Periodico di informazione del Petrolvilla Group Energia e Ambiente
Ritorno al futuro... in treno
S
tazione di Merano. Al binario uno, Helmuth Moroder, 46 anni, ingegnere, consulta l’orologio. ‘Le tredici e quindici’ mormora e dispiega la carta del tracciato il cui intreccio di linee la rende simile a un complicato cartamodello. Una delle numerose linee a zig-zag conduce alla stazione di Merano dove sta per arrivare il treno proveniente da Bolzano e diretto a Malles. Spacca il minuto. “Questo è importante!’ dice Moroder. “Qui ormai la gente regola l’orologio in base al nostro treno!”. Il convoglio dalla forma aerodinamica fa il suo ingresso in stazione scivolando sui binari. Un gioiello nuovo di zecca, confortevole, con finestre panoramiche e strisce arcobaleno sul tetto. All’ ora di pranzo è pieno zeppo di pendolari, studenti e turisti. “Abbiamo iniziato con otto di questi convogli e poco dopo siamo stati costretti ad acquistarne altri quattro”, racconta Mo-
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L’aerodinamico treno della Val Venosta
roder. “E benché ogni treno sia in grado di trasportare più di duecento passeggeri, continuano a non bastare”. Nemmeno i più ottimisti avrebbero mai scommesso su un successo del genere. “Avevamo sperato in un milione e mezzo di passeggeri all’ anno dopo un periodo di avviamento di cinque anni.” Già nel 2007, il terzo anno dall’entrata in servizio, i passeggeri erano due milioni, superando ampiamente tutte le previsioni. Ogni giorno 450 abitanti della valle, che prima dell’ apertura della linea ferroviaria usavano l’automobile, usufruiscono del treno, percorrendo in media circa 25 chilometri al giorno: questo significa quattro milioni di chilometri in meno percorsi in automobile all’ anno. E circa mille tonnellate di anidride carbonica in meno emesse nell’aria. Moroder ripiega la cartina con il tracciato che sintetizza la sua opera degli ultimi otto anni, e riassume il risultato con sole cinque parole: “andare in treno è in!”. Se attorno al 2000, quando Moroder divenne responsabile del progetto, ci fosse stato un referendum, “la stragrande maggioranza della popolazione si sarebbe espressa contro il nostro progetto della ferrovia”, ci assicura. Che cos’ era successo in questo breve lasso di tempo? In fondo, il nuovo treno della Val Venosta, che nel maggio 2005 si arrampicava per la prima volta verso Malles superando un dislivello di settecento metri, è tutt’altro che un figlio desiderato dalla popolazione e dalle autorità. Al contrario, i promotori del progetto hanno dovuto battersi per decenni. La loro capacità di
Rivista della Finenergy Spa
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II IL GIORNALE DELL’ENERGIA
imporsi contro le resistenze delle varie istanze rappresenta un caso esemplare nella storia dell’ambientalismo e, nel frattempo, funge da falsariga per progetti simili nell’ arco alpino e altrove. Attraversare la Val Venosta in automobile è spesso un continuo “stop and go” soprattutto nei mesi estivi; la popolazione nei paesi risente del grave problema dei gas di scarico e dell’inquinamento acustico. Le pesanti emissioni del traffico automobilistico hanno rappresentato un valido argomento a favore della rinascita della ferrovia. I suoi fautori hanno anche potuto far riferimento allo sviluppo in corso in una regione vicina. Negli ultimi quindici anni, infatti, la Svizzera era riuscita ad aumentare del 30 percento circa le capacità ferroviarie, infittendo la rete ferroviaria e introducendo più collegamenti regolari. In base all’ Ufficio Federale di Statistica della Svizzera, tra il 2000 e il 2005 la distanza percorsa annualmente in macchina da ogni abitante è rimasta identica. Nello stesso periodo il numero di chilometri percorsi in ferrovia è invece cresciuto del 19%. Pur con qualche ordine di grandezza in meno, il metodo adottato nella Val Venosta è lo stesso: la ferrovia regionale circola dalle cinque e mezzo del mattino fino alle nove e mezzo di sera a intervalli di un ora; alle ore di punta la frequenza viene portata a un convoglio ogni mezz’ora.
«Se ci fosse stato un referendum, la stragrande maggioranza della popolazione si sarebbe espressa contro la ferrovia» Sono stati necessari centoquindici milioni di Euro per l’aggiornamento tecnologico della ferrovia, per garantire sicurezza e affidabilità; si pensi che ci è voluta una somma paragonabile per la sola circonvallazione di Naturno, una località della Val Venosta. Nella centrale di controllo a Merano la ferrovia dispone di un apparato elettronico, in grado di comandare tutti i deviatoi, le barriere dei passaggi a livello e il segnalamento. Il sistema di controllo sorveglia automaticamente la velocità del convoglio e attiva un meccanismo automatico di arresto nel caso in cui uno dei 20 macchinisti si dovesse sentire male per qualche ragione. “Il treno comunica con i binari” spiega Moroder e sale sul “suo” treno. Nel viaggio verso Malles percorrerà i sessanta chilometri in 82 minuti, fermandosi esattamente mezzo minuto in ognuna delle diciassette stazioni. Ogni due ore cinque piccole fermate non sono servite, riducendo così il tempo di percorrenza a 68 minuti. E il tutto
al prezzo di quattro Euro. La soluzione veramente più economica e comoda possibile. Ormai anche i venostani la vedono in questo modo. E i turisti che sempre più spesso usano questo treno. Quasi senza rumore, la ferrovia si avvita in una ripida curva a S verso i comuni di Algundo e Marlengo; attraversa i primi ponti, si insinua in tre gallerie e concede al viaggiatore uno sguardo sulla città termale e di cura Merano, sul fondo della valle. Per Moroder ogni galleria ha un particolare significato: la galleria prima di Tel, ad esempio, era in condizioni talmente penose da mettere a rischio l’intero progetto. “L’abbiamo completamente risanata” dice, “ma qui non possiamo superare i settanta chilometri orari. In caso contrario sarebbe stato necessario inclinare il treno e i binari e lo spazio non era sufficiente”. In effetti, fra il tetto del treno e la galleria ci sono solo pochi centimetri. Per Moroder, che vive a Bolzano, la Val Venosta è diventata negli ultimi anni quasi una seconda patria. Conosce ogni metro del tracciato, ogni comune, ogni sindaco, la maggior parte delle associazioni. Quando la decisione politica di far rivivere il treno era ormai stata presa, molti degli abitanti della valle non ne volevano sapere. In primo luogo era necessario convincerli della sua utilità pratica ed ecologica per poi renderli utenti assidui del nuovo gioiello. Per la realizzazione del progetto i soldi non erano il problema. Grazie all’ autonomia, I’Alto Adige è una provincia benestante. Vi ritorna infatti il novanta percento del gettito fiscale. Come tutte le diciassette stazioni della Val Venosta, anche quella di Stava è una costruzione in Fachwerk (tecnica costruttiva tipica del nord Europa, con travi a vista e tamponamento in terra cruda), il cui tetto a padiglione, il frontone, le decorazioni liberty e le verande lignee ricordano una casa di campagna. L’architetto venostano Walter Dietl ha progettato le fermate con funzionali strutture in acciaio e legno. “I nostri binari sono peraltro completamente privi di barriere architettoniche” dice Moroder e indica i listelli di legno che riducono la distanza fra la banchina e il treno, consentendo perfino alle sedie a rotelle elettriche con le loro piccole ruote di salire facilmente a bordo. “E nonostante abbiamo dovuto ricostruire tutto ex novo, non è nemmeno costato molto”. La ferrovia della Val Venosta è oggi “l’unica tratta ferroviaria in Europa completamente priva di barriere architettoniche”. “Mi assunsero nel 2000”, riferisce Moroder, che di formazione è ingegnere civile. Non aveva nessuna esperienza nel settore ferroviario. “Ma nella veste di ambientalista mi ero impegnato e battuto da sempre a favore dei trasporti pubblici e probabilmente
