SchioThieneMese La Piazza 862

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Periodico di informazione dell’A lto Vicentino

anno X n. 95 - dicembre 2021

Schio: I ragazzi del Cai - p.8 ◆ In tempo di Covid aumentano i casi di violenza sulle donne - p.12 Thiene: Il calendario del sorriso - p.18 ◆ La cittadella dello sport da cantiere a “cantera” - p.24

Franco Balzi: “A Bramezza dico che i sindaci non sono la controparte” Qual è la situazione della
sanità pubblica del territorio?
 Ne parliamo con Franco Balzi,
presidente del Comitato dei
sindaci del distretto Alto
Vicentino dell’Ulss, nonché sindaco di Santorso.


Di mese in mese

Mezzo secolo di mecenatismo popolare

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SchioThieneMese

Periodico di informazione dell’Alto Vicentino

Supplemento mensile di

Lira&Lira e La Piazza Direttore Stefano Tomasoni Redazione Elia Cucovaz Omar Dal Maso Mirella Dal Zotto Camilla Mantella Grafica e impaginazione Alessandro Berno Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com Per le inserzioni pubblicitarie Pubblistudio tel. 0445 575688

Stefano Tomasoni

ei giorni scorsi a Schio se ne è andato Tullio Menin. In modo improvviso e prematuro, perché aveva soltanto 68 anni. Molti lettori di area thienese è probabile che non lo conoscessero, ma fidatevi: è stata una persona che è doveroso ricordare. Un artigiano tipografo, a rigor di professione, ma non un tipografo “normale”, ossia concentrato sul proprio lavoro per realizzare le commesse dei clienti e tradurle nei prodotti grafici e cartacei richiesti. Anche questo, certo, ma non soltanto. Lui e il padre Claudio, che la ditta l’aveva fondata nel dopoguerra, sono stati le due anime della Tipografia Menin. Che a partire dagli anni Sessanta per mezzo secolo è stata una sorta di piccola casa editrice locale con annesso qualcosa di simile a un circolo culturale, un gruppo di cui facevano parte autori, studiosi, professori, giornalisti... Una piccola azienda che ha fatto “responsabilità sociale d’impresa” quando chi ha inventato questa espressione non era ancora nato. Dapprima il padre e poi il figlio quando è stato il suo turno, si sono dati un compito fuori dall’ordinario: diffondere cultura, informazione, ricerca storica, diventando di fatto punto di riferimento per un cenacolo culturale che nel tempo si è via via arricchito di leve sempre nuove e che da inizio anni Sessanta ai primi anni Dieci ha regalato alla città e al territorio decine di opere e di pubblicazioni che ne hanno arricchito la documentazione storica. Quello che hanno realizzato Claudio e Tullio Menin è un fenomeno a suo modo unico nel panorama editoriale non soltanto vicentino, perché buona parte della produzione culturale legata a questo “cenacolo diffuso” aveva pura valenza culturale: era come se, una volta deciso che la tipografia dovesse svolgere questo suo ruolo “civico”, diventasse inevitabile dare alle stampe la produzione letteraria e storica di chi di quel “cenacolo” faceva parte. Anche indipendentemente dalle prospettive di rientrare dalle spese. Un centro di gravità culturale, dunque. Con due “creature” editoriali, su tutte, che

ne hanno segnato la storia. La prima è il “Numero Unico”, una pubblicazione uscita per la prima volta nel 1961, un’idea di papà Claudio, cresciuta nel tempo fino ad arrivare a superare le 200 pagine: arrivava in edicola puntualmente in occasione della festa del patrono di Schio, a fine giugno, e dava conto di quanto accaduto in città nell’anno trascorso e delle energie associative che l’avevano animata; un contenitore a disposizione di chi avesse qualcosa da scrivere o da raccontare sulla città, sul suo passato e sul suo presente, e in questo senso un prodotto che probabilmente non è esistito da nessun’altra parte in quella forma e con quella filosofia. La seconda creatura è il mensile “Schio”, un giornale formato tabloid uscito tutti i mesi dal 1984 al 2012 in migliaia di copie che andavano regolarmente a ruba, diretto per 25 anni da Giampaolo Resentera e negli ultimi tre dal sottoscritto, a raccontare la vita cittadina anche in questo caso sotto i suoi tanti aspetti. Un giornale offerto alla città gratuitamente e che viveva di piccola pubblicità, la cui raccolta non era certo sforzo da poco. E poi va ricordato il “Premio Menin”, che negli anni Novanta ha consentito di dare un riconoscimento pubblico ad alcune delle migliori energie della città. Un’iniziativa di cui di solito si fa carico un Comune, ma siccome a Schio non ci aveva mai pensato nessuno, a un certo punto ci pensò Tullio Menin, spendendoci del suo. In definitiva, quello di Menin padre e figlio lo si può definire un “mecenatismo popolare”, perché rivolto a sostenere non tanto un’eccellenza artistica o culturale in particolare, quanto (potenzialmente) un’intera comunità locale. Un mecenatismo di provincia, perché qui siamo, che forse anche per questo è da considerare un fenomeno oggi non più replicabile. Claudio e Tullio Menin hanno consentito a tanti scledensi di dare il proprio contributo nel costruire il racconto corale di un periodo storico che è stato fondamentale per Schio e il suo territorio, facilitando ai posteri il compito di ricostruire e comprendere la trasformazione della città nel secondo Novecento. È tanta roba. ◆


Di mese in mese

La pawlonia e quegli abeti partiti come alberi di Natale A

inizio anno verrà abbattuta la grande pauwlonia presente nella rotatoria nell’area ex scalo merci. Una pianta storica, che però oggettivamente da anni ci chiedevamo come facesse a resistere all’aggressione del traffico, oltre che a quella naturale del tempo. Il Comune fa sapere che l’albero è diventato molto pericoloso per dei marciumi molto estesi. Peccato, era una certezza per quel punto della città. Intanto, la sorte della pawlonia della stazione è già toccata in questi giorni a sei maestosi abeti rossi di via Brolo del Conte, dalle parti della Valletta, tagliati perché diventati troppo pericolosi. Se ne vedevano da tempo alcuni malconci e malati. «La scorsa primavera nell’area limitrofa alla Valletta è caduto un abete rosso di circa 20 metri e dopo questo episodio si è deciso di condurre un’estesa verifica riguardante la stabilità di alcuni impianti arborei del-

la zona, verificando che anche altre piante simili potevano cadere a causa di alcune caratteristiche implicite alla specie, ovvero l’apparato radicale molto superficiale, insieme a un precario stato fitosanitario e una densità di impianto non adeguata – spiega l’assessore all’ambiente, Alessandro Maciulan -. I sei abeti in questione, infatti, sono stati probabilmente messi a dimora nel tempo dai residenti della zona dopo averli utilizzati come alberi di Natale. Considerata la loro particolare vicinanza a case e parcheggi abbiamo optato per eliminare quelli potenzialmente più pericolosi. È sempre un dispiacere abbattere gli alberi, ma in questi casi è necessario e urgente per salvaguardare la sicurezza di tutti”. È vero, però fa sempre un po’ specie pensare che gli alberi possano diventare pericolosi, considerato che in linea generale è a loro che dobbiamo la vita sulla Terra. E

tuttavia il tempo lascia i suoi segni, prima o poi, anche su ciascuno di loro. Un aspetto edificante in tutto questo, però, c’è ed è l’idea che gli abeti della Valletta siano diventati così grandi partendo da alberelli di Natale che al momento del trapianto in Valletta non dovevano essere certo ben messi, dopo un mese trascorso in un vaso in qualche appartamento agghindati con palle e festoni natalizi. Erano rinati dopo un Natale e ora, decenni dopo, a Natale se ne sono andati. ◆ [S.T.]


[4] ◆ Schio Copertina

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Stefano Tomasoni

ei servizi di guardia medica chiusi, compresi quelli di Schio e Thiene, e tutti accorpati negli ospedali di Bassano, Santorso e Asiago. Un altro pezzetto di sanità pubblica che si sgretola, diventando meno facilmente accessibile in caso di emergenza. È l’ultima novità arrivata dall’Ulss 7, che in queste settimane ha ufficializzato una decisione nell’aria da tempo, vista la sempre più grave carenza di personale medico che sta interessando tutta la sanità italiana. La colpa, appunto, non è nemmeno dell’Ulss: è il risultato di venti-trent’anni di ottuse scelte politiche nazionali, che hanno contingentato in modo stretto il numero dei nuovi medici da far uscire dalle università, senza vedere l’evidenza, cioè che in questi anni sarebbe arrivato alla pensione un esercito di medici della generazione del boom, lasciando scoperti i reparti degli ospedali, ma anche gli ambulatori dei medici di base, loro pure sempre meno e sempre più anziani. I numeri in chiave altovicentina raccontano il risultato di queste scelte scellerate: nel 2019, 34 medici sono usciti dall’ospedale di Santorso a fronte di 20 assunzioni. Nel 2020, il trend è proseguito con 32 perdite e 20 assunzioni. Fanno 26 medici in meno in due anni.Tre esempi: tra 2019 e 2020 in anestesia ci sono state 8 cessazioni e solo 2 arrivi, in cardiologia 6 cessazioni e 2 arrivi, in Radiologia 5 cessazioni e nessun arrivo. Dunque, ora a farne le spese è il turno delle guardie mediche. E la politica locale non l’ha presa bene. Uno per tutti Franco Balzi, il presidente del Comitato dei sindaci del distretto Alto Vicentino dell’Ulss, nonché sindaco di Santorso. Proprio lui, nei giorni successivi al “riordino” delle guardie mediche, ha sottolineato come i sindaci non siano stati coinvolti preventivamente nella decisione: “Una condizione non accettabile che contribuisce a complicare la già complessa situazione”. Sindaco Balzi, i primi cittadini si sentono esclusi. Però qualche mese fa, in occasione della manifestazione che ha visto 10 mila persone marciare da Schio fino all’ospedale di Santorso, proprio dai sindaci era arrivata l’assicurazione che con la nuova direzione dell’Ulss “l’aria è cambiata”, intendendo in meglio. Non sembre-

Balzi: “A Bramezza dico che i sindaci non sono la controparte” L’ultima notizia arrivata dall’Ulss è la riorganizzazione delle guardie mediche con la chiusura del servizio anche a Schio e Thiene, a causa della carenza crescente di medici. Intanto all’ospedale di Santorso, pur facendo i conti a sua volta con numeri di sanitari sempre in calo, arrivano nuovi primari. Qual è dunque la situazione della sanità pubblica del territorio? Ne parliamo con Franco Balzi, presidente del Comitato dei sindaci del
distretto Alto Vicentino dell’Ulss, nonché sindaco di Santorso.

rebbe poi molto, se anche voi continuate a essere messi a conoscenza delle decisioni soltanto a cose fatte.

“Viviamo ancora una stagione difficile e di tante criticità, con una struttura sanitaria ormai da quasi due anni sotto pressione, chiamata a gestire questa emergenza che non sembra mai finire. La situazione resta critica, ma è frutto di un insieme di problemi che vanno affrontati in una cornice complessiva, che pone il problema della carenza di personale medico-sanitario, non certo soltanto nel nostro territorio. Cerchiamo allora di vedere con oggettività gli aspetti positivi, che pure ci sono, così come non nascondiamo le criticità. Ritengo che da parte della direzione dell’Ulss, che si è insediata in marzo, ci sia uno sforzo, che io per primo registro, di affrontare questa criticità. Con dei risultati significativi”.

Quali, in concreto?

“L’aver individuato, in un periodo così critico, una serie di primari che sono subentrati a chi è andato in pensione - parlo della cardiologia, della chirurgia, dell’ortopedia – e l’aver avviato percorsi analoghi per altri primariati altrettanto fondamentali come il pronto soccorso e come la neurologia, che nei prossimi mesi vivranno a loro volta un cambio alla guida. Questo non era scontato, perché non è facile oggi trovare medici e primari di qualità, e questa direzione dell’Ulss sta dimostrando di riuscire a farlo. Non è un dato di poco conto. C’è anche uno sforzo per far ripartire le attività ordinarie, che per lungo tempo a Santorso più che altrove hanno patito l’interruzione dovuta all’utilizzo degli spazi per l’emergenza Covid. Far convivere la gestione di una degenza Covid, che purtrop-


Schio ◆ [5] po in queste ultime settimane è tornata su numeri importanti, con l’attività ordinaria mi pare un’altra nota di merito”. Il fenomeno generalizzato della carenza di personale medico riguarda anche i medici di famiglia, che diventano a loro volta sempre meno numerosi...

