Lontano da Dove

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loNtaNo Da DoVe uno sguardo sulla scena artistica sarda contemporanea Az.Namusn.Art, Giulia Casula, Cristian Chironi, Marco lampis, Pietro Mele, Stefano Serusi, Carlo Spiga, Rachele Sotgiu e Antonella Anedda la Pelanda - Centro di Produzione Culturale 14 - 29 novembre 2012

Mostra e catalogo a cura di Maria Rosa Sossai Coordinamento generale Claudia Rampelli Logistica sguardo contemporaneo fabrizio Manzari, Antonio Pizzolante, Carmela Rinaldi Ufficio Stampa ChiNa Press Office Progetto grafico BeVeTePIulATTe

Progetto finanziato da Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato del lavoro, formazione Professionale, Cooperazione e Sicurezza Sociale

Traduzioni louis Bayman Editing Valentina fiore Allestimento Adriano Annino - In.site

Organizzato da Associazione dei Sardi di Roma “Il Gremio”

Ideato da Gruppo Gremio Giovani

Responsabili organizzazione Antonio Maria Masia, Presidente de “Il Gremio” Gian Mario Cossu, per il Gremio Giovani Coordinamento Maurizio Mura, per il Gremio Giovani Con la collaborazione della fASI - federazione delle Associazioni Sarde Italiane

Service Cyberaudio Si ringraziano Antonello liori, Assessore del lavoro,formazione Professionale, Cooperazione e Sicurezza Sociale Regione Sardegna; la dott.ssa francesca Piras, Direttore del Servizio delle Politiche Sociali, Cooperazione e Sicurezza Sociale Regione Sardegna e in particolare la dott.ssa Anna Cau, funzionario del Servizio, per l’assistenza amministrativa e per il sostegno dato al Circolo nel portare a termine il progetto Inoltre, un ringraziamento speciale agli artisti per la loro disponibilità e il loro impegno


LONTANO DA DOVE di ANTONIO MARIA MASIA, presidente de “Il Gremio” Significativa e importante, questa iniziativa è nata in maniera del tutto autonoma in seno al “Gremio Giovani”, composto da Gian Mario Cossu, Monica Chieri, Giuseppe De Chiera, Monica Lambru, Pietro Masia, Maurizio Mura, Giorgia Urru e Ilaria Onorato. Ne sono lieto e onorato sia personalmente che a nome dei componenti del Direttivo e dei soci. Questa mostra, come scrivono la curatrice Maria Rosa Sossai e il giovane Gian Mario, capofila dell’iniziativa, invita e sollecita la numerosa comunità dei sardi della Capitale e non solo, a rivolgere la loro attenzione verso le arti contemporanee che giovani artisti sardi, residenti prevalentemente fuori dall’Isola, coltivano attraverso vari mezzi espressivi.

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È pur vero che noi soci del Gremio, in là con gli anni e legati a forme artistiche classiche, ci troviamo spesso a disagio e spaesati di fronte a certe manifestazioni artistiche attuali, espresse anche con tecniche digitali. Siamo ahimè conservatori d’ordinanza, ancorati, anche emotivamente e nostalgicamente, ai suoni, ai canti, ai costumi, alle pitture e sculture di un tempo lontano da noi che per i giovani sardi di oggi diventa lontanissimo. Lontano da dove, si chiedono i nostri giovani? Da quel luogo, là dove invece la nostra memoria di sardi, meno giovani e ‘disterrados’ (lontani dall’Isola) ci inchioda in ricordi e memorie. E se diamo voce alla memoria non possiamo, noi del Gremio, non ricordare le due mostre d’arte antica e moderna, volute e organizzate dai nostri soci fondatori nella primavera del 1950 (segnaliamo così che il nostro Circolo nasce, con l’attuale nome, nell’aprile del 1948) a Roma presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Valle Giulia, dove ancora è esposta la scultura dal titolo Madre dell’ucciso di Francesco Ciusa. La mostra che oggi presentiamo, grazie al Gremio Giovani, produce due importanti e meritevoli frutti. Il primo è quello di farci conoscere e di avvicinarci a quanto di attuale propongono i giovani artisti sardi che guardano da lontano la loro identità e ne misurano il contenuto e la qualità. Il secondo è quello di farci ricordare, anche per attribuire a distanza di tempo meriti e valore all’impegno di quei sardi di Roma con l’isola nella testa e nel cuore che, nel lontano ‘48, in coincidenza con la nascita della Regione Autonoma della Sardegna, vollero un’Associazione che diventasse un riferimento per loro e per i tanti conterranei che arrivavano nella Capitale alla ricerca di un futuro migliore. Le due Mostre del ‘50, sotto l’alto patrocinio dell’On. Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, e con il supporto morale e finanziario di comitati d’onore e di esperti di assoluto pregio, ebbero un grande risalto e convogliarono nei confronti della Sardegna e dei suoi artisti attenzione, positività e in tanti casi successo e fortuna sociale ed economica. La mostra d’arte moderna vedeva schierati ben sessantasette artisti, pittori, scultori e

incisori, “il meglio nel campo dell’arte contemporanea” come ebbe a dire l’allora Presidente del Gremio Siro Fadda. E come poteva essere diversamente con artisti come Giuseppe Biasi, Remo Branca, Francesco Ciusa, Mario Delitala, Stanis Dessy, Maria Lai, Marius Ledda, Libero Meledina, Melchiorre Melis, Federico Melis, Pino Melis, Antonio Mura, Bernardino Palazzi, Aligi Sassu, Giuseppe Silecchia, Costantino Spada, Eugenio Tavolara, solo per citarne alcuni. La mostra d’arte antica dei bronzetti nuragici e della civiltà paleosarda, permise di conoscere “i prodotti quasi sconosciuti di una civiltà antichissima che, su un substrato mediterraneo, ha costruito opere di grande originalità”, disse durante l’inaugurazione l’allora sindaco di Roma Salvatore Rebecchini. Noi responsabili del Gremio degli anni Duemila vorremmo legare, con il filo indissolubile della memoria, l’attuale mostra dal poetico titolo Lontano da dove a quelle della primavera del ‘50, in modo tale che le stesse brillanti prospettive, le stesse positive valutazioni e gli stessi riscontri di avverato successo, possano verificarsi nei confronti di questi giovani artisti. Il loro linguaggio, riferito alla nostra terra, ha una cifra stilistica affascinante, forse per noi inarrivabile ma alla quale vogliamo aprirci e dalla quale vorremmo farci coinvolgere. Ringraziamo di cuore le Autorità, le Istituzioni, in primis la Regione Sarda che ha finanziato l’iniziativa, il Comune di Roma Capitale - Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico, i soci che hanno collaborato, la curatrice, gli artisti e in particolar modo i ragazzi e le ragazze del Gremio.

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LONTANO DA DOVE di Gian Mario Cossu

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La lontananza ha un significato particolare per la Sardegna. Un’isola è fatta di confini delimitati e ben visibili. Oltre la terra c’è solo il mare. Uno spazio che negli anni è stato eroso dal progresso tecnologico: navi più veloci, voli a basso costo, tecnologie della comunicazione che accorciano le distanze. Ma quanto? Quali sono alla fine i benefici di tutte queste innovazioni? È solo una questione fisica? La lontananza come un’entità da misurare e a cui assegnare un valore dato dal tempo necessario per coprire la distanza tra due ipotetici punti? La distanza fra la Sardegna e il Continente? Fra due modi diversi di vedere le cose, se poi sono veramente diversi? È una sensazione di abbandono legata a bisogni materiali come il lavoro? L’industria che si trasferisce e lascia solo i residui? Forse è qualcosa di più profondo, una sensazione che rimane addosso, uno stato mentale, una visione del mondo, una percezione, qualcosa di immenso e immanente. E come è attuale questa condizione nel mondo contemporaneo e nelle città multietniche: si fugge da guerre, dalla fame, ci si sposta per lavoro o per altri interessi. Quanto questa condizione influenza gli artisti sardi, il loro lavoro e le scelte che attraversano la loro vita: cercare soluzioni altrove, nuovi percorsi lontano dalla Sardegna ma continuare a parlare della Sardegna e parallelamente del mondo. Percorsi assimilabili a chi è dovuto emigrare per lavoro: prima i padri e poi i figli. E di fronte il ritorno che può essere fisico, mentale o espresso sotto forma d’arte. In queste espressioni la Sardegna può essere racconto sociale, terra di conquista, memoria lontana nel tempo che riaffiora e ritorna attuale, è viaggio, suono che arriva da un luogo indefinito, è lingua fatta di altre lingue. Un discorso che vale per altri luoghi, altre culture e altre storie.

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E l’arte è il veicolo per accorciare le distanze, per mediare ed essere compresi da tutti, per avvicinare anche materialmente le persone. Questo possono fare l’arte e la cultura. Questo vuole essere Lontano da dove: non tanto un racconto sulla Sardegna ma sul mondo, raccontare cosa significa fare arte così come un artigiano produce un manufatto. È la storia di una società che si evolve mantenendo il legame con le sue radici. Il ruolo delle Associazioni dei Sardi nel mondo è diffondere cultura per avvicinare le persone. Possono farlo nel migliore dei modi attraverso progetti pensati e costruiti insieme agli artisti. Questo è il percorso che abbiamo voluto intraprendere come Gruppo Giovani del Gremio dei Sardi: diventare noi stessi veicolo di diffusione culturale, di comunicazione, di confronto e dialogo tra culture per poter dare spazio alle ultime generazioni e consentire all’arte di trovare nuovi spazi e nuove possibilità di esprimersi.

_Antonella Anedda, Antologia (dett.), 2012. Installation view. Installazione site-specific composta da diversi elementi, in dettaglio: Antologia, 2010-2012; lenzuolo di lino, stoffe varie, cotone, ricami, foglie, foto stampate su stoffa, pennarello, pizzo.


LONTANO DA DOVE? di MARIA ROSA SOSSAI Non si sa quanto disti il lontano da noi e dove sia geograficamente situato, se a nord, a sud, a est o a ovest e nemmeno se sia misurabile in chilometri. Perché, oltre a tradursi in una distanza fisica, la lontananza è una categoria del pensiero, uno stato sentimentale, un lontano metaforico, con cui gli artisti in mostra si sono nel tempo e in modo diverso tutti confrontati. Dalle nostre conversazioni è emerso che in genere si parte perché tutt’intorno le cose cominciano a essere troppo facili o troppo difficili. Dipende dal momento e dalle circostanze.

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Per alcuni di loro la musica e il suono sono la chiave di accesso per entrare in relazione con il mondo e configurare la realtà sotto altri parametri, per altri le immagini video permettono di ritrovare il sommerso di verità interstiziali o scomode, per molti la scultura, la fotografia e la performance sono i segni per “resistere all’omogeneizzazione del tempo, attraverso rotture e discontinuità” (Hans Ulrich Obrist, Interviews, vol. 2, Charta, p. 8). Per tutti è valido l’interrogativo su come sia possibile trasformare la ricerca estetica in conoscenza, in modo da oltrepassare certe regole del mondo dell’arte. Una delle ipotesi della mostra è verificare se esistono delle relazioni dinamiche tra tempo biografico, memoria del luogo, crescita personale, coincidenze, incontri, predestinazione, esperienze comuni. Alcuni si frequentano personalmente e collaborano tra di loro. Altri seguono a distanza il lavoro altrui. Guardando le date di nascita si può facilmente arguire che condividono sedimenti generazionali. Sorprendono certi parallelismi di esperienze, un sentire comune, dovuti forse al fatto di essere cresciuti nella stessa isola, di avere frequentato i medesimi luoghi, di condividere uno dei tanti dialetti. Niente di necessariamente significativo ma che al tempo stesso è un segno di appartenenza, una radice comune. Nell’era della globalizzazione e della diaspora non è importante l’appartenenza a una singola geografia territoriale quanto piuttosto trovarsi in sintonia con un nomadismo concettuale che rispecchi di volta in volta i processi esistenziali e creativi cosicché, se in dei lavori prevale la memoria delle origini, in altri prendono corpo le suggestioni del luogo dove si risiede o dei tragitti percorsi. Uno dei princìpi guida alla selezione degli artisti è stata la volontà di mostrare, anche se non in modo esaustivo, i cambiamenti estetici ed espressivi avvenuti nelle ultime generazioni di artisti nati in Sardegna. Emerge una produzione in linea con altri contesti, architettonici, mediatici, letterari, filosofici, degli studi antropologici e delle scienze sociali, con interlocutori appartenenti ad aree contigue a quella delle arti visive. La ricerca non si esaurisce nell’elaborazione di princìpi astratti ma si materializza in atti concreti in grado di attivare un sistema di reazioni a catena. Si avvera l’auspicio di Alberto Garutti: “un’arte non autoreferenziale, in cui ognuno di noi si sente coinvolto in un ego collettivo,