pensavano che me ne intendessi”. Perlomeno sapeva esattamente quello che voleva: “un elevato comfort di viaggio, convogli nuovi e moderni, spese di esercizio basse e poco personale”. I costi complessivi sarebbero ammontati ad almeno cento milioni di Euro. L’amministrazione provinciale acconsentì e si assunse addirittura i costi di gestione. Secondo i primi calcoli, infatti, degli otto milioni di Euro all’anno i passeggeri ne avrebbero coperti solamente tre. La durata dei lavori fu di cinque anni. A questo punto i tredici sottopassaggi, i settanta ponti e le tre gallerie erano completati. Moroder si vide costretto a far chiudere cinquantaquattro degli ottantacinque vecchi passaggi a livello. “Ci furono trattative serrate con i sindaci e gli agricoltori”. In cambio vennero costruite piste ciclabili e sentieri pedonali lungo i binari, con semplici e stabili steccati di legno tipici della valle. “Spesso la sera andavo ancora sul posto per occuparmi delle lamentele di qualche agricoltore”: Una ruspa aveva rovinato qualche melo, una gru era ferma da una settimana nel campo che doveva essere arato, la costruzione di un ponte bloccava il traffico. Moroder dovette convincere novanta contadini a vendere una fetta della loro terra, necessaria per la realizzazione delle piste ciclabili “Se uno solo avesse rifiutato ci sarebbero voluti dei mesi”. Anche nelle valli vicine ci si è ormai accorti che “il treno è in”: “Ora anche in Vai Pusteria vorrebbero risanare la ferrovia”, dice Moroder. E fra Caldaro e Bolzano si sta discutendo da tempo di rimettere in funzione la vecchia ferrovia di penetrazione. Il treno della Val Venosta ha dimostrato agli altoatesini che la rotaia è una seria alternativa alla strada: il numero di passeggeri è, infatti, due volte e mezzo maggiore rispetto a quello degli autobus che in precedenza servivano questa tratta. “E - conclude Moroder - conosco una serie di abitanti della valle che hanno già venduto la loro seconda macchina”. Lancia uno sguardo all’ orologio: sono le 17 e 32. Ancora tre minuti al prossimo treno. Che, naturalmente, sarà puntuale.
La stazione di Malles Venosta
Pubblichiamo in queste pagine un testo tratto dal 3° rapporto sullo stato delle Alpi “Noi Alpi”. Ringraziamo CIPRA e i curatori per la gentile concessione. IL GIORNALE DELL’ENERGIA III
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La sfida tra nucleare e solare L
e alternative al nucleare esistono. Se in Italia fosse concretamente proponibile, dovremmo considerare che una uguale o superiore generazione elettrica sarebbe producibile dopo il 2020 con l’energia solare e le altre rinnovabili. L’editoriale di Gianni Silvestrini. Il dibattito sul nucleare va affrontato in maniera razionale, analizzando tutte le implicazioni connesse con il rilancio di questa filiera tecnologica. Innanzitutto chiarendo tempi ed entità del contributo che potrebbe venire dalla realizzazione di un programma atomico. Infatti, questo non servirà a soddisfare né gli obbiettivi di Kyoto e nemmeno quelli del 2020 (come alcune incaute dichiarazioni di uomini politici lasciano trapelare). Lo stesso studio di fattibilità pre-
Un contributo nucleare che potrebbe crescere nel periodo 2020-2040 con una produzione di 80-140 TWh/anno
sentato nei giorni scorsi dall’Edison prevede che, in caso di un iter senza inconvenienti o contestazioni, la prima elettricità nucleare sarebbe immessa in rete nel 2019. Pensare che tutto vada liscio in un paese in cui è problematico localizzare un inceneritore di rifiuti o un parco eolico, appare francamente difficile. Dunque parliamo di un contributo nucleare che, in presenza di una forte o coesa volontà politica e di un ampio consenso sociale, potrebbe progressivamente crescere nel periodo 2020-2040 con una produzione che, nell’ipotesi avanzata da Edison, potrebbe essere di 80-140 TWh/anno. Un valore rilevante in grado di soddisfare, nel caso più spinto, un terzo della domanda elettrica complessiva. La domanda che ci dobbiamo porre allora è: esistono alternative serie e credibili in questo arco temporale?
IV IL GIORNALE DELL’ENERGIA
Eolico innovativo o geotermia profonda potrebbero riservare delle sorprese, ma l’unica tecnologia da cui ci si può aspettare contributi significativi sul medio e lungo periodo è il solare. Un solare fotovoltaico casalingo, eventualmente abbinato ad un mix fotovoltaico/termodinamico sviluppato nei paesi arabi e nel Nord Africa. In presenza di drastiche riduzioni dei prezzi, la produzione solare potrebbe infatti arrivare a coprire percentuali non marginali della domanda. Considerando il raggiungimento degli obbiettivi alla fine del prossimo decennio indicati nel position paper del governo italiano (8.500 MW) e un tasso medio annuo di crescita della potenza installata del 20% tra il 2020 e il 2030, si arriverebbero a generare in Italia 70 TWh. E’ interessante notare come questo valore equivarrebbe alla produzione di 7 centrali nucleari da 1.300 MW, il numero di impianti che realisticamente si potrebbero costruire nel nostro paese entro il 2030. Nel decennio successivo, in presenza di costi solari decisamente competitivi, il contributo potrebbe salire notevolmente, anche in abbinamento alla generazione di idrogeno mediante elettrolisi dell’acqua, fatto questo che consentirebbe di supplire alla discontinuità della fonte solare. Ma quale superfici si dovrebbero impegnare per generare quote importanti di energia solare? Per coprire, per assurdo, tutta la domanda elettrica italiana prevedibile sul lungo periodo occorrerebbe una superficie quadrata di meno di 100 km di lato. Considerando le vaste aree di terreni marginali, un impiego su larga scala del solare non sarebbe dunque teoricamente impraticabile. Naturalmente, poi, una quota della produzione solare potrebbe derivare dalle installazioni integrate sugli edifici. Secondo uno studio della Iea, il potenziale teorico delle superfici del parco edilizio utilizzabili per il solare in Italia supererebbe i 1.000 km2, corrispondenti ad una produzione di oltre 120 TWh/a. Passando poi al contesto internazionale, vale la pena citare i risultati di uno studio commissionato dal Ministero dell’Ambiente tedesco, Trans-Mediterranean Interconnection for Concentrating Solar Power. A partire dal 2020 potrebbero essere trasferiti in Europa attraverso cavi ad alta tensione a corrente continua 60 TWh/a di elettricità solare per arrivare a 700 TWh/a nel 2050. Analogamente, dai Balcani potrebbero attivarsi importazioni rilevanti di energia idroelettrica o eolica. Dunque, nel periodo nel quale la produzione nucleare potrebbe dare il suo contributo in Italia, cioè nei decenni successivi al 2020, esistono serie possibilità di apporti solari di analoga o superiore entità. Naturalmente andrebbe affrontato l’aspetto economico delle diverse scelte. E questo è un altro tassello interessante della disfida tra nucleare e rinnovabili che affronteremo in un prossimo commento. (QualEnergia.it)
