MAURO MACARIO, BALLERINA DI FILA (Romanzo, promo)

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Una storia di iniziazione sentimentale ambientata nel mondo ormai perduto della grande rivista musicale italiana. La scoperta dei sensi e dell’universo femminile coinvolge un giovane attore al debutto. Tra le ballerine di fila spicca la figura di una ragazza del nord Europa che si renderà artefice della crescita evolutiva del suo compagno di scena nell’ambito di un amore difficile e struggente. Lo scenario incornicia un mondo fiabesco: la vita del varietà viene svelata dietro le quinte, nei teatri delle grandi città fino ai più malandati locali di paesini dove i grandi comici del passato evocati compivano la loro missione d’allegria. L’autore racconta ciò che ha vissuto in prima persona in quel magico mondo di cui forse oggi è l’ultimo testimone. Storia d’amore sì, ma anche un affresco epocale qui riportato come un sogno dentro una realtà indimenticabile.

Mauro Macario

Mauro Macario

BALLERINA DI FILA

BALLERINA DI FILA

Mauro Macario (S. Margherita Ligure 1947) ha pubblicato in poesia: Le ali della jena (Lubrina 1990), Crimini naturali (Book 1992), Cantico della resa mortale (ivi 1994), Il destino di essere altrove (Campanotto 2003), Silenzio a occidente (Liberodiscrivere 2007), La screanza (ivi 2012, Premio E. Montale Fuori di Casa 2012); Metà di niente (puntoacapo 2014, Premio Lerici Pea 2015); Le trame del disincanto. Tutte le poesie 1990-2017 (ivi 2017); Alphaville (ivi 2020). In traduzione francese ha pubblicato La Débâcle des bonnes intentions (La rumeur libre 2016). È curatore di due antologie su Leo Ferré (Il cantore dell’immaginario, Eleuthera 1994, e L’Arte della rivolta, Selene 2003); con Claudio Pozzani ha curato le poesie di R. Mannerini (Un poeta cieco di rabbia, Liberodiscrivere 2004) e l’antologia L’invenzione del mare (puntoacapo 2015). Ha scritto la biografia del padre, Macario un comico caduto dalla luna (Baldini&Castoldi 1998) e Macario mio padre (Campanotto 2007). Del 2004 è la prima edizione del romanzo Ballerina di fila (Aliberti).

€ 18,00

puntoacapo

Le “Stafford Dancers” nella commedia musicale “Pop a tempo di beat” di Cile e Mazzucco. Costumi di Felicita Gabetti. Compagnia Macario, 1967.



Il Cantiere XLV


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ISBN 978-88-6679-280-2 2


Mauro Macario

BALLERINA DI FILA Prefazione di Emanuele Spano

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Prefazione

Rimettere mano alle proprie cose a distanza di anni potrebbe apparire a tanti come un gesto nostalgico, quasi come a dire che ogni opera appartiene a quel tempo e a quel momento e ripescarla dal calderone equivale a smentire quella parabola evolutiva che ogni autore dovrebbe seguire. Un assunto già di per sé sbagliato, ma decisamente fuori luogo se si conosce la produzione di Mauro Macario e si sa quanto ogni pezzo della sua scrittura, in qualsiasi direzione si muova, è parte di un sistema multiforme in cui non esistono logiche gerarchiche e tutto rientra in un disegno più ampio. Eppure una valutazione minima sulla collocazione di questo romanzo, proprio a riconferma di quanto detto prima, sarebbe opportuno farla. Se è vero che nei primi anni duemila, quando questo libro vedeva la luce, Macario aveva ormai consolidato la sua statura poetica – è del 2003 la splendida antologia degli esordi Il destino di essere altrove – e avrebbe negli anni successivi modulato quella voce con una forza ancora maggiore; oggi il Macario poeta ha superato se stesso, come testimonia l’ultima recentissima silloge. Ma se si guardano quegli anni e si soppesa tutta la sua scrittura ci si rende conto delle tante vite letterarie, artistiche e personali che Macario ha vissuto, tanto come autore, quanto come lettore, critico e intellettuale nel senso più ampio del termine. Ballerina di fila tradisce all’apparenza un legame molto stretto con la splendida biografia che Macario ha dedicato alla figura del padre in cui la ricostruzione di quel mondo della “rivista” non è solo appassionata, ma quasi filologica, un legame che abbraccia anche la stessa forma del romanzo nella quale, qui e altrove, Macario si muove con una palese disinvoltura. All’apparenza, si diceva, perché quel mondo che certo non è solo un fondale inerte, ma riveste un ruolo assoluto di protagonista, è per la verità una delle tante anime che popolano questo libro. Si diceva anche della nostalgia e la narrazione si apre proprio sotto 5


