, oltre a Orizzonte Danza di Schio, il Centro Artedanza di Thiene, Danz’è di Breganze, Etradanza di Montecchio Maggiore, Palladio Danza di Vicenza, Progetto Artem Motus di Valdagno. Ventitré i momenti scenici, tutti studiati con passione, che si sono avvalsi di musiche e luci evocative. ◆ [M.D.Z.]
Foto Riccardo Pazozzo
Nell’anfiteatro del Toaldi Capra, è andata in scena “Carmen. Romanzo criminale”, spettacolo liberamente tratto dal capolavoro di Georges Bizet, a sua volta ispiratosi al romanzo di Prosper Mérimée. L’assessorato alla cultura del Comune, come succede dal 2008 a oggi, ha accolto la proposta di Daniele Nuovo dell’associazione LiricaMente, che da tanti anni porta nei teatri e nelle piazze della nostra Regione la “sua” lirica, spiegando il contesto storico e culturale in cui ogni opera è nata, soffermandosi sulle caratteristiche dei personaggi, narrando curiosità legate a interpreti e autori e rendendo, di fatto, attuale e comprensibile ai più il melodramma italiano. Con Carmen, Nuovo si è anche soffermato sullo scottante tema del femminicidio, presente pure nell’opera di Bizet, dando spazio alla fine della rappresentazione anche alla vicesindaco Cristina Marigo e a Maria Antonietta Spiller, dell’associazione “Donne per le donne”, che sono intervenute sottolineando la gravità assoluta dei femminicidi, in continuo e preoccupante aumento. Lo spettacolo ha avuto ottimi interpreti, ma fra tutti è spiccato il tenore Maecio Gomez, che nel bis finale ha donato un’entusiasmante e potente “Granada”. [M.D.Z.]
[26] ◆ Schio Spettacoli
Un bel Sacrofest Il festival organizzato al Sacro Cuore è tornato e per dieci giorni, in giugno, ha catalizzato la partecipazione di molti scledensi a numerose iniziative, sia di spessore culturale e sociale, che di cabaret e umorismo.
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Mirella Dal Zotto
l Sacrofest è tornato e per dieci giorni, in giugno, ha catalizzato la partecipazione di molti scledensi a numerose iniziative pensate, come di consueto, ad hoc. Gli organizzatori, in primis quegli “Alberto e Dario” pronti a mettersi al servizio a tutte le ore, dimostrano ogni anno che passa maggiore inventiva, capacità e disponibilità. Si sono susseguiti sul palco del Teatro Pasubio Elisa Cimetta (ricercatrice alla Città della Speranza), Stefano Mancuso (direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale e della Fondazione per il Futuro delle Città), Don Giacomo Panizza (sacerdote contro le mafie), Ezio Aceti (psicologo attento ai bisogni educativi contemporanei), Rosanna Virgili (docente di esegesi dell’Antico Testamento); per la musica, presenti i The Sun con il loro rock positivo e luminoso e CAM Orchestra di
Castello in swing Metti una sera in cui si leggono i divertenti racconti del nostro Mariano Castello e abbinala a buona musica d’autore, anche del tempo che fu: si ottiene uno spettacolo raffinato e godibile in cui esce una nostalgica Schio in bianco e nero. Bene si è fatto a proporre,venerdì 24 giugno, un mix del genere: “Paolo Conte racconta Mariano Castello” pareva un titolo un tantino ambizioso, ma durante lo spettacolo ci siamo resi conto che calzava a pennello. I brani di Conte, ben cantati da Luca Pegoraro (piano e voce) con Michael Sandonà (batteria), si sono adattati perfettamente ai brani letti da Giusva Lievore in mise anni Cinquanta. E non ci sono state solo le canzoni di Conte: abbiamo ascoltato anche Buscaglione, Gaber e, nei bis richiesti più volte dal pubblico attento e partecipe al Lanificio Conte, altri brani famosi. Castello, presente in sala, ha gradito tanto quanto il pubblico. Rétro, ma che bello. [M.D.Z.]
