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L’EDITORIALE
GLI IDEALI DEI FONDATORI E IL NOSTRO IMPEGNO DI TUTTI I GIORNI
IL TAGLIO DEL NASTRO Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha inaugurato venerdì 12 marzo a Bologna (all’Archiginnasio) la mostra, presa subito d’assalto da tanti visitatori
di PIERLUIGI VISCI
iulio Padovani, uno dei quattro fondatori del Resto del Carlino e il suo primo storiogafo, racconta così quel giorno di 125 anni fa. Sono andato a riprendere quel passo, già riportato da Ugo Bellocchi nel libro che nel 1973 dedicò al nostro giornale, perché trovo che lì, in quelle poche frasi, ci sia lo spirito delle origini. Non interpretato né parafrasato, semplicemente raccontato da uno dei quattro «moschettieri» che diedero il via all’impresa. Quello a cui si rivolgono Alberto Carboni, Cesare Chiusoli e Francesco Tonolla per essere quarto «tra cotanto senno». Padovani ci racconta così il momento in cui gli propongono di entrare nell’avventura, destinando anche lui cento lire come primo fondo per le spese. «Entrato nella combinazione, opposi l’opportunità di modificare il titolo che i compagni volevano fosse uguale al fiorentino Resto al Sigaro, perché questo aveva infatti il modesto proposito di servire ai soli tabaccai come resto ai compratori del sigaro toscano che si vendeva a otto centesimi, e proposi e fu accettato all’unanimità — è sempre Padovani che racconta — quello di Resto del Carlino, sia perché poteva essere diffuso anche per altri negozi, sia perché simboleggiava lo scopo di rivedere le bucce a... qualcheduno». Mi piace stare ai fatti. E i fatti, riportati per bocca del senigalliese Giulio Padovani, dicono che nella Bologna di quegli anni proseguiva la tradizione risorgimentale di dare titoli d’impegno ai giornali, come La Striglia, la Frusta, lo Scappellotto. Per questo sono convinto che la locuzione «il resto del carlino», avesse quel significato lì. Fare le bucce ai potenti, saldare i conti, insomma. Un impegno editoriale ancor oggi attualissimo. E nell’editoriale di Padovani (anche se il primo direttore è Carboni), che ha come titolo un punto di domanda con tre puntini di sospensione, si spiega: «Questo punto deve servire a rappresentare la curiosità dei lettori: un giornale piccolo per chi non ha tempo di leggere i grandi; dove l’uomo d’affari, l’operaio, l’artista, la donna, tutti, troveranno in un batter d’occhio... le notizie sugli avvenimenti più importanti». Questo succedeva 125 anni fa, primo giorno di primavera (ma sul primo numero comparvero entrambe le date, di lavorazione e di uscita), in un palazzo nobiliare di via Garibaldi 3 a Bologna, dove proprio ieri abbiamo scoperto una targa ricordo. C’è un bel ritratto di Nasìca (Augusto Majani), un diciottenne che accompagnava con la sua matita appuntita il nuovo giornale di Bologna. Un disegno che ci fa conoscere la fisionomia dei «quattro evangelisti» intenti a discettare sul futuro. Non avrebbero forse scommesso di essere ricordati, 125 anni dopo, proprio sulle pagine del giornale da loro voluto. Che oggi non è più quel foglio dato come resto del sigaro comprato in tabaccheria, ma un giornale autorevole e forte, che con il suo nome e la sua storia offre ai lettori la garanzia di una corretta informazione.
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fondato nel 1885
Direttore responsabile:
Pierluigi Visci
Vice direttore:
Pierluigi Masini
Via Enrico Mattei, 106 - 40138 BOLOGNA Tel. 051 / 6006801
«45.000 NOTTI PASSATE A SCRIVERE LA STORIA»
In mostra tutti gli anni Da aprile l’esposizione itinerante toccherà ventisette di ANDREA ZANCHI
E CI CHIEDESSERO di riassumere la storia con un numero, diremmo quarantacinquemila. Una cifra qualsiasi per tanti, ma piena di significato per il nostro giornale: quarantacinquemila come le notti passate a scrivere la storia. La storia de il Resto del Carlino, che, proprio oggi, 21 marzo 2010, compie 125 anni, e festeggia questo prestigioso traguardo con un’iniziativa speciale. Dal 12 marzo — quando è stata inaugurata alla presenza del presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini, dell’editore del Carlino, Andrea Riffeser Monti, della presidente di Poligrafici Editoriale, Marisa Monti Riffeser e del direttore del giornale, Pierluigi Visci — nello splendido cortile dell’Archiginnasio, antica sede dell’Università di Bologna e oggi biblioteca tra le più stimate e importanti d’Italia, la mostra dal significativo titolo di ‘45.000 notti passate a scrivere la Storia’ ripercorre il viaggio del nostro giornale a partire da quel 21 marzo del 1885, nquando uscì il primo numero del Carlino. Una carrellata di prime pagine che riportano alla memoria gli avvenimenti che hanno segnato il destino e la sorte dell’uomo, senza dimenticare tutti quei momenti che, piccoli o grandi che
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VISTO, SI STAMPI Un sigaro come ispirazione Giulio Padovani, Alberto Carboni, Francesco Tonolla e Cesare Chiusoli si ispirarono al giornale fiorentino ‘Il Resto del Sigaro’ per la creazione de ‘Il Resto del Carlino’
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ALL’ARCHIGINNASIO DI BOLOGNA
della nostra vita località in Emilia Romagna, Marche e Veneto fossero, hanno segnato il carattere e l’identità della città da dove questa grande storia è iniziata, Bologna. L’assassinio del Re Umberto I nel 1900, le due guerre mondiali, il fascismo, la nascita della Repubblica; e ancora, la Costituzione, la morte di Kennedy, l’uomo sulla Luna, la caduta del Muro di Berlino e l’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre. Il tutto unito e tenuto insieme dai momenti più significativi che hanno segnato la storia della città dove il Carlino ha visto la luce: l’ottavo centenario dell’Università nel 1888, l’attentato a Mussolini del 1926, il Settantasette, la strage alla stazione del 2 agosto 1980, fino all’elezione di Giorgio Guazzaloca come sindaco. Fatti, avvenimenti e grandi rivoluzioni narrate e raccontate tanto dai cronisti, quanto dalle grandi firme che si sono alternate su queste colonne: Giovanni Spadolini, Indro Montanelli, Enzo Biagi, solo per citarne alcune tra le più popolari e amate dai nostri lettori. Centoventicinque prime pagine suddivise per decadi all’interno di un percorso espositivo che mescola la fisicità del quotidiano, oggetto da leggere e sfogliare a volte anche sporcandosi le mani, con le immagini video che, dal passato al presente, trasportano il visitatore in un lungo viaggio nel tempo, saltando dall’epoca dei
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telegrafi e dell’alfabeto morse a quella dei computer e del mondo in digitale. La mostra sarà ospitata in Archiginnasio fino al 10 aprile (orari: dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19, sabato dalle 9 alle 14; chiuso domenica e i festivi), per poi essere trasferita, in forma sintetica, nella Sala Borsa di piazza del Nettuno dal 12 aprile al 10 maggio. L’esposizione si inserisce nella nutrita serie di eventi organizzati per festeggiare i 125 anni del giornale, sostenuti da UniCredit Banca, Banca Marche, Confcommercio Imprese per l’Italia, e nasce dalla volontà de il Resto del Carlino/ Gruppo Monrif di ripercorrere in modo unico e originale la storia del quotidiano in un anniversario così importante. Un’iniziativa sviluppata da un’idea di Gabriella Castelli di Laboratorio delle Idee e realizzata da Comunicazionivisive.net, e Modular per quanto riguarda gli allestimenti. Una mostra che non si limiterà al territorio di Bologna, ma che renderà omaggio alle ventisette località di Emilia-Romagna, Marche e Veneto dove sono realizzate le edizioni locali del quotidiano. Da aprile, infatti, l’esposizione percorrerà in forma itinerante il territorio dove il Resto del Carlino, tutti i giorni, giorno dopo giorno, racconta la vita quotidiana delle città e delle province.