Energia nucleare «usa e getta» E
ntro il 2030 la domanda di energia a livello globale crescerà, secondo alcuni proiezioni, del 50% e questo aumento sarà dovuto per circa il 70% alla richiesta dei paesi in via di sviluppo. Una sfida energetica per cui l’amministrazione Bush ha una soluzione pronta: nucleare per tutti. Questo il senso, segnala il New Scientist in un articolo sull’argomento, dei 20 milioni di dollari messi in bilancio dalla Casa Bianca per il 2009 per la produzione di reattori nucleari di piccole dimensioni da esportare ai paesi in via di sviluppo. Lo stanziamento è il primo atto concreto nell’ambito Global Nuclear Energy Program (GNEP), il programma internazionale lanciato dalla Casa Bianca nel febbraio 2006 cui hanno aderito finora 21 paesi, tra cui anche l’Italia. Una partnership internazionale per la ricerca sul nucleare di ultima generazione che si pone l’obiettivo di diffondere l’energia dall’atomo ai paesi in via di sviluppo, condividendo il knowhow, ma riservando, per motivi di sicurezza, la fornitura del combustibile e le operazioni di riprocessamento ai paesi che già sono leader nel campo. Obiettivo del GNEP è costruire il primo reattore in un paese, che al momento non dispone di energia nucleare, già nel 2015. I paesi che accetteranno le nuove centrali dovranno impegnarsi a utilizzare il nucleare solo per scopi civili e rinunciare ad approvvigionarsi di uranio per conto proprio o a riprocessare il combustibile una volta esausto. Una manciata di nazioni tra cui Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Giappone e Australia riciclerebbero così il combustibile usato negli altri paesi avvalendosi di tecnologie che minimizzerebbero la produzione di sottoprodotti come il plutonio e, dunque, il rischio di proliferazione di armi atomiche. Tecnologie che però, sottolinea uno studio dell’US National Academy of Sciences per ora sono tutt’altro che sperimentate. I reattori da realizzare nell’ambito del GNEP, di piccole dimensioni (250-500 megawatt contro i 1.400 dell’ultimo costruito negli USA), sarebbero una sorta di modello “usa e getta”: verrebbero infatti forniti con il combustibile sufficiente all’intero ciclo di vita dell’impianto già sigillato al loro interno. Il programma non ha mancato di suscitare critiche, come quelle del Centre for Nonproliferation Studies di Monterrey in California: “Al momento non ci sono reattori a prova di proliferazione”, spiega Elena Sokova, ricercatrice del centro studi internazionale e, inoltre, sottolinea: “il combustibile esausto dovrebbe essere stoccato sul posto per diversi anni prima che il livello di radioattività si abbassi a sufficienza perché sia possibile trasportarlo”. Secondo la Sokova i progetti del GNEP caricherebbero i paesi in via di sviluppo di responsabilità che non sono in grado di affrontare: “Molti paesi non sono pronti in termini
di personale qualificato, manutenzione e misure di sicurezza contro eventuali attacchi terroristici. Penso che si debba procedere con cautela e valutare prima se esistano veramente ragioni valide per esportare questa tecnologia.” Poche garanzie ci sono inoltre - continua la ricercatrice - sul fatto che i paesi neonuclearizzati sopportino il fatto di dover dipendere da altre nazioni per l’approvvigionamento di combustibile e non pensino di fare in proprio il riprocessamento; un aspetto che renderebbe loro possibile anche ricavare il plutonio con cui costruire armi atomiche. Un programma dunque, quello voluto dagli Stati Uniti con il GNEP, che dovrebbe essere valutato tenendo conto, oltre che degli ingenti costi intrinseci al nucleare, anche delle possibili ricadute in termini di sicurezza internazionale. Valutazione, quella sulla sicurezza, che la Casa Bianca ha sempre dichiarato essere prioritaria nelle sue scelte. (QualEnergia.it)
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Raccolta differenziata: il Trentino Alto Adige primo in Italia È
il Trentino Alto Adige la regione italiana che registra la maggiore percentuale di differenziata (49,1%), seguita a ruota da Veneto (48,7%), Lombardia (43,6%) e Piemonte (40,8%). Lo conferma il rapporto 2007 dell’APAT, l’agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici che oggi ha reso noti i dati 2006 relativi alla produzione ed alla gestione dei rifiuti nelle diverse amministrazioni italiane. Separando i dati tra le due province autonome, quella di Trento e quella di Bolzano, risulta che la raccolta differenziata in Trentino è pari al 51,4% mentre in Alto Adige il valore si attesta attorno al 46,3%.
E per il 2007 la percentuale di differenziata è ulteriormente in crescita (58,4%)
Le graduatorie sono state elaborate sulla base delle rilevazioni del 2006 ma dai dati in possesso agli uffici provinciali risulta che il trend positivo si sta ulteriormente consolidando: nel 2007 infatti la percentuale di raccolta differenziata raggiunge il 58,4% annuo. “Si tratta di un risultato per il quale non possiamo che esprimere soddisfazione – ha commentato il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai – e che conferma la bontà della linea seguita negli ultimi anni dall’amministrazione provinciale ma anche dai Comuni trentini”. Per Dellai quindi quanto evidenziato dal rapporto dà un ulteriore significato al piano provinciale per la gestione dei rifiuti che come noto prevede un forte impegno per la riduzione dei rifiuti, l’incremento della raccolta differenziata ed il trattamento mediante termovalorizzatore di quanto non differenziabile. “Questi dati – ha concluso il presidente Dellai – dimostrano
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inoltre come sia possibile ottenere ottimi risultati se all’impegno delle istituzioni si affianca quello importantissimo di ogni singolo cittadino”. Soddisfazione anche da parte dell’assessore provinciale all’ambiente, Mauro Gilmozzi: “Cambiare i nostri stili di vita – ha detto – è possibile solo se ciascuno fa la propria parte e questo è importante ancora di più se la posta in gioco è la qualità dell’ambiente e quindi della vita. Va da sé che questi risultati rappresentano non un punto di arrivo, ma uno stimolo per fare ancora meglio, completando quindi l’iter del piano rifiuti ma anche estendendo questo metodo ad altri importanti “cicli” come quelli dell’aria e dell’acqua”. Sul fronte nazionale, da parte sua il ministero ha giudicato nel complesso positiva la diffusione della raccolta differenziata, tuttavia ancora lontana dall’obiettivo del 40%, da raggiungersi entro il 31 dicembre 2007 e introdotto dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296. A livello nazionale, infatti, la raccolta differenziata registra una percentuale del 25,8% della produzione totale dei rifiuti urbani, contro il 24,2% rilevato nel 2005. In valore assoluto, la crescita del settore è quantificabile in 700 mila tonnellate, grazie soprattutto al contributo del nord Italia (circa 447 mila tonnellate, pari all’ 8,3%), in cui la raccolta differenziata è ben sviluppata già da anni. Si rileva, tuttora, un sensibile divario tra le diverse macroaree geografiche; infatti, mentre il Nord, con un tasso di raccolta pari al 40% raggiunge, con un anno di anticipo, l’obiettivo del 2007, il Centro ed il Sud, con percentuali rispettivamente pari al 20% ed al 10,2%, risultano ancora decisamente lontani da tale obiettivo. Va comunque rilevato il forte incremento del Sud (+19%). Come detto, il Trentino Alto Adige risulta essere la regione con una maggiore percentuale di differenziata (49,1%), seguita a ruota da Veneto (48,7%), Lombardia (43,6%) e Piemonte (40,8%). Fanalini di coda il Molise, con una percentuale di raccolta del 5%, la Sicilia (6,6%) e la Basilicata (7,8%). Intorno all’11% si colloca, invece, il Lazio: solo le province di Roma e Latina, tuttavia, si attestano al di sopra del 10% (12,5% e 10,5% rispettivamente), mentre decisamente più bassa è la raccolta differenziata nelle province di Viterbo (7,7%), Rieti (4,5%) e Frosinone (4,3%). Il Trentino Alto Adige vanta un buon risultato (siamo al secondo posto dopo la Sardegna) anche per quanto riguarda l’incremento delle attività di raccolta differenziata (+ 5%). Dopo di noi, il Piemonte (+ 3,6%) e l’Umbria (+3,1%). Ufficio stampa Provincia Autonoma di Trento