il segno di una nostalgia, quella del protagonista che cerca faticosamente di ricostruire i lembi di un mondo ormai naufragato che, come quello della “rivista”, appartiene a un passato irrecuperabile, un mondo che per lui ha i connotati di Erika, la ballerina venuta dal nord, persa di vista da tanti anni di cui cerca disperatamente notizie. Ed è proprio da quella rievocazione memoriale, da quella “nostalgia” per una stagione della propria vita ormai remota, che prende l’avvio la trama vera e propria, la vicenda privata del giovane e ambizioso attore Marco, catapultato all’improvviso in quel mondo del tutto nuovo e così estraneo ai suoi canoni e da lì, da quel momento esatto, quei due mondi, quello interiore del protagonista, e quello, un po’ fatato e surreale della “rivista”, si fondono e si intrecciano, tanto che l’uno determina in qualche misura l’altro. Dalla copertina patinata di quella realtà che si consuma tra la ribalta delle luci del teatro e i ristorantini rimasti aperti di notte, tra i volti più noti e meno noti del mondo dello spettacolo degli anni Sessanta, si discende fin dentro ai camerini, nel sudore del palco, davanti a una platea vuota e desolata che attende il miracolo della rappresentazione. E lì in quelle notti, tra quei camerini, avviene anche l’iniziazione del giovane Marco, la scoperta di una nuova frontiera dei sensi, lì dentro il corpo nudo e sensuale della bella Erika. Un’iniziazione che non è solo scoperta del sesso, e di un sesso nuovo tanto diverso da quello un po’ di provincia cui era abituato, ma scoperta di sé, se è vero, come scrive Macario, che «a Marco parve che da quel possesso fosse lui a rinascere», «una sensazione di conoscenza e di riconoscenza» per l’appunto, che ha molto a che fare con quell’immersione dentro un universo del tutto nuovo, dentro una realtà che possiede regole tutte sue che esulano dalla morale comune dell’Italia di quegli anni. Pare di vedere incarnata in questa storia d’amore, che parte dai corpi per arrivare fino al midollo, quella «religione dei sensi» di cui Macario ci dice nelle raccolte poetiche di quegli anni (e penso a Silenzio a Occidente o a La screanza), quella rivelazione del “sesso” che non è solo appagamento della carne, ma realizza un’estasi ben più profonda. Così come c’è una traccia tangibile negli sguardi della gente, nel vociare che segue quella compagnia un po’ fuori dagli 6


schemi, di quell’italiano medio, con il suo sentimento di invidia misto allo sdegno che la sua educazione morale, ancora troppo bigotta, gli impone. D’altronde le ballerine di fila sono un sogno proibito da coltivare solo nel profondo, mentre si sposano altre donne, si fanno figlie diverse e quella femminilità prepotente e un po’ ferina la si concede solo a delle dive dello spettacolo che vivono e si alimentano proprio di quel mondo incantato che non è la loro realtà. La vicenda di Marco ed Erika si intreccia inesorabilmente con quella vita girovaga e irregolare, fatta di alberghi e di viaggi e di altri alberghi, fatta di tournée e di serate, con personaggi che paiono stereotipi fissi ed immutabili ed esistono solo in funzione di quel mondo, come la figura carismatica del comico, e tanti altri personaggi sempre in bilico tra una vita e un’altra – e penso a Renato che vorrebbe lasciare la famiglia e fuggire con la sua ballerina – tutti però consapevoli che fuori di quel palco c’è un’altra esistenza, che in fondo è l’unica vera. E così quella storia d’amore si chiude come si chiude una tournée e quando cala il sipario definitivamente anche il loro amore si spegne, accompagnato dal fischio un po’ malinconico di un treno. Emanuele Andrea Spano

