Roberto Laneri
La voce dell’arcobaleno Origini, tecniche e applicazioni del
CANTO ARMONICO
Indice Prefazione Introduzione Presentazione
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Capitolo 1 Una storia Sufi Musica su una nota sola Che cos’è il canto armonico Riscoperta e storia recente del canto armonico Storia meno recente. La pipì di Indra e la Musica delle Sfere. I luoghi del canto armonico Morte e Trasfigurazione
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Capitolo 2 Suono & Musica Musica come “arte del suono” Alcuni principi di acustica Timbro: il colore del suono Il modello planetario La danza del diapason Il “Mistero dell’Ottava” e il calcolo degli intervalli
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Capitolo 3 La serie dei suoni armonici: conoscenza ufficiale e iniziatica Pitagora e il monocordo Misurare “a occhio” e “a orecchio” Il suono dell’arcobaleno La serie degli armonici: morfologia e struttura Consonanza e dissonanza Schönberg e l’evoluzionismo musicale La serie degli armonici: suono e numero Autoreferenzialità del suono Un’altra storia sufi Pitagora e il circolo delle quinte Ternarius e Senarius.
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Capitolo 4 Temperamento: una storia infinita Tolomeo d’Alessandria e l’intonazione naturale Piccola ricapitolazione. La “dottrina degli affetti”. La polifonia I temperamenti mesotonici e l’”urlo del lupo”. Nascita della tastiera. Prototipi e dinosauri. Temperamento equabile Musica pneumatica e musica meccanica Ulteriore codifica del temperamento equabile Non tutti i temperamenti equabili sono eguali Johann Sebastian Bach e il Wohltemperierte Clavier Temperamento e civiltà Ascesa e rovina dell’armonia La crisi dell’espressività Il temperamento equabile come avanguardia del Caos La difesa dell’intonazione naturale e il ritorno dei dinosauri. Harry Partch. Capitolo 5 Le tecniche del canto armonico. Preludio pedagogico. La sindrome di monsieur Jourdan e la teoria dei formanti “Pulizia dei chakra” Tecniche “a una cavità” o del “primo formante” Lo spazio tra le vocali Concentrazione sul suono Pulizia dei chakra avanzata Prima ricapitolazione: come amplificare gli armonici Della respirazione Secondo formante, xöömij, canto mongolo, “a due cavità”... La pratica dello xöömij Tecniche e terminologia. Estensione e limiti vocali. Tecniche di controllo. Armonici congiunti e disgiunti. Il “suono del gong”: controllo dell’inviluppo Un incontro storico: femminismo e Canto Tibetano Canto tibetano e kargiraa mongolo I sonogrammi e la loro lettura Yodeling alpino e yodeling pigmeo: una storia tirolese I battimenti: nuvole di suono L’improvvisazione di gruppo e la cessazione del dialogo mentale. Strutture di massa. Una griglia per la composizione e l’improvvisazione. Musica in forma di cristalli Come migliorare l a propria tecnica? Gli “strumenti armonici”
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tanpura (tampura, tambura e simili) il monocordo lo scacciapensieri il didjeridu flauti di tutto il mondo campane e gong, ciotole nepalesi (Nepali bowls) sintetizzatori e campionatori (sintesi e campionamento) analogico e digitale
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Capitolo 6 Il fascino discreto delle vocali Mantra e Japa Il “caso” Rimbaud: il silenzio dopo il delirio Dell’arte oggettiva Il mantra A-U-ß come “arte oggettiva” Gödel, Patanjali e Joyce I 9 miliardi di nomi di Dio Qualità del suono, del numero e della psiche Le forme del suono: Chladni e la registrazione sonora Hans Jenny e la kymatica L’arte dell’ascolto L’ascolto come arte della memoria Manfred Clynes e le “forme essentiche” Gli armonici, chiave dell’esperienza visionaria sonora L’”effetto Tomatis” Il “pensiero armonicale”. La “musica delle sfere”.
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Bibliografia Opere citate Nota sull’autore Indice analitico e dei nomi
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Una storia sufi C’era una volta un uomo che viveva in un piccolo villaggio dell’Armenia, commerciava in tappeti come tutti gli altri abitanti del villaggio, e aveva una certa reputazione locale di saggezza. Conduceva vita molto ritirata e viveva solo, finché a un certo punto decise di prendere moglie e sposò una ragazza di un villaggio vicino, di parecchi anni più giovane. La loro vita scorreva tranquilla: ogni sera l’uomo tornava dalla sua bottega, e mentre la moglie preparava la cena faceva un po’ di musica. Suonava uno strumento ad arco armeno, simile alla nostra viola, e mai per più di una mezz’ora. La moglie ascoltava in silenzio, sorvegliando la zuppa o l’arrosto. A dire il vero le sembrò presto che in quella musica ci fosse qualcosa di strano, e voleva chiedere che cosa fosse, ma a quel tempo le donne non facevano domande indiscrete ai loro mariti. Una sera capì improvvisamente cosa stava succedendo: suo marito suonava una nota sola, sempre la stessa!
