Magazine
numero 9
Riprendiamoci la città Liberamente: dialoghi sulla contemporaneita’ Metti una sera a cena
Giugliètt’e Romè - Da Bari vecchia, una riscrittura “dal basso” // Riprendiamoci la città // Liberamente: dialoghi sulla contemporaneita’ // Metti una sera a cena - Intervista a Patrizia Pirro e Marco Degaetano di XScape Lab // “People have no power here” // International Open Data Day Bari: a che punto è la Puglia con gli Open Data? // Speed date: dalle serate per single agli incontri di startuppers // LEGGERE OGGI: FUTURO POSTERIORE - Un asse pugliese, tra Bari e Altamura, a favore della lettura 1.5. // OUYA: la neonata console indie - Schiaffo morale ai big dell’intrattenimento elettronico, o flop assicurato? // Korine, Franco, Gomez, Hudgens: Spring Breakers - L’eccesso giovane, liberamente interpretato da uno dei registi più controversi del grande schermo
LuogoComune
Giugliètt’e Romè
Intervista a Patrizia Pirro e Marco Degaetano di XScape Lab
Un Hubbinam
EDITORIALE di Vincenzo Membola
Questo magazine è un’idea. Che vorrebbe farsi concreta, certo. Ma è ancora un’idea. Da un paio di “numeri” abbiamo delle rubriche, da questo abbiamo una copertina d’autore (e non potremo mai finire di ringraziare Alessio Ciocia per il tempo dedicatoci!). La registrazione della testata, uno scadenzario più rigido. Di evoluzioni, questa idea ne sta avendo. La metamorfosi, l’uscita dall’iperuranio. Ma c’è qualcosa di più. Abbiamo una fissa dimora. Non solo queste “pagine”, ma tutto il network. Certo, ci mancheranno i
Redazione: Francesco Pasculli Antonella Ciociola Annarita Cellamare Mirko Patella Nico Andriani Michele Granito Valerio Vetturi Vincenzo Membola Art Director: Daniele Raspanti Fotografia: Monica Falco Ufficio Stampa: Elisabetta Maurogiovanni Illustrazioni: Francesco “Nobu” Raspanti
mento // Parte Prima pranzi di redazione, i salotti messi a disposizione, le riunioni nel parcheggio durante i festival. Ma qui stiamo parlando di un accoppiamento giudizioso, passatemi la citazione. The Hub a Bari, nonostante siano passati due anni da quando i soci fondatori si riunirono per dargli vita, è ancora in stato embrionale. Dall’intenzione iniziale di generare uno spazio innovativo, una community di persone positive e propositive, al making of di una rete. Il punto di partenza, un nucleo che possa far partire attività di forte impatto sul
territorio. Una scossa. Di cui fa parte, a cui è affine il concetto di LuogoComune. Prima radio in questo circuito mondiale, una webzine e una webtv che cresceranno insieme al contenitore. Come dalla nascita, racconteremo il nostro territorio e il suo punto di vista, potendo aggiungere, però, tutto quello che porterà questo spazio. Dandogli voce. Attraverso format e rubriche apposite. Sarà come ritrovare un fratello che non si pensava di avere.
Contatti: luogocomunemagazine@gmail.com
INDICE Giugliètt’e Romè
3
Riprendiamoci la città
7
Liberamente: dialoghi sulla contem- 11 poraneita’ Metti una sera a cena 15 “People have no power here” 19 International Open Data Day Bari 23 Speed Date 27 Leggere oggi: futuro posteriore 31 OUYA: la neonata console indie 35 Korine, Franco, Gomez, Hudgens: 39 Spring Breakers
articolo di Antonella Ciociola
Da Bari vecchia, una riscrittura “dal basso” Romeo e Giulietta, gli sfortunati amanti di Verona, paradigma universale dell’amore romantico, adolescenziale, quello che arrizzica le carni (come si dice qui a Bari) e non prevede rovesci di fortuna; interrogandomi sul senso di una ennesima riscrittura, non posso che rimasticare le definizioni di Italo Calvino, che nel marasma culturale degli anni ’80 (per certi versi, così simili ai nostri, anche nella moda) si domandava senza troppa retorica: Perché leggere i classici? Nel rispondere alla domanda, Calvino arriva a queste definizioni: “È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno”. Ancora, andiamo avanti: “È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona”. E così continua: “L’attualità può essere banale e mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro”.
