Una storia di fede e devozione

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Arciconfraternita Servi Di Maria SS. Addolorata in S. Francesco - Andria Una storia di fede e devozione


Sede dal 1887


Arciconfraternita Servi Di Maria SS. Addolorata in S. Francesco - Andria Una storia di fede e devozione 1824-2014


Pubblicazione promossa dal Consiglio di Priorato che ringrazia quanti hanno collaborato a vario titolo alla realizzazione.

Stampa: www.stampacom.it - Comunicando srl ET/ET Edizioni - Andria (BT) Finito di stampare: dicembre 2014 Š Tutti i diritti riservati all’Arciconfraternita Servi Maria SS. Addolorata - Andria Vietata la riproduzione Impaginazione: Marina Priori con la consulenza di Nunzia Terrone Foto di copertina: Patrizia Ricco


Anno della Fede 5 maggio 2013 Giornata dedicata alle Cnfraternite

[...] Non accontentatevi di una vita cristiana mediocre, ma la vostra appartenenza sia di stimolo, anzitutto per voi, ad amare di più Gesù Cristo”. [...] Voi avete una missione specifica e importante, tenere vivo il rapporto tra fede e le culture dei popoli di appartenenza! [...] Le vostre iniziative siano dei “ponti”, delle vie per portare a Cristo, per camminare con Lui. E in questo spirito siate sempre attenti alla carità. Ogni cristiano e ogni comunità è missionaria nella misura in cui porta e vive il Vangelo e testimonia l’amore di Dio verso tutti, specialmente verso chi si trova in difficoltà. Siate missionari dell’amore e della tenerezza di Dio!

Papa Francesco


foto: Luciano e Gianluca Albore


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Itroduzione

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e pagine di questa pubblicazione descrivono in molteplici aspetti la storia e la devozione di Maria Ss. Addolorata, a cui è intitolata l’Arciconfraternita, che ha fortemente desiderato lasciare traccia della ricchezza di un patrimonio di fede che si tramanda ormai da generazioni e che ancora “parla” agli uomini di questo tempo. Conformità alla Sacra Scrittura, ricchezza della tradizione e profondità della vita spirituale i tre elementi che Mons. Luigi Renna evidenzia come propri alla devozione alla Beata Vergine Addolorata. Lc 2,25-35 ci restituisce l’immagine di Maria partecipe della sofferenza e della missione di Gesù , come “pellegrina di fede”; in Gv 19,25-27 Maria, accanto al Cristo sul Golgota, è l’immagine della Chiesa ,il cui mistero è rivelato proprio ai piedi della croce. La devozione all’Addolorata diventa dunque un richiamo continuo per ogni cristiano alla sua vocazione alla santità ,ad una vita “virtuosa” e a vivere la comunione ecclesiale. Maria Antonietta Elia accompagna il lettore in un excursus attraverso la storia ed i segni di questa devozione, manifestazione di un sentire intimo e profondo. Quindi l’architetto Domenico Tangaro presenta un suo studio Storico-architettonico sulla costruzione dell’Oratorio dell’ Arciconfraternita, ipotizzando, dopo la lettura di fonti documentarie e bibliografiche, una relazione tra tale costruzione e l’opera dell’architetto Luigi Castellucci. Infine, una ricca lettura dell’iconografia mariana di Margherita Pasquale rivela la mirabile forza del linguaggio dell’arte, che sa da sempre comunicare ,a chi non rimane ad un livello superficiale ,la profondità dei contenuti teologici a cui si ispira. Al termine di questo percorso, si deve inevitabilmente concludere che la devozione alla Vergine Addolorata non è definitivamente consegnata alla storia passata ,ma vive ancora ed alimenta la fede della nostra comunità cristiana ,grazie anche alla presenza dell’Arciconfraternita Maria Ss.ma Addolorata che ad Andria ne ha mantenuto sempre vivo il culto, non rimanendo nell’angusto spazio del pio sodalizio ,ma integrandosi pienamene nella vita della comunità parrocchiale e diocesana.

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aldarone foto: Mirella C

nnuzzi

aso Ja m m o T te n o C e Prior

omo ’u ll e d ia r o st a L “ del tempo, i r a in b i su a in rapida camm passaggio o su l a o d n ia sc la i vita d e z n ia n o im st te emoria m a ll e n te a n io impress asmette�. tr le e a v r se n o c che le ietta Elia n to n A ia r a M


Associati alla Passione: con Maria per una esistenza di fede, carità e speranza Alla cara persona di Tommaso Jannuzzi di Mons. Luigi Renna Rettore del Pontificio Seminario Regionale di Molfetta

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a verità e la bontà di una devozione si misurano per la sua conformità alla Sacra Scrittura, per la ricchezza della sua tradizione, per la profondità della vita spirituale a cui richiama. Questi tre elementi sono tutti presenti nella devozione alla Beata Vergine Addolorata che è vissuta, curata e testimoniata dall’ omonima Arciconfraternita in Andria: su questi tre aspetti voglio soffermarmi con l’intento che i confratelli e le consorelle ne prendano coscienza e con la speranza che in un continuo rinnovamento, la devozione alla Vergine possa nutrire la fede degli uomini e delle donne del nostro tempo. Il significato teologico della devozione alla Vergine Addolorata è unito intrinsecamente al dato antropologico, e si esprime in un atteggiamento teologale: possiamo quindi affermare che tutti gli aspetti della vita di fede e della riflessione su di essa sono presenti nella contemplazione del dolore di Maria. Il senso teologico è dato dalla sua partecipazione al mistero di Cristo, nel momento del dolore così come in quello della gioia e della gloria. Il beato Paolo VI nella Marialis cultus al n.7 sottolinea che il senso della memoria dei dolori di Maria è proprio quello della partecipazione: “… si devono considerare soprattutto quelle celebrazioni che commemorano eventi salvifici, in cui la Vergine fu strettamente associata al Figlio, quali… la memoria della Vergine Addolorata (15 settembre), occasione propizia per rivivere un momento deci-

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sivo della storia della salvezza e per venerare la madre associata alla passione del Figlio e vicina a lui innalzato sulla croce”. L’essere socia e compartecipe della Passione fa di Maria l’emblema del dolore umano nel quale l’uomo si sente provato da Dio e al contempo si affida a Lui, cerca il senso del suo soffrire, attende la salvezza anche quando va incontro alla morte. Il dolore è esperienza di ogni uomo, profondamente universale e quindi antropologicamente rilevante, ed “attira” la pietà dei fedeli in una maniera più naturale che altre esperienze: non vediamo forse che la religiosità popolare predilige la memoria della Passione e della Vergine Addolorata proprio perché sente il bisogno di identificarsi con il Dio-che-soffre? In questa identificazione la fede popolare riceve una grande chance: può fare la grande scoperta di un Dio che nel mistero dell’Incarnazione fa proprio il dolore dell’uomo e lo redime. Infine chiediamoci: quali atteggiamenti scaturiscono nella vita di fede del credente quando contempla Maria compartecipe del dolore di Cristo? Credo che egli si senta spinto a vivere un’esistenza di fede, carità e speranza: la fede di chi scopre che al grido di dolore dell’uomo si è unito quello di Cristo sulla croce e gli ha dato un significato salvifico; la speranza di chi affida al Padre, con Cristo, il giudizio ultimo davanti al mistero dell’iniquità e attende la risurrezione; la carità di chi sente che il “cum- pati” si realizza nella testimonianza di vita, nella solidarietà come anche nella misericordia.

In ascolto della Parola di Dio Due sono i brani biblici che fanno riferimento alla partecipazione di Maria alla sofferenza di Cristo: il primo è Lc 2,34-35, l’episodio della profezia di Simeone; il secondo è quello che descrive la presenza di Maria accanto al Cristo sul Golgota, in Gv 19,25-27. La pietà del popolo di Dio, ha contemplato sette eventi dolorosi in cui la partecipazione di Maria alla vita di Cristo è esplicitamente attestata o intuita: sono i sette dolori di Maria simbolicamente rappresentati dalle sette spade che in molte immagini a partire dal secolo XVI

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gli trafiggono il cuore. Si tratta dei seguenti episodi: la profezia di Simeone (Lc 2,34-35), la fuga in Egitto (Mt 2,13-14), lo smarrimento di Gesù nel tempio (Lc 2,43-45), l’incontro di Maria con Gesù lungo la via dolorosa, la morte di Gesù (Gv 19,25-27), la deposizione di Gesù dalla croce (Mc 15,42), la sua sepoltura (Gv 19,40-42). La devozione ha voluto così contemplare la vicinanza di Maria al Cristo nei momenti della sua sofferenza redentrice, soffermandosi soprattutto alla contemplazione sul Golgota. La spiritualità dei Servi di Maria, i Santi Sette Fondatori, in una più attenta meditazione della Scrittura, ha recentemente individuato altri episodi della sofferenza di Cristo, legati al “rifiuto” del Messia e alla sofferenza della Chiesa nascente, nei quali ha contemplato il mistero della compartecipazione di Maria: la nascita di Gesù nella povertà perché non c’era posto per lui nell’albergo (Lc 2,6-7), la persecuzione di Erode (Mt 2,13-14), il rifiuto di Gesù da parte dei suoi concittadini (Lc 4,28-29), l’arresto di Gesù e l’abbandono dei discepoli (Mt 26,49-50), la partecipazione di Maria alle sofferenze della Chiesa nascente (At 12, 1-3a.5b)1. Questo “ampliamento” della contemplazione dei dolori di Maria accanto a Cristo e alla Chiesa si può ricondurre armonicamente alla considerazione del pellegrinaggio di Maria nella fede e a quello della sua cooperazione alla redenzione, di cui parla il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium. Così si esprime il testo conciliare: “Anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino se ne stette soffrendo profondamente col suo unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata”. (Lumen gentium 58) Sulla cooperazione alla redenzione, iniziata con l’Eccomi a Nazareth, il concilio afferma: “Col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre nel tempio, soffrire col Figlio suo morente in croce, cooperò in modo tutto speciale all’opera del salvatore, con l’obbedienza della fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime.” 1 Cf. S. MAGGIANI, Addolorata, in S. DE FLORES- S. MEO (a cura), Nuovo dizionario di mariologia, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1996, 6.

