Erlendur Haraldsson
Miracoli d’Amore Dieci anni di indagini sui sorprendenti poteri di Sri Sathya Sai Baba
Indice Ringraziamenti Premessa Introduzione
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PARTE PRIMA
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1. Le perplessità iniziali 2. Faccia a faccia con l’artefice di miracoli 3. “Dia un’occhiata al suo anello” 4. Quanto reale? 5. “Nessuno può capire la mia gloria” 6. Nessun esperimento. E poi? 7. Osservazioni di scienziati indiani 8. “Sono stati i manghi” 9. Il Raja di Venkatagiri 10. “Chiedete tutto quello che volete” 11. Svaniva davanti agli occhi dei devoti 12. “Non riuscirai a spiegarlo” 13. Fichi da ogni albero 14. “Si goda adesso questi giorni” 15. I cantanti 16. Un ex devoto 17. Il fratello abbandonato 18. Un discepolo spirituale di Baba 19. Un occidentale in India: il dr. Roerich 20. Che cosa insegna?
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PARTE SECONDA 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32.
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Le critiche Quanto reale? Seconda considerazione Alcuni numeri notevoli Alcune analogie Manifestazioni di miti e simboli religiosi Morti resuscitati? La luce abbagliante Teletrasporto? Bilocazione? Percezione extrasensoriale Reazione pubblica Conclusione
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Introduzione Nel mondo occidentale, l’India ha la fama del paese dei misteri e dei miracoli degli yogi. Questi fenomeni sono generalmente collegati con santoni o gruppi religiosi, che si trovano in India in grande varietà. Durante gli ultimi cento anni, alcuni di questi movimenti si sono stabiliti in Occidente, e la maggior parte di essi hanno affermato che fenomeni paranormali sono avvenuti tra i loro capi o fondatori (come la Fratellanza di Autorealizzazione di Paramahansa Yogananda, l’Ordine Ramakrishna di Vivekananda, in certo senso il Movimento Teosofico, e in tempi recenti il programma TM Siddhi dello yogi Maharishi Mahesh). Questa è probabilmente una delle ragioni della fama dell’India. Un’altra possono essere i racconti dei viaggiatori (Jacolliot 1884, Oman 1903, Brunton 1935). Nelle ricerche occidentali lo scopo principale e la maggiore difficoltà sono sempre stati la separazione dei fenomeni genuini dalle esagerazioni e dalle imitazioni fraudolente, come quelle ottenute con tecniche di prestidigitazione. I grandi sensitivi europei, quali Daniel Dunglas Home (Crookes 1874), Indridi Indridason (Hannesson 1924), Eusapia Paladino (Carrington 1909; Feilding, Bagaly e Carrington 1909), e Rudi Schneider (Schrenck - Notzing 1920; Gregory 1985), furono a lungo e attentamente studiati da ricercatori esperti. Possiamo dunque formulare su di essi un giudizio ragionevole. Ma la ricerca su queste affermazioni dell’India sono state scarse (Chiari 1960, 1982). Durante gli ultimi due o tre decenni sono state condotte sugli yogi alcune indagini da parte di rispettabili scienziati; sono state esclusivamente fisiologiche, limitate allo straordinario controllo del respiro, del battito cardiaco, del flusso sanguigno o delle onde cerebrali (Anand, Chhina, e Singh 1961; Wengen e Bagchi 1961; Kolhari, Bordia e Gupta 1978, Green e Green 1977). Rimane il fatto che studi estensivi in profon11
dità dei singoli sensitivi mancano ancora in India. In realtà, nonostante la leggendaria fama del paese, sono stati fatti pochissimi tentativi per investigare le supposte capacità dei singoli sensitivi. Una delle ragioni può essere che in India il paranormale e il divino, i miracoli e la religione sono strettamente intrecciati. In eguale modo i fenomeni paranormali sono spesso considerati un segno della divinità di uno swami o di uno yogi. A causa di questo atteggiamento religioso, le indagini sui fenomeni psichici di uno swami sfiorano il sacrilegio per molti indiani, e questo complica enormemente gli sforzi della ricerca. Inoltre