“Ora aiutiamo il tessuto economico”
Intervista a tutto campo al sindaco di Schio Valter Orsi dopo due mesi e mezzo di emergenza coronavirus. “La ripresa sarà
Intervista a tutto campo al sindaco di Schio Valter Orsi dopo due mesi e mezzo di emergenza coronavirus. “La ripresa sarà
Sono trascorsi tre mesi e sembrano tre anni. Adesso che il lockdown è finito e il virus sembra meno preoccupante (ma sarà meglio non cantare vittoria trop po presto), stiamo tutti cercando di riap propriarci di quella vita normale e di quel la quotidianità che magari prima ci stava stretta e faceva sognare orizzonti lontani e vacanze esotiche. Ma quant’era bello il no ioso tran tran di sempre? Casa lavoro stu dio, casa lavoro studio... e poi naturalmente il giro in centro e l’aperitivo al bar, l’uscita al ristorante o in pizzeria, la spesa con la fa miglia, il calcio alla tv, la messa alla dome nica, la passeggiata in montagna, la serata al cinema o a teatro.
Tutto cancellato per un tempo dilatato che non finiva mai (e che in alcuni settori, sport e spettacolo per primi, non è ancora finito). E adesso ci si rende conto di come il tempo sia davvero relativo, perché tre mesi possono volare via in un soffio (quando a fine settembre arrivano le prime arie d’au tunno sembra sempre che l’estate sia sta
ta una meteora) o possono apparire eterni, come in questo caso. Chissà se ci portere mo dietro a lungo questa impressione di una nuova divisione epocale del tempo, in “avanti Covid” e “dopo Covid”.
Era cominciata come una cosa lontana, la solita malattia di fonte asiatica, con i ci nesi considerati untori da cui tenersi di stanti: niente più viaggi in Cina, niente più cinesi in Italia, diffidenza verso i ri storanti e gli empori cinesi. Poi per un po’ i cinesi siamo diventati noi, con gli altri
paesi a tener distanti gli italiani improv visamente pericolosi, guardati male, ri fiutati e rispediti al mittente. Poi via via è toccato al pianeta intero (o quasi), tutti più o meno nella stessa barca, con il mon do anglosassone (Stati Uniti e Gran Breta gna) che adesso sta pagando il prezzo più alto, in mano a improvvidi stregoni della politica che prima hanno negato l’eviden za limitandosi a chiudersi agli altri, finen do con l’essere loro quelli da cui tenersi distanti.
Nel mezzo, il dramma. Le decine di mi gliaia di morti, i bollettini quotidiani della pandemia e della paura, i decreti di chiu sura che si passavano il testimone uno con l’altro. Tutti in casa o comunque di stanti. Città e strade deserte come nem meno a Ferragosto in centro a Schio, e ce ne vuole. Il passante che stai per incrocia re che a trenta metri scarta e cambia addi rittura marciapiede. Mascherine e guanti per tutti. Oddio, tutti: poi esci e vedi gen te con la mascherina sulla nuca, sul cap pello, sul mento mentre fuma la pipa, in mano...
Che periodo surreale, ragazzi. Tra le imma gini più irreali con cui ce lo ricorderemo ne scegliamo una di apparentemente mi
nore, ma emblematica, e purtroppo tuttora attuale: l’oratorio salesiano di Schio con il cancello chiuso e i cortili e i campi vuoti. Non sentire il vociare chiassoso dei ragaz zi che giocano a calcio o a basket o sempli cemente si divertono con le attività degli animatori, non vedere le consuete torme di bambini e adolescenti che ogni giorno rendono vivo e pulsante il “quartierino” dei salesiani è stata – ed è - una cosa davvero quasi irreale. Un oratorio vuoto e silenzio so è una ferita dentro la ferita. Un ossimo ro sociale.
Dice: ne usciremo migliori. Mah. Difficile che una collettività cambi a causa di un evento, per quanto epocale. Ancor più dif ficile che cambi in meglio. Si può cambia re come singoli, riuscendo magari a riordi nare qualche priorità e a dare una diversa misura alle cose. Ma nel complesso è più probabile che ne esca una società uguale a prima dal punto di vista valoriale e messa peggio dal punto di vista economico. Sarebbe sufficiente se questa storia, quando sarà davvero finita, lasciasse in eredità un discreto rinsavimento collettivo di quella parte di italiani che negli ultimi anni ha buttato allegramente al macero ragione volezza e capacità critica per dare ascolto a pifferai magici cantori dell’inesperien za come valore e sinonimo di trasparenza. S’è visto in questa crisi senza precedentinella quale siamo rimasti tutti appesi alle parole della scienza, per quanto anch’essa non infallibile e alla lunga fin troppo me diatizzata - che il tempo degli sprovveduti e dei dilettanti allo sbaraglio è finito. La lo ro “Corrida” è durata anche troppo. Nel frattempo, qui, non resta che attendere che riaprano i cancelli dei Salesiani. Quella sì sarà una festa liberatoria. ◆
Ben ritrovati. L’emergenza sanita ria e il lungo periodo di chiusura delle attività economiche ha por tato anche all’inevitabile sospen sione di questa pubblicazione. Che ora però ritorna. Con una no vità, che sarà già stata còlta dalla copertina: il mensile, nato e cre sciuto in terra di Schio, aggiunge un po’ di pagine e si allarga in ter ra di Thiene. Di conseguenza, da “SchioMese” diventa “SchioThie neMese” e viene pubblicato sia su Lira&Lira, periodico diffuso nel territorio scledense, sia su La Piaz za, periodico diffuso nel territorio thienese.
Una sinergia in chiave altovicen tina che l’editore ha ritenuto di stringere in occasione della ripar tenza post-Covid. Chi come noi ci mette il proprio contributo gior nalistico ha ritenuto di provare a coglierla.
L’oratorio dei salesiani di SchioDue mesi e mezzo in trincea a fa re la guerra al coronavirus. Nien te elmetti e fucili, piuttosto mascherine e guanti, ma per Valter Orsi non c’è stato un giorno di tregua. Come del resto per tutti i sindaci d’Italia, costretti a fare i conti con una realtà totalmente inedita, spiazzante, da affrontare giorno per giorno sentendo si addosso una responsabilità diversa dal solito.
Non li avesse avuti tutti bianchi già da pri ma, i capelli a Orsi gli si sarebbero sicura mente incanutiti adesso. In modalità total white e con la mascherina a coprire il volto, invece, è difficile riscontrargli addosso i se gni dello stress. Sicuro che c’è, comunque. E che non andrà via tanto presto.
Sindaco, vedere la propria città chiusa e de serta per mesi è una fitta al cuore per tutti, ma forse per chi la amministra fa ancora più male. Come li ha vissuti, questi mesi irreali?
“Agli inizi era desolante muoversi in città, c’era davvero il deserto. La mattina vede re lo zero assoluto dava veramente un’im pressione di tensione. Non si è preparati a una cosa del genere. La preoccupazione era tanta, prima di tutto per cercare di dare ai cittadini messaggi con una certa tranquil lità, pur avendo quel vuoto davanti e i dati che segnalavano i rischi di un’impennata. Non è stato davvero un bel momento”. Il più difficile di questi anni a palazzo Garbin?
“Indubbiamente sì. Perché problemi ne ab biamo affrontati tanti, ma conoscevamo il modo per affrontarli. In questo caso era tutto buio. Per fortuna le cose poi sono an date verso il meglio, anche grazie al lavoro di tante persone. In tutto questo tempo la Protezione civile è sempre stata un gran de punto di riferimento, per informazioni, materiale, supporto. Abbiamo subito atti vato i servizi di consegna della spesa a do micilio per chi era in difficoltà, e abbiamo chiesto il supporto ad alcune associazioni organizzate: le associazioni d’arma, la Cro ce rossa, il gruppo salesiano. Ognuno ha avuto un quartiere di riferimento, con un preciso programma di attività”.
La forza del volontariato, dunque, è stata anche importante?
“Non c’è dubbio. E non solo: un’altra cosa emersa in maniera spontanea, e che mi ha colpito, è che molti cittadini si sono veramente mostrati di grande cuore ver
Intervista a tutto campo al sindaco di Schio Valter Orsi dopo due mesi e mezzo di emergenza coronavirus. “La ripresa sarà lunga. Abbiamo bloccato tutte le entrate e posticipato tutte le imposte e le tariffe.Per questo pensiamo ad alcuni sostegni che andranno a vincolare anche il bilancio dell’anno prossimo”.
so la comunità: ci sono state tante dona zioni, piccole e grandi, ma tutte fatte con lo stesso spirito, con la voglia di esserci in un momento di difficoltà. C’è chi ha donato mascherine chirurgiche, chi igienizzanti e guanti, chi denaro...”.
Ma in generale la popolazione come le sembra che abbia reagito a questa emergenza?
“Io la promuovo a pieni voti, ho notato un grande senso di responsabilità. Ci sono state naturalmente delle eccezioni, e sono state fatte anche diverse sanzioni a fronte
di violazioni palesi, ma nel complesso si è cercato di fare prima di tutto un’azione di sensibilizzazione e chiarimento: non c’è stata la volontà di colpire. Poi è chiaro che quando uno proprio non capisce...”. Qual è stato il comportamento scorretto più tipico che è stato riscontrato?
“Mah, penso a casi di persone che stavano andando a fare lavori a domicilio non le gati a emergenze, spostandosi quando tut to era bloccato, e senza protezioni perso nali. Poi ci sono state segnalazioni di feste private, per le quali si è intervenuti con la conseguente sanzione”.
Il coronavirus ha lasciato il segno su tutti, costringendo magari anche a rivedere qualche progetto familiare o programma di breve-medio termine. A livello comunale come ha im pattato sulle progettualità e sui programmi previsti, quantomeno per questo 2020 così stravolto?
“Ci siamo trovati a dover far fronte a neces sità impreviste, ma per fortuna avevamo una giacenza di cassa che ci ha dato pos sibilità di intervenire dove serviva, anche se si tratta comunque di risorse che negli anni scorsi erano state destinate a opere pubbliche. Per venire incontro alle difficol tà prevedibili per molti, da marzo abbiamo bloccato tutte le entrate e posticipato tutte le imposte e le tariffe, la Tari è stata sposta ta a ottobre. Certo, bloccando tutte le entra te il Comune ha meno margini di manovra, ma abbiamo ritenuto che andasse fatto. In definitiva abbiamo rivisto completamente il bilancio del 2020 e stiamo facendo proie zioni nuove anche sul 2021”.
“Quella di un alleggerimento. Per vedere dove recuperare risorse all’interno, quali spese da non fare… Insomma, limitare il più possibile l’impatto delle minori entra te andando a rivedere principalmente de terminati costi di gestione. Facendo atten zione ad avere un margine che potremmo mettere a disposizione per azioni straordi narie”.
In questi mesi è diventata più d’attualità che mai la questione dell’ospedale di Santorso, che la Regione ha individuato come hub provincia le per il Covid-19, con la conseguenza di veder spostare altrove quasi tutti i reparti tradiziona li. Ora le cose stanno tornando allo stato pre-virus, ma siamo davvero sicuri che, sotto sotto, questa faccenda dell’hub anti-Covid non si riveli un“cavallo di Troia” per declassare nel medio termine Santorso?
“No, non lo sarà. Noi non siamo stati coin volti quando la Regione ha individuato Santorso come hub per il Covid-19, però ci siamo mossi subito e abbiamo avuto assi curazioni dirette e pubbliche da parte del presidente Zaia. Ci è stato chiesto un sa crificio a fronte di un’emergenza ad ampio
raggio. Abbiamo ottenuto che tutta una se rie di servizi ambulatoriali e di prestazioni non fossero trasferiti a Bassano, ma fosse ro ricollocati alla nostra Casa della Salute e al Boldrini a Thiene. L’ospedale di Santorso è sempre rimasto in grado di affrontare le emergenze: anche se in quella fase il Pron to soccorso è uscito dalla rete di emergen za provinciale, ha sempre funzionato come centro di primo intervento. Gli impegni da parte della Regione erano chiari: non ap pena i dati avessero mostrato un calo effet tivo dell’emergenza l’ospedale sarebbe tor nato velocemente a ricomporsi. Cosa che
Ma può assicurare che a Santorso tornerà tutto come prima?
