A VENT’ANNI DALLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO: DAL DISSENSO ALLE NUOVE TENDENZE
MittelFest 2009 si fa in tre, con un ricco e interessante programma artistico ripartito equamente nelle sezioni prosa, danza, musica. Appuntamenti prestigiosi, proposti da Claudio Mansutti con la musica classica e contemporanea, come quelli con Philph Glass e la Nona di Beethoven, produzioni di grande interesse culturale firmate MittelFest e curate da Furio Bordon; ma anche due novità coreografiche proposte da Walter Mramor, con uno spettacolo imperdibile dedicato al mitico Nureyev e un Galà dedicato alle più straordinarie etoiles della danza mondiale. Tre camei, inoltre, da non perdere, realizzati da Marco Maria Tosolini intitolate ”Musiche dall’Inferno”. Una serie di spettacoli dedicati al Teatro di figura, curato dall’esperto Roberto Piaggio. Tre anche le direttrici sulle quali il festival si muoverà: quella artistica, quella istituzionale che prevede forum e incontri con personaggi legati in vario modo alla caduta del Muro di Berlino e alla Nuova Europa, quella turistica, dedicata ai must dell’enogastronomia locale con ogni giornata del Festival dedicata a ognuno degli straordinari vini autoctoni della Doc Colli Orientali del Friuli con un vasto programma di visite alle cantine vitivinicole. E ancora tante occasioni che faranno, speriamo, di questa edizione del MittelFest una vera, godibilissima kermesse internazionale.
PRESIDENTE Antonio Devetag 1
INDICE
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MITTELFEST SI FA IN TRE di Antonio Devetag ........................................................................................................................................
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LA PROSA di Furio Bordon ........................................................................................................................................................................... 10 LA MUSICA di Claudio Mansutti ................................................................................................................................................................. 26 LA DANZA di Walter Mramor ...................................................................................................................................................................... 44 IL TEATRO DI FIGURA di Roberto Piaggio .................................................................................................................................................
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MITTELINCONTRI .........................................................................................................................................................................................
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MITTELGUSTO ...............................................................................................................................................................................................
62
MITTELWINE .................................................................................................................................................................................................. 64 MITTELIMMAGINI ........................................................................................................................................................................................
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CIVIDALE DEL FRIULI, città del MittelFest.................................................................................................................................................
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CALENDARIO SPETTACOLI PRE-FESTIVAL orario luogo LUN 13
PHILHARMONISCHES STREICHQUINTETT BERLIN
MER 15 SE POTESSI MANGIARE UN’IDEA GIO 16
STATIO AD SEXTUM Cunvigne a Sante Marie in Sylvis
VEN 17 TUTTOSTRAVINSKY
2
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MUSICA
21.00 Chiesa San Francesco
4
PROSA
21.00 Teatro Ristori
5
PROSA
21.00 Teatro Ristori
6
MUSICA
21.00 Chiesa San Francesco
7
CALENDARIO SPETTACOLI FESTIVAL orario luogo ALL’OMBRA DELL’OLMO MARIO BRUNELLO E GIANMARIA TESTA PROVE D’EUROPA
TEATRO DI FIGURA MUSICA
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PROSA/MUSICA/DANZA/VIDEO
18.00 Piazza P. Diacono 19.45 Chiesa San Francesco 21.30 Piazza Duomo
59 28 9
MUSICA TEATRO DI FIGURA PROSA TEATRO DI FIGURA MUSICA DANZA
11.30 18.00 19.00 19/21 21.30 22.00
Chiesa San Francesco Teatro Ristori Chiesa Santa Maria dei Battuti Vie di Cividale Piazza Duomo Convitto Nazionale P. Diacono
29 58 12 59 30 46
PROSA PROSA PROSA DANZA
19.00 20.30 21.30 22.00
Teatro Ristori Chiesa Santa Maria in Corte Chiesa Santa Maria dei Battuti Convitto Nazionale P. Diacono
13 14 16 48
PROSA MUSICA DANZA
20.00 Teatro Ristori 20.00 Chiesa San Francesco 22.00 Convitto Nazionale P. Diacono
15 32 49
18.00 19.00 20.00 21.30 22.00
Castello Canussio Chiesa San Francesco Teatro Ristori Piazza Duomo Chiesa Santa Maria dei Battuti
33 34 19 50 17
MUSICA MUSICA TEATRO DI FIGURA PROSA DANZA
16/19 19.00 19.00 20.30 22.00
Vie di Cividale Chiesa San Francesco Teatro Ristori Chiesa Santa Maria in Corte Convitto Nazionale P. Diacono
56 35 58 20 51
MUSICA MUSICA PROSA MUSICA DANZA
16/19 18.00 19.00 21.30 22.00
Vie di Cividale Castello Canussio Teatro Ristori Piazza Duomo Convitto Nazionale P. Diacono
56 38 21 37 52
MITTELMUSICA Il Rinascimento Friulano L’ORECCHIO DI BEETHOVEN COME GLI ETRUSCHI USCIRONO DALLA CRISI COME LE MOSCHE D’AUTUNNO LA NONA DI BEETHOVEN MALINCONIA DELLE SCIMMIE SITE SPECIFIC
MUSICA MUSICA TEATRO DI FIGURA PROSA MUSICA PROSA DANZA
16/19 17.30 18.00 19.30 21.00 22.30 23.00
Vie di Cividale Chiesa San Francesco Chiesa Santa Maria dei Battuti Chiesa Santa Maria in Corte Convitto Nazionale P. Diacono Teatro Ristori Convitto Nazionale P. Diacono
56 39 59 22 40 23 53
DOM 26 TRIO KARVAY-KARANOVIC-STROISSNIG MITTELMUSICA Tradizione / Innovazione In Friuli... MUSICHE DALL’INFERNO LiberArti FuturIsmi AntiDeologici FAGIOLINO DOTTORE SUO MALGRADO CORO POLIFONICO DI TIRANA LA MIA PRIMAVERA DI PRAGA ECLISSE TOTALE STELLE DELLA NUOVA EUROPA - Gran gala di danza 3
MUSICA MUSICA MUSICA TEATRO DI FIGURA MUSICA PROSA PROSA DANZA
11.30 16/20 18.00 18.00 18.45 19.00 20.30 22.00
Chiesa San Francesco 41 Vie di Cividale 56 Castello Canussio 42 Piazza P. Diacono 59 Santuario di Castelmonte - Prepotto 43 Teatro Ristori 24 Convitto Nazionale P. Diacono 25 Piazza Duomo 55
SAB 18
DOM 19 MARIO BRUNELLO E L’ORCHESTRA D’ARCHI ITALIANA THE STORY OF THE GIRL IN BLUE IL CIELO CALANTE / LOWERING SKIES GRANCONCERTO PER MARIONETTA E PIANOFORTE PHILIP GLASS - AN EVENING OF CHAMBER MUSIC SUTRA LUN 20
NON CHIAMARMI ZINGARO MURI - Prima e dopo Basaglia MEDEA’S SCREAM CHOPIN - VUKAN - FÖLDI: VISUAL NOTES
MAR 21 SIGNORA MADRE, PADRE MIO CARO MOSCOW ART TRIO IN CONCERTO BACCANTI
MER 22 MUSICHE DALL’INFERNO L’orchestra delle ragazze di Auschwitz MUSICA PENDERECKI e i filarmonici del Teatro Comunale di Bologna MUSICA ORSON WELLES’ ROAST PROSA VOGLIO ESSERE LIBERO DANZA LA MUSICA PROSA GIO 23
MITTELMUSICA Ungheria-Friuli: Il Violino MARIO BRUNELLO Orch. Sinf. Teatro G. Verdi, Trieste ZLATOVLÀŠKA - RICCIOLI D’ORO IL LACCHÈ E LA PUTTANA NERVI - IL CORPO EROICO
VEN 24 MITTELMUSICA La Ricerca Etnomusicologica In Friuli... MUSICHE DALL’INFERNO - Musica delle costole THE OTHER SIDE BABA ZULA & THE SOUND OF ISTANBUL DIDONE ED ENEA SAB 25
Pre-festival
MUSICA
LUN 13 luglio 21.00
Philharmonisches Streichquintett Berlin
Chiesa San Francesco
Aleksandar Ivic - violino, Romano Tommasini - violino, Wolfgang Tarliz - viola, Solene Kermarrec - violoncello, Janusz Widzyk - contrabbasso A. L. Dvorak: Quintetto in mi b maggiore op.97 1. Allegro non tanto - 2. Allegro vivo - 3. Larghetto - 4. Finale. Allegro giusto G. Rossini: Sonata a quattro n°3 in do maggiore 1. Allegro - 2. Andantino - 3. Allegro (Presto) A. L. Dvorak: Notturno per quintetto d’archi in si maggiore op.40 2 walzer op.54/1 e 54/2 P. I. Tschaikovski: Andante Cantabile J. Strauss Ii: Polka - da “Rosen aus dem Süden” (La rosa del sud) Czarda - da “Die Fledermaus” (Il Pipistrello) GERMANIA
Una importante formazione cameristica che arriva da una delle più importanti orchestre mito del mondo, quella dei Berliner Philharmoniker, con un programma tutto di autori mitteleuropei, ad esclusione del nostro Rossini che, come una ciliegina sulla torta, impreziosisce sempre, ovunque lo si trovi.
Fondato nel 2005 su iniziativa della giovane violoncellista russa Tatjana Vassilieva, il Philharmonisches Streichquintett Berlin è un ensemble di alto livello composto da musicisti legati oltre che dall’amicizia anche da un’esperienza pluriennale nella musica da camera e nobilitato dalla presenza di tre musicisti di fama internazionale. Nato all’interno di una delle più importanti orchestre del mondo, i Filarmonici di Berlino, l’ensemble ha l’intento di approfondire l’interpretazione dei capolavori per quintetto di Mozart, Brahms, Dvorak, Bruckner, presentando nel loro repertorio anche trascrizioni molto efficaci di composizioni scritte originariamente per differenti organici.
4
L’autore ceco Antonin Leopold Dvorak tiene banco sul programma con il bellissimo quintetto in mi b maggiore op.97, suddiviso in 4 tempi. E’ un quintetto questo scritto nell’estate del 1893 durante il suo soggiorno americano. Aveva terminato da poco la famosa sinfonia “Dal nuovo mondo” e il quartetto op 96 “americano”e stava riposando con la famiglia a Spillville, in Iowa, presso la comunità dei primi emigranti cechi in America. Tutta questa opera americana risente del nuovo spirito di questa terra, spirito però che non annulla quell’influenza boema che non lascerà mai del tutto l’autore. Dvorak era negli Stati Uniti in qualità di direttore del Conservatorio di New York e vi rimase dal 1892 al 1895. Fu proprio lì in Conservatorio che venne a conoscenza della musica tradizionale americana, in particolar modo degli Spirituals delle comunità afro-americane. Fu il compositore di colore Harry Borleigh, conosciuto da
Dvorak come suo allievo e successivamente come buon amico, che lo introdusse a tutto questo. Di più di un decennio precedente sono sia il notturno in si maggiore op 40 che i due valzer op 54, nel periodo in cui Dvorak era ancora nella bella Praga e con la sua musica suscitò la meraviglia del suo quasi contemporaneo Brahms che lo volle conoscere. Il grande pubblico ha sempre conosciuto poco l’attività da camera del grande e geniale operista italiano Giocchino Rossini, proprio perché la sua opera vocale ha fagocitato la sua pur importante opera strumentale. Le sei sonate a quattro per archi, di cui stasera sentiamo la n° 3 in do maggiore in una trascrizione per quintetto, furono ritrovate dal compositore italiano Alfredo Casella nel 1940. Rossini le aveva scritte quando era solo dodicenne (1804) e le dedicò al suo amico e mecenate Agostino Triossi. Le scrisse in soli 3 giorni. Il programma prevede infine alcuni brani di grosso impatto sugli ascoltatori; l’Andante Cantabile di Pjotr Iljic Tschaikovski, che vede il violoncello come solista in un tema di una bellezza assolutamente estasiante, arriva dal secondo movimento del quartetto per archi op. 11 del 1871, che lo stesso autore isolò e trascrisse successivamente per violoncello e orchestra d’archi nel 1888 (anche questo brano è qui in una ulteriore trascrizione per quintetto d’archi). La sua prima la si ebbe a Parigi proprio con la direzione dello stesso Tschaikovski. I due brani di Johann Strass Junior chiudono la serata. Sono due danze che arrivano da altrettante e celebri operette. Inutile dire che sono due brani spumeggianti, frizzanti, come solo la Vienna “fin de siecle”, di cui Strass ne interpretava appieno lo stile, sapeva dare.
Pre-festival
PROSA
MER 15 luglio 21.00
Se Potessi Mangiare un’Idea
Teatro Ristori
Gioele Dix ripercorre le tappe più significative dell’opera del Signor G, attraverso l’esecuzione di brani accompagnati da un’articolata e approfondita elaborazione teorica sull’importanza e l’attualità del pensiero di Gaber.
Gioele Dix racconta Giorgio Gaber drammaturgia e regia Gioele Dix con Silvano Belfiore pianoforte e tastiere, Savino Cesario chitarre produzione Fondazione Giorgio Gaber ITALIA
Gioele Dix inizia il suo percorso di attore nella seconda metà degli anni settanta con la Cooperativa “Teatro degli Eguali”, della quale è fondatore e animatore con altri appassionati compagni di strada. Partecipa poi a diversi allestimenti importanti accanto a registi (Gabriele Salvatores) e primi attori (Antonio Salines, Franco Parenti) grazie ai quali affina le proprie capacità interpretative. Dal 1986 intraprende la carriera di solista comico, esibendosi dapprima nei locali di cabaret e in seguito approdando con successo in televisione. Nel 1997 è chiamato dalla Gialappa’s Band a “Mai dire gol”, trasmissione di culto all’interno della quale per quattro stagioni inventa personaggi comici di grande successo. Dal 2000 in poi la sua attività teatrale è tutta all’insegna della collaborazione con registi, musicisti e coautori di prestigio, per interessanti e a volte coraggiosi esperimenti drammaturgici. Fra i tanti titoli: “Cuori pazzi” da testi di Altan e “Corto Maltese” da testi di Ugo Pratt e con musiche di Paolo Conte per la regia di Giorgio Gallione; “Mappa del nuovo mondo” dalle poesie di Derek Walcott con Stefano Bollani ed Enrico Rava; “Edipo.com”, rilettura di Sofocle scritta con Sergio Fantoni; “Tutta colpa di Garibaldi” sempre per la regia di Sergio Fantoni, coautore insieme a Nicola Fano; “La Bibbia ha (quasi) sempre ragione”, esegesi teatrale a cura di Andrée Ruth Shammah con la partecipazione al pianoforte di Cesare Picco. Dal 2007 Gioele Dix entra a far parte del cast televisivo di “Zelig” con i nuovi monologhi del suo personaggio comico più famoso: l’automobilista sempre incazzato. Nella prossima stagione, oltre che in tv, sarà ancora in tournée con il suo fortunato one man show “Dixplay”, accompagnato dall’eclettico maestro Bebo Best Baldan.
Se potessi mangiare un’idea è uno spettacolo recital nel quale Gioele Dix ripercorre le tappe più significative dell’opera del Signor G, attraverso l’esecuzione di brani accompagnati da un’articolata e approfondita elaborazione teorica sull’importanza e l’attualità del pensiero di Gaber. Tratti dal vasto repertorio musicale e teatrale dell’Artista, si va dagli anni ’60, in cui Gaber è garbato “chansonnier”, all’innovazione del Teatro Canzone degli anni ’70, fortemente voluto dal Piccolo Teatro di Milano, all’impronta cantautorale con le fondamentali composizioni degli anni ‘90. L’attore Dix affronta con passione la totalità dell’eredità gaberiana, da “Goganga” a “Il Conformista”, da “Il corpo stupido” a “L’amico”, facendo rivivere la storia di tutto il Teatro Canzone di Gaber - Luporini, la cui portata culturale è di strettissima attualità. I temi spaziano dal politico, al sociale, all’amore , vere e proprie provocazioni e analisi che si ritrovano in spettacoli come “Anche per oggi non si vola”, “Far finta di essere sani”, “Dialogo fra un impegnato e un non so”, fino a “Un’idiozia conquistata a fatica”. Gli spettacoli di Gioele Dix sono parte delle opere più significative della drammaturgia contemporanea, capaci di avvicinare il pubblico più giovane alla nobile e insostituibile arte del teatro, spesso sono premiati con il biglietto d’oro dell’Agis. A Gioele Dix, che in scena è accompagnato da Silvano Belfiore al pianoforte e da Savino Cesario alla chitarra, si deve anche la regia e la drammaturgia dello spettacolo.
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Pre-festival
PROSA
GIO 16 luglio 21.00
Statio Ad Sextum
Chiesa Santa Maria in Corte
Cunvigne a Sante Marie in Sylvis testo mons. Pietro Biasatti musiche Giovanni Zanetti, costumi Claudia Contin, sartoria artigianale Giovanna Foschia, artigianato di scena Luigi De Clara regia Ferruccio Merisi cori: Pulchra es Corale (dir. Erica Zanin), cantorie parrocchiali di Bertiolo e Pozzecco (dir. Giancarlo Schiavo), Piccolo Coro “Artemìa” di Torviscosa (dir. Denis Monte), Coro degli Àvari (dir. Giovanni Zanetti) maestri collaboratori Marta Sedran e Carlo Rizzi orchestra ottoni Harmonie Brass Ensemble dell’Associazione Culturale San Gandino di Porcia Orchestra Musica Antica Ensemble Dramsam di Paolo Cecere Solisti: Abate - Ugo Zanin, Romilda - Milena Ermacora, donna sola - Erica Zanin, Dux Cacanus - Nicola Pascoli, soldato solo - Sebastiano Zappalà, frate solo - Giancarlo Schiavo, voci bianche - Alessandro De Luca e Giorgia Fabrizi, lector hebdomadarius - Fabio Turchini direttore Giovanni Zanetti ITALIA
L’incontro tra la civiltà latina cristiana e quella e la civiltà longobarda viene rappresentata nell’Abbazia di Santa Maria in Sylvis, a Sesto al Reghena. In quel luogo, nell’ottavo secolo, i longobardi si erano riuniti attorno alla regola benedettina, ed è quello il momento che viene qui rappresentato utilizzando la lingua latina, paleoslava e germanica.
Don pietro Biasatti Santon, prete della parrocchia di San Giorgio in Borgo Grazzano di Udine, ha scritto molto di poesia e teatro. Per il teatro in italiano vanno ricordate Le Tre Visitazioni e il Ritorno di Babbo Natale. Per il teatro friulano ricordiamo Meracul in Badie (1991), La Flabe di Done Aquiline dal Borc di Grezzàn (1995) e Cunvigne a Sante Marie in Sylvis
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In mezzo alla foresta vergine di querce, estesa senza interruzione dal fiume Livenza al Tagliamento, presso il villaggio latino posto a sei miglia dalla città di Concordia sulla strada che menava al castrum di Ragogna, tre nobili longobardi - Erfo, Anto e Marco - edificarono un’abbazia. Chiamarono a reggerla i monaci benedettini e vi si ritirarono anch’essi in vita di preghiera. Erano gli anni fra il 741 e il 745. Il Patriarca di Aquileia, Callisto, aveva appena trasferito la sua residenza dal castello di Cormòns alla città di Forum Iulii, che noi chiamiamo Cividât, preferendo dare il nome di Friúl alla regione che tutti questi luoghi comprende. Poco più tardi, nel 762, il nuovo patriarca Sigualdo avrebbe accolto sotto la sua immediata protezione il nuovo monastero di Sextum in Silvis, la cui fabbrica era destinata a durare imponente e bella, insigne ornamento della Chiesa patriarcale - fino a oggi, inizi del III millennio. L’identità del popolo friulano si è formata, in seno alla cristianità latina aquileiese, come sintesi di tre componenti culturali di base, la celtica dei Carni, la romana dei coloni di Aquileia, la longobarda dei fondatori dello stato ducale entro i cui confini poi la Patria del Friuli si sarebbe riconosciuta. Vi si aggiunge quel ramo degli Slavi meridionali - gli Sloveni - che si affacciavano sulle Alpi Giulie al seguito della stirpe turca dei bellicosi Àvari, al tempo dei Longobardi, per poi colonizzare pacificamente a macchia di leopardo la bassa pianura, dov’era spopolata. Questo stesso popolo friulano e le anime che si fondono nella sostanza della sua identità, è coralmente il protagonista della Statio ad Sextum, ideata da Pietro Biasatti secondo la forma drammaturgica della “sacra rappresentazione”, che proprio in un chierico di Sigualdo - il cividalese Paolino (730 ca. - 802), appena un ragazzo quando i figli di Piltrude fondavano la loro abbazia - trovò uno dei
suoi creatori. In un concitato contrappunto di voci latine, slave e germaniche, addensate nell’eloquio romanzo del Friuli, si dipana una traccia lirica collettiva, dolente e penitente, ma visionaria, avventurosa: orientata quindi a un futuro che l’esperienza della fede nel Cristo deposto dalla croce lascia presentire come luogo di salvezza. Il diacono cividalese Paolo di Varnefrido (730 ca - 799), destinato a sopravvivere alla rovina della sua stirpe longobarda, fu, come il coetaneo latino Paolino, capace al meglio di rappresentare schiettamente la peculiare vocazione aquileiese alla sintesi, contribuendo con originalità allo sviluppo di una nuova Europa, al compiersi della sua palingenesi cristiana e barbarica. E Paolo appunto - incline all’introversione, mentre contempla un passato indistricabile dalle inquietudini del proprio vissuto e dalle idealità rimpiante o sperate - suggerisce durante la Statio ad Sextum la materia epica indispensabile alla suggestione narrativa: episodi gia leggendari al tempo di Paolo, quando di li a breve, nel 776, il popolo longobardo sarebbe uscito dalla storia, vinto dai Franchi di re Carlo, ma assorbito nel circolo della linfa che nutriva con impeto anche la crescita dei Friulani verso la maturità della loro coscienza in un futuro ravvivato di memorie.
Pre-festival
MUSICA
VEN 17 luglio 21.00
Tuttostravinsky
Chiesa San Francesco
pianoforte a 4 mani Diego & Fabio Gordi Igor Stravinsky (1882-1971) Petrouchka (1911) - Scènes burlesque en quatre Tableaux Premier tableau - Fète populaire de la semine grasse, Le tour de passe-passe, Danse russe Deuxième tableau - Chez Pétrouchka Troisième tableau - Chez le maure, Danse de la ballerine, Valse (La ballerine et la maure) Quatrième tableau - Fète populaire de la semine grasse (Vers le soire), Danse des nounous, Danse des cochers et des palefreniers, Les désguisès Le sacre du printemps (1913) Première Partie - L’adoration de la terre 1.Introduction - 2. Les augures printaniers (Danses des adolescents) - 3. Jeu du rapt - 4. Rondes printanières - 5. Jeaux des citès rivales - 6. Cortège du sage - 7. Le sage (Danse de la terre) Seconde Partie - Le sacrificie 1. Introduction - 2. Cercles mystèrieux des adolescents - 3. Glorification de l’èlue - 4. Evocation des ancètres 5. Action rituelle des ancètres - 6. Danses sacrale (L’èlue) trascrizione per pianoforte a quattro mani dell’autore ITALIA
Il grande compositore russo Igor Strawinski in due dei suoi balletti russi più rappresentativi, in una trascrizione per pianoforte a 4 mani, fatta da lui stesso, interpretata da uno dei duo pianistici più rappresentativi della scena italiana ed europea. Diego e Fabio Gordi sono oggi ritenuti tra i maggiori duo pianistici italiani ed europei. Formatisi al Conservatorio “G. Verdi” di Milano, si specializzano poi con i maestri Campanella, Lonquich e Conter. Vincitori di numerosi premi di concorsi internazionali, tra cui il “Città di Stresa”, hanno tenuto concerti in molte città italiane ed estere, tra cui Milano (Piccolo Teatro), Venezia, Bologna, Buenos Aires, Vienna, Monaco di Baviera, Stoccarda, Granada, Lisbona. Hanno al loro attivo numerose registrazione per Radio Rai e BBC, nonché diverse registrazioni discografiche.
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Igor Stravinskij lasciò la Russia per la prima volta nel 1910, a ventotto anni, dirigendosi a Parigi per assistere alla prima del suo balletto L’oiseau de feu. Durante il suo soggiorno a Parigi, compose altre due opere per i balletti russi: Petrushka e La sagra della primavera. Da questi balletti si può comprendere il suo cammino stilistico; da L’uccello di fuoco, il cui stile si accosta ancora a quello di Rimskij Korsakov, alla bitonalità di Petrushka, alla dissonanza polifonica e selvaggia della Sagra della primavera. Come lui stesso disse, con queste prime opere la sua intenzione era di mandare il pubblico “a quel paese”. E ci riuscì: la première della Sagra nel 1913 si trasformò in una sommossa. Petrouchka fu uno dei primi balletti fra quelli creati dal coreografo Michel Fokine, e fu composta durante l’inverno del 1910-1911. Fu rappresentata per la prima volta al Théâtre du Chatelet di Parigi il 13 giugno 1911. Nonostante il successo della rappresentazione, alcuni critici furono spiazzati dalle musiche impervie, dissonanti, talvolta grottesche. Ad un critico che, dopo una prova generale, chiese: “Ci avete invitato qui per sentire questa roba?”, Diaghilev rispose laconico: “Esattamente”. La storia è basata sull’omonimo personaggio della tradizione russa, una marionetta dal corpo di segatura e la testa di legno, che prende vita e riesce a provare dei sentimenti. Assimilabile per molti versi al nostro Pinocchio, “essere” non del tutto reale, le cui
passioni provocano il desiderio impossibile di vivere una vita umana. Le sue movenze a scatti rivelano il tormento delle emozioni imprigionate in un corpo di burattino. Ispirato all’opera Balagan del poeta russo Aleksander Blok. La sagra della primavera (titolo originale Le Sacre du printemps) fu rappresentato per la prima volta a Parigi il 29 maggio 1913 al Theatre des ChampsElysées per la coreografia di Vačlav Nižinskij. In realtà l’ormai storicizzata traduzione di “sacre” con “sagra” non è corretta, perché il significato del termine francese è “rituale”: la traduzione giusta sarebbe dunque “Il rituale della primavera”. La sua prima rappresentazione diede luogo ad una rissa e generò pareri contrastanti tra il pubblico. L’opera presenta ritmi ossessivi e prevede insoliti utilizzi dei diversi strumenti con lo scopo di creare tensione e stridenti effetti timbrici. Il balletto inscena un rito sacrificale pagano nella Russia antica all’inizio della primavera, nel quale una adolescente veniva scelta per ballare fino alla morte con lo scopo di propiziarsi la benevolenza degli dei in vista della nuova stagione.
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Spettacolo inaugurale
PROSA / MUSICA / DANZA / VIDEO
SAB 18 luglio 21.30
Prove d’Europa
Piazza Duomo
progetto Furio Bordon con la collaborazione di Claudio Mansutti e Walter Mramor Teatro del Lemming, variazione sull’Antigone di Sofocle, regia di Massimo Munaro Gabriele Lavia, letture da David Maria Turoldo Spellbound Dance Company, coreografia originale per MittelFest Mario Brunello: J. S. BACH Suite n.1 in sol maggiore per violoncello solo elaborazione video Massimiliano Siccardi produzione MittelFest 2009 EVENTO SPECIALE MITTELFEST 2009
L’immagine di un muro - tema - guida di questa edizione di MittelFest riporta alla memoria il nome di un’eroina del mito antico, Antigone. Nel suo nome, MittelFest inaugura la serie degli eventi serali con una produzione speciale, di respiro europeo, in cui teatro, musica, danza combaciano nel ripercorrere la vicenda, drammatica e spettacolare al tempo stesso, del rapporto tra individuo e potere.