“Sì, questa è un’altra emergenza. Nel nostro distretto se ne sono andati via 40 su 128 nel giro di pochi anni, e prossimamente ne andranno via altri 20. Sappiamo che è un problema che parte da lontano, dalla programmazione nazionale, ma non può essere soltanto questa la risposta, ci sono responsabilità anche di altro livello e dobbiamo cercare di intervenire adesso”.

E poi c’è un problema che si riscontra da tempo e al quale qui non eravamo abituati: l’impossibilità pratica di riuscire a prenotare una visita attraverso il call center dell’Ulss. Non è un problema da poco, perché è il primo contatto che si ha con la struttura sanitaria e da lì può derivarne un’impressione negativa che può non corrispondere alla qualità dei servizi erogati, ma che mina alla base la fiducia della gente.

“È un dato oggettivo, una delle criticità è la grande fatica delle persone a trovare un interlocutore che risponde al telefono per prenotare una visita. Tanti cittadini lo segnalano direttamente anche a me. E ci vogliono settimane, a volte, per avere l’appuntamento, il che porta poi magari a dover rivolgersi in tempi rapidi a una struttura privata. Questo non è certo positivo per uno come me che crede a una sanità pubblica garantita a tutti, con la qualità e l’eccellenza che caratterizzava questo territorio. Come sindaci non possiamo che sollevare con insistenza la questione di un call center che mostra tutti i suoi limiti e della necessità di trovare un modello diverso. Una strada che noi stiamo da tempo sollecitando, per affrontare il problema, è anche quella della medicina di gruppo che potrebbe auto-organizzarsi per dare risposte più dirette a un perimetro di utenti più circoscritto, con personale proprio”. Dunque, ricapitolando, lei dice: i problemi ci sono, spesso derivanti da condizioni che esulano dal nostro territorio e dalle responsabilità locali. L’impegno della direzione dell’Ulss c’è, però serve che il nostro ruolo di sindaci sia tenuto in considerazione. È così?

“Dico questo: da un lato registriamo che c’è un grande sforzo da parte della direzione per tentare di reggere questa situazione, l’arrivo di Bramezza ha riportato un po’ di attenzione nei confronti dell’ospedale di Santorso, ci sono stati interventi che prima tardavano ad arrivare e che adesso sono arrivati. Dall’altro lato, però, dobbiamo anche dire ad alta voce che quello che sta accadendo in alcuni territori è grave, e

dobbiamo veramente accelerare per trovare risposte che consentano di venirne fuori. Il direttore generale ci ha detto in più occasioni, in modo a volte anche molto brusco, che la competenza in ambito sanitario è sua e che noi sindaci abbiamo un ruolo in ambito socio-sanitario. Il messaggio è stato chiaro: su ciò che riguarda l’ospedale noi sindaci non c’entriamo nulla. Quello, però, che io continuo a dire al direttore generale è che il cittadino del mio paese, così come quello degli altri 31 comuni, quando ha un problema va dal sindaco perché è il primo interlocutore a cui pensa per avere un aiuto a risolvere un’emergenza. Dobbiamo trovare un equilibrio. Formalmente il direttore generale ha ragione, io però ho una visione diversa: questo territorio attraverso le amministrazioni comunali ha condiviso i percorsi legati anche alla sanità, la stessa scelta dell’ospedale unico di Santorso è stata frutto di una concertazione tra Ulss e sindaci del territorio.Attraverso questo dialogo, dunque, non si aggiunge un problema, ma si va nella direzione di trovare soluzioni.

I problemi ci sono, seri, quelli legati alla pandemia, quelli legati alla carenza del personale, quelli legati a un territorio che sta ancora vivendo l’integrazione tra Bassano e l’Alto Vicentino in maniera non risolta. Su tutto questo le amministrazioni comunali non devono essere una controparte, come a volte rischiano di diventare agli occhi del direttore generale. Devono essere un partner”.

Insomma, c’è scarsa consapevolezza da parte dei vertici dell’Ulss che voi sindaci siete la cinghia di trasmissione con la popolazione, dalla quale poi deriva o meno il consenso sociale, non soltanto politico?

“Diciamo che non c’è su tutto in maniera puntuale. Penso alla vicenda delle guardie mediche: nel momento in cui noi sindaci veniamo chiamati soltanto a registrare qualcosa che è stato già comunicato 5 giorni prima alla stampa, è evidente che non siamo di fronte alla condivisione di una scelta, ma a un prendere atto di una

Copertina decisione già assunta. Proprio perché è una decisione delicata, troverei importante un metodo diverso. Che non significa sovrapporsi e fare confusione dei ruoli: un sindaco non fa il direttore sanitario, questo è chiaro, però non è un metodo accettabile quello per il quale ai miei cittadini che vengono a chiedermi informazioni io devo rispondere ‘non lo so’, mentre nel frattempo loro vengono a sapere tutto dai giornali. Viviamo una stagione diversa da quella eccellenza che ha caratterizzato i vent’anni precedenti. Non che tutto andasse bene, ma se confrontiamo il livello a cui eravamo arrivati e questo declino che mi sembra di registrare in maniera trasversale, io devo tentare in qualche maniera di alzare la voce, in maniera certamente costruttiva, per cercare di trovare soluzioni”.

C’è anche da dire che qui, tra Schio e Thiene, siamo perlopiù diffidenti sui temi della sanità: quando la politica “che conta” è espressa tutta da Bassano si fa fatica a pensare che le scelte di politica sanitaria non vadano quasi naturalmente più da quella parte...

“Io sono il primo a dire che l’integrazione tra i due territori dell’Ulss non sta funzionando. Ma credo che questo direttore generale abbia capito che l’Ulss va avanti se Santorso funziona bene, che non possiamo baricentrare tutto sul territorio bassanese. L’Ulss Pedemontana non ha futuro se non trova gli equilibri organizzativi e anche economici. Perché altrimenti chi qui non trova più la garanzia di una risposta adeguata si rivolge al privato, se se lo può permettere, o va altrove. Ma per un’Ulss che deve far quadrare i bilanci questo genera evidentemente un disequilibrio. Secondo me il direttore generale questa cosa l’ha capita e la vuole gestire in maniera più decisa”. ◆


[6] ◆ Thiene Attualità

Dopo un anno di pausa obbligata, al Teatro Comunale si è ripristinata la tradizionale cerimonia di consegna dei due premi più prestigiosi e di altri riconoscimenti a personalità e associazioni thienesi.

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Omar Dal Maso

tornato da un anno di pausa forzata il “Premio Thiene”, appuntamento pre-natalizio e di chiusura dell’anno che da quasi mezzo secolo costituisce un elegante evento clou per la città. L’edizione 2021 dell’iniziativa istituzionale è stata salutata come quella del ritorno, l’ultima con il sindaco Giovanni Casarotto come “cerimoniere”, in scadenza di secondo mandato al “timone” di Thiene. La festa è stata ospitata domenica 12 dicembre in Teatro Comunale con ospiti tante autorità operanti non solo in città. In platea anche tanti cittadini che hanno voluto essere presenti in questa occasione speciale, che si è aperta in musica con la performance offerta da Chiara Luppi e Lorenzo Fattambrini per l’Istituto Musicale “Città di Thiene” e con il discorso ufficiale del primo cittadino. Ad aggiudicarsi l’edizione 2021 del Premio, con la motivazione di aver conferito prestigio e onore alla città di Thiene, sono state due famiglie di imprenditori che da decenni si sono affermate con le rispettive aziende: Pino Ceccato insieme ai figli Antonella, Lorenzo e Massimo, da titolare delle concessionarie “Gruppo Lorenzo Ceccato” e i tre fratelli Gian Battista, Roberto e Piercristiano Brazzale, thienesi di nascita e soci del gruppo caseario Brazzale, la più antica impresa del settore lattierocaseario che ha radici fino al 1784. Alle due aziende è stata donata la riproduzione della fontana di Bacco e Arianna, opera dello scultore Vittorio Guelfi, a chiudere tra gli applausi la 42ª edizione. Oltre al Premio, come da tradizione sono stati assegnati altri riconoscimenti speciali a cittadini e associazioni capaci di valorizzare e arricchire la città attraverso le loro attività. Nel dettaglio sono saliti sul

Foto di gruppo dei vincitori dell’edizione 2021 del Premio Thiene

Il Premio Thiene alle famiglie Brazzale e Ceccato Ad aggiudicarsi l’edizione 2021 del Premio sono state due famiglie di imprenditori del territorio: Pino Ceccato insieme ai figli Antonella, Lorenzo e Massimo, e i tre fratelli Gian Battista, Roberto e Piercristiano Brazzale.

palco due sportivi thienesi di lungo corso: Mario Maino, ex ciclista oggi 81enne capace nel 1962 di tornare in Veneto con al collo una medaglia d’oro dopo la prova a cronometro a squadre sui 100 km; e Bruno Zattra, maratoneta di 71 anni con nel palmares oltre mille vittorie e lo spirito di un giovanotto in perenne movimento.

Dallo sport alla cultura e in particolare alla musica lirica, con il giovane baritono thienese Nicola Zambon (23 anni) insignito di una targa, ritirata dalla madre in quanto impegnato in concerti in tutta Italia. Si è passati alla danza con Stefania Pigato, coreografa e docente di danza contemporanea, “levatrice” di talenti di riconosciuto valore anche fuori dai confini italiani. Un tris è stato riservato infine ancora al mondo produttivo locale: la Fioreria Benetti, con l’attuale titolare Marco erede di una dinastia di maestri dell’arte floreale da oltre 50 anni attiva a Thiene; Pelletterie Thiella con la titolare Franca Di Giacomo a ritirare l’omaggio dell’amministrazione insieme alla figlia Anna, celebrando così

una storia artigianale nata in un laboratorio thienese nel lontano 1946, inaugurata dalla madre e nonna – Ermelinda Thiella delle donne salite sul palco in sua memoria; terzo applauso sentito per un’attività di ortofrutta, la “Rosy e Fabiano”, che scavando nel passato porta avanti da generazioni e da 100 anni il commercio dai campi al mercato dei prodotti più genuini della terra, sublimando l’intreccio tra la natura e il lavoro dell’uomo. Tra i più applauditi a ricevere una lode concreta per il 2021 il professor Giovanni Tessari, docente poliedrico e amministratore pubblico in Comune per quasi trent’anni, già insignito del titolo di Caviere dell’Ordine al Merito della Repubblica nel 2006, attivo nel promuovere tra i ragazzi iniziative civiche legate alla Memoria, alla Resistenza e alla pace nel mondo. Tra le associazioni del territorio, premiata la sezione di Thiene del club dei radioamatori italiani, per l’attività legata alla Protezione civile e per aver dato supporto prezioso nelle celebrazioni del Centenario del raid aereo Roma-Tokyo dell’aviatore thienese Arturo Ferrarin. Analogo riconoscimento all’associazione “Sintonia”, oggi consultorio familiare socio-educativo riconosciuto dalla Regione, da sempre vicino alle situazioni più difficili. Infine, stretta di mano e targa all’ente di certificazione alimentare Csqa, dal 1990 a Thiene, primo organismo di questo tipo a sorgere in Italia. Poi la chiusura ufficiale, ancora in musica, con lo scambio degli auguri per le festività natalizie. ◆



[8] ◆ Schio

Qui e nella foto sotto alcune uscite del Gruppo Cai Juniores, in crescita nel numero di soci e nelle attività

Attualità “Le nostre montagne sono un vero e proprio patrimonio, ed è necessario saperne riconoscere il valore, anche storico. Serve maggior conoscenza dei luoghi e più rispetto degli spazi, anche da parte di noi ragazzi”.