“Per quest’anno abbiamo impostato due manovre. La prima, intanto, riguarderà il supporto alle attività economiche che sono rimaste chiuse e il sostegno ai maggiori costi che i genitori dovranno sostenere per i centri estivi”.
“Come prima e probabilmente anche qual cosa di più. La struttura rimane, con delle figure apicali importanti. In questo mo mento ci sono bandi che prevedono sei nuovi primariati, a copertura totale di tut ti i servizi presenti ante-emergenza, in ter mini di personale e di strutture. Santorso diventerà anche un centro specializzato in senologia. E segnalo anche che nel bando per il primario di cardiologia c’è scritta una cosa importante: deve essere un emodina mico interventista”.
“Vuol dire che abbiamo la possibilità di at tivare il servizio di emodinamica H24. E questa è una delle richieste che abbiamo fatto in Regione. A Santorso ci sono poten zialità e professionalità, c’è una gran voglia di fare e capacità di lavorare in squadra. In questa emergenza i medici, il corpo infer mieristico e tutti sono stati messi forte mente sotto stress, ma c’è stata una rispo sta molto importante e positiva, che non va sottovalutata. Adesso ci sono le condizioni per dire: bene, possiamo partire anche con qualcosa in più, perché ve lo meritate”.
sta già accadendo: a metà maggio siamo arrivati a ricoveri zero nella parte intensi va e semintensiva, quindi si sta impostan do tutto il ritorno dell’impianto. Il Pronto soccorso è rientrato pienamente nella rete d’emergenza provinciale, i reparti di chi rurgia stanno riprendendo l’attività, onco logia sta tornando”.
Qualcuno ha osservato che si poteva usare la piastra del “de Lellis” come hub anti-Covid. Sa rebbe stato possibile?
“No, tecnicamente non era possibile. An che per la compartimentazione degli spa zi, per l’impiantistica e per le dinamiche che questo virus comporta nell’assistere la persona”.
L’esperienza dell’ospedale hub anti-Covid, peraltro, ha prodotto a Santorso un crollo del ricorso al Pronto soccorso. Se ne potrebbe dedurre che molti accessi prima non erano es senziali. Speriamo che nessuno ai piani alti della sanità pensi di trarre da questo conseguenze negative per la struttura...
“Fin dalle prime fasi dell’emergenza s’è raccomandato alla popolazione di andare al Pronto soccorso solo in caso di reale bi sogno, e già lì gli accessi sono crollati del 50%. Ma i dati in forte diminuzione sono stati uguali in tutta la provincia. Noi abbiamo sempre detto di volere la ga ranzia che i nostri cittadini siano seguiti adeguatamente per i casi di emergenza e infatti il Pronto soccorso a Santorso come
Plateatici più estesi e la possibilità di am pliare il proprio locale su aree pubbliche esterne. É una delle misure che il Comune di Schio ha adottato per far in modo che bar, ristoranti e negozi possano riprendere più facilmente le loro attività in base alle norme di sicurezza previste dall’emergen za sanitaria.
Gli esercenti sono stati invitati nelle scor se settimane a inviare in Comune una
proposta di utilizzo dell’area individuata. Ne sono arrivate una ventina (non tante, a dire il vero, ma potrebbero aumentare) e sono state accolte, in alcuni casi con ovvii aggiustaenti di tiro rispetto alla rihieste. L’estensione dell’utilizzo del suolo pubbli co viene concesso a titolo temporaneo e gratuito fino al 31 dicembre, con possibili tà di rinnovo per l’anno prossimo sempre in via provvisoria e senza costi aggiuntivi.
punto di primo intervento non si è mai fer mato. Ma nonostante i messaggi di rassi curazione che sono stati mandati, qualcu no ha capito che il Pronto soccorso fosse chiuso, e questo ha creato dei danni, c’è sta ta una migrazione dalle nostre aree verso altre strutture di Pronto soccorso. E c’è chi, dovendo accompagnare un proprio caro che stava male, anziché andare a Santorso è partito per Bassano e s’è dovuto fermare a Marostica perché la persona in emergenza rischiava di morire”.
Cambiamo discorso: durante questa emergenza è successa una cosa del tutto inedita: a un certo punto è uscito un comunicato congiunto delle opposizioni con una forte critica alla sua gestione della condivisione dell’emergenza con le altre forze politiche. Non si erano mai visti sinistra e destra firmare uno stesso documento. Lega e Pd sulla stessa barca, si rende conto? “Credo di essere l’unico sindaco che, da due mesi, ogni lunedì convoca i capigruppo di maggioranza e minoranza in videoconfe renza per fare il punto della situazione e dare tutte le informazioni sia sull’emer genza sia sulle linee dei decreti e delle or dinanze, in un confronto aperto. Non ci sa rebbe stato nessun obbligo di farlo, ma in questo momento credo che dobbiamo di mostrare di essere una comunità. Invece ho visto uscire comunicati delle minoran ze, trasversalmente, in cui lamentavano l’inefficienza del Comune, dando infor
mazioni distorte. Ho risposto che possono attaccare me, se vogliono, ma non possono prendere in giro i cittadini”.
Adesso comunque, sperando che il picco dell’emergenza sanitaria sia superato per sempre, c’è da “tener su” il tessuto economico della città. Quali provvedimenti state adottando da questo punto di vista?
“Di certo faremo tutto il possibile per cer care di dare una mano al tessuto economi co. Abbiamo già spostato tutta una serie di imposte e annullato una serie di entrate e alcune esenzioni di tributi le applichere mo anche l’anno prossimo. Per quest’anno abbiamo impostato due manovre. La pri ma sarà divisa in due tronconi: uno riguar da il supporto alle attività che sono rima ste chiuse, un capitolo per il quale abbiamo messo sul tavolo 510 mila euro; l’altro tron cone, con un bonus di 170 mila euro, riguar da il sostegno ai maggiori costi che i geni tori dovranno sostenere per i centri estivi, che ci saranno ma non potranno essere co me l’anno scorso: dovranno esserci neces sariamente meno ragazzi e serviranno più educatori, quindi potrebbero crescere i costi. Nel frattempo stiamo lavorando sui bonus idrici delle società di gestione del ciclo dell’acqua, fondi che derivano dai dividen di sugli utili di gestione. La quota disponi bile per il nostro comune è di 100 mila eu ro, risorse che quest’anno possiamo usare a favore dell’emergenza, in un’operazione che andrà a vantaggio delle attività econo miche. Dopodiché stiamo già lavorando su altre attività e saremo in grado di fare una seconda manovra da settembre in poi”.
E chi se lo dimentica un periodo così?
Due mesi e mezzo di niente, la città de serta, le vie del centro inanimate, i negozi con le serrande giù, spariti i tavolini dei bar con il loro allegro vociare, sparito il mercato, le messe sospese, teatro e cine ma chiusi.
Schio è stata davvero irriconoscibile in questo interminabile lockdown, qualsiasi abitudine è stata congelata e ogni norma lità è stata stravolta. Per capire fino a che punto, basta dire che sono perfino spari te le solite tre auto parcheggiate per ore “alla menefrego” nei posti di carico-sca rico da 15 minuti accanto al bar del Duo mo. Eh sì, per due mesi e mezzo è davvero cambiato il mondo. [S.T.]
Il commercio, in particolare, come ne esce? Già prima era in forte sofferenza, c’è il rischio che gli arrivi il colpo di grazia.
“Ne uscirà bastonato. Alcuni settori avran no molti più problemi di altre, penso all’ab bigliamento e a quelle attività che seguo no le stagionalità. Temo che possa esserci più di qualcuno che avrà grossi problemi e magari dovrà tornare presto ad abbassa re la saracinesca. È un vero peccato, perché avevamo veramente innescato un percorso sul quale si era cominciato a sentire con cretamente anche l’attrattività della città verso nuovi investimenti. Questa botta non ci voleva”.
Già, come minimo ormai il 2020 è un anno buttato in tutti i sensi. La quintessenza dell’anno bisestile...
“E credo che sarà perso anche l’anno pros simo. La ripresa sarà lunga. Per questo pen siamo ad alcuni sostegni che andranno a vincolare anche il bilancio dell’anno pros simo”.
Ma è successo qualcosa di positivo, in questi mesi disgraziati?
“Tantissime cose. Le soddisfazioni non so no mancate. Voglio ricordare una cosa che non c’entra niente col coronavirus, perché mi ha toccato: una lettera che ho ricevu to da una bambina di 6 anni. Da casa sua ha visto montare la gru per la palestra di via Tito Livio e nella sua innocenza mi ha scritto che ha molta paura perché te me che quel ‘mostro’ mangi le montagne, perché probabilmente dalla sua finestra la vede in questa proiezione. Le ho rispo sto rassicurandola, con parole più da papà che da sindaco. L’ho invitata a venirmi a trovare”.
L’approccio al “mio” Covid-19 è stato una sorta di trance, un guardarsi intorno, un cercare appiglio in chi di me si prendeva cura.
Scrivere quotidianamente di sin tomi, di numeri dei contagiati e di decessi, di prevenzione e dispositivi di protezione personale, di reparti e ospedali Covid, delle paure della gente. Per poi viver le in prima persona. Non solo da vicino, da dentro. In prima linea sì, ma da ferito. Non da “soldato”, seppur ci si ritrovi da un gior no all’altro in un letto d’ospedale, con uno spirito inedito da combattente. Perché l’ar matura spetta a chi mette lo scudo contro la malattia, bardato di visiera, mascherina, cuffia di tela, tuta isolante e addirittura il doppio guanto su ciascuna mano. Quasi una beffa del destino quella di un giornalista – forse l’unico nel Vicentino ad ammalarsi e finire ben oltre la famigerata prima linea -, che proprio grazie alla sua professione ha potuto prevenire una di queste ondate assassine, mettendo (alme no) al riparo i propri cari. I bersagli più ab battuti dal morbo coronavirus, vale a dire quegli anziani già gravati da patologie le cui difese si sbriciolano di fronte agli attac chi del killer venuto dall’Estremo Oriente.
Un passo indietro. Venerdì 20 marzo, metà pomeriggio. A forza di insistere ottengo di accedere al tampone in un periodo in cui rappresentava ancora un lusso per pochi. Oppure l’anticamera delle sofferenza, del terrore e della solitudine per chi ci era già dentro, con i polmoni aggrediti dalla ma lattia. Derubricata in “banale influenza” agli albori per essere eletta a pandemia nell’arco di poche settimane. E di qualche migliaio di morti. Un test preteso, per sal vaguardare prima di tutto chi mi stava in torno, dopo aver predicato con testardag gine i sintomi meno noti. Quelli che tutti, poi, mi hanno chiesto e richiesto: mialgia a muscoli delle gambe e alle articolazioni, fastidi ai bulbi oculari e, infine, la perdita
Nei giorni di ricovero in ospedale, la “famiglia” di un malato di coronavirus è composta da infermieri, personale socio sanitario e anche addetti alle pulizie. La testimonianza in prima persona di Omar Dal Maso, forse l’unico giornalista del Vicentino andato suo malgrado oltre la prima linea del Covid-19.
totale dei sensi del gusto e dell’olfatto. In abbinata a tosse e febbre, ovvio, peraltro questi di lieve entità.
Finalmente il via libera, quasi fosse un fa vore concesso, dopo il trittico di chiama te al numero verde dell’Ulss 7, al medico di base e infine, seppur contravvenendo al le regole di allora, al 118. Dal pronto delle chiamate telefoniche al “pronti via” e al Pronto… Soccorso – in realtà già un “ps2” riservato ai soli casi sospetti di Covid-19 -.