L’impegno del Comune di Padova per il risparmio energetico Breve intervista all’assessore all’Ambiente Francesco Bicciato
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ssessore Bicciato, il Comune di Padova sta promuovendo nuove azioni in ambito energetico che proseguono, in un certo senso, il percorso avviato con il piano di risparmio ed efficienza che l’amministrazione ha lanciato già nel 2005. Quali sono le iniziative in corso e quelle in programma? Era negli obiettivi iniziali della politica energetica del Comune di Padova la priorità della riduzione della spesa energetica. Come naturale evoluzione, il piano di risparmio energetico è stato conseguentemente esteso alla produzione di energia rinnovabile. Oltre agli interventi già in opera, quali ad esempio la copertura fotovoltaica del parcheggio scambiatore della Guizza, nei prossimi 6 mesi saranno messe a disposizione aree capaci di ospitare impianti fotovoltaici da 6-7 MW. Prima tra queste sarà la discarica di Ponte S.Nicolò che verrà coperta di pannelli fotovoltaici per una potenza totale che, secondo il progetto iniziale, sarà di 1.2 MW, ma è già previsto che si arriverà a 3 MW. Attualmente stiamo facendo le riunioni operative con l’ente di bacino proprietario dell’area per impostare la gara che ci consentirà di scegliere l’impresa che realizzerà l’opera. Novità importanti, dunque, che dimostrano che le pubbliche amministrazioni possono intervenire a vari livelli, non solo per ottimizzare l’impiego dell’energia, ma anche per produrne esse stesse di pulita
È un momento importante perché crea un precedente dimostrando che le aree degradate potranno essere utilmente impiegate attraverso l’utilizzo del fotovoltaico. Abbiamo in programma altre due aree da destinare a questo scopo. Una è un’altra discarica, la seconda è un’area di funzione pubblica, che per il momento è ancora prematuro citare, che ospiterà una superficie che si presta alla produzione di energia. Altre iniziative in programma all’insegna di risparmio ed efficienza energetici? Il Comune ha commissionato un’analisi, una diagnosi sull’energia consumata dal tram per poter accedere a contratti speciali di energia verde, vale a dire prodotta da fonti rinnovabili, che si possono stipulare con il Ministero e con l’ENEL. Far andare il tram ad energia pulita significa abbattere ulteriormente le emissioni di CO2, ridurre il ricorso a risorse fossili e risparmiare dal punto di vista economico sulla bolletta elettrica del comune. È infatti possibile stipulare dei contratti sul mercato elettrico che possono garantire, su grandi volumi di energia consumata, un costo inferiore rispetto all’energia da fonti tradizionali. Questa azione mira anche ad avere un valore simbolico importante di sensibilizzazione della cittadinanza. E per quanto riguarda l’edilizia privata? Oltre ad aver effettuato un censimento aggiornato degli immobili pubblici e privati del territorio comunale ancora alimentati a gasolio, abbiamo attivato in ogni quartiere di Padova, in collaborazione con Legambiente, gli sportelli energetici al fine di raggiungere i privati con le informazioni sul risparmio energetico e sull’uso delle rinnovabili. Inoltre, qualche settimana fa è stato fatto un incontro con gli amministratori di condominio che hanno manifestato la loro intenzione di intervenire attivamente sulla questione del risparmio e della sostenibilità con la conversione delle caldaie da gasolio a metano e con interventi mirati di contenimento della spesa energetica. Gli amministratori sono inclini a valutare l’opportunità di sistemi rinnovabili, anche se sono un po’ scettici, soprattutto per quanto riguarda i condomini, sull’opportunità di installare pannelli fotovoltaici per la mancanza di superfici adeguate al fabbisogno degli inquilini.
L’assessore all’Ambiente del Comune di Padova Francesco Bicciato
IL GIORNALE DELL’ENERGIA VII
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Idrogeno da fotovoltaico in Trentino A Isera, al via il «Progetto Idrogeno» con il contributo dalla Provincia Autonoma di Trento.
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Carrello fotovoltaico: 1060 Wp, costituito da 10 pannelli
n Trentino il tema della tutela ambientale è particolarmente sentito e ciascun cittadino è chiamato alla cura del territorio a partire dalla raccolta differenziata fino all’investimento diretto in energie rinnovabili. La Provincia Autonoma di Trento (PAT), incentiva il solare termico e il fotovoltaico, punta sui contributi per l’acquisto di veicoli a basso impatto ambientale e per la modifica dell’alimentazione con carburanti meno inquinanti. Le amministrazioni locali a loro volta investono e/o incentivano grossi progetti: a Trento Nord, grazie alla collaborazione tra l’Agenzia provinciale per l’Energia (APE), l’Università, le amministrazioni e la società Interbrennero S.p.A. è stato installato un campo eolico sperimentale, mentre ad Isera l’Assessorato all’Energia ha finanziato un impianto ad idrogeno dimostrativo, già collaudato dai vigili del fuoco, che sarà inaugurato entro breve a completamento dell’iter burocratico di collaudo.
VIII IL GIORNALE DELL’ENERGIA
Il Comune di Isera, che ha fortemente voluto che il “Progetto Idrogeno” prendesse il via, punta sul fotovoltaico da ormai dieci anni: ha illuminato zone difficilmente elettrificabili con lampioni fotovoltaici, coperto l’asilo comunale con un tetto di 48 kWp fotovoltaici e attivato importanti collaborazioni con Autostrada del Brennero S.p.A. per rivestire con pannelli FV (735 kWp) oltre un 1 km di barriere-antirumore sul tratto autostradale che transita sul proprio territorio. Il problema dell’impiego delle fonti rinnovabili però è che non sempre c’è sole, non sempre c’è vento o, per contro, l’energia idroelettrica prodotta nelle ore notturne spesso va buttata perché non è richiesta dall’utenza. In questo contesto diviene di fondamentale importanza inserire, nel ciclo virtuoso dell’impiego dell’energia rinnovabile, un vettore di energia che consenta di immagazzinare l’energia quando c’è, o quando è in esubero, per portarla dove non c’è e impiegarla quando serve. Ecco che l’idrogeno diviene il mezzo per aumentare l’efficienza energetica di sistemi che non consentono di produrre energia a comando e in ogni luogo. I finanziamenti PAT hanno consentito di concretizzare questa idea ad Isera. Otto degli undici “PV Lander”, generatori mobili di energia già in possesso del Comune, per un totale di 8,5 kWp di