Nel caso della nostra storia, il “punto” di vista da cui riguardare è Bari vecchia, nella cui lingua (sì, non chiamiamola semplicemente “dialetto”) il dramma è stato riscritto: a settembre dell’anno scorso, parlando nel barese dei vicoli della città vecchia, Giulietta si è affacciata a sospirare il suo Romeo da uno dei balconi di piazza Santa Maria del Buonconsiglio; Romeo è tornato dal suo esilio correndo in motorino sul lungomare di Crollalanza; Mercuzio, Tebaldo e Paride si sono affrontati in duello, armati di pistola, nascondendosi fra le rovine della chiesa medievale. Il teatro, così, è stato così restituito alla sua dimensione sociale, in strade e piazze sottratte alla criminalità, grazie al laboratorio sociale scaturito dalla collaborazione fra l’associazione culturale La DiffèrAnce, l’Accademia della lingua barese “Alfredo Giovine” (che ha curato la riscrittura del testo), Film Found Family, POOYA (agenzia di comunicazione), il centro sociale “U’Scaffuat”, e soprattutto grazie alla regia di Francesco Brollo; un teatro mischiato alla gente, ma anche al cinema, grazie all’inserimento di alcune scene video. Durante
l’inverno, poi, le strade di Bari sono state popolate da diverse e affollatissime miniperformance: via Sparano, il “salotto bene” della città, ha ospitato la festa dei Capuleti, mentre gli archi di piazza Chiurlia hanno visto morire Mercuzio e Tebaldo. Tappa finale (per ora) il Teatro Forma, dove sono state riproposte due repliche all’inizio di aprile, con grande successo di pubblico.
Negli ultimi giorni, l’attualità del quotidiano barese ha perso il rango di “rumore di fondo” ed è ritornata in scena, con la violenza omicida e le vendette trasversali fra vecchi e nuovi clan, che hanno “rubato” il palcoscenico ai protagonisti shakespeariani. Il finale “a sorpresa” della riscrittura di Brollo (Giulijett non si uccide per inganno e per amore, come la sua antica gemella rinascimentale, ma si rialza dalla tomba di Romeo ed esce di scena, gridando la sua volontà di ribellione a tutto questo sangue) è così diventato, nelle discussioni nate su Facebook e continuate sui giornali locali, il simbolo dell’indignazione e della ribellione dell’intera città, che, come Giulietta, è viva e non si rassegna. Giulijett è vviv, insomma.
Info e contatti: www.giuglietterome.it
Cast teatrale: Nicoletta Carbonara, Lorenzo D’Armento, Maurizio DellaVilla, Saverio Desiderato, Marisa Eugeni, Marco Pezzella, Michele Stella, Francesco Zenzola. Cast video: Mimmo Mancini, Vito Marinelli, Anna Sodano, Nicola Valenzano, Maria DiCosmo, Francesco Ricci, Tiziano Milella, Gianluca Serafini, Mario Ottaviano, Michele Sforza. Coreografie: Sante Perrone. Traduzione in dialetto barese: Felice Giovine, presidente dell’Accademia della lingua Barese “Alfredo Giovine”. Regia: Francesco Brollo.