questo atteggiamento e l’aspetto religioso possono servire a proteggere i soggetti fraudolenti dagli “increduli Tommasi”. Eravamo dunque consapevoli delle difficoltà implicite nella ricerca sui fenomeni paranormali quando sentimmo parlare per la prima volta di Sai Baba durante un progetto scientifico in India nel 1972-73. Il mio collega, il dottor Osis, e io avevamo sentito spesso parlare di straordinari e copiosi miracoli compiuti da un certo Sri Sathya Sai Baba, che più tardi seppi essere la più pittoresca figura religiosa vivente oggi in India, nota per radunare folle che solo la defunta Indira Gandhi poteva eguagliare. Molti di questi pretesi miracoli, si diceva, somigliavano a quelli di cui si legge nel Nuovo Testamento, quali moltiplicazioni di cibo, cambiamento di acqua in vino, guarigioni meravigliose e lettura dei più intimi pensieri di una persona. Indiani entusiasti e colti ci informarono che questi non erano solo avvenimenti occasionali, ma si ripetevano parecchie volte al giorno, anno dopo anno. I nostri informatori erano per lo più medici o docenti universitari. Alcuni di loro ci riferirono osservazioni personali che li avevano affascinati. Devo aggiungere che spesso divenivano devoti di Sai Baba dopo un breve incontro personale. I miti, le dicerie incontrollate, fanno parte dell’ambiente swami in India, come io sapevo perfettamente per la mia precedente conoscenza del paese. Ma le dicerie e le storie personali su Sai Baba superavano in imponenza e frequenza tutte quelle che avevo sentito fino allora. In quel tempo stavamo lavorando a un progetto nell’India Settentrionale per la Società Americana per la Ricerca Psichica. Sai Baba viveva in un remoto villaggio dell’India Meridionale. Poiché il nostro lavoro nel Nord stava per finire, decidemmo di tentare di incontrare il preteso artefice di miracoli, sebbene ci avessero avvertiti che i suoi movimenti erano imprevedibili e che le folle intorno a lui erano tali da rendere molto difficile avvicinarlo. 12
Fummo fortunati. Incontrammo lo swami e assistemmo ai fenomeni di cui ci avevano parlato. Alcuni potemmo osservarli, e numerosi testimoni erano pronti a confermare gli altri. Tuttavia queste erano osservazioni informali, che certo facevano impressione, ma per noi scienziati, solo esperimenti controllati e osservazioni ripetute avrebbero potuto costituire una prova soddisfacente. Spiegazioni alternative dovevano essere scartate con ragionevole sicurezza. La destrezza di mano e il trucco sono stati sempre compagni nella storia della ricerca psichica (o parapsicologia per usare un termine più moderno). In questa breve visita avemmo numerosi e lunghi colloqui con Sai Baba. Non mancammo di notare il carisma che aveva affascinato tante persone, e ci rendemmo conto che era non solo un capo religioso, ma anche un attivista molto consapevole di questioni sociali. Questa prima visita ne provocò un’altra un anno dopo. Questa volta eravamo equipaggiati per esperimenti di laboratorio. Facemmo lunghe discussioni sull’importanza della scienza e della ricerca ma le ultime parole dello swami furono che i suoi poteri non erano in mostra. Egli continuò tuttavia a essere generoso nel permetterci di osservarlo “in azione” e ci diede anche la libertà di prendere contatto con persone che avevano spesso osservato i suoi pretesi miracoli, aiutandoci in questo. Le prove aneddotiche erano impressionanti e le nostre osservazioni ci avevano sconcertato, ma questo poteva giustificare ulteriori sforzi per studiare ancor più da vicino i fenomeni di Baba e scoprire la loro vera natura? Dopo il nostro secondo viaggio da Sai Baba nel 1975, la Società Americana per la Ricerca Psichica interruppe il finanziamento. Di conseguenza, dopo aver considerato i pro e i contro, decisi di continuare l’investigazione da solo. Ebbi qualche aiuto dall’Università dell’Islanda, dove ero andato a insegnare di recente. Dato il