La cosa le sembrò strana, e avrebbe voluto chiedergli qualche spiegazione, ma era timida e rispettosa, e aveva paura di fare domande sciocche. Così passavano gli anni, finchè, dopo diciannove anni di matrimonio, non poté più trattenersi e parlò così: “Perdona la mia impertinenza, caro marito, ma è da tempo che vorrei rivolgerti una domanda. Ho sentito altre persone suonare il tuo strumento, e anche altri strumenti. È vero che a volte si suonano note molto lunghe, ma non ho mai sentito nessuno suonare sempre la stessa nota, per tutti questi anni, senza cambiare mai. Che modo di suonare è dunque questo?” L’uomo la guardò a lungo, quasi incredulo, poi sospirando e scuotendo la testa rispose: “O donna, lunga di capelli e corta di comprendonio, mostro di curiosità e di sfrontatezza, grande in verità è la tua impudenza! Tuttavia sappi che coloro che suonano molte note fanno così perché cercano la loro nota, mentre io la mia l’ho trovata molto tempo fa.”
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Musica su una nota sola Nella nostra cultura l’elemento della musica che si stacca sugli altri nella percezione, memoria e immaginario comune è senz’altro la melodia. Se si chiede a qualcuno di accennare una canzone o un tema classico, si è soddisfatti quando una ragionevole percentuale delle note viene canticchiata correttamente, anche quando il ritmo e altri parametri strutturali ed espressivi risultano approssimativi. Questo accade, ripetiamo, nella nostra cultura occidentale. Altrove non è sempre così: ad esempio nella musica tribale africana ritmo e metro sono assai più cruciali all’identificazione di un pezzo di musica tradizionale. L’orecchio frettoloso e spesso distratto dell’occidente richiede tempi brevi e varietà melodica, e non ama variazioni troppo sottili. In questo contesto, una musica che si snodi su una sola nota diventa accettabile solo nell’ambito trasgressivo dell’avanguardia, e ciò si è puntualmente verificato. Compositori come LaMonte Young, Karlheinz Stockhausen, Giacinto Scelsi e altri hanno scritto pezzi per le più varie combinazioni di strumenti nei quali il movimento melodico è ridotto a zero. Si tratta di pezzi scritti
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in effetti su una sola nota, che si ripropone con durate, intensità, orchestrazioni varie. E tuttavia poco di quanto si è visto e sentito dall’avanguardia è stato novità autentica: spesso sono state riciclate cose già fatte in altri tempi e altre culture. Quindi prima di dare una definizione del canto armonico dobbiamo inquadrarlo come una delle tante one note musics, musiche per l’appunto nelle quali l’elemento melodico è pressoché inesistente. Per contro, in queste musiche la povertà di questo parametro viene ampiamente riscattata da ricchezza e sottigliezza insospettate di altri parametri, quali timbro, dinamica, ritmo, microintonazione. Se è vero che nessuna musica dovrebbe essere giudicata per quello che non c’è, nessuno dovrebbe sentire la mancanza di melodie più o meno cantabili nel canto tibetano o nella musica per didjeridu degli aborigeni australiani. Anzi, l’introduzione in esse di elementi melodici finirebbe per svilire e banalizzare musiche di grande dignità artistica e di complessa e raffinata struttura. In alcuni casi, come in certe contaminazioni operate da musicisti pop, ciò si è già verificato.
Che cos’è il canto armonico Dopo questa premessa necessaria, definiamo come canto armonico un corpus di tecniche vocali che rendono percepibili all’ascolto i suoni armonici di un suono fondamentale, che di solito ma non necessariamente viene tenuto fisso. Va subito detto che canto armonico è dizione poco soddisfacente, in quanto si presta a equivoci sull’interpretazione del termine ‘armonico’, che in questo caso non ha nulla a che fare con l’armonia intesa come una branca dell’arte della musica, ma piuttosto con la fisica acustica. A ciò si aggiunga che il fenomeno degli armonici non è certo noto a tutti. Esso si perde nella nebbia confusa dei ricordi scolastici ed è di scarsa utilità pratica nella vita di tutti i giorni. I sostenitori della dizione canto difonico (preferibile a ‘bifonico’) possono giustamente obiettare che l’emissione vocale comporta comunque la presenza di suoni armonici. In effetti l’impressione di chi ascolta è di udire due elementi diversi: un suono fondamentale e una melodia formata dai suoi armonici. È però vero anche che sia l’analisi spettrale, sia un ascolto più approfondito riscontrano la compresenza di più di due elementi. In francese abbiamo la corrispondenza letterale ai termini italiani (chant harmonique, chant diphonique), con l’aggiunta del suggestivo voix
guimbarde, corrispondente all’italiano ‘scacciapensieri mongolo’ e che si riferisce più strettamente alla tecnica mongola detta khöömij (letteralmente: vocefaringe). È il caso di soffermarsi sulla dizione anglosassone (inglese: overtone singing; tedesco: Obertongesang) che sembra definire con maggiore chiarezza ciò che accade in questo tipo di canto, grazie alla preposizione over (oben) che significa ‘al disopra’ (cfr. il termine italiano di uso poco comune ‘ipertoni’ per armonici). In effetti ciò che più colpisce la percezione dell’ascoltatore è proprio la successione melodica dei suoni armonici, che si odono più o meno chiaramente ‘al disopra’ del suono fondamentale. Si sottintende così un passaggio dalla normale percezione unidimensionale del suono, a una coscienza del suono come fenomeno multidimensionale. Altro termine in uso, introdotto dall’autore, è O.M., dove le iniziali stanno per Overtone Method. In questo caso l’acrostico stabilisce una connessione con il bija-mantra Oß o AUß, del quale le tecniche di canto armonico sono viste come un’espansione e sviluppo coerente. La parola method introduce il met£ senso di una strada da percorrere (met£ ÐdÒs: oltre la via) come sviluppo tecnico-spirituale. Infatti in realtà il canto ar-
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monico è qualcosa che va oltre la musica propriamente detta e comunemente intesa. Esso si pone come un settore di una generale Ars Harmonica, con la quale si intende un complesso di tecniche di trasformazione psicofisica di
provenienza ermetico-pitagorica. Tali tecniche in passato sono state tramandate prevalentemente secondo modalità iniziatiche, ma la loro attuale diffusione a livello di mass media ha fatto perdere loro il carattere esoterico.