RI
PREN
CILA
DIAMO
CITTA di Monica Falco
Ci siamo rese conto che le persone si vedono per un caffè, mangiare una pizza, bere qualcosa. Per questo abbiamo voluto creare dei momenti non legati al consumo. Momenti per chiacchierare, stare insieme e riscoprire quella parte di umanità più lenta che di solito è messa da parte perché siamo sempre di corsa e non possiamo esercitarla. Elisabetta De Blasi
I colori maturano la notte. Alda Merini
Ci si sveglia una mattina d’inverno, e tra le onde del mare e il cielo plumbeo una panchina rivestita di lana colora il lungomare di Bari. Quest’arte di arredare la città con lavori di maglieria durante la notte si chiama Guerrilla Knitting. Un sorriso, un timido silenzioso “grazie” e, tra stupore e curiosità, ci si chiede inevitabilmente chi sia o siano stati gli autori di quella meraviglia. Le ricerche ci hanno portato direttamente da Elisabetta De Blasi, presidentessa dell’associazione “Effetto Terra”, della quale fanno parte anche Francesca Covelli e Carolina Borghi. Effetto Terra è un’associazione di agricivismo urbano che si propone di creare momenti aggregativi in cui le persone possano ritrovare la loro dimen-
sione umana attraverso delle azioni semplici, quali, ad esempio, passare insieme un pomeriggio. Le attività dell’associazione sono moltissime e diversificate, ma hanno tutte lo stesso filo conduttore, snodato attraverso tre “Ri”: Riduco, Riuso (se posso), Riciclo (se non posso riusare), arrivando alla quarta, che viene da sé: Rispetto. L’attività del Guerrilla Knitting nasce con l’intento di recuperare un mestiere antico, da “nonne”; come azione non autorizzata di colorazione degli spazi comuni e beni comuni, è un modo per fare esperienza della propria creatività, strappare un sorriso ai passanti, comunicare con i cittadini, e infine ricordarci che la città ci appartiene.
massima: si tratterà di rivestire la balconata di una casa in stato di abbandono, in occasione di un evento primaverile. Non vi diremo altro. Curiosi? Potrete seguire l’allestimento dell’installazione, o anche parteciparvi direttamente, inviando una mail a effetto.terra@libero.it Se invece volete seguire le iniziative dell’associazione, vi basta visitare il blog effettoterra. blogspot.it.
L’idea del primo “attacco” a Bari nasce a settembre 2012, in un “nido” di lana di scarto recuperata in un mercatino di swap, con la costituzione di un gruppo volenteroso. Elisabetta ci spiega che, per organizzare un “attacco” di Guerrilla Knitting, c’è bisogno, a monte, di una precisa organizzazione del lavoro: bisogna preparare tutti i pezzi, da quelli più semplici, come i pon-pon, a quelli di maglieria vera e propria, con le relative misure; cercare il luogo più giusto, per realizzare l’opera lontano da occhi indiscreti, in orari che consentano di non rovinare “l’effetto sorpresa”. A un attacco possono partecipare tutti, senza limiti d’età o sesso. Al momento, Effetto Terra sta organizzando un attacco su commissione per il Comune di Casa-
Effetto Terra è anche su Facebook: http://www.facebook.com/GuerrillaKnitti ngEffettoTerra?ref=ts&fref=ts, http://www. facebook.com/pages/Effetto-Terra/28034185 8673982?ref=ts&fref=ts
LIBERAMENTE:
DIALOGHI SULLA CONTEMPORANEITA Q&A con Vito Ballarino, coordinatore organizzativo dell'iniziativa.
di Vincenzo Membola
Si sono svolti per la prima volta, sul finire del 2012, ad Andria. Hanno visto confrontarsi su tematiche importanti come l’infanzia, la lotta alle mafie e il futuro personaggi del calibro del presidente della Regione, Nichi Vendola, e del cantante dei Marlene Kuntz, Cristiano Godano. Cerchiamo uno sguardo d’insieme sull’intera manifestazione attraverso questa intervista!
Q: Partiamo dalla genesi del vostro progetto. Dove, come e perché nasce LiberaMente? Quali sono state le esigenze e le necessità di partenza? A: LiberaMente nasce all’interno dell’associazione Ulisse, da ragazze e ragazzi andriesi giovanissimi ma desiderosi di dar un nuovo spazio a dialogo e scambio di idee. Sentiamo forte, dentro di noi, la convinzione che la conoscenza sia un processo trasversale di apprendimento e confronto. Nessuna verità assoluta delle cose, né modo univoco di interpretazione degli eventi che interessano la nostra società. La nostra è una fede nelle idee, nel dialogo, nella cultura come necessità incessante di “domandare”, con curiosità. Ecco il punto di partenza. Siamo estremamente convinti che tutti abbiano una storia importante da raccontare. Cerchiamo di dar voce a questa esigenza, in giro per l’Italia e nella nostra regione. La finalità è la creazione di uno spazio lontano dall’elitarismo, che abbia un processo ampio di adesione e una idea nuova di partecipazione e cittadinanza. C’è una metafora calzante per tutto questo: la parola “cultura” come una coltivazione lenta di noi stessi e delle nostre comunità.