fotovoltaico, sono stati connessi in rete e a un impianto di elettrolisi. Quest’ultimo è in grado di produrre fino a 6Nm3/ giorno di H2 sfruttando la corrente in uscita dai pannelli, che vengono immagazzinati in un sistema di serbatoi, situati in apposito locale, che possono contenere 75 Nm3 di H2 alla pressione di 35 bar. Questo idrogeno può venir sfruttato in qualsiasi momento da due diverse celle a combustibile. Questi dispositivi consentono di produrre energia elettrica e acqua calda a partire da H2 ed O2, il processo che avviene al loro interno è esattamente contrario a quello che si ha nell’elettrolizzatore: quando si scinde l’acqua (H2O) in H2 ed O2 è necessario fornire corrente, se si inverte il processo ovviamente si produce corrente e acqua. Le celle a combustibile, o fuel cell, sono di 5 tipi a seconda dell’elettrolita utilizzato. Quattro tipi sono impiegati in applicazioni industriali, uno per missioni spaziali (gli shuttle non montano motori diesel ma “motori a H2”). Sulle automobili vengono montate celle PEM. Una di queste celle è montata all’impianto di Isera (5 kW), insieme a una seconda cella di tipo AFC (2,4 kW). L’impianto è infatti concepito come sito sperimentale e l’obiettivo è testare le differenti prestazioni
dei due generatori. Questi sono connessi ad un carico di lampade alogene e per il momento non viene fatta una gestione del calore sviluppato dalle celle: l’acqua calda in uscita da una PEM è a circa 70 °C. L’impianto monta anche un generatore di H2 a sodioboroidruro NaBH4, che vuole fungere da gruppo di continuità, nel caso in cui non fosse disponibile corrente dai pannelli e nemmeno H2 nei serbatoi. Il NaBH4 è un idruro metallico irreversibile, che reagisce spontaneamente con l’acqua per liberare 2.37 l di H2 (gas STP) per 37.8 g di composto (la reazione sviluppa calore). A pH elevato la reazione non avviene, quindi sciogliendo NaBH4 in una soluzione di H2O e NaOH, si ha a tutti gli effetti un sistema per immagazzinare e trasportare in tutta sicurezza l’H2. Quando si vuole produrre il gas si immerge un catalizzatore in soluzione e la reazione parte producendo il gas necessario. L’impianto è situato in un ex-acquedotto, è suddiviso in tre locali: un locale quadri dove pilotare il sistema in completa sicu-
rezza, un locale di immagazzinamento con pareti spesse 100 cm e sistemi di sicurezza avanzati e un locale macchine dove si hanno elettrolizzatore, fuel cells, generatore NaBH4 e lampade. Il tutto immerso nel verde delle Colline della Vallagarina. Il progetto prevede ampliamenti per il futuro: si vuole ingrandire la pannellatura FV, aggiungere un concentratore solare in fase di sperimentazione presso l’Università di Trento (Dipartimento di Fisica) che collabora fortemente all’iniziativa, aggiungere dei sistemi di immagazzinamento ad idruri metallici solidi e magari trasformare il sistema da prototipo sperimentale ad unità di produzione di gas tecnici. Barbara Patton
A sinistra, pannelli distribuzione gas (idrogeno e azoto). Sotto, alimentazione di idrogeno da generatore con sodio-boro-idruro collegato on-line: carico alimentato 4000 VA
Film sottili, quasi al passo con il pv tradizionale
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n termini di efficienza energetica la differenza tra la tecnologia fotovoltaica tradizionale, che utilizza come semiconduttore il silicio policristallino, e gli innovativi film sottili noti come CIGS misura ormai solo pochi decimi. Pare, infatti, che migliorando la qualità del materiale applicato durante il processo produttivo i ricercatori del National Renewable Energy Laborator (NREL) siano riusciti a perfezionare la tecnologia delle celle a film sottile composte da rame, indio, gallio e selenio (CIGS è l'acronimo inglese) portandola ad un'efficienza del 19,9%. Un traguardo particolarmente importante che rende il CIGS competitivo con le celle a base di silicio caratterizzate da rese del 20,3%. Risolta la questione dell'efficienza nella conversione della radiazione solare in energia elettrica, gli altri vantaggi che contraddistinguono questa tecnologia si fanno ancora più interessanti. Essendo costituite da strati estremamente sottili di materiale semiconduttore le celle CIGS sono caratterizzate da un processo produttivo meno energivoro e più economico rispetto ai sistemi tradizionali. I film vengono poi applicati a supporti dai costi contenuti quali vetro, lamine metalliche flessibili, polimeri o fogli di acciaio inossidabile. Per il loro modesto peso i film sottili si adattano, inoltre, alle più disparate applicazioni: apparecchi spaziali, dispositivi elettronici portatili, insegne e soluzioni per l'architettura quali tegole fotovoltaiche, finestre, facciate, pensiline e altro. Infine, una caratteristica particolare riguarda la loro capacità di autoripararsi grazie alla naturale tendenza degli atomi di rame contenuti nella lega di diffondersi nelle aree danneggiate ricostruendo la struttura cristallina. Le celle CIGS potrebbero funzionare anche con un buco grande come un proiettile! Fonte: NREL
IL GIORNALE DELL’ENERGIA IX
SPAZIO ENERGIA
Occupazione eolica in Europa S
ono circa 150.000 i posti di lavoro creati dall’eolico in Europa, ma protrebbero più che raddoppiare entro il 2020. Gli scenari al 2020 e al 2030 tracciati dall’EWEA in un nuovo documento: 180 GW al 2020 sono possibili. Oggi in Europa sono circa 150.000 i posti di lavoro qualificati creati dall’eolico. Il dato è emerso nel corso dalla terza giornata dell’EWEC 2008, la European Wind Energy Conference. L’EWEA (European Wind Energy Association) ha voluto ricordare che il settore dell’eolico impiega migliaia di persone soprattutto in Germania, Danimarca e Spagna, “paesi pionieri nell’eolico” dove questa fonte rinnovabile ha dato anche un significativo impulso alle economie locali. In Spagna, grazie allo sviluppo della tecnologia eolica sono stati creati 35.000 posti di lavoro, in Germania sono circa 80.000, di cui 28.000 direttamente impiegati nel comparto industriale. In Danimarca gli addetti all’eolico sono 21.600. Secondo la ricerca Mitre (Monitoring and modelling initiative on the targets for renewable energy) realizzata dall’Unione europea, i posti di lavoro creati nel set-
X IL GIORNALE DELL’ENERGIA
tore nell’ambito continentale potrebbero più che raddoppiare entro 2020, arrivando a un totale di 368.000. Sempre nell’ambito della conferenza europea sull’eolico è stato presentato il rapporto, di 60 pagine, dal titolo “Pure Power: wind energy scenarios up to 2030” (pdf) nel corso dell’EWEC 2008 che disegna vari scenari di sviluppo della tecnologia fino alla fine del secondo decennio di questo secolo. In particolare vengono analizzate le strategie per portare l’attuale domanda di energia elettrica dell’UE coperta dall’eolico (3,7%) fino alla quota del 12% entro il 2020. Secondo EWEA, che ha curato il documento, l’obiettivo non solo è fattibile, ma anche superabile. Nel solo 2007 la potenza eolica è cresciuta di 8,5 GW e affinché si possa arrivare ai 180 GW in grado di soddisfare il 12-14% della domanda elettrica europea al 2020, si dovranno installare in media ogni anno, e per i prossimi 13 anni, circa 9,5 GW. Gran parte di questi nuovi impianti saranno offshore. Infatti, secondo “Pure Power”, una potenza eolica di 180 GW di eolico produrrebbe 477 TWh/anno e di questi ben 133 TWh verrebbero prodotti da impianti eolici offshore.