Smanioso di farmi fare questo benedetto (o forse maledetto? Lo avrei scoperto di lì a breve) tampone poi tornare a barricarmi in casa in attesa del responso. Queste erano le intenzioni, almeno. Un’ora dopo, invece, mi ricoverano. Lo sguardo che precipita a terra alla notizia, la raccolta dei rimasugli di forza d’animo per una telefonata a ca sa. Poi su, in carrozzina. Reparto Covid-4, nelle stanze che solo fino al giorno prima erano destinate all’urologia. I polmoni so
no “bruttini” mi aveva confidato il tecni co dopo la radiografia. Da quel momento è un susseguirsi di scene irreali, di incroci con gente vestita da astronauta e scambi di sguardi tesi. Tutto d’un fiato. Che toglie davvero il respiro. Con me quel venerdì 20 marzo non portai nulla se non ciò che avevo addosso, un te lefono utile e un mazzo di chiavi inutile. Si materializzavano in compenso la sorpre sa e l’inquietudine nell’affrontare ora un tunnel chissà quanto lungo e senza un lu me, con il pericolo di perdere anche quello della ragione. Ricoverato, solo nella stanza, letto 146. Polmonite interstiziale bilatera le: questa è già una certezza, oltre che la diagnosi. L’esito del tampone, invece, solo sulla carta rimane incerto. In realtà non lo è stato mai, prima del responso di labora torio: non è mai stato un 50 e 50, ma un 99% di logica contro un 1% di irrazionale illusione.
L’approccio al “mio” Covid-19 è stato que sto. Una sorta di trance, un guardarsi in torno, un cercare appiglio in chi di me si prendeva cura. Dal primo infermiere che mi ha accolto, tenendomi a distanza, credo al suo primo giorno in una corsia divenu ta di infettivologia che non era la sua. Così come per i suoi colleghi. Trasparivano il ti more, l’incertezza, l’agitazione. Ricordo la voce rotta di una donna fuori dalla porta, che diceva a non so chi di non farcela, di voler tornare a casa, di aver paura. Appe na dentro mi sorrise. Io mi sentii in col pa. È bastato un po’ di reciproco rodaggio, poi, per scoprire l’umanità, la professiona lità e l’empatia di ognuno di loro. Non solo medici, non solo infermieri, ma chiunque lascia a casa le proprie paure o se le por ta appresso tentando di celarle una volta dentro una stanza Covid. Con dentro esse ri umani, colpiti, contagiati. Ma non affon dati, mai spacciati. Nemmeno quando alla prima notte, nel mio caso, bussa la crisi re spiratoria che il quadro radiografico aveva sotto sotto già preannunciato: la saturazio ne che annaspa, la frequenza cardiaca che galoppa, i polmoni in difficoltà. Il perfido Covid-19 che ti sussurra nel cervello: “ecco mi qui, avevi ancora dubbi? Preparati”. Una maschera di plastica che mi viene appicci cata al naso, attaccata all’ossigeno. Con solo una manciata di persone care al corrente di ciò che mi accingevo a sfidare, nessuno fisicamente vicino.
A distanza di 36 ore il mio “capofamiglia” diventa il medico infettivologo che mi co munica l’esito del tampone, con chiarez za e delicatezza che gli invidio. “Positivo”, “non esiste ad oggi alcuna cura”, “le chiedo il permesso per una terapia sperimentale
a base di…”. Queste sono le parole ancorate nella nebbia di quei minuti di quel 22 mar zo, una parentesi di abisso nonostante tut ta la preparazione mentale possibile. Esat tamente un anno prima, nella stessa data, ero in un palasport di Faenza a giocarmi con le ragazze del calcio a 5 che alleno una finale scudetto nazionale. Una parentesi ben diversa. Allora venni sconfitto. Stavol ta no, chi perde muore.
Sono un ragazzo(ne) fortunato. Perchè ho 42 anni, il più giovane fra i degenti. Perché il fisico debilitato risponde. Perché non ho (più) paura di morire. E, perché, fattore più importante, l’angoscia di aver inconsape volmente contagiato chi mi sta più a cuo re si sgonfia di giorno in giorno. Un’ango scia infida che toglie più aria ai polmoni di quanta ne sottragga la bestia coronavirus. Ma c’è un ultimo motivo: quei nomi scrit ti con un pennarello sulle vesti, tante paia di occhi che non mentono mai nel bene e nel male, altrettante voci che associ pian piano ai nomi e agli sguardi seminascosti. Sono le persone che ti chiedano il sempli
ce “come stai”, che ti salutano con un “ehy giornalista”. Le stesse che mi raccontano delle strade deserte per arrivare in macchi na all’ospedale, di figli e compagni lascia ti a casa al sicuro per trasferirsi in alloggi temporanei lasciando così i propri affetti, della sofferenza di chi si aggrappava alla vita nelle stanze affianco.
È proprio a queste figure “mascherate”, che tanti chiamano angeli o soldati o eroi, che ho confidato ogni pensiero di quei giorni. Raccogliendone un po’ dei loro. Non si è soli, come si crede da fuori. Riscoprendo la vita genuina dalle piccole cose. Dalla gioia di risentire il sapore del cibo assaggiando – sforzato – una pietanza che non mi era mai piaciuta, a quella dopo 8 giorni di po ter respirare in autonomia senza l’ausilio di ossigeno artificiale. Ma anche di cono scere e tifare per un uomo di 80 anni, usci to dal calvario prima di me. E pure in gran forma. Una prova certa di speranza per i nostri grandi nonni testimoni di vita e di coraggio.
E intanto questi angeli a me erano cambia ti, si poteva a volte anche scherzare quan do per loro era un turno “tranquillo”, le vol te in cui capitava che non ci fossero delle morti atroci con proprio loro a tenere una mano e a offrire l’ultimo conforto umano al posto di un figlio, di un marito o di una moglie, o di un nipote. Ora, negli ultimi giorni prima delle dimissioni e della “fa se 2” di isolamento e lotta contro gli effetti collaterali e i danni post tsunami, si poteva anche ridere di gusto anche di quel gior nalista che, per uno scherzo del destino, si era avvicinato un po’ troppo alla trincea, cadendoci dentro.
Termoscanner per misurare la temperatura corporea, mascherina sulle vie aeree, guanti o gel, massima attenzione al distanziamento sociale. In un futuro prossimo si aprirà al ripristino completo dei servizi.
Omar Dal MasoAnche il mondo della cultura a portata di mano e, nel caso spe cifico, di libro, ha dovuto affrontare le con seguenze dell’epidemia. Da Palazzo Cor naggia, ampia sede della Biblioteca Civica di Thiene dal 2007, dalle 9.30 dello scorso 5 maggio il servizio dei prestiti e restitu zione dei volumi è ripreso. Con le cautele richieste nel rispetto dei protocolli e con l’ingresso contingentato degli utenti, che possono già accedere in maniera control lata agli scaffali. Ci sarà da attendere una data da destinarsi forse non troppo lontana per utilizzare le postazioni internet, la sa la di lettura per bambini e la capiente aula studio meta imprescindibile di universita ri e adolescenti degli istituti superiori, alla ricerca di un “porto quiete” e delle “sudate carte” di leopardiana memoria. Interdet to (per ora) l’accesso alla saletta del piano terra dove tanti thienesi si dilettano a con sultare gratuitamente quotidiani e riviste. Termoscanner per misurare la temperatura corporea, mascherina sulle vie aeree, guan ti o gel, massima attenzione al distanzia mento sociale e questo basta per presentar si al bancone dei prestiti e portarsi a casa un po’ di cibo sano per la mente o un passa tempo senza... tempo. Forse ancora più pre zioso dopo l’incipit del virus del 2020. Anno che sui libri, stavolta di storia, rimarrà im presso a lungo nei decenni a venire.
Tante le prescrizioni adottate nei confron ti delle persone, una sola riguarda l’ogget to “del desiderio” di chi si reca in una bi blioteca: la “quarantena“ obbligatoria per le edizioni che rientrano dai prestiti. Fissa ta in 10 giorni, viene ritenuta ampiamen te sufficiente per scongiurare il pericolo di contaminazione. La “clausura” dei libri av viene al 3° piano, locale arieggiato costan temente. Dopo di che ogni pubblicazione torna al suo posto, a disposizione dei let tori. Tra l’altro, come spiegano gli opera
La biblioteca thienese tra le prime in Veneto a riaprire dopo il lockdown. Disponibile il solo servizio di prestito prenotando i volumi on line o al telefono. Ma è possibile anche la scelta diretta – con le dovute precauzioni –dagli scaffali.
tori, non esiste a oggi evidenza scientifica che particelle di virus possano attecchire su pagine e copertina. Si tratta, insomma di una semplice – ma gradita – precauzio ne. Adottata in misura dai diversi enti (ad esempio sono 5 i giorni di lockdown carta ceo in Emilia Romagna).
In un futuro prossimo la situazione, già di per sé in continuo divenire, aprirà al ripri stino completo dei servizi. Si potrà torna re a usufruire dell’aula studio al 4° piano, con i posti a sedere ridotti ed eventuali al tri pannelli in plaxiglas, ma si tratta di so luzioni finora solo ipotizzate. Nel frattem po ci si accontenterà della visita fuggevole e di prestiti e restituzioni in modalità take away, oltre ai servizi di Edicola Digitale, au diolibri ed E-Book per i più avvezzi alle tec nologie. Per infoe prenotazioni chiamare il numero 0445.804945 (dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 19).
A distinguere la biblioteca civica di Thie ne sono stati due fattori nel mese di mag
gio: la rapidità con cui il Comune e lo staff hanno attrezzato i locali e la possibilità di accedere fisicamente al 2° piano da 400 mq dove consultare in prima persona i volu mi, pochi alla volta. Spazi larghi, associa ti a un flusso di utenti giocoforza ridotto, che hanno permesso all’istituto di gestire e interpretare in maniera non restrittiva l’ordinanza regionale del 3/5/2020. Appena un lunedì di lavoro per apporre plexyglas, dotarsi di dpi, sbarrare l’accesso ai locali chiusi al pubblico e applicare il protocol lo per la riapertura parziale. L’opportunità di restituire alla cittadinanza un servizio fondamentale, in altre parole, è stata colta volto dal direttore Filippo Revrenna e i suoi collaboratori, con il beneplacito del sinda co Giovanni Casarotto e del vice – e asses sore alla Cultura – Maria Gabriella Strinati. Dati sull’effettivo afflusso, a due settimane dal “bentornati”, non sono ancora dispo nibili ma dalle prime impressioni raccol te si registra un “flusso costante ma lento” di utenti, dei più affezionati. Qualcuno di loro, per così dire, preferisce stare ancora alla finestra, pensando che lì tiri sempre l’aria migliore. Presenze fisse nel periodo pre-Covid che dovranno magari supera re qualche timore per riappropriarsi delle vecchie e sane abitudini. Visto che di qual cosa di “sano”, come leggere un buon libro, ciascuno di noi ne ha più che mai un gran bisogno. ◆
Il personale della biblioteca di Thiene pronto alla riapertura. Sotto, l’ingresso della bibliotecaCommercianti, artigiani ed esercenti si stanno rimboccando le maniche per ripartire e ritrovare spazi e clientela. Escogitando anche idee innovative.
Elia Cucovaz“Il primo giorno di riapertura mi è sembrato di vedere a Schio un fermento che non mi pareva ci fosse da molto tempo: da ben prima della quarante na”, nota Guido Xoccato, titolare dell’omo nimo negozio di calzature in via Pasubio e presidente del mandamento locale Ascom Confcommercio. “Ma attenzione: anche in città ci sono attività che non hanno ria perto e non sappiamo ancora quando e se riusciranno a ripartire. Per un bilancio si gnificativo della situazione post-Covid do vremo attendere almeno un mese e mezzo.
A ottobre rischiamo di vedere una nuova pandemia economica”.
Il futuro delle attività commerciali cittadi ne appare incerto. Tra dubbi sulle modalità della “fase 2”, aiuti che non arrivano e tra sformazioni sociologiche che stanno coin volgendo tutti. “Dovremo affrontare grandi cambiamenti” continua Xoccato.