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(Lumen gentium 61) La devozione ai dolori di Maria ci appare, dopo questo breve excursus, nella sua luce autentica: ispirata alla Rivelazione e frutto della contemplazione della cooperazione di Maria alla salvezza. Il magistero del Concilio, aiutandoci a comprendere il profondo rapporto tra Maria e la Chiesa, ci ha aiutato non solo a guardare a Maria nella giusta luce del mistero della salvezza, ma ci ha anche invitato a scorgere in lei la nostra chiamata alla santità, segnata dalle tappe dell’adesione incondizionata alla volontà di Dio, della partecipazione alla sua sofferenza e alla sua gloria. I brani biblici che costituiscono il baricentro della devozione all’Addolorata sono tuttavia due: Lc 2,25-35 e Gv 19. Su di essi ci soffermeremo in maniera più puntuale. Lc 2,25-35, la presentazione di Gesù al Tempio e la profezia di Simeone, è un brano biblico nel quale protagonista dell’episodio narrato appare lo Spirito santo, citato tre volte: “…lo Spirito era su di lui”( Simeone) (v. 25); “E gli era stato preannunciato dallo Spirito santo che non avrebbe visto la morte senza aver visto prima il Messia del Signore” (v.26); “E venne, mosso dallo Spirito santo nel Tempio” (v. 27). Il vegliardo attende la speranza di Israele, ma non può riconoscere il Messia senza l’assistenza dello Spirito Santo, che muove i suoi passi, lo rende accogliente, gli fa pronunciare parole profetiche. Le splendide parole con le quali accoglie il Signore Gesù non hanno più il verbo al futuro, ma al passato: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza…”(v.29), segno che la speranza di Israele è ormai compiuta. Ma Simeone non si limita ad annunciare che è giunta la luce delle genti per illuminare tutti i popoli, ma intravede anche un altro aspetto che riguarda il mistero di questo Bambino: la croce. Dice di lui alla madre che sarà “segno di contraddizione”, una luce “contraddetta”, perché sarà cercato e rifiutato, amato e crocifisso, sconfitto e vittorioso.2 Nelle parole della profezia la madre viene associata al Figlio nella medesima esperienza di rifiuto. La spada evoca nel linguaggio biblico la Pa-

2 Cf. B. MAGGIONI, Il racconto di Luca, Cittadella, Assisi 2001,66.

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rola di Dio: Maria dovrà confrontarsi con questa Parola, come tutto il popolo di Israele, e a lei non sarà risparmiato il pellegrinaggio della fede, soprattutto nell’ora del rifiuto del Messia. Si intravede quindi, a quaranta giorni dalla nascita di Gesù, la partecipazione di Maria alla sua missione, “con tutta la verità di un cammino di fede non facile, segnato dal confronto con la parola di Dio risuonata in Lui.”3 Il brano di Luca ha il pregio di farci comprendere che Maria è partecipe alla sofferenza del Figlio come pellegrina nella fede, donna che deve continuamente affidarsi alla volontà del Padre, soffrire del continuo travaglio della fede sulla via della sequela. La rivelazione suprema avviene nel mistero della croce narrato in Gv 19, 25-27. L’episodio ha un alto valore simbolico e va compreso alla luce del brano delle nozze di Cana, dove Maria viene chiamata da Gesù con il titolo non di parentela, ma semplicemente “donna” e allo stesso tempo si fa riferimento all’ora, quella del compimento della salvezza che a Cana non era ancora giunta. La madre viene chiamata da Gesù con il titolo di “donna” (v.26), termine inusuale nei rapporti familiari, che però evoca nel linguaggio biblico l’immagine di Gerusalemme, la città madre dell’antico popolo di Dio. Di essa nelle profezie si dice che vedrà il compimento della salvezza e ad essa affluiranno tutti i popoli. In Is 60,4, ad esempio, il profeta dice: “Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”. Maria rappresenta quindi l’antico popolo di Dio radunato dal sacrificio pasquale del Cristo, in un mistero che è di sofferenza e allo stesso tempo di fecondità4. Il discepolo “che egli amava” è colui nel quale si realizza la parola di Gv 14,21 “chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, costui mi ama; e chi mi ama, sarà amato dal Padre mio ed io pure lo amerò”. è il discepolo fedele che da quell’ora accoglie Maria “tra le cose proprie”(Gv 19,27). Non si tratta solo dell’accoglienza in un luogo fisico, ma nel proprio mondo vitale, nell’ambiente esistenziale, cambia in definitiva la sua esistenza perché

3 B. FORTE, Maria la donna icona del Mistero. Saggio di mariologia simbolico-narrativa, San Paolo, Cinisello Balsamo 1989, 84. 4 Cf. FORTE, o.c.,96.

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è una presenza significativa. Sotto la croce avviene alla rivelazione del mistero della Chiesa, di cui Maria è l’immagine: “…L’Evangelista sembrerebbe dire che la Chiesa è il vero Israele, il nuovo popolo di Dio, non tradimento, ma compimento dell’antico; d’altra parte, la Chiesa riconosce in Israele l’antica madre e la porta nel suo mondo vitale”5. Il valore altamente simbolico non esclude il rapporto reale che si viene a creare nel mistero di Cristo tra Maria ed ogni discepolo, che si senta affidato ad una madre e che accoglie nello spazio vitale della sua esistenza la madre di Gesù. I due brani ci presentano Maria come Addolorata, ma soprattutto come madre e socia di Cristo nel mistero pasquale: la devozione popolare dovrebbe guardare a questi due titoli come a quelli che aiutano a comprendere la densità del mistero di Maria sotto la croce. Il Concilio Vaticano II ci ha aiutato in questa comprensione facendo sì che la trattazione della vocazione di Maria nel mistero della salvezza, fosse presentata non in un documento specificamente mariano, ma nella costituzione dogmatica sulla Chiesa: “Il discorso di Maria non è più a sé stante, come se ella occupasse una posizione intermedia tra Cristo e la Chiesa, ma ricondotto, come era stato all’epoca dei Padri, nell’ambito della Chiesa. Maria è vostra, come diceva sant’ Agostino, come il membro più eccellente della Chiesa, ma un membro di essa, non al di fuori e al di sopra di essa”.6 La meditazione dei dolori di Maria è stata perciò giustamente ampliata anche alla considerazione di quel brano degli Atti degli apostoli (At 12) in cui la Chiesa ha sperimentato come Maria e con Maria il rifiuto del Messia, ma al contempo ha potuto raccogliere i frutti dell’albero fecondo della croce: il brano che presenta l’arresto di Pietro e la sua liberazione, si conclude con le parole: “Intanto la Parola di Dio cresceva e si diffondeva” (At 12,24).

5 Cf. ivi, 97. 6 R. CANTALAMESSA, Maria, uno specchio per la Chiesa, Ancora, Milano 1989,148.

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Per una vita virtuosa perché “compartecipe” Meditando i dolori di Maria il cristiano scopre la sua vocazione alla santità e si sente accompagnato dall’esempio e dall’intercessione di Maria a vivere una vita virtuosa. Anzitutto la chiamata: in Maria che è sotto la croce, noi scopriamo la nostra ecclesialità, il nostro appartenere alla comunità cristiana. Non poche vite di credenti sono ispirate all’assurda affermazione “Cristo sì, Chiesa no”, in una divisione che al contempo travisa la comprensione della fede cristiana e lacera interiormente e anche esteriormente la vita cristiana. Sotto la croce nasce la Chiesa, e ad Essa il Signore affida la sua testimonianza e il Suo Vangelo: Maria e il discepolo costituiscono l’immagine di una comunità nuova ed unita e allo stesso tempo divengono un modello per ogni credente. La devozione all’Addolorata diviene perciò un invito a vivere la comunione ecclesiale, l’appartenenza ad una comunità, l’ascesi e lo sforzo costante per vivere con i cristiani come fratelli. Maria presso la croce è modello di una vita virtuosa che attinge la sua forza dalla partecipazione al mistero di morte e risurrezione di Cristo e si incarna in un agire virtuoso. L’uomo contemporaneo sente una certa distanza dal termine virtù, e la relega nel linguaggio strettamente religioso, dimenticando che le prime espressioni culturali su questo termine sono dell’antica Grecia, e riguardano l’aretè, cioè la prerogativa dell’animo di chi vive rettamente; in latino la sua radice connota sia maturità (vir: uomo), sia forza (vis: forza): “La parola virtù deriva da vir (uomo): è infatti proprio dell’uomo maturo essere forte”. (Cicerone) La definizione teologica di habitus l’ha poi confusa con abitudine, ma tale non è: l’abitudine dice ripetitività, non volontarietà, meccanicismo del comportamento; l’habitus dice invece padronanza di sé e dei propri dinamismi, capacità di azione responsabile, umana e umanizzante, libertà orientata al bene. In definitiva la virtù è la disposizione costante e permanente a fare il bene e rende l’agire dell’uomo, con l’aiuto della grazia, retto e conforme alla volontà di Dio. La contemplazione di Maria associata alla passione del suo Figlio ci indica anzitutto una virtù umana, cardinale (da cardine), una di quelle virtù che cos-

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tituiscono i cardini della vita morale (le altre sono la prudenza, la giustizia, la temperanza). Così è stata definita la fortezza, sulla scia della trattazione di san Tommaso d’Aquino: “La fortezza è quella virtù che permette all’uomo di agire e comportarsi moralmente bene, dominando la pura e l’audacia nelle situazioni di pericolo, di difficoltà che minacciano talvolta la vita stessa dell’uomo.”7 L’atto supremo della fortezza è il martirio, che permette di testimoniare Cristo sopportando le avversità, fino ad arrivare ad accettare la morte per la difesa della verità e del bene morale. Non è la stessa Vergine addolorata denominata Regina dei martiri? Oggi abbiamo bisogno di riscoprire questa virtù, perché di fronte alle prove della vita e davanti alla difesa della verità del Vangelo il cristiano tende a mimetizzarsi, dimenticando che è chiamato a testimoniare; si fa prendere allora dal vizio che è l’opposto di questa virtù, la viltà, che è l’incapacità a dominare la paura di essere giudicati e di soffrire, di rimanere “in minoranza” in una società che va in direzione opposta al Vangelo. Maria ci insegna invece la fortezza, che non può non tradursi in tre atteggiamenti oggi più che mai necessari: la pazienza, la perseveranza, la conoscenza della volontà di Dio. La pazienza è la disponibilità a sopportare le sofferenze, le delusioni e le contrarietà senza rinunciare alla propria vocazione all’amore e sostenuti dall’aiuto di Dio: “Nella visione unitaria di san Tommaso, come ogni vera virtù, è causata dalla carità e la carità non si può avere senza la grazia: è evidente quindi che la pazienza non si può avere senza l’aiuto della grazia”.8 La perseveranza è la fedeltà che sa attendere il tempo necessario alla realizzazione di un’opera: è l’attesa di Maria nel sabato santo, Ora della Madre nella quale la sua fede riempie il vuoto che si è creato per la diaspora degli apostoli sotto la croce. La fedeltà e la perseveranza sono oggi più che mai virtù da imitare e da vivere per intercessione di Maria affinché le scelte, soprattutto quelle di vita, non rimangano effimere e vacillanti. E infine la conoscenza della volontà di Dio: Maria rimane sotto la croce perché si è posta alla ricerca della volontà del Padre come una pellegrina. Non ha capito tutto sotto la croce, ma ha 7 E. KACZINYNSKI, Fortezza,in Nuovo dizionario di teologia morale, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1990, 460. 8 Ivi,461.