Boom di frigoriferi efficienti N
el 2007 stati venduti in Italia quasi mezzo milione di frigoriferi di classe A+. Intanto anche per le Regioni si stanno definendo gli obiettivi minimi di risparmio energetico per raggiungere gli obiettivi europei. L’editoriale di Gianni Silvestrini. Risultato superiore alle aspettative dell’incentivo (detrazioni fiscali fino a 200 €) per i frigoriferi superefficienti previsto dalla legge Finanziaria. Nel 2007 si è infatti registrato un deciso spostamento degli 1,72 milioni di frigoriferi venduti verso la fascia a basso consumo. In particolare, sono stati acquistati ben 490.000 frigoriferi di classe A+, pari al 28% del totale delle vendite. Un incremento del 172% rispetto al 2006 quando questi modelli coprivano solo l’11% del mercato. Un vantaggio per le tasche dei cittadini, per le imprese produttrici, per il paese e per l’ambiente. Il cambiamento del mercato registrato nel 2007 comporterà, infatti, risparmi elettrici nel corso della vita dei frigoriferi pari a mezzo miliardo di kWh e una minore emissione di 250.000 tonnellate di anidride carbonica. Un bell’esempio di norma virtuosa in grado di sollecitare comportamenti ecosostenibili e di favorire continui miglioramenti tecnologici. Ma già si affaccia un nuovo strumento di politica sull’efficienza energetica. La scorsa settimana è stato infatti approvato dal Consiglio dei Ministri in pri-
ma lettura il decreto di recepimento della direttiva 2006/32/CE concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici. Tra le diverse proposte, di particolare rilevanza la norma che prevede che entro 180 giorni venga stabilita la ripartizione fra le Regioni degli obiettivi minimi di risparmio energetico necessari per raggiungere gli obiettivi di risparmio al 2016 e al 2020 previsti in sede europea. Si tratta di un segnale forte che rafforza quello approvato dall’ultima legge Finanziaria volto a identificare una ripartizione degli obiettivi di energia verde su base regionale. Emerge cioè sempre più chiaramente un processo di responsabilizzazione delle Regioni a fronte di impegni sempre più ambiziosi che il nostro paese deve soddisfare sul fronte delle fonti rinnovabili, del risparmio di energia e di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. D’ora in poi i Piani energetico-ambientali delle Regioni (che ovviamente andranno rivisti alla luce dei nuovi obbiettivi) dovranno divenire strumenti molto più mirati ai risultati reali da raggiungere. Le sanzioni sono infatti dietro l’angolo. E così pure ci saranno riconoscimenti e vantaggi economici per le istituzioni che sapranno attivarsi in maniera virtuosa cogliendo le opportunità che il nuovo quadro offre. (QualEnergia.it)
Alla centrale di Fies l’ottava «Giornata delle aree protette»
È
stata la Centrale idroelettrica di Fies, lo scorso 2 aprile, il cuore della Giornata delle aree protette. L’iniziativa, giunta alla sua ottava edizione, ha lo scopo di far incontrare operatori e collaboratori dei Servizi provinciali ed enti che si occupano di conservazione della natura e che, proprio in occasione della Giornata delle aree protette, hanno l’opportunità di confrontarsi e riflettere insieme sulle proprie esperienze e sulle prospettive del settore e del loro lavoro. Come nelle passate edizioni, anche quest’anno hanno partecipato i due enti parco provinciali, il Parco Naturale Adamello Brenta e il Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, oltre ai rappresentanti del settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio e, naturalmente, del Servizio Conservazione della natura e Valorizzazione ambientale della Provincia autonoma, nato un anno fa dall’unione di Servizio Parchi e Servizio Ripristino. La scelta della centrale di Fies, affascinante edificio ormai trasformato dalla produzione di energia idroelettrica a quella di energie intellettuali e d’avanguardia, è presto spiegata: siamo, infatti, nelle vicinanze dell’interessantissimo biotopo delle Marocche e davanti all’edificio, probabilmente già l’anno prossimo, sarà realizzato un tratto della bellissima pista ciclabile della Valle dei Laghi. Nella prima parte della manifestazione sono state presentate alcune relazioni tecniche. Sono seguiti due interventi sulle novità normative introdotte dalla nuova legge provinciale sulle aree protette (L.P. 11 del maggio 2007) e sul Piano di gestione della Riserva delle Marocche. La Giornata delle Aree protette si è conclusa con una breve escursione lungo il percorso che collega i punti salienti sotto il profilo naturalistico e morfologico di questo importante biotopo provinciale e con la visita alla mostra “Della Natura” di Giovanni Segantini ospitata presso la galleria Civica di Arco.
IL GIORNALE DELL’ENERGIA XI
SPAZIO ENERGIA
Cambiare modo di cambiare aria
Come mutano i fabbisogni energetici di climatizzazione
Criticità della ventilazione negli ambienti e possibili contromisure Effetti del nuovo quadro normativo A distanza di oltre un anno dall’entrata in vigore del nuovo quadro normativo in materia di utilizzo razionale dell’energia negli edifici, benché ancora in attesa di regolamenti attuativi e di chiarimenti vari, si possono cogliere alcuni elementi già consolidati che andranno ad interessare sia gli edifici nuovi che quelli oggetto di radicale ristrutturazione. Questi aspetti sono sostanzialmente riconducibili alle incrementate performance dell’involucro edilizio, che, secondo una progressione modulata nel tempo, saranno soggetti a limiti prestazionali e a vincoli prescrittivi orientati ad efficienze energetiche crescenti e ben superiori a quelle cui eravamo abituati in precedenza. L’efficace lotta ingaggiata contro le trasmissioni attraverso l’involucro disperdente risulterà decisiva nel periodo invernale (in cui di norma esse rappresentano la componente di maggior rilievo), mentre l’esercizio estivo risulterà sempre più sensibile alla radiazione solare (da controllare con opportune schermature, possibilmente
selettive in ragione dell’incidenza stagionale del sole) ed agli apporti interni (carichi elettrici, affollamento…), che diverranno fatalmente sempre più cruciali nel bilancio energetico dell’edificio. In proposito è appena il caso di osservare che la densità di affollamento, tanto nell’edilizia abitativa, che soprattutto nel terziario, è in continua crescita, con spazi per persona in costante diminuzione, e al contrario con dotazioni elettriche in crescita (nonostante la lodevole affermazione di apparecchi a basso consumo); parimenti è destinato a persistere, soprattutto nel terziario, il frequente ricorso architettonico ad ampie superfici trasparenti, fortunatamente accompagnate dall’affermazione di vetri bassoemissivi e/o a controllo solare.