I consumatori oggi sono divisi tra la voglia di normalità e le nuove abitudini legate alla scoperta dei servizi online. Tra “l’asti nenza da shopping” e la “sindrome della Capanna”, ossia quel senso di incertezza che molti provano a uscire dalla “sicurez za” delle mura domestiche dopo un perio do così lungo di sospensione della socialità. “Purtroppo - continua il presidente Xoc cato - mi dispiace dover constatare che lo Stato italiano non si è rivelato all’altezza della situazione. Tra la beffa dei 600 euro e la cassa integrazione che non è ancora arrivata, finora da Roma sono arrivati ben pochi aiuti concreti. Bisogna che sia chiaro che se il tessuto commerciale e produttivo si lacera, rischia di cedere tutto il sistema.
Quindi è il momento di finirla con buro crazia e task force e iniziare a far arrivare soldi alle imprese ed alle famiglie”.
Intanto commercianti, artigiani ed eser centi si stanno rimboccando le maniche. Escogitando anche idee innovative.
Bar, ristoranti, parrucchiere, palestre, cinema... Si riparte leccandosi le ferite, ma si riparte. Ma il futuro delle attività commerciali cittadine appare incerto, tra dubbi sulle modalità della “fase 2”, aiuti che non arrivano e trasformazioni sociologiche che stanno coinvolgendo tutti.
“Abbiamo aspettato qualche giorno in più per riaprire - dice Mirko Ballardin, del ri storante Da Beppino -. Questo per poter ci adattare alle misure di sicurezza e pre parare i collaboratori. In ogni caso siamo fiduciosi che i clienti ritorneranno e che supereremo questo momento. Il distanzia mento comporterà una riduzione dei co perti, ma non drammatica per noi che an che prima mantenevamo ampio spazio tra i tavoli. La nostra prospettiva è anche quel la di mantenere tutti i nostri 18 collabora tori: un team numeroso ma in cui tutti so no importanti”. In ogni caso da “Beppino” manterranno attivo, nel fine settimana, il servizio di asporto e consegna. “I clienti lo chiedono ancora e credo che questa abitu dine rimarrà viva ancora per un certo pe riodo”.
«I nostri clienti ci stanno dando coraggio di andare avanti: le persone vogliono girare
pagina, tornare nei locali per stare insieme e godersi la vita. Ma lo Stato ci ha lasciati soli». Non ha mezzi termini Renato Cumer lato, titolare dello storico locale di via Le onardo Da Vinci e rappresentante provin ciale della categoria pubblici esercizi per Ascom Confcommercio.
«La quarantena per chi gestisce un’attivi tà ha avuto un prezzo elevato – osserva -. Non abbiamo avuto entrate per due mesi e molti stanno vivendo momenti di diffi coltà estrema. E in risposta a questo sacri ficio non abbiamo avuto aiuti e perfino le istruzioni per riaprire sono arrivate in mo do confuso e contraddittorio».
“Abbiamo riaperto il ristorante e il lunedì sera abbiamo avuto due clienti”. È positi vo anche Li Wei, titolare del ristorante La Muraglia Cinese. L’avevamo intervistato in febbraio, quando l’Italia doveva ancora ini ziare a vivere l’incubo coronavirus e i cine si erano visti come potenziali “untori del contagio”, portando anche gli scledensi a
Renato Cumerlato, insieme alla moglie, nel suo locale “da Renato”evitare negozi e ristoranti orientali, come ci aveva testimoniato lo stesso Wei. “Oggi questa paura non c’è più”, dice. Anche lui ha deciso di mantenere attivi i servizi di consegna a domicilio e di asporto, che sono opzioni ancora preferite da diversi clienti.
“L’ottimismo è una componente fonda mentale di ogni attività imprenditoriale e oggi ci attacchiamo a questo per andare avanti”. Le parrucchiere Erica e Sofia Da vanzo, titolari del salone omonimo di via Capitano Sella, erano state tra le protagoni ste di una protesta messa in atto dalla cate goria contro il perdurare della quarantena, ma ora vogliono solo pensare al futuro. “Per i nostri clienti è la stessa cosa e tutti, pur di tornare a prendersi cura di sé, hanno accettato le disposizioni sanitarie che pre vedono appuntamenti, mascherine, guanti e barriere in plexiglass. Una signora, dopo che avevamo finito la messa in piega, si è perfino commossa guardando la propria immagine allo specchio”.
Nei primi giorni di riapertura i saloni di parrucchiera, oltre che luoghi per curare il proprio aspetto, sono stati anche luoghi in cui condividere esperienze e sfogare frustrazioni accumulate. “Il nostro lavoro consiste anche nel saper ascoltare con di screzione – dicono Erica e Sofia -. Possia mo confermare che molti hanno attraver sato momenti difficili. Ora però c’è voglia di guardare avanti”.
Giorgia Puentes e Maurizio Silva, titolari della palestra “Le Fontane” hanno fatto di necessità virtù puntando tutto su un’idea molto originale. Per approfittare del fat to che il rischio di contagio crolla all’aria aperta, hanno trasferito all’esterno ciclette, panche e altri attrezzi ginnici trasforman do in area fitness nella piazza interna del complesso di viale 29 Aprile. Un’idea… che viene da lontano.
“Nel ‘96, in Argentina, avevo frequentato un master in business e amministrazione - spiega Puentes -. Da allora sono rimasta in contatto con gli altri ex corsisti, che og gi lavorano un po’ in tutto il mondo, quin di durante la quarantena li ho contattati chiedendo idee relative al nuovo concept di palestra per la fase 2. E dagli Stati uniti mi hanno risposto che lì i centri fitness si stanno spostando sempre più all’esterno. Così, visto che il nostro spazio lo consen te abbiamo deciso di seguire questa idea. È un po’ strano, me ne rendo conto. Però a fronte di questa situazione mai vista prima bisogna avere il coraggio di tentare anche strada nuove”.
Tra coloro che per primi hanno saputo reagire al coronavirus “reinventando” la propria attività durante il lockdown c’è la Giardineria Drago, che nei giorni della pandemia è riuscita a lanciare un e-com merce di successo… internazionale.
“Il settore era del tutto nuovo per noi, l’in vestimento non indifferente e il momento di grande incertezza, ma alla fine la soddi sfazione è andata oltre le attese”.
Superando anche i confini del territorio lo cale. “Per la festa della mamma abbiamo ricevuto ordini anche dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra: persone che non potendo venire a trovare le loro madri a Schio han no inviato loro un mazzo di fiori tramite il nostro sito. Un utente di Roma invece, ha fatto recapitare ai suoi genitori scledensi un set di piante per l’orto”.
L’esperienza di Drago, comunque, è che nel la “fase 2” i clienti storici preferiscono tor nare nel negozio fisico. “Con l’eliminazione dei vincoli agli spostamenti gli ordini onli ne sono drasticamente calati e il negozio si è ripopolato. Non intendiamo comunque abbandonare lo shop virtuale, anche se ci sarà la necessità di farlo evolvere”.
“Sono momenti molto difficili: in questo momento navighiamo a vista”. Iole Adami, presidente dell’associazione Cineforum Al tovicentino che gestisce il Cinema Pasubio non nasconde la preoccupazione, ma sot tolinea anche che gli stessi abbonati stan no contribuendo a salvare la sala cittadina.
“Per la stagione interrotta abbiamo propo sto un rimborso parziale degli abbonamen ti tramite voucher – spiega -. Fortunata mente tanti ci stanno rispondendo di non volerlo. In questo modo ci consentono di guardare al futuro, perché per noi i costi di affitto e le spese fisse non si sono fermate”. Le proiezioni riprenderanno presto all’a perto. “Cominceremo il 30 giugno con il Cinema Estate nel cortile di Palazzo To aldi Capra, con distanziamento e tutte le misure di sicurezza”. Per la sala di via Ma raschin, invece, se ne riparla dopo l’estate. “Speriamo di riaprire a settembre - conti nua Adami -. Distribuiremo gli spettatori a poltrone alterne e aumenteremo il nume ro di proiezioni. In più: sanificazione dopo ogni spettacolo, controllo della temperatu ra e mascherine per tutti”.
In attesa che si possa ripartire dal vivo, so no state proposte performances culturali sulla pagina facebook del Comune di Schio. Chi si è cimentato online? Presto detto: il Gruppo Astrofili, il Centro di Cultura “Dal la Costa”, i cuochi della zona con “Lo Chef a casa tua”, i dj Luciano Gaggia e Alberto Cocco che con Carlo Costalunga di Musi cout hanno animato “Trame di luci”, Da miano Grandesso che si è esibito col suo sax dal pronao del Duomo e altri musicisti che hanno utilizzato gli spazi del Lanificio Conte, dello Shed e di Palazzo Fogazzaro.
Il tutto davanti a un pubblico virtuale, senza il calore di quegli applausi che soddisfano attori e spettatori. Brutto periodo per questo settore, che forza tamente partirà per ultimo e con indi cazioni che si stanno via via chiarendo.
Il prossimo 6 giugno, comunque, si po trà visitare a Palazzo Fogazzaro la mo stra fotografica di Alessandro Zaffonato denominata “Return to Nature”: chissà che sia di buon auspicio per un ritorno alla Natura, e all’uomo in armonia con essa. [M.D.Z.]
Non è semplice, per la medicina territoriale, gestire il Covid-19. E non lo è stato soprattutto all’inizio dell’e mergenza, fino a prima di Pasqua, quando i medici di base sono stati la prima linea del contenimento dell’epidemia. Una pri ma linea già organizzata da anni in unità integrate con segreterie uniche. Abituata a filtrare telefonicamente le richieste, ma al tempo stesso oberata da centinaia di pa zienti per ogni singolo dottore. In queste settimane le cose sembrano an dare meglio, ma è indubbio che, almeno per la prima fase dell’epidemia, molte per sone siano rimaste a casa in attesa di cure e tamponi per giorni, se non per settimane. Abbiamo esperienza diretta, sul territorio, di pazienti immunodepressi colpiti da tos se e febbre a cui non è stato fatto il tam pone perché è capitato loro di ammalarsi nei momenti immediatamente successi vi allo scoppio dell’epidemia. E di famiglie conviventi, con membri ospedalizzati per Covid, a cui è stato fatto il tampone do po venti giorni dal ricovero del familiare, e per giunta è stato fatto solo a metà dei componenti. Senza contare che, nel frat tempo, i pazienti per malattie croniche o per improvvise patologie gravi non hanno cessato d’esistere: e i loro medici di base li hanno dirottati su strutture non Covid –Bassano in primis – che li hanno rispediti a casa perché un ricovero sarebbe comun que stato troppo rischioso.
Agli occhi dei pazienti e dei loro familia ri è stato un caos. I malati di Covid hanno vissuto settimane di rimpallo tra medici di base, servizi di prevenzione, dottori di con tinuità assistenziale, elemosinando tam poni che non arrivavano, direttive di com portamento più chiare, consigli.
L’epidemia ha chiamato in causa in modo particolarmente diretto i medici di famiglia. Lo sforzo da loro fatto è stato enorme. Ora è cominciata, si spera, la fase di rientro. “La parola d’ordine è prudenza - spiega Giorgio Testolin membro dell’Aggregazione Funzionale Territoriale che riunisce i rappresentanti dei medici di medicina generale del distretto -. Lo stress continua a essere molto elevato”.
“Superata la Pasqua abbiamo iniziato a entrare in una nuova fase. Alla confusione iniziale, che non nascondo, si è risposto con protocolli più chiari e procedure che si stanno via via standardizzando. E sono arrivati i rinforzi”.
L’epidemia ha travolto la medicina del ter ritorio. Nessuno era preparato ed è stato evidente. Ma sicuramente lo sforzo fat to dai medici di famiglia è stato enorme e l’esperienza vissuta può essere uno sti molo per migliorare i servizi offerti e farsi cogliere più pronti nelle situazioni future che si presenteranno.