come se si fosse sviluppata una sensibilità partecipe” (cit. Obrist, p. 524). Un processo simile a quello che si evidenzia nella mostra, pensata come un dispositivo che crei le premesse per la costruzione di una rete all’interno della quale l’arte possa dialogare con la realtà. E’ già stato scritto molto sulla scomparsa dei movimenti e delle correnti; sarà forse a causa di questo ‘orphanage’ che gli artisti coltivano spesso il culto della memoria e utilizzano forme espressive obsolete il cui anacronismo oltrepassa il confine dell’ordinario legato ad un’idea di progresso tecnologico, per acquisire quelle qualità straordinarie che esulano dal senso comune e diventano un atto radicale. Prevale il desiderio di preservare qualcosa prima che sia definitivamente perduto – il paesaggio montano, l’idea di giardino, i suoni di strada, il ritratto – o la voglia di portare alla luce storie per lo più invisibili o dimenticate, le bonifiche della base Nato mai avviate, sculture di cera, foto familiari di un turismo ormai scomparso. L’opera d’arte diventa il risultato di piccole scoperte, brevi illuminazioni, alchimie, abili costruzioni che simulano il funzionamento del mondo e la sua domesticità, minuscoli riconoscimenti che però sono in grado di operare delle trasformazioni. Si tratta però di un potenziale creativo che si attiva in presenza dello spettatore. La trasmissione e la condivisione simultanea di dati e immagini via internet degli ultimi decenni tra persone situate in luoghi distanti del pianeta hanno stimolato la natura partecipativa dell’arte che si è spesso manifestata come risposta a precisi stimoli di natura di volta in volta politica, sociale, culturale o intimamente poetica. Come se ciò che importa sia capire le conseguenze delle azioni artistiche dato che qualsiasi atto espressivo ha delle ricadute e degli effetti sia sul pubblico, su cui le esperienze vissute si sedimentano, che sull’opera stessa. Anche se oggi l’apprezzamento e il giudizio si effettuano attraverso network temporanei e feedback istantanei, uno scatto fotografico con il cellulare, un commento sul blog, un ‘mi piace’ su facebook. Direzioni di senso che prendono corpo nello spazio espositivo e che poi si propagano nei social network, nella memoria dei portali ma si spera anche negli sguardi e nella mente dei fruitori. L’opera vive un continuo processo di trasformazione in qualcos’altro e in qualcos’altro ancora. E forse il modo migliore per restituire la ricchezza e la complessità delle ricerche degli artisti in mostra è dare loro la parola affinché in prima persona ricostruiscano i propri percorsi ed emerga quella relazione tra arte e vita che Obrist chiama “produzione di realtà”. Le loro testimonianze sono in parte le trascrizioni di conversazioni avute insieme nel tempo. E infine il lavoro site-specific della poetessa Antonella Anedda, composto da un lenzuolo antologia e alcune scatole porta memorie.

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Az.Namusn.Art If today was your last day and tomorrow was today, 2012

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Az.Namusn.Art è un progetto di Riccardo Fadda il quale, in seguito a un’azione di arte pubblica (Clear Lab, Porto Torres, 2007), ha costituito un collettivo mobile attivo sul territorio. Dallo scorso febbraio il gruppo si è trasferito a Londra, dove attualmente lavora. Az.Namusn.Art ha trasformato la crisi della propria terra – occupazionale, ecologica, etica – in un laboratorio creativo permanente che dà forma artistica a un radicale antagonismo nei confronti delle politiche di occupazione della regione. Con modalità spesso volutamente illegali, il collettivo rivendica un ruolo attivo dell’arte nella società come strumento di produzione di coscienza. Agendo negli interstizi di una quotidianità problematica, Az.Namusn.Art stabilisce un confine netto fra legalità e illecito quale unica possibilità di espressione autonoma che, proprio in quanto ‘abusiva’, non è strumentalizzabile. Diversi progetti, di cui alcuni in progress, hanno affrontato temi di carattere ambientale e in genere documentano incongruenze, culto della violenza, false ideologie e il progressivo degrado di alcuni dei luoghi più suggestivi dell’isola: dal problema delle recenti occupazioni militari e industriali (Occupy Sardinia, Scafati, 2012) alla mancata bonifica dei terreni delle industrie dismesse (in collaborazione con dei tecnici Az.Namusn.Art ha lottizzato i terreni di proprietà dell’Eni e, dopo avere costituito un’agenzia immobiliare, li ha messi in vendita – alandforsale.net, Salisburgo, 2011). Il lavoro in mostra alla Pelanda If today was your last day and tomorrow was today è iniziato due anni fa come continuazione del percorso tracciato nel 2009 con Dis-mission. Il progetto – che per il collettivo è “un atto dovuto di responsabilità civile” – rimuove la coltre di silenzio sulle bonifiche che sono seguite all’occupazione della discarica di rifiuti speciali all’interno della quale, per un anno, sono stati portati in totale segretezza una parte dei detriti provenienti dall’ex arsenale della Maddalena, poi riconvertito a Centro Congressi per il summit G8 successivamente spostato a L’Aquila. Il lavoro si articola in più fasi, una delle quali prevede la rimozione virtuale della statua del gerarca fascista Costanzo Ciano commissionata allo scultore Arturo Dazzi da Benito Mussolini appena dopo la sua morte, nel 1939. Il monumento, che doveva essere per grandezza secondo solo all’Altare della Patria, fu iniziato due anni dopo la morte ‘dell’eroe’ e, all’annuncio della caduta di Mussolini, la sospensione immediata dei lavori lo lasciò incompiuto nella cava Villa Marina dell’isola di Santo Stefano. Dal carattere spettacolare e realizzato virtualmente con il video, segue l’annegamento del monumento nello stesso luogo dove sono state recentemente inabissate le sostanze inquinanti risultanti dalle bonifiche e dove in passato venivano lavati i serbatoi e le sentine delle navi della marina militare italiana. Come è accaduto nelle città dell’ex patto sovietico, dove le statue del regime ‘ghettizzate’ in parchi tematici sono diventate attrazione per turisti in cerca dei cimeli delle vecchie ideologie, Az.Namusn.Art

sottopone il monumento a Ciano a una decontestualizzazione forzata, mutandone l’aspetto da propagandistico a pubblicitario. La seconda fase prevede un sondaggio, Ciano Pool (2012), sulla piattaforma internet causes.com in cui si chiede al pubblico di prendere posizione rispetto alla rimozione del monumento fino alla scelta estrema della sua distruzione. L’ultimo tassello è un soggiorno organizzato alla Maddalena durante il quale il monumento viene duplicato in un sudario, portato poi all’ex arsenale in corteo/manifestazione che diviene al tempo stesso il suo funerale. Il metodo di duplicazione è quello messo a punto dal Prof. Luigi Garlaschelli dell’Università di Pavia per la Sacra Sindone. L’immagine blu, prodotta a contatto con il monumento, cita le antropometrie di Yves Klein ma è anche un divertissement linguistico per l’assonanza con il nome dell’eroe; l’immagine andrà pian piano scomparendo lasciando solo traccia della sagoma che, svanendo del tutto, cancellerà l’apologia dell’eroe del fascismo. If today was your last day and tomorrow was today è un percorso complesso e denso di questioni politiche legate alla storia nazionale, alla militanza antifascista, ma soprattutto è un’assunzione di responsabilità nei confronti di uno dei territori più belli d’Italia, oppresso e vessato da politiche industriali sbagliate al servizio degli interessi di pochi, gravato da un’occupazione militare che lascia tracce indelebili sulla salute dei cittadini, frodato da bonifiche mai realizzate, avvelenato dal comportamento irresponsabile dei dirigenti politici e in parte dalla cecità degli stessi abitanti dell’isola.

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_Az.Namusn.Art, If today was your last day and tomorrow was today, 2012. In questa pagina: azione e installazione site-specific, courtesy l’artista. Nella pagina seguente: installation view (dett.). Installazione composta da più elementi: If today was your last day and tomorrow was today, 2012, video, 3’56’’, DVD pal, 16:9, colore, stereo.

Twin Towers, 2012, dittico, stampa fotografica. Social Network, 2012, documentazione di un’inchiesta condotta da Paolo Mondani sul G8 per una puntata di Report.Ciano, 2012, sudario. Is swimming allowed here?, 2012, otto maschere da sub, documentazione fotografica lavori G8.


Giulia Casula LANDSCAPE∞REMIX, 2012 La mia ricerca si concentra sul paesaggio, sui luoghi e sulla storia attraverso un’analisi dell’immaginario sociale che esplora il rapporto tra il reale e le sue molteplici rappresentazioni e mappature, sottolineandone gli aspetti precari e intangibili. Lavoro con diversi linguaggi, fotografia, archivi, disegno, fotocopie, suono, video, materiali recuperati; attraverso un approccio intuitivo e dialettico di connessioni costruisco e realizzo interventi site-specific precari ed effimeri. Rappresento le suggestioni visive del mio quotidiano nella forma di investigazioni territoriali e concettuali, di riflessioni sul tempo e sulla memoria, ricostruite in una forma estetica e poetica di critica sociale.

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LANDSCAPE∞REMIX, in cui il simbolo dell’infinito lega le due parole, è un progetto in progress che riflette sul suono, sulla natura del paesaggio e del suo essere in una continua e ciclica trasformazione. Un primo livello di lettura è il documento sonoro di un percorso di osservazione e di ascolto del paesaggio che ha avuto luogo al Museo MAN di Nuoro e che ha coinvolto artisti e musicisti in una personale interpretazione e sonorizzazione di alcune opere della collezione permanente del museo (www.landscaperemix.blogspot.it/p/landscape-remixnotationsarchive.html). La registrazione audio del percorso è diventata uno strumento di mediazione e di interpretazione delle opere, un patrimonio del presente per guardare e ascoltare il patrimonio storico. L’installazione nelle due cisterne comunicanti della Pelanda, partendo da questo documento sonoro, riflette sulla specificità di un nuovo paesaggio, calibrando un insieme di elementi concreti e vibranti, materiali recuperati, in relazione all’architettura dello spazio. Risultanti per accumulo e sottrazione, gli elementi sono disposti in modo da intersecare i volumi delle due cisterne ed evidenziare direzioni di senso e nuove possibilità di ascolto. LANDSCAPE∞REMIX è anche una riflessione su quello che è considerato scarto, sul dare forma a un resto che è intraducibile e inconsistente.

_Giulia Casula, LANDSCAPE∞REMIX, 2012 Installation view (dett.). Due cisterne diametro m 6,45, sei elementi di ferro (tre di cm 4,80, due di cm 1,60 e uno di cm 30), fascette nere, frammenti di carta e tappi di metallo recuperati, audio 5+1 simulato (1’36’’ loop), luci di emergenza.

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_Giulia Casula, LANDSCAPE∞REMIX, 2012 Installation view. Due cisterne diametro m 6,45, sei elementi di ferro (tre di cm 4,80, due di cm 1,60 e uno di cm 30), fascette nere, frammenti di carta e tappi di metallo recuperati, audio 5+1 simulato (1’36’’ loop), luci di emergenza.


Cristian chironi ECO, 2012 Sono cresciuto in un piccolo paese del centro della Sardegna, Orani, dove sono nati Mario Delitala e Costantino Nivola e nel quale ho instaurato sin da subito un rapporto con l’arte. Mi sono poi iscritto all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove ho iniziato una ricerca che si collocava nel contemporaneo con uno sguardo interdisciplinare e l’uso dei nuovi linguaggi. Ho cercato una rottura con alcuni contesti artistici che in quegli anni operavano in Sardegna e che continuavano a inseguire un’idea di sardità obsoleta o relegata al folklore. Questo non toglie che vedere sfilare le maschere dei Merdules di Ottana rimane ancora oggi per me un’esperienza preziosa.