Nato come festival urbano, capace di valorizzare gli spazi e le risorse architettoniche di Cividale, MittelFest non ha mai smesso di tessere rapporti con la città. Ancora una volta, con piccole azioni stradali che costelleranno le vie di attraversamento e i luoghi pubblici, nelle ore che precedono l’inizio della rappresentazione, il festival agirà lungo gli snodi del tessuto urbano. Per seminare nella città il tema della serata.
Per secoli e secoli, da Sofocle a noi, il mito di Antigone è stato riscritto, ripensato, riletto in infiniti modi. Fin dal tempo dei greci e delle prime democrazie, la sua figura, ostinata e tenera, affascina e inquieta l’immaginario occidentale. Ogni epoca ritaglia la propria Antigone, e ogni lettura è diversa dalle precedenti. Resta fissa però l’immagine di questa ragazza, caparbia, che ha addosso il peso di un valore - quello famigliare, ma soprattutto quello umano - da proteggere ad ogni costo. Di fronte a lei c’è un uomo, Creonte, che confortato dalla legge una legge fatta dagli uomini, e per gli uomini - esige che quest’ultima venga rispettata, rispettando così lo Stato. Nella tragedia di Sofocle, Antigone si oppone a una giustizia ingiusta e decide di seppellire il cadavere del fratello ucciso. Per questo atto di pietosa insubordinazione verrà condannata ad essere murata viva. Antigone, il muro, il suo sepolcro. Il Novecento. Nell’epoca di totalitarismi è stato facile ravvisare in Creonte, che incarna il diritto oggettivo, la figura dell’autorità e dello Stato. E nell’agire di Antigone il gesto che rivendica fino alla morte il diritto di resistenza a un potere violento. Tra loro due, tra dirit-
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to di Stato e diritto di natura, un Muro, che è stato e continua ad essere il simbolo dell’incomprensione e dell’ostilità tra esseri umani. Per questo già durante il primo conflitto mondiale, lo scrittore pacifista Romain Rolland lanciava un appello a favore di un armistizio, per la sepoltura dei morti, un appello a nome di tutte le Antigoni della terra. Antigone éternelle! Con il contributo dei diversi linguaggi - la parola, il suono, il movimento - e nel nome di Antigone eterna la serata inaugurale di MittelFest 2009 evoca la Caduta dei Muri, fenomeno su cui si è chiuso il secolo appena passato. Il lavoro che la compagnia teatrale del Lemming propone dopo aver studiato a lungo Antigone, la voce di Gabriele Lavia che leggerà alcuni frammenti poetici di David Maria Turoldo, l’espressività dei corpi portati in scena dalle coreografie degli Spellbound, e infine il violoncello di Mario Brunello in una delle più suggestive pagine di Bach sono i tasselli della serata, a cui un Muro, la sua immagine, fa da sfondo. Il Muro crollerà, lo sappiamo, anche se nessuno ignora che abbattutone uno, ne nasceranno - ed è inevitabile - altri.
LA PROSA icordare a vent’anni di distanza il crollo del muro di Berlino, significa da un lato celebrare un momento di altissimo fervore utopico, dall’altro impone un’analisi critica del concetto di muro come perversa costante storica, barriera che alcuni uomini da sempre continuano a costruire con l’intento di escludere, recludere - e comunque mortificare - altri uomini. In questo senso il muro significa divisione, intolleranza, fabbrica di antagonismo, dolore e morte all’interno del consorzio umano. E pare che, come le teste dell’Idra, abbattuto un muro, ne sorgano subito degli altri. A ben vedere, la storia positiva dell’umanità, la sua evoluzione civile, procede attraverso l’abbattimento dei muri esistenti, laddove la sua parallela storia negativa, l’involuzione civile sempre in agguato, si instaura con la costruzione di nuovi muri. Il teatro, con le sue rappresentazioni, è rivelatore di questa involuzione civile: da sempre esso è il luogo dove una comunità sceglie di riunirsi per analizzare e comprendere i nodi del proprio malessere. In questa direzione si muove l’attuale edizione del Festival, con la creazione di micropercorsi a tema, che insieme compongono un disegno complessivo, finalizzato a indagare il disagio esistenziale che deriva dalle tante barriere erette dagli uomini all’interno dei loro rapporti sociali e sentimentali.
DIREZIONE ARTISTICA PROSA Furio Bordon
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I percorsi della Prosa a MittelFest Tra la varietà dei linguaggi dello spettacolo inaugurale e i legami con la scena della contemporanea Mitteleuropa (ci sono Slovenia, Macedonia, Slovacchia, Repubblica Ceca tra le nazioni ospiti), il programma individua alcuni nodi d’attrazione forte, che ne accentuano il carattere tematico.
“Kontaminazioni”
SIGNORA MADRE, PADRE MIO CARO MALINCONIA DELLE SCIMMIE
Nel segno di Kafka, due invenzioni al confine di teatro e letteratura. I due spettacoli sviluppano noti racconti dello scrittore boemo e li mettono in risonanza con opere di altrettanti autori contemporanei - Jan Mc Ewan e Albert Caraco. Nel gioco dei riflessi che illumina il fardello psicologico del rapporto con i propri genitori e nel ritratto di due scimmie dai caratteri paradossalmente umani, tutti e quattro i lavori acquistano nuovi spessori.
“Les émigrées”
IL LACCHE’ E LA PUTTANA COME LE MOSCHE D’AUTUNNO
L’emigrazione russa post-rivoluzionaria negli anni venti a Parigi. I temi della lontananza e della nostalgia, ma anche le contingenze più immediate della povertà e della fame, nella scrittura femminile, e tuttavia dura, per niente consolatoria, di Irène Nemirosvky e Nina Berberova. Per modi e destini diversi, nelle due donne si manifesta un medesimo tema: l’esilio, la distanza da una madrepatria indimenticabile e ormai nemica
“Le ragioni di chi non amiamo”
MURI NON CHIAMARMI ZINGARO
La devianza psichica, ciò che superficialmente siamo abituati a chiamare malattia mentale, e la devianza sociale, come appare ai nostri occhi la cultura del nomadismo, sono affrontate da Renato Sarti e Pino Petruzzelli in due testi che osservano dal di dentro, senza pregiudizi, questi problemi oggi sensibilissimi del vivere quotidiano.
“Omaggio a Pia”
ECLISSE TOTALE
Un doveroso saluto e il ricordo affettuoso di Pia Fontana, autrice di origini friulane il cui talento supera di gran lunga i riconoscimenti ricevuti in vita.
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PROSA
DOM 19 luglio 19.00 Chiesa Santa Maria dei Battuti
Il Cielo Calante Lowering Skies dalle Metamorfosi di Ovidio di Nebojša Pop Tasić regia Jernej Lorenci scenografia Branko Hojnik costumi Belinda Radulović composizioni musicali Branko Rožman movimenti di Gregor Luštek con Ivan Rupnik, Marinka Štern, Damjana Černe, Primož Bezjak, Barbara Krajnc, Romana Šalehar, Maruša Geymayer-Oblak, Željko Hrs, Matija Vastl, Marko Mlačnik, Sandi Pavlin coproduzione Slovensko mladinsko gledališče Ljubljana e MittelFest 2009 SLOVENIA | PRIMA ASSOLUTA
Un bel gioco dura poco. Perché si fa presto a passare dall’allegria allo scherzo crudele. Nebojša Pop Tasić e Jernej Lorenci si sono presi la briga di dimostrarlo con la tavolozza di giochi spietati e favole per adulti che Ovidio aveva usato nelle sue Metamorfosi. Lo Slovensko mladinsko gledališče di Lubiana (Teatro della Gioventù, conosciuto semplicemente con la sua sigla SMG) è oramai considerato il più importante spazio sloveno di ricerca e formazione per attori, registi, coreografi e musicisti, un laboratorio di creatività e di avventura artistica. Fondato negli anni ’50, prima istituzione professionale slovena di teatro per l’infanzia e la gioventù, a cominciare dagli anni ’80 ha cambiato la propria fisionomia e affrontato un originale percorso interdisciplinare, soprattutto grazie alla collaborazione di personalità registiche come Vito Taufer, Matjaž Pograjc, Dragan Živadinov, Eduard Miler, Diego de Brea, Jernej Lorenci, Ivica Buljan.
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Gli oltre dodicimila versi delle Metamorfosi di Ovidio rappresentano uno dei grandi testi della civiltà occidentale. Tra miti e leggende, sono circa 250 le trasformazioni raccolte e trattate dallo scrittore latino durante il periodo più fecondo di quella letteratura, e diventate poi motivo d’ispirazione per molti artisti, filosofi, scienziati, che a loro volta hanno influenzato, in modo significativo, lo sviluppo della cultura e della mentalità occidentali (basti pensare a Chaucer, Dante, Shakespeare, Milton, e a molti altri ancora). Si può arrivare a dire che la sola lettura del capolavoro di Ovidio, produce di per sé una metamorfosi: leggerlo non può non avere conseguenze. Le favole raccontate nelle Metamorfosi si svolgono lungo un filo cronologico che va dal Caos iniziale fino alla trasformazione in stella di Giulio Cesare. Ovidio narra storie d’amore tragiche, trasformazioni drammatiche o spettacolari. Ha l’ambizione di scrivere una storia del mondo e, allo stesso tempo, di mostrare che non esiste una vera differenza tra il regno minerale, vegetale, animale e umano, e anche divino. Anche per ciò molti dei suoi personaggi sono ormai immortali.
Pianura del cielo è uno spettacolo che si basa sulle Metamorfosi e le contraddice. Il pensiero di partenza su cui hanno lavorato il regista Jernej Lorenci e il dramaturg Nebojša Pop Tasić è che l’uomo è un essere che gioca - homo ludens, come ci ha insegnato Johan Huizinga - e per giocare ha bisogno di pochi motivi. Ma il gioco, una volta iniziato e se dura abbastanza tempo, cessa di essere gioco e diventa una realtà crudele. La facilità giocosa della crudeltà è inesplicabile. Come se l’uomo fosse spinto dalla follia del gioco, e non dalla ragione. Pianura del cielo gioca con le forme del teatro. Presuppone che il primo teatro, nato nella notte della civiltà, sia quello descritto negli inni omerici. Apollo, il rapsodo, il dio del sole, e assieme a lui le Muse nel ruolo del coro, cantano la sofferenza umana. Gli altri dei dell’Olimpo sono spettatori. Vicende tragiche affligono gli uomini, ma alle orecchie delle divinità quelle storie sembrano divertenti. Quando questo prototipo di rappresentazione viene trasferito dall’Olimpo in terra, e invece degli dei, tra gli spettatori figurano le persone, ecco che nasce il teatro.
PROSA
LUN 20 luglio 19.00 Teatro Ristori
Non Chiamarmi Zingaro interpretazione, regia e adattamento teatrale Pino Petruzzelli luci e fonica Francesco Ziello grafica Emanuela Drago organizzazione Paola Piacentini in collaborazione con BAM teatro produzione Centro Teatro Ipotesi in collaborazione con Teatro Stabile di Genova e MittelFest 2009 Non Chiamarmi Zingaro di Pino Petruzzelli è pubblicato da Chiarelettere Editore ITALIA | PRIMA ASSOLUTA
Canto d’amore per quel popolo che, non avendo mai avuto confini da difendere, nella sua lunga storia non ha mai dichiarato guerra a nessuno.
Scrittore e attore, Pino Petruzzelli è nato Brindisi e ha sempre lavorato per mettere la propria esperienza al servizio di importanti cause sociali. Ha fondato il Centro Teatro Ipotesi, che si occupa di temi legati al rispetto e alla conoscenza delle culture. La prima meta dei suoi viaggi d’esplorazione sociale sono state le riserve degli indiani pueblo in Nuovo Messico. Poi, per anni, ha attraversato l’area mediterranea. In questi viaggi sono nati gli spettacoli in cui racconta dal profondo l’umanità di chi è costretto a vivere in situazioni difficili.
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tura che del nomadismo ha fatto l’unica possibilità di sopravvivenza. Adesso ci invita a salire sul carrozzone degli ultimi, gli zingari, per rifuggire stereotipi e luoghi comuni e per ascoltare la loro verità.
Chi sono gli zingari? Più esattamente: chi sono i rom? e i sinti? Che cosa pensano, e in che cosa differiscono dai non rom? Li trovi quasi sempre accampati ai margini dei nostri abitati, dove finiscono le nostre città, o dove iniziano. E’ diverso posizionarsi dove inizia o dove finisce un’altra cultura. Il nomadismo - troppo odiato o amato dai non zingari - è un fattore culturale, o genetico, oppure è una necessità? Nessun antropologo potrà mai far luce su questo eterno viaggiare. Certo è soltanto che la storia degli zingari è una storia di continue persecuzioni. Se un bambino piange, si va a vedere perché piange. Pino Petruzzelli si è calato, fisicamente, per cinque anni nei campi nomadi e nei ghetti di mezza Europa per raccontare poi, con uno sguardo lucido e appassionato, la vita dei tanti volti puliti di una cul-
Viaggeremo per le strade di Saintes Maries de la Mer, dove i rom si danno appuntamento ogni anno per ritrovarsi come popolo; incontreremo Marcela, la prima maestra rom d’Albania; Shakir, l’editore rom di Sofia per cui l’anima e il cervello non hanno etnia. E ascolteremo le confessioni dolorose di Mariella Meher, la scrittrice jenisch che da bambina, nella civilissima Svizzera, fu rubata alla sua famiglia per legge; e di Carlo, il neurologo rom che ha deciso di nascondere le proprie origini anche alla figlia e alla moglie. Ma il lavoro di Petruzzelli è anche un duro e impietoso atto d’accusa sul male che l’uomo compie sull’uomo. In questo voyage au bout de la nuit, lo spettatore sarà catapultato tra le fiamme del rogo di Livorno in cui quattro bambini rom persero la vita, e tra le urla del presidio razzista di Opera, il paese alle porte di Milano dove i bambini rom, per raggiungere la scuola, dovevano essere scortati dalla polizia. Lontano da facili romanticismi o morbosi compiacimenti, lo spettacolo è un viaggio iniziatico attraverso un mondo che vale davvero la pena conoscere. Ce lo consigliano anche due grandi Premi Nobel come Gabriel García Marquez e Günter Grass. Non chiamarmi zingaro è dedicato a tutti coloro che non riescono proprio ad accontentarsi di mezze verità o di verità di comodo.
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LUN 20 luglio 20.30 Chiesa Santa Maria in Corte
Muri
Prima e Dopo Basaglia testo e regia Renato Sarti su testimonianza di Mariuccia Giacomini lettura scenica Giulia Lazzarini musiche Carlo Boccadoro assistenti alla regia Marco di Stefano, Riccardo Pippa assistente di produzione Benedetta Monzeglio produzione Teatro della Cooperativa testo finalista Premio Riccione per il Teatro 2009 si ringrazia lo scenografo Carlo Sala e l’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste ITALIA | ANTEPRIMA PER MITTELFEST 2009
Nella testimonianza di una donna che ha vissuto - da infermiera - l’indimenticabile stagione di Franco Basaglia e delle sue idee innovative, il racconto ciò che era, e di come si è trasformata, la pratica della psichiatria in Italia. Un resoconto emozionante perché vero, drammatico perché sincero.
Il Teatro della Cooperativa è stato fondato da Renato Sarti alla fine del 2001, nella periferia milanese di Niguarda. Dopo l’iniziale formazione da interprete, sotto la guida di Giorgio Strehler, e la militanza nel Teatro dell’Elfo, Sarti ha trovato le strade a lui congegnali della drammaturgia e della regia, cominciando con Libero, atto unico messo in scena dallo stesso Strehler, proseguendo con Ravensbrück (con Valeria Moriconi), La memoria dell’offesa, e producendo infine con il suo teatro testi come Mai Morti e La nave fantasma. Alla grande avventura strehleriana appartiene naturalmente anche Giulia Lazzarini, interprete d’elezione del regista del Piccolo Teatro milanese.
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Camicie di forza, somministrazione in dosi massicce di psicofarmaci, lobotomia, elettroshock. Questo era il manicomio prima dell’entrata in vigore della legge Basaglia: un luogo di isolamento in cui, sui ricoverati - ma sarebbe più giusto adoperare la parola internati - si perpetrava ogni tipo di violenza e di tortura. Nel 1972 avevo appena incominciato a fare l’attore in un gruppo teatrale a Trieste e la direzione dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale ci concesse l’uso del teatro situato nel comprensorio manicomiale, a condizione che durante le prove e gli spettacoli fosse consentito l’accesso agli utenti. Io ero ancora un ragazzo e non ero al corrente dei grandi mutamenti che in quegli anni stavano rivoluzionando la psichiatria… L’anno scorso, in occasione del trentennale dell’entrata in vigore della legge Basaglia, ho raccolto alcune testimonianze con l’intento di farne un testo che
partisse però dall’altra parte della barricata, quella degli infermieri. E l’aspetto più significativo della ricerca è stato scoprire che l’esperienza di Basaglia non ha rivoluzionato soltanto la professione dell’infermiere: ha scardinato le ipocrisie e le arretratezze della società italiana, ha sbriciolato convinzioni che riguardavano la sfera più nascosta dell’intimo e del personale perché - come diceva Saba - il dolore è eterno, ha una voce e non varia. Nel momento in cui il rispetto, la disponibilità e il dialogo prendevano il posto della prigionia e dei maltrattamenti, le lacerazioni che avevano segnato la vita degli utenti facevano venire a galla, come un tappo di sughero, le sofferenze di coloro che avrebbero dovuto curarli. Perché la mansione principale del personale ospedaliero con l’arrivo di Basaglia non era più soltanto custodire e pulire, pulire e custodire, ma diventava confrontarsi, dialogare, ascoltare. E allora, inevitabilmente, si metteva in moto uno strano meccanismo, in cui il confine che separa la normalità dalla follia rivelava tutta la sua precarietà. L’infermiera del testo rivive la sua esperienza di tre decenni, riflette su quello che ha visto e vissuto in ospedale e lo fa con una nostalgia particolare, ma soprattutto con la lucidità estrema, quasi spietata, di chi si rende conto che la spinta di quegli anni si è affievolita, e rischia di finire inghiottita dall’indifferenza che - in un brusio continuo di antenne e motori - sempre di più ci avvolge e ottunde. Renato Sarti
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MAR 21 luglio 20.00 Teatro Ristori
Signora Madre, Padre mio caro da Post Mortem di Albert Caraco e Lettera al padre di Franz Kafka versione scenica Furio Bordon scene Andrea Stanisci con Sandro Lombardi e Massimo Verdastro produzione MittelFest 2009 con la partecipazione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia ITALIA | ANTEPRIMA NAZIONALE SPOLETO FESTIVAL | PRIMA ASSOLUTA MITTELFEST 2009
Il J’accuse che Franz Kafka rivolge al padre in una famosa lettera, mai recapitata. Il rigoglio di amore, disamore, dipendenza, passione che Albert Caraco riversa sulla propria madre, appena scomparsa. Due testi, due testimoni, messi uno di fronte all’altro, a formare un distico folgorante. Probabilmente è il peso di sentirsi un ebreo assimilato, e privo di identità, a influenzare in maniera così forte l’opera letteraria di Franz Kafka (Praga 18821924). Anche Albert Caraco (Costantinopoli, 1919 - 1971) lo era, ma altrettanto determinanti per lui sono il nomadismo, le sterminate letture, la solitudine, che contrassegnano la sua biografia. I numerosi libri da lui pubblicati in vita non ebbero alcun eco. Si uccise a 52 anni, il giorno dopo la morte del padre. Oggi è considerato uno dei pensatori più singolari, provocatori ed estremi dei nostri anni.
Non c’è rapporto più importante, nella crescita emotiva di un individuo, del rapporto con i genitori. Tanto più se quell’uomo, o quella donna, diventeranno artisti. Signora Madre, Padre mio caro, è un’inedita combinazione di riflessioni, pensieri, illuminazioni che, attraverso le vie della scrittura più personale e più intima, svelano i tormentati rapporti di due artisti con i propri genitori. Uno è Albert Caraco, misconosciuto, profetico, fascinoso scrittore, morto suicida nel 1991, che in Post mortem ci ha lasciato un’impressionante analisi del proprio rapporto con la madre. L’altro è Franz Kafka, autore di una celebre Lettera al padre. In Post Mortem, Caraco racconta un rapporto terribile per intensità e ambivalenza. Sua madre, donna frivola, devota a ciprie e belletti, ornamento di feste in consolati sudamericani, era al tempo stesso madre divoratrice e Mater gloriosa. Caraco la celebra come farebbe un sacerdote, conscio di essere stato sessualmente mutilato dalla dea. Ma quella mutilazione lo segnerà totalmente: la madre avrebbe voluto solo fargli rifiutare il sesso (in pratica, le altre donne), lui si spinse fino a rifiutare la vita, e passò i suoi anni a scandagliare, in perfetta solitudine e nella più pura prosa classica, il Nero dell’esistenza. Il piccolo libro, scritto nel 1968 e nucleo di una imponente concentrazione di forze, è il primo testo di Caraco pubblicato in Italia (dalla casa editrice Adelphi) Ciò che viene messo in scena nella Lettera al padre (1919) di Kafka è invece un vero e proprio conflitto. Figura che incarna un’autorità assoluta, che “ha l’aspetto enigmatico dei tiranni, la cui legge si fonda sulla loro persona, non sul pensiero” agli occhi di Kafka il padre appare come il rappresentante di un mondo da cui egli si sente escluso: pratico, utilitaristico, ben lontano dalle sue inclinazioni. In quelle pagine di forte impatto emotivo, l’autore svela la sua natura di “figlio diseredato”, non compreso nella
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propria vocazione di scrittore, inquieto e in cerca di conferme quanto il suo avversario, padre-padrone, ostenta sicurezza. Collocate in sequenza, le due opere mandano bagliori neri, testimonianze di personalità notturne, oscure, tormentate, eppure fortissime per la loro radicale estraneità al rassicurante orizzonte emotivo che, nelle nostre sicurezze di cittadini occidentali, siamo abituati a considerare il mondo dei nostri sentimenti famigliari.
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LUN 20 luglio 21.30 Chiesa Santa Maria dei Battuti
Medea’s Scream di Sašo e Mojtina Jurcer regia Sašo Jurcer con Mojtina Jurcer produzione Inner World Theatre Maribor con International Festival of Contemporary Theatre EX-PONTO - Ljubljana, Festival TEUTA - New Ancient Theatre Kotor, Slovene National Theatre Maribor, International Festival of Contemporary Theatre Zadarsnova - Zadar SLOVENIA - CROAZIA - MONTENEGRO | PRIMA NAZIONALE
Un sentimento di vendetta vibra nel corpo dell’attrice, fino a toccare il culmine della disperazione, mentre compone e ricompone sul suo tavolaccio di maga, il corpo di nudo e inerme di una bambola. Medea conosce il proprio fato. “L’interiorità è assai più interessate di ciò che si vede all’esterno” spiega il regista Sašo Jurcer, che ha fondato nel 2005 assieme a Mojtina, l’Inner World Theatre, il teatro del mondo interiore. Oggi la compagnia è una formazione mobile, che realizza e modifica le proprie creazioni anche in rapporto alla diversa natura dei contatti teatrali e al dialogo con i diversi pubblici. Helsinki, Pietroburgo, Budapest, Salonicco, ma anche Alexandria, Yerevan e Chicago sono state altrettante occasioni in cui i due hanno messo alla prova la dinamica delle loro idee.
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Un grande tavolo, coperto forse di terra, o di sabbia. Molti bicchieri, alcuni vuoti, altri riempiti di liquido rosso. Il corpo, oramai fatto a pezzi di un bambolotto: membra sparse, e da un lato, rovinata, la testa. In questo inquietante scenario, l’attrice slovena Mojtina Jurcer si cala nella nera vicenda di Medea attraverso una partitura stringente di azioni fisiche e sonore. La sua è una dimostrazione di virtuosismo. Una sfida alle regole del teatro. La funambolica prova di un’interprete che rinuncia allo strumento più naturale in scena: la parola. Mentre la padronanza del gesto e l’espressività animale della sua voce rendono palpabili e concrete, davanti al pubblico, le ultime ore della donna che il mito vuole maga gelosa e madre assassina dei propri figli. In un rituale senza parole, come in un sogno maligno, la seduzione di morte e la disperazione di colei che ha scelto di incamminarsi in un viaggio senza ritorno. Perché la storia di Medea è una delle più cupe nell’universo del mito, ma soprattutto è la più conosciuta tra le vicende antiche legate alla figura dell’altro e dello straniero. Con occhi contemporanei, noi vediamo in Medea una figura dell’alterità (è donna, è sapiente, ma so-
prattutto è straniera, barbara), figura-tema-problema presente nei testi classici, ma ancora aperta, viva e vicina. Medea è in questo senso vicenda esemplare, perché il nostro tempo è segnato profondamente da uno dei temi fondanti della Medea mitologica, cioè dal confronto-scontro di civiltà, e in generale dal problema dell’alterità. Appassionata, coraggiosa, maga, figlia del re della Colchide, la barbara Medea si innamora del greco Giasone che è giunto nel suo lontano paese, sul mar Nero, per impossessarsi del vello d’oro. Per Giasone Medea tradisce il padre, uccide il fratello, abbandona la patria, accetta di vivere altrove come esule e sradicata. Ma l’atto che la distingue, con la selvaggia tragicità che soltanto i Greci avrebbero saputo attribuire a una donna è quello che Euripide ha scelto di mettere al centro della sua tragedia: l’uccisione dei figli, l’atto estremo con cui Medea si vendica dell’abbandono di Giasone. Interamente costruita nella prospettiva dell’infanticidio, che costituisce per lei un punto di non-ritorno, la versione di Euripide è quella che ha attraversato i secoli giungendo fino a noi, e che si materializza ora di nuovo davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie, in questo suo grido.
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MER 22 luglio 22.00 Chiesa Santa Maria dei Battuti
La Musica di Karol Horák drammaturgia Vasil Turok regia Ratislav Ballek con Vasil Rusinak, L’udmila Lukacikova, Vladimira Brehova, Eugen Libeznuk, L’ubomir Mindoš scene e costumi Stefan Horák musiche originali Norbert Bodnar produzione Divadlo Alexandra Duchnoviča - Prešov SLOVACCHIA | PRIMA NAZIONALE
Diversamente da quanto si pensa, ossia che la musica rappresenti un fattore rasserenante per la vita degli individui, Horák ritrova nel leit-motiv portante del proprio lavoro una forza scatenata, che trascina un’intera famiglia alla rovina. La Musica è un apologo con pianoforte, suonato sulla tastiera del Novecento. Leader, negli anni 60 e 70, di una fra le formazioni maggiormente attive nell’area del teatro studentesco e indipendente - quella dell’Università Pavol Jozef Safarik di Prešov - Karol Horák (Lucenec, 1943) è oggi considerato fra gli esponenti di spicco della drammaturgia slovacca. Il suo è uno stile fatto di originali forme espressive, che legano assieme una forte carica immaginativa e strutture barocche, frutto anche della sua vasta attività di pubblicista che comprende, oltre ai numerosi lavori teatrali e narrativi anche studi di estetica, letteratura e teatrologia.