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sperato e creduto, vivendo le due virtù che ci aprono a comprendere il progetto di Dio. Sotto la croce lei ha dialogato con Suo Figlio e l’ha guardato, ha fatto quello che noi facciamo nella preghiera: solo nella preghiera e nell’ascolto costante della Parola di Dio noi possiamo vivere orientati alla volontà di Dio, con fortezza. In Maria presso la croce vediamo realizzate anche le tre virtù teologali, la fede, la speranza e la carità: la contemplazione dell’Addolorata ci spinge a vivere queste virtù. Cosa sono le tre virtù che costituiscono la “santa triade”? Basti in maniera sintetica la definizione che ne dà San Tommaso: “Hanno Dio per oggetto, in quanto attraverso esse le persone sono ordinate rettamente a Dio; sono infuse da Dio solo; sono conosciute solo attraverso la rivelazione di Dio nella Scrittura”.9 Sotto la croce Maria “ha Dio per oggetto”, anche se non si può mai “oggettivare” Dio, cioè crede, spera, ama Dio e in Dio ama il discepolo che le viene affidato. La beatitudine della fede è la prima ad essere enunciata nel vangelo, ed è rivolta a Maria: “Beata te perché hai creduto nell’adempimento delle parole del Signore.” (Lc 1,45). L’Eccomi di Maria non è detto una volta per tutte, dopo di che la fede si apre ad una visione che non ha più bisogno di affidamento; Maria si inoltra in un cammino di fede sempre più esigente, nel quale vive una profonda solitudine. Scrive padre Cantalamessa: “Se credere è inoltrarsi per quella strada dove tutti i cartelli indicatori dicono:” Indietro, indietro!”; se è come venirsi a trovare in mare aperto, là dove ci sono settanta stadi di profondità sotto di te”, se credere è “compiere un atto tale che per esso uno si viene a trovare completamente gettato in braccio all’Assoluto” (sono tutte immagini del filosofo Kierkegaard), allora non c’è dubbio che Maria è stata la credente per eccellenza, di cui non ci potrà mai essere l’eguale. Ella è si è venuta a trovare davvero gettata completamente in braccio all’Assoluto.” A noi credenti viene chiesta l’obbedienza della fede, non intesa come vago sentimento, ma

9 S.TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, I-II, q.62, a.1c.

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come “accettazione del vangelo con la mente, con la volontà, cosicché tutta la vita ne sia interessata”10. La contemplazione dell’Addolorata permette di guardare a Maria come modello di una fede nel quale l’essere radicati in Cristo non teme alcun ostacolo, neppure quello della solitudine, perché si consegna totalmente a Dio. Maria sotto la croce spera: “Dire che sul calvario ella ha vissuto tutto il Mistero pasquale, e non solo una metà di esso, significa dire che è stata presso la croce “in speranza”. Che ha condiviso con il Figlio non solo la morte, ma anche la speranza di una risurrezione.”11 A conclusione dell’enciclica “Spe salvi”, papa Benedetto XVI si sofferma in contemplazione di Maria stella della speranza, facendo memoria di tutto il mistero della salvezza, ma soffermandosi in modo particolare sul Golgota: “La spada del dolore trafisse il tuo cuore. Era morta la speranza? Il mondo era rimasto definitivamente senza luce, la vita senza meta. In quell’ora, probabilmente, nel tuo intimo avrai ascoltato nuovamente la parola dell’angelo, con cui aveva risposto al tuo timore nel momento dell’annunciazione: “Non temere, Maria!” (Lc1.30) Quante volte il Signore aveva detto la stessa cosa ai suoi discepoli! (…) In questa fede, che anche nel buoi del Sabato Santo era certezza della speranza, sei andata incontro al mattino di Pasqua. La gioia della risurrezione ha toccato il tuo cuore e ti ha unito in modo nuovo ai discepoli, destinati a diventare famiglia di Gesù mediante la fede.”(Spe salvi, 50) Credere e sperare si intrecciano in un unico atto di abbandono alla parola del Signore, e ci dicono ancora in cosa consiste la beatitudine di Maria. Indicano allo stesso tempo a noi che i “luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza sono la preghiera e la sofferenza”. E’ la stessa enciclica di Benedetto XVI che ci ricorda: “Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare (…) l’orante non è mai totalmente solo”. (Spe salvi, 32) La contemplazione di Maria addolorata ci educa ad una

10 M. COZZOLI, Etica teologale. Fede carità Speranza, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2010, 133. 11 R. CANTALAMESSA, Maria uno specchio per la Chiesa, Ancora, Milano 1989, 130.

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preghiera che purifica le nostre richieste, le rende sempre più conformi a Dio; sa attendere i tempi di Dio, “il terzo giorno” del suo intervento salvifico; sa essere capace di azioni coraggiose, di quello “stare” sotto la croce che è la forma più alta di martirio. L’amore di Maria sotto la croce è squisitamente materno, amplia gli orizzonti della sua maternità divina perché risponde alla vocazione di essere madre della chiesa. Questo amore va compreso nell’ottica della fede e della speranza: le tre virtù camminano sempre insieme, “Ma più grande è la carità”( I Cor 12,31). Sotto la croce lei è la madre del bell’amore, colei che ci insegna la grande arte di amare Dio e il prossimo. Ci insegna l’amore filiale, quello di chi obbedisce ai comandamenti e a ciò che è gradito al Signore: “Vorresti amare Dio e non sai come fare? Non sei capace di sentire alcun trasporto di affetto verso di lui? E’ semplice: mettiti ad osservare i suoi comandamenti e in particolare quello che in questo momento ti viene dato attraverso la sua parola, e sappi con certezza che lo stai amando!”12 L’amore di Dio è un unico comandamento con l’amore del prossimo, e Maria ci insegna, ancora una volta con il suo “stare” a saper condividere le sofferenze dei crocifissi della storia, coloro che hanno bisogno della nostra solidarietà. Il rimanere accanto alla croce dei fratelli che soffrono è testimonianza suprema di carità, che dà vita al mondo; pensiamo a cosa significhi oggi stare vicino al letto di un sofferente o di un malato terminale, non per preoccuparsi con una falsa pietà di abbreviargli la vita, ma per dargli dignità e affetto, per aiutarlo in un momento in cui la solitudine può sembrare impenetrabile. La globalizzazione poi, apre i nostri orizzonti di carità e di prossimità al mondo intero, dove è richiesta la prima forma di carità, che è la giustizia. La devozione alla Vergine addolorata, che ha nutrito la fede di generazioni di cristiani ha una sua attualità, che richiede tuttavia sempre di essere rigenerata nell’ascolto della Parola di Dio e nell’attenzione ai “segni dei tempi”. Questo

12 Ivi, 240.

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ci auguriamo sia l’intento e insieme la consegna a sempre nuove generazioni dei confratelli e delle consorelle dell’Arciconfraternita di Andria.

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foto: Luciano Albore


Storia di una devozione di Maria Antonietta Elia Accademica della Cultura Europea

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on facile entrare nella storia di una devo­zione. Sono sicuramente illuminanti i docu­menti, le manifestazioni più sensibili e appari­ scenti come i riti, i diversi contributi di arte e di cultura; ma si tratta solo dell’aspetto esteriore di una devozione, sentimento che ha la sua sede nel cuore dell’uomo. é questa, dunque, la vera difficoltà: entrare nell’interiorità dell’uomo per indi­viduare le numerose sollecitazioni, i bisogni spirituali, le spinte ideali verso il mondo della fede. La devozione a Maria S.S. Addolorata sentimento puro che fiorisce nel cuore di uomini pii e di donne pie e si nutre del sole della Grazia che illumina e riscalda. Si passa da una iniziale accensione spirituale ad una comprensione intima del misterioso rapporto con la Vergine Maria, la cui presenza diventa guida illuminante di un cammino di fede. Il sentimento di devozione crea prose-liti all’interno di un sodalizio che nel tempo si consolida e si rinnova. La “Costellazione” dei sette Serviti dal XIII secolo si espande in luoghi e tempi diversi e così quella devozione all’Addolorata raggiunge e alimenta i cuori dell’Arciconfraternita di Andria. Sono numerosi i segni tangibili della devozione all’Addolorata dell’Arciconfraternita, contrassegnati dalla bellezza, frutto di una fede profonda, unica matrice di tutte le manifesta­zioni dello Spirito. Esemplare il Cappellone, o per meglio dire l’Oratorio, spazio luminoso, ampio e suggestivo, una vera sublimazione del sentimento di devo­zione a Maria S.S. Addolorata.

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foto: Gianluca Albore

Statua dell’Addolorata


Maria S.S. Addolorata

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a statua dell’Addolorata ci pone di fronte ad una realtà che ci appartiene e che noi riconosciamo: il dolore. Non sono solo i simboli, il vestito nero del lutto, il fazzoletto in mano, il pugnale conficcato nel petto a svelarlo, ma il volto solcato dalle lacrime, l’espressione triste degli occhi, le labbra socchiuse. Si coglie con immediatezza la drammaticità della situazione: Maria è la Madre che piange per la passione e la morte del Figlio. Nessun conforto, nessuna consolazione per quel cuore trafitto. Da Maria Addolorata ci sentiamo attratti; vorremmo soccorrerLa, asciugarLe le lacrime, confidarLe i nostri dolori, simili al Suo. Il dolore ci accomuna. Così Maria diventa per noi compagna, sorella e madre. Dimentichiamo che è la Madre di Dio; che è corredentrice insieme al Figlio dell’umanità intera. Non riusciamo a staccarci dalla terra e a sollevare gli occhi al cielo. È la terra il luogo del dolore, nostro e di Maria. Da questa comunanza del dolore nasce il sentimento di devozione verso Maria Addolorata. La statua dell’Addolorata dell’Arciconfraternita di Maria S.S. Addolorata di Andria è posta in una nicchia sovrastante l’altare del Cappellone della Chiesa di S. Francesco. Nel 1840 la famiglia Jannuzzi fece realizzare a Napoli il manichino vestito dell’Addolorata. Deteriorato dai tarli venne provvisoriamente sostituito da un’opera nuova realizzata ad Ortisei nel 1961. Solo nel 2000 l’Addolorata, cosiddetta Jannuzzi, dal nome del donatore, prese il suo posto nel sontuoso Oratorio. La Statua di singolare bellezza, pur nella sua regalità, esprime nel volto rigato da lacrime un dolore tutto umano, profondo e inconsolabile. A prima vista quel volto incanta; poi, improvvisamente, esso suscita il bisogno di compen-

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etrazione nel dolore che avvilisce l’animo di Maria e Le trafigge il cuore. Un pugnale1 è il simbolo più appariscente di questa dolorosa trafittura.

Il Dolore di Maria Il dolore di Maria per la passione e la morte del Figlio è la misura più alta della sua umanità. “Stabat Mater Dolorosa / iuxta Crucem Lacrimosa, / dum pendebat Filius”. Il dolore immobilizza il corpo di Maria, Le trafigge il cuore, intristisce il Suo volto, genera il pianto. “Sul Tuo volto, Maria, i segni del dolore che lacera il cuore. Piangono gli occhi per la bellezza oltraggiata del Cristo; tremanti le labbra ripetono quel nome a Te caro”. Il dolore di Maria non è una sensazione provocata da un male fisico, ma è patimento dell’animo, strazio, sofferenza morale. Se statica è la figura di Maria iuxta Crucem, dinamico è il rapporto d’amore che la lega al Figlio. Madre e Figlio, uniti nel dolore, subiscono entrambi un misterioso processo di trasformazione, dall’umano al divino, che svela il senso di quel patimento. Maria e Cristo sono stati prescelti per un progetto salvifico: redimere l’umanità, riconciliarla con Dio, aprirle l’accesso alla via della salvezza. 1 Sono due i pugnali o stocchi di cui è dotata l’Addolorata dell’Arciconfraternita di Andria. Quello di maggiore pregio, realizzato a Napoli nell’800, è in argento con pietre preziose incastonate nell’elsa.

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“Tu ci indichi, Maria Addolorata, la via della salvezza, lungo la quale il sole non tramonta e le ombre della notte non si assiepano. tu conosci la perenne sorgente dove le anime stanche si ristorano. tu ci guidi col tuo pianto silenzioso nel regno della fede”.