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Mi capita spesso tuttavia di pensare in inglese e non in sardo e di trovare dei riferimenti esterni e non interni, per cui la struttura del Nuraghe per me anticipa le linee costruttrici di Le Corbusier. Ora vivo facendo la spola tra Bruxelles, Bologna e la mia casa in Sardegna. La mia ricerca attuale si sviluppa attraverso i generi espressivi della performance, la fotografia, il video e altri media contemporanei in dialogo tra loro e alla ricerca di un’interazione con il contesto umano e ambientale. Alla Pelanda proietto il video ECO, fatto successivamente alla performance realizzata e prodotta dal MADRE - Museo d’Arte contemporanea DonnaREgina di Napoli / CORPUS.Arte in azione, in collaborazione con Dolomiti Contemporanee | laboratorio d’arti visive in ambiente. Visibile dal basso e dai balconi limitrofi sto seduto l’intera giornata sul muretto esterno della terrazza del Museo, all’ultimo piano dell’edificio. Guardo il Vesuvio con un libro sulle Dolomiti sotto il braccio e un’incongrua attrezzatura tecnica da scalatore. Da ‘alpinista metropolitano’ instauro un rapporto personale ed empatico con il territorio che circonda il museo e la città stessa. A intervalli prestabiliti urlo e l’eco è simile a quella che si diffonde nelle valli di montagna; grazie a un potente impianto sonoro l’eco raggiunge tutta la città e le sale interne del Museo, stabilendo un dialogo immaginario e primordiale con il tessuto urbano circostante, ma anche un ironico ponte ideale tra Sud e Nord dell’Italia, dal Vesuvio alle Dolomiti.

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_Cristian Chironi, ECO, 2012. Video, 4’20’’, sonoro, colore, courtesy l’artista.


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marco lampis Costruttore di orecchi, 2012 Dopo avere frequentato l’Accademia di Bologna, mi sono spostato prima a Berlino per studiare all’UDK e poi a Londra, dove sono stato in residenza presso Gasworks grazie al Museo MAN di Nuoro. A Bologna sono entrato a far parte del collettivo di musicisti di area sperimentale Phonorama all’interno di XING - Raum. Continuo ancora oggi a suonare utilizzando nastri magnetici, walkman e strumenti analogici e sono interessato al rumore, all’errore e all’improvvisazione. Nella mia pratica artistica cerco di porre l’accento sulla nozione di suono e sull’esperienza musicale, sul concetto di paesaggio sonoro fino ad arrivare al problema della percezione della materia, ad esempio della durata temporale, identificando il suono – la vibrazione sonora – come unica forma che ci permette di cogliere la possibile visione del corpo dall’esterno e il solo elemento in grado di arrivare a una visione assoluta della realtà che ci circonda. _24

La sfida consiste nel lavorare sul suono e con il suono senza necessariamente utilizzarlo, sostituendo la percezione visiva a quella uditiva. Trasformare l’occhio in orecchio e concepire installazioni sonore senza suono. Partire dal suono per arrivare a indagare la percezione dello spazio e dell’architettura e viceversa. Per l’esposizione alla Pelanda presento un lavoro il cui titolo completo è Ciò che accade dentro (dietro) gli orecchi o Costruttore di orecchi. Si tratta di una serie di lavori nei quali creo delle connessioni tra quello che accade dietro i nostri orecchi, che non possiamo vedere ma che possiamo percepire attraverso la consapevolezza del nostro corpo, e quello che fisicamente accade all’interno degli stessi, ovvero come percepiamo fisicamente il suono. Cerco di mettere in relazione la percezione del nostro corpo attraverso gli oggetti, lo spazio e l’architettura. In questa serie di lavori utilizzo principalmente materiali di scarto che per me hanno la stessa valenza del rumore in musica e che organizzo spazialmente in modo da poter rendere sensibile una loro vibrazione interna. Attualmente mi sto concentrando sull’oggetto come elemento sonoro, come ombra del nostro corpo*. Ho scelto di utilizzare un oggetto comune, il lampadario, quale materializzazione dell’idea – ovvero dell’immagine anatomica della cavità timpanica o della coclea – sia per la sua forma, sia per la sua capacità di cambiare la percezione del suono se accostato all’orecchio come una conchiglia. Riflettendo su questi termini mi sono chiesto come ottenere degli oggetti unici. Ho deciso allora di effettuare delle colate di cera naturale e artificiale che, solidificandosi, permettono di ottenere, una volta rotta la matrice, delle copie uniche di oggetti sottratti a una produzione di tipo industriale. La scelta del materiale si è rivelata importante per differenti motivi: intanto per la sua qualità di prodotto animale, frutto di un procedimento lungo e prezioso che lo rende unico e che, proprio per questa sua laboriosa lavorazione, lo inserisce in una differente economia di produzione; poi per la sua connessione storica,

essendo utilizzato per la riproduzione manuale di parti del corpo umano; per la sua similitudine materica con il cerume; e infine per la sua capacità di trasformazione – reversibile e infinita – da stato solido a liquido che permette, una volta ottenuto l’oggetto, di scioglierlo nuovamente e riutilizzarlo per una nuova colata, annullandolo e sottraendolo alle leggi di mercato per accentuare l’importanza del processo rispetto al risultato. L’oggetto ottenuto non è più riconoscibile come lampadario, dato che il processo di colata e di distruzione della matrice lo sottrae al reale e lo trasforma in qualcos’altro non più collocabile nel sistema che conosciamo come reale. La presa di consapevolezza del mio corpo non avviene più attraverso il riconoscimento dell’oggetto che produco perché esso non è più la mia ombra ma è forse l’ombra dell’ombra di qualcosa che era comune. Posso quindi riconoscere il mio corpo senza identificarmi con gli oggetti che mi circondano. 25_

* «Pensai che potesse essere il letto dell’abitante, la cui mostruosa anatomia si rivelava così, in modo obliquo, come quella di un animale o di un dio, attraverso la sua ombra». (Jorge Luis Borges, There Are More Things in Il libro di sabbia, trad. it. di L. Bacchi Wilcock, Rizzoli, Milano, 1977)


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_Marco Lampis. Costruttore di orecchi, 2012 Installation view (dett.); in mostra: Coclea, 2012, cinque sculture, calchi in cera, dimensioni variabili.

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pietro mele Every day, 2011 Terminati gli studi, nel 2002 mi sono trasferito a Berlino, dove sono tornato recentemente dopo una breve parentesi italiana. La mia ricerca si rivolge a realtà minori, così come a fatti storici ritenuti marginali, che indago con lo scopo di restituire attraverso un nuovo processo di comprensione. Ho un interesse direi ossessivo verso ciò che non è evidente e che resta sottaciuto, e penso ai miei lavori come amplificatori di informazioni in cui un segnale in ingresso a basso voltaggio ne genera uno ad alta tensione in uscita. Idealmente, quindi, partendo da questioni molto specifiche, e attraverso l’utilizzo di questo violento processo di ingrandimento, mi pongo l’obiettivo di raggiungere un grado maggiore di condivisione.

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Alla Pelanda presento Every day (2011), un video che ha come soggetto uno dei più grandi e attivi aeroporti NATO d’Europa, qui messo in relazione con l’attività quotidiana di un pastore suo malgrado confinante con la struttura militare. Il video mostra l’assurdo convivere di due mondi inconciliabili attraverso una progressiva aggiunta di informazioni, ottenute con eventi minimi, pause e lenti movimenti di camera che solo alla fine ricompongono il quadro nella sua completezza. Il progetto fa parte di una serie di lavori che affrontano il problema delle attività militari in Sardegna, il cui territorio accoglie circa il 60% del totale demanio nazionale. Un primato non richiesto che la popolazione isolana paga sotto forma di malattie genetiche, cancro, leucemia e molte altre patologie gravi o mortali.

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_Pietro Mele, Every day, 2011 Video HD, colore, 16:9, stereo, 5’13’’; courtesy Jarach Gallery, Venezia.


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_Pietro Mele, Every day, 2011 Installation view. Video HD, colore, 16:9, stereo, 5’13’’.


stefano serusi (Un) giardino, 2012 Prima di trasferirmi a Milano, tra l’Accademia e un eterno anno sabbatico, ho focalizzato la mia ricerca in Sardegna con un’intensa attività espositiva. Avendo avuto a che fare sin dall’inizio con ambienti fortemente connotati, il mio lavoro si è sviluppato quasi naturalmente in progetti site-specific in cui l’analisi e la suggestione delle forme architettoniche sono il principio per costruire un percorso narrativo all’interno dello spazio.

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Nel 2012 il mio lavoro ha avuto come fulcro Milano, con una ricerca specifica sui modi dell’abitare ‘borghese‘ in diverse epoche, studiandone la continuità e le caratteristiche formali attraverso la testimonianza delle case museo. Questa ricerca è confluita nella seicentesca Villa Litta, in cui ho deciso di ricreare una dimensione abitativa apertamente artefatta attraverso due interventi. Il primo prevede la realizzazione di un prezioso piano di scrittura per la piccola cappella affrescata che viene così trasformata in un luogo in cui la dimensione del lavoro assurge a esperienza quasi religiosa, secondo una sensibilità tipicamente modernista; per l’altro intervento ho chiesto a sei artisti – diversi per stile e sensibilità – di raffigurare dei cani ripresi in giardino, immaginando che fossero quelli che nel tempo avevano abitato la casa. I ritratti, affastellati sul camino monumentale, diventano il collegamento tra l’ambiente esterno ‘naturale’ e quello domestico ‘formale’. L’installazione Parte della famiglia (2012), riproposta nell’atelier della Pelanda in cui grossi tubi richiamano lo scorrere dell’acqua, diventa l’occasione per evocare l’idea di giardino sotto forma di un ipotetico catalogo di luoghi concepiti in passato come cortine tra l’uomo e il paesaggio naturale. Il laghetto e la grotta artificiali, il parterre geometrico, il giardino d’inverno, le false rovine, sono elencati con targhe che ricordano quelle che contrassegnano le specie botaniche. Tra le immagini in bianco e nero di questi spazi, l’opera Gazebo (2012) – sintesi della forma scultorea – mantiene il carattere di recinto con qualche reminiscenza decorativa.

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_Stefano Serusi, Grotta artificiale, Parterre geometrico, False rovine, Laghetto artificiale, Giardino d’inverno, 2012; legno, stampe applicate, cinque elementi da cm 39x130x4; courtesy l’artista.


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_Stefano Serusi, Giardino d’inverno, Parterre geometrico, 2012; legno, stampe applicate, due di cinque elementi da cm 39x130x4. In basso: Gazebo, 2012; legno, raccordi metallici, cm 190x167x18,5; courtesy l’artista

_Stefano Serusi, Parte della famiglia, 2012; sei ritratti di cani di sei artisti (Irene Balia, Pasquale de Sensi, Bruno Marrapodi, Pastorello, Patrizia Emma Scialpi, Carlo Spiga), dimensioni variabili.


rachele sotgiu Tracciati, 2011

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Dopo avere frequentato l’Accademia di Sassari mi sono spostata a Milano per un master e in seguito a Torino per lavoro; tutto però – in un modo o nell’altro – mi riporta sempre a casa. Mi interessa esplorare l’errore e il senso di inadeguatezza presenti in certe situazioni che diventano per me risorsa creativa. Il video Sottili tragedie (2010) documenta una performance realizzata a Gavoi in cui un uomo, di cui non si vede il volto, si abbottona e si sbottona la camicia in modo ripetitivo, sbagliando continuamente. È un modo per riportare l’incertezza del quotidiano, per diffondere l’errore visto come simbolo assoluto e generatore di inquietudine. Forme di alterità (2011) si interroga su cosa rappresentano gli oggetti che adoperiamo; è un racconto sull’estensione di noi stessi, su quella protesi quotidiana che sopperisce ai nostri limiti e agevola le nostre urgenze. Per questo progetto ho raccolto sessanta oggetti appartenenti a un uomo il quale, a un certo punto della sua vita, ha deciso di smettere di parlare e ha iniziato a utilizzare le cose che lo circondano per costruire un mondo che abbia il più possibile le sue sembianze. Gli oggetti sono stati fotografati simulando i principi di una raccolta tassonomica. Un progetto a lungo termine è Somiglianze di Famiglia (2012), per il quale intendo fotografare tutti gli abitanti di una stessa città partendo da nuclei familiari.