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C’è un pianoforte in mezzo alla scena. La Storia vi passa accanto, trascina con sé uomini, donne, bambini, propizia le nascite, assiste ai funerali, sparge là attorno odori e rumori di guerra, assicura la pace, magari la serenità, ma sempre più spesso il suo è un passo di povertà e miseria. Così mentre la Storia e il Tempo passano, insensibili ai piccoli drammi umani, il pianoforte continua suonare, e segna con le sue melodie la vita di ogni giorno, i suoi ritmi scandiscono l’avvicendarsi delle generazioni. E’ un apologo con pianoforte - suonato sulla tastiera del Novecento - il lavoro che la compagnia slovacca del teatro che porta oggi il nome di Alexander Duchnovich rappresenta quest’anno al MittelFest. Col suo titolo in lingua italiana, La Musica sembra ripercorrere la vicenda di una famiglia come tante altre - un padre, una madre, la figlia, il marito della figlia - e come tante altre cresciuta nei difficili anni tra la prima e la seconda guerra mondiale. In realtà. con una scrittura senza tempo - il Tempo è anzi un personaggio della pièce, una creatura senz’occhi solennemente chiamata Chronos - il drammaturgo Karol Horák aspira a ricomporre la storia di un intero
secolo: quello appena trascorso. La Musica, le note che si alzeranno interrogative dal pianoforte, alternando pagine dalle Gymnopedies di Satie, ai jingle più scaltri del recente pop slovacco, diventa leimotiv, anzi un’ossessione, che afferra inarrestabile le vite umane, senza che alcuno vi si possa opporre. Il lavoro non è significativo soltanto per il fatto di far conoscere all’estero, e in particolare al festival di Cividale, dove La Musica è al suo debutto italiano, l’opera di uno scrittore che viene considerato tra i padri della contemporanea drammaturgia slovacca. La particolarità dello spettacolo prodotto dal teatro di Prešov è nell’uso della lingua rutena, idioma di numerose comunità della Slovacchia orientale e dei territori transcarpatici, per lungo tempo oscurato dall’uso ufficiale della lingua russa. Oggi il teatro intitolato ad Alexander Duchnovich (che è stato uno dei principali sostenitori dell’identità rutena nel 19simo secolo) è l’unica istituzione professionale europea che utilizzi questa lingua nei propri spettacoli, contribuendo così alla sua salvaguardia e alla sua rivalutazione, oltre che alla codificazione linguistica.
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MER 22 luglio 20.00 Teatro Ristori
Orson Welles’ Roast scritto da Michele De Vita Conti e Giuseppe Battiston con Giuseppe Battiston musica originale Riccardo Sala aiuto regista Elia Dal Maso regia Michele De Vita Conti produzione Fondazione Teatro Piemonte Europa in collaborazione con IMAIE ITALIA
Come sarebbe un breve incontro con Orson Welles, se potesse davvero tornare tra noi? Ci parlerebbe della sua vita e dei suoi film? O ci racconterebbe aneddoti esilaranti? A noi piace ricordarlo così: genio infinito e grandissimo cialtrone. Senza nulla da nascondere, per sempre in grado di stupirci. In pochi anni d’intensa attività Giuseppe Battiston è diventato il protagonista che mancava alla sua generazione. Così lo ritrae la motivazione del più recente premio che ha conquistato: “Udinese, classe 1968, diplomato a Milano, diretto a teatro da registi come Santagata, Vacis, Garella, Pezzoli, Andò, Paravidino, amato in televisione, e attore prediletto al cinema di Silvio Soldini (Un’anima divisa in due, Le acrobate, Pane e tulipani, Agata e la tempesta, Giorni e nuvole), Battiston ha collezionato un curriculum e un palmarès di premi non meno imponenti della sua presenza fisica”.
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“Il medico mi ha proibito di preparare cene per quattro persone, a meno che a tavola non ci siano anche gli altri tre”. Era sbruffone, provocatore, bugiardo. Ma è stato anche un genio dello spettacolo. Ed è l’autore di Quarto potere, che molti considerano il più bel film della storia. Orson Welles (1915 - 1985) ritorna a vivere, incarnandosi nel fisico altrettanto possente di Giuseppe Battiston. L’accappatoio di spugna, bianco, extralarge, la barba folta e il famoso sigaro tra le dita. E’ proprio lui, Welles, che si racconta, mettendo in gioco quell’intelligenza e quelll’eccesso creativo che hanno lasciato un segno incancellabile nella storia del cinema. E non solo. La grandezze e le debolezze, i tic, le sparate, i segreti, gli imbrogli di un personaggio oltre ogni riga, vengono ripercorsi in un autoritratto intimo, inedito, assolutamente maiuscolo. Il lavoro di Battiston e Michele De Vita Conti nasce da una selezione di interviste rilasciate dal regista nel corso di una vita intera e finisce con l’essere un ritratto spietato e ironico. Ben lontano dall’omaggio in ginocchio, Orson Welles’ Roast restituisce invece l’immagine di un artista e di un uomo complesso, se non addirittura cattivo. Lo spettacolo ripercorre
la carriera del cineasta, ma anche il suo odio per l’immagine, e dopo aver ricordato la colossale burla dei marziani scesi sulla terra (“solo gli americani ci potevano credere”, ma New York fu veramente invasa dal panico) si addentra tra i suoi veri amori: Falstaff, Macbeth, Amleto, fino alla rivelazione finale: Welles avrebbe voluto essere un prestigiatore. “Abbiamo pensato - spiegano Battiston e De Vita Conti - a quella bizzarra forma di festeggiamento che si usa talvolta nei paesi anglosassoni, e viene chiamata roast, perché consiste in un vero e proprio arrosto, cioè un ritratto feroce che i potenti e le celebrità si autoinfliggono, a base di battute, malignità ed elogi al contrario. Un rito che rende alla perfezione anche la carnalità di Welles, capace di mettere sé stesso - per il piacere nostro - alla berlina”. Nel corso di un’ora Battiston ripercorre le passioni di Welles, dalla tentazione di darsi alla politica al grande amore per il teatro, e affronta nodi importanti - anche e soprattutto oggi - come il potere e la pericolosità dei media, usati con spregiudicatezza. “Amava il nuovo ed era incuriosito dalla televisione. Che oggi sarebbe diversa se esistesse qualcuno con il suo genio”.
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GIO 23 luglio 20.30 Chiesa Santa Maria in Corte
Il Lacchè e la Puttana di Nina Berberova versione scenica Marco Casazza scene Andrea Stanisci con Maria Ariis, Marco Casazza, Francesco Migliaccio con le voci di Carla Manzon, Gloria Sapio, Paola Bonesi, Maurizio Repetto produzione MittelFest 2009 ITALIA | PRIMA ASSOLUTA
Si ascolta in silenzio fino alla fine, il racconto di Nina Berberova impregnato delle incertezze e delle difficoltà che la scrittrice affrontava negli anni ’30, a Parigi, terra eletta da quanti erano in fuga dalla Rivoluzione d’Ottobre, esuli da una madrepatria indimenticabile e ormai nemica.
Quando la Russia degli Zar si disgrega, nel 1917, Nina Berberova (Pietroburgo 1901 - Philadelphia 1993) ha già pubblicato un libro di poesie ed è entrata nella cerchia degli intellettuali. Lascia allora la patria, in compagnia dell’amato poeta Vladimir Chodasevic, per il classico percorso dell’emigrazione: Berlino, la Costa Azzurra, Parigi. Nell’esilio francese vive una vita di povertà e oscurità e per i giornali scrive racconti sulla vita dei profughi. Alla fine della seconda guerra sceglie gli Stati Uniti, dove vivrà sempre sola e continuerà a scrivere. In russo. E’ un piccolo editore francese, nel 1985, che ne scopre il talento. In soli otto anni tutti i suoi romanzi diventeranno un caso.
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Perché vivo? Perché mi do tanto da fare? Che ci sarà alla fine di tutto questo? Sfuggendo dalla bocca di personaggi reietti, poveri diavoli in balia del nulla, l’alfabeto di disperazione inventato da Nina Berberova ci costringe a ripensare anche al nostro modo di stare al mondo. La scrittrice russa merita attenzione. Se non altro per l’originalità con cui, attraverso le vicissitudini umane di Il lacchè e la puttana, costringe anche noi a riflettere sulla vita, sui suoi vuoti. Il suo racconto - pubblicato nel 1937 sulla rivista Sovremennye Zapiski - segue le vicende di Tanja, la puttana, prima per le vie di Pietroburgo, poi di Nagasaki e, infine, della Parigi più marginale. Con ricchezza di particolari e con un realismo scavato nel vero della propria esperienza, Berberova descrive le trappole di una vita ai bordi, mentre i milieu urbani sono una quinta grigia, impregnata dallo squallore di esistenze sempre uguali,
La puttana Tanja ci appare all’inizio come un personaggio vuoto, alla ricerca di una felicità da consumare all’istante, senza peso. Le sue gratificazioni sono nei piccoli piaceri, nelle vetrine della grande capitale, negli occhi degli uomini a cui sarà accanto, senza passione. In realtà, proseguendo nella lettura, capiamo che la sua figura potrebbe occupare un suo posto importante nella galleria delle grandi abiette della letteratura russa. Tanja si muove nella Parigi degradata e malinconica dei russi bianchi, tra violini zigani,sonate, romanze, bettole umide e desolate, finché vede apparire al suo fianco il lacchè Bologovskij, ex-ufficiale della cavalleria zarista, finito come cameriere a servire caviale in un ristorante uggioso. Non è certo un anziano lacchè ciò che Tanja sogna, benché lui la circondi di ogni attenzione e divida con lei ogni cosa del poco che ha. Così le loro vite si stringono e affondano in una disperazione triviale. Le introspezioni, il continuo dentro e fuori di anime e destini, un delirio allucinato che non potrà portare che a un sinistro scioglimento. L’epilogo tragico di Il lacchè e la puttana ricalca il pessimismo della Berberova (che raramente ha regalato un lieto fine ai suoi racconti) nei confronti delle relazioni umane. Come se il comune destino di esuli, che dovrebbe avvicinare, contribuisca invece ad allineare uomini e donne sulle sponde opposte di un fossato invalicabile. Il canto e il controcanto dell’esilio.
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VEN 24 luglio 19.00 Teatro Ristori
The Other Side di Dejan Dukovski traduzione dalla versione tedesca Roberta Cortese uno spettacolo di Sandro Mabellini con Laura Bombonato, Stefania Medri, Volker Muthmann, Stefano Scherini gentile prestito delle marionette Teatro di Gianni e Cosetta Colla video Pietro Lassandro coproduzione Teatro Litta, MittelFest 2009 ITALIA | PRIMA ASSOLUTA
Lo sceneggiatore che nella Polveriera ha raccontato le vicende dei Balcani in guerra torna sul luogo della tragedia. Dejan Dukovski offre un nuovo punto di vista sulla situazione. Perché per capire le ragioni degli altri bisogna, necessariamente, mettersi on the other side. Dall’altra parte, appunto.
Macedone di Skopje, autore teatrale, sceneggiatore cinematografico, Dejan Dukovski (1969) ha scritto numerosi testi teatrali, alcuni dei quali sono diventati adattamenti per il cinema, come La polveriera e Chi cazzo ha iniziato tutto questo. Fra gli altri suoi testi, I Balcani non sono morti, Dracula, La città vuota. E’ uno dei pochi autori che sia riuscito a raccontare la guerra nei Balcani, non attraverso una rappresentazione, più o meno retorica dei fatti, ma attraverso un’analisi degli effetti del corpus della guerra sugli sguardi e sulle parole dei suoi personaggi. E’ oramai considerato il Cechov del secondo millennio.
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Lucky è un burattinaio senza teatro. Little è una ragazza che erra di notte alla ricerca dell’amore. Tricky voleva diventare un mago e ora si barcamena come disillusionista armato. Lilly, la prostituta, deve occuparsi da sola dei suoi tre bambini. I quattro personaggi hanno perso tutto durante la guerra - i loro averi, i loro sogni, la loro famiglia e i loro amici. Adesso la guerra è finita, ma nessuno di loro cammina più per strada senza armi. Sesso e violenza sono le uniche cose che ancora li legano al tempo presente. Ogni minuto è per loro prezioso tanto quanto, in passato, un´ora; come se ogni giorno fosse un gioco con la morte. “Ciò che mi colpisce di questa scrittura e delle possibilità che offre per un’esperienza teatrale aggiunge il regista Sandro Mabellini - è che questo tipo di drammaturgia innanzi tutto chiede al regista e agli attori di farsi vivi, reali, cercare di rifuggire l’idea di teatro come rappresentazione, per farsi esperienza diretta, comunicazione del reale, nel tempo presente. Impone agli attori e agli spettatori di lavorare sull’ascolto, sulla relazione, sul tentativo di un incontro. Quello a cui lo spettatore assisterà sarà la contemporaneità di due relazioni d’amore e di morte in un unico spazio. O meglio: il palcoscenico sarà suddiviso in due blocchi, come lo era Berlino prima dell’abbattimento del muro. Questa divisione, reale e simbolica al tempo stesso, richiede uno scarto di attenzione da parte dell’attore e dello spettatore; per capire le ragioni degli altri occorre mettere in moto l’ascolto, ad un livello più profondo, quasi intimo. Occorre mettersi dall’altra parte. Quei quattro soggetti che stanno sulla scena stanno anche lì a rappresentare la nostra difficoltà a comunicare in modo diretto; la nostra tendenza a vedere in colui che diciamo di amare un soggetto di cui invece ci vogliamo nutrire in modo vampiresco, per la paura che abbiamo di morire.
Sto cercando attraverso il testo e gli attori di lavorare sulla percezione dello spettatore, come se il suo sguardo fosse l’occhio parcellizzato di una telecamera. Quello che gli si pone davanti non è teatro, ma qualcosa che si dovrebbe avvicinare al cinema nel tempo di un pianosequenza ad inquadratura fissa. E’ come se ti affacciassi ad una finestra di un palazzo e spiassi i tuoi vicini che fanno all’amore o che cercano di ficcarsi un coltello nello stomaco”.
PROSA
SAB 25 luglio 19.30 Chiesa Santa Maria in Corte
Come le Mosche d’Autunno di Irène Nemirovsky versione scenica Paola Bonesi scene Andrea Stanisci con Maria Ariis, Marco Casazza, Francesco Migliaccio, Maurizio Repetto, Gloria Sapio produzione MittelFest 2009 per MittelFest e Benevento Festival ITALIA | PRIMA ASSOLUTA
L’angoscia di Tat’jana Ivanovna, la vecchia governante russa che non si rassegna alla fine degli antichi splendori, alla fame, alla desolazione del presente. Così la storia della famiglia dei Karin diventa l’epopea di un intero popolo in fuga. Nasce in Ucraina, a Kiev, nel 1903, Irène Némirovsky, figlia di un ebreo russo di origini francesi, ex commerciante di granaglie, diventato uno dei più influenti banchieri russi. Allo scoccare della Rivoluzione, nel 1917, la famiglia deve lasciare San Pietroburgo per rifugiarsi in Francia, dove Irène comincia a impegnarsi come scrittrice. Il suo primo romanzo, David Golder, avrà grande successo. Ma l’antisemitismo comincia a farsi sentire, feroce. Decide di convertirsi al cristianesimo e battezza se stessa e le due figlie. La furia nazista però non perdona. Assieme al marito viene arrestata. Deportata prima a Pithivier e poi ad Auschwitz, morirà nel 1942 in quel campo di sterminio.
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Come le mosche d’autunno è un romanzo breve, eppure estremamente sentito. Vi si riconosce subito la scrittura precisa, realistica, che rimanda alla grandezza e allo stile dei romanzi russi dell’800. In sole cento pagine, Irène Némirovsky adombra anche un altro percorso, doloroso e personale: quello di molti intellettuali che nel primo ‘900 furono costretti a percorrere la strada dell’esilio e della nostalgia. “Tat’iana Ivanovna era al servizio dei Karin da cinquantun anni. Era stata la balia di Nikolaj Alexandrovic, il padre di Juri, e dopo di lui aveva tirato su i suoi figli... Non si era mai allontanata da quella casa. Una bella casa, dalla nobile architettura, con un grande frontone greco ornato di colonne. Il parco si estendeva fino al vicino comune di Sucharevo. Tat’iana Ivanovna era la sola a conoscere tutti i ripostigli, le cantine, le stanze buie, abbandonate del pianterreno che un tempo erano state i locali di rappresentanza...” Da mezzo secolo, Tat’jana Ivanova è la balia in questa nobile famiglia russa, quando la Storia improvvisamente incrocia la Rivoluzione. È lei allora che prepara i bagagli di Jurij e di Kirill, i ragazzi che partono per la guerra. E’ lei a tracciare il segno della croce sopra la slitta che li porterà via nella notte gelata. Ed è ancora lei a fare da guardiana alle stanze della tenuta di famiglia abbandonata, e a seguire poi i Karin nella loro fuga in Francia, a Marsiglia e Parigi, mentre essi cercano di adeguarsi ad una nuova esistenza priva di sfarzi e senza certezze. Ma Tat’jana è prigioniera del proprio ricordo: gli inverni russi, i lunghi corridoi, le enormi sale da ballo. Nel nebbioso inverno di Parigi, mentre passa giornate a guardare fuori dalla finestra in attesa della neve e del ghiaccio che non arrivano, la sua mente ritorna a un mondo che non esisterà mai più, la cui memoria finirà con il morire con lei. Poiché per gli altri è troppo doloroso ricordare. “La neve... il giorno in cui l’avrebbe vista cadere, sarebbe tutto finito… Avrebbe dimenticato. Si sarebbe messa a letto e avrebbe chiuso gli occhi per sempre. Ma vivrò fino ad allora? - mormorò”.
PROSA
SAB 25 luglio 22.30 Teatro Ristori
Malinconia delle Scimmie da Una conferenza accademica di Franz Kafka e Diario di un primate in cattività di Ian McEwan versione scenica Furio Bordon scene Andrea Stanisci con Gianpaolo Poddighe e Gianluca Ferrato produzione MittelFest 2009 ITALIA | NUOVA EDIZIONE PER MITTELFEST E BENEVENTO FESTIVAL
Il racconto dell’emancipazione di una scimmia e la malinconica storia d’amore tra uno scimpanzé e la sua padrona. Un altro gioco di specchi, i suggestivi riflessi tra il mondo mitteleuropeo di Franz Kafka e quellodi un altro scrittore, l’inglese Ian McEwan. Se è superfluo ricordare la vita breve e travagliata di Franz Kafka (Praga 1882-1924) in qualche modo rintracciabile nella tessitura psicologica dei suoi romanzi e dei racconti, meno nota e sicuramente meno drammatica è la biografia di Ian McEwan (Aldershot, 1942). Lo scrittore inglese è noto per il successo che hanno riscosso i suoi racconti (raccolti inizialmente in Primo amore, Ultimi riti), e gran parte dei suoi romanzi (ad esempio L’amore fatale o Espiazione), molti dei quali sono diventati dei film. Si può ricordare tra questi Cortesie per gli ospiti, sceneggiato da Harold Pinter.
L’idea di mettere a fianco, su un palcoscenico, un racconto di Franz Kafka e quello di un altro scrittore, da lui lontano nel tempo e nello spazio, nasce da una certezza. Che le opere parlano al di là della propria epoca, e dialogano a lungo con quelle degli altri scrittori, in un continuo arricchimento di senso e di significato. E’ la linfa vitale della letteratura, che non cessa mai di scorrere nelle pagine dei grandi e dei piccoli autori, classici o contemporanei, innovatori o tradizionalisti. A questa linfa dà sostegno anche il teatro ogni volta che la voce degli attori riaccende di vita la scrittura e ne rivela, davanti agli spettatori, la filigrana emotiva. Una conferenza accademica è un noto racconto dello scrittore di Praga, pubblicato per la prima volta nel 1917 sulla rivista Jude. Di fronte agli stimati membri di un’accademia, una scimmia - più precisamente una ex scimmia - espone in un’articolata relazione le tappe attraverso le quali è giunta a inserirsi con successo nella società degli uomini. Si tratta a ben vedere del processo inverso a quello esaminato da Kafka in un racconto ancora più famoso, La Metamorfosi. Ma qui non è l’uomo che trasforma orribilmente, fino a diventare uno scarafaggio, quanto un animale evoluto che ascende alla dignità e alla complessità del consorzio umano. Ma anche in questo caso la perdita delle origini genera rimpianto e il traguardo finale destabilizza e delude. Lo stesso processo di emancipazione è al centro del racconto di Ian McEwan. In questo capolavoro minimo, brillante esempio delle doti dello scrittore inglese (il titolo originale è Reflections of a Kept Ape, e lo si può leggere tradotto nella raccolta Fra le lenzuola e altri racconti, 1978) McEwan lascia che a parlare sia un’altra scimmia, ben esercitata nella lingua degli uomini, e capace persino di suscitare curiosità sessuale in una donna. Per quanto sensibile, e addirittura ironica, la bestia si lascia però dominare dalla depressione, tutta umana, della sua compagna, una scrittrice
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che dopo l’esordio di un romanzo di successo, passa le ore a inaridirsi davanti alla macchina da scrivere, in attesa di improbabili ispirazioni. Affiancati in questo distico sulla natura animale - vista però attraverso gli occhi di chi animale non è più, ed è stato anzi capace di compiere il balzo - i due racconti inaspettatamente rivelano il limite della nostra natura e la sua origine, quella che si ritrova nella malinconia di bestie evolute e oramai domate, come sono gli esseri umani.
PROSA
DOM 26 luglio 19.00 Teatro Ristori
La mia Primavera di Praga di e con Jitka Frantova regia Daniele Salvo musiche originali Marco Podda scene Barbara Tomaia costumi Mario Pisu elaborazione video Giandomenico Musu produzione Farhenheit 451 Teatro sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ITALIA
A quarant’anni dalla Primavera di Praga e dall’invasione sovietica uno spettacolo-storia incrocia i destini umani e civili di due testimoni del tempo: Jiří Pelikán, che fu un politico di spicco in quel tormentato periodo, e sua moglie, l’attrice Jitka Frantova.
Dalla metà degli anni Sessanta, le idee del socialismo riformista avevano trovato voce in alcune personalità del Partito Comunista Cecoslovacco. Favorito dalle riforme politiche di Alexander Dubček, nasceva il cosiddetto socialismo dal volto umano, che si apriva a una maggior libertà politica, di stampa e di espressione. Questo periodo, conosciuto come la Primavera di Praga, toccò il suo apice nei primi mesi del 1968, ma fu bruscamente interrotto dall’invasione sovietica del 20 agosto e dalla successiva normalizzazione. Tutti i protagonisti della Primavera furono epurati e fu ripristinata la vecchia nomenklatura. Dal PCC furono espulsi migliaia di iscritti. Centinaia di migliaia di persone persero il lavoro. Migliaia furono le condanne a pesanti pene. Dubček, chiamato a Mosca, fu costretto ad accettare la nuova situazione e, destituito, trovo impiego come manovale in un’azienda forestale. Il 16 gennaio 1969, uno studente, Jan Palach, si cosparse di benzina e si diede fuoco per protesta in piazza San Venceslao. La Primavera diventò un ricordo.
Classe 1923, a soli 16 anni Jiří Pelikán entra nella Gioventù comunista. Dal 1955 al 1663 è presidente dell’Unione Studenti, poi direttore della televisione cecoslovacca. Nel 1964 è deputato al Parlamento. Tra i promotori, nel 1968, della Primavera di Praga, verrà allontanato subito dopo dagli incarichi pubblici in patria. Diventerà però consigliere d’ambasciata a Roma, dove chiede e ottiene asilo politico. In Italia è stato europarlamentare nelle file del PSI, eletto nel 1979, e riconfermato nel 1984. E’ morto a Roma, dieci anni fa, il 26 giugno 1999.
Nato in occasione del quarantennale di quella stagione, La mia Primavera di Praga rende omaggio a Jiří Pelikán, protagonista della vita pubblica cecoslovacca di quegli anni: un uomo che si batté con le armi del rigore intellettuale e della volontà contro il ripristino del regime totalitario. A dare voce alla sua figura e alla sua battaglia politica e morale, sul palco del Teatro Ristori, c’è la moglie, Jitka Frantova. Ricordi personali - la politica si è sempre intromessa nella loro vita e ha cambiato radicalmente il corso della loro esistenza - si intrecciano con vicende storiche, gli eventi collettivi vengono filtrati da un’ottica privata. La vicenda dei due testimoni diventa così un’ occasione di teatro civile, accompagnata da immagini autentiche, in parte inedite, nella quale due vite tracciano il proprio destino sopra il libro della Storia.
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Nelle intenzioni del regista, Daniele Salvo, la serata vuol essere “un piccolo gesto umano, per ricordare una persona che non c’è più e un periodo storico archiviato troppo in fretta”.
PROSA
DOM 26 luglio 20.30 Convitto Nazionale P. Diacono
Eclisse Totale di Pia Fontana a cura di Franco Però con Omero Antonutti, Valeria Ciangottini, Alessandra Raichi, Gualtiero Burzi produzione MittelFest 2009 ITALIA | PRIMA ASSOLUTA
Pia Fontana sa trattare con delicatezza temi anche duri, drammatici, facendoli risaltare come se fossero colpiti da un raggio di sole infuocato. Nello scolpire per il teatro i personaggi di Eclisse totale, la scrittrice dispiega tutta la sua crudeltà, ma ammantata di leggerezza. Lieve, lucida, concreta, Pia Fontana ha esplorato il teatro con passione. Nata a Sacile (Pordenone), scomparsa soltanto pochi mesi fa, la scrittrice è nota per l’attività di narrazione (ha ricevuto il Premio Calvino nel 1987 per i racconti di Sera o mattina, a cui vanno almeno affiancati i romanzi Spokane, Il corpo degli angeli, Bersagli, Andante spianato, Nessun Dio a separarci), ma ha dedicato le sue energie anche alla scena lasciando testi di sicuro interesse: Il grido, Devozione, La numero tredici, Bambole e anche Eclisse totale (1998), che con forza mettono in primo piano i conflitti nati da comportamenti che la società ci impone.
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In un tardo pomeriggio estivo, su una spiaggetta solitaria, in qualche località amena del nostro paese, si ritrovano: una coppia di mezza età (che ha scelto il luogo per una vacanza di puro risposo), una giovane signora da poco vedova (anch’essa in cerca di solitudine, o di avventura?) ed un giovanotto, in cerca di sicuramente di avventure. La coppia e la signora frequentano la spiaggia già da qualche giorno, il giovanotto è un nuovo arrivato. Il luogo è piccolo e, volenti o nolenti, le parole tra loro leggere e crudeli, cominciano a circolare. Dapprima qualche luogo comune, qualche battuta, frammenti della vita e delle personalità che affiorano, poi il linguaggio di questi personaggi - concreto, divertente, leggero e crudele ad un tempo - lascia le prime forzature e comincia a intrecciarsi, a muovere i quattro come fossero i componenti di un improvvisato quartetto musicale. E quando sembra che l’assonanza - che alterna tranquilli dialoghi, momenti di comicità involontaria, assurdità, piccole cattiverie, paradossi abbia raggiunto un buon equilibrio, ecco che il Caso fa capitare sulla spiaggetta un ragazzino, il quale non trova nulla di meglio da fare che trascinare fuori dal mare il cadavere di un uomo che la corrente ha portato ad arenarsi proprio lì. Sconcerto, orrore, fastidio e volontà di risolvere la situazione sono i sentimenti e comportamenti che si alternano nel gruppo. All’inizio. Ma poi l’ambulanza
ritarda e il tranquillo pomeriggio di mare e di riposo prosegue con l’aggiunta del cadavere. (E che altro potrebbero fare, di fronte a una situazione simile, quattro persone, cittadini di un qualsiasi ricco paese industriale che vogliono godersi la loro meritata vacanza?) Lievemente il cinismo comincia a farsi strada. I personaggi continuano la loro giornata al mare, con i bisticci della coppia e l’inizio, probabile, di una avventura tra la giovane signora e il giovanotto. Finché cala la sera, che annuncia l’arrivo di quell’eclisse di luna che i quattro non aspetteranno sulla spiaggia chi perché disinteressato, chi perché l’immagina più godibile se guardata dalla finestra del monolocale con un bel drink in mano - lasciando invece, accanto al povero annegato, i loro cuori eclissati.