L’Archimede Padovani
Il punto interrogativo
Fu in realtà Giulio Padovani a decidere il nome ’Il Resto del Carlino’. Padovani lasciò la carriera di avvocato per gettarsi nell’avventura del giornalismo
L’articolo di presentazione del primo numero, intitolato con un punto interrogativo, fu scritto sempre da Giulio Padovani. Le 6mila copie andarono a ruba
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VIVA L’ITALIA Nei giorni scorsi, a Torino, 3500 giovani (dai bambini delle scuole materne ai ragazzi delle Superiori) hanno festeggiato così i 150 anni dell’Unità d’Italia
GLI EVENTI DELLA POLITICA SULLE PAGINE DEL CARLINO
L’Italia si fa attendere Dopo 150 anni di unità, resta sempre una nazione da costruire di FRANCO CANGINI
IPERCORRERE i 125 anni di vita del Resto del Carlino significa rivedere, quasi integralmente, il film dei 150 anni dell’Italia unita. Giornale e Nazione, nati entrambi nell’autunno del Risorgimento, segnato dal disincanto che sempre accompagna il passaggio dalla poesia alla prosa dell’esistenza storica, ma anche dall’attesa fiduciosa di una nuova primavera della Patria. A questa attesa non è mai mancato, nelle forme modellate dal fluire dei tempi e delle generazioni, il contributo del quotidiano di Bologna. Fatto di un impasto di realismo e di idealismo, a somiglianza della comunità umana di cui è l’espressione. Il destino del doppio percorso esistenziale, dell’impresa editoriale e di quella nazionale, può essere rappresentato come una tensione incessante verso traguardi di crescita che si spostano più in là via via che vengono toccati. Il destino storico ha conosciuto cadute e trionfi, mai prostrato da quelle, mai appagato da questi. Le condizioni di partenza, terrificanti, avrebbero scoraggiato chiunque. Pensata come ricostituente per la debolezza organica di un sistema di regni divisi, l’Unità politica si rivelava un problema. Risorgeva all’esistenza storica un Paese tra-
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boccante di analfabeti e scarsissimo di capitali, con un meridione in rivolta e un bilancio in dissesto, esportatore di masse miserabili di proletariato in fuga dalla fame, costretto a competere con Stati progrediti che si facevano beffe di un nuovo arrivato capace di farsi battere sul campo perfino dagli africani. NEL 1911, primo “Giubileo della Patria”, la musica era già cambiata. Erano gli anni di Giolitti, molto amato dal Carlino che riconosceva doti di piemontese concretezza non solo alla sua politica liberale di sostegno della crescita industriale e di allargamento della base elettorale alle masse socialiste riformiste e a quelle cattoliche, ma
anche alla scelta di aprire, con la conquista della Libia, una valvola di sfogo alle frustrazioni nazionali. VALVOLA insufficiente, rispetto all’enorme quantità di energie sprigionata dall’Europa, in corsa verso la grande guerra. Vissuta dalla giovane Italia come una ineludibile prova d’esame per la promozione nella serie A degli Stati. La prova fu molto più dura del previsto e tutt’altro che appagante per il sogno della più grande Italia. Che approdò al Fascismo, anche per sfuggire al sogno concorrente della sinistra rivoluzionaria, ansiosa di fare come in Russia. Il processo di modernizzazione proseguì durante il ventennio fascista, di pari passo con
l’allargamento delle basi sociali dello Stato. Né venne meno, per quanto possibile, la funzione moderatrice del Carlino: quando il partito fascista volle prenderne il controllo, lo sciopero dei lettori lo costrinse a mollare la presa. Funzione moderatrice ripresa alla grande nelle convulsioni del dopoguerra, con il passaggio dalla monarchia alla repubblica, sul doppio fronte del contenimento delle pulsioni ideologiche del partito comunista, al governo nella regione, e del rafforzamento della diga contro il peggio, formata dall’alleanza tra democratici cattolici e laici. L’eredità di Giolitti passava a De Gasperi, creando le condizioni per sprigionare la forza imprendito-
VISTO, SI STAMPI L’equivoco sulla data
Resto che valeva due centesimi
Nel primo numero de Il Resto del Carlino si trovano due date: 20 marzo 1885 (composizione e stampa) e 21 marzo (data di effettiva distribuzione)
Il Carlino, in partenza, doveva rappresentare il resto (del valore di due centesimi) da distribuire nelle tabaccherie agli avventori che acquistavano sigari
riale capace di portare gli italiani a livelli di benessere mai nemmeno sognati prima. Dopo De Gasperi, esaurita la forza propulsiva della formula centrista di governo, la custodia dello Stato democratico sarebbe passata a Moro perché ne allargasse le basi ai socialisti. IL SEGUITO reca la storia di un’altra caduta, con gli anni di piombo del terrorismo, l’inflazione sopra il 20%, l’economia produttiva in recessione e la crisi delle alleanze democratiche. Seguita da un’altra rinascita, con il ritorno della crescita economica e della stabilità politica nel decennio di Craxi. Finito ancora con una caduta, che si conviene attribuire alla campagna moralizzatrice di Mani pulite. In realtà, il sistema politico-istituzionale, bisognoso di restauri mai eseguiti, non si reggeva in piedi. E continua a vacillare con i governi Berlusconi, sotto la duplice spinta dello spirito di fazione e della crisi economica globale. Difficile dire quale sorpresa rechi in serbo il prossimo terzo “Giubileo della patria”. Forse l’evoluzione in una qualche diversa forma di esistenza politica, se vide giusto il poeta Mario Luzi quando definì l’Italia: “Una cosa perennemente da fare, illimitatamente futura”. Comunque, una comunità di destino a cui apparteniamo. Per il bene e per il male.
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I ‘MANIFESTI’ Giovanni Gentile e Benedetto Croce, autori dei due celebri manifesti degli intelettuali fascisti (il primo) e liberali (il secondo)
1925 / I PARTITI CHIEDONO L’ADESIONE DEGLI INTELLETTUALI
«Né di qui, né di là» Prezzolini ribadisce il primato dell’intelligenza sulla passione di GIUSEPPE PREZZOLINI 26 maggio 1925
E LA parola «intellettuale» ha un significato, esso viene da «intelligenza». Se «intellettuale» è colui che adopera l’intelligenza, l’intellettuale non può aderire al Manifesto degli intellettuali fascisti, e soltanto in parte a quello degli intellettuali liberali, perché l’uno totalmente, l’altro parzialmente, rispondono ad una azione politica, anzi ad una passione, che rispecchia gli scopi dei partiti politici, o meglio delle parti, che sono in contesa in Italia. E un intellettuale, se vuol conservarsi tale, non può oggi aderire ad una parte politica. Le esigenze della politica in Italia son tali, che milizia ed ossequio ragionevoli non sono possibili; si vuole una schiavitù ed una rinunzia del pensiero, che un intellettuale non può ammettere.
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GIÀ, sempre, parte è errore; già, sempre, la verità rispecchia la totalità. Ma oggi più che mai i partiti pretendono che si accetti incondizionatamente tutta la loro mercanzia d’interessi, di idealità, di mitologie. Qual è la parola che più accentuata risuona nel Manifesto degli intellettuali fascisti? La parola di passione. Ma non è questa la capitale nemica dell’intelligenza? Quando si sostituirà alla parola «passione» la parola «dovere»? I partiti domandano l’adesione completa, l’accettazione delle idee come
degli uomini, dei benefici come delle malefatte, dei vestiti come dei nastri, degli scopi come dei mezzi. Non c’è più verso di ragionare, di misurare, di condizionare. La realtà è complicata, e i politici sono semplicisti. Per loro tutta la verità sta da una parte: naturalmente dalla loro parte. E sentono quasi come un’offesa maggiore il rifiuto di militare, che l’affermazione delle idee opposte. Un grido brutale: – di qui, o di là – continua ad echeggiare. A questo l’intellettuale deve opporre il più calmo e risoluto rifiuto. Né di qui, né di là. L’intellettuale si fonda su ideali e su ragioni superiori ai partiti; guarda più in là dei partiti; si sforza di riconoscere quello che c’è di buono in ciascun partito. I partiti hanno certamente ragione di essere esclusivisti ed intransigen-
ti. Il raggiungimento dei loro scopi lo rende necessario. Ma se l’intellettuale vuol essere tale, egli sa che, a sua volta, deve essere intransigente: non cedere agli scopi pratici, ai sistemi che i partiti devono adoperare. L’INTELLETTUALE sa che, con questo suo intransigente rifiuto di arrendersi ai motivi pratici dei partiti, egli compie tutta l’azione politica e nazionale che è nelle sue possibilità. Egli si pone come limite, come argine, alla passione dei partiti, che sommergerebbe altrimenti ogni valore intellettuale. Il suo compito di cittadino consiste proprio nell’essere assente dalla lotta politica. Quale confusione, infatti, negli ultimi tempi, per ragioni politiche! L’arte, la filosofia, la critica sono state stravolte a be-
neficio della gara dei partiti. Teorie messe a servizio delle parti, critiche mosse contro artisti perché militanti in una parte avversa, passioni politiche sfruttate per sostenere opere d’arte deficienti, valori ideali negati per scopi pratici, documenti falsi, polemiche che toccano le più gelose intimità personali; un intellettuale non può certo essere lieto di questo stato di cose. Il suo compito deve proprio consistere nel chiarire, nel valutare, nel ripulire; il suo dovere consiste nel rifiutarsi di aderire a queste storture. SI DEPLORANO amicizie e fraternità intellettuali rotte dalla politica, ma sono molto più gravi le rotture fra intellettuali e programmi di coltura e di scuola, per ragioni politiche. Oggi si è certi che un program-
VISTO, SI STAMPI Il primo amministratore
E la prima giornalista: Olga
Francesco Tonolla fu nominato dai colleghi primo amministratore del Carlino, forse perchè era il più ricco del quartetto. Ma dopo un anno lasciò la compagnia
Olga Ossani fu la prima donna a collaborare con Il Resto del Carlino. Il suo pseudonimo era Febea. Non si risparmiava e passava tutte le notti in tipografia
ma di coltura, un progetto scolastico, una legge militare o di lavori pubblici, non vengono giudicati in base al loro valore tecnico, ma secondo idee politiche, o peggio, secondo il partito che li presenta. Un’idea buona, appena è accettata dall’avversario, diventa pessima, pericolosa per lo Stato, e via dicendo. Si sono veduti esempi singolarissimi di questa maniera di ragionare: progetti democratici combattuti dai democratici, idee conservatrici combattute dai conservatori e via dicendo. La polemica non ha soluzione di continuità con la violenza. C’è un generale imbarbarimento di concetti, di espressioni e di atti. Se i partiti non trovassero, per lo meno, un certo limite nel giudizio degli intellettuali indipendenti, è probabile che farebbero ancora peggio. Non che gli intellettuali possano molto; anzi! La loro particolare incapacità per la vita politica li rende di scarso aiuto nella lotta presente. Tuttavia il prestigio della coltura esiste ancora, e può rappresentare una certa forza, almeno dinanzi alle manifestazioni più spudorate della partigianeria. [...] Giuseppe Prezzolini (1882-1982). Scrittore e autore di un numero incalcolabile di volumi collaborò al Carlino per oltre settant’anni. L’articolo riguarda due celebri «manifesti»: da una parte quello degli intellettuali fascisti, di Giovanni Gentile, dall’altra quello degli intellettuali liberali, di Benedetto Croce.
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L’ORRORE E’ l’11 settembre del 2001, il mondo si scuote per l’attentato alle Torri Gemelle. Migliaia di morti. Rapporti sempre più tesi fra Occidente e Islam
IN PRIMO PIANO LE CRONACHE DEI GIORNI TERRIBILI
Quelle pagine listate a lutto L’attentato a Umberto I, l’assassinio di Moro, l’attacco alle Torri di LORENZO BIANCHI
OTTO la striscia nera del lutto «strilla» il titolo: «L’assassinio di Umberto I˚». Il ritratto del re ucciso dall’anarchico Gaetano Bresci sovrasta una poesia intitolata 29 luglio. Ecco i primi versi: «Scoppia ne l’ira un roco singulto che lacera i patti, / memori di alme gesta, sdegnosi del fatto esecrando / sale alla triste Reggia lugubre di prefiche un canto: / è un singhiozzar di spose che tutte affratella di dolore / sale nell’aria l’inno per fievole voce affannosa / e piange al vostro pianto, dolente Signora sabauda». La cronaca non è da meno.