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BALLERINA DI FILA

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Appendo vecchie foto della mia infanzia – Col cuore affranto siedo, gomito sulla tavola, Mento nella mano, studiando gli occhi fieri di Helen, la bocca fragile di Jane, i capelli d’oro di Susan. Gregory Corso, Sulle pareti di una squallida stanza ammobiliata

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CAPITOLO I

E

ccola lì Terry, la capoballetto d’allora, gli stava davanti con gli occhi abbassati sulla pizza, tutta concentrata a gustare, dopo tanti anni, il cibo italiano. A Marco sembrava che masticasse ricordi e mozzarella. Col tempo, il formaggio diventava rancido e i ricordi melensi, una strana mistura cinese in salsa agrodolce a cui ci si abitua poco a poco, fino ad apprezzarla con autentica golosità. Quella sera la sbobba rafferma dell’anima si confondeva con il fresco menù del ristorante e tutto veniva mangiato, anche se in realtà erano loro i divorati vivi, riciclati dal destino, a metà della vita, in un incontro che nessuno dei due, fino a pochi giorni prima, avrebbe potuto prevedere. Si guardavano con pudore, rilevando sulle loro figure la metamorfosi un po’ criminale del tempo e sorse sorridevano con incredulità a quell’occasione di confronto che facilmente non si sarebbe più ripetuta. Senza confessarlo, ognuno di loro a quel tavolo seguiva un proprio solco nostalgico che però non poteva disgiungersi da quello sguardo che si puntavano addosso con garbata impietosità. Era un dondolio triste fra l’immagine del passato che avevano di sé e la realtà del presente che si trovavano davanti. Osservandola gli sembrava una vecchia turista tedesca scesa da un pullman, con quei pantaloni grigi, larghi e miseri, i sandali da frate trappista e una camicia insulsa, con le maniche corte troppo abbondanti, da cui s’intravedeva un’inutile reggiseno. Spennata da ogni orpello della rivista non aveva più niente di frivolo, di lucente, di colorato. Nulla che potesse far sospettare in lei un lontano passato di ballerina. I capelli che ricordava di un rosso incendio, erano sempre lunghi come trent’anni prima, ma il fuoco ora non divampava più. La chioma, con l’orgoglio di un relitto, scintillava solo di vecchiezza, tutta inargentata, raccolta da un fermaglio discreto dietro la nuca. Il naso aquilino ancora più arcuato, andava assottigliandosi a tal punto che le venuzze rossastre che lo attraversavano si vedevano 11


come in una radiografia, la punta si protendeva a picco sul mento che, franato in avanti a causa del prognatismo, si rivolgeva poi in alto quasi a cercare un’armonia grottesca fra quei due estremi. Terry somigliava a Capitan Uncino. La guancia secca e lucida aveva una teschiosità equina per cui, pur avendo il suo viso di fronte, gli sembrava una donna osservata di profilo. Se avesse massaggiato un cartone bagnato sarebbe venuta fuori una guancia così. Mentre rideva di qualche ricordo bevendoci su, lui notò parecchi denti rivestiti di metallo, supporti, ponti, capsule malfatte. Un bazar odontoiatrico. D’altra parte, lo stesso Marco doveva apparire ai suoi occhi massacrato dal tempo in eguale misura. Lei lo aveva incontrato la prima volta che aveva vent’anni. Adesso lo ritrovava quasi calvo, un po’ flaccido, il doppio mento rilassato, lo stomaco sfondato dal vino, le borse sotto gli occhi, il colorito da gassato metropolitano. A un elenco così non si poteva aggiungere nulla. Eppure, malgrado il corpo che li tradiva, ostentando la propria decadenza, era rimasta in loro una freschezza infantile che risaliva come un punto sorgivo, tornato a zampillare senza i veleni della vita adulta. Tra poco sarebbero stati ubriachi. Senza più freno tornavano a galla i ricordi. Frammenti lontanissimi venivano alla luce come persone sotto le macerie che solo un’opera instancabile di scavo salvava all’ultimo momento. Ma c’erano anche i morti che la fatica degli altri non aveva soccorso in tempo. Così estraevano dettagli assurdi, memorie all’arma bianca e, nonostante la voragine che li separava da loro, infliggevano ancora piccoli tagli ai fianchi, a giudicare dai sospiri in cui si smarrivano e durante i quali dovevano decidere se riderci sopra, oppure lasciarsi andare ad una dichiarata malinconia. Sembravano due maratoneti su un tapis roulant, ostinati a marciare sul posto e a perseverare nella fatica di un percorso che non si affacciava mai. Uno strano congegno illusorio li catapultava dentro miraggi istantanei, folgorandoli per un attimo e svanendo altrettanto velocemente, proprio come un bagliore. Marco vedeva ballerine inguainate in costumi luccicanti che entravano in scena come uno stormo gioioso e impazzito, gambe lunghissime alzarsi fin quasi a toccare il viso, una camera d’albergo con 12