LA MUSICA a sempre, fra i soggetti d’Arte principali, la musica ha significato e significa l’universalità dei linguaggi. Una universalità comunicante e dunque salvifica, capace di far parlare fra loro, attraverso l’emozione sublime ed armonizzante dei suoni, individui e comunità talvolta divisi da inimicizie, rancori, territori. Se la metafora biblica delle trombe che abbattono le mura di Gerico risuona - è il caso di dirlo - un po’ bellicosa, i suoni, magmatici, variati, mescolati, colorati, bellissimi di questa edizione rinnovata del MittelFst abbatteranno, invece, il muro dei generi e degli stili. Rimuovono le diffidenze accademiche verso il popolare e viceversa, fanno battere all’unisono il cuore profondo della musica stessa che non ha confini e non ne ha mai avuti. Lo dimostra la costruzione di un percorso che vede molto spesso interagire artisti di diversa provenienza formativa, affratellati in un disegno comune che è rappresentare la fine di una divisione attraverso la vivezza e l’eccellenza non della musica, ma delle musiche, come tributo concreto e coinvolgente al tema forte del MittelFest 2009. La caduta del muro quindi, come occasione di un recupero dell’identità musicale delle varie regioni europee ma anche come fucina di nuovi progetti che ci uniscano tutti sotto una casa comune, l’inizio di una nuova era che ci permetta di non dimenticare le nostra tradizioni culturali.
DIREZIONE ARTISTICA MUSICA Claudio Mansutti
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I percorsi della Musica a MittelFest La sezione musicale si muove lungo tre percorsi nella storia della musica, che - come un’edera cresciuta su un vecchio muro - pare rinsaldarlo e sgretolarlo allo stesso tempo, proponendo interpretazioni diverse a seconda del punto di vista di chi ascolta. I tre percorsi riguardano: a) concerti con brani di compositori che hanno vissuto con sofferenza il periodo della Cortina di ferro, autori che richiamano storicamente la caduta del Muro di Berlino. Mario Brunello, artista residente in questa edizione sarà una delle guide: in occasione dell’inaugurazione, ricorderà le vittime del Muro con una breve esibizione di musiche di Bach e del Requiem di Sculthorpe; in altri appuntamenti il violoncellista interpreterà brani di Šostakovič e Sofia Gubajdulina, e si impegnerà inoltre in un “volo” sopra 45 anni di musica segnata dal Muro: Strauss, Lieti, Kancheli. b) concerti alla scoperta dell’Est europeo grazie ad artisti provenienti dai Paesi della Nuova Europa. E’ il percorso che vede la presenza di Krisztof Penderecki, considerato il maggiore compositore polacco della sua generazione, ma prevede anche serate dai suggestivi richiami, come quella in cui si esibirà il Coro Polifonico di Tirana, rappresentante delle tradizioni etnico-religiose dell’Albania. c) concerti che propongono la rottura del muro estetico esistente tra i vari generi musicali, tramite le contaminazioni che hanno contraddistinto l’ultimo ventennio. Il terzo percorso vede l’incontro-scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica (Russia) grazie alle contaminazioni musicali al pianoforte di Philip Glass e al Moscow Art Trio, formazione del new jazz che ha superato i confini tra jazz, folk e musica classica. Giusto coronamento ad un tema importante come la caduta del Muro di Berlino, al termine dei tre percorsi verrà eseguita la Nona sinfonia, musica che unisce tutta l’Europa grazie alle immortali note di un grande rivoluzionario dell’anima qual è stato Ludwig Van Beethoven.
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MUSICA
SAB 18 luglio 19.45 Chiesa San Francesco
Mario Brunello e Gianmaria Testa in memoria dei caduti del Muro di Berlino J. S. Bach - Suite n°3 in do maggiore G. Sollima - Alone P. Sculthorpe - Requiem (Testo dal “Requiem” di Anna Achmatova) ITALIA
Se il Bach delle suite per violoncello solo ha l’intensità essenziale e commossa della musica pura, se il Requiem più che intimo è carico di sensiblerie dell’australiano Sculthorpe, il poeta musicale Gianmaria Testa porta alla solenne semplicità della canzone più emozionante la sua forza poetica.
Mario Brunello è uno dei nomi più significativi del panorama musicale italiano e internazionale. Nel 1986 è stato il primo artista italiano a vincere il Concorso Čaicovskij di Mosca che lo proietta verso una luminosa carriera internazionale. Gianmaria Testa, classe 1958, vive in Piemonte, nelle Langhe, eppure c’è voluta la Francia per scoprirlo. Dal ’94, in cui vinse per la seconda volta il Festival di Recanati, sono passate un bel po’ di cose: sei dischi, più di 1500 concerti in Francia (4 serate tutte esaurite all’Olympia), Italia, Germania, Austria, Belgio, Canada, Stati Uniti, Portogallo.
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La voce di Gianmaria Testa ha la stessa grana di un muro graffiato, scritto di tante storie. La sua musica parlata è di quel tipo che Proust si premurava di invitare a “non disprezzare”. Una musica così intrisa di un popular antico che sembra venire dalle viscere di un tempo fermo, sospeso come un veliero nel cielo. Eppure così radicato nella terra, nella polvere, nell’umano. Questa poetica così forte precipita, in questo recital così atipico, nell’intensità del suono unico e totale del violoncello solo, strumento che ha affascinato autori così grandi e così diversi fra loro come Bach, Haydn, Dvorak, Shostakovic per citarne alcuni. Il movimento dalla suite per violoncello di Bach che Rostropovich suonò davanti al muro di Berlino l’11 Novembre del 1989, costituisce simbolicamente la certificazione della capacità potente della musica di abbattere, in ragione della propria intensità ed innocenza, muri di qualsiasi tipo. Nel segno della supremazia del suono rispetto al Logos, la poetica di Bach per violoncello torna a celebrare un tributo ai caduti del Muro di Berlino. Potenziata dalla sensibilissima vena creativa del compositore australiano Sculthorpe, figlio di una terra giovane e assoluta (in senso sociale e naturale), la cui spiritualità, non di rado nutrita dall’attenzione alle musiche etniche, si concretizza nel suono di questo Requiem. Un Requiem serenamente paradossale che contrappone la meditata solitudine del violoncello all’originale - e dissolto - impianto magniloquente della liturgia. Una discesa sonora nella solitudine di chi visse separato e offeso, laddove il suono magistrale e profondo dell’arco, teso fra il solenne, eppure discreto, lirismo di Bach e l’ispirato tematismo novecentesco di Sculthorpe, sembra atto riparatore che torna ad unire le anime. La magnificazione, però, della musica essenziale del poeta che canta e del poeta che suona - Testa e Brunello del tutto complementari in questo avviene con la presenza di un altro Requiem. E, cioè, quello lirico e di parola della grande poetessa russa Achmatova, che ha sperimentato direttamente la violenza dell’intolleranza e della menzogna politica.
MUSICA
DOM 19 luglio 11.30 Chiesa San Francesco
Mario Brunello
e l’Orchestra d’Archi Italiana J. S. Bach - Quattro Corali D. Shostakovich - Quartetto n. 8 op. 110 versione per orchestra d’archi 1. largo - 2. allegro molto - 3. allegretto - 4. largo S. Gubaidulina - Sieben Worte per violoncello, fisarmonica e archi ITALIA
Due grandi compositori che sono l’emblema stesso della tragedia dell’intolleranza subita dal regime sovietico, preceduti dal suono senza tempo e puramente meditativo dei corali di Bach.
Mario Brunello è uno dei nomi più significativi del panorama musicale italiano e internazionale. Nel 1986 è stato il primo artista italiano a vincere il Concorso Čaicovskij di Mosca che lo proietta verso una luminosa carriera internazionale. Brunello si presenta spesso in questa doppia veste di solista e direttore, e nel 1994 fonda l’Orchestra D’Archi Italiana, che porta al debutto dopo due anni dedicati solo allo studio e con la quale ha un’intensa attività sia in Italia che all’estero. Brunello suona un prezioso violoncello Maggini del 1600.
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Le circostanze che accolgono la bruciante scrittura del Quartetto n. 8 op. 110 di Shostakovic hanno la caratteristica tragicità che sigla la vita stessa dell’artista. Fra il 12 e il 14 Luglio del 1960, mentre era a Dresda per la composizione e realizzazione delle musiche per un film di propaganda a sostegno della Guerra fredda coprodotto da URSS e Germania Orientale, Shostakovic compose l’articolato quartetto - in cinque movimenti - angosciato anche dalla diagnosi di una forma di mielite che ne avrebbe minato il fisico per sempre. Nella composizione vagano, un po’ come spettri inquieti, elementi tematici che si ritrovano sparsi in altre opere importanti dell’autore. Fin dal primo tempo - un largo - il malinconico tema costruito sulla sequenza di note DSCH (re, re bemolle, do, si) considerata sorta di cifra musicale di Shostakovic, è rintracciabile nel bellissimo concerto per violoncello e orchestra n. 1, oltre che in altri. Non manca un tema ebraico nel secondo tempo, o una citazione di un’aria dalla travagliata opera lirica Lady Macbeth del distretto di Mtsensk. Il suono viene qui impreziosito dalla versione per orchestra a cura di Rudolf Barshai. La composizione è dedicata alle vittime “del fascismo e della guerra”, ma il figlio Maksim ha sempre sostenuto che il padre sottendeva “vittime dei totalitarismi”.
Fra le tante follie emerse dalla ristalinizzazione di Breznev, vi fu anche la censura in campo musicale: il termine jazz fu proibito e strumenti come il sassofono, la cornetta e la fisarmonica vennero formalmente banditi. Sofija Asgatovna Gubajdulina è una delle più grandi compositrici viventi, sostenuta proprio da Shostakovic a percorrere quella “cattiva strada” di affascinante sperimentazione che il regime aveva duramente attaccato. Non a caso la sua attenzione si è rivolta in più occasioni a strumenti “proibiti” dove significativa è la nobilitazione e rivificazione della fisarmonica (anche bajan in russia). Autrice ricca di una cultura che tiene in equilibrio alta spiritualità e straordinaria padronanza dei mezzi, non di rado ha esplicitato il valore simbolico del suo comporre. Emblematico è il caso della “personificazione” degli strumenti come nel caso delle Sieben Worte per violoncello, fisarmonica e archi. Il violoncello impersonifica la vittima, il Dio-figlio, la fisarmonica “incarna” il Dio-padre e gli archi “agiscono” lo Spirito Santo. In questo concerto ancora più strordinario è il legame ideale con i Corali di Bach in apertura, laddove proprio Gubaidulina cita esplicitamente, in una sua opera, il tema regio utilizzato nell’Offerta Musicale, opera della sublime maturità del Kantor di Lipsia.
MUSICA
DOM 19 luglio 21.30 Piazza Duomo
Philip Glass
An Evening Of Chamber Music musiche e improvvisazioni Philip Glass Philip Glass - pianoforte, Massimo Mercelli - flauto, Wendy Setter - violoncello, Mick Rossi - percussioni “Tissues,” from Naqoyqatsi, Metamorphosis, II, III, IV Etudes, II & X Songs and Poems for Cello The Orchard “Closing,” from Glassworks ITALIA
Philip Glass è un autore che da decenni compie una operazione alchemica dei linguaggi musicali, laddove non di rado è stato “ridotto” a protagonista della minimal music. Philip Glass. Americano di Baltimora, già dal 1974 fonda un suo gruppo musicale, il Philip Glass Ensemble, e una sua compagnia teatrale, la Maboi Mines Theater Company, con cui cura una serie di progetti innovativi e di rilievo. Questo periodo culmina in Music in Twelve Parts, seguito dalla pietra miliare Einstein on the beach, realizzata con Robert Wilson. Da questo momento Glass rappresenterà un punto di riferimento molto importante per la musica minimalista prima e per la musica contemporanea in generale poi. Ha composta musica da camera, per orchestra, opere, balletti, concerti, teatro e molte colonne sonore per registi quali Martin Scorsese (Kandun) Peter Weir (The Truman Show), Stephen Daldry (The Hours) e molti altri.
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Un concerto, questa Serata di musica da camera (ma anche una sera di musica da camera) che è un vero e proprio piccolo ma significativo compendio della poetica di uno degli autori più intriganti del XX (e XXI) secolo. Il discostarsi già negli anni ’80 dalle secche (in)formali della minimal music, cui comunque ha dato magistrale contributo, ha fatto di Glass un musicista che ha portato la volutamente incompiuta progettualità della cosiddetta - più autarchicamente - musica iteratica a traguardi più articolati e simbolici. L’ha fatto ispirandosi spesso, e non a caso, a grandi soggetti della cultura letteraria, teatrale e cinematografica non solo per destinazione funzionale quali - per citarne alcuni emblematici Kafka, Beckett, Schrader, Scorsese, Weir. Per non citare quel geniale Geoffrey Reggio, autore della trilogia filmica Qatsi, anche laboratorio compositivo autonomo oltre che colonna sonora dedicata. Proprio da lì inizia questo viaggio suggestivo nelle musiche di un autore, impreziosite in alcuni pezzi della malia del flauto e dei colori della percussione, che, fingendo una deriva pseudoromantica della ripetizione tematico-armonica, opera in realtà su aspetti sensoriali profondi, dove il costrutto musicale è una via per una introspezione sensoriale alla quale abbandonarsi sull’onda - è il caso di dirlo - delle sue musiche. Metamorphosis, dedl 1988, è una raccolta di brani ispirati dall’omonimo romanzo di Kafka. Quasi che Gregor Samsa, nella sua imbarazzante trasformazione, trovi una catarsi lenitiva attraverso questo dipanarsi ipnotico di temi garbati ed eleganti, di soluzione armoniche in-finitive. Gli Etudes, composti fra il 1994 e il 1995, che malcelano l’intenzione dell’autore di abbandonare per un momento il riferimento colto, la segnalazione di un’anima extramusicale e simbolica nello stesso tessuto sonoro, mantengono, tuttavia questa affascinante nuance che è la cifra profonda di una intera vita artistica. L’aleggiare della memoria colta e discretamente commossa vive nei Songs and Poems for Cello dove l’autore, con un tratto di grande delicatezza e solidità
espressiva, fa dell’arco una voce che innegabilmente ci ricollega ad una fantasma bachiano, appena accennato. Per un autore così colto e referenziale, tanto da aver scritto capolavori ispirati al faraone Akhenaton e al grande scrittore Mishima (per il bel film di Schrader), è irresistibile la tentazione di segnalare quella vetrosità insita nel suo nome e nel titolo di una celebre raccolta di suoi works non come soggetto di asprezza ma come elemento di trasparenza e cristallinità, quasi capace di dare cuore ad un suono algido e distaccato, eppur suadente.
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MUSICA
MAR 21 luglio 20.00 Chiesa San Francesco
Moscow Art Trio Misha Alperin - piano e voce Arkady Shilkloper - corno, flicorno e voce Sergey Starostin - clarinetto, flautini e voce RUSSIA
La ferina creatività di Misha Alperin trascina in questa avventura sonora i due sensibilissimi musicisti Shilkloper e Starostin alla ricerca di un suono altro, un suono che contribuisce ad abbattere il muro che ha tenuto spesso separate la densità dell’esperienza accademica con la geniale poetica della free music.
Il Moscow Art Trio è una delle più eccitanti formazioni del nuovo jazz sul panorama europeo. I confini tra musica jazz, folk e musica classica risultano irrilevanti nella loro musica, come scrisse il critico dell’International Herald Tribune: “Raramente le frontiere tra le epoche, tra la folk music d’oriente e di occidente, tra jazz e musica classica sono state così ben miscelate dal Moscow Art Trio …”. Lo denota anche la loro provenienza culturale: Misha Alperin, l’anima del trio, è compositore e pluristrumentista che vive in Norvegia ormai da più di 15 anni; Arkady Shikloper è stato membro delle orchestre del Teatro Bolshoi e della Filarmonica di Mosca; Sergey Sharostin, pur avendo studiato musica classica, ha sempre lavorato anche con la Folk Music.
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E’ semplicemente musica totale quella che il Moscow Art Trio fa sorgere ed esplodere. Un trio inverosimile nel senso più bello ed impertinente che si possa intendere. Il termine Art contenuto nel titolo è perfetto poiché indica una totalità d’espressione che travalica definizione di genere. Se è evidente che aleggiano talvolta elementi di Jazz europeo, è altresì vero che le vocalità spesso rimandano a memorie melodiche assai ispirate in direzione della tradizione popolare ed “vocativa”. Lo stesso strano assemblaggio strumentale che connette un ottone a un legno, si innesta nell’originalissimo pianismo di Alperin, cui non fa difetto una capacità improvvisativa liberissima e colta, capace di “stravinskizzare” un brano etnojazz. Infatti il milieu musicale di quella Mosca che è sempre nel titolo emerge nella struttura stilistica profonda delle loro magistrali improvvisazioni che sono, però, fortemente tracciate. Ognuno, virtuoso nei propri strumenti, ha una capacità di dialogo ed interazione con gli altri due elementi che entra ed esce dalle parti scritte come in una specie di labi-
rinto musicale fatto di ironica accademia e creatività incontenibile. Trascinante anche la vocalità corale capace di trasformare il trio in un articolato coro a cappella. Il melting pot calibratissimo e sorvegliato eppure tracimante risente anche delle esperienze giovanili popular di Alperin quando suonava nelle band per i matrimoni in Moldavia. Da questo calderone creativo si sprigiona dunque una musica che mescola si, ma non confonde, e nelle sue pieghe c’è tutta la maestria del colto e complesso, resa potente dallo spontaneo e visionario. Al punto che nella produzione del piccolo ensemble vi sono persino musiche per un balletto immaginario. Una musica dunque da vedere oltre che da ascoltare, travolti da densità, ironia, spessore lieto e divertito.
MUSICA
MER 22 luglio 18.00 Castello Canussio
Musiche dall’Inferno
L’Orchestra delle ragazze di Auschwitz da un’idea di Marco Maria Tosolini conversazione in forma di recital parole Marco Maria Tosolini liriche Paolo Antonio Simioni canto Sonia Dorigo videocomposizioni Antonio Della Marina elaborazioni sonore Arcana consulenza straordinaria Antonio Petris liriche di Ernesto Cardenal Anonimo - Kadosh Giacomo Puccini (1858-1924) - Coro muto -Tu tu piccolo Iddio da Madama Butterfly Hans Krasa (1899-1944) - Frammento da Brundibar Viktor Ullmann (1898-1944) - Drei Jiddische Lieder op. 53 (Brezulinka) Olivier Messiaen (1908-1992) - Pourquoi? - Le sourire ITALIA
Delle tre conversazioni in forma di recital la prima verrà dedicata alla memoria e al racconto di Fania Fènelon e delle ragazze dell’Orchestra di Auschwitz laddove canti interpretati dalla stessa e altri composti da autori deportati (e spesso morti nei lager) verranno riproposti alternati a liriche poetiche di Ernesto Cardenal, candidato al Nobel, teologo della liberazione.
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Musicoterapia all’inferno e ritorno. Fania Fénelon (Goldstein il vero cognome) diresse L’Orchestra delle ragazze di Auschwitz composta da una trentina di musiciste, per lo più provenienti da varie comunità ebraiche dell’Europa occupata dai nazisti. Si tratta di una delle vicende più surreali che albergarono nella agghiacciante “normalità” dei campi di sterminio. Da questa storia parte la trilogia di Musiche dall’Inferno, per narrare della strana funzione che la musica ebbe nei sistemi concentrazionari della europa nazificata. Un viaggio nella normalità dell’orrore dove la Lagerführerin Maria Mandel, diretta responsabile dell’eliminazione di circa 500.000 fra donne e bambini, si faceva cantare dalle detenute, per proprio diletto, l’aria Tu tu piccolo Iddio da Madama Butterfly di Puccini. Viaggio che non potrà non fermarsi nella cittadina di Terezin (Theresienstadt) dove la macchina hitleriana realizzò addirittura una “città di artisti” che, concentrandovi deportati di ogni settore creativo, creò una vetrina da offrire alle visite ispettive della Croce Rossa Internazionale. Di tutto ciò che vi venne prodotto la più celebre è l’operina Brundibar per bambini. Il compositore Krasa e i bimbi che vi presero parte, una vota eseguita la rappresentazione, vennero avviati allo sterminio. Il terzo luogo è il campo di concentramento di Görlitz, dove, nella gelida mattina del 15 Gennaio 1941, venne eseguito il capolavoro Quatuor pour le fin du temps composto da Oliver Messiaen, là internato, ispirato all’Apocalisse di S. Giovanni per violino, clarinetto, violoncello, pianoforte e voce recitante. Attraverso la narrazione del relatore, le liriche di Ernesto Cardenal - figura insigne e vivente della teologia della liberazione e della poesia, candidato
al Nobel nel 2005, - e le arie di autori che vissero tanta tragedia (oltre all’iniziale e rituale Kadosh e alla citazione pucciniana) trattate con sonorità particolari sulle quali si libra il canto, le immagini creative e documentali della proiezione, nel segno di un impianto drammaturgico minimale quanto sorpredente Musiche dall’Inferno comincia la sua discesa.
MUSICA
MER 22 luglio 19.00 Chiesa San Francesco
Penderecky
E i Filarmonici del Teatro Comunale di Bologna K. Penderecki - Agnus Dei for strings K. Penderecki - Drei Stücke im alten Stil per orchestra d‘archi Grażyna Bacewicz - Concerto for String Orchestra Witold Lutosławski - Trauermusik per orchestra d‘archi Henryk Mikołaj Górecki - Drei Stücke im alten Stil coproduzione Emilia Romagna Festival, MittelFest 2009
Un vero e proprio viaggio nella poetica novecentesca della grande musica polacca. Dal doveroso tributo alla forza creativa della non troppo conosciuta Grazyna Bacewicz alla poliedricità affascinante di Górecki, dalla energia trascinante di Lutosławski alla magistralità senza tempo della solenne creatività di Penderecki il concerto riconsegna alla storia il suono nato e formato nella secolare Varsavia.
Di origine polacca, Krzysztof Pendercky è forse il massimo compositore di ispirazione cattolica oggi vivente. Nelle sue opere ha ricercato la sintesi tra il linguaggio dell’avanguardia e quello della tradizione. Ha scritto musica da camera e per strumento solista, pagine sinfoniche e corali, incluse opere teatrali e oratori. Innumerevoli sono i premi e riconoscimenti ricevuti nella sua ormai lunga carriera. Dal 1972 si dedica anche alla direzione d’orchestra.
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Penderecki è l’esempio vivente della cultura polacca: legatissimo alle tradizioni, pervaso di spiritualità cattolica e, nel contempo, non solo attento al moderno (memore dei classici) ma spesso disponibile alla sperimentazione. Un autore che spesso ha spiazzato la critica per il potente e felice ecclettismo della sua poetica, capace di spaziare dall’uso spericolato e innovativo di strumenti della tradizione alla rilettura di grandi forme della tradizione, basti pensare alla riproposizione della Passion di memoria bachiana con la sua ispirata a San Luca (andata persa nella tetralogia del Kantor). In questo senso, i due capolavori in programma sono la versione per archi (1994) dell’Agnus Dei e parte del celebre Requiem Polacco (1980), dove, nell’originale, la coralità domina la scena. La versione per archi, carica di intima e vibratile spiritualità, precede i “tre pezzi in stile antico” tratti dalla colonna sonora di un film di Wojciech Has, del 1965, “Il manoscritto trovato a Saragozza”, ispirato direttamente all’omonimo romanzo noir, picaresco, esoterico e fantastico del conte francese-polacco Jan Potocki. Un’altra inventio geniale, attenta alla riproduzione quasi onirica di musica fuori dal tempo. Il Concerto per orchestra d’archi di Grażyna Bacewicz (1909-1969) ci fa conoscere una autrice di grande caratura, perfettamente iscritta nel solco di magistralità, energia, tradizione e innovazione in cui
si muove anche Pendercki. Compositrice e violinista, toccò il vertice della sua arte proprio con quest’opera, scritta nel 1948, dove lo stile sostanzialmente neoclassico non viene mai meno, come nel caso di molti musicisti polacchi, alla capacità di comunicare e di non farsi dominare dall’astrazione intellettualistica. La Trauermusik per orchestra d‘archi Witold Lutosławski (1913-1994) fu composta in memoria di Bela Bartok e costituisce un apertura sul mondo colto e raffinato di un autore che non fu insensibile alla fascinazione della dodecafonia di scuola viennese ma anch’egli, con coerenza tutta “polacca”, attento alla seduzione melica, alla sorveglianza dei mezzi espressivi nel segno della comprensibilità degli accenti poetici. Anche Henryk Mikołaj Górecki - nato nel 1933, dunque coetaneo di Pendercki - si cimenta con un “esercizo” creativo nei Drei Stücke im alten Stil per archi. Forse il più dinamico dei compositori di quella terra, considerato fondatore della Nuova Scuola Polacca, influenzato direttamente dal serialismo di Boulez, talvolta protagonista di capolavori vicini alla minimal music di ispirazione religiosa, costituisce la punta di diamante di questo affascinante mondo creativo teso fra una irrinunciabile religiosità storica e una acuta intelligenza costruttiva, capace talvolta di superare, sorpendendo, le avanguarie storiche.
MUSICA
GIO 23 luglio 19.00 Chiesa San Francesco
Mario Brunello
Orchestra Sinfonica del Teatro “G. Verdi” di Trieste coproduzione Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi, MittelFest 2009 Richard Strauss - Metamorphosen per 23 archi Gyorgy Ligeti - Lontano per orchestra Giya Kancheli - Morning prayers per orchestra ITALIA
E’ il suono intenso nell’accezione più profonda e animica che innerva questo concerto. Tracce di anima nei corpi sonori di tre grandi autori, tutti emblemi - in modo diverso - di libertà ed indipendenza creativa.
La lunga ed intensa vicenda artistica ed umana di Richard Strauss (1864-1949) ha visto questo grandissimo compositore compiere un percorso senza eguali, iniziato con i poemi sinfonici, magnifiche traduzioni musicale anche (e non solo) della sua Wille zur Macht, contrassegnato dalla svolta eretica dell’opera lirica (Salomè ed Elektra per tutte), per approdare, dopo l’adesione al nazismo, alla tragica consapevolezza dell’errore (e permangono dubbi sulle modalità della sua adesione durata dal 1933 al 1935). “Strauss compose le Metamorfosi a Garmisch fra il
Mario Brunello è uno dei nomi più significativi del panorama musicale italiano e internazionale. Nel 1986 è stato il primo artista italiano a vincere il Concorso Čaicovskij di Mosca che lo proietta verso una luminosa carriera internazionale. Ospite delle più prestigiose orchestre internazionali, ha collaborato con i migliori direttori, quali Gergiev, Mehta, Muti, Chailly, Ozawa, Gatti, Chung, Temirkanov, Sinopoli, Giulini, Abbado. Brunello suona un prezioso violoncello Maggini del 1600.
13 marzo e il 12 aprile 1945, dietro richiesta di Paul Sacher e del suo Collegium Musicum zurighese, quando era ancora forte in lui lo sgomento per il bombardamento, avvenuto nel febbraio di quell’anno, di Dresda, sua città d’elezione.”: con queste parole il musicologo Sablich delinea con precisione la genesi dell’opera che conserva fra le sue pieghe anche lo spettro della Marcia funebre dell’Eroica di Beethoven. Una musica di immortale sensucht quella delle Metamorphosen che il geniale Qurino
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Principe così sintetizza: «non è tanto una tragedia “nella” musica quanto una tragedia “della” musica, e il lugubre messaggio dell’ottantunenne Strauss che non ha altri referenti se non la tradizione musicale tedesca». György Ligeti (1923-2006) è uno dei più grandi compositori del Novecento. Una affermazione che va colta non nel segno di un’ovvietà celebrativa e conformista ma che, nella sua banalità, cerca di racchiudere l’ampiezza e la profondità della poetica di questo autore che, di nascita ungherese (ma di origine ebraico-romeno-transilvana), naturalizzato austriaco, conobbe lo sterminio della famiglia ad Auschwitz, i lavori forzati in campi nazisti, la censura dei regimi sovietici. Rispose senza esternazioni, con la bellezza siderale della sua musica, la cui compoisizione Lontano per orchestra è uno dei momenti apicali. Non di rado la poetica sonora di Ligeti fa percepire della musica una dimensione immanente, puramente platonica, come se provenisse da un luogo indefinito e in un altro si dirigesse, ma esistendo da sempre. Anticipatore della musica spettrale, indagatore di aspetti filosofico-matematici, in Lontano il suono stratificato e internamente magmatico dell’orchestra sembra disegnare uno spazio infinito nel quale galleggia la percezione di chi ascolta e fatto ancor più prodigioso - negli interstizi di questo tessuto sonoro si odono fantasmi di un canto lontano quanto suggestivo e potente. Il suono ispirato, spiritualistico di Morning prayer del georgiano Gyia Kancheli, nato nel 1935, chiude con coerenza un concerto che seleziona e propone momenti storici della sensibilità musicale votata all’introspezione, all’indagine dell’anima. Questa “preghiera del mattino” conferma la natura eminente della poetica di Kancheli - vicina alle atmosfere delle “nuove” mistiche musicali di autori come Pärt e Taverner - dove l’essenzialismo sonoro si sposa con ritmiche sommesse e solenni ad un tempo, capace di portare un suono emerso, prima inudibile.