Q: Ormai è passato un po’ di tempo da questa prima edizione. A mente fredda, puoi fare un bilancio generale? Com’è andata? C’è qualcosa che vi ha sorpreso, deluso? A: Inizierei da un po’ di numeri: LiberaMente, nella sua prima edizione, ha proposto ai cittadini 8 tavoli tematici suddivisi nell’arco temporale di un mese. Quindi, ogni settimana, dal 18 Novembre al 22 Dicembre, era in programma almeno un tavolo tematico, con tema centrale strettamente collegato alla contemporaneità del nostro tempo. Ad ogni incontro hanno partecipato fra i 4 e i 7 ospiti. Si è trattato di docenti universitari, giornalisti, politici, opinionisti, intellettuali e rappresentanti importanti del nostro territorio. Per fare qualche nome, sono intervenuti, tra gli altri: il giornalista Luca Telese; il sindaco di Udine Furio Honsell; il presidente del consiglio regionale Nino Marmo; alcuni rappresentanti del Teatro Valle Occupato. Abbiamo deciso di investire la gran parte delle risorse a disposizione proprio in risorse umane utili alla crescita della manifestazione, del suo programma e delle giovani professionalità che iniziano a coltivare esperienza proprio grazie a questa progettualità. La partecipazione è stata incontestabile, con picchi imprevisti che ci hanno anche lasciati spiazzati. Quello che ci piacerebbe provare a fare è una programmazione ancora più partecipata, coinvolgendo altri nostri coetanei, nelle prossime edizioni.
Q: Qual è l’immagine, il momento che ti è rimasto più impresso? A: E’ molto difficile per me scegliere. Sono fortemente legato ad ogni momento passato con chi ha collaborato alla realizzazione del tutto, con gli ospiti e con chi ha seguito gli incontri. Posso però dire che il momento più emozionante riguardava sempre l’attimo in cui ci chiedevano l’età che avevamo. Rimanevano tutti sconcertati (spero benevolmente!) nel sapere che io ho appena 24 anni, Simona 25, Marco 20, Davide 19 e Domenico 33. Questo è un progetto che non è creato dai giovani, bensì fatto direttamente da loro, è bene precisarlo. E poi, è stato un grande onore ricevere i complimenti in prima persona sia da Vendola che da Telese! Q: Fare cultura ad Andria. Far cultura nella BAT. Fare cultura in Puglia. Qual è la tua esperienza? A: La Puglia, come istituzione, ha dimostrato, a mio avviso, di saper investire in cultura. Mi riferisco in primis ai benefici che la cultura porta a noi, al nostro spirito, alle comunità in cui viviamo. Ci insegna ad aprire le porte a ciò che non conosciamo. A riconoscere la bellezza vera e a difenderla. Non solo, produce anche ricchezza: si stima che per ogni euro investito in cul-
tura ci sia un ritorno in termini economici pari a 6-7 euro. Quindi la reputo il vero petrolio dell’Italia della Puglia e, dico io, anche della mia città. Ad Andria certamente la situazione non è semplice. Facciamo spesso i conti con una realtà impregnata dall’avere e non dall’essere, permettimi la citazione. Ma c’è anche del buono: il Festival Castel dei Mondi, eccellenza che ha reso la città all’avanguardia nel campo della sperimentazione teatrale; esiste l’orto-à-porter dell’associazione LaSeede; la biblioteca creata da un piccolo grande uomo di 13 anni, Gianluca, che illumina il cuore della difficile periferia di San Valentino. Provo a dire che esistono molte difficoltà, alcune di queste legate al periodo di crisi che il Paese tutto vive, ma esistono tante storie ed eccellenze che ci fanno ben sperare. Q: Avete in programma un’edizione 2013? Se sì, siete già al lavoro? Cosa bolle in pentola? A: Fin dalla conclusione della prima edizione avevamo iniziato ad immaginare la seguente. Abbiamo attivato i contatti con gli enti pubblici che ci hanno già sostenuto: Regione Puglia e Comune di Andria. Anzi, vorrei ringraziare pubblicamente entrambi per aver creduto in questa nostra progettualità. Ora,
ho già detto della programmazione partecipata che vorremmo attivare. Crediamo fortemente in un percorso come questo e pensiamo sia il momento giusto di provare a concretizzarlo, per farne poi un marchio di fabbrica. D’altronde il risultato e il traguardo sono importanti, ma mai quanto il percorso.