una ragazza riversa nel sonno carezzata da una mano tremante, il rumore secco di uno schiaffo nel corridoio di un teatro di provincia, il vetro appannato di un pullman sul quale stava scritto “ti amo” in una lingua nordica dimenticata, una stazione gelida, due facce piene di promesse e di sconforto... Immagini che andavano e venivano sovrapponendosi disordinatamente, ma che ricreavano per un istante la magia di un’età e di un mondo in cui le risa di gioia e l’eco di una sensualità nascente ora non avevano più’ il suono festoso della giovinezza. Erano sudati e questo tradiva la tensione sotterranea che peggioravano svuotando bicchieri su bicchieri, senza porre limiti a quel brindisi in bilico sul nulla. Tacitamente, ciascuno rivolgeva il pensiero a dei fantasmi incantevoli che sfilavano lì, davanti ai loro occhi, come su una passerella privata dove quelle sembianze si muovevano con l’inquietudine mai placata di ciò che si è perduto. Il locale stesso si appannava, così come il presente sbiadito e inappagante delle loro vite rabberciate si scollava totalmente dalle attese e dalle speranze di un tempo in cui entrambi avevano creduto. Erano sudati, con occhi acquosi e arrossati, febbricitanti, sguardi bastonati da reduci sconfitti, mentre alle loro spalle un tastierista mediocre imperversava sulla pianola elettrica. Stava rivisitando, da macellaio, il repertorio degli anni Sessanta e così, senza volerlo, abusava della vulnerabilità di Marco, sensibile a quel cinguettio afono e ormai stridente che lo riportava d’un tratto ai suoi voli spezzati. Era quello il periodo in cui, giovane attore appena diplomato alla suola del Piccolo Teatro di Milano, aveva trovato la prima scrittura in una Compagnia di rivista storcendo il naso per la scarsa qualità dell’occasione di lavoro. Aspirando ingenuamente ad un teatro di alta drammaturgia, guardava alla rivista, questa pura evasione commerciale, con sprezzo e derisione. In quello spettacolo, Terry svolgeva il doppio ruolo di ballerina e capoballetto. Designata dalla coreografa, aveva il compito di mantenere la disciplina fra le ragazze, di coordinare i rapporti con l’amministrazione della Compagnia, di mettere le prove non solo durante la messinscena ma anche lungo il corso delle repliche, nel 13