Il Mistero del Dolore “Scorre il dolore nell’alveo della fede così profondo che tutto lo contiene e giunge a riva dove il mare dell’Amore lo accoglie e lo sublima”. “Il mistero del dolore ha radici nella creazione; l’uomo se ne fa portatore e lo consegna di volta in volta a chi nella catena della vita si inserisce”. “Nasce così il sentiero del dolore lungo il quale, stretti per mano, tutti insieme procediamo con lo sguardo rivolto a Maria Addolorata,

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insegna sempre viva che fa luce sul nostro cammino”. I Sette Serviti o Frati dell’Ave Maria. Dipinto di Domenico Caldara (1814-1897), pittore di corte presso i Borboni

La Devozione a Maria Addolorata “La devozione a Maria Addolorata è promessa d’amore; è fiducia incondizionata; è reverenza affettuosa dell’animo; è preghiera profumata d’incenso; è raccoglimento della mente e dello spirito; è pietà religiosa”. La devozione a Maria Addolorata si sviluppa sin dal XII secolo; ne sono fautori e propagatori S. Anselmo d’Aosta, San Bernardo di Chiaravalle, San Bonaventura di Bagnoreggio, Iacopone da Todi, autore dello “Stabat Mater”. La sua storia ha, comunque, un inizio preciso: 15 agosto 1233. La Madonna, vestita a lutto e visibilmente addolorata, apparve a sette nobili fiorentini2, iscritti all’Arte dei Mercanti e poetiattori della Compagnia dei Laudesi, che erano soliti cantare le lodi a Maria davanti a un’immagine dipinta su parete di una via. I sette giovani nobili, in seguito all’apparizione, si ritirarono in penitenza e preghiera sul monte Senario presso Firenze e decisero di istituire la Compagnia di Maria Addolorata, detta dei Serviti e si consacrarono alla diffusione della devozione alla Vergine S.S. Addolorata. 2 Bonifacio Bonaldi, Bonaggiunta Manetti, Manetto Dell’Antella, Amodio Amedei, Sostegno Sostegni, Uguggione Uguggioni, Alessio Falconieri.

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La devozione a Maria Addolorata è caratteristica principale dell’Ordine dei Servi3: “Ci chiamiamo Servi della Vergine gloriosa, di cui portiamo l’abito di vedovanza4”; “Lo spirito dell’Ordine nostro è il culto della Vergine Addolorata”. L’approvazione ufficiale del culto di Maria dei sette dolori e le celebrazioni liturgiche dell’Addolorata partono dal XVII secolo su concessione di Papa Innocenzo XII ai Frati e alle Suore dell’Ordine dei Servi. Le due feste dell’Addolorata, ancora oggi celebrate, sono quella del Venerdì di Passione e quella del 15 settembre, denominata festa dei sette dolori. Devozione e culto dell’Addolorata rispondono ad un intento preciso dei Servi: unire tutti gli uomini. In questa volontà di comunione essi riconoscono il progetto di Dio e nella loro difficile missione scelgono Maria Addolorata come stella guida. “La Vergine, nostra Signora, quasi prendendoci per mano, ha educato noi suoi servi e serve a raggiungere la maturità dell’esperienza evangelica”5 “Fede e devozione, sospinte dal vento dello Spirito, raggiungono gli spazi più remoti e come i rigagnoli d’acqua alimentano sorgenti e fonti così esse germogli e frutti fanno nascere nel cuore dell’uomo”. Ai Servi di Maria si attribuisce la formazione e quindi la divulgazione della Corona dell’Addolorata. 3 I Servi di Maria, canonizzati da Papa Leone XIII nel 1888 sono oggi sollevati agli onori degli altari. Essi sono raffigurati in un grande quadro esposto nell’Oratorio della Chiesa di S.Francesco di Andria. 4 I Servi di Maria Addolorata scelsero di indossarel’abito nero in memoria della “vedovanza” di Maria,privata del Figlio, e dei dolori da Lei sostenuti nellaPassione di Gesù. 5 “Con Maria accanto alla Croce” Lettera del Priore Generale dei Frati Servi di Maria-Roma 9 agosto 1992.

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La sua data di nascita va posta intorno al 1617. I Servi portano appesa alla cintura la Corona dei sette dolori, segno del loro amore per il pio esercizio. La Corona dei sette dolori è costituita da quarantanove grani e sette medagliette con una faccia col cuore di Maria trafitto da sette spade6 e nell’altra la raffigurazione di uno dei sette dolori. Sette Ave Maria, rappresentate dai grani sono recitate dopo l’enunciazione di ogni dolore.

La Corona dei Sette Dolori 1. Maria accoglie nella fede la profezia di Simeone (Lc 2, 34-35) 2. Maria fugge in Egitto con Gesù e Giuseppe (Mt 2, 13-14) 3. Maria cerca Gesù smarrito in Gerusalemme (Lc 2, 43-45) 4. Maria incontra Gesù sulla via del Calvario (Lc 23, 26-27) 5. Maria sta presso la Croce del Figlio (Gv 19, 25-27) 6. Maria accoglie nel suo grembo Gesù deposto dalla Croce (Mt 27, 57-59) 7. Maria affida al sepolcro il corpo di Gesù, in attesa della Risurrezione (Gv 19, 40-42) Componente assoluta della Corona è il dolore di Gesù e di Maria. A partire dalla profezia dell’anziano Simeone, “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a Te una spada trafiggerà l’anima”, la Corona ferma le tappe più significative della vita di Gesù e dell’esperienza dolorosa che accomuna Madre e Figlio. Maria soffre come creatura umana soggetta a travagli intensi, a tormenti ingiusti. Suo intento iniziale è mettere al sicuro Gesù. Fino a quando?

6 Le sette spade sono simbolo della totalità del dolore.

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foto: Leonardo Salvemini

La PietĂ Bottega fratelli Brudaglio


Particolari della PietĂ

foto: Leonardo Salvemini

foto: Leonardo Salvemini


I tempi tradiscono la sua volontà. Gesù ha scelto la via della Croce per compiere la volontà del Padre suo; ha accettato di accollare su di sé i peccati dell’umanità intera per riconciliarla con Dio e offrirle la felicità eterna. In questo cammino di salvezza Maria si pone accanto a Cristo; ne diviene sua erede diretta. La Corona dell’Addolorata, preghiera individuale e collettiva, si conclude con un’orazione: nella prima parte essa enuncia la volontà di Dio di porre Maria accanto alla Croce di Cristo; nella seconda esplicita la richiesta dei devoti di unirsi a Maria nella partecipazione al mistero doloroso e a quello glorioso di Cristo. “O Dio, che hai voluto che accanto al Tuo Figlio, Innalzato sulla Croce, fosse presente la Madre Addolorata, fa’ che associati con Lei alla passione di Cristo, partecipiamo alla gloria della risurrezione. Amen”.

Le Litanie dell’Addolorata Edite dalla Commissione liturgica dell’Ordinedei Servi di Maria, le Litanie dell’Addoloratasono invocazioni rivolte alla Santissima Vergine sotto forma di supplica. Esse fermano inizialmente lo stato doloroso di Maria per la morte del Figlio; successivamente, e per la maggior parte rivelano con chiarezza la sua nuova, alta e complessa missione di Madre universale, missione che Ella intraprende dopo la morte del Figlio. Lacrimosa e desolata iuxta Crucem, Maria si eleva a tal punto che diventa per tutti gli uomini un esempio fulgido di costanza, di umiltà, di pazienza, un vero

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tesoro per chi crede, un sostegno per coloro che sono in difficoltà, fondamento sicuro per la Chiesa. Maria eredita i meriti del Figlio Crocifisso e li mette a disposizione dell’umanità a Lei affidata perché, essa, fortificata nella fede, possa edificarsi. – Maria, Madre del Crocifisso prega per noi – Maria, Madre addolorata – Maria, Madre lacrimosa – Maria, Madre desolata – Maria, Madre abbandonata – Maria, Madre del Figlio privata – Maria, Madre trafitta dalla spada del dolore – Maria, Madre piena di angustie – Maria, Madre consumata dagli stenti – Maria, Madre crocifissa nel cuore – Maria, Madre mestissima – Maria, Fonte di lacrime – Maria, Cumulo di patimenti – Maria, Specchio di pazienza – Maria, Esempio di penitenza – Maria, Rupe di costanza – Maria, Ancora di confidenza – Maria, Rifugio degli abbandonati – Maria, Debellatrice degli increduli – Maria, Medicina dei languenti – Maria, Forza dei deboli – Maria, Porto dei naufraghi – Maria, Guida nelle tempeste – Maria, Ristoro dei miseri – Maria, Terrore degli insidianti – Maria, Tesoro dei fedeli

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– Maria, Occhio dei profeti – Maria, Sostegno degli Apostoli – Maria, Corona dei Martiri – Maria, Guida dei Confessori – Maria, Perla delle Vergini – Maria, Consolazione delle vedove – Maria, Letizia di tutti i Santi

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L’Arciconfraternita di Maria SS. Addolorata di Andria. Erede e Custode di una Devozione Là dove fiorisce la pietas religiosa nascono spontaneamente momenti di devozione e di culto. Basta un numero esiguo di uomini pii e di donne pie a favorirne lo sviluppo. Un’ondata di luce invade i loro cuori e li affratella in una scelta d’amore. Nasce così nel 1824 ad Andria, una cittadina della Puglia, un’Associazione che prende il nome di Confraternita di Maria S.S. Addolorata7. Seguire le orme dei sette Serviti o frati dell’Ave Maria è lo scopo del sodalizio. La devozione all’Addolorata è l’unico motore che sollecita ed orienta le scelte della Confraternita, i suoi programmi, veri percorsi di crescita e di rinnovamento nel tempo. Il primo Statuto8 che regola la vita associativa della Confraternita, i suoi momenti devozionali, i suoi rituali, è compilato dal Cav. Giovanni Jannuzzi fu Stefano. La prima residenza della Confraternita è la Chiesa Mater Gratiae in via Corrado IV di Svevia (1824-1834). Successivamente, per decreto del Vescovo Mons. Cosenza la Confraternita si trasferisce nella Chiesa di San Francesco (1834-1887). Primo Rettore e Padre spirituale della Confraternita è Don Giuseppe Jannuzzi, “lustro e decoro” della città di Andria. Nel 1840 viene costruito a spese della Famiglia Jannuzzi l’altare dove la Confraternita compie i suoi riti e su di esso viene collocata in apposita nicchia la Statua dell’Addolorata. 7 La Confraternita è approvata dal Vescovo dell’epoca Mons. Giovanni Battista Bolognesi e dalla Potestà civile giusta Rescritto in data 4 dicembre 1824, e confermata con Regio Decreto il 15 maggio 1832. 8 Lo Statuto è modellato su quello dei nobili della Chiesa di San Ferdinando di Napoli.