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L’ARTICOLO comincia così: «Fra il dolore universale e l’esecrazione di tutto un popolo…». Il Carlino piange il «Re leale e buono» ghermito all’Italia nel 1900 «dalla mano colpevole di un assassino il cui nome suonerà sinistramente nella storia quanto più venerato sarà quello della vittima» (30 luglio). Il giornale esce listato a lutto per tredici giorni. Ma non partecipa al coro di coloro che invocano, con il pretesto del regicidio, un’intransigente politica di repressione. Anzi si compiace che il nuovo monarca, Vittorio Emanuele III, abbia respin-
to «i maligni e sovvertitori consigli della stampa moderata e reazionaria … che tripudiava nella rea speranza che si sarebbe entrati in una fase di vendette insensate, di odio politico e di persecuzioni». Il direttore Amilcare Zamorani è il degno erede della tradizione moderata del giornale. LA STESSA medietas di toni, la stessa prudente saggezza la ritroveremo 78 anni dopo in un altro passaggio terribile e stretto della vita della Repubblica nata dopo la seconda guerra mondiale. Il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse rapiscono il presidente del Consiglio Nazionale della Dc Aldo Moro. Proprio quel giorno Giulio
Andreotti dovrebbe presentare un governo di unità nazionale appoggiato anche dal Pci. L’Italia è a una svolta. Si scontrano subito due linee. Cedere o trattare con i terroristi che il 30 marzo fanno arrivare ai giornali un volantino con il quale chiedono uno scambio fra lo statista democristiano e alcuni «compagni detenuti»? Il Carlino si schiera senza esitazioni per la fermezza, pur non avendo reagito al rapimento con la richiesta di leggi speciali. La penna di Silvano Tosi spiega le motivazioni: «Non si deve scendere a patti con i terroristi» per non decretare «la fine della convivenza civile«, perché i «commilitoni degli agenti trucidati, i magistrati, gli avvocati e i
giurati minacciati di morte giustamente si rifiuterebbero di continuare a servire con lealtà e coraggio una giustizia che li avrebbe traditi». Moro viene ucciso il 9 maggio. IL 10 IL DIRETTORE Tino Neirotti scrive che non riesce a convincersi che la Repubblica sia arrivata all’ultima spiaggia. Potrebbe soccombere, argomenta, «solo se continuasse ad opporre ai suoi nemici la stessa inefficienza dimostrata durante i 54 giorni della prigionia di Moro». Parole profetiche. Il sequestro è l’apice e l’inizio del declino per i combattenti della stella a cinque punte. Nel mondo serpeggia e si
VISTO, SI STAMPI I duelli a pagamento
In fila per la rotativa
Tra il 1885 e il 1888 si pubblicarono comunicati a pagamento con i quali i lettori si sfidavano a duello e si rinfacciavano inganni, tradimenti o scortesie
L’8 aprile 1890 entra in funzione la mitica rotativa ‘Marinoni’. Tantissimi bolognesi accorrono in piazza Cavour al momento dell’arrivo di questo colosso tecnologico
manifesta l’11 settembre del 2001 in maniera dirompente un terrorismo diverso, quello di matrice islamica. Cullato e alimentato in Afghanistan in funzione antirussa da americani e sauditi, deflagra contro il simbolo di quella che pare, dopo il crollo dell’Unione sovietica, l’unica potenza globale rimasta, gli Stati Uniti. «Guerra all’America» titola l’edizione straordinaria dell’11 settembre. La foto esibisce la terribile colonna di fumo grigio che si sprigiona da un vuoto innaturale e improvviso nella sky line di Manhattan. «UNA mattina di terrore, di morte e di fuoco. L’America è vulnerabile, sotto tiro e sotto shock». Comincia così la cronaca dell’inviato a New York Giampaolo Pioli. L’edizione straordinaria del giorno dopo stende su tutta la sua prima pagina l’immagine terribile di minuscole figure umane che si accalcano alle finestre di uno dei due grattacieli colpiti. Qualcuna ha già deciso che preferisce lanciarsi piuttosto che aspettare la morte. La testa è incongruamente all’ingiù. Il titolo, rosso, è «venti di guerra» «vendicheremo i nostri morti». Cominciava un conflitto che ancora non è sopito.
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RELAX Nelle due guerre mondiali il ‘Carlino’ era compagno dei fanti che provenivano dalle nostre terre. Qui due bersaglieri negli anni Quaranta
PICCOLE STORIE DIETRO GLI ORRORI DELLA GUERRA
In trincea si legge il Carlino Il rito consolatorio della lettura dei fatti sul quotidiano di casa di GIUSEPPE RAIMONDI 20 marzo 1965
ARRIVO, in zona di guerra, del vecchio Carlino di casa nostra era un momento aspettato nella giornata. Vedere la testata, in quei caratteri ancora ottocenteschi, perfino infantili, come dei bastoncini piegati a formare delle lettere: e l’insegna del sognato “progresso” rappresentato dal frammento di palo telegrafico, con i pochi fili intorno agli isolatori di porcellana: solo a spiegare il foglio, questo era il primo segno di qualcosa, di una realtà, rimasta intatta da un tempo di vita tranquilla, di esistenza silenziosa, e modesta, anche faticosa, ma che ancora poteva chiamarsi un’esistenza umana.
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L’OCCHIO del soldato correva alle notizie, ai titoli messi sulle corrispondenze di guerra. Anche a quelli dei rapporti e delle vicende politiche internazionali legate alle cose di guerra. E ognuno leggeva, quasi subito, e commentava, spesso in silenzio, il bollettino del Quartier generale. Con sotto la firma di Cadorna. Si leggeva il bollettino per cercar di comprendere qualcosa che a noi sfuggiva, e da cui dipendeva quasi tutto di noi. L’occhio e il cuore del soldato erano, quasi sempre, di quieta, di privata critica. Il soldato non si fa illusioni. Tutto dipen-
de dalla sua condizione presente. Così, col giornale spalancato in mano, ci si trovava in parecchi compagni. Uno stava seduto su di una cassetta, o una pentola capovolta. E leggeva. Leggeva adagio le parole stampate in nero, un nero più vistoso, del bollettino. Era anche per sapere, al nome dei settori nominati, per pensare ad un congiunto, un amico, che si trovava da quelle parti. E a seconda delle parole, trovate in quello stile freddo, senza emozione, stampate in quel breve spazio, immaginava come poteva essere andata all’amico, al congiunto. Nessun commento, ispirato dal sentimento personale, dal timore, dalla speranza. Solo il nome della località che quello ripeteva due, tre volte. Poi un rannicchiarsi, un chiudersi dentro le
spalle, col proprio pensiero. Al massimo, la mano di costui che si allungava, al di sopra dei compagni, e il dito spianato che chiedeva di toccare, nella pagina del giornale, il punto dov’era scritto, stampato il nome del paese, della località temuta. Quasi a nessuno interessava di sentire la lettura, ad alta voce delle corrispondenze di guerra. Quelli sono i discorsi, pensava il soldato, per indorare la pillola. Ma il soldato, di pillole, sa inghiottirne. PIUTTOSTO, fra quelli della città, i nomi dei cittadini morti, defunti, laggiù, vicino a casa. Qualche conoscente, non si sa mai. Allora era sincero il rammarico, e il compianto per i rimasti. La morte di un vecchio, di
una donna di casa, di un bambino, appresa attraverso quello spazio che sembra dividere la vita dall’inferno presente, dove tutto ha l’odore nefasto di morte, poteva muovere una lacrima al soldato, che qui, nel suo inferno senza fine, alla caduta di un compagno non presenta, al più, che un viso esterrefatto, stupito. Poiché, qui, ci si è solo per morire, e star male quasi di più della morte. «Povera donna – mormoravano – come farà senza il suo vecchio». Ma poi il soldato, improvvisamente risollevato dal ricordo della vita di pace, delle ore di divertimento strappate al lavoro della settimana, vuol sapere qualcosa, appunto, dei divertimenti riservati alla gente della città. Chiedono se i teatri sono aperti, e degli spettacoli.
VISTO, SI STAMPI Una redazione nella capitale
Dal 1945 al 1953 un nome diverso
Il 2 aprile 1895 nasce la redazione romana de Il Resto del Carlino. Il primo capo fu Ernesto Rivalta, molto introdotto nel Palazzo e legato a Giolitti
Il Carlino diventa il 21 aprile 1945 Corriere dell’Emilia e tre mesi dopo Giornale dell’Emilia. Ma nel 1953, a furor di popolo, tornò l’amatissimo Il Resto del Carlino
«Ci sono ancora i cinematografi?». «Certo che ci sono». E il compagno che legge il giornale proclama: «Pensate, al Cinema Borsa, in via Indipendenza, si danno i Misteri di Parigi». Il soldato è contento. Gli sembra che, davvero, la vita non debba finire. FINITA LA LETTURA, finiti i brevi commenti, il giornale viene ripiegato con infinita cura. Viene infilato nel tascapane. Può sempre servire. Per involtarsi i piedi, unti di sego, per l’umidità. Per metterlo sul petto, fra la maglia e il corpetto di lana, per difendersi dal freddo. Così le pagine, i brani del vecchio giornale, del nostro vecchio Carlino venuto da Bologna (erano gli anni di Missiroli) seguono per giornate e giornate il destino del soldato in guerra. Ridotto come un cencio, un pezzo di carta, umida e spugnosa, in cui, volendo, si può ancora tentar di leggere qualche frase: delle parole, in momenti difficili, o di noia, di tristezza. Perché sono le parole che vengono di laggiù, da vicino a casa nostra. Le parole di un conforto, le parole di una speranza. Giuseppe Raimondi (1898-1985). Grande autodidatta (faceva l’artigiano a Bologna) e finissimo scrittore, fu segretario di redazione della rivista La Ronda, ai tempi di Bacchelli, De Chirico e altri. Storico collaboratore di Terza pagina. L’ultimo articolo è del 1981.
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MISSIONI Molte volte si va in missione a fare del bene. Tanti italiani, tanti volontari, tanti soldati, hanno svolto e svolgono importanti compiti umanitari. In silenzio
L’ITALIA MIGLIORE SI SVELA DI FRONTE ALLE SCIAGURE
Il filo della solidarietà Sottile, ma tenace, anima i volontari e muove i lettori alla generosità di LORENZO SANI
N FILO sottile, ma tenace, lega ancora oggi saldamente il terremoto di Messina a quello che ha devastato Haiti. E’ il filo della solidarietà e della generosità che in 102 anni non si è mai spezzato. Un filo che mostra il volto dell’Italia migliore nei giorni peggiori, l’Italia dei volontari che scavano a mani nude tra le macerie, l’Italia degli angeli del fango che hanno soccorso Firenze nel 1966 quando l’Arno tracimò, l’Italia delle lunghe carovane di roulotte prestate agli sfollati dell’Irpinia, nel 1980, l’Italia dei volontari che da tutto il Paese sono partiti per il Belice nel 1968, o nel 1976 verso il Friuli, in paesi sperduti quali Gemona e Osoppo, diventati il simbolo della tragedia collettiva causata dalle calamità naturali e cancellati dalla faccia della terra come è successo nella piccola frazione di Onna, alle 3.32 del 6 aprile di quasi un anno fa, icona del martirio subito da L’Aquila.
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MA LO stesso filo, dall’inizio del secolo scorso, lega anche i lettori del Carlino, generazione dopo generazione, sempre con lo stesso entusiasmo, lo stesso slancio, la stessa volontà di fare qualcosa per aiutare qualcuno che non si conosce e di cui si sa la sola cosa che importa sapere: che ha bisogno.
