Pierre Pradervand
MAI PIĂ™ VITTIMA Scegliere di essere responsabili della propria vita per trovare la felicitĂ
SOMMARIO Introduzione Capitolo 1 Vittime responsabili! – Una distinzione fondamentale Capitolo 2 Vittime o responsabili: caratteristiche psicologiche – Vittima o responsabile? – La mia dichiarazione di responsabilità nei confronti della vita
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Capitolo 3 Scegliere di essere responsabili
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Capitolo 4 L’unica cosa di cui si può essere vittime
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Capitolo 5 Strumenti per uscire dal parcheggio a pagamento
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Capitolo 6 “Mi sento vittima di…”: i grandi temi – Il tempo – Il denaro – La salute – L’educazione – Il “sistema” Capitolo 7 La convinzione della mancanza I gruppi di lavoro e i seminari di Vivere diversamente
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Introduzione
Nel corso dei miei viaggi, delle mie ricerche, dei miei soggiorni in più di una quarantina di paesi nei cinque continenti ho avuto l’immenso privilegio di veder vivere migliaia di individui di culture, religioni, ambienti sociali, razze e condizioni materiali molto diversi. Ho conosciuto delle persone obiettivamente vittime di situazioni di una durezza incredibile, che mi parlavano con il sorriso sulle labbra di ciò che facevano per migliorare la loro sorte, così come ho incontrato anche persone che avevano tutto, ma veramente tutto, e che ancora riuscivano a considerarsi vittime della società o del destino. In un libro il cui titolo è già un programma di vita, Il dolore meraviglioso (Frassinelli, Milano, 2000), Boris Cyrulnik presenta i casi di persone che sembravano condannate in partenza al fallimento per tutto ciò che avevano vissuto nella loro prima infanzia (situazioni estreme come, per esempio, i campi di sterminio nazisti o gli orfanotrofi rumeni dell’inizio degli anni Novanta). Ciononostante, riuscivano a trionfare sulle loro condizioni di vita sfavorevoli e a vivere una vita normale. Da tanti anni lavoro nell’ambito dello sviluppo 9
personale. Sono giunto alla convinzione profonda che una delle decisioni più importanti che un individuo possa prendere nella propria vita, forse la più importante, consiste nel sapere se si considererà vittima o responsabile della propria esistenza. Prima, però, di entrare nel vivo del nostro argomento, vorrei fare tre osservazioni importanti. Il filosofo francese Jean Guitton ha scritto: “Non ci sono educatori, ci sono solo delle persone che mostrano agli altri come fanno a educare se stesse”. Le affermazioni che trovate in queste pagine hanno superato la “prova del fuoco”, ovvero sono state sperimentate concretamente nella mia vita personale o in quella di altre persone, generalmente di mia conoscenza. Inoltre, non ho la pretesa di dire a una sola persona su questa terra come dovrebbe pensare, vivere e agire. È già molto difficile vivere la propria vita con un minimo di coerenza, senza avere la pretesa di dire agli altri come debbano vivere la loro. Considerate allora queste pagine come un semplice scambio amichevole, una condivisione di esperienze. Infine, non credete a niente di ciò che scrivo prima di averlo messo alla prova per contro vostro, nella vostra vita. Ci sono già abbastanza 10
esperti e specialisti che vanno in giro per il mondo dicendo: “È così”, o “Ecco la verità”. L’unica verità è quella vissuta, che ha superato la prova del fuoco della vita. Solo voi, cara lettrice e caro lettore, potete scoprirla. È fondamentale non formulare un giudizio morale a proposito dell’atteggiamento da vittima o da persona responsabile. Non è “male” essere vittime né “bene” essere responsabili. Sono delle tappe attraverso le quali passiamo tutti. Bisogna semplicemente osservare, senza esprimere alcun giudizio di carattere morale. Una persona che si sente vittima ha bisogno di comprensione e di compassione, non di giudizi. Mentre scrivevo queste righe, un amico tedesco che ho sempre rispettato per la sua forza, il suo eccezionale senso di responsabilità e nel quale, in più di trent’anni di amicizia, non avevo mai avvertito la minima traccia di vittimismo, mi ha telefonato. Aveva toccato il fondo. Sua moglie lo aveva appena lasciato. Aveva ricevuto una lettera di licenziamento. Suo figlio era stato incredibilmente sleale nei suoi confronti e i suoi conti erano in rosso. Per la prima volta si sentiva quasi inghiottito dalle circostanze della sua vita. Ne aveva il diritto. Aveva perso qualunque controllo sugli eventi. Aveva bisogno al più presto di aiuto e, soprattutto, di compassione. 11
Al contrario, certe persone che si crogiolano nella mentalità vittimistica possono aver bisogno di una scossa. Tale scossa può rappresentare la più grande forma di amore nei loro confronti. Mi viene in mente a questo proposito un uomo che una delle mie colleghe andava a trovare in prigione. Famigerato pedofilo, aveva abusato di bambini di due o tre anni. Quell’uomo si considerava totalmente vittima della società. Non era assolutamente cosciente di aver fatto del male a qualcuno. Non sembrava né opportuno né terapeutico esprimere commiserazione nei suoi confronti. Pur evitando di giudicarlo, nel suo caso era più appropriato agire con fermezza. Galileo diceva che non si può insegnare niente a un uomo, si può soltanto aiutarlo a scoprire ciò che sa già. Sempre di più, il mio strumento pedagogico preferito è la domanda. Lo specialista di comunicazioni americano Neil Postman ha detto che la domanda costituisce il nostro principale strumento intellettuale. Pertanto, amica lettrice e amico lettore, nel corso delle pagine di quest’opera troverete delle domande con la D maiuscola. Mi auguro che vi fermiate a riflettere sugli interrogativi che sollevo e che, spero, vi aiuteranno ad approfondire la vostra riflessione sui temi trattati. Non riuscirei a concludere questa introduzione, senza prima condividere con voi la mia intima con12
vinzione che l’esistenza sia un invito costante alla scoperta delle leggi di armonia che regolano ogni forma di vita. Queste leggi si scoprono soltanto se si esce dalla “zona di conforto” (dal “parcheggio a pagamento”) di un atteggiamento da vittime, per lanciarsi nella rinvigorente avventura di una vita responsabile, la quale richiede che si sia disposti a correre dei rischi in modo pienamente cosciente.
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