rifiuto di Baba di collaborare agli esperimenti, l’unica via aperta era quella di impegnarmi in prolungate ricerche intervistando numerosi testimoni. Questi sarebbero stati non solo i suoi seguaci e i suoi intimi aderenti, ma anche i suoi critici e coloro che lo avevano lasciato per una ragione qualsiasi. Feci sei ulteriori viaggi in India, il primo nel 1976 e l’ultimo nel 1983, ognuno dei quali durò da uno a quattro mesi. In quattro di questi otto viaggi fui accompagnato da ricercatori: due volte dal dottor Osis; una volta, per tre mesi, dal dottor Michael Thaldourne della Washington University di St Louis; una volta, per un mese, dal dottor Joop Houtkooper dell’Università di Amsterdam. Intervistai dozzine di persone che avevano conosciuto Sai Baba e 13
osservato i suoi fatti, che lo avevano avvicinato in vari periodi della sua vita, specialmente in gioventù quando chi gli era attorno soleva stare con lui praticamente giorno e notte. Tentai di confermare le prove, feci del mio meglio per rintracciare le critiche e tutto ciò che pensavo potesse gettare luce sugli sconcertanti fenomeni che avevano permesso a Sai Baba di affermare che “i miracoli sono i miei biglietti da visita”. Questo libro è il risultato. Esso è diviso in due parti. Nella prima ho descritto i miei incontri con Sai Baba e riferito le particolareggiate interviste con seguaci, ex devoti e critici. Fra gli intervistati vi è una successione di assistenti personali di Baba dagli anni ’40 alla metà degli anni ’70. Essi mi fecero un quadro particolareggiato della sua vita e delle sue attività. In quasi tutti i casi ho intervistato queste persone parecchie volte, in genere lasciando passare un anno o più tra un’intervista e l’altra, che venivano registrate su nastro. Facevo questo anzitutto per controllare l’esattezza delle affermazioni fatte, ma anche per conoscere meglio i miei intervistati. Nel testo conclusivo, praticamente ogni affermazione fatta dagli intervistati è stata controllata e ricontrollata con loro. Tentai anche di trovare documenti contemporanei ai fenomeni, diari o lettere per confermare la testimonianza. Nella prima parte non ho cercato di valutare le varie affermazioni fatte nelle interviste. Questo è stato fatto nella seconda parte, dove alcuni dei principali fenomeni riferiti su Sai Baba sono discussi per esteso. Il principale scopo di questo libro è stato di riportare i dati fondamentali e di presentare le testimonianze di vari testimoni.
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PARTE PRIMA
1. Le perplessita` iniziali “Se volete vedere dei miracoli, andate a trovare Sai Baba”. Il dottor Karlis Osis e io udimmo questa frase più volte durante una visita in India nel 1972. Trattavamo soprattutto con professionisti - medici, gruppi ospedalieri e docenti universitari - la maggior parte dei quali parlava un ottimo inglese; molti di loro avevano studiato in Inghilterra o negli Stati Uniti. La loro preparazione scientifica tendeva a rifiutare l’esistenza dei fenomeni psichici come presso gli scienziati occidentali. Tuttavia le loro basi culturali accettavano molto più la possibilità della psi (facoltà psichiche), e spesso ci trovammo impegnati in interessanti conversazioni. In India è una vecchia e accettata teoria quella che i poteri psichici possano essere acquistati con l’addestramento, e anche che essi possano essere l’inevitabile conseguenza del seguire la via della spiritualità e l’illuminazione insegnati dall’induismo. È credenza tradizionale che gli yogi (coloro che praticano lo yoga) e gli swami (gli insegnanti religiosi) possano possedere tali poteri. Alcuni possono anche considerare la loro manifestazione come prova di spiritualità. Ma si trattava in realtà di questo? Qualcuno di coloro con cui avevamo parlato conosceva qualche swami o yogi considerato capace di compiere miracoli o di manifestare capacità inconsuete oltre i poteri dell’uomo comune? Nessuno li conosceva, ma alcuni ne avevano sentito parlare. Ci furono fatti vari nomi come Deoria Baba, Dadaji, Swami Rama, Aloyi Baba, Chandra Mohan, Mata Brahm Dyoti, Balyogi Premvarni, Angarika Munendra e Sathya Sai Baba. Il nome di Sathya Sai Baba venne fuori più volte in queste occasioni e, in definitiva, più spesso di ogni altro. Udimmo su di lui storie fantastiche che spesso superavano tutto ciò che avevamo letto nella storia della 15