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La generosità della Famiglia Jannuzzi, sentimento autentico, alimenta il culto di Maria S.S. Addolorata attraverso l’offerta di doni di grande pregio e bellezza artistica. Oltre all’Ostensorio in oro e argento, dono del confratello Nicola Jannuzzi, ne sono testimonianza meritevole le tre vesti della Statua dell’Addolorata: una di raso nero, ricamata con fili d’argento per il Venerdì Santo; un’altra ricamata in oro per il Venerdì di passione e la terza in sciantung in seta con ricami di foglie dorate, veste di ogni giorno. La Confraternita cresce di prestigio nel momento in cui, per volontà di S.S. Pio IX e per Reale Decreto del 14 maggio 1854, viene elevata al grado di ArciconfraternitaCresce ancor più, da questo momento, l’impegno dei Confratelli che continuano a sostenere a proprie spese le festività9 in onore di Maria Addolorata. La Chiesa di S. Francesco, eretta a Parrocchia nel 1857, rimane la sede in cui si celebrano le sacre funzioni fino a quando non viene costruito dal Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli il Cappellone, meglio chiamato l’Oratorio, uno spazio tutto autonomo, aperto al culto dei fedeli ufficialmente nel marzo 1888. Intanto l’Arciconfraternita, cresciuta a livello numerico, provvede alla revisione dello Statuto, alla luce delle nuove esigenze, maturate nel tempo, della stessa Associazione. Lo Statuto riformato dall’Avv. Francesco Latilla, Priore dell’Arciconfraternita, è approvato nel 1920 dal Vescovo Eugenio Tosi. Il pio Sodalizio da una parte accoglie nuovi confratelli e consorelle, dall’altra intensifica la vita spirituale, usufruendo dell’elevata assistenza del Rev. Mons. Don Michele Doria e del Priore Conte Ferdinando Spagnoletti Zeuli10. Figure significative e di rilievo quelle dei Priori dell’Arciconfraternita; essi non trascurano alcun aspetto del culto di Maria S.S. Addolorata e riservano grande attenzione non solo ai riti vissuti secondo la tradizione, ma anche alla formazione spirituale dei congregati. 9 La signora Caterina Jannuzzi fu Giovanni contribuisce con un legato di 200 ducati alla festività del Venerdì Santo di Passione. 10 Il Priorato del Conte Ferdinando Spagnoletti Zeuli dura 23 anni. Viene a cessare il 23 ottobre 1980.

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A quest’opera di approfondimento e di aggiornamento dell’attività dell’Arciconfraternita offre un prezioso contributo il Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli che prosegue con alacrità l’opera del suo predecessore arricchendo di nuovi associati il sodalizio ed ampliando la Cappella al cimitero. Per la seconda volta, inoltre, viene aggiornato (16 maggio 1988) lo Statuto con delibera dei congregati e approvazione del Vescovo diocesano S.E. Mons. Giuseppe Lanave. La regolamentazione della vita dell’Arciconfraternita segue una direttiva fondamentale: formare i Confratelli ispirandosi alla vita esemplare di Maria, “donna forte, disponibile alla volontà divina e di maternità generosa sino al sacrificio”11. Lo Statuto ribadisce che spetta al Padre Spirituale la formazione dei Confratelli; è suo compito suggerire e iniettare nel loro cuore “il senso della vita che non si chiude nel tempo ma si lascia qualificare dai valori dello spirito”12. Lo Statuto aggiornato rivede con puntualità anche gli aspetti organizzativi delle celebrazioni e delle funzioni religiose; fissa i requisiti necessari per poter far parte del sodalizio; sollecita inoltre lo spirito di carità cristiana. “I Confratelli e le Consorelle manifesteranno la loro fede cristiana, valutando situazioni e crescita della società con i suoi bisogni materiali, culturali e spirituali”13. L’attualità dello Statuto è chiaramente esplicitata nel titolo XI; esso evidenzia le attività complementari che l’Arciconfraternita dovrà svolgere: attività socioculturali, interventi tesi ad impedire lo sviluppo della delinquenza minorile e la tossicodipendenza e altre attività di carattere umanitario e religioso. S.E. Mons. Lanave, sottolineando “l’evoluzione e l’adeguazione al tempo dell’Arciconfraternita”, così riferisce in occasione del primo centenario di ap-

11 Titolo II Art. 2 12 Titolo V 13 Titolo XI Art. 26

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ertura al culto dell’Oratorio: “Ho avuto la sensazione che siete una Confraternita sensibile al bene del passato, aperta alle sue novità del tempo, disponibile ad operare con sollecitudine e nel seno della Comunità locale”. Testimonianze di questo genere, tutte concordanti nel riconoscere la crescita spirituale, formativa e sociale dell’Arciconfraternita, sono raccolte nel volumetto, curato dal Conte Dante Jannuzzi, dal titolo “l’Arciconfraternita Maria S.S. Addolorata nel primo centenario dell’apertura al culto del suo Oratorio 1888-1988”. Spiccano le parole augurali di Papa Giovanni Paolo II: “Auguro che i Congregati diano sempre più luminosa ed efficace testimonianza di vita cristiana”; le lodi del Cardinale Ursi, Arcivescovo Emerito di Napoli per “la crescente vitalità del glorioso sodalizio”; il riconoscimento di Mons. Salvatore Garofalo “l’insigne e benemerita Arciconfraternita Maria S.S. Addolorata ha opportunità e motivo di essere all’altezza dei tempi e al passo dei più recenti documenti della Chiesa”. Non si tratta di occasionale esaltazione dell’operato di un pio sodalizio che nel tempo si è affermato e consolidato, senza perdere mai di vista la sua fonte ispiratrice, Maria S.S. Addolorata, ma è sincera constatazione di un agire per fede e devozione alla luce del Vangelo e dei bisogni reali dell’uomo. L’Arciconfraternita percorre, con lo sguardo rivolto a Maria Addolorata, un cammino sicuro tracciato nel Cuore della Chiesa e nella Comunità di Andria. Il suo impegno nello svolgimento dei riti e delle funzioni religiose è espressione della disciplina interiore e del rigore morale dei Congregati e dei Priori. Questi ultimi, animati da uguale spirito di fede e di devozione, coordinano, nel rispetto delle norme statutarie, ogni evento e tutte le manifestazioni in onore dell’Addolorata, conciliando le tradizioni del passato con le nuove espressioni del presente.

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Così l’Arciconfraternita vive il tempo sacro della Quaresima e la Settimana Santa. Diversi sono i momenti di riflessione e di preghiera accanto a quelli celebrativi e devozionali di spiccata suggestione: – la Processione serale dedicata alla Sacra Spina, prodigiosa reliquia che la Diocesi di Andria custodisce; – la Processione della Desolata il Venerdì di Passione che precede la domenica delle Palme; – Via Crucis e Via Matris; – la Processione dei Misteri; – l’Adorazione della Croce, il Venerdì Santo; – l’Ora della Madre, il Sabato Santo; – la Santa Messa Solenne il giorno di Pasqua.

L’Arciconfraternita compie in questo particolare periodo dell’anno un intenso cammino spirituale che le consente di addentrarsi nella fase più significativa della vita di Cristo, rivelatrice della sua missione di Redentore dell’umanità. La storia della devozione dell’Arciconfraternita a Maria S.S. Addolorata si può ricostruire anche attraverso numerosi segni tangibili quali ad esempio i libri liturgici: un Graduale e un Corale, datati 1748; entrambi riportano le parti cantate della Santa Messa; i Paramenti Sacri; gli Argenti: l’Ostensorio in oro e argento, dono del Confratello Nicola Jannuzzi; sette lampade in argento, dono del Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli; Corona in argento, dono di Ottavio Spagnoletti; le suppellettili liturgiche dal XVI al XIX secolo, spartiti, dipinti, sculture lignee esposti nella galleria arciconfraternale. La devozione dell’Arciconfraternita a Maria S.S. Addolorata è espressa in maniera incisiva e suggestiva da un simbolo che spicca sulla veste dei Confra-

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foto: Luciano Albore

telli e delle Consorelle oltre che sulla tovaglia dell’Altare: un Cuore rosso; è il Cuore di Maria, Madre di Cristo, che racchiude in sé il mistero del dolore. Ed è proprio il Cuore di Maria ad attirare a sé “persone di specchiate qualità civili e morali” e ad illuminare il loro percorso di amore e di fede.

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foto: Domenico Tangaro

Particolare Interni Cappelone dell’Arciconfraternita


Un percorso nel tempo passato di Domenico Tangaro Architetto

è

stata l’occasione di poter fotografare la scultura di artistica fattura raffigurante Maria S.S. Addolorata, custodita e venerata nell’Oratorio dell’Arciconfraternita ad Andria, un progetto di 25 Fotografie d’Arte ideato per la Prima edizione del Premio Internazionale di Fotografia intitolato “Settimana Santa in Puglia, i Luoghi della Passione”, sotto la direzione artistica del fotografo Cosmo Laera, promosso da Pugliapromozione con la collaborazione dell’Associazione Culturale Opera di Molfetta, che mi ha portato, più tardi, a cercare documenti storico-architettonici sulla costruzione dell’Oratorio dell’Arciconfraternita che la ospita, anch’esso luogo fortemente vissuto durante la settimana santa in Puglia e, pertanto, anch’esso luogo di fede e di passione, edificato nel 1887 dal Confratello, Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli. L’Oratorio dell’Arciconfraternita ad Andria è un edificio in pietra e tufo, fatto costruire dal Conte Onofrio Spagnoletta Zeuli, in ampliamento alla Chiesa di San Francesco ad Andria, erogando di suo una ingente somma di denaro, a cui collaborò suo genero il Conte Sebastiano Jannuzzi, i quali, di comune accordo con il Rettore di quel tempo Mons. D. Stefano Porro-Jannuzzi e ad integrazione dell’edificio stesso, fecero innalzare al suo interno anche un’altare di marmo e la relativa nicchia in cui è custodita e si venera, ancora oggi, Maria S.S. dell’Addolorata. L’ampliamento, aperto al pubblico nel 1888 al culto dei fedeli e chiamato comunemente “Cappellone” fu edificato e modellato all’interno con intuizioni, segni e forme architettoniche del tempo, nelle forme in pianta e in alzato, ancora oggi leggibili ad occhio nudo e completato sul prospetto dall’attuale piccola porta di ingresso che si affaccia su Via San Francesco. A tutt’oggi,

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a seguito della mia ricerca elaborata frequentando biblioteche e scoprendo libri di storia poco conosciuti, ho rilevato che null’altro si sa o e stato scritto in merito all’autore del disegno architettonico del “Cappellone” e ancor meno su chi l’ha costruito ma, leggendo alcuni libri sull’architettura del 1800 in Puglia e nello specifico su alcuni architetti che hanno operato in questa città e in questo territorio in quel periodo storico ho rilevato che un architetto, Luigi Castellucci, nel 1863 ha ideato, nella città di Andria, alcune importanti opere architettoniche. Guardando le sue opere ho intuito che tra quelle ideate dall’architetto Luigi Castellucci e alcune opere architettoniche minori realizzate in città in quel periodo potrebbero esserci relazioni tra gli edifici, in merito ai periodi storici, agli ideatori e ai costruttori delle opere stesse. Una costruzione di particolare importanza locale in quel periodo è stato il Palazzo Comunale, un’opera di architettura emblematica per la città di Andria ideata dall’architetto Luigi Castellucci e, alcuni anni più tardi, fu edificata nelle sue vicinanze, un’opera di architettura minore, il “Cappellone” dell’Oratorio dell’Arciconfraternita. In quel periodo le vicinanze fisiche e le distanze nel tempo tra cantieri maggiori e cantieri minori offrivano l’opportunità e lo stimolo, nei ceti abbienti, alla realizzazione di edifici minori simili alle opere di architettura maggiore già presenti in città. Ed è stata la costruzione del Palazzo Comunale a farmi immaginare che ci potrebbe essere una relazione tra i due edifici. Entrando nel merito si legge che il Palazzo Comunale di Andria, ideato e disegnato dall’architetto Luigi Castellucci, fu inaugurato nel 1863, dopo undici anni di costruzione lenta, attenta e precisa, affiancato dal suo allievo Federico Santacroce, realizzato su deliberazione del Decurionato e fatto eseguire dal Sindaco Don Riccardo Porro da un costruttore abile in quel tempo, l’ingegnere Vincenzo Latilla. Dieci anni dopo, il 1873, l’architetto Luigi Castellucci fu nuovamente incaricato per la ideazione e il disegno architettonico della Colonia Agricola di Andria e la facciata dell’Abbazia di Santa Maria dei Miracoli ed anche in questo caso la costruzione fu affidata all’ingegnere Vincenzo Latilla.