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MUSICA
VEN 24 luglio 21.30 Piazza Duomo
Baba Zula & The Sound Of Istambul Murat Ertel - sax, elettronica Levent Akman - percussioni, elettronica Cosar Kamci - percussioni, darbuka Janet Shook e Bahar Sarak - danzatrici del ventre TURCHIA | PRIMA NAZIONALE
E’ la danza più intima, anche se non esplicitata dal corpo, quella che anima l’energia musicale di questo vero e proprio happening musicale.
Fondati nel 1996 da Murat Ertel Levent Akman e Emre Onel, il gruppo si è sempre caratterizzato per una “formazione aperta” alla collaborazione con musicisti e artisti appartenenti a diversi campi. Tra le molte collaborazioni, tra cui diverse con star della musica e del cinema turco, ricordiamo quella con il celebre mago del dub Mad Professor, londinese di origini giamaicane, e con Manu Chao, che li ha voluti all’apertura dell’Efen Pilsen Summer Festival di Istambul. Il canale televisivo francotedesco ARTE ha inoltre invitato Baba Zula lo scorso anno per una speciale trasmissione dedicata alla nuova scena musicale di Istanbul, ancora prima che il film Crossing the Border - The Sound of Istanbul di Fatih Akin li rendesse ancora più popolari.
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Vi sono momenti artistici notevolmente simbolici nella attività di Baba Zula & the Sound of Istambul. Il film che ha dato loro notorietà internazionale, Crossing the Border - The Sound of Istanbul del turco-tedesco Fatih Akin, raffigura l’essenza stessa del loro progetto musicale. Il ponte sul Bosforo diviene, nella creatività musicale coreutica del gruppo, il ponte delle culture musicali, delle culture stesse in senso lato e per estensione. Non è facile tenere in equilibrio le sonorità degli strumenti della tradizione etnica con la loro “espansione” elettroacustica ed elettronica. Ma la sensibilità e il gusto permettono alla band di creare un significativo cross-over dove l’adesione alla world music non li priva di una forte e magnetica personalità musicale. Fra i vari album prodotti in Psyche-belly Dance Music, la creatività consegna all’ascoltatore momenti molto variegati: da
ritmi convulsi e martellanti a pezzi sinuosi nutriti di sonorità extramusicali, capaci di generare atmosfere intriganti e cariche di reminiscenze. Una creatività che si magnifica molto con immaginifici videoclip e, soprattutto, con la performance dal vivo, dove le danzatrici del ventre contribuiscono a rendere intensa la relazione fra la tradizione estetica e le sonorità elettroniche. Anche i titoli vagano fra il turco e l’inglese, a dimostrare che la memoria si rigenera attraverso la bellezza di ritmi e melodie della Turchia orientale e proietta la sua forza d’espressione verso suoni e situazioni del villaggio globale. Fra le curiosità elettroacustiche l’uso di pedale wah-wah ed effettistica varia che filtrano talvolta il suono antico di saz, un cordofono simile ad un liuto a manico lungo detto anche, non a caso, chitarra saracena, suonato con maestria senza tempo.
MUSICA
VEN 24 luglio 18.00 Castello Canussio
Musiche dall’Inferno Musica delle Costole da un’idea di Marco Maria Tosolini conversazione in forma di recital parole Marco Maria Tosolini liriche Paolo Antonio Simioni canto Sonia Dorigo videocomposizioni Antonio Della Marina elaborazioni sonore Arcana ghost trumpet Andrea Cheber consulenza straordinaria Antonio Petris liriche di Anna Achmatova Sergej Prokof’ev (1891-1953) - Liriche su testo di Anna Achmatova Dmitri Shostakovic (1906-1975) - Lullaby da Jewish folk poetry - Ne legkó pósle pocóta da poclónov péred sudóm stoyat! - da Lady Macbeth of Mtsensk Friedrich Hollander (1896-1976) - Ich bin von Kopf bis Fuss auf liebe eigestellt - da Der Blaue Engel Louis Armstrong (1901-1971) - What a wonderful world ITALIA
Il secondo incontro di Musiche dall’Inferno sarà dedicato alla tragedia di artisti oppressi e perseguitati dal regime sovietico, focalizzando l’attenzione soprattutto su Šostakovič e Rosner.
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L’incredibile storia di Eddy Rosner, della Gulag Band e altre vicende sovietiche. Basterebbe l’analisi dei “tre periodi” di Shostakovic per capire quanto sia stato mostruoso il meccanismo che portava a trasformare in imputato antirivoluzionario colui che, pochi giorni prima, era acclamato artista e presidente dell’Unione Compositori. Ma il caso forse più clamoroso e interessante è quello di Eddy Rosner. Ebreo tedesco di origine polacca nacque a Berlino il 26 Maggio del 1910 - vero nome Adolf (!!!) Ignielevitch - già a diciotto anni suonava con i Weintraubs Syncopators, storica e popolarissima orchestra Jazz berlinese dell’epoca. Fu grandemente ammirato da Marlene Dietrich, Friedrich Hollander autore de “L’angelo azzurro” - Maurice Chevalier e dal grande Satchmo che lo definì il “Louis Armstrong bianco”. Fuggito rocambolescamente in Bielorussia fino al Novembre del 1946 suonò con successo per i sovietici il suo Jazz ovunque. Una nuova generale campagna contro il “cosmopolitismo” e il “filoccidentalismo” lanciata dal ministro della cultura Andrej Ždanov lo fece finire nell’”Auschwitz” sovietica dei campi di Golyna, in Siberia. Fu torturato per sette mesi nella tristemente nota Lubjanka di Mosca finché non cedette firmando una falsa confessione. Negli otto anni di lager siberiano cui fu condannato gli fu permesso di creare una Gulang band per allietare la vita dei dirigenti nei campi. Tornato libero nel 1954 riprese la vita musicale con discrezione ma la neostalinizzazione di Breznev del 1965 gli creò nuovi problemi. Nel 1973 riuscì a tornare a Berlino, dove morì l’8 Agosto 1976 (un anno dopo Shostakovic), in miseria. A Mosca le autorità avevano provveduto a distruggere le sue musiche e le incisioni fatte di
nascosto su lastre radiografiche dismesse da cui il termine, tipico dello sconsolato sarcasmo russo, “musica delle costole”. Questa è la traccia del secondo appuntamento della trilogia infernale sul rapporto fra musica e totalitarismi. La bellezza indicibile delle poesie della Achmatova sarà resa ancora più suggestiva dalle arie dei grandi russi Prokof’ev e Shostakovic, mentre echi dell’Angelo azzurro e della tromba di Satchmo ricorderanno la stralunata presenza del Kabarett e del Jazz in quei tragici contesti.
MUSICA
SAB 25 luglio 17.30 Chiesa San Francesco
L’orecchio di Beethoven testo e voce narrante Massimiliano Finazzer Flory quartetto d’archi: Fulvio Liviabella - violino, Rodolfo Cibin - violino, Giorgio Baiocco - viola, Marco Radaelli - violoncello Ludwig van Beethoven Quartetto op. 18 n. 4 in do minore 1° movimento: Allegro ma non tanto Quartetto op. 59 n. 2 in mi minore 3° movimento: Allegretto. Quartetto op. 131 in do diesis minore 1° movimento: Adagio, ma non troppo e molto Quartetto op. 130 in si bemolle maggiore 4° movimento: Alla danza tedesca. Allegro assai. Inno alla gioia (trascrizione per quartetto d’archi) ITALIA
Nella letteratura beethoveniana l’importanza dei quartetti forse non è seconda neanche a quella delle sonate per pianoforte. L’abisso poetico di questa scrittura viene qui potenziato nel rapporto con la parola, che ne incrementa la già straordinaria funzione di fascinazione.
Massimiliano Finazzer Flory, autore e interprete teatrale, oltre che saggista ed editorialista, è curatore di rassegne culturali su tutto il territorio nazionale ed ideatore di nuovi format imperniati sul rapporto tra letteratura, filosofia, teatro, arte e musica. Come regista e attore ha portato in scena In viaggio con Virgilio, il racconto dell’Eneide e l’ultimo lavoro teatrale Lo specchio di Borges.
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La vita di Beethoven narrata in cinque scene e cinque tempi musicali: La vita e le opere, Ritratto fisico e umano, Sonata a Kreutzer, Il testamento di Heiligenstadt, Beethoven e le sue letture alternate da tempi di quartetti con conclusione “epocale” nel segno della Nona. Un apparente secco didascalismo per, in realtà, far scoprire quanto - e sostanzialmente per la prima volta nella storia della musica - il destino interiore di un uomo fu inscindibilmente legato alla sua straordinaria vicenda artistica. Il racconto è un modo per far capire che il vero e primo grande romantik della storia d’Occidente è stato questo uomo travagliato, portatore forse inconsapevole del tragico nel moderno. Capace di traghettare la grande musica dal classico al romantico, pur nella sua drammatica sordità riuscì paradossalmente a sentire aspetti profondi del cambiamento di un’epoca e anche di sopravanzarla. Un potente orecchio dell’anima che sostituì quello del corpo. Con precisione illuminante il percorso esistenziale si snoda attraverso tempi scelti di quattro quartetti
che sono vero spettro della trasfigurazione poetica del grande musicista di Bonn. Infatti la giovanile op. 18 pur conservando accenti di una finente classicità, ha già l’empito e la tensione morale tipica del grande lessico beethoveniano; l’op. 59, nella umoralità di questo tempo che agita un tema russo, indica il senso di transizione e sospensiome parodistica, l’op. 131; particolarmente amata da Wagner, segna la crisi definitiva della forma-sonata e trasforma la composizione in una sorta di stream of consciousness tematico dove la malinconia lirica è dominante; l’op. 130, infine, chiude l’iter quartettistico, così come concepito per questo drammaconcertante, nel segno di una poetica del distacco vagamente ironico, foriero di una maturità dispersa, affascinante. La versione quartettistica dell’Inno alla Gioia chiude nel segno della trasfigurazione e della luce, dove, anche nell’intimità cameristica, la nobiltà dei temi, l’intreccio delle sensibilità meliche porta verso il sublime.
MUSICA
SAB 25 luglio 21.00 Convitto Nazionale P. Diacono
La Nona di Beethoven Sinfonia n°9 op 125 in RE minore di Ludwig Van Beethoven 1. allegro ma non troppo - un poco maestoso - 2. molto vivace 3. adagio molto cantabile - andante moderato - 4. finale presto Philharmonie der Nationen di Berlino Münchner MotettenChor Justus Frantz - direttore Julia Sophie Wagner - soprano Rebecca Martin - mezzosoprano Markus Schäfer - tenore Konrad Jarnot - baritono GERMANIA
Non solo un’opera immortale, impreziosita dalle liriche ispirate da Schiller già allora libertarie ed esoteriche - e l’Inno ufficiale dell’unione Europea ma una composizione formalmente avveniristica e problematica, capace di far compiere una svolta al linguaggio musicale tutto, nel segno di una innovazione e di una speranza che sono metafore della stessa Europa che rappresenta.
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Dal punto di vista eminentemente storico vi sono poche cose che ancora non si sanno della genesi del capolavoro immortale di Beethoven, la Sinfonia n. 9 op. 125 in re minore, scritta fra il 1822 e il 1824 e eseguita per la prima volta a Vienna nel Maggio dello stesso anno. Molti gli aneddoti, epocale la fama (ma soprattutto dell’ultimo tempo), enorme la diffusione dato che, con l’Alleluia del Messiah di Haendel, è il brano di musica classica più noto, nel pianeta, a livello popolare. Per i significati che porta, non a caso, è stata scelto come inno ufficiale dell’Unione europea. Musicalmente costituisce una magnifica e magniloquente violazione dell’allora stratificato assetto formale di una sinfonia. La crisi della forma-sonata, di cui Beethoven è il fautore principale, invade anche il territorio sinfonico. Quattro movimenti con una disposizione anomala che vede il primo tempo - un atipico e contraddittorio Allegro ma non troppo, un poco maestoso -iniziare con un sospeso bicordo che non fa capire se la tonalità è maggiore o minore,
fatto avveniristico e arditezza espressiva per l’epoca. Questo elemento indistinto annuncia un viaggio sonoro nella permutazione dei temi, nell’ispirazione sublime e nel travaglio profondo: in sintesi l’essenza stessa della poetica matura del compositore. Il secondo tempo, in forma di Scherzo, con definizione del tempo Molto vivace conferma ancora il laboratorio innovativo a cui è giunto Beethoven da tempo. Ha caratteristiche multiformi e, nonostante la dicitura di impianto, accoglie elementi di contrasto drammatico. Nel bellissimo Adagio molto cantabile, andante moderato l’autore tocca le vette della luminosità trasparente ed ispirata che preannuncia lo Sturm dell’ultimo movimento che, per estensione, corrisponde quasi alla somma dei primi tre. All’epoca non era insolito accogliere liriche e vocalità nel grande impianto sinfonico ma, certo, la complessità, articolazione e lunghezza del Finale Presto siglano la krisis epocale della grande forma delle sinfonia. E’ dal 1799 che Beethoven legge, studia e ama Schiller e l’uso dell’ode Inno alla gioia è il risultato di una antica determinazione. Testo che incita alla fratellanza universale, che rivendica una mistica religiosa e civile ad un tempo. Risente del libertarismo illuminista - laddove il termine freunde sottende la parentela etimologica con freiheit, “libertà” termine allora proibito nei teatri austriaci durante e dopo la rivoluzione francese - di ispirazione liberomuratoria (il movimento cui aderirono, fra gli altri, Mozart, Haydn, Schiller e Beethoven stesso). Freunde dunque come una gioia non materiale, ma intrisa del sublime spirituale, accogliente consolazione, letizia, rasserenamento dell’anima nel segno della ricerca interiore e della comunione benefica degli intelletti e delle anime.
MUSICA
DOM 26 luglio 11.30 Chiesa San Francesco
Trio KarvayKaranovic-Stroissnig Dalibor Karvay - violin, Milan Karanovic - cello, Stefan Stroissnig - piano R. Schumann - Piano trio in d-Minor, op. 63 Mit Energie und Leidenschaft - Lebhaft, doch nicht zu rasch - Langsam, mit inniger Empfindung - Mit Feuer D. Schostakowitsch - Piano trio No. 2 in e-Minor, op. 67 Andante - Allegro con brio - Largo - Allegretto AUSTRIA
Due autori, due secoli diversissimi tra loro eppure con molte analogie. Analogie che i due autori in programma sintetizzano nelle loro due opere, con le stesse tensioni, le stesse passioni che solo il linguaggio della musica può rappresentare appieno.
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Il 1847, anno nel corso del quale, fra il 9 e il 16 Giugno, Robert Schumann (1810-1856) compose il trio per violino, violoncello e pianoforte in re minore op. 63, fu un anno prolifico e tragico al tempo stesso funestato dalla morte di un figlio di sedici mesi e dei due fratelli Fanny e Felix Mendelssohn, carissimi amici. In contraltare, nel segno di quella bipolarità patologica che segnerà la vita di Schumann, venne nominato direttore musicale a Dresda e compose diversi gioielli sinfonici e cameristici. Anche se la maturità schumaniana - mancano sei anni alla sua morte, dopo tre di internamento all’ospedale psichiatrico di Endenich - è caratterizzata dalla progressiva precipitazione psicotico-dissociativa della sua “storica” forma di depressione la sua creatività tocca vertici espressivi. Fra questi vi è senz’altro il trio in re minore, soffuso di quel senso di märchen,
del misterioso, dell’ineffabile che è cifra di alcune composizioni cameristiche del periodo (op. 113, ad esempio). Fin dall’inizio si percepisce che quel mit energie indica la sinuosità tematica di un flusso che pare caricare la propria forza d’espressione man mano che il primo tempo avanza.La tonalità di re minore sta a significare il tormento e l’abbandono al fato, quale che esso sia, quasi che il dialogo acceso fra le due anime di Schumann - Florestan ed Eusebius - conosca un ultimo sussulto. L’esperienza romantik di Schumann è qui traduzione diretta del proprio vissuto nel linguaggio dei suoni. In pieno secondo conflitto mondiale, a Leningrado, il 14 Novembre 1944, prende forma il secondo trio per violino, violoncello e pianoforte in minore op. 67 di Dmitri Shostakovic (1906-1975). Il compositore russo, fra un corale e un pezzo sinfonico in stile osservato per non irritare troppo l’establishment stalinista con il quale, dal 1936, viveva un rapporto assai travagliato, riservò allo spazio discreto della musica da camera momenti di intensa espressività. Il trio in minore op. 67 ha tutto lo strazio in un tempo e la stralunatezza quasi circense in un altro che non di rado sono tipici dell’incredibile creatività russa. Questa alternanza fra abissi di mestizia e tragedia e vette di scherzosità impervia sono rintracciabili sono distribuiti fra i quattro movimenti. Così spicca il virtuosismo quasi esagitato dell’Allegro con brio dove il rincorrersi dei temi sembra materializzare il movimento macchinico di marionette d’epoca mentre l’iniziale andante colpisce subito per un tematismo sottile che pare voce umana pregante. Il largo ha una agghiacciante solennità e una profondità d’espressione difficilmente eguagliabile. Nell’ Allegretto finale viene proposto un climax fortemente collegato ad un tematismo popolare che tiene conto di temi ebraici magnificati nello stesso periodo da quel capolavoro che è la raccolta From Jewish Folk Poetry.
MUSICA
DOM 26 luglio 18.00 Castello Canussio
Musiche dall’Inferno LiberArti FuturIsmi AntiDeologici da un’idea di Marco Maria Tosolini conversazione in forma di recital parole Marco Maria Tosolini liriche Paolo Antonio Simioni canto Sonia Dorigo videocomposizioni Antonio Della Marina elaborazioni sonore Arcana consulenza straordinaria Antonio Petris liriche di Ezra Pound Goffredo Petrassi (1904-2003) - Lamento di Arianna Alfredo Casella (1883-1947) - En Ramant (La Mer) Luigi Dallapiccola (1904-1975) - Aria della Madre da Il Prigioniero Giacinto Scelsi (1905-1988) - Litanie (per due voci femminili all’unisono o per voce femminile con nastro) Alban Berg (1885-1935) - Schlaf Bub! da Wozzeck ITALIA
Nel 1942, al Teatro dell’Opera di Roma, andò in scena l’allestimento dell’opera Wozzeck di Alban Berg, con sovvenzioni statali e in evidente inosservanza delle famigerate leggi razziali del 1938. Un episodio assai interessante e sconosciuto ai non addetti ai lavori che segnala l’esistenza di un mondo arricchito da figure di genio spesso trascurate o marginalizzate come Respighi, Casella, Malipiero, Dalla piccola, Petrassi, Scelsi. Liriche del grande Ezra Pound che pagò la coerenza alle proprie idee con tredici anni di internamento in un ospedale psichiatrico negli Stati Uniti.
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Nella Roma fascista e nell’Italia del dopoguerra. Il critico Enzo Restagno, nel suo sollecitare il compositore Goffredo Petrassi a narrare la sua vita in un testo celebrativo (AA.VV., Petrassi, Torino, 1986) lo invita a narrare dell’allestimento dell’opera Wozzeck di Alban Berg al Teatro dell’Opera di Roma, nel 1942, sovvenzionato dallo Stato e in evidente inosservanza delle famigerate leggi razziali del 1938. Un episodio assai interessante e sconosciuto ai non addetti ai lavori che segnala l’esistenza di un mondo artistico-istituzionale, in piena fase terminale del fascismo, capace di sviluppare, evidentemente, una forte autonomia decisionale. La vita stessa di Petrassi è eloquente ed emblematica di una situazione - quella dell’arte durante il regime fascista - non così ovvia e prevedibile. Dagli esperimenti futuristi (anche cubofuturisti destinati ad irritare i vertici leninisti nel 1921 a Kronstadt) al ripensamento dei vituperati compositori della “generazione degli ‘80”, alle rimozioni, spesso frutto di pregiudizi ideologici, di Dallapiccola e Scelsi la conversazione “svela” altre storie dimenticate della musica in Italia, spesso collegata, attraverso veri e propri geni oscurati, alla grande tradizione europea (Busoni, Respighi, Casella, Ghedini, Dallapiccola) ma anche all’oriente più visionario (Scelsi) laddove spesso Gorizia e Trieste furono laboratori straordinari di idee e abbattimento di barriere. In questo conclusivo appuntamento di Musiche dall’Inferno sui “canti possibili e negati” nei totalitarismi, non poteva mancare un tributo al grande poeta Ezra Pound, che pagò con tredici anni di internamento in ospedale psichatrico, nei democraticissimi Stati Uniti, la scomoda coerenza alle sue
idee. E, anche qui, arricchito dall’immaginifico lavoro documentale e creativo proiettato, dalle elaborazioni sonore che trasfigurano il tradizionale “accompagnamento” del canto, vengono celebrate creazioni di autori coinvolti, a vario titolo, nella cuore di questa grande storia.
MUSICA
DOM 26 luglio 18.45 Santuario di Castelmonte Prepotto
Coro Polifonico di Tirana musica etnico-religioso albanese ALBANIA
Una delle realtà corali più interessanti dei Balcani che farà risuonare l’anima profonda del genius loci con la complicità delle melodie magiche della vocalità popolare religiosa d’Albania, vero e proprio mondo sconosciuto.
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Nel Novembre del 2005 l’iso-polifonia albanese viene considerata “Patrimonio Culturale dell’Umanità” dall’UNESCO. Un riconoscimento di altissimo profilo per il Coro Polifonico “Tirana”, fondato nel 1990, che è il custode della tradizione millenaria, capace di nutrire tutt’oggi una coralità forte e vibrante, destinata ad immaginare l’ascoltatore fin dalle prima note. L’iso-polifonia ha in sé la magia del canto unico e officiante che si libra, quasi alleluia meditato e volatile, sopra il coro unisono delle altre voci. Nelle metriche, spesso libere come una sentita preghiera, risuona, attraverso la lingua del sud dell’Albania, così vicina alle sonorità arcaiche dell’antica grecia. La tradizione polivocale è ancora radicata nel sud dell’Albania, regione dal quale provengono i componenti del coro. Acquisita per tradizione orale la polifonia spontanea albanese, caratterizzata da questo originale dominio di una voce “concertante”, viene vissuta nelle regioni montuose come una sorta di patrimonio collettivo, intorno al quale stringersi per rivendicare una forte identità culturale. L’orografia e la natura sono gli elementi che delineano il territorio di formazione e vita di questa antica e suggestiva tradizione canora comunitaria: la regione adriatica a sud del fiume Shkumbin e quella ionica a sud del fiume Vjosa, che corrispondono ai gruppi linguistici tosk e lab. Due modalità con relazioni e differenze. La modalità Tosk, che privilegia l’orizzontalità, presenta sue solisti che, utilizzando un suono ininterrotto, tipo bordone (isso o kaba), procedono per imitazione. Vi è una vox principalis, marresi nella loro lingua, e una organalis, secondaria, pritesi in tosk. Il primo solista sviluppa melismi così ampi da portarlo al falsetto ricordando lo yodel dei cantoni svizzeri. Bereta, Koriza, Santiquaranta sono le regioni in cui vi è questa pratica. Il canto lab è orientato diversamente ad una pratica “verticale”, che realizza sorta di accordi i quali alternano, secondo percezione occidentale, dissonanze e consonanze. Se già nel contesto mediterraneo, le tecniche del emissione vocale e della condotta delle parti della polifonia tradizionale albanese presentano
caratteri originali. Lo stile lab appare più complesso e più vicino all’armonizzare occidentale. Infatti tre voci sono nominate marresi, kthyesi e hedhesi e svolgono, pur nella verticalità accordale, un gioco delle parti dialoganti, simile a nostri antichi mottetti, privilegiando registri acuti. Curioso osservare, nonostante questa maggiore “occidentalità” del Lab la maggior presenza di melodie pentafoniche, tipicamente di origine orientale e di stranianti intervalli di seconda. Valona, Tepelena, Argirocastro le aree di radicamento dello stile Lab.
LA DANZA uri che cadono: percorsi di libertà ritrovata. Da esprimere con parole forti, piene di energia tanto da non bastare a se stesse; diventano mute, si trasformano in gesti, danza di nervi, respiri di corpi “esprimenti”. I muri eretti a protezione inevitabilmente isolano e quando cadono c’è un bisogno istintivo di riequilibrarsi con l’esterno, con la natura, con gli altri, attraverso i sentimenti scalpitanti e quelli semplici della necessità comunicativa. I muri di cemento si possono abbattere con le ruspe, quelli della mente si possono livellare solo con la volontà ed il coraggio. Tra le grandi arti espressive, la danza usa il gesto, la disciplina di un’attesa e lo scatto di un muscolo per l’esplosione, di gioia, di rabbia, qualcosa che libera, da dentro e verso fuori, da una costrizione innaturale, che sia un pregiudizio, una libertà negata, un amore impossibile. La danza a MittelFest si articola, diventa percorso, evocativo e sperimentale come nella sua natura ma quest’anno, in particolare, sarà benevolmente atavico, tendente alla libertà, quella personale, quella di ogni individuo tra gli individui, quella di amare, quella di inseguire i propri ideali o il proprio destino, del libero arbitrio possibile, della libera espressività. Libertà in espressione: semplicemente MittelFest!
DIREZIONE ARTISTICA DANZA Walter Mramor
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I percorsi della Danza a MittelFest SUTRA
Tema: disciplina per l’elevazione dell’anima Il muro da superare: quello terreno, verso la liberazione spirituale
VISUAL NOTES
Tema: lo stupore tra poesia ed improvvisazione musicale Il muro da superare: le regole metriche
BACCANTI
Tema: attraverso la follia per perdonare i propri errori Il muro da superare: la propria consapevolezza
VOGLIO ESSERE LIBERO
Tema: la spinta dell’amore come ideale di libertà Il muro da superare: quello dei pregiudizi
NERVI - IL CORPO EROICO
Tema: l’eroe contemporaneo, l’eroe di se stesso Il muro da superare: il coraggio nelle azioni quotidiane
DIDONE E ENEA
Tema: la passione contro il Fato Il muro da superare: accettazione del proprio destino
SITE SPECIFIC
Tema: la divisione spaziale, percorsi paralleli con necessità comuni Il muro da superare: il rispetto nella convivenza
STELLE DELLA NUOVA EUROPA
Tema: l’arte che accomuna Il muro da superare: condivisione dei talenti naturali oltre le geografie
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DANZA
DOM 19 luglio 22.00 Convitto Nazionale P. Diacono
Sutra con i monaci buddisti del Tempio Shaolin coreografia di Sidi Larbi Cherkaoui ideazione di Antony Gormley musica di Szymon Brzóska eseguita dal vivo da Szymon Brzóska - Piano, Alies Sluiter e Olga Wojciechowska - Violino, Laura Anstee - Violoncello, Coordt Linke - Percussioni interpreti: Ali Thabet, Shi Yanchuang, Shi Yanci, Shi Yandong, Shi Yanhai, Shi Yanhao, Shi Janjian, Shi Yanjiao, Shi Yanjie, Shi Yanli, Shi Yanmo, Shi Yannan, Shi Yanpeng, Shi Yanqun, Shi Yantao, Shi Yanting, Shi Yanwen, Shi Yanxing, Shi Yanyong, Shi Yanyuan, Shi Yanzhu produzione Sadler’s Wells in co-produzione con: Athens Festival, Festival de Barcelona Grec, Grand Théâtre de Luxembourg, La Monnaie Bruxelles, Festival d’Avignon, Fondazione Musica per Roma e Shaolin Cultural Communications Company
I monaci buddisti del Tempio Shaolin, fondato in Cina un millennio e mezzo fa, ai piedi del sacro monte Song Shan, compiono gesti antichi quanto antica è la loro ricerca. Sutra nasce dall’incontro dei monaci con Sidi Larbi Cherkaoui, affascinato dalle loro tecniche, oltre che dalla spiritualità.