Non è semplice parlare con loro, in que sti giorni. Le agende continuano a essere piene, molti preferiscono ancora non con dividere ciò che stanno vivendo. Raggiun giamo telefonicamente il dottor Giorgio Testolin, medico della Medicina di gruppo integrata “Ascledum” e membro dell’Ag gregazione Funzionale Territoriale che ri unisce i rappresentanti dei medici di me dicina generale del nostro distretto. “L’esperienza del Covid-19 è andata per stadi – spiega -. In un primo momento il virus era lontano: i casi erano pochi e come medici abbiamo cercato di riconoscerli ricorrendo a un ascolto dei sintomi del paziente e a un
criterio epidemiologico, per cui si interro gava il paziente sulle sue frequentazioni, se per esempio si era recato in zone a rischio o era entrato in contatto con potenziali in fetti. Si è tentato di evitare il più possibile l’accesso di questi pazienti agli ambulato ri, seguendoli e guidandoli telefonicamen te. Ben presto, tuttavia, il virus si è diffuso. Dapprima nelle zone del veneziano, poi, in maniera allarmante, anche sul nostro ter ritorio. Ammetto che, allo scoppio dell’e pidemia, le circolari che arrivavano erano confuse e di difficile applicazione e che ci sono stati momenti in cui mancavano i di spositivi di protezione anche per noi. Fortu natamente, anche grazie all’organizzazione in unità integrate, abbiamo retto il colpo: la segreteria si è fatta ancora più preziosa nel la scrematura delle telefonate e, una volta che la sintomatologia sembrava combaciare con quella da Covid, abbiamo cercato di in dirizzare i pazienti attraverso colloqui tele fonici. Le visite in ambulatorio di sono fat te rarissime e chi non aveva appuntamento non poteva proprio accedere”.
La burocrazia, che fino a poche settimane prima costituiva un problema insuperabi le, è stata risolta velocemente con un po tenziamento delle comunicazioni digita li. “Siamo riusciti a inviare on line anche le ricette rosse, prima ritirabili di persona - continua Testolin - e sono aumentate le comunicazioni tra noi medici e le struttu re tecniche e amministrative del distretto di riferimento”.
Fortunatamente i medici di base che si so no ammalati di Covid non sono stati nu merosi, ma i tamponi, anche per loro, sono stati disponibili solo attorno a Pasqua.
“Superata la Pasqua abbiamo iniziato a entrare in una nuova fase. Alla confusio ne iniziale, che non nascondo, si è risposto con protocolli più chiari e procedure che si stanno via via standardizzando. Sono arri vati i rinforzi: al nostro distretto sono state assegnate 5 USCA, Unità Speciali di Con tinuità Assistenziale, giovani medici che
hanno vinto un bando di concorso e che, muniti delle dovute protezio ni, si recano in visita ai potenziali pazienti Covid per effettuare il tam pone. Ciò solleva noi medici sul ter ritorio e, anche grazie alla collabo razione degli addetti dello Spisal, il Servizio di Prevenzione dell’ULSS, offre un servizio ulteriore ai citta dini, che vengono così sottoposti a tampone in modo più puntuale e vengono poi monitorati con con tatti telefonici quotidiani sull’anda mento dei sintomi, di cui si fa carico, appunto, lo Spisal. Proprio in queste settimane stiamo mettendo a pun to un protocollo per migliorare la re lazione tra noi medici di famiglia e USCA, così che il patrimonio infor mativo a nostra disposizione relati vo alla storia personale dei singoli pazienti possa essere messo a dispo sizione dei nuovi colleghi e loro pos sano riportare in maniera più puntuale gli esiti delle visite effettuate”.
Dall’inizio di maggio le visite in ambulato rio hanno iniziato ad essere più frequenti. Non siamo ancora a un ritmo “normale”, ma i flussi sono più considerevoli rispetto ai mesi di marzo e di aprile.
“La parola d’ordine ora è prudenza - spiega Testolin -. Continuiamo a gestire il più pos sibile i contatti telefonicamente e inviare ricette e impegnative in maniera telema tica, ma è chiaro che il lavoro del medico non può esaurisi a questo e che ci sono pa zienti che necessitano di visite domiciliari. Lo stress continua a essere molto elevato: all’inizio la responsabilità di decidere se sottoporre o meno a tampone è stata mol to pesante, mentre ora l’imperativo è non abbassare la guardia. Il virus è in calo, ma è ancora diffuso”.
E non si escludono recrudescenze. Il siste
Covid o non Covid, arriva l’estate e co me ogni anno c’è chi non perde tempo a sbracare. Ecco così che in città - non in campagna o in qualche sentiero, ma nelle vie dei quartieri e anche a ridosso del centro - cominci a incontrare gente (di solito di una certa età) che va tran quillamente in giro a petto nudo; op pure gente (questa volta più giovane) a spasso in centro in ciabatte e infradito. Eppure una città non è l’orto di casa pro pria, e nemmeno la spiaggia di Jesolo. E sì che non servirebbe tanto per mostra re un po’ più di rispetto, non solo per gli altri ma anche per se stessi. Basterebbe una maglietta e un paio di scarpe leg gere. [S.T.]
ma si sta tarando, ma il virus ha esposto tut te le difficoltà di una sanità territoriale che, seppure attrezzata grazie a segreterie inte grate e appuntamenti ambulatoriali entrati da tempo nelle abitudini degli utenti – or mai avvezzi a telefonate e visite solo a ora ri prestabiliti – ha comunque vissuto la ca renza iniziale di dispositivi di protezione, la confusione delle direttive e l’alta discrezio nalità a cui hanno dovuto far fronte i medi ci, esponendosi a responsabilità elevate ol tre che al rischio di contrarre il virus.
I medici di famiglia sono stati la prima linea delle prime linee. I primi a parlare coi po tenziali malati e, almeno in una fase inizia le, prima che l’imperativo della consulenza telefonica fosse più diffuso, i primi a veni re in contatto con loro. Spesso poco consi derati – per la vulgata comune sono troppo di frequente i medici che fanno le ricette e che ti mandano dallo specialista – hanno in vece nella stragrande maggioranza dei casi dimostrato una dedizione altissima alla pro fessione e una grande umanità.
E un plauso speciale va pure ai ragazzi USCA, i giovani medici che oggi visitano le case dei nostri potenziali malati Covid, che fino all’altro ieri sono stati gli specia lizzandi per cui non c’era mai un bando, sottopagati, con orari di lavoro al limite del possibile e precari fino ad un’età in cui uno pensa già a farsi una famiglia e una casa. Anche loro stanno dimostrando una gran de attenzione al paziente e spesso sono stati in grado di offrire suggerimenti e consigli che, nello tsunami che colpisce una fami glia malata di Covid, si sono dimostrati pre ziosi per recuperare scampoli di un’umani tà che sta cercando, tra mille difficoltà, di ritrovare un equilibrio difficile. ◆
A suon di clip video caricati sui social, musicisti, attori, cabarettisti, cantanti e altri personaggi nati e/o cresciuti nell’Altovicentino hanno lanciato il loro appello speciale.
Omar Dal MasoUn’idea che nasce dal bisogno genuino di offrire una mano concreta a chi affronta l’epidemia. E che, nell’arco di un mese, riesce a coinvolgere 25 tra artisti e campioni dello sport di Thie ne e dintorni e raccoglie oltre 6 mila euro in una “quarantena” di giorni. Trasforma ti, se così si può dire, in mascherine, gel, camici e dispenser. Tutti materiali conse gnati all’Ulss 7 e alla casa di riposo Muzan di Malo.
L’iniziativa, partita da quattro amici di Vil laverla, è stata intitolata “Ulss 7 vs Covid” e ha coinvolto vari testimonial a partire dal lo scorso 23 marzo fino al 3 maggio, gior nata simbolo della chiusura della “fase 1” dell’emergenza. A suon di clip video cari cati sui social, musicisti, attori, cabarettisti, cantanti e altri personaggi nati e/o cresciu ti nell’Altovicentino hanno lanciato il loro appello speciale. Un invito a donare che ha avuto come epicentro Villaverla e che si è espanso coinvolgendo gruppi musicali co me i “The Sun” e “Mr Boss”, voci di talento già in Tv come quelle di Eva Pevarello e Vi vian Grillo, e quelle emergenti di Tobia La naro, Joele e Giulia Compostella. Insieme a loro nomi e volti noti dello sport, come il pugile Luca Rigoldi (campione europeo) e l’ex cestista azzurra Raffaella Masciadri.
Dal campione europeo di pugilato Rigoldi e da altri amici del paese nasce a Villaverla una proposta benefica che raccoglie testimonial e donazioni destinati a casa di riposo e ospedale.
Guai a dimenticare gli altri: attori afferma ti, fumettisti, registi e commercianti locali. A rispondere, chi con piccole chi con più ingenti somme, è stata la gente comune. Sono stati circa 80 i benefattori. Da libro cuore la generosità di una ragazzina di 13 anni di Dueville che ha rinunciato al nuo vo smartphone – ci raccontano i promotori – donando 150 euro a favore del prossimo. La proposta è sorta da un papà di 42 anni, incapace di assistere inerme alle immagini trasmesse in tv. “Sentivo solo di dover fare qualcosa di più di una donazione persona le - spiega Michele Vezzaro, ideatore in sieme alla moglie Ivanka e a Giada Bassan, coinvolgendo da subito il boxeur Rigoldi –, un forte impulso a smuoversi e condivide re questo desiderio con altri che provavano le stesse sensazioni. Di fronte a un disastro simile è cresciuto il desiderio di non rima nere fermo a guardare”. L’iniziativa è stata lanciata attraverso una piattaforma on li ne sicura.
La generosità di pochi diventa davvero contagiosa, ed è così che con piccole goc ce si raggiunge il primo obiettivo: acqui stare e consegnare all’Ulss 7 le prime 1.200 protezioni in tela a pochi giorni dal varo della campagna solidale. Poi arriveranno a destinazione 65 contenitori di soluzione idroalcolica, mascherine chirurgiche – cir ca 3 mila alla fine – e 200 filtranti ffp2. Di recente, poi, dopo lo sprint finale, sono stati donati altri 100 flaconi di liquido e 300 ca mici “tnt” per i visitatori, ancora una volta della casa per anziani “Muzan”, e tre pian tane con dosatori da installare in ospedale.
Un bel successo. Condiviso tra tanti uomi ni e donne di tutte le età e, soprattutto, di buon cuore. “Tutto vero – dice Vezzaro – so prattutto pensando che all’inizio saremmo stati felici di raccogliere anche mille euro”. Da idea nasce idea? “La rete spontanea di contatti va tenuta viva. Il sogno consiste nell’organizzare, quando sarà consentito, uno spettacolo con tutti i testimonial. Por tare sul palco l’energia e l’entusiasmo che ci hanno unito e hanno coinvolto la gente”. ◆
Romanticismo dell’Ottocento e tecnolo gia del XXI secolo per il Castello di Thie ne, che ha riaperto i battenti da dome nica 24 maggio. E lo fa in grande stile, con una sorpresa per i visitatori: acces so consentito anche al grande Giardino Romantico di circa 12 mila mq, il par co verde riccco di colori e di profumi del centro città, di norma chiuso al pubblico salvo occasioni speciali.
La conclusione del lockdown ha spinto i proprietari del simbolo della Thiene del passato a consentire l’ingresso con mo dalità precise. In sicurezza e in maniera ordinata grazie a un sistema digitale che parte dalla prenotazione obbligatoriada esibire attraverso il telefono cellulare all’entrata - e arriva al “via libera” ogni 15 minuti per i visitatori, dotati di audio-gui da da ascoltare direttamente dal proprio smartphone. Il Castello è aperto tutte le domeniche dalle 10 alle 18. [M.D.Z.]
Sedute di chemioterapia vicine a ca sa e “telemedicina” per le visite di controllo dei pazienti oncologici che non necessitano di presenza fisica del medico. Tra novità e accenni di ritorno alla normalità si delinea il futuro che interessa da vicino le famiglie alle prese con la cura del cancro.