ricerca psichica nel più moderato Occidente. I nostri relatori riferivano esperienze di amici, conoscenti e di altre persone di cui avevano sentito parlare. Raccontavano guarigioni miracolose, casi di profezia, lettura mentale, materializzazioni di piccoli oggetti che poi Sai Baba aveva regalato a qualcuno. Dapprima il mio stupore si rivolse agli stessi narratori, ma quando ne conoscemmo altri e queste storie straordinarie diventarono più numerose, la meraviglia cominciò a riversarsi su quell’uomo che era ormai divenuto una leggenda in tutta l’India: Sri Sathya Sai Baba. Nel febbraio del 1973 incontrammo per la prima volta una persona che aveva parlato direttamente con Sai Baba. Era un medico, ex primario di un ospedale dello stato di Uttar Pradesh, il più popoloso dell’India. Aveva incontrato Sai Baba in una riunione tenuta dallo swami durante una delle sue poche visite a Delhi. Vi era una gran folla e l’incontro con Baba era stato breve. Il medico si era ritirato di recente in pensione e pensava che il suo tempo di attività fosse finito. Sai Baba aveva notato casualmente che si sarebbe presto trovato implicato in un nuovo e interessante lavoro. La disoccupazione, in India, è un problema serio, e al medico non era mai passato per la mente che avrebbe potuto trovare un altro posto. Non credeva che la profezia si sarebbe avverata. Con sua meraviglia, invece fu richiesto dal Ministero dell’Educazione per divenire presidente di un nuovo collegio medico che doveva essere fondato nella città di Meerut. Lui accettò. Inaspettatamente la profezia di Baba si era avverata in pochi mesi. Il medico ci disse anche di avere visto Baba farsi uscire dalle mani, come se provenissero dal nulla, piccoli oggetti, come anelli e ciondoli. Più tardi, durante questo soggiorno in India, nella congestionata città industriale di Kanpur, conoscemmo un attivo gruppo di devoti di Sai grazie a un certo signor Kapur, comandante di squadriglia dell’aviazione in ritiro. Aveva incontrato Sai Baba e aveva avuto con lui parecchie esperienze che ci raccontò con grande entusiasmo. Ricordo i particolari di una di esse. Il comandante stava guidando lungo una strada aperta, senza alcuno attorno, quando d’improvviso qualche cosa parve dondolare leggermente sul parabrezza, senza colpirlo. Lui si fermò e l’oggetto scivolò sul cofano. Si trattava di un japamala, una collana a piccoli grani che alcuni portano in segno di religiosità, come i cristiani portano una piccola croce. Il signor Kapur ci disse che, tempo prima, aveva pregato Baba di dargli un particolare tipo di japamala e Sai Baba gli aveva detto che glielo avrebbe dato, ma non lo aveva fatto. Nel prendere il japamala, Kapur si rese conto 16
che era proprio del tipo che aveva chiesto. Con evidente orgoglio e piacere, ci mostrò il suo japamala, che conservava come un prezioso tesoro. Il signor Kapur non aveva dubbi che Sai Baba aveva materializzato quel japamala come segno della sua grazia in un periodo di serie difficoltà personali per lui. Il comandante ci parlò anche di una casa di Kanpur in cui erano misteriosamente apparsi vibuti (cenere sacra) e amrita (una sostanza simile al miele) su fotografie di Sai Baba. (La vibuti e l’amrita, nell’induismo, corrispondono in certo modo all’acqua santa, al pane e al vino del cristianesimo). Ci disse che c’erano ancora. Una famiglia di devoti viveva in quella casa. Quando esprimemmo il desiderio di conoscere la famiglia, vi fummo immediatamente