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Cappellone dell’Arciconfraternita - Interni

foto: Domenico Tangaro

foto: Domenico Tangaro


Cappellone dell’Arciconfraternita - Interni

foto: Domenico Tangaro

foto: Domenico Tangaro


Alcuni anni più tardi, nel 1877, venne a mancare l’architetto Luigi Castellucci e, come avveniva in tali casi nel 1800, il completamento dell’opera era affidata al costruttore incaricato, il quale essendo la persona che più di ogni altro, aveva affiancato sino al quel momento l’architetto Luigi Castellucci, era l’unico che poteva garantire il completamento della costruzione stessa, proseguendo sulle indicazioni dei disegni architettonici, nonchè per le capacità artigianali e costruttive già dimostrate nella modellazione di pietre e tufi finalizzati alla costruzione di volte, archi, basamenti, cornici, finestre e pavimentazioni ed presumibile che la stretta collaborazione tra l’architetto Luigi Castellucci e l’ingegnere Vincenzo Latilla ha portato quest’ultimo, dopo la sua scomparsa, a reiterare i segni architettonici dell’architetto, come accadeva spesso nel 1800, per realizzare opere architettoniche minori, il quale, avendo fatto esperienza e tesoro nella realizzazione di opere architettoniche di maggiore importanza poteva, con facilità, realizzare opere di architettura minore come il “Cappellone” dell’Oratorio dell’Arciconfraternita costruito a fianco ed in ampliamento alla Chiesa di San Francesco. La relazione tra il “Cappellone”, l’ingegnere Vincenzo Latilla e l’architetto Luigi Castellucci sono leggibili, a mio avviso, nei dettagli architettonici presenti nei disegni dell’architetto Luigi Castellucci, realizzati per essere modellati dall’ingegnere Vincenzo Latilla in altre opere architettoniche maggiori e reiterati da quest’ultimo, su antichi disegni o a memoria, nella costruzione di opere minori come il “Cappellone”. I particolari si possono leggere nelle forme e nei dettagli delle alte cornici interne, nelle soluzioni d’angolo e nei rispettivi basamenti in pietra in cui, la reiterazione di forme e segni architettonici, completati da fregi e modanature, mi hanno portato ad immaginare che l’ideatore e il costruttore dell’opera architettonica minore denominata il “Cappellone” potrebbe essere stato l’ingegnere Vincenzo Latilla. Queste intuizioni e relazioni tra periodi storici e dettagli formali sono frutto, come ho già avuto modo di precisare, di una piccola ricerca che andrebbe approfondita con ulteriori dettagli, confronti storico-architettonici, date storiche

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e disegni specifici per affermare, integrare o correggere le intuizioni primarie, le quali, essendo semplici intuizioni aprono a ricerche integrative possibili e, in tal senso, mi auguro che qualche mio contemporaneo o un giovane architetto dotato di passione per l’architettura e la storia dell’arte voglia proseguire tali ricerche per comprendere, capire, conoscere e trasmettere ai suoi coetanei e alle future generazioni il valore dell’ingegno dell’uomo racchiuso nelle opere di architettura leggibili, ancora oggi, ad occhio nudo in città, sia nel Palazzo Comunale dell’architetto Luigi Castellucci sia nell’opera architettonica minore, ma non di minore importanza, del “Cappellone” dell’Oratorio dell’Arciconfraternita.

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L’Addolorata nell’Oratorio dell’omonima arciconfraternita di Andria

Note di iconologia ed iconografia mariana di Margherita Pasquale Direttore del Castello Svevo di Trani Storico dell’Arte presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici Bari

I

l compito di un’immagine sacra non si esaurisce con l’ammirazione per la sua bellezza, l’apprezzamento del valore dell’artista che l’ha eseguita, l’encomio per la generosità e la finezza di gusto della committenza; presentata agli occhi del riguardante, l’immagine sacra, perché tale, deve stimolare in prima istanza la riflessione sugli alti concetti cui si ispira e che intende ispirare a sua volta, richiamandoli alla mente, forgiandola anzi ed incanalandone il pensiero nel solco dell’ortodossia cattolica. È la ferma volontà della Chiesa, sancita dal secondo concilio di Nicea, nel 787, e ribadita dal concilio di Trento, nel 15631. Sono concetti che è opportuno rimeditare e riproporre per esorcizzare ogni istintiva forma di feticismo, sempre latente, sempre in buona fede, ma inevitabilmente congiunto ad ogni espressione d’arte sacra in Occidente, debitore di una tradizione iconografica potente, basilare nella nostra civiltà, che non ha mai saputo prescindere dal referente perlomeno visivo, laddove non fosse 1 D. Menozzi, La Chiesa e le immagini, in Mistero e Immagine. L’eucaristia nell’arte dal XVI al XVIII secolo, Catalogo della Mostra (Bologna 1997), Electa 1997, pp. 28-40.

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possibile addirittura tattile (le reliquie), per concepire il proprio rapporto con il Sacro. Con divina e provvidenziale intuizione, perfino un evento sacramentale come l’istituzione dell’Eucaristia corrisponde a questa sensoriale necessità; nel mondo occidentale, in cui il cristianesimo era chiamato in prima istanza a diffondersi, non sarebbe bastata l’astratta consapevolezza dell’Emanuele, del Dio con noi, senza il supporto di specie tangibili, perfezionate dal mistero della transustanziazione. Le infinite iconografie della Vergine rispondono anch’esse a questo bisogno, addirittura diverso per ogni individuo, giustificandone la molteplicità degli aspetti iconografici, devozionali e protettivi, eredi di una cultura fondamentalmente e magnificamente pagana, mediterranea prima ancora che greco-romana, mai scomparsa né rimovibile, cromosomica. Probabilmente, fra i titoli innumerevoli con i quali la santa Vergine è venerata, non ne esiste un altro per il quale sia riscontrabile una devozione altrettanto intima e profonda di quanto lo sia quella per la Madonna Addolorata, nonostante si produca soprattutto nell’ambito di una liturgia necessariamente plateale, in quanto sottesa dai riti della Settimana Santa. È una devozione segnatamente al femminile, pur non mancando di cultori maschili, ma per ragioni antropologiche in parte diverse; nel primo caso, si innesca un comprensibile processo di identificazione; nel secondo, si instaura un rapporto cavalleresco, fatto di rispetto e di antico e virile istinto di protezione per la nobile figura, bella e dolente. Nell’attuale, notorio calo generale per ogni forma di devozione, per questa in esame le cause non sono addebitabili soltanto all’imperante laicizzazione dei nostri tempi, alla sempre minore presenza del Sacro nelle nostre vite, troppo dinamiche e troppo poco propense, se non alla preghiera, almeno ad una pausa di riflessione interiore; una volta tanto, è rilevabile l’intervento di fattori positivi: da una parte, i progressi della medicina, che hanno sensibilmente ridotto

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la mortalità infantile rispetto al passato, dall’altra, i decenni ormai numerosi intercorsi dalla fine di ben due conflitti mondiali, ultimi dopo secoli di guerre che avevano insanguinato l’Europa, i cui dolorosi strascichi si sono protratti a lungo, prima di scomparire lentamente; ancora negli anni ’50-’60 del Novecento, le grida di dolore delle madri, i cui figli coscritti non avevano fatto ritorno, si mescolavano al suono delle marce funebri delle bande, al seguito delle processioni. Purtroppo, vi sono e vi saranno sempre genitori che sopravvivono ai propri figli, ma le dimensioni dei due fenomeni ricordati, difficilmente raggiungibili, sono strettamente associati ad un’intensità devozionale imposta dal forte potere consolante che proviene dalla condivisione di una pena altrimenti insostenibile. Nella vasta gamma degli umani dolori, quello per la perdita di un figlio, infatti, è il dolore per eccellenza, perché congiunto ad un impotente ed amaro senso di ingiustizia rispetto all’ordinato e concatenato svolgersi del processo naturale degli eventi, della regolare successione generazionale. Ed è anche il dolore più antico del mondo, il primo in assoluto ad essere stato sofferto. Adamo ed Eva per primi piansero sul corpo di un figlio, Abele, detentore di molti tristi primati: primo essere umano deceduto, e nel fiore della giovinezza, primo morto di morte violenta, per giunta vittima di un fratricidio, e quindi unito ad un altrettanto grave dolore, la perdita morale di un altro figlio, non meno dolorosa di quella fisica. Inoltre, quel primo compianto dei progenitori (Fig.1) era anche la prima percezione della perdita irreversibile dell’Eden e del suo perenne stato di grazia, di fronte a cui impallidivano perfino le maledizioni che avevano severamente accompagnato la cacciata dal paradiso, soprattutto quel moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli (Gen 3, 16), rivolto espressamente ad Eva, minaccia nella pratica alleviata, annullata anzi, dalla gioia che accompagna la nascita e fa dimenticare le doglie del parto.

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Con la consueta sensibilità per l’universo femminile, il Signore vi farà riferimento, parlando ai discepoli della propria morte: La donna, quando partorisce, è triste, perché è giunta l’ora sua; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi adesso siete tristi; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno più vi potrà togliere la vostra gioia (Gv 16,21-22). È la stessa tenera empatia che indurrà Gesù, commosso, a consolare la vedova di Nain, quando si imbatterà nel funerale del suo unico figlio: vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: <<Non piangere>>…Ed egli lo diede alla madre (Lc 7,13,15)2; né meno comprensivo è per il dolore dei padri, come insegnano i casi di Giairo, cui restituisce viva la figlia (Mt 9,18-19; Mc 5,2143), e del centurione, al quale risuscita il servo, ad ogni evidenza caro come un figlio (Mt 8,5-13; Lc 7,1-10); di pari impatto è la metafora che Gesù impiega nella parabola del figliol prodigo: bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita (Lc 15,32). Anche nella dolorosa circostanza del compianto sul figlio ucciso, la Vergine è ‘la nuova Eva’ della Patristica, colei che ha ribaltato l’effetto nefasto del peccato, diventando protagonista designata della storia della salvezza (per Evam perditio, per Mariam recuperatio, ovvero Ave est inversum Evae3), con la meravigliosa e innovativa differenza della consapevolezza, ad Eva allora negata, che il suo dolore non sarebbe stato per sempre: non è di quelli che finiscono solo con la morte della madre; Maria conosce la soluzione che induce chi ha fede nella resurrezione di Cristo, e nella conseguente ‘resurrezione della carne’, alla speranza, alla certezza di cose sperate (Ebrei 11,1), per dirla con san Paolo, 2 Non mancano episodi affini nell’Antico Testamento, anticipatore del Nuovo ed in esso compreso, secondo la dottrina tipologica; si vedano i casi della vedova di Sarepta e della donna di Sunem (1Re 17,17-23; 2Re 4,32-35), aventi per protagonisti i profeti Elia ed Eliseo, ‘tipi’ del Cristo; entrambi restituiranno vivo il figliuolo alle rispettive madri. In diretta filiazione dalla sacra scrittura, nella scultura romanica, i due episodi alluderanno alla resurrezione del credente che a Cristo si affida, tradotti nell’immagine simbolica del leone disteso su un essere umano, riverso e fiducioso (portale maggiore della cattedrale di Trani, finestroni absidali delle cattedrali di Bitonto e Troia, finestrone nella testata meridionale del transetto della cattedrale di Bari), riproponendo visivamente le modalità delle due resurrezioni veterotestamentarie. 3 Sull’iconologia mariana e sulla dottrina tipologica, L. Réau, Iconographie de l’Art Chretien, Parigi 1955, tomi I, II, passim; Bibliotheca Sanctorum, Roma 1964, ad vocem Maria, Eva, Adamo.