Ci sono le collaborazioni con i più importanti artisti della scena belga nel curriculum di Sidi Larbi Cherkaoui, danzatore e coreografo di origine marocchina. Dopo gli studi alla P.A.R.T.S. di Bruxelles, scuola diretta da Anne Teresa de Keersmaeker, ha intrapreso una intensa carriera di coreografo che lo ha portato a realizzare lavori con Les Ballets C.de la B. e Alain Platel (Rien de Rien), con Wim Vandekeybus e Guy Cassiers, e a trovare motivi d’ispirazione musicali nella collaborazione con Roel Dieltiens e Damien Jalet, o con il coro polifonico corso di A Filetta (Apocriifu).
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“E’ stato durante la mia seconda visita al tempio, nell’ottobre 2007, che le idee di un progetto comune si sono concretizzate. Sutra, deriva dalla parola sutta, termine che si riferisce ai sermoni o ai racconti del Buddha. Scavando un po’ più in profondità, ho scoperto un altro significato: la parola viene usata anche come termine generico per indicare le regole e gli aforismi, che nell’induismo indicano le linee guida della condotta di vita. In sanscrito significa anche corda, filo, onestà, il che ha un senso nel contesto attuale. Dato che spesso mi sento alla ricerca di regole di vita alternative, Sutra è un passo in avanti in questa direzione. Avevo già lavorato con un artista visuale come Antony Gormley ed ero a conoscenza dei suoi legami con l’Asia e con il buddismo in particolare, quindi ero ansioso di averlo con me in questa avventura. Sua è stata l’idea di creare una moltitudine di scatole di legno di varie dimensioni, concretizzando il principio Shaolin del corpo come un vettore di energia e come spazio delimitato. Le scatole possono essere vuote o piene. Queste scatole, che fungono allo stesso tempo da letto, bara, cuscino, architrave, unite possono anche creare un muro, un tempio, qualsiasi cosa: lo stesso incavo può dare profondità, rifugio e prospettiva. Ci sono infinite possibilità: di assem-
blaggio, di costruzione o di distruzione. All’equazione corpo e anima che gli Shaolin propongono, voglio trovare un terzo punto: le emozioni. Vorrei scoprire se la bellezza all’interno della disciplina, il talento - non teso a un successo materiale, ma a una crescita interiore - e il potere della meditazione sono nutrite dalle emozioni: queste ultime possono essere il link tra i due assi? Le composizioni musicali di Szymon Brzóska - per trio d’archi, pianoforte e percussioni - sono state il collante che ha unito tutti i vari componenti e creato il sentimento, il link emotivo vitale tra il pubblico e gli artisti, tra tutti noi. All’inizio di questo progetto ho notato subito che ci eravamo imbarcati in un viaggio collettivo - i monaci, Szymon Brzóska, Anthony Gormley e io - un viaggio che sembrava familiare e allo stesso tempo nuovo: un viaggio verso il futuro, non verso il passato. Questo nostro procedimento alla fine deve essere completato con gli spettatori, a patto che riescano a entrare in tale universo liberi da ogni vincolo con il mondo esterno e a capire la lingua che abbiamo coniato, a toccarne la filosofia. Spero che scoprano che la distanza tra il mondo dei monaci e il nostro è minore di quello che siamo portati a pensare”. Sidi Larbi Cherkaoui
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DANZA
LUN 20 luglio 22.00 Convitto Nazionale P. Diacono
Chopin-Vukan-Foldi: Visual Notes coreografia di Béla Földi musiche di Fryderyk Chopin, György Vukán eseguite dal vivo da György Vukán - pianoforte scene e costumi di Zsuzsa Molnár disegno luci di Béla Földi interpreti: Szilvia Réti, Alexandra Sághy, Katalin Stáry, Annamária Ur, Kristóf Várnagy produzione Budapest Dance Theatre UNGHERIA | PRIMA NAZIONALE
Il pianoforte di György Vukán, le coreografie di Béla Földi: danza e musica dal vivo, combinate assieme, suggeriscono al pubblico l’istinto da cui il teatro stesso sembra essere scaturito, alle origini dell’Occidente. Ma lo offrono allo spettatore nelle forme e con le emozioni della modernità. Avviata con studi di balletto classico e danza jazz, la carriera coreografica di Béla Földi culmina nel 1991 con la fondazione del Budapest Dance Theatre, oggi una delle formazioni guida della danza ungherese, dove egli svolge anche compiti didattici. Le sue preferenze, e il gusto per un mix di balletto accademico e tecniche come quelle di Raza Hammad e Josè Limon, lo hanno portato a collaborare spesso con coreografi nazionali e stranieri: Pál Frenák, Gyula Berger, Tamás Juronics, Raza Hammadi, Glenn van der Hoff, Neel Verdoorn, Séan Curran, Vassili Sulich and Marie-Laure Tarneaud.
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C’è una poesia, nelle note di Chopin, che sprigiona sentimenti e smantella paure. Sensazioni e necessità sgorgano irrefrenabili. La dolcezza, coraggiosamente, manifesta se stessa. I drammi evocati dalle sonorità del compositore polacco spesso nacquero da improvvisazioni, dal fluire del momento, che egli sapeva riconoscere ed intercettare. Venti di sentimenti, catturati e fatti note per proteggerne la soavità e la malinconia. “Anche in poche, pochissime battute musicali, Chopin riesce a conseguire effetti drammatici di grande intensità”. Ne è convinto il pianista György Vukán, che ha collaborato in più occasioni con l’ensemble del Budapest Dance Theatre, raggiungendo risultati altamente suggestivi. All’humus sentimentale di Chopin, il pianismo
brillante e talentuoso di Vukán - che in questo spettacolo suona dal vivo - aggiunge trascrizioni, tuffi nel jazz, improvvisazioni repentine ed istintive, che fanno fluttuare l’esibizione dei ballerini. Il pubblico comprende allora che l’armonia creatasi tra musica dal vivo e danza è un’esperienza doppiamente fisica, perché l’emozione dell’ascolto si fonde con il movimento in una esperienza intima. Lontana dalle sonorità slave, l’improvvisazione jazzistico americana sfuma improvvisamente nel romanticismo di Chopin: notturni, preludi, improvvisi, valzer. Diventa tangibile la parte romantica, l’impeto strutturato del pianoforte, il sentimento caldo ma scalpitante che anela alla passione e all’azione. Ma vi si alternano ritmi e suoni di geografie lontane, che si rincorrono come a confronto. Questa precisa volontà, di giustapporre mondi lontani, è il motivo d’interesse musicale più forte dell’intero spettacolo. A loro agio, sia nella profonda conoscenza del balletto classico sia negli excursus nel contemporaneo, i danzatori del Budapest Dance Theatre interpretano con facilità la performance di Vukán e così riscoprono le radici dell’espressività, quando la musica e la danza nascevano dai sentimenti e bisogni del momento, dall’andamento temporale e umorale, dagli inscindibili istinti umani.
DANZA
MAR 21 luglio 22.00 Convitto Nazionale P. Diacono
Baccanti da Euripide coreografia e regia di Micha van Hoecke elaborazione del testo di Chiara Muti con Chiara Muti e Pamela Villoresi costumi Marella Ferrera quadri in scena Gianpaolo Berto - si ringrazia Floriano Caroli impianto scenico Renzo Milan light designer Bruno Ciulli assistente alla regia e coreografia Yoko Wakabayashi interpreti: Antonio Aguila Carralero, Michela Caccavale, Rosa Cariulo, Viola Cecchini, Marzia Falcon, Miki Matsuse, Raffaele Sicignano, Michele Francesco Simone, Erica Tamagnini e Silvia Giuffrè, Antonella Grigoli, Laura Licciardello, Giusi Vicari direttore tecnico Marisa Biagioli assistente ai costumi Viviana Ballivo scene realizzazione eseguita da Vincenzo D’Agostino e Paolo Gulotta presso il Laboratorio Gulotta - Palermo fonico Mauro Forte mixaggio tecnico Raffaele Sicignano direttore di produzione Debora Meggiolaro produzione Ravenna Festival in collaborazione col Festival “Teatro dei due mari” di Tindari ITALIA
Ancora una volta la danza di Micha van Hoecke abbraccia e assorbe canto, parola, musica. Grazie anche a due delle maggiori ed affascinanti interpreti del panorama teatrale italiano, Chiara Muti e Pamela Villoresi.
Danzatore, coreografo, attore, regista Micha van Hoecke crede in un teatro totale, dove la danza si fonde con la musica, il canto, la recitazione per dare vita ad un’irripetibile opera d’arte. Nato a Bruxelles, il padre era un pittore belga, la madre una cantante russa e la zia materna, una ballerina. Una lunga carriera, costellata di riconoscimenti e successi, lo ha visto a fianco di alcune tra le personalità più importanti della danza del ventesimo secolo - Roland Petit, Maurice Béjart - e poi sapiente timoniere del proprio Ensemble.
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Le Baccanti di Euripide affondando le proprie radici nel mito di Dioniso e in quello delle folli donne - le Menadi - che, liberando il corpo e la mente, prendevano parte ai riti orgiastici in suo onore. Quella proposta da Micha van Hoecke è però una lettura insospettabile e notturna della tragedia scritta due millenni e mezzo fa: ‘’perché solo di notte - dice il coreografo - siamo fino in fondo noi stessi’’. “Euripide mette in scena in maniera particolarmente cruda la follia umana” prosegue van Hoecke, che ha voluto comporre lo spettacolo affiancando al lavoro coreografico del suo Ensemble anche le voci di due sensibili interpreti teatrali, Chiara Muti e Pamela Villoresi, voci cariche di risonanze emotive nell’alchimia di questo spettacolo. “Io parto dalla demenza di Agave, la madre di Penteo che, invasata dal delirio dionisiaco, uccide il proprio figlio, tiranno a Tebe, perché egli si ostina a negare la natura divina di Dioniso, considerandolo un comune mortale. Proprio questo rifiuto del culto, che rovescia gli schemi, inverte i ruoli, mescola i generi, causerà la sua perdizione. Partendo dalla fine della tragedia, Agave rivive come in un flashback l’intera vicenda, in cui scopriamo un Dioniso che dice: mi sono trasformato io - il dio - in un uomo. Divinità, virilità, femminilità mescolati, a volte qui e altrove”. “Dioniso ci fa viaggiare. E’ di passaggio? è straniero? è autoctono? È dappertutto. Il dio oltraggiato arriva a Tebe, patria della madre Semele, per vendicarla. La sua irruzione nelle città disturba il potere e trasforma le abitudini: ecco spiegato il rigetto del suo culto, che si ritiene portatore di malore e morte.
Ma Dioniso è anche il dio della natura, del vino, del teatro e della danza: da tempo Zeus mio padre aveva messo i sigilli sul vostro destino… perché ritardare l’ineluttabile?” “Attraverso Dioniso - conclude van Hoecke - le musiche di Wagner, dell’Asia, della Grecia si fondono in un baccanale dove la danza, il gesto e la parola compenetrano la dimensione spirituale e religiosa dell’opera, per conferire al rito un significato di trascendenza e anelito all’infinito”.
DANZA
MER 22 luglio 21.30 Piazza Duomo
Un omaggio all’amore, al coraggio, a Rudolf Nureyev. La vicenda artistica e umana dell’indimenticabile ballerino russo è lo spunto per danzare su un amore perduto. Danzare per qualcuno è un regalo, danzare di qualcuno è riconoscenza, danzare nel ricordo è tener fede a un’intima promessa.
Voglio Essere Libero coreografia di Michele Merola musiche originali di Valter Sivilotti regia di Walter Mramor costumi di Alessio Rosati disegno luci e progetto video di Cristina Spelti interpreti: Vincenzo Capezzuto, Camilla Colella, Davide Di Giovanni, Maurizio Drudi, Susanna Giarola, Paolo Lauri, Enrico Morelli, Luana Moscagiuli, Giovanni Napoli Orchestra dell’Accademia Naonis di Pordenone Piccolo coro Artemia di Torviscosa diretto dal Maestro Denis Monte solisti: Franca Drioli - Soprano, Sebastiano Zorza - Fisarmonica, Diego Cal - Tromba, Giorgio Fritsch, Gabriele Rampogna - Percussioni Valter Sivilotti - Pianoforte e Direzione Caterina Croci - Maestro collaboratore con due citazioni musicali tratte da Step’ da step’ krugom - canto popolare Russo (consulente per la musica russa Irina Ovtcinnikova) Ai preat la biele stele - Franco Escher testi originali di Edoardo De Angelis e Mariacristina Di Giuseppe con citazioni di testi poetici di Carlo Michelstaedter, Sergej Esenin e Srečko Kosovel coproduzione Daniele Cipriani Entertainment e MittelFest 2009 ITALIA | PRIMA ASSOLUTA a spingerlo a compiere questo gesto coraggioso. Sarebbe dovuto essere un arrivederci, fu un addio. A Berlino il cemento sale, inesorabile, poco dopo. Trancia speranze e futuro. Non si vedranno mai più. Fossero loro le uniche due vittime del muro, sarebbe già un prezzo troppo alto.
Il progetto di questo spettacolo nasce dallo spirito di collaborazione che aveva già visto il compositore e pianista Valter Sivilotti scrivere le musiche per La variante di Lüneburg (2007), la fabula in musica tratta dal romanzo di Paolo Maurensig e interpretata da Milva e Walter Mramor. La radice biografica e coreutica di Voglio essere libero ha quindi trovato spazio nelle idee e nella poetica di Michele Merola, direttore artistico del MMCompany, coreografo dall’orizzonte internazionale (ha lavorato anche a Huston e per il Teatro di Belgrado), ruolo recentemente riconosciutogli dal Premio Léonide Massine - Positano 2008.
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Aeroporto di Parigi, 1961. Un giovane danzatore russo non libero del suo amore, decide di buttarsi oltre al potere, nel rischio, tra le braccia di gendarmi stranieri invece di rinunciare ai suoi sentimenti, alle sue aspirazioni. Alla conclusione della tournée in Francia, Rudolf Nureyev deve risalire sull’aereo che lo riporterà in patria, ma sa che oltre cortina non ci sarà più libertà d’amore né possibilità di muoversi. In un attimo egli decide della sua vita, e la cambia. Si getta tra le braccia dei poliziotti francesi, chiede asilo politico. È stato Teja Kremke, giovane ballerino proveniente dalla Germania dell’Est, con il quale Rudolf aveva condiviso al Kirov amicizia e forse amore,
Il dramma di quelle due vite è solo uno spunto. In Voglio essere libero, ideata e realizzata in esclusiva per MittelFest dal coreografo Michele Merola sulle magiche musiche originali dell’istrionico Valter Sivilotti e con la regia di Walter Mramor, si balla dell’amore, della libertà nell’amore, della forza del sentimento, dell’impavida gioventù, di tante negazioni, di destini cambiati, di coraggio, di sfida per il sogno, costi quel che costi. Si balla per continuare a sperare, con la forza di chi sa che può scegliersi il futuro. Si balla contemporaneo su tematiche senza tempo, che resteranno invariate nel futuro. Si balla attraverso il tempo, attraverso la storia, oltre la storia. Berlino è evocata, sì, ma nel ricordo di altre città divise, tante, che hanno visto dolorose linee tirate sulla carta geografica a segare con geometrica freddezza passati e futuri. E la danza segue fedele l’altalena umana di sogni e ideali, traditi o possibili. Nove ballerini a cogliere l’umanità, a tratti coraggiosa a tratti beffata e tramortita dal destino, ad imprimere sul palco con ogni passo il battito di un cuore che non vuole né cedere né rallentare.
DANZA
GIO 23 luglio 22.00 Convitto Nazionale P. Diacono
Nervi - Il Corpo Eroico coreografia e regia di Marta Bevilacqua interpreti: Marta Bevilacqua, Anna Giustina, Valentina Saggin musiche originali di Vittorio Vella disegno Luci di Marco Melchior scenografie di Claudio Trapper produzione Arearea 2009 Udine con il sostegno di: Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Dipartimento dello Spettacolo, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ITALIA | PRIMA NAZIONALE
Il corpo eroico si declina al femminile. E prende spunto da leggendarie figure di donna e dalla loro determinazione: Giovanna D’Arco, Anna Bolena, Elisabetta I, Caterina II. Uno sguardo alla storia, riletta in chiave contemporanea. Un’ispirazione rock, dentro una scenografia scarna e ferrosa.
La compagnia Arearea è stata fondata nel 1992 dal coreografo e danzatore Roberto Cocconi, già membro della compagnia Teatro e Danza La Fenice di Venezia sotto la direzione di Carolyn Carlson, e poi fondatore del gruppo Sosta Palmizi insieme ad alcuni dei più importanti nomi della danza d’autore italiana odierna. Dal 2003 la compagnia si avvale anche della cifra coreografica di Luca Zampar e Marta Bevilacqua, formata quest’ultima all’Accademia Isola Danza sempre sotto la guida di Carlson, e creatrice in questi anni di lavori come PGR - Per Grazia ricevuta, Mozart_Idomeneo, Linea Imperfetta.
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L’eroe mitologico, l’eroe tragico, l’eroe romantico e persino l’eroe contemporaneo hanno in comune l’incarnazione della diversità, e il piacere dell’invincibilità, la scommessa e la sopportazione del dolore, la lucidità dello sforzo verso l’imprevisto del divenire. L’eroe non è un santo ma un semi-dio stoico, un semi-dio illuminato dall’intelletto, un coraggioso con l’animo di un temerario. Il destino dell’eroe è quello di perdere la propria carne, inferendo simbolicamente contro il proprio corpo in favore di un ultra - corpo. Contro la ginnastica dell’obbedienza e della violenza indistinta, contro la massificazione della forza, contro l’unidirezionalità dell’obbiettivo, l’eroe è un singolo consapevole della complessità del destino, un fascio di nervi, è uno scatto di impazienza e un sentiero di imprevisti. Nessuna sovrabbondanza d’armi, solo una corazza ricamata e piena di cuore. Il corpo eroico non guarda al cielo, semmai alla gloria terrena, non accetta la decomposizione della
carne, ma la affronta, la sceglie, la vuole. Con ardore selvaggio e torbido, egli mette sulla polvere una carne profonda: una carne dalle origini remote, dall’antico mistero, dalle libidini sacre. Si svegli l’eroe! Quello che appare in tutte le fiabe e i racconti mitologici come simbolo della possibilità di andare avanti nel proprio viaggio vitale e trovare un significato a questo movimento, quello che non teme la battaglia contro il mostro, il nemico da cui esce vittorioso. Si svegli l’eroe! Perché il passato è irrevocabile, non solo in quanto dissolto dal tempo, ma perché su di esso ha preso il sopravvento un presente volgare, che ignora e spregia la bellezza. Si svegli l’eroe! Per salvare l’uomo creatura: ansioso e dolente, curvato sotto leggi infrangibili. Si svegli l’eroe, e non il salvatore, non il redentore! Ma il plasmatore di uomini tragici. Solo il coraggio, infatti, terrorizza i difetti e gli istinti nichilisti.
DANZA
VEN 24 luglio 22.00 Convitto Nazionale P. Diacono
Didone e Enea ideazione e coreografia di Matteo Levaggi musica di Henry Purcell disegno luci di Marco Policastro costumi di Manuela Dello Preite interpreti: Manuela Maugeri, Viola Scaglione, Valeria Vellei, Giuseppe Cannizzo, Mattia Furlan, Gert Gijbels, Rosario Guerra, Roberto Orlacchio, Vito Pansini produzione Balletto Teatro di Torino ITALIA
Didone e Enea: l’Amore e il Fato. Qui la danza viene ridonata alla danza, la musica alla musica. Il movimento è tangibile, fresco, un’espressione pulita e chiara che arriva al pubblico senza filtri, senza astrattismi.
“Lavorando con i componenti essenziali della danza - tempo, spazio, peso, dinamica - e con le loro molteplici relazioni, Matteo Levaggi si iscrive fin d’ora sulla linea dei coreografi, poco numerosi, per i quali il movimento puro è la materia prima di riflessione” ha scritto autorevolmente la rivista trilingue Ballet2000. Coreografo oggi stabile del Balletto Teatro di Torino, Levaggi ha affiancato artisti come Mauro Bigonzetti, Alicia Alonso, Karol Armitage, ma ha danzato anche il ruolo di Antinoo nelle Memorie di Adriano di Giorgio Albertazzi.
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Ispirato alla storia d’amore che Virgilio ha raccontato magistralmente nel quarto libro dell’Eneide, Didone e Enea resta un capolavoro dell’arte musicale barocca. Henry Purcell lo compose nel 1689, sbalzando nella sua partitura una stringente drammaturgia dei sentimenti, che fa risaltare la nobile figura della protagonista, grazie anche al libretto di Nahum Tate, scritto sulla scorta di una tragedia in scena proprio in quella stagione a Londra. Meravigliosa e toccante, essenziale, compatta, ma allo stesso tempo ricca e varia, la musica di Purcell si sviluppa sullo schema operistico convenzionale dell’epoca, che alterna recitativo, aria, coro e danza. Ma con un gioco di luce e ombra, verità e inganno, all’inizio schematico e poi sempre più coinvolgente, l’opera sfocia nella sublime aria finale e nella morte di Didone. La dolorosa vicenda della regina di Cartagine ha trovato spesso la via della coreografia: tra le più celebri e recenti, quella di Mark Morris, peraltro nel ruolo stesso della regina, e quella di Sasha Waltz.
Alle molte interpretazioni coreografiche si è aggiunta, ora, la nuova la creazione di Matteo Levaggi per il Balletto Teatro di Torino. “Naturalmente quello di Didone ed Enea è un soggetto coinvolgente - dice il coreografo - ma in Purcell vengono alla luce risvolti surreali, magici. La sventura non è attribuita agli dei e al destino di Enea, come nell’Eneide, ma al sortilegio, personificato della magia e dalle streghe: si vengono così a creare nuove e affascinanti dinamiche teatrali”. Una scelta coraggiosa questa di Levaggi: voler costruire danza su una musica con una forte storicità, legata alla dinamica incalzante e ai continui cambi scena richiesti dal libretto originale. Ma proprio la decisione di creare movimento e grazia su una musica tanto emotiva ha fornito la chiave interpretativa: quella della soavità, del semplice, del diretto, assecondando i sentimenti in scena con fedele riconoscenza al ritmo. Nell’idea del coreografo, la figura di Didone è “una luce trovata accesa, che piano piano si spegne”.
DANZA
SAB 25 luglio 23.00 Convitto Nazionale P. Diacono
Site Specific coreografia di Massimo Gerardi, Emanuele Soavi regia e Drammaturgia di Achim Conrad scene e costumi di E. Havertz disegno luci di M. Sandmeier interpreti: Massimo Gerardi, Emanuele Soavi produzione movingtheatre.de in cooperazione con il Festival “Sommerblut” /Colonia e con il sostegno del Comune di Colonia GERMANIA | PRIMA NAZIONALE
Divisi in due gruppi, gli spettatori sono obbligati a seguire solo uno dei due performer. Più tardi sarà permesso loro di oltrepassare il limite, di conoscere l’altra realtà, e di vivere infine l’incontro liberatorio dei due caratteri, la loro coesistenza nel nuovo territorio acquisito.
Ha sede a Colonia la compagnia movingtheatre.de, nata nel 1997 su iniziativa di Achim Conrad e Bernd Sass. Pensata come collettivo di artisti provenienti da diverse realtà, ma interessati alla ricerca interdisciplinare tra forme d’arte, si é articolata ed estesa in questi anni fino a divenire una delle poche compagnie tedesche in grado di presentare nel suo repertorio spettacoli di prosa, musica, danza, e teatro per i giovani. Nel settore della danza contemporanea i due coreografi italiani Massimo Gerardi e Emanuele Soavi trattano i loro soggetti indipendentemente da qualsiasi categorizzazione teatrale, e le coreografie vengono create in collaborazione con l’attore e drammaturgo Achim Conrad.
Le immagini presenti nella memoria collettiva e relative ai muri che hanno fatto, fanno, e faranno la storia - il muro di Berlino è naturalmente tra questi - hanno spinto la formazione italo-tedesca di movingtheatre.de a riflettere sui molteplici significati, sugli effetti, sulle esperienze che l’esistenza di un muro, materiale oppure simbolico, produce in ciascuno di noi. Da questa riflessione è partita e si è andata via via elaborando una performance multidisciplinare (danza, teatro, installazione multimediale). Le condizioni umane determinate da questo tipo di divisioni sono state così trasportate sul palco e rafforzate da alcune osservazioni-emozioni che riguardano le trasformazioni culturali, sociali, politiche e religiose avvenuti negli ultimi decenni. Due uomini, un muro. In scena, un confine separa le esperienze personali di due personaggi: uno agisce in un inquadramento sociale restrittivo, dove esiste limitazione del pensiero politico e repressione dell’informazione; l’altro, in apparente libertà, fruisce invece dei vantaggi propri di una società post-industriale. All’interno dei due settori scenici i personaggi, pur essendo caratterialmente diversi e vivendo in situazioni sociali differenti, arrivano insieme al rifiuto della loro condizione esistenziale. Ciò li proietta repentinamente in una nuova realtà. Così come l’impianto scenico, anche gli spettatori vengono suddivisi in due gruppi, visivamente separati da una barriera che permette loro di seguire soltanto uno dei due performer. In un secondo tempo sarà permesso anche al pubblico di oltrepassare il limite, conoscere l’altra realtà, e infine vivere l’incontro dei due caratteri e della loro coesistenza nel nuovo territorio acquisito. “Gerardi e Soavi sono alla ricerca dei veri sentimenti nell’anima delle due Germanie - ha scritto la RundSchau, il quotidiano di Colonia - la performance ci insegna, o ci obbliga, a cambiare prospettive e punti di vista sulle cose”.
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Un viaggio nella danza europea, con un doveroso sguardo sulla formidabile scuola russa. Ma piÚ in generale un omaggio tout cour alla danza, a una disciplina armonizzata ed educata all’arte, alla cultura del corpo, alle melodie piÚ classiche.