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Camilla Mantella

aglierà il prossimo anno il primo traguardo dei cinque anni di attività il gruppo juniores del Cai scledense, sezione locale del Club Alpino Italiano attiva da più di 120 anni sul territorio per diffondere la cultura della montagna e promuovere il rispetto per il suo ambiente. Organizzatisi nel 2017, i ragazzi del Cai di Schio, dai 18 ai 30 anni, nascono come gruppo indipendente per non disperdere le energie raccolte dal progetto Alpinismo Giovanile, iniziativa Cai che promuove attività formative per i giovani. “Il Cai Juniores di Schio è composto da ragazzi con età e provenienze diverse - spiegano dal gruppo -. C’è chi è ‘figlio d’artÈ, quindi ha già genitori che amano la montagna, magari alpinisti, che hanno trasmesso ai figli la passione per le vette; c’è chi proviene dalle attività formative dell’alpinismo giovanile, chi è un nuovo appassionato: certo è che siamo tutti accomunati dal desiderio di conoscere la montagna, passare del tempo all’aria aperta e metterci alla prova. C’è chi è particolarmente amante dell’avventura e chi si avvicina al gruppo perché vuole godersi la magia di una notte stellata tra le vette”. Le attività del gruppo sono intimamente legate alla montagna e consistono prevalentemente in escursioni organizzate, esperienze nelle ferrate e alpinismo in senso ampio. “Promuoviamo le nostre iniziative attraverso i social network, Instagram e Facebook in primis, e attraverso i libretti Cai, che presentano una sintesi delle varie attività stagionali: i ragazzi del territorio entrano in contatto con noi dalla pagina Facebook Cai

I ragazzi del Cai Il gruppo Cai Juniores Schio taglierà tra poco il traguardo dei primi cinque anni di attività. Il numero in crescita degli associati testimonia la diffusione crescente dell’amore per la montagna tra i più giovani. Juniores Schio o dal profilo Instagram @ cai.juniores.schio – spiegano i responsabili della sezione -. Inoltre i membri più attivi fanno parte di un gruppo Whatsapp, che ci serve anche per gestire le uscite e accordarci sui programmi, e un paio di volte all’anno ci si incontra tutti insieme in presenza. Le escursioni, a cui si aderisce liberamente, vengono organizzate dai più esperti tra noi: si può partecipare previo tesseramento al Cai, che per i ragazzi è scontato”. A giudicare dalle foto postate sui social, il gruppo cresce di anno in anno. L’interesse per la montagna e il desiderio di contatto con una natura dove la presenza dell’uomo è più ridotta si sta diffondendo tra le generazioni più giovani, sempre più sensibili alle tematiche ambientali e sempre più desiderose di stare all’aria aperta. “Il numero dei nostri membri è aumentato anche nell’ultimo biennio - confermano dal gruppo -. Notiamo che i ragazzi partecipano volentieri alle uscite proposte, soprattutto quando queste vengono organizzate in periodi meno intensi dal punto di vista degli impegni universitari, dato che molti associati sono studenti”. Nonostante lo stop alle attività imposte dalla pandemia, gli juniores del Cai non si sono persi d’animo e appena è stato possibile hanno subito ricominciato a organizzare le loro gite e a proporre, insieme al gruppo degli adulti, momenti di formazione. “Le nostre montagne sono un vero e proprio patrimonio, ed è necessario saperne riconoscere il valore, anche storico – dicono -. Serve maggior conoscenza dei luoghi e più rispetto degli spazi, anche da parte di noi ragazzi. L’ambiente montano è meraviglioso, ma spesso vissuto in modo ‘mainstream’: è opportuno iniziare a esplorare anche destinazioni meno battute dal turismo di massa, e farlo con la consapevolezza che la natura

va capita e protetta, senza essere sprovveduti. Per questo ci teniamo particolarmente che i nostri associati partecipino anche ad attività collaterali alle escursioni, come ad esempio i cicli di incontri culturali che il Cai propone tutti gli anni o gli allenamenti nelle palestre di arrampicata. Bisogna essere pronti alla montagna, solo in questo modo ci si può godere appieno la bellezza di un’avventura in vetta”. ◆

Il murale delle roverelle

Splendido e d’impatto, non c’è che dire, il murale a lato del Faber Box: monumentale, coloratissimo, evocativo, di ottima fattura e adatto a un luogo giovane destinato ai giovani. Davanti, però, ci sono tre alberi, che ci paiono della famiglia delle querce, per ora di dimensioni ridotte, che tra qualche anno oscureranno l’opera artistica; non si può pensare, finché si è in tempo, a un loro spostamento? A meno che non si voglia lasciarli lì per un occulto progetto turistico: se Bolgheri ha il supervisitato Viale dei Cipressi, perché noi a Schio non possiamo avere il Murale delle Roverelle? [M.D.Z.]



[10] ◆ Thiene Attualità

Un murale che spicca il volo L’opera realizzata a metà autunno è stata promossa da una nuova associazione culturale che guarda ai giovani. Sfruttata una parete “nuda” del sottopasso inaugurato nel 2007.

I

n più occasioni nel passato recente a Zanè si era dovuto fare i conti con le “opere” di vandali, ma stavolta l’opera è indiscutibilmente d’arte (di strada) ed è universalmente apprezzata, al netto del gusto personale, quantomeno per il messaggio che racchiude. È apparsa da poco nel sottopasso che protegge l’ultimo tragitto a piedi o in bici degli alunni delle scuole medie. Ora una parete ospita e sfoggia un murale variopinto, esempio di street art che piace anche per la simbologia che rappresenta: una fenice in volo, da sempre emblema del desiderio di rinascita che calza a pennello in tempi di pandemia e privazioni. Pennello e tavolozza del pittore abbinati all’aerografo, utilizzati da mani esperte

per realizzare il disegno a due passi dall’istituto “Don Milani”. Gli autori sono Francesca Gasparotto e Diego Montagner, su idea dell’associazione “Divergent” di recente istituzione e attiva in particolare sui social, dopo aver richiesto al Comune di Zanè l’autorizzazione ad abbellire quel muro in passato oggetto di “scariche” di frustrazioni e vandalismi, oggi invece di una forte carica di emozioni e speranze corredate dal gusto artistico. Inaugurato nel maggio del 2007, il sottopasso era finora rimasto spoglio, salvo qualche scarabocio periodico, subito cancellato. “Si tratta del nostro primo atto concreto, il primo segno che lasciamo fuori dalla nostra pagina social – così i portavoce dell’associazione -. Volevamo fosse qualcosa che potesse rappresentare l’anima e lo spirito di Divergent e i due bravissimi artisti hanno compiuto un lavoro incredibile. Due persone divergenti, due pittori con percorsi artistici diversi, due stili, due tecniche differenti, un connubio spettacolare

Addio “Ponte de Quarei” La struttura su cui si posa la linea ferroviaria Vicenza-Schio è stata oggetto di lavori che ne hanno mutato la tradizionale estetica, lasciando spazio al cemento.

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lzi la mano il thienese doc che non abbia mai sentito nominare il “Ponte de Fero” e il “Ponte de Quarei”, appellativi informali e fuori dalla toponomastica ufficiale con cui sono chiamati dal secolo scorso i due sottovia ferroviari che sorgono a sud della città e tra la stazione dei treni e il quartiere dei Cappuccini. Se per il primo viadotto citato nulla è mutato, il secondo rischia invece di finire nell’album dei ricordi, dopo una ventina di giorni di lavori che hanno comportato la chiusura totale del traffico lungo Corso Campagna, bloccando proprio sulla strettoia del piccolo ponte il traffico su entrambe le direzioni e l’accesso ai pedoni. Al termine dell’intervento, i tipici mattoni faccia-vista di colore arancione sono spariti, coperti dal grigio cemento. Una novità, tanto imprevista quanto poco gradita ai thienesi, che ha suscitato più di un mugugno.

Qualcuno ha chiesto spiegazioni in Comune, sbagliando però “mira”, visto la competenza su questo tipo di strutture portanti

tra pennellate e sfumature con l’aerografo. Rinascita, forza, coraggio, magia, armonia, personalità, originalità, movimento. La nostra fenice trasmette tutto quello che volevamo”. Il murale “rilasciato” a ottobre fa parte di un progetto artistico ampio, inserito nella produzione di un video – dello scledense Nicola Inderle – incentrato proprio sul tema della divergenza, intorno a cui l’associazione nata nell’estate 2021 ha plasmato una community fervente sul piano culturale e sociale. “Da agosto ci siamo costituiti in associazione per poter realizzare progetti concreti ed ampliare le nostre collaborazioni, aspetti fondamentali per diffondere questo straordinario concetto che è tutto fuorchè banale. L’idea è di collaborare con scuole, istituzioni, associazioni e privati in modo da ispirare e supportare in primis i giovanissimi. Per questo siamo estremamente felici di aver potuto utilizzare un muro nei pressi di una scuola”. ◆ [O.D.M.]

spetta a Rfi, vale a dire all’azienda che gestisce la rete ferroviaria nazionale. Difficile pensare a una sorta di ripristino estetico dello status quo precedente in nome di un simbolo della città entrato nella memoria storica dei thienesi, ma c’è già chi propone un murales intelligente o comunque una mano di vernice a tono adatto che quantomeno ricordi i tipici “quarei” che lo avevano ribattezzato. ◆ [O.D.M.]



[12] ◆ Schio Attualità

In tempo di Covid aumentano i casi di violenza sulle donne Quello della violenza e dei soprusi sulle donne è un tema di sempre più drammatica attualità: a Schio e nei comuni dello Scledense il 2021 ha fatto registrare quasi il 50% di casi segnalati in più rispetto al 2020. Da gennaio sono state 232 le nuove segnalazioni.

I

Stefano Tomasoni

l caso più recente venuto alla luce è di appena un paio di settimane fa: una donna di mezz’età denuncia ai carabinieri che il compagno la picchia e spiega di essersi trovata di notte a sfuggirgli scendendo in strada, in pieno centro, e cercando riparo in qualche portone. “La donna, dopo aver ricevuto percosse dal convivente, che le sono costate alcuni denti rotti, un taglio profondo alla fronte e svariati ematomi, è corsa in strada tra via Pasini e via Pasubio in cerca di aiuto”, ha riferito la cronaca del Giornale di Vicenza. Il tema della violenza sulle donne, insomma, non smette mai purtroppo di essere di drammatica attualità. Da alcuni anni è al centro di una “giornata internazionale”, fissata al 25 novembre, un giorno in cui un po’ dappertutto questo bubbone sociale viene ricordato e condannato. Lo so è fatto il mese scorso anche a Schio e nell’Alto Vicentino. Ma 25 novembre a parte, poi c’è il resto dell’anno, quello in cui la questione rimane attuale non più per le cerimonie, gli articoli e i convegni, ma per il drammatico stillicidio di omicidi, violenze quotidiane più o meno nascoste, minacce. Fatti criminosi che spesso seguono a ripetute denunce da parte delle vittime e che in molti casi rimangono senza seguito, così da far parlare quasi sempre – ex post – di “tragedia annunciata”.

Nel 2021 il 50% di casi in più A guardare al bilancio di un anno di violenze e soprusi commessi contro le donne anche a Schio e nel territorio dei comuni vicini, si vede come la realtà, in questo secondo anno del tempo pandemico, sia stata decisamente più allarmante di quella dell’anno prima. Il 2021 ha fatto registrare quasi il 50% di casi segnalati in più rispetto

Per tanti casi che in un modo o nell’altro vengono alla luce, ce ne sono sicuramente ancora molti altri che continuano a rimanere nascosti, o latenti. al 2020. Per la precisione, il 47%. Da gennaio sono state 232 le nuove segnalazioni di violenze e soprusi nei confronti delle donne. Violenza fisica (presente nel 64% dei casi), psicologica (nell’89%), economica (nel 28%) e sessuale (nel 7% dei casi). Lo segnala il Centro antiviolenza Sportello Donna “Maria Grazia Cutuli” di Schio. E spesso sono casi che richiedono un intervento immediato, necessario per scongiurare possibili scenari peggiori. Un aumento così drastico di casi da un anno all’altro, si può probabilmente spiegare,

almeno in parte, con il periodo gramo che l’intera società sta vivendo al tempo del Covid: due anni di vita stravolta in tutte le famiglie, tensioni familiari crescenti magari derivanti anche da difficoltà occupazionali, lunghi mesi di “clausura” forzata che possono aver contribuito a esasperare situazioni e convivenze già critiche. Ma poi c’è da mettere in conto anche un motivo strettamente legato all’operatività degli uffici comunali che si occupano del fenomeno: “Il numero di segnalazioni in crescita crediamo sia correlato da un lato al lockdown del 2020 che ha bloccato inizialmente le richieste di aiuto, dall’altro alla sempre maggior competenza dei servizi territoriali nell’intercettare le situazioni attivando la rete antiviolenza”, si dicono convinte le operatrici dello Sportello Donna. E allora davvero non resta che sperare che si tratti di numeri destinati a rientrare già dall’anno prossimo. Il fatto è che qui una discesa delle statistiche non rende certo felici: anche un solo caso è troppo.