Dalla prima sottoscrizione lanciata all’indomani del terremoto che il 28 dicembre 1908 provocò 80 mila morti a Messina e 15 mila a Reggio Calabria il giornale, mai come in questi casi “vostro”, può dire con orgoglio di aver sempre fatto la sua parte. Non solo il proprio mestiere che è raccontare i fatti, indagare cause e responsabilità come accadde all’epoca coi resoconti e le testimoinianze dirette raccolte da Paolo Maranini e Savorgnan di Brazzà, antesignani degli inviati speciali, e inoltrate a Bologna per telefono e telegrafo. Il giornale si riflette nei suoi lettori, che ne decretano la caduta e le fortune, le stagioni effimere, o la longevità ultra centenaria. La straordinaria ricchezza del Carlino è an-
che nella risposta coerente e nella disponibilità ad offrirsi al prossimo in difficoltà, quando queste tragedie immani colpiscono i paesi vicini, le nostre stesse terre, o remoti paradisi delle vacanze come è accaduto recentemente per Haiti o nel dicembre 2004 per lo Tsunami nell’Oceano Indiano, di chi tutti i giorni ci compra in edicola e nel quotidiano vede un braccio che può intervenire, aiutare, sostenere chi non ce la fa. LA CRONACA fa affiorare l’Italia vera, fatta di uomini e donne, di persone e non di personaggi, molto diversa da quella sempre più autoreferenziale della politica, che stenta a leggere le ansie e il disagio con cui si con-
fronta tutti i giorni la gente comune. La cronaca invece ci riporta per le strade, nelle case, raccoglie i drammi, le problematiche concrete e riesce ad offrire storie meravigliose anche in circostanze drammatiche come fu, ad esempio, l’alluvione del Po del 1951. Il Carlino la raccontò con le penne sensibili e maestre di Enzo Biagi, Massimo Dursi, Franco Vanni, che seppero cogliere anche i fiori che spuntavano nel fango del Polesine alluvionato, così come accadde qualche anno più tardi quando un pezzo del Monte Toc si staccò e precipitò nel bacino del Vajont, causando 2000 morti nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 1963. Il nostro corrispondente dalla redazione di Belluno, Mario Bottari,
VISTO, SI STAMPI Cancellato fondo del direttore
La censura zebrata
La censura sul Carlino. Il 30 luglio del 1943, nei 45 giorni di Badoglio, fu cancellato il fondo del direttore Alberto Giovannini. Uscì bianco lo spazio previsto
Agli articoli censurati veniva in genere praticata una cancellazione a strisce verticali (‘censura zebrata’) che rendeva leggibili solo alcuni frammenti di frasi
chiamò subito il giornale. Bruciò sul tempo le agenzie di stampa che batterono la notizia dopo un paio d’ore la sua angosciosa telefonata alla redazione centrale. TROVANDOSI sul posto descrisse uno scenario talmente apocalittico — e che sul momento non trovava riscontri ufficiali — che il direttore Giovanni Spadolini arrivò quasi a dubitarne. All’indomani, però, spedì sul posto i suoi inviati, ancora la coppia Dursi-Vanni, con Dario Zanelli, e contestualmente innescò un vibrante campagna di stampa «per fare luce piena, sulle cause non importa se immediate o remote, di tanto flagello abbattutosi così’ ingiustamente su una così cara parte della nostra patria». Una battaglia a colpi di editoriali «senza riguardi ai monopoli elettrici privati o a quelli di Stato, alla Sade o all’Enel. Vogliamo sapere tutto, abbiamo il diritto di sapere tutto. Gli oltre duemila morti non sono né del partito comunista, né dei suoi avversari. Appartengono alla storia del nostro stesso paese: una storia che avanzò attraverso tante tragedie per conseguire le mete da cui tanti vorrebbero allontanarla». Parole di fuoco e stampate col piombo. Parole che potrebbero suonare allo stesso modo anche anche ai nostri giorni, ma che non si leggono più.
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IL GIALLO Amanda Knox e Raffaele Sollecito, coinvolti nella morte di Meredith Kercher, a Perugia: è uno dei casi più controversi di questi anni
IL FASCINO INDISCRETO DELLE STORIE DI MORTE
Tutti i particolari in cronaca La ‘nera’ e i suoi protagonisti fra amori, intrighi, rabbie e gelosie di GIANNI LEONI
N UNO dei Dipartimenti della Senna accadde un fatto terribile. Una certa Légrange invaghita perdutamente di un giovane che non l’amava entrò di notte nella casa di lui e si nascose nello stesso suo letto. Quando il giovanotto entrò diede un grido e fu tale la sua paura che impazzì. La donna, fuori di sé, gettossi dalla finestra piano sfracellandosi le cervella orrendamente». Cronaca di un giorno lontano, il primo del Carlino in edicola: 20 marzo 1885. La nera esordì con quel fatto tragico e romantico sotto un titolo sintetico e perfetto: ‘Amor fatale’. Un secolo e un quarto è trascorso dal disperato tuffo nel buio di una notte francese e da allora il truce filone della nera ha steso la sua striscia di sangue giorno dopo giorno e senza confini con la composita folla dei suoi protagonisti e il loro sinistro corredo di coltelli, pistole, lacci e veleni.
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UN DIARIO di morte raccolto dal Carlino con la trama delle imprese di mostri e di serial killer, di coppie diaboliche e di portavoce
dell’eversione, di assassini da strapazzo, di banditi e di balordi, di ragionieri del delitto, di maniaci e di insospettabili vampiri della porta accanto. UNA DELLE prime cronache riporta all’inizio del ’900, ai velluti e ai tappeti di una casa illustre: quella del professor Augusto Murri, medico e scienziato bolognese di fama internazionale. Fu un delitto di ‘gente perbene’, un caso dai riflessi oscuri mescolato in un coktail di mistero, di sesso e di sangue. Era il 1902 e una mano assassina armata di coltello scatenò la sua furia sul conte Fran-
cesco Bonmartini, marito di Francesca Murri, figlia del professore. «L’ho ammazzato io’, disse Tullio Murri, il cognato. Ma il movente rimase confuso tra le pagine di un’intricata storia di amanti, di gelosie, di incesti e di chissà cos’altro. Lo stesso scalpore suscitò, più avanti, la brutta storia di ‘sangue, sapone e biscotti’ messa in scena da Leonarda Cianciulli, a Correggio di Reggio Emilia. «Che buoni questi pasticcini!» si entusiasmavano le amiche fin dal primo boccone. E lei: ‘Li ho preparati con le mie mani’. Tutto vero. E anche gli ingredienti erano fatti in casa: farina, uova, zucchero e san-
gue umano appena raccolto dai corpi massacrati. Era il 1939, tre amiche della Cianciulli ci rimisero la vita sepolte da una tempesta di colpi d’ascia. Le loro ossa sciolte nella soda caustica divennero sapone da bucato, mentre il sangue aggiunse un tocco di particolare sapore ai dolcetti per il tè pomeridiano. L’ORRORE riempì le cronache anche nel ’46. Milano, 30 novembre e una spranga assassina. Chi uccise la moglie di Pippo Ricciardi e i suoi tre figlioletti? Rina Fort, amante dell’uomo, stabilì l’inchiesta. Ergastolo. Finivano gli anni Cinquanta,
VISTO, SI STAMPI Via Mazzini, casa Carducci
Il giornale esce di sera
Nella fascetta dell’abbonamento di Giosuè Carducci non era specificato il numero civico della sua casa in via Mazzini: tutta Bologna sapeva che abitava al 37
Fra il 10 settembre e il 5 dicembre 1914 uscì il Carlino supplemento pomeridiano. Dal settembre del 1919 il via definitivo a Il Resto del Carlino della sera
invece, quando Maria Martirano si afflosciò senza vita sul pavimento della sua casa romana, strangolata da Raoul Ghiani con la perfida regia di Giovanni Fenaroli, marito della vittima. Retroscena: un’assicurazione sulla donna. Nel 1958 morte e mistero comparvero insieme nella pineta di Viareggio. Ermanno Lavorini, 13 anni, svanì tra l’ombra dei pini. Lo ritrovarono sepolto nella sabbia di Vecchiano. L’inchiesta portò a due condanne. CRONACHE di amori, intrighi, rabbie e gelosie agganciati l’uno all’altro da un rivolo di sangue assassino. E nella sfilata solo parziale, ecco Paolo Casaroli, Ferdinando Carretta, Angelo Izzo e Renato Vallanzasca, Annamaria Franzoni, Gianfranco Stevanin, Donato Bilancia, i Casati Stampa, Katarina Miroslava, Doretta Graneris, Erika e Omar, Carlo Nigrisoli i coniugi Bebawi, Pietro Maso, Gigliola Guerinoni e ancora, storia di oggi, Amanda Knox e Raffaele Sollecito coinvolti nella morte di Meredith Kercher, a Perugia, e tanti altri attori di prima piano entrati in scena da soli o in gruppo, ogni volta sullo stesso copione: uccidere.