XII IL GIORNALE DELL’ENERGIA
Ne deriva che la criticità nella climatizzazione si sposterà progressivamente dal riscaldamento al raffrescamento, non senza la complicità di una attesa/pretesa di standard ambientali interni sempre più esigenti, specie sul posto di lavoro, laddove un migliore livello di comfort si traduce in incremento di produttività. I singoli ambienti si troveranno poi esposti a carichi variabili in ragione degli apporti interni, nonchè delle condizioni di occupazione dei locali circostanti; questo aspetto renderà sempre più importanti regolazioni per singolo locale, mentre quelle di tipo collettivo – basate tipicamente su algoritmi climatici – finiranno col risultare insufficienti e da integrare con controlli terminali. Ventilazione e fabbisogno energetico Un’ultima ma non meno rilevante conseguenza è legata al ruolo che la ventilazione è destinata a rivestire nel bilancio energetico degli edifici futuri. Ciò dipende non solo dal maggior affollamento degli edifici, ma anche dai crescenti standard di comfort ambientali sopra richiamati, che vanno ad interessare inevitabilmente la qualità dell’aria, imponendo ricambi forzati, energeticamente rilevanti (a questi specifici aspetti si era fatto riferimento in un contributo su Petrolvilla News del dicembre 2005). Se nell’edilizia abitativa i livelli relativamente ridotti di affollamento rendono la ventilazione naturale ampiamente sufficiente a garantire condizioni di benessere, lo stesso non può dirsi per il settore terziario, dal comparto commerciale a quello scolastico, al pubblico spettacolo, agli uffici…; per non parlare del settore ospedaliero, in cui il controllo della ventilazione quasi rientra nel “processo” terapeutico, assicurando sterilità e prevenendo contaminazione. Il problema presenta una rilevanza quantitativa da non sottovalutare; si può tentare di mettere a fuoco la questione con un breve calcolo: nel terziario le densità di affollamento possono variare all’incirca da 1 persona ogni 10 mq (0,1 pers/mq) ad 1 ogni 2 mq (0,5 pers/mq), rispettivamente considerando usi uffici o scolastico (nb: nella prevenzione incendi la soglia che discrimina i “luoghi affollati” è fissata convenzionalmente in 1 persona ogni 2,5 mq, pari a 0,4 pers/mq); assumendo la portata d’aria richiesta dal benessere di una persona mediamente in 30 mc/h, per edifici con un’altezza convenzionale di 3 m, si ottengono portate di ventilazione corrispondenti ad un range di 1 – 5 rinnovi orari, destinati a modeste riduzioni se ponderati con ambienti di transito e servizio ad occupazione occasionale. Questi risultati si traducono in carichi e fabbisogni energetici di grande rilievo, tanto più se valutati con i criteri attualmente in uso per il calcolo del fabbisogno di energia primaria – il descrittore di prestazioni EPi - che, sia a livello nazionale che locale (p. es. Provincie Autonome di
Trento e di Bolzano), considerano i sistemi di ventilazione funzionanti per tutta l’estensione del periodo di climatizzazione (per il momento solo invernale). Ventilazione: uno sguardo ai numeri In tale ipotesi - realistica per l’edilizia ospedaliera o alberghiera, penalizzante per settori ad utilizzo discontinuo quali il commerciale, scolastico, ecc. – per una località nord-italiana (2500 gradi giorno), il fabbisogno energetico di ventilazione è rappresentato dal seguente diagramma in funzione dell’efficienza del recupero termico: esso cresce in funzione proporzionale diretta all’affollamento ed inversa all’efficienza di recupero. E’ evidente il ruolo che viene a ricoprire in proposito il recupero energetico, ovvero la capacità di trasferire una quota del calore dell’aria espulsa a quella di rinnovo. La consuetudine porta ad esprimere tale grandezza quale frazione del calore sensibile effettivamente recuperata, rispetto al caso ideale; questo, ipotizzando il trasferimento di tutto il calore da una corrente all’altra (ciascun fluido esce dal recupero alla temperatura di ingresso dell’altro), presuppone uno scambio controcorrente di superficie infinita. Volendo realizzare un edificio da 50 kWh/mq annuo (che può rappresentare un buono standard di riferimento per l’edilizia pubblica e privata), già in presenza di 2 rinnovi orari e di un’efficienza del 50% (come prescritto già dalla LN 10/1 e dalla “vecchia” 373/76), la ventilazione da sola assorbe tutta l’energia primaria disponibile per accedere a tale livello di classificazione: a conti fatti nelle condizioni ipotizzate, un impianto di ventilazione forzata a servizio di un edificio di efficienza energetica “media” finirà col richiedere efficienze di recupero nell’ordine dell’80 - 90%. Recupero statico ed attivo Queste prestazioni non risultano oggi facilmente raggiungibili con sistemi di recupero statico, ovvero basati sulla naturale migrazione del calore dal fluido più caldo a quello più freddo. Può risultare in proposito appropriato e vincente l’abbinamento di un sistema di recupero statico ad uno di tipo attivo, fondato cioè su una pompa di calore: un ciclo frigorifero reversibile provvede a trasferire il calore invernale (estivo) dall’evaporatore (condensatore) posto sull’aria espulsa, al condensatore (evaporatore) posto sull’aria di rinnovo, con COP di tutto rispetto per la durata di tutto l’anno. Recupero sensibile e latente La consuetudine vuole poi che, quando si parla di efficienza di recupero, la stessa venga riferita alla sola quota sensibile, senza considerare quella latente, come noto legata al contenuto energetico sotto forma di umidità: l’umidificazione invernale (e la deumidificazione estiva) richiede l’apporto (rispettivamente, l’asporto) di calore corrispondente all’evaporazione (risp. condensazione) di un’opportuna quota di acqua (vapore), per mantenere l’umidità ambientale in un campo di benessere. Va in proposito precisato che, mentre il nostro organismo è molto sensibile a variazioni di temperatura anche ridotte,
lo è molto meno a quelle di umidità. Pertanto, prescrizioni con range di variazione di umidità molto stretti, laddove non imposte da esigenze tecnologiche specifiche (laboratori, processi industriali, sale operatorie…), risultano ingiustificate sul piano energetico e tali da comportare trattamenti d’aria energivori, quali ad esempio i processi di postriscaldamento. Al contrario si sta consolidando l’accettazione di una di ventilazione primaria estiva senza postriscaldamento, con temperatura inferiore a quella ambientale e quindi con una capacità di contribuire al raffrescamento degli ambienti, coadiuvando i terminali di climatizzazione e togliendo loro una parte del carico da smaltire. Tuttavia anche tecnologie di recupero energetico che prospettino il recupero delle frazioni sia sensibile che latente (il cosiddetto recupero entalpico) vanno considerate con la dovuta cautela, per i pericoli di contaminazione connessi al trasferimento di umidità da una corrente all’altra; al contrario, scambi termici a superficie, che vedano cioè sempre una superficie di scambio (se non un fluido intermedio) frapposto fra le correnti, sono in grado di scongiurare in misura pressoché assoluta il pericolo di contaminazione. Recupero e freecooling Va inoltre tenuto presente che un recupero energetico statico particolarmente efficiente, utilissimo tanto nella stagione invernale (recupero di calore) che in quella estiva (recupero di freddo), può risultare dannoso nelle stagioni intermedie, laddove cioè un indesiderato riscaldamento dell’aria esterna abbia a pregiudicare una vantaggiosa forma di raffrescamento gratuito (il cosiddetto free-cooling). In tali casi il sistema di recupero è senz’altro opportuno possa essere inibito, neutralizzando la modalità di recupero (arresto del tamburo o del circolatore nel caso rispettivamente dei recuperatori rotativi o indiretti) o by-passando l’apparecchio, con un percorso parallelo dotato di serrande servoazionate.
Conclusioni Per quanto detto c’è motivo di pensare che nell’immediato futuro il mercato inizierà a premiare costruttori che risponderanno a questa specifica domanda con unità appropriate e basate su tecnologie avanzate: recuperatori statici a superficie di elevate prestazioni, organizzati in controcorrente, dotati di by-pass, integrati con recuperi da pompa di calore reversibile … Simili unità di trattamento dovranno altresì essere adeguatamente controllate da sistemi di regolazione automatica, che provvedano ad operare l’inserzione e la regolazione dei diversi componenti secondo algoritmi ottimizzati e collaudati ed in forma del tutto automatica. Questi accorgimenti potranno permettere di gestire in modo oculato una delle voci più pesanti dell’attuale - e soprattutto futuro - bilancio energetico degli edifici. Ing. Lorenzo Strauss - T.E.S.I. Engineering srl
IL GIORNALE DELL’ENERGIA XIII
SPAZIO ENERGIA
Biocarburanti della discordia A
umentano le critiche alla politica europea di definire obiettivi ambiziosi per i biocarburanti. Il presidente dell’IPCC Pachauri invita alla prudenza. Gordon Brown segue gli scienziati inglesi, scettici sui benefici ambientali ed energetici dei biocombustibili. Dal primo di aprile in tutti i paesi della Comunità europea benzina e diesel dovranno contenere almeno il 2,5% di biocarburante. Secondo gli obiettivi europei la quota dovrà essere del 5,75% nel 2010 per arrivare al 10% al 2020. Ma l’utilità effettiva dei carburanti derivati dalle piante nella lotta al riscaldamento globale è argomento controverso e diverse voci si sono levate a contestare la politica comunitaria in materia. L’obiettivo obbligatorio Ue sui biocarburanti è già stato criticato duramente non solo dalle Ong ambientaliste e da quelle, come Oxfam, che lavorano per i paesi in via di sviluppo, ma anche dalla Fao e dall’Ocse (che a settembre ha pubblicato un rapporto dal titolo Biofuels Cure Worse Than Disease? - Biocombustibili: un rimedio peggiore del male?). E nell’ultima settimana al coro delle critiche si sono aggiunte altre voci piuttosto importanti.