caso che l’interpretazione perdesse freschezza a causa della routine giornaliera o delle svogliatezza di qualcuno. Quella donna mai più rivista a fine tournée, era stata capace, recentemente, di un gesto nobile e generoso che altri al suo posto non avrebbero compiuto. Allora Marco, poco più che adolescente, non poteva sapere che quell’anno pieno di strass e di pailletes, oggi cristallizzato nella sua memoria, avrebbe timbrato la sua vita futura, le sue scelte, il suo modo di percepire le cose, perché nel balletto, formato in prevalenza da ragazze inglesi, c’erano tre ballerine olandesi e, fra queste, Erika, la donna che in qualche modo rimase parallela alla sua esistenza anche dopo il distacco. Anche dopo non averla vista più. Negli anni si era scoperto spesso a pensare a lei, palpitando di una strana smania malinconica, pungolato addirittura dal suo desiderio fisico; talvolta, a questo richiamo inestinguibile, si era lasciato andare a piccoli ma intensi strazi di nostalgia, in cui il senso dell’occasione sprecata e la consapevolezza di avere una sola vita gli rovinavano la serata. Colto da uno di questi struggimenti aveva scritto a Terry chiedendole notizie di Erika. Il tono della lettera era quello di uno che, svegliandosi al mattino, voleva soddisfare semplicemente un capriccio della memoria, un interrogativo ripescato dal fondo, senza fine alcuno. Della sua follia crepuscolare non fece trapelare nulla, temendo quella tipica complicità fra donne che scatta in difesa dell’equilibrio famigliare allorché si profila una turbolenza all’orizzonte e che finisce col precludere sul nascere ogni possibile indagine. Terry aveva cambiato vita e non sapeva nulla di Erika. Né dove abitasse né cosa facesse. Tuttavia, per gentilezza d’animo, non respinse l’incombenza e la cercò tramite l’anagrafe di Amsterdam. L’investigazione si rivelò più complessa del previsto ma riuscì a rintracciarla. E adesso lui, in quella pizzeria, non aveva neanche il coraggio di chiederle com’era stato l’incontro, che cosa s’erano dette e, soprattutto, se l’aspetto di Erika fosse molto cambiato. Era irriconoscibile, raggrinzita come Terry? Il suo corpo, già così pieno e forte in gioventù, aveva ceduto sotto il peso degli anni? Marco rallentava l’urgenza delle domande per non dare a Terry l’impressione di averla usata solo a quello scopo, né intendeva con la fretta manifestare 14


l’ansia ridicola e un po’ maniacale per una storia che lucidamente sapeva non avere più senso. Nel frattempo continuavano a scherzare per esorcizzare tutte quelle pulsioni retroattive che come una marea alla gola arginavano a fatica, prima che arrivassero all’orlo degli occhi, alluvionando la dignità. Quella poca rimasta. Era venuta in Italia chiamata dalla sua vecchia coreografa, Eileen Higgins, che da dieci anni si era esiliata in un paesino della Calabria e stava morendo di cancro con il supporto anestetico dell’alcool. Pur scrivendosi sempre, non si vedevano da una vita. Insieme avevano vissuto il periodo d’oro della giovinezza danzando nelle principali città del mondo, a Madrid, Las Vegas, Acapulco, Berlino... Il loro primo incontro era avvenuto verso la fine degli anni Cinquanta a Parigi al celebre Lido, il music hall degli Champs-Elysées che, per le ballerine di varietà, ha sempre rappresentato un fiore all’occhiello. Fu lì che Terry venne ingaggiata da Eileen. La loro collaborazione artistica si protrasse fino all’inizio degli anni Settanta. Eileen montava i «numeri» per i grandi cabaret internazionali, mentre Carlos, il suo compagno spagnolo, fissava i locali e le date, e Terry viaggiava con il balletto. Due mesi in Sudamerica, un mese in Giappone, venti giorni in Florida, un’estate in Spagna, tre settimane a Beirut, due settimane in Germania, e così via: viaggi, aerei, treni, navi, alberghi, locali, luci, applausi, notti, amori, addii... Terry gli aveva mostrato un’istantanea, scattata pochi giorni prima in Calabria, in cui si vedeva Eileen con un cappellaccio da Far West, occhiali scuri enormi fino a metà guancia e un poncho andino sormontato da mille collane. Così bardata, sperava forse di nascondere la devastazione del male che invece trapelava con crudele arroganza, rendendola un’altra persona. Terry non accettava che Eileen fosse giunta alla fine, anzi blaterava diagnosi ottimistiche profetizzando la prossima guarigione con un tono sicuro, quasi allegro. Mentre fissava quella foto, Marco dovette fingere il proprio assenso alle speranze avventate di Terry che gli stava addosso con un sorriso ebete e santo. Cercava di minimizzare lo sconcerto che lo ammutoliva, agghiacciandolo. Ricordava Eileen come una donna dal corpo solido, 15