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L’ASTA La contessa Pia Caroselli in Bellentani indossava una pelliccia quando sparò a Carlo Sacchi. Questa pelliccia fu poi messa addirittura all’asta
PIA BELLENTANI, PROTAGONISTA DI UN CASO CHE FECE SCALPORE
Il delitto della contessa In cronaca lo spaccato di un mondo già annoiato e indifferente di ENZO BIAGI 9 ottobre 1948
A CONTESSA Bellentani non ha mai avuto un così vasto stuolo di ammiratori. E’, oramai, una eroina popolare: i colpi di pistola piacciono molto agli Italiani. Noi abbiamo bisogno, ogni tanto, di una Villa Igea o di una Villa d’Este, di un maestro Graziosi o di una Pia Caroselli: ci aiutano a vivere. Le storie «d’amore e di morte» galvanizzano l’opinione pubblica, escono dalla cronaca per trasformarsi in eventi nazionali. La questione di Berlino è oggi, per milioni di individui, passata in secondo piano, l’ansioso interrogativo non è «Ci sarà la guerra?», ma piuttosto «Condanneranno la nobile signora?» Povera donna, abituata a coprirsi con pellicce di visone, adesso passeggia nuda davanti a infiniti occhi. La carta stampata non ha eccessivi pudori. Sparando, Pia Bellentani ha mostrato la radioscopia di se stessa e di un ambiente, e la lastra viene posta in vetrina perchè tutti sappiano. Si conosce tutto di lei: la sua vita, le sue abitudini, i suoi sentimenti. E si sa tutto degli altri: i personaggi della vicenda hanno un carattere, sono ben definiti. Il defunto Carlo Sacchi rappresenta — nella commedia dal finale a sorpresa — il cinico, e si annun-
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cia subito in modo evidente: sputava sui crocefissi; Mimmi Guidi, la rivale, la quarantenne con figlie da marito, è la classica figura di donna al tramonto, decisa ad afferrare le ultime occasioni; Pia Caroselli in Bellentani è la fanciulla di provincia che ha studiato l’inglese e il catechismo, e che — entrata nella Vita — (quella con la v maiuscola), si smarrisce fra i propositi di redenzione e gli inviti al peccato. Pia Bellentani, ora che è protagonista di una squallida trama, viene dipinta come angelo della giustizia, ma la sua ribellione non ha origine morale; si tratta invece di eccitazione nervosa: spara quando l’amante le dice «terrona», non reagisce allorchè il setaiolo le fa proposte poco oneste. Anche lei, la semplice fanciulla cresciuta
nell’«Abruzzo forte e gentile», si è adattata alla sua parte; la commedia — si tratta, malgrado il morto, soltanto di una commedia — è retta da una precisa convenzione, che non va infranta, i cornuti si scambiano visite e sorrisi; è la regola di quel mondo. ognuno sa ma nessuno strepita; gli urli non si addicono ai gentiluomini. QUESTA è gente che si annoia, che non ha problemi da risolvere, che si lascia vivere. Sono gli indifferenti. A loro pare logico che il buon Dio, che dà le penne agli uccelli dell’aria, e il sole ai fiori dei campi, ricopra d’ermellino le spalle delle donne e mandi una pioggerella di cocaina per alleviare la tristezza degli uomini. Hanno una fede accesa nei doveri della Provviden-
za. Una notte, tra i partecipanti all’eterna festa, si siede la Morte: entra a ritmo di tango, ha perso la tradizionale severità, rispetta le norme del gioco. Si avvicina al signor Sacchi e il cinico — com’è nel suo destino — sorride: non crede a quella signora vestita di nero. La calibro nove funziona, e il signor Sacchi se ne va: ma gli sembra impossibile. La gente si domanda: «Questi sono i signori? Questa è la borghesia?». Io non lo credo: c’è Villa d’Este e anche l’ospedale Gaslini: c’è chi sa creare la Fiat e chi sa inventare cocktail. Non credo a una morale di classe. Questi ricchi che riempiono le colonne di giornali con le loro avventure sono gli esemplari di un ambiente che non ha patria e forse neppure tempo (...).
VISTO, SI STAMPI Bombe e lutti in casa Carlino
La diffusione nel territorio
Il 25 settembre del 1943 la sede del Carlino, fra via Dogali e via Montebello, fu sventrata dalle bombe, che uccisero sette dipendenti
La prima pagina provinciale del Carlino fu destinata alle Marche e all’Umbria (22 dicembre 1910): nel 1925 via con Romagna, Veneto e Mantova
LA MIA curiosità è un’altra: vorrei sapere che cos’è la famiglia per loro, che cos’è la vita. Cosa sono i figli, la casa? Cosa sono, chi sono per voi, signori, quell’uomo che apre lo sportello della vostra automobile , o versa lo spumante, o fa andare le macchine che vi danno il denaro, quegli uomini che vi passano accanto per la strada, che incontrate sui treni, o all’alba, quando tornate a casa, dopo una faticosa nottata di ‘dancing’ o di ’casinò’ ? Che cos’è , contessa Bellentani, la vita? Cortina, Cannes, i modelli della BI KI, le vostre bambine, una pistola, la messa di Natale, i contadini del Reggiano, le amiche del collegio, un romanzo di Caldwell? Noi non siamo dei moralisti: Cristo è morto per tutti, per noi, per Pia Caroselli, per Carlo Sacchi e ci conosce. Non ha importanza se la contessa sarà assolta o condannata; lo ha per lei, forse per suo marito, di certo per le sue figlie. Ha importanza, invece, non scommettere sulle miserie come al totocalcio; distinguere fra la realtà e il cinematografo. Qui non c’è nulla di esaltante: il Cottolengo è uno spettacolo triste. A Villa D’Este ballavano molti deformi; e il quadro clinico indica che sono incurabili. Fanno soltanto pena. Enzo Biagi (1920-2007).Entrò al Carlino nel 1941, vi rimase fino al 1952 e vi tornò nel 1970 come direttore.
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SLOGAN Una delle tante manifestazioni femministe che, soprattutto negli anni Settanta, hanno dato il là a molte delle svolte sociali che hanno preso piede nel nostro Paese
IL CARLINO SPECCHIO QUOTIDIANO DEI MUTAMENTI SOCIALI
Ma come siamo cambiati... Su divorzio e aborto, svolte storiche, dibattito sempre aperto ENTOVENTICINQUE anni di svolte, sociali ed etiche. Pensate che in quella mitica primavera del 1885, quando il Carlino veniva stampato per la prima volta, in Italia il diritto di voto era ancora un optional. Le donne, eccezion fatta per le signore del Granducato di Toscana, non sapevano neppure cosa fossero le urne. Urne che erano tabù pure per i poveri e per gli analfabeti. Siamo dovuti diventare grandicelli per poter finalmente raccontare (marzo e aprile 1946) la prima volta delle donne al voto. Il Carlino aveva già 61 anni. Il voto alle donne rappresenta, non c’è dubbio, una conquista, una svolta sociale storica, per un diritto civile troppo a lungo negato: in Nuova Zelanda, tanto per fare un esempio, già dal 1893 era stata raggiunta la parità.
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PARITÀ, una parolina magica. Piace da morire ma a volte rischia anche di creare grandi fraintendimenti. L’attualità spesso ne stravolge il significato e finisce sempre che solo lo storia è capace di rimettere le cose in ordine. Noi del Carlino — affamati per vocazione di attualità, quotidianità, diciamo pure di realtà — dall’alto dei nostri 125 anni di vita non ci dimenti-
chiamo però neppure della storia e dei suoi passaggi, spesso tortuosi e complicati. E allora prendiamo altre due svolte che hanno segnato il nostro Paese e riempito le pagine del nostro-vostro Carlino: il divorzio (1 dicembre 1970) e l’aborto (22 maggio 1978). Conquiste sociali o iatture, a seconda dei punti di vista. Un dibattito che — a distanza di 40 e 32 anni — resta ancora aperto. PARTIAMO dal divorzio. Il 1 dicembre 1970 il Carlino dedicò l’intera prima pagina alla legge che introdusse il diritto per moglie e marito di mandare a monte un matrimonio. Ci si provava dal 1878 (primo proget-
to di legge), 92 anni dopo è arrivata la fumata bianca (o nera, sempre a seconda dei punti di vista). Titolammo a tutta pagina quel 1 dicembre di 40 anni fa: ‘Varato il divorzio’. L’editoriale, firmato da Ferrante Azzali e intitolato ’Svolta storica’, si chiudeva così: «Il divorzio mira a dare una soluzione equa a casi assurdi, a casi limiti. Ma non vuole essere — e non è secondo la legge ora approvata — un espediente edonistico per cambiare moglie a seconda del capriccio». Per la cronaca, il Carlino raccontò in esclusiva, un mese dopo, il primo divorzio ufficiale di una coppia italiana, modenese,sposatasi nel 1963 e già ‘scoppiata’ un anno dopo.
ECCOCI ALL’ABORTO: un cammino tortuoso, ancora più sofferto. La legge fu approvata, fra equivoci e polemiche, il 22 maggio 1978, nei tremendi giorni successivi al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro. Giulio Andreotti, cattolico doc, mise su questa norma «la firma più sofferta della mia vita» (da 32 anni ripete queste parole). La legge si chiama per la tutela della maternità; dal 1978 a oggi, più di cinque milioni di bambini non sono mai nati, in Italia, per tutelare (tutelare?) queste maternità. Circa 500 aborti al giorno, 20 ogni ora. Questa legge — confermata da un
VISTO, SI STAMPI Ferrara prima fra le province
Oggi sono 15 le nostre edizioni
Il 3 agosto 1945 il Giornale dell’Emilia propone la prima edizione provinciale del dopoguerra: una pagina intera è dedicata alla città e alla provincia di Ferrara
Oggi il Carlino produce centinaia di pagine quotidiane e ha ben 15 edizioni provinciali che vanno da Ascoli Piceno (quella più a sud) fino a Rovigo (quella più a nord)
successivo referendum, come il divorzio — rappresenta per molti una grande conquista sociale e civile che ha dato la possibilità alle donne di autodeterminarsi. Va detto però, ad onor del vero, che la storia del mondo ci racconta che il primo via libera di Stato all’aborto è avvenuto nel 1917, con la rivoluzione comunista. Poi è toccato a Hilter, quindi alla Cina. L’ABORTO fu promulgato il 22 maggio ed entrò in vigore il successivo 6 giugno. Il Carlino, quel giorno, lanciò un allarme, titolando in prima pagina: ’Aborto: a migliaia i medici si rifiutano di praticarlo’. E nell’articolo si parlava di una possibile percentuale di obiezione di coscienza che poteva addirittura raggiungere il 90 per cento. Il giorno dopo si raccontò la storia della prima donna italiana che abortì legalmente (era di Brindisi) e l’8 giugno sottolineammo come il Papa di allora, Paolo VI, invitò apertamente i medici all’obiezione antiaborto. Svolte sociali che diventano anche guerre sociali. Passi avanti o passi indietro, chissà chi ha ragione. Sarà la storia (e magari anche noi del Carlino, quando compiremo 250 anni...) a giudicare ciò che abbiamo combinato in questi primi 125 anni.