Quattro segnalazioni su dieci arrivano da terzi Ma c’è un altro dato che va registrato e approfondito: delle nuove segnalazioni di violenze e soprusi, il 43% avviene da parte di terzi. In altre parole: Pronto soccorso, forze dell’ordine, medici di base, servizi sociali. Un dato bifronte: se può incoraggia-


Schio ◆ [13] re il fatto che quasi 6 denunce su 10 arrivino dalle dirette interessate, rimangono quei 4 casi su 10 nei quali ancora la vittima non trova la forza di denunciare il proprio carnefice. Questo fa capire indirettamente che per tanti casi che in un modo o nell’altro vengono alla luce, ce ne sono sicuramente ancora molti altri che continuano a rimanere nascosti, o latenti. E si capisce, perciò, il lavoro che c’è ancora da fare per far emergere tutta intera la realtà del problema. Il lavoro dello Sportello intitolato a Maria Grazia Cutuli, dunque, (che quest’anno ha compiuto i vent’anni di vita) è quanto mai importante.Aiutano ancora una volta i dati a rendersene conto. Da gennaio a oggi il centro ha seguito 110 donne in percorsi di presa in carico (di cui 65 nuovi e 45 già attivati negli anni scorsi), allontanandole dall’ambiente violento e supportandole nella conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte. Su 110 sono 56 quelle residenti a Schio, mentre le altre vivono in comuni dell’area. L’età media è di quasi 42 anni (ma ci sono anche 10 ragazze con meno di 25 anni e una donna over 80) e per il 56% sono donne con cittadinanza italiana. 66 vivevano con il compagno. Tra loro ben 93, poi, sono madri con un totale di 179 figli coinvolti (112 minori presenti).

“Alcune di queste donne vengono accolte presso strutture di pronta accoglienza del territorio – spiegano allo Sportello Donna -, Altre trovano rifugio presso le proprie reti amicali o familiari, altre ancora rientrano nella propria abitazione ma necessitano al più presto di una valutazione del rischio approfondita e un aiuto per elaborare un piano di sicurezza per sé e per gli eventuali figli”. Nel 2021 sono state accolte in Casa Rifugio otto donne, di cui tre sole mentre le altre cinque erano accompagnate dai loro figli minori, per un totale di dieci bambini e ragazzi. Delle otto accolte, due sono italiane e le altre provenienti da Vietnam, Nigeria, Bangladesh, Romania, Cina. Di queste situazioni, tre sono ancora attualmente accolte in casa rifugio mentre le altre hanno proseguito in percorsi diversi: una donna è rientrata nella casa coniugale, un’altra si è trasferita in un’altra regione da parenti, tre sono state poi accolte in altre strutture considerate più idonee al loro percorso. “Dopo la chiusura di una relazione violenta – osservano allo Sportello - spesso la donna deve ricostruire la propria vita sociale e lavorativa, ricomporre la propria immagine di sé per ritrovare un senso di autostima, deve affrontare i danni che la violenza ha prodotto sul

Attualità

L’ingresso dello Sportello Donna del Comune, in via Pasini

proprio corpo e sulla propria psiche, sulle relazioni con gli altri, sulle relazioni con i propri figli”. Un lavoro spesso lungo e complicato. Che fa capire il carico di sofferenza e di dolore che si porta dietro ogni caso di violenza o di sopruso, e quanto rimanga vivo nel tempo. ◆

Pranzo di pace per mille poveri a Bujumbura

Padre Luigi Vitella, missionario in Burundi

C’è grande fermento tra gli organizzatori dell’iniziativa che si vivrà a Natale a Bujumbura, la piccola capitale del Burundi, un paese tra i più poveri al mondo: un pranzo per mille invitati speciali tra i più

poveri dei poveri, in programma appunto per il 25 dicembre. “L’iniziativa giunge al 5 anno – spiega Maurizio Doppio, presidente dell’Associazione “Il Burundi Chiama”, che ha sede a Santorso -. Mille persone di diverse etnie e religioni condividono una festa che, oltre a essere una possibilità per mangiare realmente, aspetto non scontato per chi soffre la fame, è occasione per stare insieme e stemperare quel clima di paura che pregna da anni questo piccolo paese martoriato da guerre civili”. A organizzare l’evento è Padre Luigi Vitella, missionario in Burundi da ormai 50 anni. Lui insieme al suo gruppo di collaboratori della Fondazione San Filippo Neri e quest’anno anche a otto volontari di “Il Burundi Chiama” che lo raggiungeranno dall’Italia, hanno deciso di condividere il Natale insieme a questi mille poveri tra i più poveri. A loro, che percorrono a piedi anche 30/40 km pur di partecipare al pranzo di Natale, da qualche anno viene offerto anche un sacco con 5 chili di riso, un dono prezioso da riportare a casa per le loro famiglie.

Tutto reso possibile grazie alla generosità di centinaia di persone che da Santorso e altre parti d’Italia offrono il loro contributo che, unito a quelli della Cooperativa Nuovi Orizzonti di Santorso, dell’Associazione Libri Contro Fucili e della Cassa rurale Alto Garda Rovereto, permettono l’organizzazione del pranzo e il dono dei 50 quintali di riso. Chi vuole unirsi all’iniziativa può farlo con un contributo a partire da 5 euro per i 5 kg di riso. Il progetto ha un costo di circa 17 mila euro, ma se arrivano offerte in più padre Vitella ha molte altre mani aperte che chiedono aiuto e sostegno, e tra quelle di oltre 3200 orfani di madre e di padre sostenuti anch’essi con adozioni a distanza. Ma poi ci sono anche la scuola di arti e mestieri, il Centro Agricolo con allevamento di conigli, galline e ancora mucche da latte per la produzione del formaggio, il doposcuola, la scuola materna, i Grest estivi. Per sostenere il pranzo si può offrire un contributo tramite bonifico bancario intestato all’Associazione Il Burundi Chiama, con causale “pranzo della pace 2021”.




[16] ◆ Schio Attualità

N

Foto Giulia Cecchetto

Camilla Mantella

eomamme e neopapà ai tempi del Covid, tra tamponi positivi e negativi, visite specialistiche private e controlli nelle strutture pubbliche. Genitori che si fanno sempre più domande, papà tenuti lontani dalle visite e dalle ecografie di routine durante la gravidanza, future mamme che si destreggiano tra corsi pre-parto online e forum su internet dove si racconta tutto e il contrario di tutto. E poi piccole realtà, come Mamasté, che nell’Altovicentino lavorano su un binario diverso, perché le donne siano consapevoli delle loro risorse, perché i bimbi vengano cresciuti da stimoli positivi, perché i papà siano protagonisti di legami familiari profondi e significativi. Elena Cecchetto, ostetrica laureata all’Università di Padova nel 2011, assieme alla sorella Giulia Cecchetto ha fondato Mamasté nel 2012. L’abbiamo contattata per farci raccontare di cosa si occupa e, dal suo osservatorio privilegiato, per farci illustrare come è possibile un nuovo approccio alla genitorialità sul nostro territorio. Di cosa si occupa Mamastè?

“Mamasté è nata dieci anni fa per accompagnare mamme e papà verso una genitorialità vissuta in modo più naturale e consapevole. La nostra realtà aiuta i genitori a sviluppare una coscienza che li porti ad accogliere al meglio i loro bambini: cerchiamo di togliere le paure legate al parto e al grande cambiamento della vita che è far spazio a una nuova creatura all’interno della famiglia, lavorando per eliminare i condizionamenti sociali che possono limitare un approccio fiducioso e aperto a quest’esperienza così grande. I servizi di Mamasté, rivolti tanto alla donna quanto alla coppia, puntano a valorizzare l’istinto femminile, per potenziarlo e per recuperare il potere millenario della donna di dare la vita. Offriamo corsi e percorsi per prepararsi alla nascita consapevole e naturale e per alimentare la fiducia nelle proprie capacità, così che i futuri genitori siano in grado di ascoltare il bambino fin dal grembo, accogliendolo nel modo più rispettoso e gentile possibile. Accanto a lezioni e consulenze focalizzate sull’accompagnamento alla nascita consapevole, prestiamo molta attenzione all’aspetto fisico dell’evento parto: organizziamo corsi di yoga in gravidanza e ci preoccupiamo affinché il corpo femminile sia pronto ed elastico per far spazio al bambino. Il no-

Diventare genitori con Mamastè Elena Cecchetto, ostetrica laureata all’Università di Padova, assieme alla sorella Giulia ha fondato Mamasté nel 2012. Una giovane realtà che promuove un approccio naturale e consapevole alla genitorialità e che dal suo osservatorio racconta come stanno cambiando i bisogni di neomamme e neopapà.

stro tempo, infatti, vede corpi sempre più tesi e contratti, stressati e abituati a una vita sedentaria, e ciò può rendere il parto più difficile. Mamasté sostiene dunque le donne e le coppie del territorio perché siano fiduciose e pronte – fisicamente, emotivamente e spiritualmente – a far spazio ai bambini, assecondandone i bisogni fin dal grembo e riappropriandosi della sacralità del mettere al mondo una nuova vita”.

“Accanto a lezioni e consulenze sull’accompagnamento alla nascita consapevole, prestiamo molta attenzione all’aspetto fisico dell’evento parto: organizziamo corsi di yoga in gravidanza e ci preoccupiamo affinché il corpo femminile sia pronto ed elastico per far spazio al bambino”.

Chi sono le future mamme del territorio che vi contattano? Quali le loro principali esigenze?

“Accompagniamo donne di età e provenienze diverse: buona parte di loro è in un cammino di consapevolezza di sé o ha comunque una sensibilità spiccata rispetto all’importanza del momento parto per sé e per i propri bambini. Non mancano poi mamme particolarmente ansiose, che faticano a orientarsi tra tutti gli input stressogeni che ricevono durante la gravidanza e che hanno quindi bisogno di lavorare sulla calma necessaria ad affrontare in modo più rilassato possibile la nascita di un figlio. In linea generale le donne che ci contattano desiderano prepararsi emotivamente e fisicamente al parto ed essere sicure di poter affrontare consapevolmente questo grande evento, a cui poi noi, coi nostri vari interventi di consulenza e formazione, cerchiamo di restituire quella dimensione sacrale che nel nostro tempo si è perduta”. Mamasté si occupa anche di parto in casa: quando se ne parla, spesso si sollevano discussioni “divisive”. Perché partorire in casa? Notate un aumento delle richieste di questo tipo?

“L’assistenza al parto in casa è uno dei nostri servizi. Partorire in casa solleva sempre


Schio ◆ [17] accesi dibattiti, anche perché porta con sé tutta una serie di pregiudizi e condizionamenti che lo rendono un’alternativa percepita come poco sicura. Nel parto in casa – che può essere affrontato solo da donne ben preparate con gravidanze completamente fisiologiche, senza fattori di rischio, guidate da ostetriche professioniste e abitanti a distanze ragionevoli dall’ospedale più vicino – la donna è assecondata in ogni sua scelta, è circondata da persone che conosce e di cui si fida a livello medico e umano e si sente protetta nell’intimità di uno spazio familiare. Partorire in casa significa rispettare i tempi dilatati di questo evento, accogliere con gentilezza il nascituro ed evitare la separazione tra mamma e figlio. È un’alternativa sicura al parto in ospedale, purché ricorrano le condizioni che abbiamo poco sopra indicato e in ogni caso le ostetriche presenti sono pronte a intervenire dal punto di vista medico e, se necessario, accompagnare i genitori nella struttura ospedaliera più vicina. È molto importante, infatti, che non passi il messaggio che il parto in ospedale sia qualcosa da superare: è fondamentale la presenza dei presidi ospedalieri, senza contare che ci sono mamme che scelgono un travaglio domestico e poi concludono il parto in ospedale. L’assistenza al parto di Mamasté, poi, comprende visite a domicilio pre e post parto da parte di due ostetriche, che si occupano del benessere della mamma e del bambino, per esempio avviando il corretto allattamento al seno. Partorire è un rito di passaggio, come si nasce può influenzare la nostra vita e noi riteniamo che le donne debbano poter essere libere di scegliere l’alternativa che sentono più vicina a loro senza preconcetti”. Il Covid ha inciso sulla scelta delle future mamme di non ricorrere all’ospedalizzazione?