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Alla Pelanda presento Tracciati (2011), un lavoro realizzato durante una residenza in Franciacorta che analizza il territorio diventando successivamente un’indagine sulla forma fotografica. Il processo teorico che mi ha condotta alla cancellazione della parte centrale della foto poggia sul medesimo principio che governa la ragione stessa dell’atto del fotografare, ovvero conservare una traccia di ciò che vive nel ricordo. In questo modo due tracce, quella meccanica operata dalla macchina fotografica e quella più imprecisa della memoria, si sovrappongono, dando luogo a una nuova immagine. La foto diventa perciò una sorta di passepartout e il disegno la sua proiezione, filtrata dalla mente e dal ricordo che ne rimane. Questo passaggio è fondamentale perché si passa dalla foto/turistica o foto/ricordo alla sua rievocazione mentale attraverso la memoria. La parte essenziale è la perdita di informazioni che attraversa tutto il lavoro, tra la visione dell’occhio umano e l’immagine fotografica e successivamente tra la fotografia e il disegno.

_Rachele Sotgiu, Tracciati (dett.), 2011 Stampa lambda, cm 22x15; courtesy l’artista.


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_Rachele Sotgiu, Tracciati, 2011 Installation view. 100 fogli su carta cotone cm 21x15 cad., 1 stampa lambda cm 22x15. _Rachele Sotgiu, Tracciati, 2011 Installation view (dett.). 100 fogli su carta cotone cm 21x15 cad., 1 stampa lambda cm 22x15.


carlo spiga Braün, 2012

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Da molti anni la mia ricerca si concentra sulle forme e sulla trasmissione delle culture popolari, in particolare il ‘multipart singing’ (la polifonia tradizionale). In una Berlino innevata ho diffuso una selezione di musica sarda per chitarra attraverso un amplificatore montato su un carrello. Tra una ‘Cantzòni a curba’ e una ‘Corsicana’, con un microfono a contatto, ho pubblicizzato in un tedesco stentato l’evento al quale partecipavo; portavo al collo due ‘coidànas’, decorazioni dei buoi da processione campidanesi. Davanti al municipio di Samatzai ho utilizzato gli altoparlanti comunali per diffondere un bando che iniziava e terminava con la clip musicale di una band del luogo, i TAMANERA. I due eventi facevano parte di un percorso sonoro suddiviso in due tappe; a ogni tappa questo ‘viaggio con carico’ – ‘biaxi’, in sardo campidanese – coinvolgeva altre persone lungo il cammino. Dopo questo progetto, a Como, Milano, Faenza e di nuovo in Sardegna, il diario sonoro si è arricchito diventando un coro, un canto propiziatorio Epic Metal logudorese... Per me è importante dislocare la ricerca per poi raccogliere la summa di ascolti ed esperienze che diventa così un patrimonio collettivo. Il progetto in mostra, Braün, dal famoso marchio di rasoi elettrici il cui nome è stato onomatopeizzato, è una selezione di materiali sonori prodotti in circa dieci anni di ricerca: dalla polifonia sarda alle tecniche di canto difonico dell’Asia centrale, Noise e Table songs georgiane, Delta Blues e Black Metal norvegese ... e una traduzione del contesto in cui mi muovo. Da questo nucleo si diramano collaborazioni/spin-off tra le quali: TERZO FUOCO, con l’artista e musicista pugliese Luigi Massari, presentato nel villaggio minerario di Normann; Bàsciu&Contra Car Session, improvvisazioni poetiche campidanesi registrate durante un viaggio in macchina sulla SS 131 con gli amatori poeti improvvisatori Ivo Murgia (operatore culturale ed esperto di lingua sarda), Francesco Capuzzi (ingegnere, inventore delle launeddas elettriche), Michele Atzori noto Dr.Drer (metalmeccanico in mobilità, musicista indipendente) e Federico Onnis (studente in etnomusicologia e musicista); oooOOO?!?! duo folk lacustre nato dalla collaborazione con l’artista francese Beatrice Bailet; BRAÜN (Proßlems RMX), scambio di materiali tra Berlino e Firenze con l’artista e musicista Matteo Scano. Nelle sale del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza è stato girato CONTRA (2012) dell’artista Silvia Camporesi, vero e proprio ‘corpo a corpo’ tra le tradizioni vocali sarde, quelle centro-asiatiche e le ceramiche della collezione faentina. Con Bah Moody, musicista ‘péul’ (etnia nomade africana) la collaborazione nasce dall’interazione con i CHADAL, band sardo senegalese nata da un progetto di cooperazione internazionale dell’associazione sarda Cherimus. Nello spazio di una delle cisterne della Pelanda, su una pila di mattoni posta al centro e in tutto il perimetro, sono posizionati lettori CD, cassette, cuffie, poster, packaging e oggetti per illustrare le tappe

del progetto. L’ambiente è decorato come i palchi delle feste in Sardegna, coperti da un intrico di rami e fogliame che in questo caso riveste le pareti interne della cisterna. Un ringraziamento particolare a: Riccardo Puddu, Gianni Pireddu, Mario Ziulu, Nazareno Orrù, Ester Mureddu, Lucia, Andrea e Gigino Caredda.

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_Carlo Spiga, Braün, 2012; installazione site-specific (dett.), courtesy l’artista.


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_Carlo Spiga, Braün, 2003/2012. Installation view (dett.). Installazione site-specific con vegetazione, registratore, archivio audio in audiocassette, CD e materiali relativi ai progetti, composta da diversi lavori: Braün (pila in mattoni traforati, maquette in legno, carta e plastica); Bah Moody (cuscini e astuccio registratore); oooOOO!?!? (depliant aero club Como, foto

incorniciate, sciarpe comasche).TERZO FUOCO (stampe, cornici votive campidanesi, palma intrecciata, packaging CD, centro tavola a telaio modello esercito italiano. CONTRA (stampa digitale e tipografica in cornice d’epoca, coidànas, tazzina restaurata); Proßlems RMX (ananas cartaceo); Bàsciu&Contra Car Session (libretto con trascrizione gara poetica campidanese con traduzione in italiano).


antonella anedda Antologia, 2012 Sono nata a Roma ma i miei genitori sono sardi e corsi da generazioni, come si può dedurre dal cognome. Sono molto fiera di avere tra i miei antenati quel Giovanni Maria Angioy che lottò contro i retaggi feudali in Sardegna e morì esule e abbandonato a Parigi nel 1808. Mi occupo di poesia ma mi sono laureata in Storia dell’Arte Veneta con Augusto Gentili e con una tesi in Iconologia. Credo che questa formazione abbia sviluppato la mia passione, anzi la mia ossessione per i dettagli.

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Una passione che mi ha portato in Inghilterra sulle tracce di Darwin. Per anni, pur continuando a seguire l’arte – soprattutto contemporanea – ho pubblicato soltanto saggistica e poesia; poi, proprio nel momento in cui riaffiorava nella scrittura una ‘limba’, una lingua certo non pura in cui si mescolavano logudorese, campidanese e corsogallurese, ho scritto un libro intitolato La vita dei dettagli dedicato a dettagli che avevo fotografato in vari musei. Durante la costruzione del libro e in coincidenza con un lutto ho cominciato a riflettere sul tema della perdita attraverso frammenti, fotografie, stoffe e naturalmente parole, ma straniate e dislocate rispetto allo spazio tradizionale del foglio. Anche nell’ultimo libro, intitolato Salva con nome, ci sono versi, prose e fotografie. Amo ragionare in termini di moltiplicazione dei punti di vista come nel Cubismo. Anche la Sardegna per me è un luogo di perdita e lontananza. Un luogo, come dice Marco Paolini, che ha l’intensità di un saluto. Il Continente, dopo i mesi delle vacanze che cominciavano a giugno e finivano a ottobre, coincideva con la prigionia della scuola e delle convenzioni sociali. L’idea di dare concretezza alla scrittura e di costruire un’antologia reale e non solo cartacea mi interessava da tempo. Volevo (rispettando l’etimologia della parola ‘poesia’) fare un oggetto su cui trovassero spazio forme diverse, memoria e immagini. Ho utilizzato un vecchio lenzuolo di lino appartenuto al corredo di mia nonna come un grande foglio su cui mettere quanto aveva accompagnato le mie pubblicazioni dal 1991 a oggi. Ho usato non solo colla ma filo e aghi. Mi piace cucire. Una sezione di Salva con nome si intitola infatti Cucire ed è preceduta da una frase di Louise Bourgeois che ho riportato anche sul lenzuolo. Uno dei miei autori preferiti è Joseph Cornell ed è un amore che condivido con il poeta Charles Simic. Le poche scatole che ho costruito credo nascano da questo incontro: anche la poesia costruisce mondi mettendo in relazione cose apparentemente lontane e mettendosi ‘a caccia di immagini’. Le ‘scatole’ esposte alla Pelanda sono due, e una non è neppure una scatola ma un momento quotidiano sottovetro: è la riproduzione di una tazza antica incollata a un cartone accanto alla scritta ‘ALLARME’. Mi ha sempre affascinato l’allarme, la minaccia (ma anche il sollievo)

che si nasconde dietro le immagini più usuali. Mi piace lavorare con le cose che usiamo e che ci accompagnano. Ammiro moltissimo il lavoro di Maria Lai e credo mi abbia ispirato come anche quello di Sophie Calle e di Jenny Holzer con la quale ho avuto la fortuna di collaborare quando ha scelto di proiettare i versi di alcuni poeti sui monumenti di Roma. Poteva sembrare un trionfo dell’Io, invece era proprio il contrario: le parole ingigantite si sfrangiavano nella luce e si perdevano. I luoghi ai quali sono legata in Sardegna sono sostanzialmente due. Il primo è Isili, un paese agricolo del centro-sud dell’isola. Il nome viene da ‘exilium’ perché vi fu deportata dai Romani una colonia ebrea alla quale nel tempo si è aggiunta una comunità zingara di ramai. È un centro di produzione e sede di un museo di tappeti. L’installazione del lenzuolo alla Pelanda credo risenta della memoria del telaio, del ricordo delle donne tra tutti quei fili che da bambina mi affascinavano e che ho unito a un libro che mi piaceva, La tela di Carlotta. Carlotta era un ragno che tesseva la sua tela e salvava un maiale. Il secondo luogo è La Maddalena che ho visto presente in due opere della mostra. Il mio bisnonno era l’antico proprietario dell’isola di Santo Stefano che però non ho mai visitato. So che c’è questo busto di Ciano ma non l’ho mai visto. Mia nonna raccontava che il padre a Santo Stefano aveva creato una fattoria con mucche e alberi da frutto. Raccontava di ciliegi che quasi lambivano il mare. Anche se l’isola era stata venduta da suo fratello che ne aveva ereditato la parte più cospicua, essendo maschio, mia nonna considerava la presenza della base americana uno sgarbo personale. Non volle più metterci piede. Ho firmato perché gli Americani se ne andassero ma molti Maddalenini li rimpiangono in un’economia danneggiata alla quale si è aggiunta la vergogna che sappiamo, legata al G8. La Maddalena entra nell’installazione soprattutto come meditazione sul vento che è un grande maestro, ci insegna la nostra insignificanza, ci fa capire che quello che chiamiamo Io non è che una folata. Ed è il motivo per cui ho pensato il lenzuolo come un’antologia instabile, esposta alle correnti, agli spostamenti, agli sguardi.