agile e atletico; il sorriso americano, i capelli esageratamente cotonati e biondi, d’un biondo innaturale, la bocca rossa, troppo rossa, che stonava con i colori chiarissimi, quasi diafani della sua figura. Spumeggiante ed entusiasta, pareva uno di quei personaggi dei serials televisivi d’oltreoceano che allora non avevano ancora fatto la loro comparsa in Italia. Anni dopo Carlos, lo spagnolo panciuto, la derubò di ogni avere e sparì. Ora viveva con una specie di governante semicalva, succube e gelosa, forse segretamente innamorata di lei. Due ore prima era andato all’aeroporto di Linate ad accogliere Terry che veniva da Reggio Calabria. Quando le porte automatiche degli arrivi nazionali si erano aperte, aveva faticato un po’ prima di individuarla fra i passeggeri che aspettavano i bagagli. Poi aveva notato una donna di spalle, l’altezza svettante, i capelli lunghi, il corpo filiforme e l’aveva chiamata. Durante il breve tragitto che li separava dal parcheggio non si erano scambiati una sola parola. Sorridevano timidamente, con gli occhi bassi, imbarazzati per l’evidente cambiamento fisico che nessun sotterfugio poteva mascherare. Forse provavano una sottile vergogna, quasi un senso di colpa per essersi delusi a vicenda, perché nel ricordo erano rimasti uguali ad allora, un po’ immortali e magici, in una dimensione temporale che li aveva graziati. Verso mezzanotte l’avrebbe riaccompagnata all’aeroporto da cui sarebbe ripartita per Amsterdam. Adesso, in quel locale, Marco aveva la sensazione che lei fosse un po’ guardinga, un po’ sospettosa, per l’eccessiva affettuosità che le manifestava. Forse non capiva come quel vecchio ragazzo riuscisse a ricordare, con tanta accanita lucidità, persone e avvenimenti lontani. E non era facile per Marco spiegare con altrettanta chiarezza ciò che per anni aveva vissuto così confusamente. – In tutti questi anni, quando pensavo al mondo della rivista, non mi venivano subito in mente le soubrettes, gli attori, gli orchestrali, il Comico, ma le ballerine, sempre le ballerine... – È per via della tua storia con Erika. Solo per quello. – Ti sbagli. Il più delle volte, nel ricordo, Erika non era isolata, c’eravate anche voi. Potevo rivivere la sua immagine e la vostra, insieme o separatamente, e la nostalgia subentrava ad animare ogni 16


persona che rievocavo. – Eri talmente giovane che capitare in un ambiente pieno di belle ragazze sarà stato per te qualcosa di indimenticabile. – Eravate bellissime, piene di fascino, e non so perché, diverse da tutte le altre donne. La gente, per la strada, vi riconosceva immediatamente. Sarà stato il modo di camminare, i vestiti eccentrici, il trucco particolare, la disinvoltura sfrontata ma i passanti vi indicavano dicendo: quella è una ballerina. Allo stesso modo oggi senti dire: quella è una modella. Ma voi non eravate così finte. – Terry rimase colpita da quelle parole che con affettuosità misteriosa riferivano il sentimento personale di Marco a tutta una categoria. Divenne radiosa, sembrava esprimere a quel vecchio compagno di lavoro una sorta di gratitudine. – Non pensavo che ci guardassi in questo modo. Vedi, parlo al plurale come fossi la portavoce di tante altre. Le ballerine non le ricorda nessuno, non erano loro il richiamo di locandina. Facevano parte della scenografia come una cornice vivente, niente di più. Le ammiravano, le applaudivano, questo sì, ma da qui a ricordarle come fai tu... – Rincuorato dalla sottile emozione che aveva attraversato la donna, Marco riprese con più foga a spiegare le ragioni del suo culto privato. – Voi eravate il cuore della rivista, non solo una piacevole cornice. Lo spettacolo vibrava di luce e di seduzione ogni volta che entravate in scena. Era un’esplosione di allegria, di colori, di sensualità. Quando smisi di recitare, andavo a teatro per vedere le ballerine della platea. Un punto di vista che ignoravo. Sentivo, a differenza degli altri spettatori, che di quelle ragazze sapevo tutto, pur non conoscendole. Umori, solitudine, sbandamenti, speranze, illusioni. Intuivo la vita che si svolgeva nei camerini, là dove lo sguardo del pubblico non poteva entrare. Allora non seguivo più quello che succedeva sul palcoscenico: immaginavo le ragazze dietro le quinte mentre ridevano, spettegolavano, si spogliavano. Qualche volta sono andato all’ingresso degli artisti per vedermele sfilare davanti, indovinarne la nazionalità, captare un accento, scommettere su un’età, scorgere una somiglianza, udire un nome inglese per allinearlo ad altri volti non presenti... – 17