“In realtà già prima della pandemia il numero dei parti in casa era aumentato, proprio perché ci sono sempre più donne che cercano percorsi più naturali e consapevoli. È certo, in ogni caso, che il Covid ha dato a molte coppie la possibilità di riflettere: le persone si sono fatte più domande e hanno cercato più risposte, anche rispetto a quello che desiderano per sé e per i propri bambini”. La gravidanza è spesso ipermedicalizzata in ogni sua fase: è auspicabile recuperare una dimensione di maggior “naturalità”? E cosa implica?

“La gravidanza è spesso vissuta come malattia, ma gravidanza e parto sono eventi naturali della vita di una donna. Il corpo femminile sa partorire così come sa concepire, digerire, respirare. Nella gravidanza la donna dovrebbe essere piena di vita e di

potere, ma la nostra società eccede nel controllo di questo stato e alimenta la paura delle mamme. Ovviamente la gravidanza va monitorata, ma spesso c’è un eccesso: falsi positivi, gravidanze vissute in piena ansia di controlli, bambini che si formano nel grembo percependo questi stimoli ansiogeni. Certamente è auspicabile un approccio più naturale e per favorirlo è necessario lavorare sulla fiducia in se stessa della donna e sul rafforzamento dell’ascolto e del legame madre-figlio e padre-figlio”.

Attualità

L’Altovicentino e il sostegno alle neomamme: ci sono abbastanza servizi? Cosa potrebbe essere migliorato?

“I servizi nell’Altovicentino sono sufficienti, ma potrebbero essere potenziati, soprattutto per quanto riguarda il momento del post parto e del rientro a casa. La maggior parte delle mamme partorisce in ospedale e non sa di poter chiedere un aiuto nella fase immediatamente successiva. La solitudine del dopo parto e la mancanza di una rete di sostegno sono un problema concreto, tra le principali cause di depressione per le neomamme e di difficoltà nell’allattamento al seno. Lavorando a contatto col territorio da dieci anni, in ogni caso, mi sono resa conto di quanti passi avanti siano stati fatti. Santorso ha un punto nascite davvero di valore, che in generale rispetta la naturalità del parto e accompagna adeguatamente le mamme: inoltre da anni, ormai, le donne in gravidanza seguite dalle strutture pubbliche hanno a disposizione delle ostetriche di riferimento – che sono andate a sostituire i ginecologi nell’accompagnamento – e ciò ha molto migliorato gli esiti dei parti naturali”.

Elena Cecchetto assiste una futura mamma

Il ruolo dei papà è abbastanza valorizzato e sostenuto rispetto a quella che è la vostra esperienza?

“In Mamasté il papà è sempre coinvolto, nelle visite, nei percorsi, nel momento della nascita: per noi è importantissimo. Nelle strutture pubbliche, da quando c’è il Covid, i papà purtroppo sono stati esclusi dalla partecipazione alla gravidanza delle compagne e soprattutto dall’assistere alle prime ecografie, momenti importanti per il processo psicologico che li porta a toccare con mano la loro nuova condizione. Sicuramente il ruolo dei papà, in linea generale, dovrebbe essere più sostenuto, potenziato e valorizzato durante tutta la gravidanza”. ◆

Lo Schiocco I bidoni e la pipì “Ma i nuovi bidoni del secco, a chi tocca tenerli puliti?”. Dopo la pubblicazione dell’intervista all’assessore Maculan nel numero di ottobre, dedicata alla novità del bidone unifamiliare per la raccolta dell’indifferenziato, un lettore ci aveva chiamati per osservare che mancava una domanda a quelle fatte all’assessore. Chi pulisce, appunto, i bidoni? Non c’è scampo, tocca agli utenti. Motivo in più per farne un uso corretto e attento, si dirà. Però mica sempre dipende da loro. Per esempio, parecchi bidoni che si incontrano per strada mostrano già i segni evidenti delle pisciatine che i cani rilasciano allegramente su di loro. Si sa,

i quattrozampe maschi a passeggio marcano il terreno venti volte in dieci minuti, prediligendo alberi, pali della luce e altri manufatti rotondeggianti o spigolosi. Pare che i nuovi bidoni del secco stiano incontrando il loro favore. E siccome pipì di cane chiama pipì di cane, non è escluso che un singolo bidone accumuli anche tre o quattro pisciatine nelle ore in cui resta esposto in strada. Cosicché dopo lo svuotamento finisce che si riporta in casa o in garage un bidoncino inzaccherato, e non propriamente a base di Chanel n.5. Insomma, con il nuovo bidone Ava si prende il secco e l’utente la seccatura. [S.T.]


[18] ◆ Thiene Attualità

U

Omar Dal Maso

na delle migliori terapie da adottare è il sorriso. Con duplice efficacia: sia per chi lo regala, sia per chi sa trarne beneficio riconoscendone tanto la forza che la bellezza. Sono quelli genuini offerti da altrettante donne residenti nell’Alto Vicentino, che in una fase delicata della loro vita condividono un duro percorso di cura da affrontare ma anche, in questo scorcio finale di 2021, la gioia di riscoprirsi fotomodelle per un giorno. O meglio, per un mese, e facendo squadra tra di loro per un anno intero, da protagoniste del calendario benefico che porta il titolo “Belle Oltre lo Specchio”. Un debutto assoluto per questo tipo di iniziativa, che già da mesi qualcuno aveva ideato e messo in… calendario. Rosy, Lucia, Silvia, Tiziana, Ylenia, Lorena, Nilde, Catalina, Laura, Linda, Sonia e Simona, ecco i nomi di chi appare nelle foto sfogliando i mesi. Per tutte loro, grazie all’impegno dei volontari dell’associazione Raggio di Sole Odv, già in “cassa” due domeniche – di divertimento - vissute insieme tra il 21 novembre e il 5 dicembre: quella di preparazione con trucco, acconciature, prova vestiti e scenografie del backstage, e poi quella di presentazione, con l’anteprima del calendario stampato in circa 300 copie. Inoltre, le 12 tavole raffiguranti le immagini scelte, costituiranno – questo è l’auspicio - i contenuti di una mostra itinerante nel Vicentino ospitata al debutto presso lo spazio espositivo al primo piano di Ottica Rizzato. “Belle oltre lo specchio”? “Perché si tratta di dodici donne speciali, dodici storie, dodici sorrisi, dodici ritratti per testimoniare la forza, il coraggio e l’amore per la vita. Dodici donne bellissime perché la loro è una bellezza che va oltre lo specchio”. Così l’associazione ha raccontato di loro, del progetto alla base e dell’evento di lancio, un tutt’uno che ha già raccolto approvazioni e prenotazioni, tanta da pensare già alla ristampa, ancor prima dello scoccare del 2022. Una proposta che le novelle guerriere del sorriso hanno accolto volentieri, mettendo da parte il comprensibile imbarazzo, “battuto” dalla voglia di mettersi in gioco. E di rendersi utili, abbinando la voglia di stare insieme, di guardare al domani, di diffondere un messaggio e, guai a scordarlo, di spronare chiunque s’imbatta in questi sorrisi a offrire un sostegno concreto. Il ricavato sarà impiegato per autofinanziare altre idee che l’associazione attiva da ormai

Il calendario del sorriso

A Thiene è stato realizzato un calendario davvero particolare, con protagonista...il sorriso. Ad accettare l’invito e mettersi in posa di fronte all’obiettivo sono alcune donne dell’Altovicentino che stanno affrontando un percorso di cura. Il ricavato della vendita andrà a sostenere l’associazione “Raggio di Sole”.

25 anni continua a sfornare. Fino al prossimo 8 gennaio la mostra sarà visitabile nel centro di Marano, in piazza Silva, poi altri esercizi “amici” potranno candidarsi per ospitare gli scatti ritratte dal fotografo-artista Jobin. “L’immagine corporea è importante, poiché costituisce il modo in cui pensiamo e sentiamo il nostro corpo e come crediamo che gli altri ci vedano – così si apre la presentazione -. Il cancro e i suoi trattamenti possono cambiarla in profondo, a volte temporaneamente altre in maniera permanente: la perdita di una parte del corpo, la caduta dei capelli, la presenza di cicatrici, l’aumento o la perdita di peso sono alcuni dei cambiamenti più comuni con cui

Ogni mese del calendario ritrae un volto di donna. “Dodici storie, dodici sorrisi, dodici ritratti per testimoniare la forza, il coraggio e l’amore per la vita”.

fare i conti. È normale sentirsi a disagio o infelici; provare ansia e voler tenere nascosto il cambiamento; provare una perdita di femminilità; non sentirsi più quello che si era una volta. È necessario del tempo per adattarsi ai cambiamenti del corpo. Ma occorre prenderne atto e costruire gradualmente una nuova immagine di sé: per questo è importante non sfuggire al confronto con il cambiamento”. Tanta euforia in particolare dopo il backstage, in cui in tutto una trentina di persone si è ritrovata per condividere un’avventura inedita. “È stata una giornata splendida - spiega con emozione Claudia Guido, portavoce del gruppo - ‘Belle Oltre lo Specchio’ è un dono speciale che vogliamo dedicare alle nostre associate che stanno affrontando il difficile percorso di cura. Una coccola per l’anima, un’attenzione delicata”. A collaborare ne l progetto l’estetista oncologica Antonella De Pretto insieme a “Coffee Look” di Sarcedo per l’abbigliamento e il make up. Per info e prenotazioni del calendario visitare il sito www.raggiodisole-onlus.it o i canali social collegati. ◆



[20] ◆ Schio Il personaggio Il nuovo viaggio di Lanzaretti ha una motivazione ambientale: “Voglio documentare gli effetti drammatici dei cambiamenti climatici e riportare la mia testimonianza a chi, erroneamente, li reputa problemi astratti e lontani.

«D

Elia Cucovaz

opo essere sopravvissuto quasi per miracolo al mio primo viaggio in Siberia, credevo che per niente al mondo sarei tornato a pedalare da quelle parti. E invece...». Invece il viaggiatore ed esploratore scledense Dino Lanzaretti si sta preparando proprio a tornare nel luogo più freddo del mondo, dove il termometro registra temperature oltre i sessanta sotto zero. Ci tornerà in sella alla sua immancabile bici e in compagnia di un altro esploratore ed atleta avvezzo alle imprese estreme: Stefano Gregoretti. Questa volta però a spingerlo non è tanto la sfida con sé stesso, né l’obiettivo di “riuscirci per primo”. Bensì uno scopo più profondo: «In cambio della nostra fatica e della nostra paura per questo viaggio nell’ignoto, vorremmo che chi ci seguirà non si voltasse più dall’altra parte rispetto ai danni irreversibili che stiamo creando al pianeta». La domanda sorge spontanea: perché di nuovo un viaggio al limite della sopravvivenza?

“Negli ultimi anni ho iniziato a capire di non voler pedalare solo per me stesso, ma di voler mettere i miei muscoli e il mio fiato anche al servizio di una causa più elevata. In questo momento sta accadendo qualcosa di drammatico: l’uomo, con i suoi comportamenti, sta stravolgendo l’ecosistema della Terra. Io vivo in una casa senza riscaldamento, per scaldarmi taglio la legna nel bosco, per mangiare ho il pollaio e l’orto, mi muovo in bicicletta: insomma cerco di avere un impatto minimo. Ma per i comportamenti irresponsabili di troppe persone il mondo che amo percorrere in lungo e in largo è in pericolo. Quindi con il mio prossimo viaggio voglio documentare gli effetti drammatici dei cambiamenti climatici e riportare la mia testimonianza a chi, erroneamente, li reputa problemi astratti e lontani”.

Dino Lanzaretti in sella alla bicicletta con la quale ha già affrontato un’impresa in Siberia, dove tornerà a breve con il compagno di viaggio Stefano Gregoretti. Sotto, un selfie... da brividi

“Torno a pedalare nel posto più freddo del mondo” Il viaggiatore ed esploratore scledense Dino Lanzaretti si sta preparando proprio a tornare nel luogo più freddo del mondo, la Siberia, dove il termometro registra temperature oltre i sessanta sotto zero. Ci tornerà in sella alla sua immancabile bici.

Sì, ma perché proprio la Siberia?

“Perché è uno dei posti del mondo in cui stiamo assistendo agli effetti più dirompenti dei mutamenti climatici. Nel luogo più freddo del pianeta, negli ultimi anni d’estate si stanno registrando temperature sempre più elevate. Questo causa non solo lo scioglimento del permafrost, che rilascia in atmosfera tonnellate di gas serra immagazzinati da millenni nel suolo ghiacciato, ma anche immensi incendi: solo l’anno scorso in Siberia sono andati in fumo più di 9 milioni di ettari di taiga. Emblematico è il caso della cittadina di Verkhoyansk, méta della prima parte del nostro viaggio: lì d’inverno si toccano i - 67°C e la scorsa estate il termometro ha raggiunto i 38°C, un’escursione termica di 105 gradi (da cui il nome alla spedizione: Siberia 105°)”. Prima parte? Quindi ce ne sarà anche una seconda?