Da lunedì 18 maggio, intanto, Oncologia e Day Hospital hanno ripreso posto nell’o riginaria sede di Santorso, dopo il trasfe rimento temporaneo a Bassano. Di pari passo al ripristino delle attività di Pron to Soccorso e interventi di chirurgia, altri step fondamentali per servire un bacino di circa 120 mila abitanti.
L’Unità Operativa Complessa di Oncologia diretta dal dottor Franco Bassan non si era mai arrestata, ma spostata nel distretto 1.
Due mesi di “esilio” conclusi con il ritorno alle funzioni pre-Covid dell’ospedale Alto Vi centino. Il duplice obiettivo di liberare spazi e di preservare la salute dei malati oncolo gici è stato raggiunto, secondo le intenzioni dell’Ulss 7, limitando al minimo i disagi. “Il trasferimento non ha inciso sulla no stra attività - spiega il primario -, abbiamo
garantito le terapie previste per i nostri pa zienti, attivando servizi di trasporto per chi ne aveva bisogno. Abbiamo mantenuto gli stessi trattamenti chemioterapici giorna lieri, nel rispetto delle norme di sicurezza previste, senza registrare ritardi”. Spirito di adattamento e apertura a nuove modalità di confronto con gli utenti, per coloro che si sottopongono ai controlli di routine. “Come da indicazioni dell’Associa zione Italiana Oncologia Medica, abbiamo modificato le modalità del follow up, privi legiando la valutazione da remoto”. In altre parole, sono state adottate le moda lità della telemedicina: e-mail, telefonate e videochiamate. Tutto ciò non sostituisce il più accurato “faccia a faccia” con il medico in caso di necessità, ma preserva il malato da rischi di contagio. Un utile strumento che continuerà a essere adottato (almeno) fino alla conclusione dell’emergenza. An che grazie, lo afferma lo stesso Bassan, “alla collaborazione da parte di tutti i pazienti”.
O.D.M.
Dopo due mesi di trasloco a Bassano i pazienti in cura con la chemioterapia sono tornati all’ospedale di Santorso.
Dopo un mese e mezzo di chiusura, gli ecocentri hanno riaperto solo su appuntamento ed è stata la corsa alla prenotazione: dopo pochi giorni si riceveva appuntamento due settimane dopo.
Camilla MantellaSiamo rimasti chiusi in casa per due mesi. E in questi due mesi abbiamo occupato il tempo “distrigando”. Abbiamo liberato soffitte e cantine, riordi nato armadi, scoperto magari cimeli di fa miglia affossati in fondo a cassetti dimen ticati. C’è chi, fra i più giovani, ha seguito i video su YouTube che inneggiano a Ma rie Kondo, la guru giapponese del declutte ring che insegna come gettare tutto quello che non si utilizza e fare spazio all’ordine e all’armonia. I meno giovani, invece, si so no concentrati sul giardino e hanno pota to tutto quello che potevano potare, com plici le meravigliose giornate d’aprile (mai successo negli ultimi decenni a Schio che ci fosse sole alle Palme, a Pasqua e pure il primo maggio),.
Insomma, ci hanno chiuso nelle nostre di more e noi le abbiamo tirate a lucido. E poi abbiamo cucinato. Tonnellate di cibo. Piz za, perlopiù. Ma pure dolci, pane, tutta roba che richiede lievitazioni non indifferenti. Il risultato? Abbiamo prodotto una valanga di rifiuti. Ci siamo accorti che i nostri sac chetti gialli e blu si consumavano ad una velocità insuale e chi usciva la mattina per andare al lavoro si stupiva per le monta gnole di sacchetti agli angoli delle strade. Vuoi perchè intere famiglie sono state in casa e hanno consumato insieme colazio ne, pranzo e cena, vuoi perché si sono svuo tati gli armadi, alla fine della Fase 1 ci sono rimasti moltissimi scarti.
E in tutto questo si sono aggiunti gli eco centri chiusi. Perché se il porta a por ta è sempre stato garantito – e in modo puntuale, senza alcuna interruzione del servizio – il conferimento di ramaglie, ingombranti e inerti nei vari ecocentri co munali, invece, è stato sospeso per circa un mese e mezzo per ragioni di sicurezza,
Nei mesi del lockdown le famiglie, costrette a vivere e a consumare tutto in casa, hanno finito col prodourre moltissimi rifiuti, acquistando in molti casi i sacchetti per la differenziata al supermercato. Ma se si passasse alla distribuzione con i dispenser come nel Trevigiano?
dal momento che avrebbero potuto crear si assembramenti.
Quando poi sono stati riaperti su appun tamento, è stata la corsa ad accaparrarsi il posto. Il Comune di Schio ha attivato sia un numero telefonico che un form online per prenotare la propria fascia oraria, ma già un paio di giorni dopo la riapertura degli ecocentri gli appuntamenti erano disponi bili dopo oltre due settimane.
Abbiamo scartato e consumato moltissi mo, insomma. Ma avere a che fare con i propri rifiuti è stato anche un modo per non dare per scontato tutto quello che pro duciamo in casa.
Sul nostro territorio gli scarti sembrano a volte invisibili. Stanno in piccoli sacchetti che, nel giro di una notte, qualcuno porta via dalla nostra vista. Oppure li carichiamo in auto e li depositiamo in grandi cassoni vicino alle Piscine o a Magrè, liberandoce ne velocemente. Ci si è abituati alla diffe renziata – ed è un grande traguardo – ma non ancora a ridurre la produzione di scar ti.
Inoltre, subito dopo lo scoppio dell’epide mia, il Comune di Schio ha sospeso la di stribuzione dei sacchetti per la differenzia ta, suggerendo ai cittadini di comprarne di
uguale colore al supermercato e di esporli in strada per il ritiro senza preoccuparsi di eventuali rifiuti da parte dell’ente gesto re del servizio di raccolta. Una decisione che ha evitato sicuramente qualche spo stamento, ma per il futuro potrebbe esse re utile un investimento più intelligente: da anni, in alcuni Comuni del Trevigiano, sono attivi distributori automatici di sac chetti che funzionano gratuitamente at traverso la tessera sanitaria dell’intestata rio della tassa rifiuti.
Le persone, in questo modo, non perdono l’abitudine di differenziare consapevol mente, non si interrompe il conteggio dei conferimenti del secco (che nel periodo dell’emergenza a Schio è stato sospeso) e si consente di liberare risorse umane im piegate in Comune perché si occupino di procedimenti a maggior valore aggiunto rispetto alla distribuzione di sacchetti per la spazzatura.
Dispenser di sacchetti: un cambiamento utile non solo per evitare contatti nel pe riodo del Coronavirus, ma pure per usare in modo intelligente le risorse disponibi li senza che le persone perdano la consa pevolezza che lo scarto va differenziato e – possibilmente – evitato. ◆
Ci sono i gioielli della corona e quelli... del corona(virus). Amu china, candeggina, mascherine e guanti, farina, tonno, olio, uova, ma anche birra e carta igienica, almeno a inizio pandemia. A fine febbraio, per la prima spesa in era Covid, ci siamo recate al supermercato fi duciose, senza che il dubbio dell’accapar ramento selvaggio ci sfiorasse di striscio. Siccome però la curiosità è insita nella per sona e nella professione, abbiamo chiesto a vari operatori, nonché al direttore, come stavano andando le vendite. Risposta ovvia: benissimo. Domenica 23 e lunedì 24 febbra io, non dicembre, l’incasso è stato identico a quello della vigilia di Natale. Amuchina, candeggina? Chi erano costoro? Introvabi li, e così è stato fino alla fine dell’emergen za. Spesso ci prepariamo il pane in casa, ma ci mancava la farina adatta, quella con uno zero solo; niente, il Forno delle Grucce era già stato assaltato, e la farina 0 è tornata a farci l’occhiolino, in versione multimar che, solo dopo un mese e mezzo. Nella carta igienica era rimasta solo la più costosa: del resto, il coronavirus può provocare anche diarrea, meglio premunirsi. Martedì 24 marzo, un mese dopo, altro gi retto di ricognizione, stavolta con marito al seguito, ma in entrata scaglionata per la spesa ai genitori anziani, rimasti a casa e gelosamente conservati sotto campana di vetro. Al super, ancora amuchina assente, e stavolta varie marche di disinfettanti per la casa pure; però, oltre ai guanti a perde re, all’ingresso abbiamo trovato un liquido contro vari “bài”: considerato che per far la spesa si palpa di tutto e di più, lo spruzzo iniziale e finale era proprio provvidenzia le. Farina e panificati in caduta libera, po ca scelta: era aumentato vertiginosamen
Anche andare al supemercato per fare la spesa, in questi mesi, è diventata un’esperienza del tutto nuova, tra mascherine, guanti, distanze da rispettare, prodotti improvvisamente diventati rari e altri introvabili.
te anche l’uso della farina di mais, magari perché era considerevolmente maggiore il tempo per mescolar polente. Ci ha con solato il fatto che si sono probabilmente estinti gli intolleranti al glutine, specie in forte aumento prima della pandemia. Gli scledensi hanno ampiamente dimostrato di dilettarsi con pane, dolci e paste fatti in casa, perché non c’era più ombra manco
“Il maggior problema è la delega: molte famiglie delegano alla scuola, in toto, l’educazione e la gestione di figli che, diventati sempre più complessi, faticano a capire.
del lievito. Ergo, forte diminuzione degli in tolleranti anche a questo alimento: ma che schiappe eravamo, solo poco tempo fa? Ri tornati invece a far bella mostra di sé ton no e olio, ancora non in splendida forma lo scaffale delle consolatorie birre. Ritorno in grande stile della carta igienica, perché la rassegnazione aveva preso il sopravvento sull’emozione.
Mercoledì 22 aprile, verso la Liberazione, ab biamo proseguito la nostra Resistenza met
tendoci in fila pazientemente con altri in dividui mascherati, ma non loschi, davanti a un vigilante che distribuiva agognati nu merini per l’accesso.Abbiamo trovato farina per il pane, quasi tutta proveniente da mu lini della provincia o, al massimo, di quelle limitrofe. Bene, così si fa. Ancora grande as sente, però, il lievito: fresco, secco o nascosto in qualche confezione per la pizza.
A metà maggio abbiamo notato che scato lame, pasta, riso e olio erano alla normalità, mentre fra i prodotti per la pulizia della ca sa il grande assente, da un paio di mesi, era ancora l’alcool per disinfezione. Speriamo che qualcuno non l’abbia usato per deter gere i propri organi interni, come suggerito da quel fior fiore di scienziato d’oltre ocea no di nome Donald Trump. E dietro l’ango lo… Sorpresa! L’amuchina! Oddio, non pro prio quella inconfondibile coi quadratini rossi, ma una similare. L’abbiamo presa, maneggiata, controllata nei componenti e abbiamo scoperto che acquistandola face vamo una piccola donazione alla Città del la Speranza. Quella speranza che non va mai perduta, mai.
Chissà, forse il peggio è passato. Forse non ha più “da venì ‘a nuttata”, per dirla con De Filippo. E noi, che di teatro ci occupiamo da quarant’anni, adesso aspettiamo che si apra il sipario: non ci basta più la porta au tomatica del supermercato… ◆
L’area, totalmente abbandonata ormai da troppo tempo, potrà diventare l’occasione ideale per realizzare un trait d’union fondamentale tra la città “del vivere” e la città “del fare”.