Piovene, che ha presentato il disco “Note più note”; per il teatro è arrivato Paolo Hendel con il suo spettacolo “La giovinezza è sopravvalutata” e i Risi & Bisi con “Secco, umido & rock’n’roll”, cabaret ruspante. Di tutto e di più, per vari palati, con un denominatore comune: l’impegno, anche sotto l’ironia. Noi abbiamo riso e riflettuto con Hendel, che ha proposto un lavoro scritto a quattro mani con Marco Vicari; l’attore fiorentino ha un’ironia pungente, il suo sarcasmo è in grado di fare e far fare considerazioni amare come quelle proposte sulla vecchiaia, ma un po’ di speranza la mette. I tempi comici sono ben studiati, complice la regia di Gioele Dix, ed è in grado, come è successo al Teatro Pasubio, di improvvisare quando le luci non funzionano a dovere, o quando la toilette è comune e non all’interno del camerino. Comunque sia, uno se ne va abbastanza convinto che la giovinezza, oggi, non sia così bella come si potrebbe pensare, ma poi, riflettendo a fondo, scopre che
Paolo Hendel, tra gli ospiti del Sacrofest
Hendel ha schiaffato lì, ben sfruttando la sua mimica, tutte le problematiche legate alla leopardiana “vecchiezza”: alla fine della fiera, si intuisce che l’importante è star bene con se stessi, a qualunque età, mantenendo vive la curiosità e la passione. Più ruspante, indubbiamente, il cabaret a tratti vernacolare dei Risi & Bisi: il gruppo maladense, composto da Pietro Meda, Dario Grendele, Mauro Sartori, Pope Dall’Osto e Alessandra Lizzati, ha messo in scena davanti a un teatro al completo un mix tutto da ridere, centrato però sulla raccolta differenziata. Punto di forza, come sempre, le battute sagaci sulla realtà locale e sui nostri politici; un insieme godibile e goliardico di siparietti in cui il gruppo recita, canta, si muove andando a sottolineare situazioni, difetti, paradossi. Tanta inventiva nella rivisitazione di noti proverbi e testi di canzoni famose. ◆
Manera fa riflettere sorridendo Il Giardino Jacquard, dal 17 al 19 giugno, è stata la suggestiva cornice del festival ConversAzioni, organizzato dall’associazione culturale Fabbrica in Azione con la collaborazione del Comune; tema dell’anno, l’ascolto, sviluppato in diversi modi e concepito non solo come ”udire”, ma anche e soprattutto come comprendere, sentire nel profondo, prendersi cura e prestare attenzione. Sono stati organizzati laboratori floreali in serra, momenti di musicoterapia, degustazioni, una conferenza sull’iperconnessione e un ascolto di audiolibri. Ospite vip, il cabarettista Leonardo Manera, che sta girando l’Italia con il suo “Homo modernus”; giardino al completo tutto per lui, che ha raccontato ironicamente la vita di un uomo qualunque, dalla colazione del mattino all’agognata tivù serale, puntando l’attenzione su pregi e difetti della tecnologia e passando per tutta una serie di incontri e vicissitudini. Non sono mancati i personaggi che lo hanno reso celebre, come il sessuologo e il Peter dalla provincia di Brescia; nell’ora e mezza di esibizione i suoi messaggi agrodolci sono stati accompagnati musicalmente dalla fisarmonica di Martina Filippi, che li ha efficacemente sottolineati. Leonardo Manera, che ha fatto riflettere sorridendo sui paradossi della nostra epoca, alla fine ha voluto puntare l’attenzione su ciò per cui e veramente la pensa di vivere: gli amori, le amicizie, i figli e la natura, che dobbiamo guardare con rispetto. Il progresso sta tutto lì, nel prendersi cura consapevolmente di tutto ciò che ci circonda: persone, animali, ambiente di vita. ◆ [M.D.Z.]