Riscoperta e storia recente del canto armonico La prima testimonianza scritta di Canto Armonico nella quale ricordo di essermi imbattuto è una breve frase dell’antropologo sovietico L.P. Potapov, in un suo saggio del 1931 sulla tribù siberiana dei Tuvan:1 ...(un cantante) con la sua voce più bassa canta la melodia, e contemporaneamente la accompagna con un suono simile a quello del flauto; di purezza e dolcezza sorprendenti.
In un dossier dell’Institut de la Voix di Limoges si trova la sorprendente testimonianza di una poesia francese risalente all’inizio del ‘500: J’ay veu, comme il me semble, Ung fort homme d’honneur, Luy seul chanter ensemble Et dessus et teneur.2 (Ho già visto, a quanto ricordo, Un valoroso uomo d’onore, Cantare da solo allo stesso tempo Melodia e bordone.) (t.d.a.)
Una simile descrizione appare in una memoria del Garcia (1847), autore del
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celebre Traité complet de l’art du chant, a cui peraltro il Radau, nel suo Traité d’acoustique del 1880 mostra di non credere: ... a mio avviso è da annoverare tra i miracoli quello che racconta il Garcia di certi contadini russi, che si sarebbero sentiti cantare simultaneamente un’aria con voce di petto e voce di gola.3
C’è anche un curioso aneddoto dal necrologio di J.S. Bach, pubblicato nel 1754, che vale la pena di riportare, anche se a rigore non si può essere certi che si trattasse di canto armonico, e se alcune discrepanze nelle date gettano dubbi sulla sua autenticità: In Lüneburg il nostro Bach fu ben ricevuto, a causa della sua bellissima voce di soprano. Poco tempo dopo, mentre cantava nel coro, e senza che che se ne accorgesse o lo volesse, si udì allo stesso tempo con la linea di soprano che gli spettava, l’ottava bassa della stessa. Mantenne questa nuova sorta di voce per otto giorni, durante i quali non riusciva né a parlare né a cantare se non in ottave. Finché perse i suoi suoni di soprano e la bellezza della voce.4
Come si vede, il Canto d’Armonico non ha mai lasciato troppe tracce di sé. C’è anche da dire che le testimonianze citate assumono un peso e un senso diversi una volta che si possano sperimentare mettendole in pratica. In realtà le informazioni precedenti sono rimaste indecifrabili e inutilizzabili sul piano della loro realizzazione per molti anni. È negli anni ’70 che assistiamo a una vera e propria rinascita del canto armonico, non più o non soltanto come oggetto di studio e d’interesse per l’antropologo e l’etnomusicologo da un lato, e il cultore di esoterismo dall’altro, ma come corpus di tecniche da utilizzare da parte di musicisti nella pratica improvvisativa, esecutiva e compositiva. Alcuni di questi musicisti ne hanno riconosciuto il carattere di pratica spirituale oltre che musicale, riconducibile allo Yoga, alla meditazione, all’espansione di coscienza in generale. Del resto tra le tante più o meno applicabili etichette in uso nella musica contemporanea vi è quella di “musica meditativa”. Lasciamo da parte per il momento un esame sulla fondatezza e la correttezza del termine, come pure sui prodotti musicali a esso in varia misura riconducibili, anche se non si può non rilevare come oggi la parola “meditazione”, con i suoi aggettivi derivati, venga spesso usata con approssimazione e improprietà. All’esperienza descritta in trattati antichi e moderni come una serie di oggettive trasformazioni psicofisi-
che si sostituisce troppo spesso un coacervo di vaghe annotazioni psicologiche soggettive. Resta comunque il fatto che l’insoddisfazione profonda per il materialismo e l’aridità della cultura occidentale dominante abbia prodotto in milioni di persone verso la fine degli anni ’60, tra le quali molti musicisti, una sincera aspirazione verso forme di coscienza e d’arte ‘diverse’. È ripreso allora quel processo di reciproca curiosità e osmosi, storicamente altre volte intrapreso con fortune alterne, tra oriente e occidente, intesi sia come entità materiali sia come categorie speculari di quella che nel rinascimento si soleva chiamare anima mundi, e che oggi potremmo chiamare coscienza planetaria. A ogni modo, nel 1968 il Collegium Vocale di Colonia incide per la DGG Stimmung, un pezzo per sei voci di Karlheinz Stockhausen. È questo un pezzo nel quale i cantanti restano per l’intera durata (variabile da 45’ a un’ora) sulle note inizialmente loro assegnate, che si dispongono secondo intervalli presi dalla serie dei suoni armonici. All’inizio, a mo’ di preludio, si trova un episodio in cui i vocalisti modulano la propria voce secondo gli armonici del primo formante, in un canto armonico che oggi può sembrare elementare, ma che allora fu recepito da molti come sconvolgente. La maggior parte di queste persone non aveva mai sentito esempi di canto armonico tradizionale, e per loro si trattò di una vera e propria iniziazione. Molti