Stefano TomasoniFinalmente si fa strada il futuro, per l’area ex Lanerossi in zona in dustriale. Dopo l’accordo che era stato rag giunto giusto un anno fa tra il Comune e la proprietà (Gruppo Marzotto), adesso è arrivata la proposta definitiva del Piano urbanistico per il recupero della parte più storica e al contempo strategica della zona industriale scledense. E l’amministrazione comunale l’ha trovata soddisfacente e in li nea con le aspettative di interesse pubblico. Quindi si fa sul serio. Che questa sia un’area storica, per Schio, non c’è alcun dubbio. E qui che tutto è nato, a metà degli anni Sessanta, favorito dall’intuizione del sindaco di allora, Carlo Gramola che capì per primo l’importanza di individuare una grande area al di fuori dell’abitato da destinare a una rete omo genea di insediamenti produttivi. Quei due enormi capannoni bianchi, che visti dall’alto assomigliano a termosifoni e che per decenni hanno tenuto al caldo gli scle densi assicurando lavoro a un gran nume ro di famiglie, furono il punto di partenza. Per costruirli, all’epoca, furono necessarie 2 mila tonnellate di acciaio, 300 tonnellate di alluminio, 20 mila tonnellate di calce struzzo. Giusto per dare l’idea della mole di materiale che ci si troverà a dover demoli re e smaltire. Gli stabilimenti furono aperti alla fine del 1967 con una grande giornata di festa per celebrare i 150 anni di vita del lanificio Rossi.
Che poi quest’area sia strategica è altret tanto evidente, se si pensa alla sua dimen sione e al suo posizionamento: più di 300 mila metri quadrati che compongono un “compound” dalle grandissime potenzia lità produttive ed economiche, trattandosi di uno spazio straordinariamente ampio e compatto che, una volta abbattuti i capan noni, sarà come un enorme foglio bianco su cui disegnare non soltanto il futuro del
È arrivata la proposta definitiva del Piano urbanistico per il recupero della parte più storica e al contempo strategica della zona industriale scledense. E l’amministrazione comunale l’ha trovata soddisfacente.
la zona industriale, ma anche quello della città nel suo complesso. Già, perché l’area può diventare l’occasione ideale per realiz zare un trait d’union fondamentale tra la città “del vivere” e la città “del fare”, evitan do il rischio che la zona industriale, con la “personalità forte” che si ritrova (è gran de 4 milioni di metri quadrati, quasi quan to l’intero Quadrante Europa di Verona ed è forse la meglio disegnata del Veneto), si scolleghi dalla Schio urbana che l’ha gene rata, vivendo per certi versi di vita propria. Ora, dunque, comincia un percorso sicu ramente non breve e non tutto in discesa, visti anche i tempi, ma è come aver tolto il tappo a una piscina: l’acqua inizia a deflu ire.
“Il Piano urbanistico depositato tiene con to della vocazione imprenditoriale del ter ritorio e fa riferimento a quanto di più innovativo vada oggi tenuto in conside razione, in una prospettiva di efficienza e ottimizzazione delle risorse, anche nel ri spetto delle nuove norme di sostenibilità
ambientale e risparmio energetico” com mentano soddisfatti in Comune.
I numeri in ballo danno il senso della po sta in gioco. 110 mila metri quadrati di edi ficato, su cui si interverrà in cinque stralci successivi e con la realizzazione di moduli accorpabili a seconda delle esigenze delle imprese che vorranno insediarsi. Ma poi 27 mila metri quadrati di viabilità interna, 16 mila di parcheggi, 36 mila di marciapie di, 5 chilometri di piste ciclabili, 68 mila di verde pubblico. E ovviamente fibra ottica come se piovesse, produzione di energia rinnovabile, aree di ricarica per auto e bici elettriche.
Ci saranno anche alcuni insediamenti commerciali bisognosi di una certa dimen sione, ma niente ipermercati, come chie devano i Commercianti, giustamente pre occupati che potesse sorgere una specie di centro commerciale alle porte della città, a dare il colpo del kappao al piccolo commer cio locale, già fiaccato dalle dinamiche del la distribuzione di questi anni e da ultimo dal ferale coronavirus.
Ora il Piano urbanistico dovrà passare ovviamente al vaglio della giunta comu nale, e poi ottenere i “via libera” di legge con Valutazione di impatto ambientale e la Valutazione ambientale strategica. Ci sarà anche modo per i cittadini di espri mere pareri e osservazioni. Dopodiché, fra all’incirca un altro anno, tutto sarà pronto per partire davvero. ◆
“Varachebagolo” porta, fra le altre cose, ad ascoltare magari chi non ha le nostre stesse opinioni, nel rispetto e nel dialogo che può e dovrebbe esistere nelle differenze di vedute.
Mirella Dal ZottoPrima della chiusura dei locali di ritrovo, abbiamo accolto l’invito a partecipare a una serata singolare in quel della “Corte Sconta”, birreria (e altro) a San torso, per un format tanto inusuale quanto antico, adottato dagli organizzatori: pub blico libero di andare e venire (ma non di disturbare), di mettersi in gioco raccontan dosi al vicino di tavolo, di ascoltare raccon ti di anziani ricchi di esperienza e di giova ni (nel nostro caso una ragazza straniera) che di esperienze ne stanno facendo mol te in giro per il mondo, di applaudire Giu seppe Dal Bianco lì per suonare i suoi fiati etnici. Il tutto sorseggiando un bicchiere, un caffè, una tisana: un bel filò, animato da un abile presentatore, Morgan Palmas, in grado di mettere a proprio agio tutti i partecipanti.
“Varachebagolo”, così è stata denominata l’iniziativa, è nato una sera dell’autunno scorso dalle idee di quattro amici ‒ Elena Pettinà, Andrea Ballarin, Morgan Palmas e Ugo Resteglian ‒ che si sono detti che forse sarebbe stato interessante condividere al cune delle loro “chiacchiere” con altri, così, semplicemente per fare un po’ di “bagolo”. Ora, a causa della pandemia, il progetto è temporaneamente sospeso, ma gli organiz zatori attendono il via libera per ricomin ciare, pronti ad aggiornare sulle novità nel la pagina Facebook.
Dell’iniziativa abbiamo parlato con Mor gan Palmas, portavoce del gruppo. Beh, complimenti, pubblico numeroso e atten to… la Corte Sconta va bene, è «da filò», ma avete un piano B se il pubblico fosse più nume roso e voleste proseguire con le serate l’autunno prossimo?
“Quando abbiamo parlato del progetto con Christian, titolare del locale di Santorso,
Prima del coronavirus era partita alla “Corte Sconta” di Santorso una stimolante novità tra spettacolo e cultura: un format inusuale con pubblico libero di andare e venire, di mettersi in gioco raccontandosi al vicino di tavolo, di ascoltare racconti di anziani ricchi di esperienza e di giovani. Appena superata l’emergenza, gli organizzatori intendono ripartire.
da subito è stato entusiasta e noi siamo fe lici che la risposta sia stata numerosa fin da subito. In tutta sincerità, fin dal primo evento, il nostro obiettivo non si è mai con centrato sul numero dei partecipanti, ma sulla qualità dei contenuti e sull’apprez zamento da parte di chi interviene. Al mo mento stiamo bene qui”.
Il vostro è un bell’esperimento socio-culturale in tempi di internet: quali sono le ragioni del vo stro piccolo, grande successo?
“Noi ci divertiamo a organizzare le serate, lo facciamo puntando sull’informalità e sulla semplicità: forse proprio per questo ‘Varachebagolo’ piace. Fra il pubblico ci so no persone giovani e meno giovani e que sto è un aspetto interessante del progetto, perché oggi è difficile mettere in relazione le nuove e le vecchie generazioni. Le pri me serate sono iniziate proprio con inter viste a persone di una certa età ed è stato coinvolgente sentire le loro storie. Inoltre, l’invito ad attaccare bottone con il vicino di posto sconosciuto, attraverso delle do mande stimolo, è un’occasione diventata rarissima, e molto apprezzata. Varache bagolo porta, fra le altre cose, ad ascoltare magari chi non ha le nostre stesse opinio ni, nel rispetto e nel dialogo che può e do vrebbe esistere nelle differenze di vedute. È stimolante”.
La programmazione: come viene pensata?
“Abbiamo creato da subito un gruppo su whatsapp per scambiarci informazioni, una pagina facebook per le comunicazioni ufficiali e attraverso dropbox definiamo i file di ogni serata, modificandoli a secon da delle evoluzioni. Questa è la parte tec nologica che facilita l’organizzazione, però quella più bella la viviamo quando ci tro viamo per parlarci vis-à-vis, è lì che raffor ziamo l’amicizia e creiamo incontri; stia mo alimentando la curiosità in una rete di persone che si è affezionata al nostro pro getto e ciò ci testimonia la bontà dell’idea”. Artisti del territorio, storie dei nostri anziani e dei nostri giovani, un occhio al futuro senza dimenticare il passato… bravi, non c’è che dire.
“Varachebagolo ha dimostrato che anche con piccoli eventi è possibile condividere bellezza stando in semplicità assieme al le persone, oggi spesso sole nella bolla dei social network o comunque poco propense, fuori da internet, a relazionarsi su qualche tema interessante con degli sconosciuti.Te niamo però a precisare che non abbiamo in ventato nulla, perché fino a poche decine di anni fa le relazioni umane più belle si tes sevano nei filò delle stalle di tutto il Veneto.
Ora è nelle nostre idee organizzare un nuo vo evento a giugno o a luglio. Male che vada, speriamo di ritrovarci tutti a settembre…”. ◆
Mirella Dal Zotto
La storica compagnia di prosa Schio Teatro Ottanta, fondata da An tonio Balzani e Pietro Bertoncini, dove va iniziare alla fine dello scorso febbraio i festeggiamenti per il suo quarantesimo, forzatamente rimandati dalla pandemia. Il gruppo è una realtà consolidata e sono i numeri a parlare: 155 gli iscritti attuali, dieci in più dello scorso anno, ripartiti nel la Bottega Adulti (36), nella Bottega Giova ni delle scuole superiori (33), nella Bottega Junior per le scuole medie (20), nella Bot tega Junior per le scuole elementari (16). I componenti recitanti in compagnia sono 50. Lo scorso anno Schio Teatro Ottanta ha potuto contare su 3500 spettatori, con una media di 170 a spettacolo/evento. 10 i corsi di formazione organizzati e realizzati nella sede “Il Piccolo Velario”, per un totale di 246 partecipanti.
Parliamo di Schio Tetro Ottanta con Pao lo Balzani, direttore artistico della compa gnia, regista e interprete.
Come si fa a star sulla breccia per quarant’anni? Qual è il segreto di questa longevità?
“Credo che il segreto stia proprio nell’im postazione data in origine dai fondatori, Antonio Balzani e Giampiero Bertoncini che, accanto all’anima tradizionale, hanno sempre lasciato spazio ai giovani, alle loro idee e ai loro progetti. Schio Teatro Ottanta, pur essendo tra le compagnie storiche del Veneto, ha una età media degli interpreti tra le più basse.”.
Qual è, oggi, la strada più innovativa che il gruppo percorre?
“Ritengo sia il teatro corporeo: un teatro universale, senza parole o con solo qualche suono vocale, che lascia spazio alla creati vità fisica senza i tecnicismi della danza. È
La compagnia di prosa “Schio Teatro Ottanta” ha raggiunto i quarant’anni di attività. Il segreto? “Sta nell’impostazione data in origine dai fondatori che, accanto all’anima tradizionale, hanno sempre lasciato spazio ai giovani, alle loro idee e ai loro progetti”, dice il direttore artistico Paolo Balzani.
concentrato sulla pura espressività inter pretativa del corpo e sulle sue forti poten zialità comunicative. Il percorso, che sta incontrando molto interesse, è coordinato da Elena Righele e il suo primo spettacolo, ‘76847: c’è un punto della terra’, ha ottenuto svariati riconoscimenti, vincendo anche il Festival di Matera”.
Innovazione e impegno sono determinanti, ma anche la sana risata, per gli amatoriali, è sempre un obiettivo da perseguire.
“Coinvolgere il pubblico nella risata è me raviglioso ed è incredibile constatare come
L’ impostazione di teatro educativo, attento alla persona e alle sue peculiarità, è per noi una vera e propria missione
la comicità riesca a travalicare anche la lingua e le culture. Nel nostro re pertorio abbiamo opere in italiano e in ve neto, comiche e drammatiche, tradizionali e moderne. Da un paio d’anni è nata pure Skené, su iniziativa di Elisabetta Cocco, con l’obiettivo di portare in scena il teatro clas sico greco, in modo anche innovativo, ma nel rispetto del testo originario”.