[28] ◆ Thiene Sport
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al palasport di Sarcedo catapultate fino alle finali nazionali con in palio il trofeo tricolore, sfiorando sia in Coppa Italia che nella corsa scudetto l’accesso alla finalissima. È una doppia medaglia di bronzo che vale oro quella che si sono messe al collo le ragazze del futsal del Dream Five C5, che nel campionato italiano Under 19 hanno raggiunto – unico team del Triveneto – la Final Eight di Salsomaggiore Terme, arrivando fino alla semifinale. Tutto questo dopo aver eliminato le due corazzate laziali: le campionesse in carica 2021 di FB5 Team Rome, battute nello spareggio, e la Lazio Global (pluridecorata dal 2016 al 2019) sconfitta in diretta tv prima di cedere al Milano con le vicentine sfiancate (e azzoppate) dall’impresa del giorno precedente. Un doppio… sogno quello che le “Dreamine” in età Under 19 hanno inseguito dall’estate scorsa e poi raggiunto, rappresentando il Nord Est nelle finali tricolori, convogliare simpatie nell’ambiente e soddisfare l’obiettivo della società con sede di gioco ha Sarcedo e di parte degli allenamenti a Dueville. Giunte alla recente kermesse per il titolo spodestando Fb5 (2-2 dopo il viaggio nella capitale all’andata, 9-0 al ritorno grazie al sostegno del palasport gremito al ritorno), è arrivata la vittoria per 2-1 sulla Lazio – società di serie A1 -, prima di cedere per 5-1 in semifinale alle lombarde, complici quattro infortuni in corso d’opera che hanno dimezzato l’organico proprio nel momento decisivo. Dream Five C5 comunque sul podio al 3° posto in coabitazione con Aosta, applaudendo la società amica Falconara che ha conquistato lo scudetto giovanile del calcio a 5 femminile. E bissando lo stesso piazzamento raggiunto ai primi di aprile a Bisceglie, in Coppa Italia, dove le vicentine avevano battuto Top
Dream five, un podio da sogno La squadra Under 19 torna a Sarcedo con il 3° posto in Italia. Per la prima squadra la Coppa Fair Play in Veneto e per le Under 17 il titolo interregionale. Five Torino (4-0) per poi cedere in semifinale al Bergamo (4-3). Qualche lacrimuccia al ritorno da Salsomaggiore, ai primi di giugno, soprattutto per le giovani meno… giovani del gruppo che usciranno dalla categoria nella prossima annata, ma anche tante good vibes, come si dice tra le adolescenti, per aver portato un club di provincia così in alto. “Ci consoliamo con le gratificazioni ricevute per il gioco espresso – così i dirigenti della squadra al rientro – e con il fatto che il nostro club è stato l’unico di ambito regionale a qualificarsi per le finali scudetto: tutte le altre, infatti, sono formazioni giovanili di società strutturate di serie A1 o A2. A volte la passione e l’entusiasmo riescono a compensare le minori risorse a disposizione, ci è stato riconosciuto da più parti e questo è motivo d’orgoglio per tutte le nostre atlete”.
A questo si aggiunge il recente successo a Jesolo delle “sorelle minori” dell’Under 17, che in ambito interregionale – qui non esiste una fase nazionale – hanno (stra)vinto il campionato di categoria grazie ad un en plein di 10 successi in altrettante partite. Nella fase finale sulle sponde adriatiche, il doppio 5-1 a Futsal Giorgione (Treviso) e Molinella (Bologna) è valso un trofeo rincorso per tre anni. “Queste teenager per due stagioni si sono viste sospendere il torneo per l’epidemia, e il timore che succedesse ancora era alto, ma per fortuna si è arrivati al traguardo ed è stata una ‘liberazione’ che ha affiancato la gioia comprensibile per la loro prima vittoria in un campionato agonistico”. Proprio sul rush finale di stagione, poi, è stato assegnato un premio per la prima squadra di serie C, composta peraltro per due terzi da Under 19: oltre al titolo platonico di team con l’età media più bassa in Italia, è arrivato un riconoscimento ufficiale per il fair play con la Coppa Disciplina al quintetto più corretto tra le squadre venete. “In tutta la stagione abbiamo incassato tre cartellini gialli e nessun provvedimento allo staff in panchina: è giusto che sia così, perché le nostre atlete più grandi sanno di essere un esempio in campo per le bambine del Gruppo Avviamento e che vengono spesso a tifarle alle partite casalinghe con le loro famiglie”. Per informazioni sulle squadre giovanili di futsal rosa dai 7 ai 18 anni e sulle sedi di gioco di Sarcedo e Passo di Riva, visitare le pagine social dedicate o contattare via mail c5dueville@email.it. ◆
[30] ◆ Schio Sport
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Alessandro Rossato
uò uno sport diventare fenomeno di costume? Se si chiama padel la risposta non può essere che affermativa. Con tassi di crescita da fare invidia alle più performanti delle start up, questa disciplina sportiva, che affonda le proprie radici in Messico e ha trovato il definitivo successo in Spagna, è diventata in breve tempo un vero successo anche in Italia. E grazie all’iniziativa di un gruppo di investitori locali, già calciatori professionisti, anche a Schio. Dallo scorso mese di gennaio, in viale dell’Industria 108, ha infatti aperto le porte il primo Padel Point dell’Alto Vicentino. Tre campi indoor, panoramici e testurizzati, sono a disposizione degli amanti della “pala” (guai a chiamarla racchetta), che hanno finalmente la possibilità di dare sfogo alla propria voglia di dritti, pallonetti e volée. Sono molte le similitudini tra il padel e il tennis. I nomi stessi dei colpi lo dimostrano, così come il punteggio, eppure le differenze tra le due discipline restano palesi. Con un campo da gioco poco più grande della metà di uno da tennis, circondato da pareti, in gran parte in vetro, sulle quali la pallina può tranquillamente rimbalzare, il padel è fondamentalmente divertimento. Il tennis resta una disciplina fantastica, ma servono anni prima di riuscire a praticarla a un livello che possa minimamente regalare delle soddisfazioni. Al contrario, il padel sembra essere essere nato per far divertire sin dai primi minuti anche il meno avvezzo dei neofiti.