di Mirko Patella
Metti una sera a cena. Intervista a Patrizia Pirro e Marco Degaetano di XScape Lab
Viviamo in un’epoca di individualismo, dove il tempo scorre spesso senza reale interazione tra le persone. Si vive più che altro tra lavoro (per chi ce l’ha), scuola ed impegni vari. Si sta davanti al computer o alla tv e si lascia che il tempo scorra via. Le buone abitudini di una volta sono andate svanendo lentamente, come l’augurarsi buongiorno anche tra sconosciuti, o trovare il tempo di creare un momento di aggregazione all’interno della comunità. Non è solo una questione di spazi che si sono andati a ingigantire rendendo distanti le persone, ma di costumi che sono andati mutando fino ad adeguarsi alla povertà culturale dei nostri giorni. Le separazioni e le barriere le abbiamo innalzate noi stessi, da soli, giorno dopo giorno. Barriere di indifferenza difficilissime da abbattere. La cittadinanza attiva è un modo per creare legami, per migliorare la situazione di tutti attraverso l’impegno di ogni singolo. Un piccolo impegno, un piccolo passo verso gli altri che, se fatto in massa, costituisce un grande inarrestabile spostamento. Xscape Lab, Manifatture Knos e Lecce Laboratorio Urbano Aperto, assieme ad altre associazioni sono scesi in campo per creare un esempio a cui ispirarsi e possibilmente da copiare e ripetere: una cena di quartiere per unire tutti quanti senza distinzione di età, nazionalità, religione e appartenenza politica. Tutti seduti a uno stesso tavolo, tutti pronti a conoscersi e a condividere, a creare legami che si intrecceranno sempre di più nel tempo. Un piccolo passo da cui non si potrà più tornare indietro.
-Come è nata questa idea? Bisogna innanzitutto spiegare le condizioni al contorno del progetto e lo scenario in cui l’idea ha preso corpo. Il Comune di Lecce ha predisposto il “Documento Programmatico della Rigenerazione Urbana”, come previsto dalla legge regionale 21/2008, dove individuava delle aree urbane di particolare fragilità e degrado ambientale, storico-culturale e sociale e definiva le azioni strategiche per il loro recupero urbano e il miglioramento della qualità della vita degli abitanti Il quartiere “Leuca” era una di queste aree: privo di servizi e spazi pubblici, isolato dal resto della città dalla presenza della linea ferroviaria, popolato da anziani e nuove comunità immigrate. Qui il Comune ha deciso di intervenire subito: ha redatto un Programma Integrato di Rigenerazione Urbana, poi vincitore di un finanziamento della Regione Puglia, per cantierizzare “azioni materiali” su infrastrutture, illuminazione, arredo urbano, e “azioni immateriali” di coinvolgimento e partecipazione delle comunità locali al progetto di recupero urbano. Le attività di coinvolgimento degli abitanti sono state affidate a 13 associazioni, leccesi e non (tra cui XScape), selezionate con bando pubblico e finanziate dal Comune. Il coordinamento generale di tutte le attività è stato invece affidato alle associazioni di Lecce Laboratorio Urbano Aperto e Manifatture Knos. Il progetto “Metti una sera a cena” è nato a seguito di un precedente lavoro di ricerca che avevamo già condotto con gli abitanti del quartiere in occasione di un workshop tenutosi a Lecce nel 2008. Già in quella occasione ci eravamo resi conto che la principale risorsa del quartiere era costituita dai suoi abitanti: dalle memorie e dai ricordi dei più anziani e dalle storie e dalle tradizioni dei nuovi numerosi abitanti stranieri. Il quartiere ha un’identità “meticcia” in trasformazione che ha straordinarie potenzialità, abbiamo pensato che fosse necessario costruire un momento collettivo che aiutasse gli abitanti nella costruzione di un rinnovato senso identitario e favorisse la socialità e lo scambio