C’è, o c’è stato qualcuno, fra i vostri aderenti, che ha imboccato la strada del teatro professionale?
“Sì, qualcuno degli associati ha preso la via della professione teatrale. Si tratta di una scelta di vita più che artistica, in quanto il metodo che proponiamo agli allievi è il costante e continuo studio e allenamento. L’ impostazione di teatro educativo, attento alla persona e alle sue peculiarità, è per noi una vera e propria missione e si fonda sugli insegnamenti di un nostro grande associa to: il professor Giovanni Calendoli”. Avevate programmato tredici appuntamenti per il quarantennale, ma il calendario è stato stravolto dalla pandemia.
“Eh, sì. La quarantena forzata ci ha costret to a ripensare la nostra attività teatrale e la nostra relazione associativa. Abbiamo de ciso di non interrompere i nostri incontri, effettuandoli con le videoconferenze e lan ciando iniziative in grado di stimolare altre forme di espressione recitativa. Così, la pri ma azione è stata una sorta di ribellione, i video #INCUCOVID19, brevi interpretazio ni per far capire che noi teatranti continu iamo a vivere e a diffondere la bellezza della nostra arte; più di cinquanta associati, tra cui molti giovani, hanno risposto interpre tando testi classici, moderni o pezzi scrit ti da loro. Poi è stata la volta di “80voglia diTeatro”, un appuntamento settimanale, ogni venerdì sera, con brevi conversazioni sull’arte drammatica. I corsi di recitazione concluderanno la stagione con registra zioni audio, perché la nostra Bottega vuole produrre sempre nuovi talenti e nuovi pro getti, anche in fase di pandemia”. ◆
Foto Roberto RizzottoIl presidente “Tony” Marchioretto scommette sul vivaio gialloblu ma pretende garanzie dall’alto. Intanto il campionato di serie A2 si chiude in anticipo senza vincitori né vinti.
“SOmar Dal Masotecche incrociate” nel mondo dell’hockeypista. Non certo per protesta ma per necessità. L’emergenza sanitaria ha stoppato tutte le discipline sportive e anche la storica fran chigia dell’Hockey Thiene ha dovuto frena re sui pattini a rotelle, e riporli – tempora neamente è l’auspicio degli appassionati dei colori gialloblu – negli armadi del Pa laceccato.
Sport di squadra e pure di contatto, che si pratica in palestre e palasport indoor, l’hockey vede il futuro disseminato di in cognite. Proprio a Thiene “resiste” uno dei club più longevi del panorama italiano, na to nel 1957 e che vanta un vivaio da sem pre molto farcito e attivo, prolifico di talen ti. Circa 120 i tesserati attuali di una delle roccaforti in Italia, che nei primi anni ‘90 lottava per lo scudetto e la Coppa Cers eu ropea e oggi si trova con la prima squadra
in serie A2 e nove team “baby”. Dalla secon da squadra di B all’Under 19 in giù fino al minihockey, in tutte le categorie giovani li nelle varie fasce d’età. Tutti “armati” di stecca di legno, pallina, pattini a quattro rotelle in stile amarcord e, soprattutto, di tanta passione per uno sport che sa di poe sia abbattendo mode e decenni per soprav vivere fino ai giorni nostri.
Presidente da oltre 25 anni è Antonio Mar chioretto. Che si è ritrovato tra le mani più di una patata bollente da quando alla terza decade di febbraio scoppiò il primo foco laio in Veneto. Il 22 febbraio si gioca, Thie ne batte Modena, seconda in classifica, per 6-3. Recuperando terreno in ottica playoff. Tutto rimane in bilico nei giorni successi vi, fino alla trasferta prevista per il 29 dello stesso mese.
“Quel sabato – spiega Marchioretto – dove vamo partire per la Toscana per disputare alla sera il match contro la capolista Gros
seto. Dopo una serie di telefonate, alla fine siamo rimasti a casa: in extremis la Lega ha deciso di bloccare tutto, tenendo conto che tra Veneto e Lombardia, già zone più a rischio, si trova la fetta più consistente di club che praticano l’hockey. Da quel giorno non si è più giocato”.
Poi tanta incertezza, da parte di chi go verna il mondo dello sport, che si abbina a quella di tutti. Giocatori, allenatori, diri genti e tifosi sono travolti da i timori dell’e pidemia nel nord Italia prima di espan dersi e tramutarsi in pandemia. “In quei giorni – continua Marchioretto, che da 27 anni regge il timone thienese - come so cietà siamo stati attenti a ciò che succede va intorno, avendo anche la responsabilità della gestione del palazzetto, fino a quando è arrivato l’ordine di chiudere”.
Il salto temporale di tre mesi porta ad og gi. Giorni di sblocco, di relativa libertà di movimento ma ancora di immobilità so stanziale per chi pratica sport di squadra. E dopo un limbo in cui si sono ricevute più domande che risposte.
Da qui in poi cosa accadrà all’hockey e al suo club? Serve una sfera di cristallo?
“A livello sportivo, di fatto la stagione è sta ta annullata. Non ci sono né vincitori né vinti. Saliranno in serie A1 le migliori Gros seto e Modena e nessuno retrocederà dal piano superiore. Riguardo al futuro non possiamo che prepararci a ogni scenario e garantire di portare avanti la nostra sto ria e la nostra passione”. Thiene, dunque, chiude al 6° posto, con il podio ad appena tre punti.
Tanta buona volontà, dunque, condivisa con lo staff di collaboratori, ma c’è anche preoccupa zione.
“Servono direttive chiare dall’alto. Come presidente non mi vergogno a dire che so no terrorizzato dal problema della respon sabilità civile e penale, su questo aspetto va trovata una soluzione. Dobbiamo ricevere garanzie e sapere come comportarci con i giocatori prima di tutto. Tra i dirigenti ab biamo individuato una persona qualificata che svolgerà il ruolo di addetto sanitario. È un primo passo importante. Sul piano pra tico disponiamo di una palestra ampia, che si può dividere in tre zone separate da teli semovibili dove allenarsi con il distanzia mento richiesto a gruppi di lavoro di 4-5 giocatori. Semmai il problema rimangono gli spogliatoi: l’impianto è utilizzato da più associazioni. Impossibile pensare a sanifi carli dopo ogni allenamento. Vedremo qua li disposizioni saranno decise, non ci resta che attendere e non mollare”. ◆
Ho preso lo spunto da un articolo apparso sul Giornale di Vicenza del 30 aprile u.s. ri guardante la didattica virtuale per i bam bini dell’asilo Comunale, che informava circa il fatto che le insegnanti, con ragio ne, non si sono fermate a causa della pan demia. Ebbene posso assicurare che nem meno le scuole Paritarie del territorio sono state a guardare. Passato il primo momento di comprensibile turbamento e confusio ne, già dall’11 marzo la Scuola per l’Infanzia Paritaria San Domenico Savio di Magrè con la quale da dodici anni collaboro come vo lontario, si è rimessa al lavoro per assistere i genitori e soprattutto per non far man care ai bambini quel supporto, quel calo re che quotidianamente fino a poco prima potevano attingere dalla struttura scolasti ca e tutto quanto riguarda la didattica. Non siamo più “all’Asilo”, quello che an ch’io ho frequentato tanti e tanti anni fa proprio in queste aule a Magrè, anzi l’aula era una sola. Certo l’ambiente non è più lo stesso, ci mancherebbe, ma a parte le au le spaziose e luminose, le attrezzature, il
grande giardino interno ombreggiato, con i giochi fissi e mobili, che permette di muo versi in libertà, la mensa sotto controllo dei dietologi, interna alla Scuola che quotidia namente sforna piatti espressi e mai pre confezionati, e molto altro ancora, tutte co se impensabili ai miei tempi!
Ma quello che in questo momento deve es sere prioritario, è trasmettere continuità al la didattica e alla programmazione: gli ela borati sono stati trasmessi in video e con fotocopie da scaricare, il calendario settima nale, un video di sostegno alle mamme per il loro impegno. Tutto via Whatsapp, mail, o scaricabile dal sito internet sempre aggior nato con didattica a distanza.
Le Scuole dell’Infanzia Paritarie in questo momento si sentono non a torto discrimi nate; il personale è da tutelare garantendo i diritti di tutti i lavoratori e, soprattutto, cosa succederà a settembre? Ma la Scuola ha richieste anche per i centri estivi e allo scopo già si sta attrezzando (una insegnan te per cinque bambini?!). Qui gli spazi for tunatamente ci sono, ma i costi?
Bisogna anche riconoscere che fortunata mente il Comune di Schio si è impegna to molto per supportare anche concreta mente, in modo che siano mantenute in vita queste realtà in questo momento di particolare difficoltà, e lo ringraziamo. Forse si è finalmente pienamente com preso che lo spirito è ormai più didattico che solo ludico, preparatorio alla Primaria e oltre: qui ci sono i figli, i nipoti (anche i miei), che saranno i cittadini di domani e non è retorica quando si pensa al… futu ro, parola che sembra far pensare a chissà quali tempi. Ma il futuro e già qui, è do mani!
Volontario sul pulmino della Scuola
Utile sottolineatura, in effetti lo sforzo che tut te indistintamente le scuole dell’infanzia locali hanno fatto in questi mesi per mantenere con tatti costanti con i bambini, in un’età così im portante per la crescita, è stato lodevole. Anche negli altri ordini di scuola, certo, ma lì era do vuto per legge. La speranza ora è che, trascorsa l’estate, ogni cosa ritorni al proprio posto per tutti. [S.T.]
Dove si trova il pane? ovviamente nei pa nifici, ma anche nei supermercati, dove c’è di tutto. Non ho mai amato il pane indu striale, né quello refrigerato e riscaldato; preferisco quello che nasce ogni mattina dall’impasto fresco e naturalmente lievita to del bravo artigiano del forno. Il fornaio oggi vende anche il pane; ma trovi spesso dolciumi; è un angolo ricco di squisitez ze, di golosità, di leccornìe di vario gene re. I dolciumi sembrano una piccola gioia, adatta a compensare le avversità della vita e della natura., che magari ti punisce con il diabéte.
La fotografia qui riprodotta ritrae una serie di dolci “gatò”, prodotti dal fornaio di via Fusinieri a Schio, in cui opera anche un pa sticciere di Venezia, la città in cui il pane e i dolciumi sono una ghiottoneria. Tutta via va detto che il gatò non è una speciali tà scledense né veneziana, né francese: in Francia “le gateau” significa il dolce, la tor ta. La pasticceria Cauduro, già di Gioachi no Dalla Ca’, fu la prima a far conoscere a Schio il gatò, che proviene da Mantova, do ve ancor oggi si può gustare nelle pastic
cerie sotto il nome di torta Helvetia o Hel vezia, molto probabilmente importata dal nord, quando nel 1707 la città di Mantova dei Gonzaga passò sotto l’influenza degli austro-ungarici.
La ricetta fu acquistata da Alessandro Cau duro in una pasticceria di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Mio padre – me lo disse lui stesso - aveva accompagnato in auto il Cauduro nel Mantovano , proprio per que sto scopo.
Oggi la ricetta non è più un segreto: mol ti hanno lavorato nella pasticceria Caudu ro e quindi l’hanno conosciuta. Ma quello che noi veneti chiamiamo “el soramàn ego”, cioè l’abilità, la pratica, l’esperienza, fa la differenza. Il segreto non consiste tanto nello zabaione, nella crema di burro con cui è farcito il dolce prelibato, ma nella composizione delle tre anime di mandorle, che devono essere delicate, gustose, morbi de, fragranti.
La pasticceria Cauduro, prima produttrice del dolce mantovano, si è trasferita in peri feria, nella zona dei supermercati; in cen tro produce il gatò la pasticcera Sbabo, fra
il duomo e piazza del bao. Ma altri cercano di presentare il gatò: ognuno può provare e poi scegliere quello che preferisce, a se conda dei gusti. Tuttavia il gatò vero è in confondibile.
Giuseppe Piazza