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provarono a imitare quello strano vocalizzare, con vario successo; altri si sentirono spinti a ricercare e ad avvicinarsi alle forme di canto armonico tradizionale sopravvissute, e scoprirono il canto tibetano e lo khöömij mongolo. Tuttavia esiste in Stimmung un’ambivalenza di fondo, e l’attrazione generata da questo pezzo ha un che di quasi morboso. Tra coloro che allora, nell’epoca d’oro della psichedelia, fecero l’esperienza di ascoltarlo sotto l’effetto di sostanze psicotrope, vi furono numerosi casi di psicosi temporanea. Era come se lo stato di trance da esso indotto si rivelasse come un incantesimo maligno e incapacitante: la coscienza dell’ascoltatore si espandeva ma si sentiva anche manipolata. Negli stessi anni nasceva un altro centro di canto armonico negli Stati Uniti, presso il dipartimento di musica dell’università di California a San Diego. In queso caso la posizione periferica e la peculiarità culturale della California, che a differenza della costa orientale non guarda all’Europa per i suoi modelli, ma all’oriente tramite il Pacifico e l’Australia, agirono come il perfetto terreno di coltura di pratiche vocali che il vecchio mondo marginalizzava e guardava con sospetto. “Che cosa aspettiamo? Diamogli subito il suo Ph.D.!”, si dice abbia esclamato Robert Erickson, decano degli insegnanti di composizione dell’università e non a caso autore di un libro fon-
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damentale dedicato al timbro, quando sentì per la prima volta vocalizzare in questo modo uno studente dalla finestra aperta del suo studio a La Jolla, presso l’Università di California. Nel settembre 1972, presso il Project for Music Experiment (diventato in seguito Center for Music Experiment), affiliato all’università, nasceva spontaneamente l’Extended Vocal Techniques Group, o EVT, gruppo al quale partecipava l’autore, che da qualche mese aveva iniziato indipendentemente lo studio del canto armonico. Nel gruppo non esistevano maestri o insegnanti di sorta: l’apprendimento avveniva essenzialmente mediante un processo di ascolto analitico, tentativi per imitazione e condivisione dei risultati. Il gruppo EVT esiste tuttora, e si dedica in prevalenza all’esecuzione di pezzi di musica contemporanea appositamente commissionati. Fu proprio in seguito a divergenze sulla linea da seguire che l’autore decise di fondare nel 1973 un suo gruppo di improvvisazione vocale, PRIMA MATERIA, i cui componenti usavano esclusivamente tecniche di canto armonico. PRIMA MATERIA si sciolse esattamente dopo sette anni, nell’aprile del 1980, dopo essere apparso nei festivals e manifestazioni di musica contemporanea di tutta Europa, e dopo aver inciso nel 1977 un LP intitolato The Tail of the Tiger, ripubblicato in CD da Die Schachtel, Milano, 2005, assieme ad altre due improvvisazioni del gruppo. L’au-
tore ha continuato l’attività di musicista ‘armonico’ collaborando con altri musicisti (tra cui Stephanie Wolff e Christian Bollmann) e come solista. A New York la riscoperta del canto armonico non poteva passare inosservata, e non poteva purtroppo non risentire delle oscillazioni del gusto in un ambiente artistico abituato a consumare i suoi frutti con voracità e velocità. Così è un peccato che al bellissimo LP Songs from the Hill Meredith Monk non abbia fatto seguire altro in questo campo. Un’altra vocalista di rilievo, Joan LaBarbara, autrice dell’LP Voice Is the Original Instrument, da parte sua si affrettava a prendere le distanze dal canto armonico inteso come pratica di sviluppo spirituale, dichiarando che per lei esso non aveva nulla a che fare con pratiche di Yoga o di meditazione. In seguito invece l’idea di pratica spirituale associata al canto diventava centrale nel gruppo The Harmonic Choir, diretto da David Hykes secondo linee di stretta osservanza gurdjieffiana e tuttora in attività. Il compositore e virtuoso di flauto dolce Michael Vetter (autore, tra l’altro, dell’opera didattica ‘Il Flauto dolce-amaro’), già allievo e collaboratore di Stockhausen, negli stessi anni soggiornava in Giappone seguendo la strada del buddhismo Zen, per tornare in seguito in Germania e aprire la scuola di Rütte. Ed è proprio in Germania che il canto e più generalmente il movimen-