“Sì. Il prossimo gennaio, restrizioni sanitarie permettendo, partiremo appunto per la prima tappa “invernale”: da Oymkon a

Verkhoyansk: due insediamenti che si contendono il titolo di luoghi più freddi del pianeta. Un percorso di 1.200 km che io e il mio compagno di viaggio Stefano Gregoretti percorreremo in bicicletta e in totale autonomia: il che significa che dormiremo in tenda e dovremo avere con noi tutto il cibo e l’equipaggiamento per sopravvivere una ventina di giorni con temperature che scenderanno a oltre sessanta sotto zero. La seconda tappa invece è prevista per la prossima estate: da Verkhoyansk percorreremo il fiume Yena per 750 km fino all’oceano Artico. Ed è proprio questa seconda, in realtà, la parte che mi intimorisce di più”. Per quale motivo?

“La prima parte sarà certamente durissima, ma grazie alla professionalità di Stefano, molto più esperto di me nell’organizzazione di spedizioni, nonché alla partnership con altri professionisti e aziende che stanno sostenendo il nostro progetto, saremo molto più pronti tecnicamente di quanto io non lo fossi cinque anni fa. Per la seconda parte, invece, innanzitutto dovrò scendere dalla mia amata bicicletta e salire a bordo di un SUP (una tavola galleggiante, su cui si sta in piedi remando con una pagaia). Inoltre dovremo affrontare un tratto di fiume praticamente sconosciuto, dato che la nostra sarà la prima navigazione nota del fiume Yena, attraverso foreste in cui gli esseri umani sono molti meno degli


Schio ◆ [21] orsi, con la prospettiva di trovarci davanti alle rapide o, ancor peggio, navigare tra gli incendi. Ben che ci vada saremo tormentati da nugoli di zanzare, che in quella regione, d’estate, sono abbondantissime”.

Da dove nasce la collaborazione con Stefano Gregoretti?

Ovviamente lo conoscevo di fama: un atleta ed esploratore di caratura mondiale. Ma nonostante questo, ho scoperto che il sabato mattina si metteva a disposizione gratuitamente per insegnare la corsa ai principianti. Così un giorno sono andato a conoscerlo. Mi ha affascinato il suo stile di allenamento e in qualche modo devo aver suscitato anche io il suo interesse, perché ci siamo avvicinati l’un l’altro quasi senza rendercene conto. Veniamo da strade molto diverse: lui è uno sportivo “serio”, io un viaggiatore “romantico”. Ma siamo animati dagli stessi principi di grande rispetto per la natura e abbiamo deciso di intraprendere un tratto di strada insieme per testimoniarli£. Come vi state preparando a questa avventura?

“In modo molto diverso da quanto avrei saputo fare io. Quando sono stato in Siberia la prima volta - anche se allora non me ne rendevo conto - mi ero praticamente affidato alla sorte. E la paura che ho provato ogni notte durante quel viaggio non la voglio provare mai più. D’altra parte avere uno scopo più grande rispetto alla semplice sfida con se stessi significa anche voler fare di tutto perché la spedizione riesca. E

questo parte dalla ricerca di informazioni, che per quei luoghi sono appunto scarse e frammentarie. In questo viaggio percorreremo strade molto più selvagge: non troveremo - come mi capitò allora - un camionista di passaggio che possa raccoglierci e consentirci di far asciugare il sacco a pelo”. Insomma: non lasciare nulla al caso…

“In questo ho tutto da imparare da Stefano. Allora per esempio non riuscivo quasi ad alimentarmi o a bere per la difficoltà di scongelare la neve e gli alimenti. Questa volta invece abbiamo studiato con l’aiuto di esperti un menù ipercalorico da 5 mila kcal al giorno, composto da cibi super grassi che ci permetteranno di sostenere tappe da 50-60 km al giorno. In più sto facendo anche un allenamento specifico per respirare solo con il naso e quindi non disperdere idratazione e calore e per contenere al minimo la traspirazione, così da evitare che il sudore mi si congeli addosso come era accaduto allora. Inoltre avremo dotazioni tecniche che ci permetteranno di disperdere meno energie”. Tecnologiche, ma a basso impatto ambientale, giusto?

“Naturalmente sì, vista la natura della nostra spedizione. Ad esempio per scaldarci in tenda, grazie a una piccola stufa in titanio, potremo usare la legna che troveremo sul posto invece di combustibili fossili. Indosseremo indumenti termici con all’interno piumino d’oca non strappato,

La “colpa” di Castello: divertire con i ricordi Il prolifico scrittore scledense Mariano Castello torna in libreria con il suo ultimo lavoro, “Mea maxima culpa”.

È

stato pubblicato il nuovo lavoro di Mariano Castello, “Mea maxima culpa”, stampato da Editrice Veneta. Castello, scledense doc, ha all’attivo ben quattordici pubblicazioni, da quel lontano “Il seme dell’avvenire”, datato 1981, che lo ha fatto conoscere ben al di fuori dai confini cittadini, con l’uso di una lingua a metà strada fra il dialetto scledense e l’italiano. La sua inesauribile e realistica fantasia, sia concesso l’ossimoro, colloca personaggi e fatti in un periodo ben definito del secolo scorso, dagli anni ’50 ai ’60. Un mondo diverso e più difficile – dice bene l’autore

Il personaggio

in prefazione – soprattutto per i bambini, soggetti quasi sempre allo strapotere degli adulti: l’autorità dei genitori, dei maestri, dei preti, non veniva mai messa in discussione e non si stava lì a sindacare sulle punizioni corporali. “Quando la mia generazione era bambina era colpevole anche di quello che non aveva fatto (…), si credeva nei dogmi e nella funzione salvifica e terapeutica della bacchetta”. Ecco spiegato dallo stesso scrittore il titolo del libro, quel “Mea maxima culpa” del confiteor, una specie di atto di dolore, che una volta si recitava in latino battendosi il petto. Per chi legge, però,

ma raccolto da terra per evitare sofferenze inutili agli animali. Oggi ci sono tantissime aziende impegnate a diminuire la loro impronta ecologica e abbiamo trovato diversi produttori di equipaggiamento che hanno voluto supportarci per testare i loro prodotti o svilupparne di nuovi. Sapere che oggi sempre più brand sono sensibili agli scopi del nostro viaggio e consapevoli che la transizione ecologica è l’unica che può ripagare nel lungo termine, ci fa ben sperare nel fatto che le generazioni future potranno vivere in un mondo non dico migliore, ma almeno non irrimediabilmente alterato. Ma per questo serve un cambiamento di abitudini da parte di tutti e noi speriamo di contribuire, con la nostra testimonianza, a far sì che ciò accada”. ◆ c’è tanto da ridere di certi bigottismi e la “culpa” si trasforma in “delectatio”. La trentina di capitoletti è suddivisa in cinque parti: nelle prime tre a dominare sono la figura paterna, il maestro e la scuola, la religione con i suoi misteri; nelle ultime due sono raccontati episodi inerenti all’avvento della televisione, al lavoro, alle vacanze, agli innamoramenti, a tirchierie e manie. Riderete, come abbiamo fatto noi, di tutto e per tutto, ma le prime tre parti sono indubbiamente riuscite alla grande: è lì che il padre bonario e simpatico, il maestro autoritario, addirittura la Trinità prendono forma e vita e si vede proprio il Mariano-bòcia che cerca di capire persone, fatti e misteri. Le sue considerazioni, come sempre, sono esilaranti e mai scontate, come quelle che mette in bocca al papà, che aveva tentato di farsi spiegare da un prete, dopo le tante insistenze del figlio curioso, il mistero della Trinità: “Mah, cossa vuto savere! Go paura che gnanca el prete el sappia. Poldarse che el sia un mistero anca questo e alora sèmo senpre nel paltan: bisognarà spetare de avere la fortuna de morire. Eh va ben, spetaremo tuto el tempo che ghe vole, nialtri no gavemo mia pressa”. Appunto… ◆ [M.D.Z.]


[22] ◆ Schio Attualità

S

Mirella Dal Zotto

e avete un occhio attento e curioso vi sarà capitato di osservare un’ampia vetrina allestita “artisticamente” di fianco alla chiesa di S. Antonio e all’ex monastero delle Agostiniane. Se poi avete qualche anno alle spalle, vi ricorderete che in quella vetrina anni fa c’era ben altro, cioè la Ferramenta Pretto. E allora come mai adesso in vetrina ci sono quadri, sculture, libri, vasi, articoli, gadget “storici” di vario tipo? “Ho ereditato da papà Guido la passione per le cose belle e per l’arte in particolare, oltre alla dedizione per il lavoro – ci dice Giovanni Battista Pretto, proprietario dei locali -. Sono il secondogenito di una numerosa famiglia, molto unita: eravamo sei fratelli, due maschi e quattro femmine; il più giovane, Raffaello, purtroppo è venuto a mancare”. Gianni Pretto, così è conosciuto dai più, è un aitante ottantenne che ci riceve nell’appartamento di famiglia soprastante al negozio: quadri, libri e sculture sono ovunque ci sia dello spazio libero. Per ognuno è in grado di raccontare qualcosa, e quel qualcosa è molto particolare se si ha di fronte pezzi di valore, custoditi gelosamente tra casa e bottega, nella piena coscienza che siano al sicuro, dietro i vetri blindati dell’ex negozio che dopo la chiusura ha anche ospitato una banca, e con le “autentiche” conservate dove si conviene. “Scusi, ma i Dalì, i Picasso, i Monet… esposti in vetrina sono autentici?” chiediamo con incredulità malcelata. “Certo che sì - risponde tranquillamente Pretto -, li ho collezionati nel corso degli anni cercandoli

Giovanni Battista Pretto. Sopra, le opere esposte nei locali dell’ex ferramenta in via Pasini

“Vorrei donare i miei libri d’arte per allestire una biblioteca” Da anni i locali dell’ex ferramenta Pretto mostrano in vetrina una eclettica esposizione di quadri, sculture, libri, vasi, foto. È un’iniziativa del proprietario Gianni Pretto, che adesso lancia una proposta: “Ho tanti libri d’arte con cui si potrebbe realizzare una collezione. Magari all’ex Monastero delle Agostiniane, dove qualche sala potrebbe essere riempita dei miei volumi, che ovviamente regalerei”. in ogni dove e mostrandoli a critici e mercanti d’arte molto quotati e di grande professionalità”. Non osiamo chiedere se sia così anche per i Bonard, Mirò, Pollock, Vedova, Braque, Burri… anche perché il Pretto, se s’inquieta, pare difficile da arginare. Così ci fidiamo, dal basso della nostra parziale incompetenza; del resto, di firme autografe e certificati di autenticità ce ne ha mostrati parecchi. “Possiedo una collezione di prima grandezza - continua – e ho pure un notevole numero di volumi pregiati di storia dell’arte; non vorrei che un domani andassero danneggiati o persi”. Quando gli chiediamo perché ha questo dubbio, risponde che non può più tenerli tutti e vorrebbe donarli per l’allestimento di una biblioteca, che potrebbe servire ai ragazzi degli istituti superiori e a tutti gli appassionati d’arte di Schio e del territorio. “Nel corso degli anni ho frequentato la Querini Stampalia a Venezia, molto ben fornita per quel che concerne l’arte. Ho tanti libri da realizzare una collezione anche qui in città: Schio non è Venezia, ma si può fare. Magari qui davanti: so che l’ex Monastero delle Agostiniane è ora di proprietà privata; qualche sala sarebbe l’ideale per essere riempita dei miei volumi, che ovviamente regalerei. L’edificio si adatterebbe perfettamente; è una mia idea, ma la sto proponendo e spero di essere ascoltato, per il prestigio della città”. Per tornare a ciò che si vede in vetrina,

chiediamo a Pretto come mai accanto a quadri, sculture, vasi in vetro di Murano esponga anche gadget come la mascotte dei giochi olimpici del ’72... ”Perché sono andato a vederla, l’Olimpiade in cui c’è stato l’attentato agli atleti israeliani. Quella mascotte per me ha un grande valore, per cui la sistemo vicino a pezzi il cui pregio è indubbio. Io colleziono tutto ciò che per me è bello, al di là del filo logico che magari vuol trovare chi osserva. La mia è una collezione del tutto personale, che però metto a disposizione in vetrina senza far pagare alcunché”. Sarà però appassionato di un pittore o di uno scultore in particolare. “Direi di Van Gogh, che ho studiato per anni – risponde -. Recentemente ho scoperto un suo disegno, e di questa scoperta ho scritto ed è stato scritto: ad Anversa, Van Gogh soggiornò parecchio in campagna, disegnando dal vero la cosiddetta ‘Serie dei contadini’; fra questi, una spigolatrice su cartoncino bianco che riporta sul retro la pubblicità di un’organizzazione turistica inglese; il disegno era nascosto da un cartoncino marrone poco spesso, ed è autentico”. Congedandoci, ci fa sapere soddisfatto che il Comune ha acquistato una sua collezione di quadri firmati dallo scledense Dino Lanaro, che dovrebbe essere permanentemente esposta a Palazzo Fogazzaro. Ci auguriamo che oltre ai Lanaro anche il resto, domani, trovi una collocazione adeguata: potrebbe attirare a Schio molti appassionati. ◆



[24] ◆ Thiene Attualità

U

Un’immagine aerea dell’area della Cittadella dello Sport. In basso, l’assessore allo sport di Thiene Giampi Michelusi.