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Biografie Artisti

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_Az.Namusn.Art Collettivo artistico fondato da Riccardo Fadda a Porto Torres (SS) nel 2007 e attualmente di base a Londra. // Artist collective founded by Riccardo Fadda in Porto Torres (IT) in 2007 and currently based in London (UK). PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI // SELECTED SOLO SHOW : Anarcheology (Antiquarium Turritano, Porto Torres, IT, 2011); Laboratorio della Crisi, (ex consorzio agrario, Porto Torres, IT, 2009); Non Assuefatti (in Attraversamenti 09, Biennale diffusa di Architettura contemporanea, Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi, IT, 2009). PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE // SELECTED GROUP SHOWS: IERATICA (Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi, IT, 2012); Time in Jazz (PAV, Fuoco, Berchidda, IT, 2012); Tutto (26cc, Roma, 2012); Motel B, nuovi spazi per nuove idee ( Motel B, Brescia, 2012); Politikaction, Il sistema e la crisi (Di.St.Urb. project space, Scafati, IT, 2012); Non tutto è in vendita (Arte Fiera Off, Bologna, IT, 2011); Mediamorfosi 2.0 (Sud Lab, Portici, IT, 2011); NodeFest (C.S.O.A. Forte Prenestino, Roma, IT, 2010). LIVE PERFORMANCE & PUBLIC ART: If today was your last day and tomorrow was today (Isola di S. Stefano, arcipelago della Maddalena, IT, 2012); Nurra T.A. _ Nurra Turismo Antagonista (Nuraghe Nieddu, Zona Industriale - ENI, Porto Torres, IT, 2011); Dismission (Coronas Bentosas, discarica, Bolotana, IT, 2009); E.Off project (Zona Industriale Fiumesanto, Porto Torres, IT, 2008); Draw your ideal home (Ex Manifattura Tabacchi, Festarch, Cagliari, IT, 2008); Enjoy your Festival! (Ex Manifattura tabacchi, Festarch, Cagliari, IT, 2007); Clear Lab (P.za Umberto I, Porto Torres, IT, 2007). RESIDENZE // RESIDENCES: Pictures as drafts (International Summer Academy, Salisburg, A, 2011). www.aznamusnart.org _Giulia Casula Nata a Cagliari nel 1977, vive e lavora tra Genova e Nuoro // Born in Cagliari (IT) in 1977; lives and works between Genova and Nuoro (IT). PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI // SELECTED SOLO SHOWS: Natural … mente (Galleria La Bacheca, Cagliari IT, 2006) PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE // SELECTED GROUP SHOWS: DNA Caratteri ereditari e mutazioni genetiche (Museo MAN, Nuoro, 2012); Citizen Ship - Vita comune (Festival Fotografia Europea, Reggio Emilia, IT, 2012); La disciplina della terra (PAV, Berchidda, IT, 2011); MUC(H)ADOR (Parco dei suoni, Riola Sardo, IT, 2011); L’ospite desiderato (Sa Domo Manna – Museo Su Palatu di Villanova Monteleone, IT, 2010); I am the milk in your plastic (Istituto Italiano di Cultura di Belgrado, nKa/iCa, Belgrad, CS, 2010); Quotidiana ’09 (Palazzo Trevisan, Padova, IT, 2009). PROGETTI SPECIALI // SPECIAL PROJECTS: Interludes, Expanded view, (AAF, La Pelanda, Roma, IT, 2012); Landscape Remix_Performance (8°Giornata del Contemporaneo AMACI, Museo MAN, Nuoro, IT, 2012). PREMI // AWARDS: Arte, Patrimonio e Diritti Umani (Connecting Cultures - Milano, IT, 2012); 2010/11 Grant study Master & Back (Regione Sardegna, IT, 2010/2011). RESIDENZE E WORKSHOP // RESIDENCES & WORKSHOPS: Déjà.vu – Worklab, In un luogo imprecisato (Raum, Bologna, IT, 2011), Real Presence 10 (workshop, Belgrade City Museum, Belgrad, CS, 2010); Mapping the territories (Isola Art Center, Milano, IT, 2008). giuliacasula.blogspot.it

_Cristian Chironi Nato a Nuoro nel 1974, vive e lavora tra Bruxelles (B) e Bologna (IT). // Born in Nuoro (IT) in 1974; lives and works between Bruxelles (B) and Bologna (IT). PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI // SELECTED SOLO SHOWS: CROSS OVER (Galleria Biagiotti Firenze, IT, 2012); Hypnerotomachia (Galleria Biagiotti Firenze, IT, 2010); DK Art Fall 09 (PAC, Ferrara, IT, 2009). PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE // SELECTED GROUP SHOWS: Volume Collection (Museum of Modern and Contemporary Art, Rijeka, HR, 2011); Community - La ritualità collettiva prima e dopo il web (Marca - Museo d’Arte di Catanzaro, Catanzaro, IT, 2010); City Limits - Close your eyes and dream (Tongji University in Shanghai, CN, 2010); Rereading the Image - Photography as storage of meaning / Italy 1970-2009 (Prague Biennal Art 4, Prague, CZ, 2009); Soft Cell: dinamiche nello spazio in Italia (GC.AC. Monfalcone, IT, 2008); Home sweet home (MAN, Nuoro, IT, 2002). PRINCIPALI FESTIVAL // SELECTED FESTIVALS: Burning Ice (Kaaistudio’s, Brussel, B, 2012); CORPUS. Art in action (Museo MADRE, Napoli, IT, 2012); Le soirées nomades (Fondation Cartier Paris, F, 2011); Les urbaines - Festival des créations émergentes (Lausanne, CH, 2009); Trama (Fabrica Social, Porto, PT, 2009); Plateaux Festival (Frankfurt, DE, 2009); Living Room (Xing/Raum, Bologna, IT, 2006). RESIDENZE // RESIDENCES: Civitella Ranieri Foundation (New York, U.S.A. - Umbertide, IT, 2012). www.cristianchironi.it _Marco Lampis Nato a Cagliari nel 1976, vive e lavora a Cagliari // Born in Cagliari (IT) in 1976; lives and works in Cagliari (IT). PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI // SELECTED SOLO SHOWS: La mia eminenza piramidale è una duna barcana (INTERNO4, Bologna, IT, 2012); Come accordare una stanza (CHAN, Genova, IT, 2011); Altrove, all’infinito (Museo MAN, Nuoro, IT, 2010). PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE // SELECTED GROUP SHOWS: Notturno (Unosolo Project Space, Milano, IT, 2012); Biennale Giovani Artisti (Serrone, Monza, IT, 2011); Have a Look! Have a Look! (Form Content, London, UK, 2010); Nelle Pieghe del Mondo (Museo MAN, Nuoro, IT, 2010); Corso Aperto, (Como, IT, 2008); Public Improvisation (Fabbrica del Vapore, Milan, IT, 2008); Mulhouse 008, La creatión contemporaine issue des écoles d’art européennes (Ville de Mulhouse, F, 2008); Shaping air (Galleria NEON Bologna, IT, 2007). PREMI // AWARDS: Premio MAN-GASWORKS (Museo MAN, Nuoro, IT, 2009); Prix de la Mals à Sochaux (Ville de Mulhouse, F, 2008). RESIDENZE E WORKSHOP // RESIDENCES & WORKSHOPS: MACC, Museo Arte Contemporanea Calasetta (Calasetta, IT, 2012); Gasworks International Program Residency (London, UK, 2009); Fondazione Antonio Ratti (Como, IT, 2008); Shaping Air (Galleria NEON, Bologna, IT, 2007). www.knivesovereyes.org

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_Pietro Mele Nato ad Alghero nel 1976; vive e lavora a Berlino // Born in Alghero (IT) in 1976; lives and works in Berlin (DE). PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI // SELECTED SOLO SHOWS: The end of the process (CHAN Art Space, Genova, IT, 2012); Another degree of normality (Placentia Arte, Piacenza, IT, 2011). PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE // SELECTED GROUP SHOWS: In the wintry thicket of metropolitan civilization (AR/GE Kunst, Bozen, IT, 2012); Il lato oscuro della luna (Jarach Gallery, Venezia, IT, 2012); Sogenannte Umfeldaussagen (Motorenhalle, Dresden, DE, 2012); Io non ho mani che mi accarezzino il volto (Mole Vanvitelliana, Ancona, IT, 2011); Contours (Otrascosas de Villarrosàs, Barcelona, ES, 2011); Videoreport Italia 08_09 (GC.AC, Monfalcone, IT, 2010); Atelier (PACT Zollverein, Essen, DE, 2010); Actual fears: mixed gaps & vertigo (CAN - Centre d’Art Neuchâtel, Neuchâtel, CH, 2010); Visions in New York City (Columbia University, New York City, USA, 2009); WRO 09 - 13th Media Art Biennale (Wrocław, PL, 2009); Documents (Fondazione Spinola Banna, Torino, IT, 2009). PRINCIPALI FESTIVAL PROIEZIONI // SELECTED FESTIVAL SCREENINGS: Milano Film Festval (Milano, IT, 2011); Hors Pistes (Centre Pompidou, Paris, FR, 2010); Out of tracks (Pera Museum, Istanbul, TR, 2010); Loop Festval – The Platorm For Videoart, Barcelona, ES, 2010); 23rd European Media Art Festival (Osnabrück, ES, 2010); 55th Internatonal Short Film Festval (Oberhausen, DE, 2009); 6th Naoussa Internatonal Film Festval (Naoussa, GR, 2009); 26th Torino Film Festval (Torino, IT, 2008); Media Art Festival for Film and Video / Northern Film Festival (Leeuwarden, NL, 2008). PREMI // AWARDS: Senz’appello Video Art competition (1st Prize GAMC, San Marino, SM, 2012); Torino Film Festival (Jury Special Award – Kodak Short Film Award, Torino, IT, 2008). WORKSHOP: Fondazione Spinola Banna per l’Arte (Poirino, it, 2009). _Stefano Serusi Nato ad Alghero nel 1980, vive e lavora a Milano. // Born in Alghero in 1980; lives and works in Milan (IT). PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI // SELECTED SOLO SHOWS: Novecento (Villa Litta, Milano, IT, 2012); Trame parallele (Underdogstudio, Modena, IT, 2012); Piccole ceneri (Isola Libri, Milano, IT, 2011); Jamais vu (Galleria L.E.M., Sassari, IT, 2010); The Butterfly Effect (Trittico Ironico, Nuoro, IT, 2008). PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE // SELECTED GROUP SHOWS: Nello specchio di Prometeo (Centro Laber, Berchidda, IT, 2012); Desiderata exquisita n°6 (Microgalleria dell’Accademia, L’Aquila, IT, 2012); Icarus Dream (Spazio Quimica, Cagliari, IT, 2011); Sineddoche (Bonaire, Alghero, IT, 2011); Generazioni Glocal (Exmà, Cagliari, IT, 2011); Silver Session (South & North, Valencia, ES, 2011); Sweet Sheets - Moves to Modica (Palazzo della Cultura, Modica, IT, 2010); Public. Open Show (Palazzo della Frumentaria, Sassari, IT, 2010); Sweet Sheets III (Zelle Arte Contemporanea, Palermo, IT, 2010); Art toys (Museo Man, Nuoro, IT, 2009); Spazi di utopia (ex Circolo Marinai d’Italia, Alghero, IT, 2009); Public.Metamorfosi urbane (Sassari, IT, 2009); Il corpo sottratto (Cimitero Monumentale, Iglesias, IT, 2008); Zebra crossing (Facoltà di Lettere e Filosofia, Sassari, IT, 2008). RESIDENZE & WORKSHOP // RESIDENCES & WORKSHOPS: Nextfloor Temporary School (Sintetico, Milano, IT, 2012). stefanoserusi.blogspot.com

_Rachele Sotgiu Nata a Nuoro nel 1984, vive e lavora tra Nuoro e Torino // Born in Nuoro (IT) in 1984; lives and works between Nuoro and Turin (IT). PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI // SELECTED SOLO SHOWS: Stanza 6 - Pigre correnti (Trittico Ironico, Nuoro, IT, 2010); Il limite contravvenuto (Museo Peppetto Pau / Dromos Festival, Clandestino 2009, Nurachi, IT, 2009). PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE // SELECTED GROUP SHOWS: EAT, Emergent Artist Trans-Mediterranean (Palazzo Lombardia, Milano, IT, 2011); Sofia D.A., Lifesize project (Milano, IT, 2011); DNA Caratteri ereditari e mutazioni genetiche (Museo MAN, Nuoro, IT, 2011); Lost in Franciacorta (Spazio Open Care, Palazzo del Ghiaccio, Milano IT, 2011); Milano un minuto prima. Nuove visioni di una città, (Fondazione FORMA, Milano, IT, 2011); 40x40=71, (Trittico Ironico, Nuoro, IT, 2010); Ragionevoli dubbi (Museo MAN / Isola delle Storie, Festival Letterario della Sardegna, Nuoro, IT, 2010); 2009 ART TOYS, Museo MAN, Nuoro, IT, 2009); S’IGNUM & ITTE KITSCH, 11 ARTI SUPERIORI (Palazzo della Frumentaria, Sassari, IT, 2008). RESIDENZE & WORKSHOP // RESIDENCES & WORKSHOPS: Fundaciòn CIEC (Centro Internacional de la Estampa Contemporànea, Betanzos, ES, 2012); Franciacorta area (Adro, Erbusco, Borgognato, Monticelli Brusiati, Capriolo, Iseo, Bornato, Brescia, NABA New Accademy of Fine Arts & Berlucchi S.P.A., IT, 2011); BARRIERS (WWF’s & Econect, Parco Naturale delle Alpi Marittime, IT, 2011). rachelesotgiu.tumblr.com _Carlo Spiga Nato a Cagliari nel 1983, vive e lavora tra la Sardegna e Milano // Born in Cagliari (IT) in 1983; lives and works between Sardinia and Milan (IT). PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI // SELECTED SOLO SHOWS: Rifugio Sgabùtzo (GiuseppeFrau Gallery, Gonnesa, IT, 2012); Ulan-Ulan! (MEME arte contemporanea e prossima, Cagliari, IT, 2011); sound of perseverance (trittico ironico, Nuoro, IT, 2010). PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE // SELECTED GROUP SHOWS: La maschera e il volto (Galleria cart, Monza, IT, 2012); Holiday Island a Sardinian experience! (Supermarkt, Berlino, DE, 2012); SWEET SHEETS IV Only works on paper (Zelle Arte Contemporanea, Palermo, IT, 2011); CASA AUT - L’arte che assedia (Ex Casa Badalamenti, Cinisi, Palermo, IT, 2011); LET’S CIRCUS! (Piccola scuola di circo di Milano, Milano, IT, 2011); Generazioni glocal (Exma, Cagliari, IT, 2011); Genau! (Lucas Carrieri gallery, Berlin, DE, 2010); Tessere (L.E.M. Laboratorio Estetica Moderna, Sassari, IT, 2010); Ishiwata Biennale 2009, in the republic of Ishiwata (WIR Gallery, Berlin, DE, 2009); Spazi d’utopia (Ex Circolo dei Marinai d’Italia, Alghero, IT, 2009); Babelfish (Casa Meloni, Time in jazz, Berchidda, IT, 2008); Gemine Muse (Museo Civico d’Arte Siamese Stefano Cardu, Cagliari, IT, 2007); Ateros cuentos (Sa domo manna, Villanova Monteleone, IT, 2007). COLLABORAZIONI // COLLABORATIONS: Rifugio Sgabùtzo (con/with GiseppeFrau Gallery, Luigi Massari; Villaggio minerario Normann, Gonnesa, IT, 2012); Il gioco dell’oca (con/with Associazione Cherimus; GAMEC, Bergamo, IT, 2011); MultimediArt Senegal-Chadal, Dakar, Carbonia, Festival Etnicus Castiadas, Festival Carroponte Sesto San Giovanni (con/with Associazione Cherimus); Nebida (Laveria la marmora, Nebida, IT, 2011); Niniendi su pippieddu cun Sant’Anna e Santu Iacu (Perdaxius, IT, 2010). carlospiga.blogspot.it