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RIVOLUZIONE Il computer e internet hanno cambiato le nostre abitudini negli ultimi 30 anni. Il Carlino ha dato il benvenuto al computer, in redazione, nel 1986
LA SCIENZA, LA TECNOLOGIA E IL RUOLO DELLA STAMPA
Informazione è progresso Le scoperte che hanno cambiato la nostra vita, dalla radio al computer di ALESSANDRO GOLDONI
TAMPA e progresso: binomio inscindibile. Scoperte e innovazioni non avrebbero avuto storia se non ci fossero stati i giornali a raccontarle e a esaltarle. E l’informazione avrebbe avuto vita sterile senza il sostegno delle invenzioni e dei loro padri, a partire da Guttemberg per finire a Bill Gates. Il Resto del Carlino è stato testimone di primo piano del progresso tecnico scientifico. Anzi, la sua storia ultracentenaria coincide con l’epoca delle grandi trasformazioni. Nel 1885 la rivoluzione industriale è già compiuta ma una seconda rivoluzione è dietro l’angolo e sta cambiando il modo di viaggiare. In quell’anno di grazia nel quale nacque il nostro giornale con la prima testata liberty disegnata da Giacomo Lolli, inziò a scoppiettare anche il primo motore a “benzina” brevettato dal tedesco Gottlieb Daimler. Ma il vero padre dell’automobile può essere considerato il tedesco Karl Benz. Nel 1885 costruì un triciclo in tubolari metallici più robusto di quelli a pedali che già circolavano; lo equipaggiò col suo motore a un solo cilindro raffreddato ad acqua, che sviluppava quasi 1 Cv. A Bologna questi trabiccoli si contavano sulle dite di una mano in mezzo a un traffico di
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calessi e carrozze. Nessuno avrebbe scommesso che da lì a un secolo il numero di veicoli avrebbe equiparato quello degli abitanti (circa 600 mila). BIELLE e cilindri delle macchine stradali si evolvono di pari passo con le macchine rotative dei giornali: la «Marinoni», la «Koenig & Bauer», colossali impianti che fanno crescere le tirature del nostro quotidiano. E c’è quasi un’affinità estetica tra i pionieri fin du siecle del volante e i linotipisti dei giornali: berretto, occhiali e i grembiuli sporchi di olio o di inchiostro. Dopo qualche decennio l’automobile scivola già dietro le quinte per colpa dell’aeroplano. Il Resto del Car-
lino intuisce subito l’epocale importanza dell’aeronautica: nel 1909 lancia un manifesto promozionale dove è disegnato un biplano con il titolo della testata sotto le ali, due penne al posto delle eliche e alcune copie del quotidiano che volteggiano nell’aria; sullo sfondo, la torre degli Asinelli (due anni dopo il giornale organizzò un raid con i migliori piloti italiani e francesi e nel corso del quale fu collaudato il primo servizio di posta aerea). Ma prima ancora dei temerari sulle pazze macchine volanti c’è un «temerario» bolognese che sfida gli scettici e che trova la giusta gloria sulle pagine del Carlino. Si chiama Guglielmo Marconi ed è nella sua villa di Pontecchio, come si legge sulla cronaca del
22 dicembre 1897 che «si applicava con la massima assiduità tendendo in ispecial modo a produrre un nuovo sistema di telegrafia senza fili...». E’ solo il primo di oltre cento articoli che il quotidiano dedicherà all’inventore della radio. IL 900 incalza e occupa pagine e titoli con le sue grandiose tragedie: la Grande guerra, il fascismo, la seconda guerra mondiale, l’olocausto degli ebrei e quello atomico. La formidabile scoperta di Enrico Fermi è stata applicata nella versione più catastrofica. Per fortuna, da noi le bombe fanno danni, tanti, ma lasciano spazio alla rinascita. Il Carlino, che nel frattempo si è chiamato Giornale dell’Emilia
VISTO, SI STAMPI 1966, inizia l’era di Attilio Monti
1969, sulla luna e... in via Mattei
Il 18 novembre 1966 il Cavaliere del Lavoro Attilio Monti viene nominato presidente della ‘Poligrafici Il Resto del Carlino’ ed apre un’era storica per il nostro gruppo
Il 1969 è l’anno dello sbarco dell’uomo sulla luna. In quegli stessi giorni Il Resto del Carlino inaugura l’avveniristica sede di via Mattei, dove si lavora anche oggi
e Corriere dell’Emilia può tornare a raccontare le migliori imprese e invenzioni dell’uomo. L’apoteosi sembra raggiunta l’11 luglio 1969, quando Neil Armstrong lascia la sua impronta sul suolo lunare. I giornalisti dei quotidiani si sprecano in aggettivi per descrivere lo sbarco ma la famosa telecronaca di Tito Stagno e le immagini in diretta dalla Luna hanno già detto tutto. Così, quella data storica sembra anche un de profundis per la stampa, surclassata dalla televisione. Ma il futuro smentirà certe previsioni. Anzi, sarà proprio il video a rivoluzionare il mondo dei quotidiani. NEL 1986, un anno dopo il centenario del Carlino, sui tavoli delle redazioni arriva il computer. Nel 1993, la video impaginazione, nel 1999, la svolta epocale per i giornalisti: la possibilità di vedere in video la pagina e scriverci dentro anche l’articolo. Sempre in quell’anno il primo «vagito» web del Carlino. L’era di Internet sembra relegare alla preistoria quella del piombo. E a guardare indietro a quel lontano 1885, nel quale la parola «velocità« sembrava potersi abbinare unicamente alle prime automobili, viene da sorridere. Oggi per saltare da una parte all’altra del mondo basta un clic.
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LA ‘MODA’ I il termine elzeviro indicò a lungo l’articolo di apertura della terza pagina. Ma elzeviro è prima di tutto un carattere tipografico, ideato nel XVI secolo in Olanda
LA TERZA PAGINA E GLI ARTICOLI DI DON FUSCHINI
Anarchici in elzeviro Storia di un prete che scrive dalla Romagna sulla testata più laica di FRANCESCO FUSCHINI 4 novembre 1975
OLLABORAVO all’Avvenire d’Italia, quando ricevetti una lettera di Vittorio Zincone direttore del Resto del Carlino che mi comunicava la disponibilità del giornale ad ospitare i miei anarchici in elzeviro. Gli mandai il racconto di un prete che pescava cefali e li rispediva in mare dopo l’ascolto di una predica sull’anarchia romagnola nel Vangelo. Ricevetti 5.000 lire di compenso e mia madre mi scongiurò di restituirle per non far torto al settimo comandamento: non vedeva nessun nesso contabile tra la storia del prete svampito e la concretezza dell’assegno che poteva trasmutarsi in un’infornata di pane.
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NEL ’54 uscii sul Carlino a passo trimestrale; nel ’55 ripiegai su due articoli: tre mesi per scrivere il racconto e tre mesi per pentirmi di averlo scritto. Intanto Manara Valgimigli dalla biblioteca Classense non cessava di erudirmi sulla via corta al successo: «Scrivi poco, figliolo; scrivi poco se vuoi che il lettore ti cerchi». Finché una notte il postino bussò alla finestra perché aveva un telegramma da consegnare. Questa volta mia madre attaccò coi Requiem secondo la semantica familiare per cui il telegramma è sempre un segno infausto. Invece si trattava
del messaggio del nuovo direttore del Carlino: «Urge elzeviro. Giovanni Spadolini». Il primo amore di Spadolini fu la terza pagina e nella terza pagina l’elzeviro che curò come un geranio su davanzale. C’era (e c’è) in Italia un prete che scrive di cose letterarie con la brunitura stilistica di Virgilio; manzoniano di stretta osservanza, elzevirista al tornio, amico di Renato Serra e della Romagna: i lettori della terza pagina del Carlino sanno che questa è la carta di identità di Cesare Angelini. Il direttore Spadolini dopo una corte stretta e sempre infruttuosa per indurlo a fare le corna al Corriere della Sera, chiese a me di mettermi in mezzo: «Tra voialtri preti vi intendete col latino». Angelini accettò la malleveria e io ho sempre considerato la
presenza della sua firma sul Carlino come la migliore delle mie collaborazioni. Un prete che collabora al Carlino di Carducci e di Max David (per dire di due età dell’anticlericalismo d’arte) fa più spicco di un prete nella neve. Il giornale è laico in tutte le sue rotative, suona la tromba e non la campana: i sei direttori che hanno governato il ventennio della mia collaborazione da Zincone a Pieroni, sono laici; il tempo storico della collaborazione è andato trascolorando dal bianco al rosso; io ho seguitato a picchiare sul mio chiodo cattolico e nessuno mi ha fermato il martello. HO SEMPRE mirato al cuore del lettore dov’è nascosto il mistero avaro della felicità: se riesco a farlo sorridere
(mi incoraggiavo graffiando il foglio con la penna mozza) ho salvato la mia giornata. Ho scritto articolisvincolo come un contributo alla sconquassata industria dell’uomo: pochi problemi, niente tematiche e accidenti alla politica. Tanto è vero che mentre nasceva in Italia il gran fatto del Centro-Sinistra io scrivevo sul Carlino la storia di un matrimonio di mista religione finito a morsi. Francesco Fuschini (1914-2006). Parroco romagnolo e raffinato scrittore. Scoperto, quando era ancora seminarista, da Piero Bargellini che lo fece debuttare sulla rivista Il Frontespizio. Elzevirista al Carlino dal 1953. Tra i suoi libri L’ultimo anarchico, Le parole poverette e Vita da cani e da preti.
VISTO, SI STAMPI Professione ‘strilloni’
Il giornale arriva al ristorante
Considerati una sottospecie di giornalai, gli ‘strilloni’ del lontano 1938 percepivano un compenso di uno scudo ogni tre ore di strilli
Gli strilloni sono al lavoro anche oggi per il Carlino: in tarda serata distribuiscono nei locali del centro le prime copie appena stampate del giornale
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ENTUSIASMO Alberto Tomba dal 1986 al 1998 ha regalato allo sport italiano emozioni indimenticabili. Tomba ha ottenuto 50 vittorie in Coppa del mondo e tre ori olimpici
LE IMPRESE DEI CAMPIONI DELLO SPORT
Frammenti di gloria «Il Carlino è il primo giornale che leggo», diceva Enzo Ferrari di LEO TURRINI
L ‘CARLINO’ e lo sport: quasi una storia d’amore, tante cronache che si fanno romanzo, rendendo testimonianza di un universo agonistico figlio sempre della passione. Non per niente Enzo Ferrari, uno dei grandi italiani del Novecento, pubblicamente dichiarava: ‘Il primo giornale che leggo la mattina è il Resto del Carlino, perché è il quotidiano dei miei operai e dei miei tecnici’. A lui, il Drake di Maranello, abbiamo dedicato centinaia e centinaia di pagine. Quando tagliò il traguardo dei novant’anni, nel 1988, gli regalammo un inserto speciale, le memorie di una vita racchiuse in articoli che narravano vittorie e sconfitte, imprese e drammi. E del resto il rumore dei motori è la colonna sonora delle nostre terre, dagli echi remoti delle Mille Miglia fino ai moderni ruggiti di Valentino Rossi. Inoltre, alla Formula Uno si lega il ricordo di un numero ‘unico’, roba da collezionisti: l’edizione straordinaria preparata l’1 maggio 1994, per raccontare in ogni dettaglio la tragedia di Ayrton Senna, il pilota più amato, sul circuito di Imola. Nelle edicole non ne rimase una copia.