Omar Dal Maso

na vera e propria cittadella polivalente dello sport thienese potrà finalmente dare il lustro che merita alla città. Se i tempi del primo scavo dopo il “nero su bianco” risalgono al 2007, addirittura già nei primi anni ‘90 la “Cittadella dello sport” si trovava all’ordine del giorno dell’agenda politica thienese. Ora, agli sgoccioli di questo 2021, il L.R. Vicenza di fatto è stato chiamato a “far da padrino” al battesimo del grande centro sportivo al parco sud, in un Alto Vicentino da sempre fervente bacino di tifosi del “Lane”. Quasi una quindicina di anni fa, la “prima pietra” simbolica inaugurò un tortuoso percorso di lavori, stalli e riprese, fino allo sblocco definitivo che ha permesso (quasi) di concludere la maxiopera nell’area sud di Thiene lo scorso agosto e consegnare parte dell’impianto all’utilizzo associativo. In particolare agli atleti del rugby, che qui si allenano da un paio di mesi, e in previsione agli appassionati dell’atletica leggera. Oltre al calcio, ovviamente, senza dimenticare l’area destinata ai grandi eventi, pensata per ospitare oltre 5 mila spettatori. Con il gradimento, inoltre, dei residenti più prossimi di via dei Quartieri e laterali, fino alla zona lambita dalla Superstrada Pedemontana e dalla provinciale Nuova Gasparona,

La cittadella dello sport da cantiere a “cantera” Al termine della scorsa estate i rugbysti sono stati i primi a utilizzare parte dell’impianto. E di recente test anche con i “Pro” di serie B del Vicenza, in vista dell’accordo per il futuro prossimo.

visto che si è riusciti finalmente a rimediare a un luogo rimasto per anni cantiere aperto e diventato “calamita” per sbandati e degrado. Un ritardo (almeno) decennale determinato da più problematiche che si sono messe di traverso, considerato che tra fine 2007 e inizio 2008 si ricordano i primi scavi di cantiere. Poi una serie di “rimpalli”, qualche autogol, il ricorso ai tempi supplementari e un ridimensionamento parziale delle ambizioni – una sorta di “obiettivo salvezza” che calza con l’attualità dei biancorossi di Brocchi in questa stagione - frutto di mediazione e oculatezza rispetto al progetto originario. Da ricordare che ai tempi il Thiene calcio navigava tra i semiprofessionisti e la serie C, con progetto originario che prevedeva una torre direzionale e commerciale e uno stadio più capiente da “pro”, rispetto ai 2 mila posti a sedere attuali. Una revisione che di fatto ne ha permesso la realizzazione, per una stima di costi finali sui 6 milioni di euro spalmati tra due millenni. Mancano ancora solo alcuni step formali per chiudere il cerchio, con i collaudi de-

finitivi di parte di singole strutture, prima di rendere la cittadella dello sport thienese operativa al 100%. Nel frattempo, a fine novembre, si è svolta una sorta di inaugurazione ufficiale – con tanto di santa benedizione di don Federico Fabris, gran tifoso – si è svolta proprio sotto gli occhi delle autorità cittadine e dei calciatori. È stata la squadra del L.R. Vicenza, il “Lane” biancorosso di serie B, la prima a testare i campi di gioco, le strutture accessorie e il panorama intorno con “vista Summano”. A presenziare all’accoglienza ufficiale, il sindaco Giovanni Casarotto insieme all’assessore allo Sport Giampi Michelusi, con la società biancorossa rappresentata dal direttore generale Paolo Bedin, dal nuovo direttore sportivo Balzaretti, dal tecnico Christian Brocchi e dal capitano Stefano Giacomelli, che hanno portato con sé il fascino della storica maglia che indossano ed entusiasmo alla prospettiva di poter un domani, più vicino che lontano, ospitare sedute di allenamento in pianta stabile e partite amichevoli con formazioni dilettantistiche venete proprio in Altovi-


Thiene ◆ [25] Attualità

I giocatori del Vicenza in allenamento nelle strutture sportive thienesi

centino. Oltre ad accogliere – sembra ormai certo – la squadra della Primavera biancorossa. Da ricordare che di recente il club professionistico legato alla famiglia Rosso, con Renzo e Stefano rispettivamente patron e presidente, ha inaugurato una sede di proprietà a Fellette di Romano d’Ezzelino – lo Sporting Center 55 - che costituisce il primo punto di riferimento per i biancorossi. Quello di Thiene, quindi, verrà preso in mano come secondo centro sportivo che

entrerà in gestione diretta del quartier generale del club berico, una volta completate le ultime procedure e rifiniture. È tempo dunque di considerare il Parco Sud una potenziale “cantèra”, una fucina in cui far crescere giovani interpreti di più discipline sportive, non solo il calcio, affiancando la vicinanza della “locomotiva” costituita dal Vicenza di serie B, con il vivaio biancorosso annesso. “È una grande soddisfazione avere final-

Scarpe rosse allo stadio Nei giorni seguenti alla giornata internazionale di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne la società calcistica locale ha voluto fare la sua parte in occasione del derby “di vicinato”.

P

er una domenica lo stadio “Miotto” di Thiene ha privilegiato il colore rosso rispetto al nero, che uniti insieme da oltre un secolo ormai rappresentano l’epidermide sportiva di uno dei club di calcio più antichi della provincia. Un’iniziativa pensata per andare ben oltre al semplice omaggio alle donne e voluta dal presidente Menaldo come partecipazione simbolica del no alla violenza di genere. Simboli visibili, in questo caso, visto che gli spettatori non appena varcato l’ingresso dell’impianto cittadino di via Monte Grappa si sono trovati di fronte una panchina verniciata di rosso con sopra due calzature della stessa cromia. Altre di simili, poi, erano state sparse sulle

gradinate. Scarpe ginniche ma anche con il tacco, piccole “macchie” rosse in un luogo dedicato a chi con i piedi rincorre un pallone, a ricordare a tutti i presenti la vergogna ingiustificabile della prevaricazione maschile che, purtroppo, insidia tante moglie, fidanzate, madri e ragazze in genere in Italia e nel mondo. Vittime di mentalità retrograde e di eccessi di violenza che quotidianamente vengono denunciati dai media, senza che altrettanto avvenga alle forze dell’ordine ora dotate di strumenti di protezione più incisivi rispetto al passato con l’introduzione del “Codice Rosso”. Ed è così che il presidente del nuovo corso del Thiene, Claudio Menaldo, ha diffuso l’invito attraverso giocatori e dirigenti di

mente aperto il Parco Sud alle discipline del calcio e del rugby – dice l’assessore Gianpi Michelusi, che un anno fa in municipio aveva preannunciato la fine dello stallo dei lavori -. Un buon inizio che ha richiesto uno sforzo immane. Stiamo lavorando per rendere usufruibili anche i due campi da calcetto in erba sintetica, i vialetti e i percorsi pedonali, e l’arena spettacoli che dovrebbe ospitare circa 5.500 persone, consegnando alla città una location adatta ad accogliere manifestazioni e concerti. Si sta lavorando anche al rifacimento della pista di atletica che, dopo decenni di inutilizzo, non è più praticabile. Una grande opera che questa amministrazione ha saputo gestire, dopo decenni di abbandono totale che avevano trasformato l’area in una superficie degradata e fatiscente”. Bando di gara alla mano, al club Vicenza andrà la gestione del campo principale e del secondo terreno in sintetico, più l’edificio che ospita spogliatoio e sala fitness. Ad associazioni della zona la parte restante, con i campi da futsal all’aperto. Per i dettagli bisognerà attendere la prossima primavera – si parla di accordo biennale rinnovabile - al termine delle rifiniture e dei collaudi previsti dalle normative che riguardano l’intero parco sportivo. ◆

portare alla partita scarpe in disuso, originali nel colore rosso o da dipingere per la domenica speciale, per abbracciare il messaggio che porta la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, celebrata lo scorso 25 novembre. Ed estrarre un cartellino rosso nei confronti di chi, ancora oggi nel terzo millennio, continua a mettere in atti violazioni dei diritti umani fondamentali e restare impunito. ◆ [O.D.M.]

Così allo stadio “Miotto” è stata ricordata la giornata internazionale contro la violenza alle donne


[26] ◆ Schio Spettacoli

Paolini sa ancora superare se stesso Con “Sani!”, un Paolini nostalgico e innovativo è tornato all’Astra con uno dei suoi lavori migliori, che inizia dall’epico incontro-scontro con Carmelo Bene e va fino alla ripartenza dopo la pandemia.

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Mirella Dal Zotto

a inaugurato Schio Grande Teatro, per poi proporsi al Piccolo di Milano: Marco Paolini, con “Sani! Teatro fra parentesi”, dona quest’anno al suo pubblico una ballata autobiografica tra nostalgia e speranza. Storie vecchie e nuove sono cucite insieme e le musiche originali, composte ed eseguite da Saba Anglana (splendida e ancestrale voce) e Lorenzo Monguzzi (chitarra), sono parte integrante dello spettacolo, lo permeano dall’inizio alla fine. In scena, sullo sfondo, un enorme castello di carte che non cade, resiste nella sua fragilità, solo con qualche asso a terra.

A Schio Paolini gioca in casa ed è stato presente in più stagioni, ma chi lo apprezza non se l’è fatto scappare nemmeno stavolta; l’Astra, gremito dai tanti che a teatro vogliono finalmente tornare in presenza, ha ospitato uno dei suoi lavori migliori, che inizia dall’epico incontro-scontro con Carmelo Bene e va fino alla ripartenza dopo la pandemia, con un augurio, quel “Sani!” del titolo, che è espressione di saluto augurale ai piedi delle Alpi, nella valle del Piave. Paolini passa dal terremoto del Friuli all’incontro tra Reagan e Gorbaciov; dal crollo del muro di Berlino al dramma dei migranti; dall’ecologia all’“andrà tutto bene” scritto nelle lenzuola appese. “Sani!”, come quasi sempre accade con l’attore bellunese, è un work in progress nato di corsa nell’estate del 2020 davanti a pochi spettatori per volta, distanziati; nel 2021 è stato ripreso con un intreccio completamente nuovo di testi, racconti e canzoni, per più spettatori

possibili a cui donare un sorriso, una pausa di riflessione, una speranza. Nel “Teatro fra parentesi” si sente il senso di provvisorietà in cui viviamo oggi, ma in sala era palpabile anche la fiducia in tempi migliori; compito del teatro civile di cui Paolini è uno dei portavoce, del resto, è captare gli umori e le sensazioni della gente, trasferendoli sul palco, per raccontarli e magari suggerire vie d’uscita a problemi che angustiano. Splendida, a nostro avviso, la citazione finale sulla Sagrada Famiglia di Barcellona, non ancora finita a quasi cent’anni dall’inizio della sua costruzione: pure noi dei Paesi occidentali ricchi dobbiamo iniziare anche da soli il lavoro immane di ripulire il mondo, senza aspettare i Paesi poveri che magari ci seguiranno in un secondo tempo. Ecco, l’importante è iniziare, l’importante è sperare con concretezza: si fa a teatro, si può fare nella vita. Molti e meritati gli applausi finali, quasi liberatori; Paolini commosso, e non solo lui. ◆

È tornato il Balasso prima maniera C’era gran voglia del Balasso prima maniera, quello della risata grassa mescolata alla battuta sottile. C’è voluta una pandemia per restituirci il Natalino doc.