to armonico si diffonde maggiormente, grazie ai concerti, alle incisioni presso stazioni radio del prestigio di WDR a Colonia e della RIAS a Berlino, e grazie ai seminari tenuti dall’autore, da Michael Vetter, suo fratello Jochem e in seguito da loro allievi e collaboratori come Stephanie Wolff, Helmut Kreil, Christian Bollmann (fondatore del Dusseldorf Oberton Chor) e numerosi altri. La cultura armonicale si iscrive in un generale revival filosofico neo-pitagorico, sulle orme del pensiero di Albert Von Thimus, Hans Kayser e Jean Gebser. A Vienna c’è la scuola di Rudolph Haase, e presso il Freies Musik Zentrum di Monaco si tengono corsi regolari di teoria e pratica, compresi corsi di costruzione di monocordi. Figure influenti della vita musicale tedesca diventano per così dire campioni della filosofia armonica: tra essi Joachim-Ernst Berendt, autore di Nada Brahma e Der Dritte Ohr (‘Il Terzo Orecchio’). Prima di lui il compositore e pianista Peter Michael Hamel, già leader del gruppo In Between, aveva scritto nel 1976 Durch Musik zum Selbst, tradotto in inglese per la Shambala con il titolo Through Music to the Self, testo a tutt’oggi fondamentale per chi creda alla musica come manifestazione dello spirito: È responsabilità di una musica spirituale di imparare da tutte le tradizioni, di rintracciare fonti da tempo dimenticate e di riportare alla ribalta la funzione originaria della musica – i suoi legami con le profondità dell’esperienza umana.5
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In Francia lo sviluppo del canto armonico e della cultura corrispondente conosce un andamento più variegato e ricco di percorsi individuali. Tra i primi praticanti il musicista ed etnomusicologo vietnamita Trân Quang Hai, specialista di canto mongolo e autore di numerosi articoli, nonché curatore del Musée de l’Homme di Parigi, esempio vivente di come l’etnomusicologia possa non soltanto “rintracciare fonti da tempo dimenticate”, ma sopratutto “imparare da tutte le tradizioni”. Vi è poi lo specialista di canto gregoriano Iegor Reznikoff. Egli ne propone una lettura affascinante in chiave armonica, che una volta conosciuta appare quasi la sola possibile. Ma forse il principale responsabile della diffusione del canto armonico in ambito non specialistico è un leader spirituale, il maestro sufi Pir Vilayat Khan, figlio del grande Hazrat Hinayat e fondatore dell’Ordine Sufi in Occidente. In un certo senso non potrebbe essere altrimenti, data l’importan-
za centrale del fenomeno della serie dei suoni armonici nella mistica sufi tradizionale. Ma Pir Vilayat dà un grande impulso al Canto Armonico introducendolo nella pratica detta wazifa (vedere più avanti) e promuovendo contatti con David Hykes, Christian Bollmann, Stephanie Wolff e l’autore, che per vari anni è stato chiamato a insegnare presso il Campo Estivo di Meditazione e in altre occasioni. Questo breve excursus non ha pretese di completezza, ma si limita a ricordare gli iniziatori, o meglio i riscopritori in occidente di tecniche già in via d’estinzione. Da essi è nato un vero e proprio movimento musicale-spirituale, con migliaia di praticanti ai livelli e dalle motivazioni più disparate, che toccano la musica, la psicologia, la terapia, la conoscenza, l’autorealizzazione. Occasionalmente i media hanno dato spazio a un fenomeno che attualmente non è certo di massa, ma nemmeno più per pochi iniziati.
Storia meno recente. La pipì di Indra e la Musica delle Sfere La storia recente del canto armonico non si può veramente chiamare ‘storia’, per la buona ragione che invece è una cronaca degli ultimi trent’anni. Ma anche la sua storia antica non è storia, e questa volta per ragioni opposte.