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Il ‘Carlino’ e lo sport, quasi una storia d’amore, sin dalle righe dedicate allo sfortunato fornaio di Carpi, quel Dorando Pietri che nel 1908 commosse la Regina d’Inghilterra stramazzando al suolo a pochi metri dal trionfo nella maratona. E non era mancata una compassata attenzione per il Grande Bologna di Schiavio e di Biavati, una squadra ‘europea’ a dispetto di radici saldamente llocali. ED E’ al pallone, guarda caso, che si deve la svolta nel rapporto tra la testata e le passioni nazionalpopolari: in particolare, allo scudetto, l’ultimo, del Bologna. In mezzo, a corredo di una Italia che si risollevava dal disastro bellico, c’erano state le avventurose te-
stimonianze del duello in bicicletta che spaccava in due il Bel Paese: di qua Coppi, di là Bartali, il Giro come campo di una battaglia fortunatamente non più sanguinaria. Ma si diceva della svolta. Arrivò nel 1964. Fino ad allora le rigide strutture del giornale confinavano lo sport nelle…retrovie. Ma Giovanni Spadolini, direttore che pure di calcio capiva zero, ebbe l’accortezza di intuire che la corsa dei rossoblu (allenati da una figura fascinosa come Fulvio Bernardini, già compagno di tennis del Duce), verso il titolo valeva ben più della statistica. In ballo e in bilico c’erano i sentimenti di una città intera, dolorosamente turbata dall’ingiusto coinvolgimento in un presunto
scandalo di doping. Quando, il 7 giugno allo stadio Olimpico di Roma, il Bologna di Bulgarelli e Fogli, di Haller e dell’assente Ezio Pascutti vinse lo spareggio tricolore battendo l’Inter per 2-0, Spadolini riservò la prima pagina all’evento. E affidò l’articolo che sublimava una generazione alla penna di Luca Goldoni. PER AT. Dopo, le cose cambiarono. Cambiò il modo di confezionare i quotidiani, certe forme di altero distacco vennero travolte da un giusto rispetto per le emozioni semplici della gente. Tra editoriali dedicati alla politica o servizi una guerra avrebbero trovato posto, giustamente, gli scudet-
VISTO, SI STAMPI Due mongolfiere per una festa
In regalo assegni da Paperoni
Si è detto che, dopo una parentesi, il Carlino tornò Carlino nel 1953. Per questo evento il 4 novembre il cielo di Bologna fu sorvolato da due mongolfiere
Le due mongolfiere portavano una copia omaggio dell’edizione speciale e un assegno da 50mila lire. La fortuna toccò due contadini toscani
ti sotto canestro della Virtus e della Fortitudo, simboli di una certa idea americana della vita, dalla Via Emilia al West, il basket delle Due Torri come momento di convergenza tra Vecchio e Nuovo Continente. E così, a febbraio del 1992, il direttore Marco Leonelli fece il diavolo a quattro in tipografia, pur di riuscire a posizionare in alto nella prima pagina un titolone che in apparenza aveva troppe ‘battute’. Eccolo qua: ‘Tomba leggendario’. Lunghissimo, ma pubblicato: in omaggio allo spettacolare sciatore emiliano, primo nella storia della Olimpiade invernale a riconfermarsi campione. AT, l’extraterrestre delle nevi, faceva notizia anche quando non gareggiava. Come lui Marco Pantani, cui il destino avrebbe riservato un epilogo sventurato: ma le pagine che il ‘Carlino’ dedicò ai suoi miracoli sulle strade del Giro e del Tour nel 1998 restano indimenticabili, così come non si può rimuovere lo strazio per la sua scomparsa. Il ‘Carlino’ e lo sport, quasi una storia d’amore, una lezione di vita che continua, sul fascicolo nazionale e nelle cronache locali. Perché, come diceva Enzo Ferrari, è il primo giornale da leggere, la mattina.
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MAESTRO Arturo Toscanini, uno dei più grandi direttori d’orchesta della storia, non cedette alle pressioni del regime e si rifiutò di eseguire ‘Giovinezza’ e L’Inno Reale
A BOLOGNA AGGREDITO TOSCANINI CHE NON SI PIEGO’ AL REGIME
Il direttore schiaffeggiato Poi la nascita della Rai, i Beatles, Sophia Loren e l’oscar a Benigni di LORELLA BOLELLI
UELLO SCHIAFFO gli cambiò la vita e senz’altro la carriera. Era il 14 maggio 1931 e Arturo Toscanini, il più celebre direttore d’orchestra di tutti i tempi, era proprio a Bologna, tra le sacre volte del Teatro Comunale, dove si apprestava a dirigere un concerto in memoria di Giuseppe Martucci. In platea c’erano Ciano e Arpinati ma nemmeno quelle presenze lo indussero a cedere alle pressioni per eseguire “Giovinezza” e l’Inno Reale. Né lo convinse l’aggressione fisica che una camicia nera gli riservò nei pressi di un ingresso laterale, anzi in quell’istante, dopo dieci anni di allori raccolti dal podio del Teatro alla Scala (1898-1908) decise di lasciare l’Italia e di emigrare negli Stati Uniti. Ma nessuno, il giorno dopo, seppe di quell’episodio né probabilmente seppero il motivo del loro vano ingresso in teatro gli spettatori che pure dalle colonne del nostro giornale erano stati avvisati la mattina stessa che era necessario “essere puntuali perché scoccata l’ora (le 21.15) si chiuderanno le porte”.
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SE NELL’ITALIA del regime l’informazione di spettacolo era di servizio o apologetica anche attraverso eventi ritenuti di prestigio (lo stesso annuncio del concerto a firma di Euge-
nio Giovannetti non risparmiava elogi al musicista, ma suona a posteriori quasi profetico al contrario — «Tutte le volte che si rivede è una festa; con lui torna ogni volta lo splendore della vecchia Italia che ci ha educati perché Toscanini è stato senza parerlo uno degli educatori più originali della nostra giovinezza...»), i decenni successivi perdono forse i vincoli della censura ma non per questo mostrano di prestare la dovuta attenzione a manifestazioni che il tempo decreterà epocali, a conferma che il giornale è specchio dei tempi, è cronaca del quotidiano ma la contemporaneità impedisce evidentemente di scrivere la storia nel momento in cui si sta ancora compiendo perché la nozione di pietra miliare si forma e si rende percepibile solo quando il mito è già costruito. Così
quando nel 1965 arrivano in Italia i Beatles per tre concerti a Milano, Genova e Roma per la loro prima e ultima tournèe nel Bel Paese dopo che un anno prima avevano già ricevuto una consacrazione negli Usa, un articolo di Lincoln Cavicchioli che rendiconta sul live del Vigorelli bolla la beatlesmania come una moda già al tramonto («qualche deliquio femminile, qualche raucedime estemporanea e nient’altro») enfatizzando però la generosità dei Fab Four che «hanno incaricato l’amministratore mister Epstein di donare a loro nome 250mila lire pro-capite all’opera don Gnocchi per i figli dei carcerati e a una colonia per bambini gracili che reca il nome di Giuseppina Saragat». COSÌ NON c’è da meravigliarsi se
anche per una data storica come quella del 3 gennaio 1954 quando nasce ufficialmente la Rai in un Paese che ha però solo 15.000 televisori attivi e un apparecchio costa tra 160.000 lire e un milione e tre con redditi procapite annui di 258.000 lire, il riscontro sulla pagina scritta sia piuttosto modesto: un pezzo non firmato datato Città del Vaticano per esprimere tutti i dubbi di papa Pio XII sui vantaggi e i pericoli legati al nuovo mezzo di comunicazione... E ancor meno stupisce il silenzio assoluto verso Woodstock, il raduno da 500.000 persone nel nome di pace, amore e libertà che convogliò tra 15 e 18 agosto 1969 verso Bethel, una piccola cittadina nello stato di New York, l’intero movimento hippy, segnò l’apice della controcultura e un vertice mai più
VISTO, SI STAMPI La strage di Bologna
Fondo nero immagine choc
In occasione del primo anniversario della strage di Bologna, uscì un supplemento speciale. Una scritta in copertina: ‘Conosciamo solo i nomi delle vittime’
In quella copertina un fondo nero e un’imagine disegnata che ricorda ‘Guernica’, il capolavoro di Picasso: volto rosso sangue e braccio teso, squarciato
raggiunto nella storia del rock (si esibirono trentadue tra musicisti e gruppi). MA IL TEMPO scorre non invano e anche la telecrazia impone la dittatura dei vip dello spettacolo, sensibilizza a tutte le forme del divismo, rende il lettore stesso esigente sugli argomenti relativi influenzando giocoforza anche le scelte editoriali così mentre il 21 marzo 1999 a Los Angeles la divina Sophia Loren urla con la sua cadenza ancora pozzolana “Roberto”, la redazione si prepara a rendere il dovuto omaggio al “piccolo diavolo” di Vergaio e sulla prima pagina del 23 marzo giganteggia la sua foto con l’Oscar e un titolo eloquente assai: “Benigni è un mito” seguito da cinque pagine di servizi e commenti. Sophia, 37 anni prima, era stata l’ultima italiana a ricevere la statuetta come migliore interprete, e si era guadagnata solo un titolo di taglio a pagina 3 a firma di Dario Zanelli che sottolineava però soprattutto il risvolto sociologico: la Mecca del cinema aveva, per un attimo, con questa scelta, interrotto la sua tirannia premiando una straniera... Che però a quanto pare non aveva neanche attraversato l’oceano se la foto a corredo mostra la protagonista al telefono, con mamma Romilda alle spalle, mentre riceve sorridente via filo l’annuncio della vittoria.