L’autore è grato a sua moglie Donatella per aver accompagnato questo fantasma d’amore fuori dal sogno. Altrettanta gratitudine la deve all’amico Giuseppe Pederiali che ha voluto fortemente questo libro dispensando preziosi consigli.

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INDICE

BALLERINA DI FILA Prefazione di Andrea Spano .................................................. 5 Capitolo I ............................................................................... 11 Capitolo II ............................................................................. 28 Capitolo III ........................................................................... 44 Capitolo IV ............................................................................ 62 Capitolo V ............................................................................. 83 Capitolo VI ............................................................................ 90 Capitolo VII .......................................................................... 97 Capitolo VIII ........................................................................ 103 Capitolo IX ............................................................................ 114 Capitolo X ............................................................................. 122 Capitolo XI ............................................................................ 134 Capitolo XII .......................................................................... 143 Capitolo XIII ........................................................................ 149 Capitolo XIV ........................................................................ 156 Capitolo XV .......................................................................... 164 Capitolo XVI ........................................................................ 185

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Il cantiere Collana di narrativa e varia 27. A.A.V.V., Poesia al cinema, a cura di Marcella Continanza. Interventi di Marcella Continanza, Nadia Cavalera, Alessandra Dagostini, Vincenzo Guarracino, Matilde Lucchini, Dacia Maraini, Rino Mele, Alberto Pesce, Paolo Ruffilli. Con traduzione dei testi in tedesco, pp. 156, € 20,00 ISBN 978-88-6679-106-5 28. Sandro Pignotti, Bambù, pp. 108, € 12,00 (romanzo)ISBN 978-88-6679-112-6 29. A.A.V.V., Atti della XVIII Biennale di poesia di Alessandria, a cura di Mauro Ferrari e Aldino Leoni, pp. 64, € 15,00 ISBN 978-88-6679-153-9 30. Loris M. Marchetti, Tappeto mobile, pp. 104, € 15,00 ISBN 978-88-6679-156-0 (racconti) 31. Andrea Salvini, Il fuorilegge, pp. 24, € 5,00 ISBN 978-88-6679-156-0 (racconto) 32. Vincenzo Ruggiero Perrino, Ur-Hamlet, pp. 46, € 10,00 ISBN 978-88-6679-176-8 (racconto drammatizzato) 33. AA.VV., Testimonianze di voci poetiche, 22 poeti a Parma, coordinata da Luca Ariano e Giancarlo Baroni, pp. 112, € 15,00 ISBN 978-88-6679-177-5 34. Paola Fargion, Davide contro K. Come ho vinto la paura del cancro, prefazione di Alessandro Meluzzi, pp. 140, € 15,00 ISBN 978-88-6679-175-1 (romanzo) 35. Cinzia Demi, Ritratti di poeta. Cinque anni di Missione Poesia e di Un Thè con la Poesia, pp. 364, € 25,00 ISBN 978-88-6679-194-2 36. Sandro Tomassini, Racconti vagabondi, pp. 78, € 12,00 ISBN 978-88-6679-200-0 (racconti) 37. Marco Beck, Sei tu colui che deve venire?, Prefazione di Daniela Marcheschi, pp. 118, € 15,00 ISBN 978-88-6679-206-2 (teatro in versi) 38. Sandro Pignotti, A.rancia, pp. 126, € 15,00 ISBN 978-88-6679-217-8 (romanzo) 39. Marco Ercolani, Massimo Barbaro, L’arte della distanza, Prefazione di Antonio Devicienti, pp. 230, € 20,00 ISBN 978-88-6679-230-7 (prosa saggistica) 40. Elio Grasso, Anni di poesia, Scritti e interventi 1985-2019, pp. 368, € 25,00 ISBN 978-88-6679-245-1 (critica letteraria) 41. Matilde Jonas, Cronache di misteri e di follie, pp. 200ca, € 18,00 ISBN 978-88-6679-256-7 (racconti) 42. Mario Marchisio, Chi vive se ne pente, Prefazione di Dario Capello, pp. 118, € 15,00 ISBN 978-88-6679-257-4 (racconti) 43. AA.VV., Il fiore delle lacrime, Antologia poetica a cura di Vincenzo Guarracino, con un saggio di Vincenzo Guarracino e Postfazione di Carlo Di Legge, pp. 252, € 25,00 ISBN 978-88-6679-274-2 44. Carlo Alessandro Landini, Orizzontale/Verticale. Lettera a un medico, pp. 400ca, € 25,00 ISBN 978-88-6679-276-5 (prosa saggistica) 45. Mauro Macario, Ballerina di fila, Prefazione di Emanuele Spano, pp. 200, € 18,00 ISBN 978-88-6679-280-2 (romanzo) 46. Daniela Romano, L’editoria italiana: uno sguardo sul territorio puntoacapo Editrice (tesi di laurea), pp. 54, € 10,00 ISBN 978-88-6679-285-7 (marzo)