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DANZA
DOM 26 luglio 22.00 Piazza Duomo ROMEO E GIULIETTA (Capuleti e Montecchi) Musica: Sergej Prokofiev Interpreti: Orchestra SYLVIA Coreografia: John Neumeier Musica: Leo Delibes Interpreti: Silvia Azzoni e Oleksandr Ryabko LA MORTE DEL CIGNO Coreografia: Michel Fokine Musica: Camille Saint-Saëns Interpreti: Irina Dvorovenko ROMEO E GIULIETTA (Capuleti e Montecchi) Coreografia: Musica: Sergej Prokofiev Interpreti: Maria Iakovleva e Denys Cherevychko
Stelle della Nuova Europa Gran gala di danza
progetto in esclusiva per MittelFest a cura di Daniele Cipriani musica dal vivo: Orchestra Mitteleuropea diretta dal Maestro Alfonso Scarano interpreti (in ordine alfabetico): Silvia Azzoni - Balletto di Amburgo Maxim Beloserkovsky - American Ballet Theatre Denys Cherevychko - Balletto dell’Opera di Vienna Irina Dvorovenko - American Ballet Theatre Olga Esina - Balletto dell’Opera di Vienna, già Kirov Ballet, Teatro Mariinskij Maria Iakovleva - Balletto dell’Opera di Vienna, già Kirov Ballet, Teatro Mariinskij Bojana Nenadović Otrin - Ljubljana Ballet Giuseppe Picone - étoile internazionale Oleksandr Ryabko - Balletto di Amburgo Vladimir Shishov - Balletto dell’Opera di Vienna, già Kirov Ballet, Teatro Mariinskij produzione Big Frog Entertainment, Orchestra Mitteleuropea, MittelFest 2009 EVENTO SPECIALE MITTELFEST 2009
ANNA KARENINA Coreografia: Boris Eifman Musica: Pyotr Ilyich Tchajkovskij Interpreti: Olga Esina e Vladimir Shishov RAYMONDA Coreografia: Marius Petipa Musica: Alexander Glazunov Interpreti: Bojana Nenadović Otrin e Giuseppe Picone IL LAGO DEI CIGNI (Pas de deux “Cigno nero”) Coreografia: Marius Petipa Musica: Pyotr Ilyich Tchaikovsky Interpreti: Irina Dvorovenko e Maxim Beloserkovsky IL LAGO DEI CIGNI (Preludio II Atto) Musica: Pyotr Ilyich Tchaikovsky Interpreti: Orchestra IL LAGO DEI CIGNI (Pas de deux Atto II “Cigno bianco”) Coreografia: Marius Petipa Musica: Pyotr Ilyich Tchaikovsky Interpreti: Olga Esina e Vladimir Shishov APOLLON MUSAGETE Coreografia: George Balanchine Musica: Igor Stravinskij Interpreti: Irina Dvorovenko e Maxim Beloserkovsky LA DAMA DELLE CAMELIE (Black pas de deux) Coreografia: John Neumeier Musica: Frédéric Chopin Interpreti: Silvia Azzoni e Oleksandr Ryabko LE SPECTRE DE LA ROSE Coreografia: Michel Fokine Musica: Carl Maria von Weber Interpreti: Bojana Nenadović Otrin e Giuseppe Picone DON CHISCIOTTE Coreografia: Marius Petipa Musica: Ludwig Minkus Interpreti: Maria Iakovleva e Denys Cherevychko
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La danza, in quanto arte del corpo, gioca un ruolo fondamentale nella mappa di un’Europa unita e tesa, oggi più che mai, a riconoscere obiettivi comuni e singole identità, in faticosa riemersione dopo l’abbattimento della cortina di ferro. La danza, arte girovaga per eccellenza, è nata senza steccati. L’Italia, che l’ha tenuta a battesimo nelle corti del Rinascimento, ha schiuso da subito i suoi battenti favorendo la circolazione all’estero di coreografi e ballerini e accogliendo contemporaneamente gli artisti stranieri. Si è creato così uno scambio fervido di dibattiti e riflessioni che ha contribuito a sagomare
le estetiche e gli stili che hanno dominato il teatro europeo e quello d’oltreoceano, almeno fino alla fine dell’Ottocento. I teatri di Milano, Parigi e Vienna hanno da sempre rappresentato palcoscenici fondamentali per la diffusione e lo scambio culturale nel balletto internazionale. E furono proprio i nostri danzatori come gli eredi dei maestri francesi a importare nella Russia zarista della seconda metà del XIX secolo la grande sapienza virtuosistica e il talento di mimi della danza italiana. Tra le gemme coreografiche di questa grande stagione del balletto russo si staglia il Don Chisciotte, la coreografia di Marius Petipa. Tuttavia il balletto classico che ancor oggi più intensamente esprime l’anima lirica russa è Il Lago dei Cigni, con musica di Ciajkovskij. I due pas de deux (il cigno bianco e il cigno nero) sono e saranno a lungo i simboli eterni del Bene e del Male. La stagione dei Balletti Russi, la compagnia fondata da Sergej de Diaghilev, attiva dal 1909 al 1929, segnò invece l’inizio della modernità, l’apertura del Novecento, e pose le basi di un grande rinnovamento artistico e poetico della danza teatrale, favorendo la collaborazione delle più eminenti personalità della letteratura, della musica, dell’arte e della coreografia. Seguendo il programma della serata, che ripercorre le tappe più significative di questa presenza fino ai nostri giorni, si finisce col toccare anche esperienze recenti: il balletto Anna Karenina, ad esempio, creato dal russo Boris Eifman nel 2005. Eifman è tra i più interessanti coreografi della contemporanea Russia. Desideroso di svecchiare le forme obsolete del balletto classico, Eifman ha creato le sue coreografie spesso prediligendo musiche di autori rock o popolari, in ciò venendo incontro alle esigenze di un pubblico più giovane.
lcuni fra i musicisti piu’ rappresentativi della musica tradizionale e della ricerca musicologica raccontano la loro passione, la loro storia, le musiche che da una vita li attraversano. Una ricca varietà di esperienze che hanno un percorso di almeno tre generazioni; musiche riproposte filologicamente, elaborate, riarrangiate ma sempre con amore e rispetto. Con MittelMusica si vuole rendere giustizia alla cosiddetta “Musica da strada” troppo spesso sminuita e sottovalutata, proponendo una rosa di nomi illustri sia della nostra regione sia di regioni e stati limitrofi. Da Janos Hasur, prestigioso violinista ungherese a lungo collaboratore di Moni Ovadia, a Giulio Venier, cofondatore dello storico gruppo La Sedon Salvadie, Giovanni Floreani e Gianfranco Lugano (Strepitz), i violinisti della magica Val Resia, le voci popolari per antonomasia di Emma Montanari e Marisa Scuntaro assieme alla violinista Lucia Clonfero (Clobeda’s). Gli amici emiliani Paolo Simonazzi, fondatore de “La Piva dal Carner” ed il violinista Emanuele Reverberi, Michele Pucci, vero talento chitarristico. Uno strepitoso pool di “Suonatori” per trascorrere alcuni magici momenti di musica vera suonata con lo spirito e il guizzo dei nostri vecchi.
I Musicisti Janos Hasur violino Paolo Simonazzi e Emanuele Reverberi (Desperanto Project) ghironda, organetto, violino, musette Gianfranco Lugano e Giovanni Floreani (Strepitz e Grop Tradizional Furlan) fisarmonica, cister, gaita spagnola, musette francese Michele Pucci e Giulio Venier chitarra, violino Lucia Clonfero, Emma Montanari, Marisa Scuntaro violino, voci, bassetto, chitarra Trio san Giorgio di Resia çitira (violino), bunkula (violoncello)
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IL TEATRO DI FIGURA na piccola sezione che ha al suo interno due compagnie che hanno vissuto in prima persona il cambio epocale della caduta del muro. Due storie esemplari, anche se differenti: Drak e Ciróka. Divadlo Drak, compagnia ceca nata nel 1958, negli anni ’80 divenne a pieno titolo una delle compagnie di punta e di eccellenza del Teatro di Figura europeo. Memorabili furono, assieme a molti altri, l’allestimento della Sposa venduta di Smetana e la saga finnica del Kalevala con la regia di Josef Krofta e le scene di Petr Matásek. Due spettacoli che tra l’altro vennero per la prima volta in Italia nel 1988 al festival internazionale di Muggia e che furono esempi e modelli per tantissimi artisti e operatori. E’ un piacere averli di nuovo ospiti con un loro nuovo spettacolo realizzato dallo stesso regista. Un’occasione rara e preziosa per apprezzare e gustare un lavoro che coniuga con estrema raffinatezza e sapienza teatrale l’attore e l’oggetto. Teatro quindi che esce dalle suddivisioni dei generi e che rientra, come succede per i tutti grandi, nel teatro “tout court”. Differente è la storia della compagnia ungherese Ciróka Puppet Theatre, che nasce come gruppo amatoriale intorno all’artista László Báron alla fine degli anni ’50 e solo nel 1986 diventa a tutti gli effetti compagnia professionale. La loro storia li porta ad avere un taglio estetico fuori dagli schemi più convenzionali. E, utilizzando con grande maestria più codici, raggiungono risultati non indifferenti. Lo spettacolo The story of the girl in blue, ispirato a un quadro di Picasso, che presentano per la prima volta in Italia, è uno degli esempi più riusciti. Completano la sezione Marionette tre compagnie italiane: Giorgio Gabrielli, vincitore del premio “Marionetta d’oro 2008” e Luca Ronga, vincitore a sua volta del premio nel 2007, con una farsa tradizionale per burattini.Per finire, la nuova produzione di Gigio Brunello, commissionata e coprodotta con il CTA, che debutta in prima assoluta a MittelFest: Come gli Etruschi uscirono dalla crisi, scritto dalla stesso Brunello in collaborazione con Giulio Molnar affronta un tema attuale, quello del rapporto tra crisi economica e tagli alla Cultura. Ecco, un nostro piccolo apporto che si aggiunge alle ormai tantissime e certamente più importanti voci che denunciano sempre più la situazione di degrado sociale e culturale in cui ci troviamo oggi. Una denuncia con i soli mezzi che abbiamo a disposizione: i burattini e le loro parole.
DIREZIONE ARTISTICA TEATRO DI FIGURA Roberto Piaggio
I percorsi del Teatro di figura a MittelFest La vetrina internazionale:
THE STORY OF THE GIRL IN BLUE ZLATOVLÀŠKA - RICCIOLI D’ORO La produzione 2009:
COME GLI ETRUSCHI USCIRONO DALLA CRISI La tradizione italiana:
ALL’OMBRA DELL’OLMO GRANCONCERTO PER MARIONETTA E PIANOFORTE FAGIOLINO DOTTORE SUO MALGRADO 57
TEATRO DI FIGURA
DOM 19 luglio 18.00 Teatro Ristori
The Story of the Girl in Blue La Storia della Ragazza in Blu disegni Mari Horváth musica Erzsi Kiss animazioni filmate Péter Sisak regia Rita Bartal Kiss con Eszter Aracs, Judit Bor, Balázs Szabó produzione Ciroka Puppet Theater - Kecskemét UNGHERIA | PRIMA NAZIONALE Niente di più facile che lasciare all’immaginazione dello spettatore la costruzione di una storia. Ogni immagine, ogni quadro, ogni fotografia, possono raccontarne una: basta che chi li guarda faccia attenzione e cominci ad immaginare. Si basa su questo elementare principio, il modo in cui Mária Horváth, disegnatrice, e Rita Bartal Kiss, regista (le artiste ungheresi creatrici di questo inedito esempio di teatro di figura) hanno ideato La storia della ragazza in blu. Per raccontare l’arte attraverso l’arte.
GIO 23 luglio 19.00 Teatro Ristori
Zlatovlàška Riccioli d’Oro
regia Josef Krofta disegni Marek Zákostelecký musica Jiří Vyšohlíd con Jiří Vyšohlíd, Václav Poul, Jiří Kohout, Luděk Smadiš, Filip Huml, Jan Popola produzione Divadlo Drak - Praga REPUBBLICA CECA | PRIMA NAZIONALE
Non manca spirito umoristico né talento culinario agli attori di questa nuova produzione del Teatro Drak. Grazie all’intuito registico di Josef Kotka, la compagnia ceca aggiunge un altro divertente capitolo al precedente How Daddies Play, che per tre stagioni ha tenuto banco sui palcoscenici nazionali e internazionali del teatro di figura. Dopo aver rivisitato Biancaneve è ora la volta di Riccioli d’oro: raccontare in cucina, tra tegami e soffritti, serve a dare alla favola aromi inaspettati.
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TEATRO DI FIGURA
SAB 25 luglio 18.00 Chiesa Santa Maria dei Battuti
Come gli Etruschi uscirono dalla Crisi atto unico di e con Gigio Brunello ideazione Gigio Brunello e Gyula Molnar burattini e scene Gigio Brunello scenofonia Lorenzo Brutti coproduzione CTA e Teatro della Marignana ITALIA | PRIMA ASSOLUTA Arlecchino cade a pezzi, gli hanno tagliato la maschera. E cosa sarà mai una maschera? Eppure, senza più maschera, il suo volto si increspa di rughe e gli spunta la barba bianca della vecchiaia e della fine. Lo spettacolo, ultima puntata della saga di Ginetto Coniglio, non è nato per caso ma grazie a un invito fatto dal CTA di Gorizia e da Roberto Piaggio affinché venisse affrontato un tema preciso, quello del rapporto tra crisi economica e tagli alla Cultura.
SAB 18 luglio 18.00 Piazza P. Diacono
All’Ombra dell’Olmo spettacolo di narrazione, pupazzi e musica dal vivo di Giorgio Gabrielli con Giorgio Gabrielli e Paolo Bonazzi, banjo/armonica ITALIA
DOM 19 luglio dalle 19.00 alle 21.00 Vie di Cividale
Granconcerto per Marionetta e Pianoforte di e con Giorgio Gabrielli ITALIA
DOM 26 luglio dalle 19.00 alle 21.00 Piazza P. Diacono
Fagiolino Dottore Suo Malgrado
Con Brighella Infermiere e Balanzone Affranto con Luca Ronga e Riccardo Canestrari regia: Stefano Giunchi ITALIA
In collaborazione con il CTA di Gorizia 59
PROVE D’EUROPA A MITTELFEST Si intitola Prove d’Europa il ciclo di incontri internazionali avviato da MittelFest 2009, che si affianca al cartellone più propriamente spettacolare, e accompagnerà il pubblico del festival in una riflessione sulle conseguenze geopolitiche determinate dalla caduta del Muro di Berlino, cosi’ come degli altri “Muri” politici ed ideologici che per lungo tempo hanno separato l’Europa dell’ovest e quella dell’est. Prove d’Europa vuole approfondire le prospettive che si prefigurano oggi, sul piano socio-politico, così come nel contesto del dialogo e dell’incontro fra genti della nuova Europa. In parallelo con il piano artistico, anche gli incontri di MittelFest 2009 individueranno un focus speciale nei Paesi della nuova Europa, e in particolare nella Russia, alla quale è dedicato l’incontro di venerdì 17 luglio, per indagare le potenzialità reciproche di scambio culturale ma anche socio- economico, di evoluzione geo-politica, di equilibrio internazionale. Fra i protagonisti di Prove d’Europa saggisti, giornalisti, esperti di geopolitica ed editorialisti come Lucio Caracciolo, Sergio Canciani, Toni Capuozzo, Stefano Mensurati, Italo Moscati e Adriano Roccucci, politici di area mitteleuropea come Lech Walesa, Milan Kucan, Gianni De Michelis, Dimitrij Rupel e Petre Roman, scrittori quali Eraldo Affinati e Gian Mario Villalta. Gli incontri sono in programma da lunedì 13 a sabato 25 luglio, nelle due location della Chiesa di S. Francesco e del Caffè S. Marco di Cividale del Friuli. “Prove d’Europa. 1989 - 2009, vent’anni dal Muro” è anche il titolo della pubblicazione realizzata quest’anno da MittelFest intorno ai vent’anni dalla caduta del Muro, con riflessioni, ricordi e analisi sull’Europa del nostro tempo. Il volume è arricchito da una sequenza davvero prestigiosa di interventi e riflessioni di protagonisti di quegli anni, giornalisti e commentatori: fra gli altri Michai Gorbachev, che invia un saluto speciale e una dedica a MittelFest, Lech Walesa, ospite eccellente all’inaugurazione del festival, e ancora Vaclav Havel, Dimitrij Rupel, Gianni De Michelis, Adriano Biasutti, Riccardo Ehrman, Lucio Caracciolo, Predrag Matvejevic, Gian Enrico Rusconi, Sergio Romano e molti altri commentatori. 60
GLI INCONTRI
13 / 18 LUGLIO CHIESA DI SAN FRANCESCO
LUN 13 DALLE ROVINE DEL MURO LA NUOVA EUROPA
ORE 17.30
Convegno curato e coordinato da Lucio Caracciolo, direttore di Limes, docente ed esperto di geopolitica, giornalista e saggista. Intervento introduttivo: • Antonio Devetag, Presidente di MittelFest Dibattito, interventi di: • Milan Kucan, primo Presidente della Repubblica indipendente di Slovenia • Gianni De Michelis, Europarlamentare all’ultima legislatura, Ministro italiano degli Affari Esteri 1989 - 1992 • Pietro Ercole Ago, Segretario Generale del Segretariato Esecutivo INCE • Paola Nardini, Console onorario Rep. Federale Tedesca
MER 15 LE PROSPETTIVE INTERNAZIONALI DELLA ORE 17.30 REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA Interventi di: • Giuseppe Napoli, Vice Direttore Centrale Relazioni internazionali e comunitarie della Regione Friuli Venezia Giulia “La geopolitica del FVG e gli strumenti per la internazionalizzazione“ • Roberto Panizzo, Direttore di Staff Relazioni internazionali e comunitarie della Regione Friuli Venezia Giulia “La programmazione cross-border e le macroaree europee” • Adriano Corao, P.O. Direzione Relazioni internazionali e comunitarie della Regione Friuli Venezia Giulia “Il Friuli Venezia Giulia e la programmazione transnazionale” • Pietro Ercole Ago, Segretario Generale del Segretariato Esecutivo INCE “L’Iniziativa Centro Europea: piattaforma a servizio dell’internazionalizzazione del Friuli Venezia Giulia”
MER 15 LA NUOVA EUROPA INCONTRA LA NUOVA RUSSIA
ORE 17.30
Convegno coordinato dal giornalista Sergio Canciani, corrispondente Rai dalla sede di Mosca Interventi istituzionali: • Antonio Devetag, Presidente di MittelFest • Luca Ciriani, Vice Presidente e Assessore alle Attività Produttive della Regiona Friuli Venezia Giulia • Alexander Grachev, Console consigliere - Consolato Generale della Federazione Russa a Milano Intervento introduttivo: Adriano Roccucci, docente di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Roma Tre “2009: Europa e Russia fra geopolitica a cultura” Panel economico Aziende italiane in Russia: • Roberto Pelo, Direttore ICE Mosca “Aziende italiane in Russia. Dati, tendenze, prospettive” • Roberto Lorenzon, Executive Director Head of Global Transaction Banking UniCredit Bank ZAO “Russia: strumenti finanziari a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese” Esperienze in atto e prospettive: • Silvia Acerbi, Vice Presidente Informest • Paolo Perin, Senior Corporate Consultant Finest • Giovanni Da Pozzo, Presidente della Camera di Commercio di Udine
SAB 18 CERIMONIA INAUGURALE DI MITTELFEST 2009
ORE 18.00 61
A seguire conferimento del Premio MittelFest per la Nuova Europa a Lech Walesa, Premio Nobel per la Pace nel 1983, Presidente della Polonia dal 1990 al 1995
GLI APERITIVI
19 / 25 LUGLIO ORE 12.00 | CAFFÉ SAN MARCO DOM 19 DDR, LE VITE DEGLI ALTRI TEDESCHI PRIMA E DOPO IL MURO Gian Enrico Rusconi, germanista, storico e politologo, saggista ed editorialista, racconta “l’altra” Germania Intervista a cura della giornalista Elisabetta D’Erme
LUN 20 IL CROLLO DEL MURO NEL CINEMA Il Muro raccontato dal grande schermo, nell’incontro con Italo Moscati, scrittore e regista, autore per Rai Radiouno del ciclo dedicato alla caduta del Muro di Berlino. Intervista a cura del critico cinematografico Gian Paolo Polesini.
MAR 21 I RICORDI DEL MURO Il giornalista Piero Badaloni, direttore di Rai International, corrispondente Rai da Berlino nei primi anni Novanta, conversa con il direttore della sede Rai Friuli Venezia Giulia Roberto Collini.
MER 22 DA BERLINO A BUCAREST, NUOVI MURI IN CADUTA LIBERA Stefano Mensurati, giornalista e storica voce di Radio Rai, ideatore e conduttore di Radio City, incontra l’ex Primo Ministro rumeno Petre Roman, primo Premier nella Romania dopo Ceausescu.
GIO 23 BERLIN, UNA CITTÀ IN MOVIMENTO Due scrittori e una città simbolo dell’Europa: Gian Mario Villalta, direttore artistico di pordenonelegge.it, conversa Eraldo Affinati, autore di “Berlin”. in collaborazione con pordenonelegge.it
VEN 24 “LA GLADIO ITALIANA NELLA STAY BEHIND EUROPEA” Conversazione con il generale Paolo Inzerilli e con Giorgio Mathieu, presidente nazionale di Stay Behind, intervistati dal giornalista del Piccolo Silvio Maranzana.
SAB 25 VENT’ANNI DAL MURO: EMOZIONI DELLA STORIA, PRESAGI DI FUTURO Ricordi, presente e prospettive d’Europa nell’incontro con Dimitrij Rupel, per molti anni Ministro degli Esteri sloveno, e con il giornalista e vicedirettore del TG5 Mediaset Toni Capuozzo. Una conversazione coordinata da Alfonso Di Leva, caporedattore sede Ansa Friuli Venezia Giulia.
Abbinamenti piatto-vino, cucina di tradizione, scoperta dei migliori sapori della Mitteleuropa: sono queste le parole d’ordine della rinnovata edizione di MittelGusto che per l’intera durata del festival accoglierà il pubblico tra uno spettacolo e l’altro o al termine della serata. Una selezione dei migliori locali e ristoranti di Cividale hanno aderito all’iniziativa offrendo, accanto al consueto menù, anche un piattoMittelFest che si rifà alle tradizioni più antiche e genuine della zona e dell’area indagata dal festival (tradizione friulana, albanese, piatti sloveni e austriaci sono alcuni dei menù proposti).
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RISTORATORI ADERENTI A MITTELGUSTO & MITTELWINE RISTORANTE ENOTECA DE FEO
Via Ristori, 29 Tel. 0432 701425 (aperto a mezzanotte) Bocconcini di manzo alla cividalese in zuppetta di barbabietole e rape in vaso
RISTORANTE ALLA FRASCA
Stretta De Rubeis, 10 Tel. 0432 731270 (aperto a mezzanotte) Piatto MittelFest ai funghi porcini con pappardelle e speck
TAVERNA PARADISO
Loc. Gagliano; via Doria, 1 Tel. 0432 731140 Kasespatzle (gnocchetti al formaggio e cipolla croccante)
RISTORANTE AL MONASTERO
Via Ristori, 9 Tel. 0432 700808 (aperto a mezzanotte) Anitra al Rafano (pietanza Polonia), Birra austriaca abbinata Hirter Morchl, švestkové knedlíky (pietanza Ceca), Raviolo dolce di Patate servito con composta di Prugne
Via Cavour, 21 Tel. 0432 732438 Carrè di maiale affumicato al ginepro lavorato con spezie di antica tradizione
TRATTORIA LEON D’ORO
RISTORANTE ZORUTTI
RISTORANTE AL FORTINO
Borgo di Ponte, 9 Tel. 0432 731100 Ambiente storico della Cucina stagionale: “Il Piteri”, porcini e tartufi istriani con gamberoni gratinati
ANTICA TRATTORIA AI TRE RE
Stretta San Valentino, 29 Tel. 0432 715104 (aperto a mezzanotte) Cervo con polenta, Selezione formaggi della Carnia con marmellate senapate
TAVERNA LONGOBARDA
Via Monastero Maggiore, 8 Tel. 0432 731655 (aperto a mezzanotte) Carbonate di manzo con patate in tecia e gnocchi di pane alle erbe
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RISTORANTE IL GIARDINO
Borgo di Ponte, 24 Tel. 0432 731176 Piatti e prodotti della tradizione friulana Via Carlo Alberto, 40 Tel. 0432 731217 (aperto a mezzanotte su prenotazione) Brunch and happy dinner di tipicità locali
TRATTORIA AL POMO D’ORO
Piazza S. Giovanni, 20 Tel. 0432 731489 (aperto a mezzanotte su prenotazione) Tris di primi: gnocchetti di patate rucola e S. Daniele, pennette alle zucchine, gamberetti e pomodorini, crespelle agli asparagi
Allo spettacolo e la cultura dei palcoscenici cividalesi si affiancherĂ la cultura della buona tavola e della migliore tradizione enologica della zona. E proprio i grandi vini dei Colli Orientali saranno, a loro modo, protagonisti delle giornate di MittelFest, che abbinerĂ ogni giornata ad un delizioso vino autoctono, con degustazioni dedicate, alla presenza dei produttori. Una chicca per i gourmet che frequenteranno Cividale e il MittelFest.
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TUTTI I GIORNI INTORNO ALLE 18.30 AL CAFFE’ SAN MARCO, DEGUSTAZIONI GUIDATE SUL VINO DEL GIORNO, ORGANIZZATE CON IL CONSORZIO COLLI ORIENTALI ALLA PRESENZA DEI PRODUTTORI
in collaborazione con:
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Mittelimmagini, rassegna di cinema documentario, è nata dalla collaborazione tra Associazione MittelFest, Società Operaja di Mutuo Soccorso ed Istruzione, Associazione Navel e Centro studi Nediža; giunta alla terza edizione, vede il contributo di Università degli Studi di Udine - Dams Cinema e Centro Polifunzionale di Gorizia, Alpe Adria Cinema Trieste Film Festival, Associazione Il Documentario, Istituto Statale d’Arte G. Sello di Udine ed il sostegno della Comunità Montana del Torre, Natisone e Collio. L’edizione 2009, curata dal direttore artistico Stefano Missio, regista udinese che vive tra Francia e Italia, con il supporto di Giulio Bursi del Dams Cinema di Gorizia, si intitola “Muri”, e racconta dell’Europa pre e post 1989, dei muri che ancora separano, dei muri come oggetto del cinema e della pittura, dei muri come elemento architettonico. La programmazione si focalizzerà sull’omaggio a due importanti autori, il tedesco Volker Koepp, indiscusso maestro documentarista - di cui verrà presentata l’intera serie ambientata nella cittadina della DDR Wittstock, raccontata nell’arco di 23 anni - e il belga Patric Jean, uno dei più promettenti giovani registi europei di “cinema del reale”. Il tema “Muri” andrà poi spaziando in quelle realtà che sono ancora divise da linee di separazione, come il muro d’Israele. Lo faremo proiettando Route 181, road movie di più di quattro ore realizzato dal palestinese Michel Khleifi e dall’israeliano Eyal Sivan, e Good Times di Alessandro Cassigoli e Dalia Castel. Il programma prevede anche la proiezione di cortometraggi dove i muri sono protagonisti, dall’innovativo film Dèmolition d’un mur del 1896 dei fratelli Lumière, alle creazioni animate di Blu, noto writer italiano di fama ormai internazionale, passando per La presa di Roma del 1905 di Alberini e Santoni. Il tema “Muri” sarà anche declinato dal punto di vista architettonico, con Koolhaas HouseLife del friulano Ila Bêka (presentato, tra l’altro, all’ultima biennale d’Architettura a Venezia). Le proiezioni si svolgono a Cividale in Foro Giulio Cesare; in caso di maltempo, nella Sala dei Gessi della Società Operaja di Mutuo Soccorso ed Istruzione, Foro Giulio Cesare 14. Ingresso libero.
Direzione artistica Stefano Missio con la collaborazione di Giulio Bursi Coordinamento Renato Danelone (Società Operaja di Mutuo Soccorso ed Istruzione), Alvaro Petricig (Centro studi Nediža), Simone Venturini (Università degli Studi di Udine DAMS Cinema Gorizia), Alessandra Zanon (Associazione Navel) Organizzato da:
Con il sostegno di:
Università degli Studi di Udine DAMS Cinema Gorizia
Sabato 18 luglio Ore 23.00
MUTO
paese di produzione e anno Italia, 2008 regia Blu fotografia Blu suono Andrea Martognoni produzione Mercurio Film durata 6’ I muri esistono. Blu da anni li dipinge, li ricrea, ne modifica l’essenza, in una parola li “anima”. La sua arte non potrebbe esistere nella natura, fra gli alberi, in un bosco o una foresta. Mancherebbe la materia prima. Questo piccola prima animazione di Blu, è realizzata con una tecnica sorprendente, ed è la testimonianza del lavoro di uno dei più grandi artisti contemporanei: alle volte i muri ospitano, oltre al tempo, il movimento.