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salvandolo dalla disperazione. Ella ‘sa’ che il Figlio non è perduto, lo ha sempre saputo, senza bisogno di quella lieta invenzione iconografica, non sancita da nessuna Scrittura, neanche apocrifa, che è L’apparizione del Risorto a Maria, per confortarla e rassicurarla dell’avvenuta resurrezione. Di tutti i protagonisti della Passione, compreso perfino Gesù, che in un momento di estremo ed umano sconforto lamenta l’abbandono del Padre, l’unica tetragona ai colpi della sventura è proprio la Madonna! L’unica a non aver perduto neanche per un istante la fede nella resurrezione del figlio, che sembra invece cogliere tutti di sorpresa, a partire dai discepoli, nonostante fosse stata più volte preannunziata dal Signore. Quindi, tra le donne che si recheranno al sepolcro all’alba del giorno dopo il sabato, in nessuna delle quattro diverse varianti fornite dai vangeli canonici, la Vergine è presente: è la sola ad esser certa che non ci sia nessun corpo da andare ad onorare con profumi ed unguenti, la sola ad avere perfettamente compreso che il messaggio cristiano è una ‘buona novella’ e che, pertanto, è gioioso. Ne consegue che, teoricamente, dovrebbe essere inconciliabile con immagini dolenti come il Crocifisso o, appunto, l’Addolorata; troppo spesso sembra dimenticare che il suo punto focale non è la nascita o la morte di Gesù, ma la sua resurrezione, di cui i due primi eventi sono solo l’indispensabile premessa. Tuttavia, sta di fatto che, nella vita degli uomini, il dolore ha una forza talmente prevaricante da avere bisogno, più che di speranze, per quanto corroborate possano essere dalla fede, di concreta ed immediata comprensione, solidarietà e partecipazione; quindi, nell’iconografia consolidata, nel momento più drammatico della sua esistenza, Maria è l’Addolorata ed il suo posto è ai piedi della croce. Laddove il Crocifisso non sia raffigurato da solo, ai lati della croce sono compresenti la Vergine e san Giovanni, apostolo ed evangelista; essi sono prota-

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gonisti dell’importante episodio dell’affidamento, da parte di Gesù, della Vergine a Giovanni e di Giovanni alla Vergine, e, insieme all’amato discepolo, dell’umanità tutta nelle mani della Madonna. Il cui ruolo, però, in quel momento raffigurato, è ancora più alto di quel che sembri, perché, alla destra del Signore, ella rappresenta la Chiesa, che ha fede nel Cristo, mentre san Giovanni, alla sua sinistra, simboleggia la Sinagoga, che non lo ha riconosciuto, e questo a causa di una impasse del giovane, l’essere entrato per secondo nel sepolcro di Cristo a verificarne l’assenza, dopo san Pietro, pur essendovi giunto per primo (Gv 20,3-8); sono le sottigliezze della Patristica a definire le posizioni, spiegandone il significato4. Ma, ai piedi della croce, Maria detiene l’autorevolezza e il prestigio che il luogo e il momento richiedono: Stabat mater, riferisce Giovanni (Gv 19,25-27); la sua posizione è eretta, il suo è un dolore senza debolezze. Lei è la Sacra Sinaxis5 (dal greco sunexozein, contribuire a salvare), colei che consapevolmente collabora nell’opera della salvazione6; lo ha fatto fin dal suo primo apparire nei vangeli, incredibilmente matura già al momento dell’annunzio dell’Angelo, nel misterioso incontro che avrebbe cambiato la vita della fanciulla di Nazareth, rivelandola, a se stessa e a noi, capace di decidere da sola del proprio destino e di quello dell’umanità intera. È la ragione per cui, nelle decorazioni della sua veste, possono rinvenirsi, associate a femminee essenze floreali, elementi decisamente allusivi alle specie eucaristiche, spighe di grano e grappoli d’uva; è il motivo per cui è teologicamente corretta la collocazione della sua immagine in relazione con il tabernacolo, nelle cappelle destinate al SS. Sacramento. 4 E. Male, Le origini del Gotico. L’iconografia medievale e le sue fonti, Milano 1986, pp. 191, 211; nota 41: Isidoro, Allegoriae, 138.139; Sant’Ambrogio, Commentarium in Lucam, 1,27; nota 42: Jacopo da Varagine, Mariale, 1, Sermo 3. 5 Ne è un esempio la definizione di un dipinto su tavola raffigurante la Madonna del Soccorso della chiesa biscegliese di Sant’Adoeno, nel 1574, nella Visita Pastorale del vescovo di Bisceglie Giovanni Andrea Signazio. 6 Ottima è la lettura di Mel Gibson nel film Passion, dove una sublime Madre, ferma nell’animazione concitata della folla al momento della cattura di Gesù, mormora: è l’inizio, o Signore, così sia e, alla flagellazione, continuerà a riconoscere nel processo degli eventi l’assoluta, libera volontà sempre esercitata del Signore: Figlio mio, quando, dove, come deciderai di essere liberato da tutto questo.

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Fig. 1

Fig. 2


Sarà sempre di una forza eccezionale; saprà pilotare il primo miracolo di quel figlio straordinario, a Cana, ponendosi da allora e per sempre come massima potenza di intercessione e meritando, ancora una volta e di conseguenza, un posto di privilegio, alla destra del Signore - come recita il salmo: alla tua destra la regina, in ori di Ofir (45,10), ma con le insegne dell’umiltà e non dell’ostentazione - nella più ottimistica composizione7 che il medioevo abbia messo a punto, la Déesis (Fig.2). Si tratta dell’icastica formula iconografica dell’Intercessione, che la Madre di Gesù opportunamente condivide, questa volta, con san Giovanni il Battista l’uomo stimato più di ogni altro dal Signore: tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni (Lc 7,28) - ai lati del Cristo giudice, allo scopo di placarne la severità inflessibile, nella complessa e gerarchica scenografia del Dies irae, il Giudizio Universale. Quando l’arte del XIV secolo indulgerà alle tenerezze del sentimento, di contro all’austera dottrina, propria dell’arte dei due secoli precedenti, alla Vergine sarà concesso di ‘svenire’ ai piedi della croce, confortata e sostenuta dai presenti, ma sarà un’arte più aneddotica e teatrale, che vuole parlare più al cuore che all’intelletto, dedotta dalle esigenze divulgative delle sacre rappresentazioni, come avverrà per la stessa immagine trionfante del Cristo risorto, che non trova, anch’essa, diretto riscontro nelle sacre scritture. Rispetto all’immagine materna, multiforme e dilagante, della Madonna con Bambino, quella dolorosa e sofferta compare più tardi nell’Arte visiva, preceduta in letteratura, nel Duecento, dal celebre Stabat mater di Iacopone da Todi e dal più completo trattato di mariologia del tempo, il De laudibus Beatae Mariae di Riccardo di Saint Laurent8, che attribuisce alla Vergine il titolo di ‘martire’, ribadito nel XVI secolo dalle Litanie lauretane (Regina martyrum), e ne definisce i ‘Sette dolori’, resi in seguito, in concreto e in figura, dalle sette

7 M. Pasquale, ‘Deus charitas est’. L’amore cristiano nelle immagini in Puglia, in ‘Studi Bitontini’, n. 85-86 (2008), pp. 33-60 (47-48). 8 E. Male, op. cit., p. 228, nota 129: De laudibus Beatae Mariae, 1, III, cap. XIII.

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spade che ne trapassano il cuore, disposte a raggiera. Essi fanno tutti riferimento ai vangeli, ipotizzando la presenza della Vergine in particolari momenti della Passione, per i quali, nel testo, il generico termine di ‘donne’ testimoni potrebbe ragionevolmente includerla, anche se non vi risulta espressamente citata, come l’andata al Calvario, la deposizione e il seppellimento del Signore. La serie dei dolori della Vergine ha diverse compilazioni, con leggere varianti; ne scegliamo una9: 1) Profezia di san Simeone, nella presentazione di Gesù al Tempio (Lc 2,34-35); il primo e più importante dolore, comprensivo di tutti gli altri, che fa esplicito riferimento alla ‘spada’ che avrebbe trafitto l’anima della Vergine, determinandone l’iconografia, spesso limitata ad un unico stiletto: E a te una spada trafiggerà l’anima; 2) Fuga in Egitto (Mt 2,13-15); 3) Smarrimento di Gesù a Gerusalemme, ritrovato tra i dottori nel Tempio (Lc 2,41-51); 4) Incontro con Gesù caricato della croce sulla via del Calvario (Lc 23,2731); 5) Maria ai piedi della Croce (Gv 19,25-27); 6) Maria con Gesù deposto tra le braccia (Mt 27,55-59); 7) Maria assiste al seppellimento di Gesù (Mt 27,60-61). La gamma dei dolori celebrati, tutti d’ordine spirituale, è devastante, largamente condivisa dall’umanità di ogni tempo e luogo, nonché comune agli uomini e alle donne, mancando quelli del parto, dai quali si vuole, secondo gli apocrifi, che la madre di Gesù sia stata esente, data la sua verginità prima durante e