Rajendra Pachauri, presidente dell’ Ipcc (l’organismo scientifi- co internazionale che studia i cambiamenti climatici) e premio Nobel, mercoledì scorso, in una conferenza stampa al Parlamento europeo, ha invitato alla cautela “soprattutto per quanto riguarda le colture energetiche che hanno XIV IL GIORNALE DELL’ENERGIA
un impatto importante sulla produzione alimentare”. “Secondo me dobbiamo cercare altre soluzioni”, ha dichiarato Pachauri, che ha invitato ad avvalersi piuttosto dei biocombustibili di seconda generazione derivati dai residui agricoli e dalla gestione delle foreste su base sostenibile. Anche una tra le più grandi multinazionali alimentari, la Nestlè, ha preso negli scorsi giorni posizioni polemiche nei confronti della politica europea: l’amministratore delegato Peter Brabeck ha dichiarato al giornale svizzero NZZ am Sontag: “Se vogliamo sostituire il 20% dei bisogni crescenti in prodotti petroliferi con i biocarburanti non ci sarà più niente da mangiare”. Ma il dissenso più importante emerso nell’ultima settimana è quello del primo ministro inglese Gordon Brown. Il capo del governo britannico già nei mesi precedenti aveva manifestato dubbi, dichiarandosi preoccupato per gli effetti collaterali dei biocarburanti, quali deforestazione e perdita della sicurezza alimentare. A novembre aveva chiesto che venissero adottati al più presto degli standard di sostenibilità in materia e aveva dichiarato che la Gran Bretagna non avrebbe sostenuto un innalzamento degli obiettivi comunitari fino a che non questi standard non fossero adottati. Il governo inglese, che non può fare nulla contro la direttiva europea che scatterà ad aprile, secondo quanto riporta il Guardian, ora potrà decidere di opporsi all’obiettivo fissato per il 2020 ma non ancora divenuto legge . “Avvertiamo la necessità di raccogliere tutti i risultati delle ricerche. Alcuni biocarburanti vanno bene ma ci sono problemi seri con altri. C’è altro lavoro da fare”, ha dichiarato al giornale inglese una fonte governativa. Lo studio di cui si attende la pubblicazione è il rapporto sui biocorburanti del professor Ed Gallagher della Renewable Fuels Agency. Ma i maggiori consulenti scientifici del governo britannico hanno già espresso pubblicamente negli scorsi giorni il loro scetticismo verso i biocombustibili: John Beddington, consulente capo per il governo, ha dichiarato in un discorso pubblico che “esistono seri problemi di insostenibilità riguardo ai biocarburanti”. Bob Watson, consulente capo del Dipartimento per l’ambiente e l’agricoltura, e Dave King, che precedentemente ricopriva la stessa posizione, hanno sottolineato i rischi ambientali e sociali dei biocarburanti e hanno ribadito la necessità di introdurre una clausola che valuti la sostenibilità dei carburanti che verranno obbligatoriamente miscelati a diesel e benzina, facendo notare come diversi carburanti di origine vegetale abbiano impronte ecologiche assai differenti.
La Commissione europea replica agli scienziati inglesi, tramite il portavoce per le questioni energetiche Ferran Tarradellas, in un intervento sul Guardian, che “la nuova direttiva mirerà a promuovere solo biocarburanti sostenibili, cioè quelli che fanno risparmiare almeno il 35% in più di CO2 rispetto al petrolio che sarebbe consumato al loro posto” e che il provvedimento includerà misure per “prevenire usi deleteri dei suoli e la distruzione delle foreste pluviali”. Il presidente della commissione José Manuel Barroso, strenuo difensore dell’obiet-
tivo del 10% di biocarburanti nella benzina entro il 2020, a metà del mese scorso aveva rigettato fermamente le accuse mosse ai biocombustibili di esacerbare il problema della fame nel mondo. Ma altri membri della Commissione, come il Commissario all’ambiente Stavros Dimas, si sono dimostrati più preoccupati degli effetti negativi, sia sociali che ambientali, dei biocombustibili e altri paesi membri, come la Germania, hanno assunto posizioni critiche analoghe a quella del premier britannico Gordon Brown.
Record eolici spagnoli ed europei L o scorso 22 marzo alle ore 18 l’eolico spagnolo ha stabilito un nuovo record di copertura della domanda di elettricità: 40,8% con 9.862 MW in funzione. Intanto, l’eolico in Europa diventa la prima tecnologia energetica del 2007. In Spagna lo scorso sabato 22 marzo intorno alle ore 18 l’eolico ha stabilito un nuovo record di copertura della domanda di elettricità: 40,8% con 9.862 MW in funzione. Lo ha comunicato in una nota stampa l’associazione delle imprese eoliche spagnole (AEE) che ha anche segnalato che nel corso della settimana di Pasqua questa percentuale ha oscillato tra il 20 e il 35%. Questa circostanza è dovuta alla concomitanza fra forte vento e basso fabbisogno elettrico durante il fine settimana. Il dato è comunque molto rilevante perché dimostra che le argomentazioni sostenute spesso da molte compagnie elettriche, anche nostrane, sono errate. In particolare che: a) le nuove rinnovabili (eolico e solare) non possono che dare un contributo marginale; b) la rete elettrica non è in grado di assorbire un contributo importante delle fonti intermittenti e non programmabili (eolico e solare) superiore ad una percentuale piuttosto bassa (inizialmente si parlava del 10%), pena l’instabilità della rete e conseguente inaffidabilità di servizio. Un altro massimo storico per l’eolico spagnolo si era verificato lo scorso
martedì 4 marzo con 10.032 MW di potenza istantanea alle ore 15,53, che ha rappresentato il 28% della domanda elettrica del paese in quel momento. Lo stesso giorno si registrò il massimo di produzione eolica oraria con 9.803 MWh tra le 15 e le 16. Esattamente un anno fa il portale Qualenergia.it aveva riportato un evento record sempre in Spagna: il 20 marzo la produzione eolica in Spagna aveva toccato alle 17.40 un nuovo record di potenza istantanea, cioè 8.375 MW pari al 27% della domanda di quel momento, superando di gran
eoliche installate in Europa nel corso del 2007 e con 13 miliardi di euro di giro d’affari, la tecnologia eolica ha superato tutte le altre fonti (fossili e nucleare). In pratica, se consideriamo la nuova potenza annuale installata, l’eolico è diventato il primo settore energetico in Europa. Finora i maggiori incrementi di capacità si erano verificati nel settore delle centrali a gas metano, che nel 2007 hanno registrato un incremento di 8.226 MW. La potenza eolica di 56.535 MW oggi presente in Europa produce annual-
lunga tutte le altri fonti, compreso il nucleare. La maturità dell’energia eolica è evidenziata anche da un’altra notizia pubblicata in questi giorni da “IG Windkraft” Austria (secondo dati EWEA e Platts PowerVision): viene confermato che con 8.554 MW di nuove centrali
mente 119 miliardi di kWh di energia elettrica (un terzo del fabbisogno elettrico italiano) e contribuisce, in media, al 3,7% del fabbisogno elettrico Europeo (in Germania l’8%, in Spagna il 10% e in Danimarca il 20%). Si ringrazia per il contributo Alex Sorokin (Internergy srl)
IL GIORNALE DELL’ENERGIA XV
Trent’anni di esperienza nella fornitura di servizi e prodotti energetici per un futuro alternativo e sempre più attento all’ambiente
Commercio Prodotti petroliferi Oli vegetali
Fornitura gas metano Energia elettrica Impianti fotovoltaici
Gestione e manutenzione Impianti termici Servizi di risparmio energia
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