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_Antonella Anedda (Anedda-Angioy) Nata a Roma nel 1955, vive tra Roma, la Sardegna e – dal 2011 – l’Inghilterra. Poetessa, saggista e traduttrice, ha collaborato con varie riviste e giornali come Il Manifesto, Linea d’ombra, Nuovi Argomenti, Rinascita, Ipso facto, alfabeta2, Doppiozero. Ha lavorato con numerosi artisti e musicisti quali Jenny Holzer, Hub Ubbens, Ruggiero Savinio, Paolo Fresu, Dario Minciacchi, Rozalie Hirs // Born in Rome (IT) in 1955, now lives between Rome, Sardinia (IT) and – since 2011 – the UK. Anedda is the author of numerous poetry books, essays and translations and has contributed to many magazines and newspapers such as Il Manifesto, Linea d’ombra, Nuovi Argomenti, Rinascita, Ipso facto, alfabeta2, Doppiozero. She has worked with numerous artists and musicians like Jenny Holzer, Hub Ubbens, Ruggiero Savinio, Paolo Fresu, Dario Minciacchi, Rozalie Hirs. POESIE // POETRIES: Salva con nome (Mondadori, Milano, 2012); Dal balcone del corpo (Mondadori, 2007); Il catalogo della gioia (Donzelli, Roma, 2003); Notti di pace occidentale (Donzelli, Roma, 1999); Residenze invernali (Crocetti, Milano 1992). SAGGI E RACCONTI // ESSAYS AND SHORT STORIES: La vita dei dettagli (Donzelli, Roma, 2009); La luce delle cose (Feltrinelli, Milano, 2000); Cosa sono gli anni (Fazi, Roma, 1997). TRADUZIONI // TRANSLATIONS: Nomi distanti (Empiria, Roma, 1998); Appunti per una semina (Fondazione Piazzola, Roma, 1994). PREMI // AWARDS: Premio Rèpaci-Viareggio (2012); Premio Pascoli (2012); Premio Dessì (2008); Premio Napoli (2008); Premio Sinisgalli opera prima (1992); Premio Diego Valeri (1992), Tratti Poetry Prize (1992); Premio Napoli (1992); Premio Eugenio Montale (2000).

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ENGLISH TEXTS FAR FROM WHERE a glimpse into the Sardinian contemporary art scene by Antonio Maria Masia - Chair of the Gremio Association This significant and important initiative was undertaken completely independently by the “Youth Association”, consisting of Gian Mario Cossu, Monica Chieri, Giuseppe De Chiera, Monica Lambru, Pietro Masia, Maurizio Mura, Giorgia Urru and Ilaria Onorato. It has been a pleasure and an honour both for me and for the members of the Board and its partners to have been involved. As the curator Maria Rosa Sossai and Gian Mario, the leader of the initiative, have written, this exhibition invites and encourages the capital’s large Sardinian community - and others besides - to turn their attention towards the contemporary works that young Sardinian artists, mostly resident outside of the island, have cultivated across a range of expressive means. It may well be true that we partners of the Gremio Association, advanced in years and attached to classical artistic forms, often find ourselves ill at ease and disorientated in relation to some of today’s artforms, which sometimes also use digital technology. We are alas conservative by decree, tied, emotionally and nostalgically, to sounds, songs, customs, pictures and sculptures from times which are long past and which are extremely remote indeed for the youth of Sardinia today. ‘Far from Where’, the young artists ask themselves. From that place where we Sardinians, who are less young and dislocated but still a long way from the island, are kept by our thoughts and memories. And if we Gremio Association members talk about our memories then we cannot fail to recall the two exhibitions, of antiquities and of modern art, that our founders wanted and which they organised in the spring of 1950 (let me mention here that our Circle began in its current name in April 1948) in Rome at the Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Valle Giulia, where the sculpture by Francesco Ciusa entitled “Mother of the Slain” is still on display. The exhibition that thanks to the Youth Association we present today has borne two important and worthwhile fruits. The first is to have given us greater knowledge of and proximity to what young Sardinian artists who contemplate their identity from afar, judging its contents and qualities, regard as contemporary. The second is to get us to remember and even retrospectively to assign worth to and evaluate the involvement of those Sardinians in Rome who had the island in their heads and hearts and who in ‘48, coinciding with the birth of the Autonomous Region of Sardinia, wanted to form an association that could act as a reference point for them and for their many compatriots coming to the capital in search of a better future. With the great patronage of the president of the council of ministers Alcide De Gasperi MP and the moral and financial support of esteemed committees and the most prestigious experts, the two exhibitions in 1950 achieved widespread prominence and attracted attention, encouragement and in many cases social and economic success and good fortune for Sardinia and its artists. The modern art exhibition lined up some sixty-seven artists, painters, sculptors and engravers, “the best in the field of the contemporary arts” as the then President of the Association, General Siro Fadda, said. And how could it have been otherwise with artists like Giuseppe Biasi, Remo Branca, Francesco Ciusa, Mario Delitala, Stanis Dessy, Maria Lai, Marius Ledda, Libero Meledina, Melchiorre Melis, Federico Melis, Pino Melis,

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Antonio Mura, Bernardino Palazzi, Aligi Sassu, Giuseppe Silecchia, Costantino Spada, Eugenio Tavolara, to name just a few. The exhibition of the antiquities of the Nuragic bronzes and paleo-Sardinian civilisation brought to public attention the “almost unknown products of an ancient civilisation that built works of great originality on a Mediterranean substratum”, as the then mayor of Rome Salvatore Rebecchini said at the inauguration. Those of us who have managed the Association in the new millennium would like to use the indissoluble thread of memory to connect the current exhibition, with the poetic title Far from Where, to the exhibitions of the spring of 1950, and hope thereby to bring to these young artists the same springtime of bright prospects, the same positive assessments and the same endorsement of real success. They have a stylistically fascinating mode of expression which is related to the land we come from, a mode of expression that we will never perhaps achieve ourselves but that we would like to be open to and involved with. We give our heartfelt thanks to the authorities and institutions involved, first of all to the Region of Sardinia which made the initiative financially viable, the Rome City Council Department of Cultural Policy and the Historic Centre, the partners who have collaborated with us, the curator, the artists and above all the young people of the Association.

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Far from Where by Gian Mario Cossu Distance has a particular meaning in relation to Sardinia. An island is made up of defined and highly visible borders. Beyond the land lies only the sea. It is a space which has for years been eroded by technological progress: faster boats, low-cost flights and communication technologies shorten distances. But to what extent? What ultimately are the benefits brought by all these innovations? Is it only a matter of physical distance? Is distance something that is measured and whose value is assigned according to the time it takes to get from one hypothetical point to another? The distance between Sardinia and the mainland? Between two different ways of looking at things, if indeed they really are different? Is it a sense of abandonment caused by material things like work? The industry that departs moves on leaving only a trace. Perhaps it is something deeper, a feeling that one retains, a state of mind, a vision of the world, a perception, something immense and immanent. And this is a very topical condition in multi-ethnic cities in the modern world: people flee from wars, from hunger, they move because of work or for other reasons. It is a condition that influences Sardinian artists, their work and the choices they make in their lives: to look for solutions elsewhere, for new paths far from Sardinia, but still talking about Sardinia and in so doing about the world. These paths can be taken by anyone who has had to emigrate for work: first the fathers and then the sons. And one faces the return, which can be physical, mental, or expressed as a form of art. In these expressions Sardinia can be a social tale, a land of conquest, a memory which is long past but which blossoms to become current again. It is a journey, a sound from an undefined place, a language made up of other languages. It is a subject that is valid for other places, other cultures and other histories. And art is a vehicle to shorten distances, to connect and be understood by all, to approach people, even physically. Art and culture can achieve this. This is the meaning of being Far from where: not recounting Sardinia’s story so much as the world’s, recounting what it means to create art as an artisan manufactures craft. It is the history of a society that evolves while remaining bound to its roots. The global role of the Association of Sardinians is to spread culture by bringing it closer to people. The best way they can do this is in projects conceived and developed alongside the artists. This is the route that we wanted to take as the Youth Group of the Association of Sardinians: for we ourselves to become the vehicle of cultural diffusion, of communication, of encounter and of dialogue between cultures. To enable space to be given to new generations and art to find new arenas and new opportunities of expression.

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Far from Where? by Maria Rosa Sossai

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It is not known how distant far from us is, nor whether its geographical position lies north, south, east or west, nor even if it can be measured in kilometres. This is because, aside from being translated as a physical measurement, distance is a mental category, an emotional state, a metaphorical faraway which the artists in this exhibition have each dealt with in different ways over time. From our conversations we have found that a departure usually takes place when things around us start getting either too easy or too difficult. It depends on the time and on the circumstances. For some of the artists, sound and music have provided the way to open up a relationship with the world and to configure reality along different parameters, while for others video images have enabled them to uncover hidden aspects of interstitial or uncomfortable truths, and for many of them sculpture, photography and performance have been signs to “resist the homogenisation of time through rupture and discontinuity” (H.U.O., Interviews, vol.2, Charta, p. 8). For each of them it has been valid to question how the aesthetic pursuit is turned into knowledge, as a way to go beyond some of the rules of the art world. One of the hypotheses that the exhibition tests is the existence of a dynamic relation between biographical time, the memory of a place, personal growth, coincidences, encounters, predestination and common experiences. Some of the artists see each other personally and collaborate with each other. Some of them follow other people’s work from a distance. Taking a look at their dates of birth, one can quickly see that they belong to similar generations. There are surprising parallels between their experiences and their shared feelings, which are perhaps due to the fact that they grew up on the same island, went to the same places, and spoke one of its many dialects. This does not have to be significant, but at the same time it indicates that they have an affiliation and roots in common. Belonging to a single geographical territory is not, in the age of globalisation and diaspora, as important as finding oneself in tune with a conceptual nomadism that sometimes reflects the processes of creation and existence, so that if the memory of their origins predominates in some of the works, others seem to suggest their place of residence or the journey they have undertaken. One of the guiding principles behind the selection of artists was the desire to demonstrate, albeit not exhaustively, the aesthetic and expressive changes that have occurred amongst the recent generations of artists born in Sardinia. The outcome has similarities with other contexts – architecture, media, literature, philosophy, studies in anthropology and the social sciences – and is in dialogue with people from areas that adjoin the visual arts. The research is not completed via the elaboration of abstract principles but takes shape through concrete actions that can start a chain reaction, fulfilling Alberto Garutti’s wish for “an art which is not selfreferential, in which we all feel part of a collective self, as if a participatory sensibility were being developed” (cit. Obrist, p. 524). It is a process that can be seen in this exhibition, which was conceived as the basis for a network that puts art and reality in dialogue. Much has already been written about movements and currents dying out; perhaps such orphanage is why the artists often cultivate the cult of memory and use expressive forms which have become obsolete. These anachronisms exceed the bounds of the ordinary instilled by notions of technological progress, and acquire extraordinary qualities that surpass common sense to turn into radical action. The prevailing desire is to preserve