interculturale. Una cena di strada ci è sembrato lo strumento perfetto: la condivisione di un momento molto intimo come quello del mangiare insieme attorno ad una lunghissima tavola fa germogliare il senso di appartenenza alla stessa comunità, come se questa fosse una grande famiglia riunita. Abbiamo invitato ogni partecipante a preparare un piatto tipico del proprio paese e condividerlo con il resto della tavolata. Lo riteniamo un efficace modello di interazione culturale che parte dalla condivisione dei saperi tradizionali. L’auspicio è che gli abitanti possano replicare l’evento e auto-organizzare la loro cena di quartiere ogni anno. -Raccontateci come è andata la realizzazione di questo evento Il progetto ha previsto una serie di attività per le strade del quartiere che si sono sviluppate nel mese precedente. La cena del 6 Ottobre 2012 è stata infatti preceduta da 3 laboratori di strada a sfondo culinario, che hanno permesso di conoscere gli abitanti, di acquisire la loro fiducia, e di progettare con loro la cena finale. Tutto il materiale di promozione e comunicazione è stato realizzato da Eleonora Adesso e Federica Dicarlo, redattrici e illustratrici del blog Garbugli0 (http:// garbugli0.wordpress.com/) Il laboratorio “Aperitivo creativo” è stato il primo momento di confronto con gli abitanti, in cui abbiamo presentato il nostro progetto di cena collettiva, accompagnando il tutto con un buffet libero in cui ciascuno era invitato a “comporre” il proprio tramezzino combinando gli ingredienti messi a disposizione. Durante questo aperitivo abbiamo abbozzato con i partecipanti, soprattutto bambini, una prima ipotesi di “menù” tipico per la cena del 6 Ottobre. Durante il secondo laboratorio “di cucina” abbiamo organizzato due piccoli laboratori di strada di cucina tradizionale: salentina e indiana. In quest’ultima
occasione abbiamo coinvolto le comunità straniere, in particolare quella dello Sri Lanka. I cuochi indiani hanno spiegato e raccontato la loro cucina e offerto le pietanze ai passanti. I laboratori si sono svolti attorno ad una cucina mobile su ruote munita di fornelli, lavabo e altra attrezzatura che è stata progettata e realizzata per l’occasione dal collettivo di design MOMANG. (http:// www.momang.it/ il sito è in allestimento in queste ore) La cucina mobile è stata fondamentale perché ci ha reso immediatamente riconoscibili nel quartiere ed è diventata un punto di socialità e aggregazione, dove abbiamo offerto caffè e succhi di frutta ai passanti invitandoli a fermarsi per una chiacchiera. L’ultimo laboratorio di “decorazione” ha coinvolto i bambini del quartiere per la realizzazione dei festoni di carta di riciclo che avrebbero decorato la strada durante la cena finale. La sera del 6 Ottobre, alle ore 20:00, in compagnia dei 250 commensali, del Sindaco e di parte dell’amministrazione comunale ha avuto inizio con un brindisi generale la 1° cena di quartiere del quartiere “Leuca”. -Quali supporti sono giunti dalle istituzioni e quali dalla cittadinanza? Come detto in precedenza, le istituzioni hanno creato il contesto per realizzare l’intero processo partecipativo e hanno garantito le risorse finanziarie per sviluppare le attività. Inoltre la
società Lupiae servizi ha messo a disposizione gratuitamente i tavoli e le sedie. La cittadinanza è stata fondamentale per la riuscita del progetto. Infatti, una volta superata la prima fase, durata forse qualche giorno, in cui esisteva ancora un certo scetticismo nei nostri confronti, le attività successive hanno avuto un sostegno fortissimo da parte degli abitanti che hanno partecipato con grande entusiasmo. Infatti i residenti sembravano aver perfettamente “assorbito” il senso della nostra azione e di conseguenza sono riusciti ad organizzarsi anche autonomamente durante l’evento finale sia per l’allestimento che per lo smantellamento delle attrezzature. -Quali riscontri avete ottenuto? Probabilmente la risposta potremmo darla con i numeri: 80 metri di tavolata / 250 commensali seduti a tavola / 400 persone circa / 1 Sindaco / 3 Amministratori comunali / Musica e tanto cibo / 150 litri di vino / 240 litri di acqua / 60 Kg di carne (mista) / 40 Kg di parmigiana (suddivisa in 20 teglie) / 36 Kg di pane (misto) / 30 Kg di pizza rustica (metà rape e metà cipolle) / 10 Kg di formaggio (pecorino stagionato e vacchino) / 6 Kg di olive (miste) / 10 kg di pomodori / 10 Kg di patate / 5 Kg di melanzane / 3 Kg di zucchine / 20 Kg di uva / 20 Kg di meloni / 400 pezzi di antipasti tipici indiani. La partecipazione è stata straordinaria; tutti, ma davvero tutti, hanno collaborato! Chi ha spazzato la strada, chi ha montato