portati. Suggerimmo che avremmo dovuto prima telefonare o prendere un appuntamento, ma ci fu risposto che non era necessario. “Tutti i devoti di Sai sono una famiglia” e così fummo condotti per le sudicie e affollate vie di Kanpur finché ci fermammo davanti a un edificio dei sobborghi. Si trattava evidentemente di una famiglia benestante che viveva in una casa, secondo i criteri indiani, spaziosa. Fummo ricevuti molto ospitalmente e portati in una stanza particolare, che si trova spesso nelle case indù e che è dedicata ai riti di devozione chiamati puja. Nella stanza della puja vi erano sulle pareti numerose fotografie di Sai Baba che fummo invitati a osservare ed esaminare. Le fotografie erano di varie dimensioni, alcune grandi fino a circa sessanta centimetri di lunghezza. Alcune erano coperte da un vetro, altre no. La maggior parte, se non tutte, erano stampe su carta patinata: seduto o in piedi, serio o sorridente, con il suo forte volto rotondo, i cespugliosi capelli all’africana, e con indosso la vivace veste color zafferano. Certo appariva facilmente distinguibile da qualunque altro. Contro una parte della stanza vi era una poltrona di legno decorata piuttosto vistosamente. Era la poltrona dello swami, sempre pronta per lui. Questa usanza ci colpì particolarmente, ma poi ci fu detto che è comune fra i devoti. Su alcune fotografie vi erano macchie di quella polvere grigia chiamata vibuti. Ci dissero che erano apparse per la prima volta qualche tempo prima, ma anche se le fotografie venivano spolverate accuratamente, la vibuti subito si riformava. Si potevano vedere anche piccole e sottili strisce di una sostanza simile a miele, ma non erano chiaramente visibili come la vibuti. Tuttavia non vi era dubbio che qualche fluido era stato versato sulle fotografie, e fummo informati che aveva un gusto dolce. “Tutto per grazia di Baba”. 17
Per i devoti di Kanpur i fenomeni erano un segno della presenza di Sai Baba, sebbene i membri di questo gruppo e le persone che conobbi in seguito fossero pronti ad aggiungere che i fenomeni fisici erano di nessuna o scarsa importanza. Importanti erano solo l’amore di Sai Baba, la sua onnipresenza e il suo messaggio. Lo adoravano come loro Signore. Per varie ragioni non avemmo l’opportunità di esaminare questi fenomeni con lo scrupolo che sarebbe stato necessario per verificare la loro genuinità, e invero non ci eravamo aspettati una conclusione positiva. Lasciammo Kanpur senza sforzarci di fare ulteriori indagini. Il signor Kapur e i suoi amici furono pieni di zelo nel farci conoscere alcuni devoti seguaci di Sai in Delhi. Fummo invitati a una piccola riunione organizzata dal signor Sohan Lal, un ricco uomo d’affari che viveva in un grande appartamento in uno dei più gradevoli sobborghi di Nuova Delhi. Non molto tempo prima, Sai Baba aveva visitato Delhi ed era stato ospite dei Sohan Lal. Uno dei presenti a quella riunione era il signor Nakul Sen, che era stato il primo governatore indiano di Goa dopo che la colonia portoghese si era arresa all’esercito indiano ed era divenuta politicamente una parte dell’India. Una volta Sai Baba aveva visitato Goa ed era stato ospite nel palazzo del governatore per alcuni giorni. Il governatore ci disse che durante quel periodo era stato testimone di numerose materializzazioni. Ci mostrò un bellissimo e prezioso anello che Sai Baba gli aveva regalato. Lui e Sohan Lal erano evidentemente convinti, in seguito ai loro incontri personali con Baba, che egli non solo compiva miracoli genuini ma era anche una persona divina, capace di conoscere tutto quello che voleva su chiunque in ogni momento. Evidentemente Baba era accettato dai potenti e dai ricchi non meno prontamente che da molti degli innumerevoli poveri dell’India. Sembrava convincerli, l’uno dopo l’altro, della sua genuinità e unicità. Indipendentemente dal come Sai Baba riuscisse a convincerli, noi pensammo che sarebbe stato molto interessante incontrare un uomo simile. Se solo una piccola frazione dei racconti miracolosi che avevamo ascoltato era vera, un viaggio per incontrarlo avrebbe, a nostro parere, meritato la spesa. Baba viveva in un angolo remoto dello Stato di Andhra Pradesh nell’India Meridionale, a nord di Bangalore. Quando arrivammo in questa città, ci fermammo in quello che era allora un albergo in vecchio stile inglese, il West End, posto in un sito spazioso con giardini ben tenuti. Venimmo subito a sapere che qui si fermavano molti occidentali prima di 18