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Infatti ci troviamo di fronte a manifestazioni vocali che sembrano esistere da tempo immemorabile, come la pratica dell’Oß. Possediamo un’ampia documentazione, dalla quale è facile dedurre che nel mondo antico esisteva
certamente una coscienza e conoscenza armonica assai avanzata, anche se non per tutti. Tuttavia tale documentazione si presta alle più diverse interpretazioni, e non sappiamo fino a che punto coscienza e conoscenza armonica si traducessero concretamente in pratiche e tecniche vocali. Ad esempio, non si sa se Pitagora facesse seguire i suoi esperimenti con il monocordo da pratiche di canto. Così antichi trattati di Yoga e Tantra descrivono pratiche che io identifico con tecniche di canto armonico, e ciò perché la mia lettura di tali testi è nel senso di veri e propri manuali d’uso, mentre traduzioni e commenti più o meno recenti ne privilegiano l’interpretazione simbolico-allegorica, come se avessimo a che fare con testi di tipo esclusivamente filosofico e speculativo. A poco a poco si è così formato lo stereotipo del mistico teso ad annullare la fisicità, mentre a mio avviso egli segue la via della sperimentazione su se stesso, avvalendosi di un sistema di feedback corporeo e mentale ad altissime soglie di vigilanza. E quindi i versetti del Vijñanabhairava Tantra o degli Yogasutra di Patanjali parlano veramente soltanto a colui che sia disposto a seguirne le istruzioni alla lettera. A parziale suffragio di questo tipo di lettura cito il caso abbastanza recente dell’antropologo Gordon Wasson, autore del classico Soma: Divine Mushroom of Immortality. Wasson ha dimostrato che quando nei Veda si parla del pene di In-
dra che spande urina e del soma che viene assorbito nella “seconda forma” dai partecipanti al rituale, non abbiamo a che fare con metafore sulla pioggia, ma con pratiche tuttora vive in aree del mondo dove lo sciamano ingerisce preparazioni psichedeliche direttamente (o nella “prima forma”), mentre gli altri membri della tribù ne sperimentano gli effetti in forma metabolizzata, e quindi meno pericolosa, bevendone le urine. Allo stesso modo le numerose allusioni al rapporto sessuale nei trattati tantrici indiani non vanno negate nel loro aspetto concreto, in ossequio a una morale di stampo vittoriano che era quella dei primi traduttori. Accettarne la realtà non significa ridurne la portata e gli effetti di trasformazione psicofisica nei praticanti, che anzi risulta più autentica. L’esperienza auditiva è talmente centrale nel pensiero antico che la struttura della musica, o meglio del suono, viene fatta coincidere con quella dell’universo stesso. In seguito avremo modo di esaminare a fondo affermazioni in proposito, da “Nada Brahma” (“L’Universo è Suono”) dei sacri testi induisti a “In Principio era il Verbo” della Bibbia. Tale coincidenza emerge dalle prime testimonianze delle culture antiche, e si ritrova nelle culture primitive sopravvissute, come il lavoro dell’etnomusicologo Marius Schneider ha ampiamente documentato. Si potrebbe ricondurre il fenomeno allo sviluppo universale della psiche umana,
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la cui prima esperienza sensoriale, percettiva e di coscienza ha proprio a che fare con il suono, nella forma della voce della madre ascoltata dal bambino fin dalla fase prenatale. Comunque sia, tale importanza è stata riconosciuta in senso generale, per non dire generico. E tuttavia a mio avviso l’essenza del pensiero antico e di quello arcaico-primitivo non è pienamente comprensibile senza un’esperienza o almeno una conoscenza del fenomeno degli armonici. Tra poco tenterò una breve sintesi storica del pensiero armonico. Ora mi interessa di più esaminare le testimonianze di forme di canto e di vocalizzazione in cui mi sembra di riconoscere esempi più o meno totali di canto armonico. Già nel canto sillabato degli antichi egizi e nell’interpretazione da parte di Schneider del mito platonico di Er (anch’esso riconducibile ad ambiente egizio) troviamo un elemento che ricorre in tutte le forme di canto armonico conosciute, e cioè l’allargarsi e lo stringersi progressivo delle labbra, secondo varie ‘mappe’ consistenti in alcune serie di vocali. La brillante ricostruzione di Schneider attribuisce alle serie di vocali una valenza scalare, mentre a me sembra più plausibile la valenza armonica. In breve, ciò significa che allargando e stringendo le labbra, tenendo fisso un suono fondamentale si arriva a percepire una variazione timbrica a seconda della mutevole costel-
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lazione armonica. L’antico Egitto appare quindi come depositario di una scienza armonica che si perde nella notte dei tempi, alla quale si è indubbiamente rifatto lo stesso Pitagora, che la tradizione vuole iniziato proprio in Egitto. Anche la tradizione gnostica ci tramanda serie di vocali strutturate simmetricamente in forme triangolari o anche come quadrati magici:
La tavola gnostica di Mileto ci dà le formule vocaliche caratteristiche dei pianeti allora conosciuti. Tra questi c’era il Sole, a cui si faceva corrispondere la seguente formula:
Anche nel mondo ebraico, nel quale tra l’altro si trovano leggende ben note sui poteri del suono, la divinità viene rappresentata in forma verbale, come I E O Y A. Anche in questo caso, intonando lentamente queste vocali e glissando insensibilmente dall’una all’altra in
una sola emissione di fiato emergono gli armonici. È probabile che la biblioteca di Alessandria, fondata nel 332 a.C. e distrutta tre volte (dai Romani nel 41
a.C. e nel 391 d.C., e finalmente dal califfo Omar I nel 641) contenesse molte altre ‘ricette’ di canto, e soprattutto i loro rispettivi manuali d’uso, vale a dire testi di commento ed esercizi.