luci, chi ha appeso i festoni, chi ha piegato tovaglioli, chi ha impastato chili di farina con un neonato in grembo, chi ha cucinato per venti, chi ha portato una sedia da casa, chi ha servito ai tavoli, chi ha offerto a tutti le pietanze del suo paese lontano, chi ha fotografato, chi ha suonato, chi ha insegnato la pizzica agli altri, chi ha sparecchiato, chi si sta già attivando per rifarla nuovamente. Questo è stato il successo più grande: l’impegno collettivo per un obiettivo comune! -Raccontateci un momento della serata che vi ha particolarmente colpito. Credo che il momento più emozionante per tutti noi dell’organizzazione sia stato quello in cui c’è stato il brindisi iniziale e racconto il perché. Nei giorni che hanno preceduto la cena l’organizzazione è stata molto faticosa. Oltre agli abitanti, XScape ha mobilitato uno staff di oltre 15 persone. C’erano mille cose a cui pensare, organizzare le forniture di cibo e bevande, l’allestimento della tavola, le modalità di organizzazione del servizio ai tavoli. Non siamo professionisti del catering, nella vita facciamo quasi tutti gli architetti, tante cose potevano andare storte. La prima più grave è che la tavola restasse vuota o riempita a metà o che al contrario ci fosse così tanta gente affamata da non riuscire a gestire la si-
tuazione. Temevamo anche di non essere sufficientemente bravi a finire di preparare la tavola e tutto il necessario per tempo. Invece potete immaginare come sia stato emozionante per noi vedere che alle 19:50 tutto era pronto e perfetto e l’intera tavolata era già piena di persone comodamente sedute che iniziavano a chiacchierare tra loro in attesa che la cena avesse inizio. Alle 20:00 in punto con Speranza, la ragazza albanese che negli ultimi giorni è stata il motore organizzativo della comunità di via dei Basiliani, percorrendo i 100 metri di strada occupati dai tavoli, ha fatto partire un grande applauso che si è alzato come una hola allo stadio! Confesso di essermi un po’ emozionato esattamente in quel momento. -Pensate di realizzare un altro evento del genere? Ci abbiamo pensato molte volte, ma per adesso abbiamo maturato la convinzione che con questa esperienza abbiamo sperimentato un metodo di lavoro efficace e un modello di approccio alla progettazione partecipata che va però declinato a seconda dei luoghi e delle comunità. Vorremmo evitare che la nostra attività possa essere interpretata erroneamente come “organizzazione di Sagre ed eventi”, ma non escludiamo che l’espediente della “cena” possa essere replicato all’interno di altri progetti che puntino al coinvolgimento degli abitanti e alla riappropriazione degli spazi pubblici. Per ora aspettiamo un eventuale invito alla 2°edizione della cena del quartiere “Leuca” di Lecce, questa volta come invitati! http://www.xscape.it/index.php?/projects/metti-unasera-a-cena/
L’esperienza dell’Assessorato alla Cultura Partecipata a Molfetta di Nico Andriani
La Storia insegna che i cambiamenti epocali, nel piccolo quanto nel grande, sono “spinti da” o “hanno bisogno di” un referente o un gruppo di pressione, di pensiero quanto politico. Sempre più spesso, negli ultimi, tempi, si scomoda l’adagio ‘libertà è partecipazione’: la partecipazione, però, non va intesa come una forma di libertà da, o almeno ci si è resi conto che le logiche emancipatorie hanno vita breve se non entrano in un sistema più grande di tensione e progettualità. Sono stati mesi e anni di una lenta ma inesorabile domanda di cambiamento; questa domanda si è scontrata sia con il sistema nel quale siamo calati, sia nella percezione del nostro impegno nel quotidiano. Una cosa è certa: aldilà della confusione circa i modi e le derive sensazionalistiche delle forme di partecipazione dal basso, c’è una cittadinanza che chiede, con la consapevolezza dei propri bisogni e delle proprie aspirazioni. Molfetta ha vissuto un’esperienza di Assessorato alla Cultura Partecipata che ricalca questi passaggi. Abbiamo intervistato uno degli attivisti di questa esperienza, che ha portato gran parte dei cittadini a mobilitarsi in vari flash mob, tra l’estate e l’inverno scorsi, richiamando l’attenzione della cittadinanza tutta per un tavolo di confronto con le istituzioni. Nel frattempo sono cambiate alcune cose: Molfetta si ritrova ora alle soglie di nuove elezioni, e anche il Parlamento Italiano è cambiato. Raccontiamo cosa può voler dire oggi “cittadinanza attiva” attraverso le parole di Marco Di Stefano.