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Febbraio 2021 Stampato per conto di puntoacapo Editrice presso Universalbook srl Via Botticelli 22, 87032 Rende (CS)

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Una storia di iniziazione sentimentale ambientata nel mondo ormai perduto della grande rivista musicale italiana. La scoperta dei sensi e dell’universo femminile coinvolge un giovane attore al debutto. Tra le ballerine di fila spicca la figura di una ragazza del nord Europa che si renderà artefice della crescita evolutiva del suo compagno di scena nell’ambito di un amore difficile e struggente. Lo scenario incornicia un mondo fiabesco: la vita del varietà viene svelata dietro le quinte, nei teatri delle grandi città fino ai più malandati locali di paesini dove i grandi comici del passato evocati compivano la loro missione d’allegria. L’autore racconta ciò che ha vissuto in prima persona in quel magico mondo di cui forse oggi è l’ultimo testimone. Storia d’amore sì, ma anche un affresco epocale qui riportato come un sogno dentro una realtà indimenticabile.

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BALLERINA DI FILA

BALLERINA DI FILA

Mauro Macario (S. Margherita Ligure 1947) ha pubblicato in poesia: Le ali della jena (Lubrina 1990), Crimini naturali (Book 1992), Cantico della resa mortale (ivi 1994), Il destino di essere altrove (Campanotto 2003), Silenzio a occidente (Liberodiscrivere 2007), La screanza (ivi 2012, Premio E. Montale Fuori di Casa 2012); Metà di niente (puntoacapo 2014, Premio Lerici Pea 2015); Le trame del disincanto. Tutte le poesie 1990-2017 (ivi 2017); Alphaville (ivi 2020). In traduzione francese ha pubblicato La Débâcle des bonnes intentions (La rumeur libre 2016). È curatore di due antologie su Leo Ferré (Il cantore dell’immaginario, Eleuthera 1994, e L’Arte della rivolta, Selene 2003); con Claudio Pozzani ha curato le poesie di R. Mannerini (Un poeta cieco di rabbia, Liberodiscrivere 2004) e l’antologia L’invenzione del mare (puntoacapo 2015). Ha scritto la biografia del padre, Macario un comico caduto dalla luna (Baldini&Castoldi 1998) e Macario mio padre (Campanotto 2007). Del 2004 è la prima edizione del romanzo Ballerina di fila (Aliberti).

€ 18,00

puntoacapo

Le “Stafford Dancers” nella commedia musicale “Pop a tempo di beat” di Cile e Mazzucco. Costumi di Felicita Gabetti. Compagnia Macario, 1967.


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