andare a trovare Sai Baba, che passa la maggior parte del suo tempo a Puttaparti, un piccolo villaggio a circa tre ore di automobile a nord di Bangalore. Solo in anni recenti sono state fatte strade nell’ultimo tratto per raggiungere il villaggio, il quale è situato in una zona poco popolata non lontano dal confine tra gli stati di Karnataka e Andhra Pradesh. Forniti di coperte, materassi e zanzariere, cibo in scatola e di altri equipaggiamenti per il viaggio, partimmo il mattino dopo per Puttaparti attraversando una pianura asciutta ma fertile che gradualmente divenne più accidentata. Quanto più ci allontanavamo da Bangalore, tanto più lunga diveniva la distanza tra i villaggi che attraversavamo, e quando fummo vicini alla nostra destinazione, le strade non erano più pavimentate. Dopo quasi quattro ore di viaggio, giungemmo finalmente a Puttaparti, che giace in una vallata tra colline e montagne presso le rive del fiume Chitravati. In questo piccolo e remoto villaggio, “nel mezzo di nessun luogo”, nacque Sai Baba nel 1926, e ancora vi vive facendo solo qualche breve visita occasionale in altre parti dell’India. L ’ashram di Baba è solo a pochi minuti di cammino dal vecchio villaggio e ha ora molti più abitanti del villaggio stesso. Vari edifici a tre piani, ognuno con numerosi appartamentini dove possono alloggiare i devoti e i visitatori, formano un quadrato attorno a un’enorme sala di riunioni e a una più piccola sala di culto, chiamata mandir dove Sai Baba vive e riceve i visitatori. È un edificio a due piani con tre belle cupole sul tetto. Il mandir è il centro dell’ashram e, due volte al giorno, centinaia di persone vi si riuniscono davanti, sedute sulla sabbia soffice e pulita. Gli uomini siedono alla sinistra del fabbricato e le donne alla destra, secondo il costume indiano. Aspettano sperando che Sai Baba li chiami per un colloquio. Il luogo è scrupolosamente pulito e in ordine, e devoti custodi volontari mantengono un’igiene e una disciplina che raramente si vedono in India. Arrivammo nel tardo pomeriggio. Il signor Kutum Rao, ex giudice dell’Alta Corte a Madras e ora devoto di Sai, ci condusse in un appartamento al secondo piano di uno dei fabbricati che sorgono attorno al mandir. Quando chiedemmo un appuntamento con lo swami, ci dissero che non si davano appuntamenti. Tutto quello che potevamo fare era dare una lettera a Sai Baba quando faceva il suo giro davanti al mandir, al mattino e alla sera. Poiché nell’ashram vi erano centinaia di altre persone in attesa di incontrare il leggendario swami, le nostre probabilità non sembravano brillanti. Tuttavia demmo i nostri biglietti da visita e una breve lettera a Kutum Rao sperando che potesse farglieli vedere. 19
La nostra stanza era senza mobilio ma aveva acqua corrente e un bagno in una stanzetta adiacente. Avevamo portato con noi da Bangalore dei sottili materassi e delle coperte. Mentre ci preparavamo ad andare a letto meditando sulle nostre possibilità di un incontro personale con lo swami, udimmo battere alla porta. Era Kutum Rao, che ci portava un messaggio dello swami: “Vi riceverà domattina verso le nove”. E aggiunse: “Poi passerete in un appartamento migliore al primo piano”. Questo era di buon augurio. Ricordo che mi addormentai pregustando con gioia il giorno dopo.
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