9 G. Curci, Storia della chiesa di Santa Teresa e culto dell’Addolorata in Trani, Napoli 1973, p. 45.

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dopo l’evento, resa in icona dalle tre stelle che ne scandiscono il manto. L’ampio raggio considera le tristezze e i disagi dell’espatrio, l’angoscia per l’assenza immotivata di un figlio, la frustrante visione della sofferenza impossibile da lenire, seguite dalle meste e definitive liturgie della morte. Sono riservati all’Addolorata due passi delle sacre scritture, in realtà decontestualizzati, scelti per il loro valore letterale e non per quello che veramente significano: nel primo, l’Ecclesiastico, ovvero il Siracide, raccomanda: Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare i dolori di tua madre (Sir 7,27), alludendo chiaramente alle doglie della gravidanza; il secondo è il verso toccante di un’elegia attribuita al profeta Geremia, che evoca lo strazio doloroso della città di Gerusalemme, personificata, abbandonata da Dio: Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore (Lam 1,12). Il verso successivo: mi ha reso desolata, affranta da languore per sempre (Lam 1, 13), ancora riferito nel testo alla città, ha ispirato l’immagine emotivamente non meno efficace della ‘Desolata’, la spagnola ‘Soledad’, la ‘Vergine della Solitudine’, che contempla mesta gli strumenti della Passione. È questa un’immagine simbolica, che non attiene a nessun episodio specifico, pura rappresentazione dell’eterno mistero del ‘dolore’, al quale è sì possibile ed auspicabile trovare giustificazione, ma che, nel frattempo, sconvolge con la crudezza palpabile della sua indubitabile verità, senza riferimenti a messianiche e trionfali soluzioni che ribaltino la realtà delle cose; l’immagine è ‘desolatamente’ ferma al momento in cui tutto è perduto e non c’è posto per la speranza. Non ancora. Come sembra accadere anche per un’altra raffigurazione, quella che noi chiamiamo ‘Pietà’ e che oltralpe è nota come ‘Vesperbild’, la malinconica ‘immagine della sera’: la Vergine accoglie nel grembo il corpo piagato del Figlio deposto e lo mostra a noi, come ha fatto mille volte nelle infinite forme della ‘Madonna con Bambino’. E se il genio di Michelangelo ne ha fatto un caso di

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sublime prolessi, un’anticipazione virtuale del dramma futuro, ponendo il corpo del Figlio adulto e senza vita tra le braccia della giovane madre, molti secoli dopo, un altro genio, Picasso, la porrà a sintetizzare la tragedia senza scampo del mondo abbrutito dalla guerra, in ‘Guernica’ (Fig.3). È un’immagine che siamo soliti recepire come un muto rimprovero, ma non è così. Per comprenderne il messaggio sottinteso, che è sempre un messaggio d’amore, dobbiamo guardarne il corrispettivo maschile, che esiste, anche se meno noto e frequente: la raffigurazione della SS. Trinità10, con la colomba dello Spirito Santo e Dio Padre in atto di sostenere il crocifisso, come nel celebre affresco di Masaccio nella chiesa fiorentina di S. Maria Novella, o di mostrare il corpo del Figlio (Fig.4). È un’immagine emblematica, in quanto, in prima istanza, ribadisce il risultato, fondamentale nella storia della Chiesa, del concilio di Efeso (431), che stabiliva esservi in Cristo contemporaneamente ed in egual misura entrambe le nature, umana e divina - riconoscendo di conseguenza alla Vergine la controversa prerogativa di ‘Madre di Dio’ - con l’evidente corollario che l’uomo Gesù, benché raffigurato senza vita, non cessa per questo e nemmeno per un istante di essere la seconda persona della SS. Trinità, il Vivente. Quindi, un’immagine che può apparire un severo monito all’umanità peccatrice, facendola dubitare della più remota possibilità di un perdono, in realtà traduce alla lettera un passo della lettera paolina ai Romani: Dio ha presentato Gesù che muore in croce come mezzo di perdono per quelli che credono in Lui (Rom 3,25), principio ribadito ed illustrato ai tempi nostri da papa Benedetto XVI: L’amore appassionato di Dio per il suo popolo – per l’uomo – è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso11. 10 M. Pasquale, ‘Deus charitas est’..cit., p.44. 11 Benedetto XVI, Deus Charitas Est, Città del Vaticano 2006, 10.

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Fig. 3

Fig. 4


Ha fatto mai nulla la Vergine in contrasto col pensiero di Dio? La sua volontà è stata sempre conforme alla Sua, e così le sue azioni. L’immagine della ‘Pietà’ va dunque interpretata come una sublime dichiarazione di perdono, un’eco, anzi la ratifica materna, di quell’incredibile Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno, pronunciato dal Figlio sulla croce, un deflagrante attestato di misericordia, così lontano da ogni terreno criterio di giudizio da indurre il centurione, molto meno sconvolto dal terremoto e dalle improvvise variazioni meteorologiche scatenatesi sul Golgota, ad esclamare: veramente quest’uomo era figlio di Dio (Mc 15,39). Torniamo, dopo questa necessaria digressione iconografica, all’immagine consueta dell’Addolorata, presente in versioni sette-ottocentesche in ogni nostra città, spesso in più di una chiesa: una donna soave, vestita di nero e velata, dolente con tragica compostezza sì da ispirare la solidarietà femminile e la dedizione maschile, è questa l’Addolorata nel nostro attuale immaginario (Fig.5). È normalmente una statua, meglio, un manichino vestito, con un girello per sostenere le gonne, braccia mobili e le parti a vista, testa e mani, talvolta anche i piedi - come nell’episodio andriese - squisitamente scolpiti in legno, perlopiù, o modellati in terracotta o in cartapesta. È un manufatto leggero, di facile trasporto in processione; spesso i suoi capelli sono veri, dono votivo, o, come ad Andria, scolpiti e acconciati con grazia; sempre, il nero rigoroso della veste quotidiana si illumina, negli abiti ‘da festa’, di preziosi ricami in oro o in argento; un lungo manto, una notte buia o stellata, avvolge la figura; il modello dell’abito che indossa, conservato nei necessari rifacimenti, risale generalmente all’epoca di realizzazione delle statue pervenuteci, tra fine Settecento e prima metà dell’Ottocento, con le sopraggonne e il bustino allungato. Ad Andria, dove la sua statua veneratissima12 fu corredata di tre abiti pregevoli dalla famiglia Jannuzzi, è insolitamente prediletto lo sti12 C. Petrarota, L’Addolorata confraternale nella chiesa di San Francesco di Andria, in La Sacra Spina di Andria e le reliquie della Corona di spine, Schena, Fasano 2005, pp. 431-437; G. Agresti e S. Campanile, Schede delle opere presenti in mostra, ivi, pp. 316-317; G. Borraccesi, Gli argenti della Passione, ivi, pp. 372-373.

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Fig. 5


le ‘Impero’, a vita alta e linea diritta, in piena corrispondenza con la moda in auge al tempo dell’istituzione della confraternita offerente; solo dalla fine del secondo ventennio del XIX secolo la mutevole moda ottocentesca tenderà a ricondurre il punto vita alla sua sede naturale. Va rilevato che sono state le particolari esigenze, processionali e connesse ai riti quaresimali, con il clima da sacra rappresentazione che hanno comportato e la conseguente necessità di immedesimazione catarchica con la protagonista, istituzionalmente vicina al mondo emozionale del riguardante, a determinarne il ‘costume’, allora contemporaneo, dell’immagine. Per noi moderni, meno sedotti da tanto immediata comunicazione, esso rimane comunque relegato nel passato, preservando netto il confine che delimita il ‘sacro’ dal quotidiano; nessuno, oggi, farebbe indossare un tailleur, sia pure sobrio, nero ed elegante, alla vergine Maria. Fuori da tale contesto devozionale, come gli apostoli, come il Signore, la Vergine veste abitualmente ‘all’antica’, con tunica e manto colorati, anche nelle composizioni iconografiche che la vedono ‘addolorata’, anche in immagini contemporanee alla produzione delle ‘statue vestite’. Qualche esempio, aulico e popolare: due tele del napoletano Francesco De Mura (+ 1782), nella cattedrale di Barletta (Fig.6) e nella chiesa del Carmine a Lucera, un anonimo dipinto coevo nella chiesa matrice di Latiano, un’edicola votiva settecentesca nel centro storico di Bisceglie13 (Fig.7). La devozione ufficiale per l’Addolorata ha una data d’inizio: il 15 agosto del 1233, sette fiorentini iscritti all’Arte dei mercanti e poeti-attori della Compagnia dei Landesi, a seguito di una prodigiosa visione che mostrò loro in abiti da lutto una venerata immagine della Madonna, affranta dagli odi che dividevano la città, istituirono la Compagnia dei Serviti, o Servi di Maria, in onore dell’Addolorata. 13 M. Pasquale, Brevi note sull’edicola in via Cardinale Dell’Olio, in “Alla ricerca di un valore perduto: il rispetto”. Rispetto del patrimonio artistico-culturale e delle tradizioni, FIDAPA, Bisceglie 2008.

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La Regola fu approvata nel 1304 ed ebbe immensa ed immediata diffusione; in Spagna, dove meglio che altrove corrispose all’indole popolare, teatrale e fastosa, trovò negli stessi sovrani sostegno e promozione, donde la scenografica processione dell’Entierro, ‘seppellimento’, ricorrente dal 1506, e le disposizioni regie di Filippo V, le quali, nel XVIII secolo, stabilirono la celebrazione dell’Addolorata al 15 settembre estendendole a tutti i domini spagnoli, prima ancora della determinazione papale, risalente al 1913 e dovuta a Pio X. Le nostre statue dell’Addolorata e i nostri riti, connessi al suo culto ed alla Settimana Santa, ivi compreso l’impiego del nero come colore da lutto per eccellenza, sono in larga misura ancora debitori delle caratterizzanti, e prolungate per oltre due secoli, soggezione ed influenza spagnola nelle nostre terre. Concludo con una breve e doverosa nota di carattere storico: ad Andria14, l’istituzione confraternale dedicata all’Addolorata risale al 4 dicembre 1824, confermata con Regio Decreto nel 1832 ed elevata ad arciconfraternita nel 1854; il suo statuto ebbe a modello quello dei nobili, congregati nella chiesa napoletana di San Ferdinando. E con un’altra, una citazione ripresa anch’essa da Geremia, ma che può fare di un’immagine dolorosa, rammentando quanto si è brevemente accennato, un’esortazione alla speranza: Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo; rinnova i nostri giorni come in antico, poiché non ci hai rigettati per sempre, né senza limite sei sdegnato contro di noi (Lam 5, 21-22).

14 D. Jannuzzi, L’arciconfraternita Maria SS. Addolorata nel primo centenario dell’apertura al culto del suo Oratorio 1888-1988, Andria 1989.

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Fig. 6

Fig. 7


foto: Leonardo

Salvemini


Agnese Paola Festa

La Tua Eterna Giovinezza Fammi partecipe della tua eterna Giovinezza, Maria, perché giammai Il sole tramonti agli occhi miei Di luce avidi e di albe sempre chiare.

Il passo mio stanco per gli anni Si farà celere lungo il cammino E non sarà più ansante il respiro Per giungere fino a Te, o Maria. Come a sorgente d’acqua nel deserto Nella tua eterna giovinezza, Maria, bagnerò le labbra inaridite e nella notte buia le mie pupille assopite dal sonno ingannatore vedranno il cielo riempirsi di stelle.

Maria Antonietta Elia


Indice Presentazione

7

Introduzione

9

Associati alla Passione: con Maria per una esistenza di fede, carità e speranza

11

Storia di una devozione

25

Un percorso nel tempo passato

47

L’addolorata nell’Oratorio dell’omonima arciconfraternita di Andria

53

72


Consiglio di Priorato A.D. 2014 Assistente Spirituale don Giannicola Agresti

Priore Conte Tommaso Jannuzzi

Vice Priore Francesco Saverio Suriano

Consigliere e Tesoriere Nunzia Troia

Consigliere Eligio Mansi

Consigliere Nunzia Terrone

Segretaria Emilia Parente Chieppa

73


Alle famiglie dei Conti Spagnoletti-Zeuli e Jannuzzi a 190 anni dalla fondazione dell’Arciconfraternita

ISBN 978-88-972402-2-8

9 788897 240228


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