something before it is definitively lost - the mountain landscape, the garden ideal, street sounds, portraits - or to dig up stories that are largely invisible or forgotten - clearances of the NATO base which never took place, wax sculptures, family photos from an already bygone form of tourism. The work of art becomes the result of small discoveries, brief illuminations, alchemy, skilful constructions resembling the functioning of the world and its domesticity, tiny recognitions that can still effect change. Yet it concerns the creative potential that is awakened in the presence of the spectator. In the last few decades the simultaneous transmission and sharing between people on distant parts of the planet of data and images over the internet has stimulated art’s participatory nature, which is often manifested as a response to precise natural stimuli that can be political, social, cultural or intimately poetic. It is as if the important thing were to understand the consequences of artistic activity, since any expressive act has results and effects both on the audience, on whom lived experience leaves its sediment, and on the work itself. This is the case even if appreciation and judgement are nowadays conferred through temporary networks and instant feedback - a photo taken on a mobile phone, a comment on a blog, a ‘like’ on Facebook. Forms of meaning that take shape in the exhibition space and then spread through social networks and computers’ browser histories, but hopefully also into the gaze and mind of the spectator. The work lives out a continual process of transformation into something else and then into something else again. And perhaps the best way to give the richness and complexity back to the exhibited artists’ search is to offer them the chance to speak. In this way, they can reconstruct their own journeys in the first person and the relation between art and life can appear, the relation that Hans Ulrich Obrist called the production of reality. Their testimonies are in part the transcriptions of conversations we have had together over time. And finally we come to the site-specific work of the poet Antonella Anedda, which is made up of an anthology draped over some containers that hold memories.

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_Az.Namusn.Art If today was your last day and tomorrow was today, 2012 Az.Namusn.Art is a project by Riccardo Fadda, who followed a public art event (Clear Lab, Porto Torres, 2007) by forming a travelling collective which works throughout the region. Last February the group moved to London, where it currently operates. Az.Namusn.Art has turned the crisis of its region – a crisis which regards work, the environment, and ethics – into a permanent creative laboratory which gives artistic form to their radical opposition to the politics of occupation in the region. Often deliberately using illegal methods, the collective reclaims art’s active social role of raising awareness. Working in the interstices of a difficult daily situation, Az.Namusn.Art makes a clear distinction between legal and illegal, which is the only possibility for independent expression that, insofar as it is unauthorised, cannot be appropriated. Different projects, some of which are still in progress, have dealt with subjects concerning the environment and have in general documented contradictions, the cult of violence, false ideologies and the gradual degradation of some of the most stunning parts of the island: from the problem of the recent military and industrial occupations (Occupy Sardinia, Scafati, 2012) to the failure to clear disused industrial areas (Az.Namusn.Art, in collaboration with some of the energy company Eni’s technicians, has divided up areas that belong to the company, set up a property agency and put them up for sale – alandforsale.net, Salzburg, 2011). The work on exhibition at the Pelanda If Today Was Your Last Day and Tomorrow Was Today began two years ago and continues the theme of the 2009 work Dis-mission. The project, which for the collective is “a duty of civic responsibility”, breaks the wall of silence surrounding the clearances after the occupation of the special refuse dumps. For a year detritus was brought in total secrecy from the old La Maddalena weapons base, which had been converted into a Conference Centre in preparation for the G8 summit that was subsequently moved to L’Aquila. The work is in different phases, the first of which sees the virtual removal of the statue of the Fascist official Costanzo Ciano which was commissioned to the sculptor Arturo Dazzi by Benito Mussolini straight after Ciano’s death in 1939. The monument, which would have been second in size only to the Altare della Patria (Altar of the Nation), was begun two years after the death of the ‘hero’. It was suspended immediately after the announcement of the fall of Mussolini and left unfinished in the Villa Marina quarry on the island of Santo Stefano. As a virtual display made on video, the work sees the sinking of the monument into the toxic waste that was dumped from the recent clearances and where the tanks and bilges of the boats from the Italian military fleet used to be cleaned. As in old Soviet Bloc cities where regime statues that were “ghettoised” in special parks have turned into attractions for tourists looking for relics of the old ideology, Az.Namusn.Art forces the monument to Ciano into a decontextualisation that changes it from propaganda into advertising. The second phase, Ciano Pool (2012), is a survey carried out on the website causes.com asking the public for opinions on the monument’s removal, including the final option of its destruction. The last phase is an organised trip to La Maddalena during which, before being virtually removed, the monument will be printed on a shroud that will then be taken to the old army base in a rally/demonstration that will also act as its funeral. The printing method is the same as the one developed by Prof. Luigi Garlaschelli of the University of Pavia for the Turin Shroud. The blue image produced through contact with the monument is a citation of Yves Klein’s Anthropometries, but it is also a play on words because of the assonance of the blueprint process* with the hero’s name, slowly disappearing to leave only an outline

before it vanishes completely, cancelling out an apologia for a Fascist hero. If Today Was Your Last Day and Tomorrow Was Today charts a complex and dense pathway through political questions that relate to our national history and to anti-Fascist militancy, but above all it is an assumption of responsibility for one of the most beautiful parts of Italy which has been oppressed and ground down by misguided industrial policies carried out in the interests of a minority, burdened by a military occupation that has irreversibly damaged the health of its citizens, tricked over clean-up operations that never ended up taking place, and poisoned by the irresponsible behaviour of its political rulers and in part by the short-sightedness of the islanders themselves. * Which is known in Italian as ‘cianografia’. _Giulia Casula LANDSCAPE∞REMIX, 2012 My research focuses on landscape, place and history through an analysis of the social imaginary. This analysis explores the relationship between reality and the multiple ways in which it is represented and mapped, highlighting its precarious and intangible aspects. I work in different languages, with photography, archives, drawing, photocopies, sound, video and salvaged materials; I create precarious and ephemeral site-specific works through an intuitive and dialectical approach towards how things are connected. I represent visual impressions from my everyday life in the form of territorial and conceptual investigations and as reflections on time and memory, reconstituting them as aesthetic and poetic forms of social criticism. LANDSCAPE∞REMIX, with the symbol of infinity connecting the two words, is a work in progress that reflects on the sound and nature of landscape and its existence in a continual and cyclical process of transformation. The first thing to mention in understanding the work is the aural document of a project held at the Nuoro MAN Museum for the purposes of observing and listening to the surroundings. In this project artists and musicians gave personal interpretations and sonorisations of works from the museum’s permanent collection. The audio recording became an instrument through which to mediate and interpret the works, and a present-day legacy through which to see and hear the legacy of the past. The installation in the two adjoining tanks of the Pelanda follows on from this aural document and reflects on the specificity of new surroundings, calibrating the space’s architecture with the concrete and vibrant elements of materials salvaged from the urban environment. Through a process of accumulation and subtraction, the objects are placed so as to fully intersect both tanks and to indicate meanings and new possibilities for listening. LANDSCAPE∞REMIX is also a reflection on what is thought of as scrap and how to give form to untranslatable and insubstantial remnants. _Cristian Chironi ECO, 2012 I grew up in Orani, a small town in the middle of Sardinia where Mario Delitala and Costantino Nivola were born and where I have always been involved with art. Then I went to the Accademia di Belle Arti (Fine Arts Academy) in Bologna, where I began my work in what one could describe as contemporary art with an interdisciplinary edge and an interest in new languages. I sought a break with some aspects of the artistic context

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then at work in Sardinia, which pursued an obsolete and folkloric idea of the island. This is not to say that I don’t still find seeing people in Merdules masks from Ottana a valuable experience. However I often happen to think in English and not Sardinian and find outside points of reference, for example how the structure of the Nuraghe to me anticipates the lines of a Le Corbusier building. Nowadays I shuttle between Brussels, Bologna and my home in Sardinia. My current work develops out of a dialogue between the arts of performance, photography, video and other contemporary media and the search for an interaction between them, and with their human and environmental contexts. At the Pelanda I am projecting the video ECO, a documentation of a performance of mine of 2012 produced by Museo d’Arte contemporanea DonnaREgina (M.A.D.RE) in Naples / CORPUS.Arte in azione, in collaboration with Dolomiti Contemporanee | laboratorio d’arti visive in ambiente. I sat for the whole day on the outside wall of the Museum terrace on the top floor of the building, visible from below and from the balconies next to me. I watched Vesuvius with a book about the Dolomites under my arm and some incongruous climbing equipment. As a “metropolitan mountaineer”, I established a personal and empathic relationship with the area around the museum and with the city itself. I shouted at set intervals and the echo sounded like I was in a mountain valley, owing to a powerful sonic structure that incorporates the whole city and the Museum rooms. This established an imaginary and primordial relationship with the surrounding urban fabric, but also an ironic idealised bridge between the North and the South of Italy, from Vesuvius to the Dolomites.

is, of the anatomic image of the earhole or cochlea - both because of its almost anatomical shape, and for its ability to change the way we perceive sound when it is held to the ear like a seashell. Thinking about these terms, I wondered how one obtains unique objects. So I decided to make some castings from natural and artificial wax which once they had set and the casting had broken would produce the only copies of objects that were made using an industrial form of production. The choice of the material turned out to be important for different reasons: to begin with, for its quality as an animal product, the fruit of a long and painstaking process that makes it unique and that, precisely because of its laborious manufacture, places it within a different economy of production; because of its historical use for the manual reproduction of parts of the human body; for its material similarity to earwax; for its reversible and infinite capacity for transformation from a solid into a liquid that, once the object has been created, means it can be melted down again and used for a new casting, nullifying it and removing it from the laws of the market, accentuating the importance of the process over the result. One can no longer recognise the finished object as a lightshade since the process of casting and destroying the casting removes it from reality, transforming it into something else that no longer belongs to the system that we recognise as the real. My consciousness of my own body no longer occurs through recognition of the object I have produced because it is no longer my shadow but perhaps the shadow of the shadow of something held in common. I can therefore recognise my body without identifying myself any longer with the objects that surround me.

_Marco Lampis Costruttore di orecchi (Constructor of Ears), 2012 After going to the Academy in Bologna, I moved first to Berlin to study at the UDK and then, thanks to the Nuoro MAN Museum, to London to undertake a residence at the Gasworks. In Bologna I took part in the experimental musicians’ collective Phonorama at the XING - Raum. I still make music using magnetic tapes, Walkmans and analogical instruments and I am interested in noise, mistakes and improvisation. My artistic practice aims to emphasise sound as a notion, music as an experience and the concept of soundscape. This is to get to the question of the perception of things, like for example temporal duration, by identifying sound - sonic vibration - as a unique form that allows us to view our own bodies from the outside and as the only way in which we can attain a total vision of the reality surrounding us. The challenge lies in working on sound and with sound without necessarily using it, by substituting visual with aural perception. It is to transform the eye into an ear and understand sonic installations without sound. It is to start from sound so as to investigate the perception of space and architecture and vice versa. For the Pelanda exhibition I am presenting a work whose complete title is Ciò che accade dentro (dietro) gli orecchi o Costruttore di orecchi (What Happens inside (behind) Your Ears or Constructor of Ears). It is a series of works in which I make connections between what happens behind our ears, which we cannot see but can perceive through an awareness of our bodies, and what physically happens within ourselves, or how we physically perceive sound. I try to correlate the perception of our bodies through objects, space and architecture. In this series of works I mainly use discarded materials that have the same value for me as noise does in music and that I organise spatially so as to make their inner vibrations appreciable. I am currently concentrating on objects as sonic elements, as the shadow of our bodies*. I have chosen to use a common object, a lightshade, as a materialisation of this idea – that

* “I thought that maybe it was the bed of the house’s inhabitant, whose monstrous anatomy revealed itself in this way, implicitly, like an animal’s or a god’s”. (Jorge Luis Borges, There Are More Things, The Book of Sand, 1975) _Pietro Mele Every day, 2011 I moved to Berlin in 2002 after I finished my studies, and I have just returned there after a brief period back in Italy. My work focuses on reality’s smaller aspects, such as historical facts which are considered marginal and that I study so as to provide a new understanding of them. I would call my interest in what is not obvious and what is downplayed obsessive, and I think of my works as amplifiers of information rather like a low-voltage entrance sign which generates a high voltage at the exit. Ideally, then, my aim is to reach a greater level of sharing by starting from very specific questions, and proceeding through this forceful process of enlargement. At the Pelanda I am presenting Every Day (2011), a video about one of the largest and most active NATO airbases in Europe. The military structure is contrasted here to the daily life of a shepherd who is its grudging neighbour. Through a progressive agglomeration of information garnered from small events, pauses and slow camera movements which only create a complete picture by the end, the video demonstrates the absurd nature of this cohabitation between two irreconcilable worlds. The project is part of a series of works that confront the problem of military activity in Sardinia, whose range of operations takes up around 60% of the total state territory. This is an unasked for distinction which the island’s population pays for with genetic diseases, cancer, leukaemia and many other serious and life-threatening illnesses.