“B

alasso fa Ruzante (amori disperati in tempo di guerra)” ha debuttato a fine novembre a Bolzano, ma è subito approdato all’Astra di Schio perché con la città l’attore e autore rodigino ha un forte legame: ha interpretato qui molti dei suoi spettacoli e ha scelto Schio come residenza artistica per “Toni Sartana e le streghe di Bagdad”. Gli ultimi lavori però, pur godibili come sempre, ci erano parsi piuttosto prolissi e fin troppo sbacchettanti, nel senso che Balasso, prendendosela da bravo comico con tutti, a volte perdeva il filo conduttore e partiva per la sua tangente: non che al pubblico dispiacesse, però le troppe prediche stufano e tra i fans c’era gran voglia del Balasso prima maniera, quello della ri-

sata grassa mescolata alla battuta sottile. C’è voluta una pandemia per restituirci il Natalino doc. Sapevamo anche della sua intenzione di omaggiare Angelo Beolco, detto il Ruzante: era un’idea che covava da tempo e ce l’aveva anticipata un paio d’anni fa nel corso di un’intervista. E così, dopo una profonda ricerca linguistica, ha scelto due bravi attori (Andrea Collavino e Marta Cortellazzo Wiel) che condividessero con lui la scena e si è affidato alla direzione di Marta Dalla Via che, giustamente, ha affermato che non è Balasso a far Ruzante, ma Ruzante a far Balasso, tanto per sottolineare la simbiosi. Del resto anche noi Angelo Beolco l’abbiamo sempre immaginato bassotto e tarchiato, impulsivo e riflessivo, gioioso e disperato, rassegnato e combattivo: come

Balasso, insomma, che in questo lavoro è tornato prima di tutto a divertire se stesso e di conseguenza a divertire molto chi gli sta davanti; poco importa se alla fine la musica disco altro non fa se non mettere più in disordine un finale mica tanto chiaro… Balasso fa alzare tutti e tutti si muovono a ritmo. Numerosi sono stati gli applausi da parte del folto pubblico che gremiva la sala: reciproco, di spettatori e attori, il desiderio di evadere e di tornare alla normalità. ◆ [M.D.Z.]



[28] ◆ Schio

Foto Luigi De Frenza

Spettacoli

C

Mirella Dal Zotto

ome sta accadendo in molti altri cantieri in tutta Italia, anche il terzo lotto dei lavori di restauro del Teatro Civico sta risentendo della difficoltà di reperire materiali edili. La problematica ha portato a prorogare la data prevista di conclusione dell’intervento per il recupero della completa funzionalità del teatro, che permetterà di arrivare ai fatidici 488 posti. Dunque, si è partiti a febbraio di quest’anno per finire entro fine anno, ma bisognerà pazientare ancora. “Si tratta di una situazione generalizzata che riguarda un gran numero di cantieri nel nostro Paese e il settore pubblico vive le stesse problematiche delle aziende private - precisa il sindaco Valter Orsi -. Proprio per questo l’amministrazione ha approvato una variazione di bilancio per le opere di completamento, per un importo di 70 mila euro». E adesso, che si fa con quella parte di stagione teatrale già programmata nel teatro storico? “Grazie alla disponibilità di due strutture - precisano il presidente della Fondazione Silvio Genito e il direttore artistico Federico Corona – abbiamo inevitabilmente spostato la programmazione al Teatro Astra, rispettando gli impegni presi con le compagnie teatrali e con gli spettatori; i laboratori invece si terranno in Sala Calendoli e solo il Concerto di Capodanno,

Civico, si prega di attendere Come sta avvenendo un po’ ovunque per le difficoltà generalizzate di reperire materiali edili e materie prime, anche i lavori per il rerstauro finale del Civico hanno subìto un rallentamento e la riapertura del teatro è slittata di qualche mese. E intanto il “Concerto di Capodanno” è rinviato e diventerà più avanti un “Concerto della Riapertura”.

strettamente legato al Teatro Civico, verrà riprogrammato tenendo conto delle nuove tempistiche del cantiere: lo chiameremo in altro modo, sarà una sorta di Concerto della Riapertura”. Ottimisticamente i lavori potrebbero concludersi tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Al momento più cose restano ancora da completare: l’impianto elettrico compreso di connettività dati, i serramenti del porticato d’ingresso, il parapetto del loggione pubblico e quelli laterali con una struttura tecnica per luci di scena, i corrimani delle gradinate del loggione, il parapetto delle scale per il pubblico, quelli del-

Tutto lo spirito del gospel Ecco qui l’Harlem Gospel Choir che a inizio dicembre ha fatto cantare e ballare il pubblico dell’Astra: Scoppiospettacoli lo ha voluto in città per un concerto prenatalizio gioioso e coinvolgente. Con oltre trent’anni di prestigiosa carriera alle spalle, il gruppo, accompagnato anche da un tastierista e da un batterista, ha proposto nella prima parte della serata testi più e meno noti della tradizione evangelica, mentre ha dedicato la seconda parte a brani pop più famosi, fra cui gli immancabili “Jingle Bell Rock” e “Happy Day”. E se all’inizio il pubblico è parso un po’ freddino, quasi intimidito sotto le mascherine rigorosamente indossate e controllate, poi si è fatto coinvolgere dagli opulenti corpi ondeggianti che incitavano a battere le mani a ritmo, ad alzarsi dalla poltroncina, a ballare.

Una bella serata, che magari meritava un presentatore che spiegasse i vari brani; voci calde e profonde si sono alternate ad altre acute ed energiche, che hanno saputo trasmettere lo spirito della musica afroamericana. [M.D.Z.]

le rampe disabili per il bar e per l’ingresso teatro/uffici, il parquet dell’area di collegamento con la Sala Calendoli, la piattaforma elevatrice per il palcoscenico, le poltroncine in galleria e nel loggione, le sedie e gli sgabelli nei palchetti di second’ordine, le tinteggiature. Qui non ci resta che ricordare che anche gli appuntamenti di “Vieni a Teatro con mamma e papà” saranno spostati all’Astra a partire dal 30 gennaio. “Tutti giù dal muro”, uno spettacolo per bambini ribelli proposto da Stivalaccio Teatro, inaugurerà la rassegna; seguirà, il 13 febbraio, “Rosaspina, storia di un bacio”, rivisitazione della fiaba classica a cura di Ullallà Teatro; il 27 febbraio ci sarà Claudio Milani in “Lulù”, avventure tra lucciole e boschi; due gli appuntamenti di marzo: il 13 con “In viaggio con il Piccolo Principe” della Fondazione TRG e il 27 con “Jack e il fagiolo magico” della compagnia “La luna nel letto”. Tutti gli spettacoli sono stati programmati di domenica, alle 17. Che dire? Il Civico ha una storia infinita, è un work in progress a cui gli scledensi sono abituati e ne agognano la fine, che magari coinciderà con quella della pandemia. Speriamo non ci siano più varianti, né per l’uno né per l’altra, e intanto guardiamo con rispetto a quel Teatro Astra sempre in serie B, che arriva in A solo in caso di bisogno, con tutte le sue criticità. Già avevamo scritto, a suo tempo, un articolo-appello intitolato “Salvate il Soldato Astra”. Lo ripetiamo, convinti che con i suoi oltre ottocento posti a sedere l’Astra, secondo in provincia per capienza, vada curato e ben tenuto da conto. ◆



[30] ◆ Thiene Cultura

V

Vittorio Tonini nel suo studio. Sotto, due delle foto storiche che sono entrate nel documentario sulla Marano “di una volta”

Omar Dal Maso

ittorio Tonini, maranese doc di 68 anni, è oggi più che mai memoria storica del paese altovicentino. Un collezionista che, spulciando tra le foto del passato e padroneggiando le moderne tecnologie grafiche, ha presentato un documentario originale che racchiude un secolo di storia e cultura locale: un’ampia rassegna che regala allo spettatore pennellate sparse della Marano che fu, dei suoi simboli, e della sua gente. Tutto nasce da una propensione innata per andare oltre il “pelo d’acqua”, immergendosi nelle storie e nel contesto di una qualsiasi foto d’epoca con un link al territorio dove Tonini, oggi pensionato e “pluri” nonno, vive da sempre. Un intreccio di passioni impastate l’una con l’altra gli ha permesso di illustrare un’opera inedita ai suoi concittadini in due serate a dicembre, dopo aver raccolto oltre 3 mila immagini. Una “spinta” che trae origine oltre 60 anni fa. “Sono rimasto subito orfano di madre, figura che ho conosciuto soprattutto guardando le poche foto ingiallite che la ritraevano quando avevo 6-7 anni – ricorda Vittorio -. Dalle foto ho immaginato il suo modo di sorridere, di comportarsi e il contesto in cui viveva. In quei tempi ho imparato ad amare la fotografia”. Dal volto della madre fissato sulla carta fotografica l’interesse si è espanso a 360 gradi, verso tutto ciò che stuzzicava la curiosità e la sete di conoscenza del ricercatore locale. Si tratta di immagini trovate ovunque tra originali e copie, ricavate da negativi e spulciate tra mercatini e soffitte. Ritraggono vie e strade, edifici come il Lanificio Sartori o la “Casa Rossa” e le “Filande”, le fattorie antiche come la “Corte dei Caretei”, campanili, monumenti e ville private di Marano di cui spesso rimane solo un ricordo offuscato, memoria degli anziani del paese. Poi il paziente lavoro di digitalizzazione e catalogazione e, di recente, il video, con la cittadina protagonista e insie-

Marano che fu Vittorio Tonini, maranese doc di 68 anni, si è impegnato per anni in una raccolta di foto d’epoca, collezionandone 3 mila, arrivando ora a proporre un documentario che utilizza il linguaggio del cinema. “Una testimonianza per i maranesi del domani”. me sfondo e cornice. Un “tesoro storico” da tramandare. “Tra i miei amici c’è chi si dedica alle bocce e chi a giocare a carte, io ho preferito portare a termine questo lavoro – confida -. Mi ha spinto il desiderio di andare a fondo, perché volevo sorprendermi sempre di più nel ricostruire gli aspetti della vita a Marano tra l’800 e il ‘900 e in tempo di guerra, e poi dalla convinzione che era giusto lasciare delle testimonianze a disposizione di tutti in futuro, dopo aver chiesto alle mie due figlie Monica e Stefania se volessero conoscere queste storie dei nostri luoghi in altri tempi. Mi hanno consigliato di scrivere, di raccontarle. È grazie alla mia curiosità e a loro se ho deciso di compiere questo lavoro”. Passione per la storia locale che s’intreccia con un’analoga “calamita” verso il cinema. Da quando una prozia portò in casa i filmini d’epoca con il mitico proiettore 8 millimetri a infondere la magia del cinema ai ragazzini di casa. “Da adulto ho pre-

so le prime telecamere mie, da 8mm a Super8, Vhs e poi sono passato al digitale e alla grafica. Ho messo tutto insieme, nella speranza che certe cose non finiscano nel dimenticatoio e magari possano essere utili ad esempio ai ragazzi delle scuole che potranno consultarle in futuro”. Ed ecco che ne esce un prodotto documentaristico “fai da te” che ha già raccolto plausi e consensi. E nostalgia tra i più “grandicelli”. A dare quel tocco di autorevolezza in più, poi, la voce narrante offerta da Dennis Dellai, giornalista e apprezzato regista che condivide con Tonini la duplice attrazione per il binomio storia/cinema. Oggi Vittorio si dice soddisfatto del lavoro, anche se ammette di conservare un fondo di rammarico. “Sì, è vero: mi sono pentito di non aver chiesto di più ai miei nonni e ai miei genitori. Me ne sono accorto tardi, ma come tutti i giovani non si ha mai tempo o voglia: avrei potuto saperne di più di com’era la vita ai loro tempi”. C’è un luogo del passato a cui si sente più legato dopo un’indagine partita dalle immagini “scovate” in paese? “Sono tanti in verità ma posso citare come esempi la Villa Beltrame, nel centro di Marano, o l’Albergo “Il Cavaliere” in via Santa Lucia che ai primi del Novecento si proponeva con una residenza di lusso per personalità di alto rango. Su entrambi e sulla loro storia si potrebbero scrivere un libro”. O, chi lo sa, un nuovo (doppio) documentario. ◆




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