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AMARCORD Federico Fellini, romagnolo di Rimini, ha fatto la storia del cinema italiano. Nato nel 1920 e morto nel 1993, ha legato la sua vita a un’altra grande artista, Giulietta Masina
IL SENSO DEL MAESTRO NELLA SCELTA DEGLI INTERPRETI
Nel laboratorio di Fellini Personaggi insoliti e divertenti si propongono all’esame del regista di DARIO ZANELLI 29 maggio 1964
UESTA bella chiocciona!», esclama Federico Fellini, volgendosi, con tono di gioviale ammirazione, verso la graziosa, sorridente signora che gli siede di fronte: una donna sui trentacinque, bionda e rotondetta, dalla pelle lattea e dagli occhi color verde marino, che tiene accanto a sé una bimba di sette-otto anni, con le treccine rosse, il viso cosparso di lentiggini e gli occhi verdi, verdi proprio come i suoi. «Quanti figlioli ha già, signora?», chiede Fellini. «Sei, dotto’. E mi bastano...». «Ma no, perché non continua? – replica sorridendo il regista. Le riescono così bene questi bambini... Tutti così carucci, così assomiglianti alla mamma...». «Eh, lei ha voglia di scherzare, dotto’. Sei sono tanti, sa...». Si tratta, evidentemente, di una vecchia conoscenza. Un’altra pulcina della “bella chiocciona” era comparsa, a quanto sento ricordare, ne La dolce vita; questa che vedo avrà probabilmente una parte, magari appena un “cipcip”, in Giulietta degli spiriti. Ecco la piccola fra le mani della sarta, che le sta prendendo le misure per i vestiti. È quasi una garanzia d’ingaggio: chi viene misurato sarà tosto chiamato. Fellini sta appunto scegliendo, in questi giorni, gli interpreti, maggiori e mi-
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nori, del suo prossimo film. Decine di persone di ogni età, convocate secondo un preciso programma da una dinamica segretaria, sfilano quotidianamente dinanzi ai suoi occhi, nello studiolo che egli occupa al primo piano della palazzina degli uffici cinematografici di Rizzoli in piazza dei santi Giovanni e Paolo, all’ombra di antiche mura e di giovani fronde. IL CELEBRE regista siede, con l’aria di chi continui a divertirsi un mondo a quella specie di gioco, dietro una scrivania ingombra di foto, di carte, di larghe buste rigonfie. Alla sua destra, un fido collaboratore: Piero Gherardi, il fantasioso costumista e scenografo che per le brillanti invenzioni di Otto e mezzo ha vinto, come
sappiamo, uno dei premi Oscar. Di fronte alla scrivania, un paio di poltrone. In un angolo, armata di metro e matita, la sarta. Fellini figge lo sguardo delle nere pupille, aggrottando un poco la fronte, sulla bambina o sul giovanotto, sulla bella ragazza o sul vecchio signore che via via gli compaiono davanti, scambia con ciascuno di loro qualche battuta scherzosa, confronta il soggetto originale con le fotografie che Gherardi gli passa man mano, prende due rapidi appunti e, se il tipo gli va, lo rimanda a casa felice con la promessa di un provino. Ogni volta che ha finito, bussa robustamente con le nocche delle dita contro il muro, per far capire alla segretaria, nella stanza attigua, che è il momento d’introdurre
un altro degli esaminandi. Ecco una marcantonia parigina: di faccia non si può dire straordinaria, ma ha un corpo lungo un metro e ottanta, o su di lì, e snodato come quello di un serpente. «Paule – le chiede Fellini – sei tu che facevi quel numero in calzamaglia nera, con gli anelli...?». Sì: è lei. Logico, quindi, che venga invitata a presentarsi, per il provino, con i ferri del mestiere. [...]. Arriva la segretaria: «C’è la...», dice, bisbigliando un nome all’orecchio di Fellini. «Falla accomodare nel salottino, veniamo noi da lei». Si tratta, è chiaro, di una persona di riguardo, forse di un’attrice illustre, che sarebbe indelicato esaminare in presenza di estranei. «Ci vuoi scusare un momento?». E come no? Rimasto solo nella
VISTO, SI STAMPI Quanto costiamo dal 1885 a oggi
Meno pagine, minor spesa
Dai due centesimi di resto alla moneta, nel 1885, il costo de Il Resto del Carlino ha raggiunto le 600 lire nel 1884. Oggi il nostro giornale costa un euro e venti centesimi
Fra il 1946 e il 1967 il prezzo subì oscillazioni in base al numero delle pagine: poteva andare da 4, 5, 6 o 8 lire a seconda se le pagine erano 4, 5, 6, 7 o 8.
stanza, posso approfittarne per gettare un’occhiata indiscreta alle intestazioni delle buste sparse sulla scrivania. LE SCRITTE sono di pugno del regista: “vecchie signore”, dice una; “belle ragazze”, dice un’altra; “facce buffe”, una terza; e ancora leggo: “tipe interessanti”, “il nonno di Giulietta”, “Santa della graticola”... Una busta è contraddistinta da un disegnetto raffigurante il sole, e da una scritta tipicamente felliniana: “Mi piacciono tanto e bisogna usarle comunque”. (Bisogna usarle, allora, anche se non c’entrano? State tranquilli: se gli piacciono tanto – le donne, o le cose di genere femminile contenute in questa misteriosa busta – Fellini troverà certo il modo d’inserirle acconciamente nella sua storia). Appeso al muro è un grande pannello, sul quale il regista riminese ha appuntato, com’è sua abitudine, le foto più diverse: idee, suggestioni per il film in fieri, punti di partenza per la fantasia, termini di riferimento per la memoria, allusioni decifrabili solo dal loro padre [...] Dario Zanelli (1922-2000). Inviato speciale e vice direttore con Enzo Biagi, ma soprattutto critico cinematografico fra i maggiori. Autore di libri di cinema (premio Campione e premio Marzotto) con particolare attenzione all’opera di Federico Fellini.
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La Famiglia Berti ha una lunga tradizione ed esperienza nella macellazione dei conigli. In virtù di questo e con l’intento di migliorare ulteriormente la qualità ei propri prodotti, ha intrapreso l’attività di allevamento per offrire alla propria clientela un prodotto che veramente vada a differenziarsi da quanto si trova oggi sul mercato. Siamo in grado di poter affermare che tutti i nostri prodotti sono accuratamente selezionati e seguono metodiche di lavorazione e conservazione all’avanguardia e sempre in rispetto alle norme di qualità vigenti sul mercato. I nostri conigli sono di origine controllata, nascono e crescono tutti nella Nostra Terra. I Vostri piatti a base di coniglio vi diranno tutto sulla nostra carne, lo sentirete dal sapore e lo vedrete dalla cottura che sarà BERTI PIERO sempre un successo. Provateli e saremo felici di sentirvi dire che siete soddisfatti del nostro prodotto.
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UNA FAMIGLIA Il Carlino è alle prese da 125 anni con notizie, articoli, titoli e fotografie. Migliaia di persone si sono alternate in un lavoro appassionato e appassionante
AMARCORD DI UN INVIATO NELL’EX SEDE DI VIA GRAMSCI
Il Royal Hotel Carlino Alla riscoperta di Bologna, della sua gente e del suo giornale di SERGIO MALDINI 21 ottobre 1973
ALTRO giorno sono sceso al Royal Carlton. Era un pomeriggio d’autunno, grigio e dolce, di quelli che fanno presentire il Natale. Subito alla reception sono stato accolto con quella sussurrante discrezione propria dei grandi alberghi, e un uomo molto distinto mi ha accompagnato al quinto piano. [...]Io ero sceso al Royal Carlton per una ragione precisa, in quanto l’albergo sorge dove c’era il Carlino, e volevo constatare come su uno stesso spazio possano esistere cose, uomini, istituzioni, profondamente diversi. Ma mentre pensavo al Carlino, guardando fuori della finestra e dentro la mia stanza, improvvisamente mi sono accorto che mi trovavo a Denver o a Salt Lake City. L’ufficio della Previdenza Sociale che avevo di fronte, con tutta la sua attività, le carte sparse sulle scrivanie, i bravi impiegati che le studiavano pensosamente, le segretarie trascorrenti da una camera all’altra come sospese nel calmo chiarore di un acquario, aveva anch’esso qualcosa di americano. Non era, questo ufficio, nemmeno lontanamente da paragonare a quelli di Roma, dove c’è sempre un cameriere con un vassoio pieno di brioches e di cappuccini, e ricco di notizie fresche su Chinaglia. Qui a
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Bologna, invece, gli impiegati rivelavano una immedesimazione nel proprio dovere, come appunto negli Stati Uniti. Io guardavo affascinato questo mondo al di là dei vetri, indugiando nella percezione sognante e furtiva delle immagini che lo esprimevano. Ciò che più mi prendeva era questo sprofondare nel cuore di Bologna, sepolto in una civiltà continentale, in un posto dove esisteva la dolcezza dei lunghi inverni, e dove si sognava la propria vita. Le civiltà costiere, mediterranee (forse mi sbaglierò) hanno qualcosa di fuggitivo: invece nelle grandi pianure, lontane dal mare, da ogni indolenza africana, l’uomo nutre un’idea di stabilità e rifiuta le improvvisazioni. Così pensavo nella mia stanza al Carlton, e la sera non riuscivo a dor-
mire. Ad un tratto, aperte le finestre, udii i fischi delle locomotive esauste agli scambi, come nel 1954; allora mi rivestii e scesi nell’atrio. Camminando in questi saloni pensavo a cosa corrispondevano nel vecchio Carlino. Dove c’era la reception ci doveva essere stata una rotativa, e qui, dove un ragazzo in livrea osservava trasognato il viavai febbrile del mondo, c’era stato forse un magazzino per la carta. AL POSTO della redazione sul lato di via Montebello c’era il vuoto del parcheggio, l’immensità dell’aria notturna, e una nebbia leggera appannava i vetri delle macchine. Questo vuoto che sostituiva la nostra esistenza di un tempo, i nostri stanzoni disadorni, i nostri discorsi nel corridoio diventato scuro per i fumi del piombo, era
abbastanza singolare. Qui, dove Spadolini, o Zincone, o Bartoli, avevano pensato un articolo, qui nell’aria disabitata della notte, adesso transitava un insignificante industriale di Stoccarda. Tornai su e provai a riaddormentarmi. Ma di nuovo i fischi della stazione ferroviaria che entravano dalle finestre aperte, e il ricordo degli amici vissuti nei piani inferiori, me lo impedivano. Nel corridoio principale passava Zanasi, un mozzicone di sigaretta pendula fra le dita bruciate, Pagliaro discuteva appoggiato alle cassette della posta, e la rotonda testa di Severo Boschi emergeva dall’ultima stanza prima della tipografia. Più in qua, nelle adiacenze del bar, noi parlavamo della vita. Il vecchio Carlino era anche questo: il parlare della vita.
VISTO, SI STAMPI Il boom della guida tascabile tivù
Il Superbingo apre un’era
Negli anni Settanta fu offerto settimanalmente il tascabile Carlino Tv che conobbe uno strepitoso successo e fu imitato sia nella formula che nel formato
Il Superbingo fu l’altro grande successo del Carlino: fu annunciato il 14 aprile 1984 e fu subito un boom. L’idea è stata poi copiata da molti
NEGLI ANNI Cinquanta non c’erano ancora in via Milazzo i palazzi della Previdenza e gli altri contigui; non c’erano automobili ma poche biciclette sgangherate; dai sotterranei di via dei Mille saliva un inebriante odore di vino: e al Carlino si parlava della vita. Qualcuna di queste persone con cui parlare adesso era morta. La Bologna agricola, la Bologna calda e materna dei portici, degli effluvii vinosi, della campagna, cedeva all’espansione industriale. Per le sue vie intasate di traffico nessuno guardava più i muri rossi che la connotavano. E così anche il vecchio Carlino se ne era andato, e in questo bellissimo albergo assistiamo alla nascita di un’altra città. La mia stanza al Carlton è proprio a nord-est, sopra l’ex-entrata di via Gramsci, custodita allora dal mio amico Benfenati, al quale chiedevo sempre cum l’andeva l’ucareina. Per anni Benfenati mi aveva risposto che non c’era male. Dal suo autorevole banco egli esprimeva il virile ottimismo della vecchia Bologna, oltre che, naturalmente, una sua insindacabile fede privata. Sergio Maldini (1923-1998). Scrittore e giornalista. Al Carlino dal 1944, premio Hemingway nel 1953 con il primo romanzo I sognatori, tornò alla letteratura quarant’anni dopo, vincendo, fra l’altro, il premio Campiello nel 1992 con La casa a Nord-Est.
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