Il marciapiede dimenticato Questo è lo stato in cui versa la parte alta di via Riboli, all’esterno dello stadio di atletica. Erbacce che crescono ed escono dal cemento e dai muretti arrivando ad altezza da bambino, e cespugli incolti sotto gli alberelli. Visto che nessuno interviene e che lo stadio è sede di varie società sportive e di corsi di vario tipo, non resta che lanciare a qualcuna di loro l’idea di organizzare un nuovo e originale corso di “ginnastica di mantenimento della via e diserbamento marciapiedi”. [S.T.]
Avanti, c’è padel per tutti Da inizio anno ha aperto a Schio il primo Padel Point dell’Alto Vicentino: tre campi indoor, panoramici e testurizzati a disposizione degli amanti della “pala”, che hanno finalmente la possibilità di dare sfogo alla propria voglia di dritti, pallonetti e volée.
Si tratta infatti di uno sport che può essere giocato senza una particolare preparazione tecnica e anche da coloro il cui giro vita non è più quello di un tempo. Certo a livello agonistico una partita di padel può far saltare le coronarie anche solo agli spettatori, tanto sa essere pirotecnica e imprevedibile, ma la facilità con la quale si può approcciare questa disciplina resta forse il vero segreto del suo successo. Solo così si può spiegare l’incredibile performance registrata dallo stesso Padel Spot, che in nemmeno sei mesi dall’inaugurazione ha registrato l’iscrizione di oltre 250 soci. Numeri che nemmeno il più roseo dei business plan avrebbe mai potuto ipotizzare
e che invece regalano a Mauro Zironelli, ideatore e fondatore della società, la soddisfazione di averci visto giusto. “Era il 2020 – spiega lo stesso presidente – e mi trovavo ad allenare a San Benedetto del Tronto dove erano già attivi diversi campi da padel. Così, assieme ad altri soci, dopo aver a lungo cercato la location adatta, siamo finalmente riusciti a dar vita a questo progetto”. Zironelli ha indubbiamente colto l’opportunità, ma ha saputo anche far le cose per bene. Padel Point oltre ai 3 campi da gioco coperti, uguali a quelli del World Padel Tour, offre ai propri iscritti spogliatoi con docce, un punto di ristoro, la possibilità di noleggiare racchette (pale) e prenotare lezioni con maestri professionisti. Inoltre un apposito sito-App permette ai soci di prenotare il proprio campo e una chat tra gli iscritti offre continue opportunità di gioco a qualsiasi livello. Un modo questo per garantire anche una maggiore integrazione tra gli iscritti. Senza contare che a far comunità ci hanno pensato pure i vari tornei. “In questi primi sei mesi – continua Zironelli – siamo riusciti a dar vita a ben tre tornei sociali, che hanno visto la partecipazione di svariate decine di soci. Un successo che ci ha convinti non solo a organizzarne un quarto a settembre, al rientro dalle vacanze, ma addirittura uno in notturna”. Una sorta di notte bianca attende dunque gli appassionati del padel. Ovvero una “no stop” dalle 18 all’alba, dove i virtuosi della Bandejao e gli amanti della Vibora (colpo da veri esperti) sapranno far tremare a dovere i vetri dei campi. ◆