I luoghi del canto armonico Nel Medio Evo il canto armonico si fa preghiera cristiana, soprattutto nelle abbazie cistercensi, dove ancora oggi la parola sembra diventare automaticamente canto, e il canto diventa canto armonico. Le abbazie di Senanques e Thoronnet, nel sud della Francia, non solo sono costruite secondo le regole armoniche della sezione aurea, corrispondenti a intervalli musicali di quinta, quarta e terza maggiore, ma la loro mancanza pressoché totale di arredi e ornamenti interni le rendono luoghi ideali per la parola che quasi automaticamente si fa canto: non solo il suono non viene assorbito, ma viene riverberato in modo lineare e totale, e non in modo casuale e bizzarro, come avviene nelle chiese barocche. La mancanza di suppellettili e la severità delle linee architettoniche senza curve né vetrate, secondo i principi di semplificazione, riduzione e rettangolarità, hanno inoltre lo scopo di escludere qualsiasi pretesto e appiglio visivo che vada “a detrimento della Parola” 6. Decisamente San Bernardo di Chiaravalle, che più di ogni altro diede impulso all’ordine già fondato nel 1098 a Citeaux da San Rober-
to di Molesme, sta dalla parte dell’ascolto rispetto alla visione: ...nelle cose di fede e per la conoscenza della verità, l’udito è superiore alla vista. (...) Perché vi sforzate di vedere? Bisogna piuttosto tendere l’orecchio. Soltanto l’udito può raggiungere la verità in quanto esso percepisce il Verbo. E quindi: bisogna risvegliare l’udito ed esercitarlo a ricevere la verità.7
Questa sorta di ‘cristianesimo dell’udito’, che già muore con San Bernardo nel 1153, ha in effetti molti punti di contatto con la grande tradizione islamica del canto sacro. Anche le moschee islamiche sono vuote e armonicamente risuonanti, e se non escludono del tutto la visione privilegiano l’arabesco rispetto alle immagini rappresentative. C’è da dire che il canto armonico, più che a una religiosità formalmente organizzata, si ricollega a una mistica personale e individualista che mal si concilia con l’apparato rituale delle grandi religioni. Il mondo cristiano, invece di sostenere e diffondere la cultura armonica, ha consistentemente cercato di estirparne e marginalizzarne le espressioni, come attesta una lunga serie di prescrizioni e pro-
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scrizioni in campo musicale. Anche la riforma ambrosiana del canto gregoriano del quarto secolo va vista in questa luce. Del resto anche l’Islam ha una storia di vera e propria persecuzione della sua anima mistica incarnata dal sufismo, che non a caso assegna al suono e al canto con valenze armoniche una posizione preminente. È evidente che le religioni ufficiali temono gli stati di coscienza estatici in qualsiasi modo essi si producano, ma in particolar modo quelli che passano per l’orecchio, in quanto difficilmente controllabili e appartenenti alla sfera più intima. Verso la fine del XII secolo, in concomitanza con la costruzione delle grandi cattedrali gotiche, nasce la cosiddetta Scuola di Nôtre Dame, a cui appartengono i primi compositori dei quali ci viene tramandato il nome in occidente. Magister Leoninus e Magister Perotinus scrivono pezzi (organa) che dilatano nel tempo il cantus firmus gregoriano in modo quasi abnorme, diluendo la componente testuale in suoni vocalici che durano fino a trenta/quaranta secondi. Possiamo ipotizzare, dato ancora una volta il tipo di architettura in cui questi canti risuonavano, che il risultato fosse “un caleidoscopio di trame sempre cangianti”8, come quelle che ci fanno intravedere alcune eccellenti esecuzioni moderne. Contemporaneamente però cominciano ad apparire episodi della composizione (discantus) che finiscono col diventare a loro volta composizioni au-
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tonome, e che esibiscono un effetto di vera e propria accelerazione. È proprio questo lo stile che suscita l’ammirazione dei contemporanei dei maestri di NÖtre Dame, e che porta l’Anonimo IV (inglese) a parlare di Perotinus come “eccellente compositore di discantus, migliore di Leoninus”. Questa accelerazione non è soltanto una contrazione del tempo musicale, ma corrisponde a un generale dinamizzarsi della coscienza occidentale, che si direbbe ancora in atto. I suoni armonici, che nascono e si sviluppano in un’atmosfera di tempo sospeso e spazi dilatati, vengono emarginati sempre più dal contesto musicale ufficiale, e il canto armonico diviene un fenomeno underground, confinato in spazi geografici e culturali ristretti e senza comunicazione tra loro. C’è da registrare ancora la produzione della badessa visionaria Hildegard von Bingen (1098-1179). Basta uno sguardo anche superficiale alle sue composizioni dai lunghi melismi vocalici, raccolte nella Symphonia Armonie Celestium Revelationum, oppure al suo libro di visioni (Scivias), per capire come a questa donna che in pieno Medio Evo parla del suo lavoro in termini di moderna sinestesia (“scrivere, vedere, udire e sapere tutti allo stesso modo”) l’esperienza degli armonici come fenomeno d’ordine musicale e d’evoluzione spirituale non dovesse essere estraneo. Ma per il resto ormai gli armonici in Europa
si ascoltano soltanto episodicamente come una sorta di sottoprodotto esoterico della musica corale a cappella. È la musica folklorica a diventare invece depositaria della memoria armonica, i cui echi si sentono ancora dalla Sardegna (launeddas, mamutones) ai paesi Baschi, dalla Sicilia ai Balcani. Nel tempo cambiano anche i luoghi della musica. Dai lunghi echi delle abbazie cistercensi e delle grandi cattedrali gotiche si passa ai brevi tempi di riverbero delle moderne sale da concerto, che tendono a restituire il suono secondo un presupposto criterio di fedeltà, per arrivare alla secchezza totale della sala di registrazione, nella quale
la dimensione spaziale viene introdotta a posteriori in modo artificiale. È innegabile che nei secoli si sia verificato un cambiamento, se non della percezione del suono, sicuramente dei criteri di valutazione e di apprezzamento del suono stesso. Eliminando l’alone degli armonici si è passati da uno spazio musicale in cui il suono (e con esso la coscienza) si trasforma a spazi più neutrali e asettici, in cui la psiche si pone come un percipiente statico. In altre parole è venuta in gran parte a mancare la funzione dinamica del suono, che gli ha permesso di porsi come veicolo di trasformazione e vettore di interazione tra la psiche umana e l’universo.