Ore 23.00
MÄDCHEN IN WITTSTOCK (Le ragazze di Wittstock)
paese di produzione e anno Germania Est, 1975 regia Volker Koepp scrittura Volker Koepp, Wolfgang Geier, Richard Ritterbusch fotografia Christian Lehmann, Michael Zausch montaggio Barbara Masanetz-Mechelk musiche Konrad Körner suono Eberhard Pfaff, Hans-Jürgen Mittag voce f.c. Dieter Mittag produzione DEFA-Studio für Dokumentarfilme, AG document durata 20’ lingua v.o. tedesca con sottotitoli in italiano Nel 1974, Volker Koepp dà inizio alla sua osservazione del paese di Wittstock an der Dosse. Ci tornerà, a intervalli irregolari, per i successivi 23 anni e il frutto di tutto questo sarà la famosa “serie di Wittstock”. In questo primo capitolo facciamo la conoscenza di tre operaie che lavorano in una fabbrica tessile: Edith, Elsbeth e Renate. Attraverso le loro vite, i loro sogni e desideri, il lavoro difficile che svolgono nella fabbrica, Koepp intendeva non solo cercare di capire in che modo delle giovani provenienti da una regione agricola potessero diventare delle operaie, ma anche il modo in cui l’industria stava cambiando l’ambiente circostante, oltre che la vita e il modo di pensare delle persone.
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Ore 23.00
LA PRESA DI ROMA
paese di produzione e anno Italia, 1905 regia Filoteo Alberini fotografia Filoteo Alberini suono muto produzione Alberini&Santoni durata 5’ Scrive Michele Canosa: «Il 1905 è una data importante: appare il primo film italiano, La presa di Roma di Filoteo Alberini. Produzione: Alberini & Santoni (che è, dunque, la prima casa di produzione italiana). La presa di Roma è il primo prodotto cinematografico nazionale in senso moderno: un film di finzione dovuto a una società di produzione». Di questo “prodotto” rimangono oggi pochi frammenti, per noi fondamentali: è il film sulla breccia di un grande muro (quello del Vaticano), e che sullo stesso muro fu proiettato, la prima volta, in una notte stellata.
Domenica 19 luglio
Lunedì 20 luglio
Ore 21.30
Ore 21.30
KOOLHAAS HOUSELIFE
DÉMOLITION D’UN MUR
paese di produzione e anno Italia, 2008 regia Ila Bêka e Louise Lemoine scrittura Ila Bêka e Louise Lemoine fotografia Ila Bêka montaggio Tiros Niakaj e Louise Lemoine musiche AA.VV. suono Ila Bêka produzione BêkaFilms durata 58’ lingua v.o. francese con sottotitoli in italiano
Il film tratta di uno dei capolavori più recenti dell’architettura contemporanea: La Casa a Bordeaux progettata nel 1998 da Rem Koolhaas, una delle più famose archistar. Guadalupe Acedo è la donna delle pulizie che accudisce questa casa. Un film d’architettura diverso dalla celebrazione cui siamo stati abituati negli ultimi anni. Sei giorni di riprese tra scale triangolari, muri, ramazze, elevatori, stracci e finestre/oblò per svelare la quotidianità, i deterioramenti e le evoluzioni di una pietra miliare dell’architettura contemporanea.
Ore 22.30
ROUTE 181
Frammenti di un viaggio in Palestina-Israele Prima parte: SUD
paese di produzione e anno Belgio/Francia/Germania/Gb, 2004 regia Eyal Sivan, Michel Khleifi fotografia Philippe Bellaïche montaggio Sari Ezouz, Eyal Sivan & Michel Khleifi suono Richard Verthé produzione Momento! durata 270’ (Sud: 85’, Centro: 103’, Nord: 85’) lingua v.o. con sottotitoli in italiano Per più di un anno due cineasti, il palestinese Michel Khleifi e l’israeliano Eyal Sivan, si sono dedicati alla produzione di quello che loro stessi definiscono un atto di fede cinematografico. Con questo road movie di più di quattro ore, i due registi percorrono insieme il loro paese. Nell’estate del 2002, per due mesi, Khleifi e Sivan hanno viaggiato fianco a fianco dal sud al nord del loro paese d’origine, tracciando il proprio percorso su una mappa e chiamandolo Route 181. Questa linea virtuale segue il confine stabilito dalla risoluzione 181, votata dalle Nazioni Unite nel novembre del 1947 allo scopo di dividere la Palestina in due differenti stati. Lungo la strada incontrano donne e uomini, israeliani e palestinesi, giovani e vecchi, civili e soldati, riprendendoli nei momenti della vita di tutti i giorni. Ognuno di questi personaggi ha un modo suo proprio di evocare le frontiere che li separano dai loro vicini: concretezza, cinismo, filo spinato, humour, indifferenza, sospetto, aggressività. Quei confini sono stati costruiti sulle colline e nelle pianure, sulle montagne e nelle valli ma, soprattutto, nella mente e nel cuore di questi due popoli, nell’inconsapevolezza collettiva di entrambe le società. 68
(Demolizione di un muro)
paese di produzione e anno Francia, 1896 regia Louis e Auguste Lumière fotografia Louis e Auguste Lumière montaggio Louis e Auguste Lumière suono muto durata 1’ I fratelli Lumière, con una semplicità ineguagliabile, ci hanno mostrato la via: i film si “girano”, così come le bende di una mummia si possono togliere. Il film è l’arte del tempo.
Ore 21.30
LEBEN UND WEBEN (Vita e tessitura)
paese di produzione e anno Germania Est, 1981 regia Volker Koepp scrittura Volker Koepp, Wolfgang Geie fotografia Christian Lehmann montaggio Barbara Masanetz-Mechelk suono Eberhard Pfaff, Hans-Jürgen Mittag voce f.c. Volker Koepp produzione DEFA-Studio für Dokumentarfilme, AG document durata 29’ lingua v.o. tedesca con sottotitoli in italiano Un riepilogo degli ultimi dieci anni nella fabbrica tessile “Ernst Lück”.
Ore 22.15
LEBEN IN WITTSTOCK (La vita a Wittstock)
paese di produzione e anno Germania Est, 1984 regia Volker Koepp scrittura Volker Koepp, Wolfgang Geier, Annerose Richter fotografia Christian Lehmann montaggio Lutz Körner musiche Rainer Böhm suono Peter Dienst produzione DEFA-Studio für Dokumentarfilme durata 85’ lingua v.o. tedesca con sottotitoli in italiano Questo lungo episodio sarebbe dovuto essere, nell’intenzione dell’autore, la chiusura della serie dei cortometraggi dedicati alla cittadina di Wittstock: erano infatti già dieci anni che le operaie della fabbrica tessile venivano “osservate” da Koepp. Troviamo qui sempre le stesse ragazze, le quali raccontano delle difficoltà iniziali dell’azienda, delle mancanze della dirigenza e, infine, dei loro sogni e delle loro speranze per il futuro. Dopo che sulla rivista “FDJ” vennero pubblicate notizie ed estratti del film, le tre donne vennero messe sotto controllo.della dirigenza e, infine, dei loro sogni e delle loro speranze per il futuro. Dopo che sulla rivista “FDJ” vennero pubblicate notizie ed estratti del film, le tre donne vennero messe sotto controllo.
Martedì 21 luglio
Mercoledì 22 luglio
Ore 21.30
Ore 21.30
GOOD TIMES
ROUTE 181
(Bei tempi)
paese di produzione e anno Italia, 2004 regia Alessandro Cassigoli, Dalia Castel scrittura Alessandro Cassigoli, Dalia Castel fotografia Alessandro Cassigoli, Dalia Castel montaggio Dalia Castel produzione Gotanda Film durata 31’ lingua arabo, ebraico, inglese con sottotitoli in italiano Abu Dis è un villaggio palestinese vicino a Gerusalemme. Nel 2002 il governo israeliano decise di costruirvi un muro che dividesse il villaggio in due parti, una delle quali divenne territorio israeliano. Pensato per bloccare i terroristi, il muro non tiene conto di coloro che vivono da una parte e lavorano dall’altra e, fallito lo scopo di impedire gli attentati, è rimasto un insormontabile ostacolo per gli spostamenti quotidiani. “Insormontabile” con i suoi due metri scarsi di altezza? Niente che una persona atletica non possa superare, e i bambini passano attraverso le fessure, e le donne possono salire sulle pietre per facilitare l’arrampicata. I negozianti della zona hanno fatto amicizia con i soldati di guardia e con alcuni di loro si riesce anche a scherzare. Però a volte ti lasciano scavalcare, altre no…
Ore 22.15
WITTSTOCK, WITTSTOCK
paese di produzione e anno Germania, 1997 regia Volker Koepp scrittura Volker Koepp fotografia Christian Lehmann montaggio Angelika Arnold suono Uve Haussig produzione Herbert Kruschke Filmproduktion (Berlin). Coproduzione BR (Munich), ORB (Berlin), SFB (Berlin) durata 117’ lingua v.o. tedesca con sottotitoli in italiano Capitolo conclusivo della serie che riassume gli ultimi ventidue anni di vita delle operaie e gli sconvolgimenti che hanno investito il loro paese. La grande fabbrica ormai non esiste più, è stata chiusa nel 1993. Elsbeth passa da un corso di riqualificazione a un altro, Renate ha lavorato per cinque anni come cameriera in un piccolo albergo e Edith, la più ribelle delle tre, si è trasferita nella zona di Heilbronn, dove lavora e conduce una vita molto tranquilla. Quando la serie era iniziata, nell’ormai lontano 1974, la scelta era caduta su Wittstock perché, secondo Koepp, rappresentava l’intera DDR. Quello che la rendeva unica era questo suo relativo isolamento nella campagna tedesca. Ora che sono passati oltre vent’anni, la vita a Wittstock è di nuovo rappresentativa di ampie zone della parte orientale della Germania.
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Frammenti di un viaggio in Palestina-Israele Seconda parte: CENTRO Ore 23.00
RUDOLF NUREYEV ALLA SCALA paese di produzione e anno Italia, 2005 regia Claudio Risi, Dino Risi produzione Dolmen Home Video durata 76’ lingua italiano
Rudolf Nureyev e il Teatro alla Scala: trent’anni di storia ed emozioni. Nureyev rivive nelle immagini inedite degli archivi della Scala e nei ricordi di amici e partner. Un omaggio d’autore al più importante ballerino del ventesimo secolo.
Giovedì 23 luglio
Venerdì 24 luglio
Ore 21.30
Ore 21.30
WIEDER IN WITTSTOCK
LES ENFANTS DU BORINAGE, LETTRE À HENRI STORCK
(Ritorno a Wittstock)
paese di produzione e anno Germania Est, 1976 regia Volker Koepp scrittura Volker Koepp fotografia Christian Lehmann montaggio Rita Blach musiche Mario Peters suono Otto Koch, Hans-Jürgen Mittag voce f.c. Volker Koepp produzione DEFA-Studio für Dokumentarfilme, AG document durata 21’ lingua v.o. tedesca con sottotitoli in italiano Come hanno passato l’anno le ragazze della fabbrica, le protagoniste del primo documentario?
Ore 22.15
ROUTE 181
Frammenti di un viaggio in Palestina-Israele Terza parte: NORD
(I bambini del Borinage, lettera a Henri Storck)
paese di produzione e anno Belgio, 2000 regia Patric Jean scrittura Patric Jean fotografia Guy Maezelle montaggio Nathalie Delvoye suono Jean-Jacques Quinet produzione C.V.B., RTBF Liège, W.I.P durata 54’ lingua v.o. francese con sottotitoli in italiano
Si tratta di una profonda videolettera del regista a Henri Storck mentre ritorna negli stessi luoghi mostrati dal film del ’33 per scoprire che nulla è cambiato. Anzi, tutto è peggiorato se confrontato al progresso nelle altre città del Belgio: solo una chiesa è stata edificata rispetto ad allora, mentre le case rivelano le stesse muffe e le stesse pareti cadenti, la stessa infinita povertà (gli scuri vengono sempre divelti per farne legna da fuoco), coi bambini ancora ammalati di analfabetismo (pochi sono gli insegnanti che lottano contro questa piaga). La pellicola mostra i giovani che non riescono ad inserirsi perché non sanno né leggere né scrivere e non conoscono un mestiere. In tale situazione la classe politica che non fa nulla, si limita a descrivere in maniera fredda, asettica e distaccata il dramma della regione: “Ci sono meno poveri di un tempo, anche questo è un progresso sociale”, ha il coraggio di affermare un burocrate senza nome. A fargli da contraltare è la dichiarazione di un ex minatore che parla alla macchina da presa di Jean: “Chi non ha fame non può capire chi ce l’ha”. E l’occhio meccanico in questo splendido documentario “classico” non è mai invadente, né prevedibile, né demagogico.
Ore 22.30
MISÈRE AU BORINAGE (Miseria nel Borinage)
paese di produzione e anno Belgio, 1933 regia Joris Ivens e Henri Storck fotografia Joris Ivens e Henri Storck montaggio Joris Ivens e Henri Storck suono muto durata 36’ lingua sottotitoli in tedesco La crisi, la miseria dei minatori, la rivolta, la repressione nel sangue. Storck e Ivens girano un film-documento militante, internazionalista, e che si chiude con una cerimonia sublime, il ritratto di Marx portato in corteo, per le strade, da alcuni minatori, su queste parole (a cui togliamo il finale, che ancora deve essere scritto): «gli operai sanno che le contraddizioni e la miseria, nel Borinage come nel Belgio intero, e così nel mondo, sono i frutti del capitalismo, e che l’umanità non sarà salvata dal disordine, e dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo…».
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Sabato 25 luglio
Domenica 26 luglio
Ore 21.30
Ore 21.30
NEUES IN WITTSTOCK
LA RAISON DU PLUS FORT
paese di produzione e anno Germania, 1990-1992 regia Volker Koepp scrittura Volker Koepp, Gerd Kroske fotografia Christian Lehmann montaggio Angelika Arnold suono Ronald Gohlke, Henner Golz produzione DEFA-Studio für Dokumentarfilme durata 100’ lingua v.o. tedesca con sottotitoli in italiano
paese di produzione e anno Belgio, 2003 regia Patric Jean scrittura Patric Jean fotografia Patric Jean montaggio Nathalie Delvoye musiche Kamel Meraoumia ; Rabah Abdesmed suono Rafick Affejee produzione Emmanuelle Koenig, Centre Vidéo de Bruxelles (CBVVIDEP), Lapsus, Arte France Cinéma, RTBF Bruxelles ; Wallonie Image Production WIP; Epeios Productions durata 86’ lingua v.o. francese con sottotitoli in italiano
(Novità da Wittstock)
Le operaie della fabbrica di Wittstock dopo la caduta del Muro di Berlino. Il film mostra le grandi trasformazioni cui gli abitanti della cittadina hanno dovuto assistere: il ritiro dei soldati sovietici e, soprattutto, il modo con cui la gente ha fatto fronte ai continui cambiamenti in atto. La storia delle tre operaie di Wittstock, centro di interesse principale per molti anni, si sposta ora su un binario parallelo e lascia spazio ad altri avvenimenti: l’Impresa del Popolo che viene venduta, gli affaristi che arrivano in città e se ne impossessano… All’improvviso, Edith, Renate e Stupsi sono diventate delle semplici spettatrici delle loro stesse vite.
Ore 23.00
LIVE - BERLIN
paese di produzione e anno Francia, 1991 regia Robert Kramer scrittura Robert Kramer fotografia Robert Kramer montaggio Robert Kramer produzione Thierry Garrel per La Sept durata 60’ lingua v.o. inglese Berlino, 25 ottobre 1990. Dalle 15.15 alle 16.15 Robert Kramer gira, in una stanza da bagno, uno dei suoi film più toccanti. Secondo le disposizioni date dalla televisione che ha ideato la serie Live a cui sta partecipando, ha a disposizione una sola cassetta di Hi8, una sola ora di piano sequenza: «Dunque, ero lì a Berlino. Avevo un’ora di immagini, sapevo quanto erano lunghi i vari pezzi. Nella mia mente sapevo che avrei filmato finché le prime immagini del muro non fossero comparse sul televisore. Avrei filmato quello spazio. Poi avrei ripreso il muro e tutta quella parte. Poi mi sarei messo davanti alla camera. Questo finirà soltanto quando sentirò l’arrivo dell’altro materiale, questo sarà il mio segnale».
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(La ragione del più forte)
Questo film descrive una società che non lotta contro la povertà, bensì contro i poveri. Jean afferma che “i poveri in generale e i giovani immigrati in particolare rappresentano la fonte di tutte le paure”. Il film abbatte tutti i luoghi comuni ritraendo queste persone nella loro umanità, che si trovino in cella, su un molo o sul basamento di un gruppo di case, mostrando le loro emozioni, i loro desideri, le loro paure e disperazioni
Ore 23.00
D’UN MUR L’AUTRE - DE BERLIN À CEUTA (Da un muro all’altro - Da Berlino a Ceuta) paese di produzione e anno Belgio, 2008 regia Patric Jean scrittura Patric Jean montaggio Françoise Arnaud musiche Tom McClung suono Jean-Jacques Quinet produzione Ina, Black Moon prod, France 2 durata 90’ lingua v.o. francese con sottotitoli in italiano
Dal muro di Berlino all’enclave di Ceuta in terra africana, questo road movie attraversa l’Europa, oltrepassando quattro frontiere ma con un unico centro, in cui prende vita una società meticcia, multiculturale, ricca nelle sue diversità nonostante le tradizioni vengano spesso rinnegate. Dal nord al sud, Patric Jean, con umore e tenerezza, incontra uomini e donne che provengono dagli angoli più disparati del mondo. Uno sguardo ottimista e fuori dal comune sull’Europa e la sua immigrazione.
Le immagini, talvolta tragiche, spesso commoventi, di un evento storico che ha cambiato il volto dell’Europa: un Muro che cade (quello di Berlino) e tanti altri muri fisici e mentali che, crollando, hanno cambiato geograficamente e politicamente i Paesi dell’Est concorrendo a definire i contorni della nuova Europa. Lo scatto di una macchina fotografica, un’immagine impressa nella pellicola (il digitale solo vent’anni fa non era ancora il modo naturale di intendere la fotografia, arte visiva decisamente giovane rispetto alla pittura) un gesto che ha permesso di fermare nel tempo i protagonisti, i fatti, i momenti, gli eventi politico-sociali e culturali di grande importanza storica che hanno profondamente modificato la storia contemporanea e dai quali muove l’edizione 2009 di MittelFest. Ma tanti gesti (in realtà tanti occhi e tanti sguardi attenti prima ancora dello scatto) hanno documentato anche gli scorci delle città europee che furono scenario di quei fatti e permettono di vedere, proprio attraverso quegli occhi, edifici, piazze, luoghi oggi profondamente modificati. Ne escono immagini di forte valenza simbolica che, al contempo, mantengono quella vitalità, quella freschezza, il fermento di quegli anni.
IN DIRETTA DAL MURO
Mostra fotografica
Questa mostra fotografica, unica ed originale, si lega ad un evento altrettanto eccezionale: l’apertura di uno spazio di straordinaria bellezza e interesse architettonico quale l’ex Convento delle Orsoline che il Comune di Cividale apre al pubblico proprio in occasione dell’esposizione. Un’occasione per ammirare nella splendida cornice del chiostro e nella Sala degli Affreschi del Monastero di Santa Maria in Valle una serie di immagini raccolte nell’area territoriale dell’Austria e di una Germania ancora divisa, in Polonia ed Ungheria. L’evento espositivo promosso da MittelFest con il Forum Austriaco di Cultura di Milano vede le illustri collaborazioni della Commissione Europea (Rappresentanza di Milano), del Goethe-Institut-Mailand di Milano, dei Consolati di Polonia ed Ungheria.
In collaborazione con:
Cividale del Friuli • Ex Convento delle Orsoline • 16 / 26 luglio
Consolato Generale della Repubblica di Ungheria in Milano
Una mostra curiosa, assolutamente inedita, allestita fino alla fine del festival, che riunisce i 20 bozzetti selezionati nell’ambito del Concorso di idee lanciata quest’inverno da MittelFest per l’individuazione dell’immagine-logo 2009. Presenti in mostra le proposte di professionisti e studi della regione, così come di studenti degli Istituti d’Arte che hanno partecipato con entusiasmo all’iniziativa.
MOSTRA DEI PROGETTI SELEZIONATI Concorso di idee per il logotipo 2009
Cividale del Friuli • Aula magna del Liceo Classico di Foro Giulio Cesare • 4 / 26 luglio
METAMORFOSI Mostra di Luciano Celli
La mostra, allestita da Comunicarte, presenta quattordici sculture che interpretano vari personaggi del mito: da Polifemo a Dafne, dalla Medusa al Minotauro fino al Cavallo di Troia. Le opere plastiche - oltre alle immagini di un video esplorano le diverse forme del mito, avvicinando metamorfosi, contaminazioni, ibridazioni. Le diverse forme che assume la metamorfosi sono al centro dell’opera di Celli: quella tra uomo e natura e quella tra naturale e artificiale..
La mostra, allestita da Comunicarte, presenta quattordici sculture che interpretano vari personaggi del mito: da Polifemo a Dafne, dalla Medusa al Minotauro fino al Cavallo di Troia. Le opere plastiche - oltre alle immagini di un video esplorano le diverse forme del mito, avvicinando metamorfosi, contaminazioni, ibridazioni. Le diverse forme che assume la metamorfosi sono al centro dell’opera di Celli: quella tra uomo e natura e quella tra naturale e artificiale..
Cividale del Friuli • Foyer Teatro Ristori • 18 / 26 luglio
CIVIDALE DEL FRIULI, città del MittelFest Il MittelFest si svolge a Cividale del Friuli, l’antica Forum Julii romana, città dalla storia remota e affascinante. Nell’Alto Medioevo i Longobardi vi lasciarono eccezionali testimonianze d’arte. Un’ideale città-festival, con le incantevoli stradine medievali, i caffè dall’eleganza mitteleuropea, i locali che offrono il meglio della gustosissima cucina friulana. Cividale è anche il capoluogo di una zona Doc, i Colli Orientali del Friuli, dove si producono vini i qualità ineguagliabile, con tesori autoctoni come il rosso Pignolo, o i bianchi Verduzzo e Picolit, al top dell’enologia italiana. Attorno a Cividale si aprono a ventaglio le Valli del Natisone, estremo lembo nordorientale d’Italia, disseminate di paesi caratteristici immersi in fitti boschi di faggi, querce, castagni in un ambiente sorprendentemente intatto. Il MittelFest e Cividale: un’occasione unica per vivere lo spettacolo dal vivo e lasciarsi affascinare da una tradizione culturale e storica che affonda le sue radici nel cuore dell’Europa.
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MITTELFEST 2009 Presidente Antonio Devetag
Associazione MittelFest Stretta San Martino, 4 33043 Cividale del Friuli (UD) Soci Fondatori Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia Provincia di Udine Comune di Cividale del Friuli Soci Ente Regionale Teatrale del Friuli-Venezia Giulia Banca di Cividale S.p.A Società Filologica Friulana Consiglio di Amministrazione Presidente Antonio Devetag Vice Presidente Dott. Attilio Vuga Componenti On. Pietro Fontanini Dott. Angelo Cozzarini Dott. Lorenzo Pelizzo Dott. Paolo Petiziol Dott.ssa Dania Miconi Collegio dei Revisori dei Conti Dott. Andrea Stedile Dott. Andrea Volpe Responsabile Amministrativo Giuseppe Passoni Segreteria Nadia Cijan Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione Paolo Querini Con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Patrocinato da Ministero per i Beni e le Attività Culturali Dipartimento dello Spettacolo Ministero degli Affari Esteri CEI-Central European Initiative (Albania, Austria, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Macedonia, Moldava, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ucraina, Ungheria e Italia)
Direzione artistica Furio Bordon | PROSA Claudio Mansutti | MUSICA Walter Mramor | DANZA Responsabile organizzativo Giuseppe Pizzo Settore organizzativo Tommaso Berta, Rita De Grandi, Valentina Falorni, Benedetta Flaborea, Francesca Gandini, Fulvio Iannelli, Mascia Plazzotta, Annalisa Rossini, Sonia Pellegrino Scafati, Emilio Vallorani Responsabile tecnico Stefano Laudato Settore tecnico Mauro Tognali Alberto Antonel, Alessandro Barbina, Alessandro De Nardi, Alessandro Macorigh, Alfeo Pacher, Anna Pittini, Antonio Lovato, Bruno Guastini, Carlo Della Vedova, Claudio Parrino, Claudio Schmid, Corrado Cristina, Davide Comuzzi, Elisa Rinaldi, Ennio Grasso, Enrico Cicigoi, Federico Toboga, Filippo Cattinelli, Flavio Blasigh, Francesco Rodaro, Lorenzo Cerneaz, Luca Causero, Luca Macorig, Luca Molinari, Maddalena Maj, Maria De Fornasari, Marco Canali, Massimiliano Botti, Massimo Tognutti, Maurizio Tell, Maurizio Troisi, Nino Napoletano, Paolo De Paolis, Roberto Copetti, Roberto Grassi, Sara Chiarcos, Simone Parlato, Stefano Correcig, Stefano Chairandini, Stefano Visintin Personale del Settore Tecnico e Manutenzione del Comune di Cividale Squadra Comunale di Protezione Civile di Cividale e delle Valli del Natisone Ufficio stampa, comunicazione relazioni e incontri internazionali Daniela Volpe e Paola Sain Studio Volpe&Sain comunicazione Collaboratori e sala stampa Moira Cussigh, Daniela Sartogo Irene Giurovich, Rachele Menna Segreteria del Festival Irene Maiolin, Sara Pittino Promozione Piercarlo Donda Paolo Gruden Collaborazioni dirette Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia: Relazioni Pubbliche - Teresa Fulin, Annamaria Richter, Claudio Sardo Notiziario - Nico Nanni/ARC - Agenzia di Stampa Regione Cronache Graphic Design Punktone - Comunicazione Visiva Gorizia Sito Internet Ikon Multimedia Stampa Poligrafiche San Marco
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Biglietteria Lorenza Bocus, Ester Candotto, Fabio Cumini Cultura e Mestieri s.c.a.r.l. Greenticket biglietterie automatizzate Servizio Sala ed Informazioni Cooperativa Adelaide Raffaella Caporale, Luciana Piu Informazione Turistica InformaGiovani - Informacittà di Cividale Coordinamento Bookshop Associazione Navel Servizi di traduzione ed interpretariato Business Voice Fotografo Luca D’Agostino Mittelfest ringrazia Ambasciate e Consolati Italiani nei Paesi dell’Iniziativa Centro Europea Istituti Italiani di Cultura nei Paesi dell’Iniziativa Centro Europea Ambasciate dei Paesi INCE in Italia Forum Austriaco di Cultura di Milano C.C.I.A.A. - Udine Museo Nazionale Archeologico di Cividale Soprintendenza dei Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia Arcidiocesi di Udine Parrocchia di Santa Maria Assunta - Cividale Ascom - Cividale del Friuli Convitto Nazionale Paolo Diacono - Cividale Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Teatro Stabile Sloveno - Trieste Teatro Giovanni da Udine - Udine Teatro Comunale di Gorizia Teatro Comunale di Cormons I.P.S.I.A di Cividale S.O.M.S.I di Cividale Associazione per lo sviluppo degli Studi Storici ed artistici di Cividale B&B in Italy FVG Il personale del Comune di Cividale
In Collaborazione con:
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