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_Stefano Serusi (Un) giardino (A garden), 2012 Before moving to Milan and in between the Academy and my eternal sabbatical year, I focused on Sardinia and took my work on an intense round of exhibitions. I had always been involved with environments that have a great deal of character, and there was an almost natural development in my work towards site-specific projects where my analysis and impressions of architectural structures form the basis for constructing a narrative inside those structures. My work in 2012 centred around Milan and my research into “bourgeois” modes of living across the ages. I studied the continuities and formal characteristics of these ways of life through the evidence I found in museum homes. This research led me to the 17th century building the Villa Litta, where I decided to recreate an obviously manufactured living space in two specific ways. The first involved designing a special desk for the small frescoed chapel to turn it into a place where work could be an almost religious experience, in accordance with a typically modernist sensibility; for the other activity I asked six artists with different styles and sensibilities to depict dogs out in the garden, as if they were the ones that once lived in the house. The portraits were piled against the huge fireplace and became the link between the “natural” outside environment and the “formal” domestic one. The installation Parte della famiglia (Part of the Family, 2012), recreated in the Pelanda atelier whose large pipes call to mind running water, is a way of evoking the garden ideal via an imaginary catalogue of places that were once thought of as the border between man and the natural landscape. An artificial pond and cave, geometric parterre, winter garden and fake ruins are each labelled with signs like those used to categorise botanical species. In amongst the black and white images in these spaces is a work which is emblematic of sculptural form, Gazebo (2012), in the shape of an enclosure with some decorative touches. _Rachele Sotgiu Tracciati (Outlines), 2011 After going to the Sassari Academy I moved to Milan for my Masters and then to Turin for work; but in one way or another everything always brings me back home. I am interested in exploring the mistakes and inadequacies inherent in particular situations, and I use them as creative resources. The video Sottili tragedie (Slight Tragedies, 2010) documents a performance held in Gavoi in which a man, whose face is not seen, keeps on buttoning and unbuttoning his shirt, continually getting it wrong. It is a way of lingering on the uncertainty of the everyday and sharing a perspective in which error is an absolute symbol and a cause of uneasiness. Forme di alterità (Forms of Alterity, 2011) examines what is represented by the objects we use; it is an account of how we employ extensions to ourselves, of the everyday prostheses that make up for our limits and help us fulfil our needs. For this project I collected sixty objects that belonged to a man who at a certain point in his life decided to stop talking and began to use the things around him to construct, to the best of his abilities, a world in his own image. The objects were photographed as if they were part of a taxonomic collection. A long-term project of mine is Somiglianze di Famiglia (Family Resemblances, 2012), for which I plan to photograph all of the inhabitants of a particular city each in their family units. At the Pelanda I am presenting Tracciati (Outlines, 2011), a work which I completed during a residence in Franciacorta which is an analysis of the region that gradually turns into

a study of photographic form. The theoretical process that led me to erase the centre of the photograph comes from the same reason that leads people to take photographs in the first place, that is to conserve an image of the living by which to remember them. And in this way two images, the mechanical one created by the camera and the memory’s less precise one, are superimposed to create a new one. The photograph thus becomes a kind of passepartout and the drawing its projection, filtered by the mind and by the memory that remains of it. This passage is fundamental in moving from photographs as tourist items or souvenirs to the mental re-evocations that memory brings about. The essential point across the work as a whole is the loss of information, from the vision of the human eye to the photographic image and then from photograph to drawing. _Carlo Spiga Braün, 2012 For many years now my research has focussed on the forms and transmission of popular culture, and on multipart singing (which is traditional polyphony) in particular. In a snow-swept Berlin I played a selection of Sardinian guitar music on an amplifier mounted on a cart. Over the microphone and in broken German between a Cantzòni a curba and a Corsicana* I advertised the event which I was taking part in; I wore two Coidànas round my neck, which are decorations worn by oxen in Campidanesi processions. On the council loudspeakers in front of the Samatzai town hall I made an announcement that began and ended with some music by a local band called the TAMANERA. These events were two stages in a journey through sound; at both stages this “journey with a burden” - Biaxi, in Sardinian Campidanese - took other people along on the way. After this project, in Como, Milan, Faenza and back once again to Sardinia, the sound diary was enriched until it became a choir, an epic metal propitiatory song in Logudorese**... I find that it is important to dislocate the work so as to reap the sum total of sounds and experiences and thus make them part of a collective heritage. The project on exhibition, Braün – named after the famous brand of electric shavers whose name has become onomatopoeic - is a selection of sound materials gathered over around ten years of research, from Sardinian polyphony to the diaphonic singing techniques of Central Asia, Georgian Noise and Table songs, Delta Blues and Norwegian Black Metal..., and is an interpretation of the environment in which I find myself. It has led to collaborations and spin-offs including: THIRD FIRE, with the Apulian artist and musician Luigi Massari, presented in the mining village of Normann; Bàsciu&Contra Car Session, improvisations of Campidanese poetry recorded during a car journey along highway SS 131 with the amateur poetry improvisers Ivo Murgia (a cultural worker and expert in Sardinian), Francesco Capuzzi (an engineer and inventor of the electric panpipes), Michele Atzori, known as Dr.Drer (travelling metalworker and independent musician) and Federico Onnis (an ethnomusicology student and musician); oooOOO?!?! a lakeside folk duo born from a collaboration with the French artist Beatrice Bailet; BRAÜN (Proßlems RMX), an exchange of material between Berlin and Florence with the artist and musician Matteo Scano. CONTRA (2012) was shot in the rooms of the International Museum of Ceramics in Faenza by the artist Silvia Camporesi; an all-out ‘hand to hand’ encounter between the vocal traditions of Sardinia, Central Asia and the works in the ceramics collection of Faenza. A collaboration with Bah Moody, a Péul (a group of African nomads) musician, has come out of work with CHADAL, a Senegalese Sardinian band that originated in a project of international co-operation undertaken by

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the Sardinian association Cherimus. CD players, cassettes, headphones, posters, packaging and other items that illustrate the project’s different stages are placed on a pile of bricks in the middle of one of Pelanda’s tank spaces and all around its perimeter. The setting has been decorated like a Sardinian festival stage, covered with a tangle of branches and foliage which in this case go round the tank’s inner walls. Special thanks go to Riccardo Puddu, Gianni Pireddu, Mario Ziulu, Nazareno Orrù, Ester Mureddu, Lucia, Andrea and Gigino Caredda. * Two traditional Sardinian musical forms. ** A Sardinian dialect.

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_Antonella Anedda Antologia (Anthology), 2012 I was born in Rome but as my surname suggests I have Sardinian and Corsican parentage which goes back generations. I am very proud to count Giovanni Maria Angioy amongst my ancestors, a man who fought Sardinia’s feudal legacies and who died exiled and alone in Paris in 1808. I am a poet but I studied Venetian art history with Augusto Gentili, and wrote my thesis on iconology. I think that this formation was what led me to develop my passion, in fact my obsession, for details. This passion brought me to England on the trail of Darwin. Although still a follower of art and above all of contemporary art, for years I only published essays and poetry, then, right when I found myself writing Limba, a language which was certainly not “pure” but mixed Logudorese, Campidanese and Corso-Gallurese*, I wrote a book called The Life of Details which was dedicated to details that I had photographed in various museums. While I was putting the book together, during a period of mourning, I started to reflect on the theme of loss by using fragments, photographs, fabrics and naturally also words, but words that were alienated and dislocated from the traditional space of the page. My last book also has verses, prose sections and photographs, and is called Save As. I love to reason in terms of multiplying points of view, like the Cubists did. To me Sardinia is also a place of loss and distance. It is a place that, as Marco Paolini says, has the intensity of a greeting. After months of holidays that would begin in June and end in October, the mainland meant the prison of school and social conventions. For some time I had been interested in the idea of how to make writing concrete and of creating an anthology not just on paper but in reality. I wanted to make an object which would have a place for different shapes, memories and images (thereby recalling the roots of the word ‘poetry’). I got an old linen bedsheet from my grandmother’s chest of drawers and used it as a big page on which to put what had happened while I had been publishing from 1991 until now. As well as glue I used a needle and thread. I like sewing. Indeed there is a section of Save As called Sewing and it comes after a Louise Bourgeois quote that I have also put on the bedsheet. One of my favourite authors is Joseph Cornell and I have a similar love for the poet Charles Simic. I think that the few containers that I have made come from encounter: poetry also constructs worlds by bringing apparently distant things together and by going off “on the hunt for images”. There are two “containers” on show at the Pelanda and one of them is not even a container but an everyday moment in a display case: the reproduction of an antique cup stuck onto a piece of cardboard next to a sign that says ALARM. I have always been fascinated by alarms and by the threat (but also the relief) that is hidden within the most ordinary of images. I like working with the things that we use and have with us. I am a great admirer

of the work of Maria Lai and I think it has inspired me, as has the work of Sophie Calle and Jenny Holzer, with whom I had the fortune to collaborate when she chose to project some poets’ verses onto monuments in Rome. This might seem like a triumph of the ego, but instead it was quite the opposite: the hugely magnified words frayed in the light and disappeared. There are two places in Sardinia to which I am particularly attached. The first one is Isili, a farming town in the centre-south of the island. The name comes from exilium because a colony of Jews was deported there by the Romans, to which was added a Gypsy community of coppersmiths. It is a centre for carpet production and the site of a carpet museum. I think that the bedsheet installation at the Pelanda is influenced by my memory of looms, of the women in amongst all that thread who have fascinated me since I was a child and that I combined with a book that I liked, Charlotte’s Web. Charlotte was a spider who spun her web and saved a pig. The second place is La Maddalena, which I have seen in two of the works in the exhibition. My great-grandfather was the old owner of the island of Santo Stefano but I have never been there. I know that there is a statue of Ciano there but I have never seen it. My grandmother used to tell me how her father built a farm in Santo Stefano which had cows and fruit trees. She used to talk about the cherry trees that almost reached up to the sea. Even though the island was sold by her brother who, being male, had inherited most of it, my grandmother considered the presence of the American base as a personal insult. She never wanted to set foot in it again. I put my name to getting rid of the Americans but many people from La Maddalena regret the damage that this has done to the economy, added to which is the disgrace which we are all aware of regarding the G8. La Maddalena appears in the installation above all as a meditation on the wind, which is a great educator, that teaches us of our own insignificance and makes us understand that what we call ‘me’ is nothing but a flurry in the breeze. It is also the reason why I thought of the bedsheet as an unstable anthology, exposed to the currents, to movement and to the gaze. * Three Sardinian dialects.

_Antonella Anedda, Antologia (dett.), 2012.

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_PHOTO CREDITS Giulia Casula, pp. 9, 15, 17-19, 26-27, 30-31, 34-35, 38-39, 42-43, 63.

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Finito di stampare nel mese di novembre 2012 presso CTS Grafica S.r.l. - CittĂ di Castello (PG)

PRINP EDITORE, 2012 ISBN: 978-88-97677-03-1


“Non si sa quanto disti il lontano da noi e dove sia geograficamente situato, se a nord, a sud, a est o a ovest e nemmeno se sia misurabile in chilometri. Perché, oltre a tradursi in una distanza fisica, la lontananza è una categoria del pensiero, uno stato sentimentale, un lontano metaforico, con cui gli artisti in mostra si sono nel tempo e in modo diverso tutti confrontati. Dalle nostre conversazioni è emerso che in genere si parte perché tutt’intorno le cose cominciano a essere troppo facili o troppo difficili. Dipende dal momento e dalle circostanze”. _Maria Rosa Sossai

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