Morte e Trasfigurazione Come si è visto, la storia recente del canto armonico nel mondo occidentale è veramente la storia di una riscoperta, dovuta a etnomusicologi, musicisti, praticanti di discipline olistiche. Si deve a loro se questa pratica non è più da considerare una specie in via d’estinzione. E se è vero che molte strade della sapienza antica e del mondo orientale sembravano essersi chiuse per sempre, spesso anche a causa di una indiscriminata modernizzazione e di tutto ciò che essa comporta, è anche vero che la cultura e la tecnologia occidentale più avanzate sono intervenute come elementi decisivi sia di salvataggio e preservazione
di pratiche un tempo esoteriche, sia di una loro riformulazione ed evoluzione contemporanea e metaculturale. Forse è proprio la transculturalità il dato più appariscente di questo processo, e cioè il fatto che tecniche di canto fino a non molto tempo fa riservate a pochi lama e sciamani oggi si possano apprendere partecipando a un seminario-laboratorio di un paio di giorni. Oggi si trovano forse più praticanti di canto armonico a San Francisco, Zurigo, Roma e Berlino che a Ulan Bator o a Lhasa, isole ristrette dove ancora si coltivano le forme di Canto Armonico tradizionale. Forme simili esistono in Giappone e
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presso alcune tribù dell’area mongolasiberiana. Altrove nel mondo indo-islamico si ritrovano forme più diluite e mediate. Paradossalmente, eventi dolorosi e distruttivi come l’invasione del Tibet da parte della Cina, hanno contribuito a portare l’attenzione in tutto il mondo su pratiche che altrimenti sarebbero rimaste conoscenza di pochissimi iniziati. Vista in questa luce, la diaspora della cultura tibetana segna la fine dell’epoca dell’esoterismo, evento significativo per la coscienza contemporanea quanto il crollo del muro di Berlino e dei regimi comunisti. Si va verso un’epoca che alcuni definiscono dell’Acquario, altri dell’Informazione, e che comunque è caratterizzata dallo storaggio e dalla diffusione istantanea di una gran quantità di informazioni. È il caso di dire che un accumulo di conoscenze produce conoscenza. È come se, in attesa di una vera integrazione, l’occidente raccogliesse il testimone di antichis-
sime pratiche spirituali passatogli da un oriente snervato e da un terzo mondo che non ha più tempo né mezzi per le proprie stesse radici, provato com’è da guerre insensate, sovrappopolazione, carestie, disastri ecologici. Quest’opera di salvataggio, del canto armonico come di altre pratiche, non va vista come mera conservazione. Viene spontaneo il ricordo della camerata di gentiluomini fiorentini convinti in buona fede di ridar vita agli ideali musicali dell’antica Grecia, e passati alla storia della musica come gli iniziatori del melodramma. Si tratta piuttosto di un lavoro di trasformazione, che ruota però, e questo è da tenere ben presente, attorno a una struttura invariante. Tale struttura viene dalla fisica acustica, prima ancora che dalla musica, anche se la musica se ne serve in modi innumerevoli e più o meno mediati, ed è la serie dei suoni armonici, di cui esamineremo la morfologia nel terzo capitolo.
Note al capitolo 1 Potapov, L.P. e Levin, M.G. (a cura di), The Peoples of Siberia, University of Chicago Press, Chicago, 1964 p. 421. (t.d.a.). 2 Recollection des merveilles advenues en nostre temps, commencée par G. Chastelin, et continuée jusqu’à présent per Jehan Molinet, Anvers, G. Vosterman (ca. 1520), In Le Chant Diphonique, Dossier n.1, Institut de la Voix, Limoges, 1989, p. 44 (t.d.a.). 3 Ibidem, p. 44. 4 David, H. T. & Mendel, A., a cura di, The Bach Reader, W.W. Norton & Company, New York e Londra, 1972 (t.d.a.) 5 Hamel, P.M., Through Music to the Self, Shambhala, Boulder,1979, p.1 (orig. Scherz Verlag, 1976), (t.d.a.). 6 Larcher, H., L’Acoustique Cistercienne et l’unité sonore, 1976, in l’Encyclopédie des Musiques sacrées, Vol. III, Editions Labergerie, Paris (t.d.a.). 7 Ibid., (t.d.a.). 8 Hillier, P., note di copertina al CD Perotin, ECM New Series 1385, München, 1989 (t.d.a.). 1
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