Quand’èe’ nato il percorso dell’assessorato alla cultura partecipata a Molfetta? Se vogliamo inquadrarlo storicamente, il percorso nasce a giugno 2012, sull’onda del confronto tra chi politicamente lavorava sulle tematiche della cultura o ne contestava determinate modalità e tutti quei cittadini e quelle associazioni che, in un modo nell’altro, hanno collaborato a progetti culturali per una visione partecipata della cultura in città. Obiettivo principe è stato quello di creare una visione che mettesse insieme, come è necessario che sia, la politica e la cittadinanza attiva. Credo che il percorso inclusivo del momento politico e del momento civico sia stata una delle cose più importanti che abbia fatto l’Assessorato, come slancio. Perche’ Molfetta? Dal 2001, la città di Molfetta non ha un assessorato dedicato alla cultura, che è stata di volta in volta demandata ad altri assessorati, di solito sport o spettacolo, oppure alla diretta gestione sindacale. L’interrogativo più pressante da affrontare è stato questo: qual è la domanda di cultura che un’amministrazione deve accogliere, per non rischiare di “generalizzare” ciò che è cultura? La cultura è elaborazione, impegno, studio, lavoro costante per il miglioramento e per la progettualità. Fondamentalmente, ogni amministrazione dovrebbe valorizzare le esperienze culturali che si sono sedimentate negli anni, nonché tutti quei soggetti, associativi o singoli, che hanno sviluppato un percorso coerente di crescita e affermazione, non solo in
ambito locale. Tanti hanno portato le loro esperienze fuori dalla comunità per poi farne ritorno, in maniera permanente o saltuaria: sono tutte competenze che, in un sistema coeso, potrebbero essere messe a disposizione della comunità. A Molfetta questo non è avvenuto perché non c’è mai stata l’urgenza e né i referenti con cui dialogare di un percorso del genere: nessuno nega il valore degli eventi portati in città, ma è oggettivo che si tratti di un valore fine a se stesso. Purtroppo la politica ha portato avanti questa logica in maniera coerente. Non si è mai verificata una rottura “dal basso” tale da poter estromettere la logica del “grande evento”, così come sta avvenendo nel resto d’Europa: in altri Paesi, infatti, vengono privilegiate le piccole esperienze che fanno sistema, perché ci è resi conto che il grande evento non porta nessun progresso economico e culturale sul territorio, e soprattutto non porta una crescita culturale in qualche modo significativa. Oggi manca la cultura o mancano i luoghi? Secondo me mancano i luoghi dove fare socialità, che sono la prima forma di confronto e di crescita. Un’amministrazione con le idee chiare, aldilà dei colori politici, dovrebbe investire una parte del patrimonio pubblico nella promozione di spazi sociali, mettendo a sistema quelle esperienze piccole o meno piccole che non hanno la forza economica per sostenere la gestione di tali spazi. Il termine “partecipato” nasconde sempre un’ombra, sembra
quasi una categoria priva di una vera e propria materialità. Partecipazione non è solo stare insieme, ma anche prendere contatto con la realtà che hai attorno, elaborare cittadinanza attiva, avere l’ambizione di cambiare i processi, di farsi promotore di una visione di processi che parta da percorsi collettivi e non più individuali. Parlaci di quello che e’ stato fatto. Che tipo di ricezione avete avuto in base alle vostre esperienze? La prima iniziativa è avvenuta a luglio 2012, in concomitanza con il concerto di Patti Smith al Porto. Siamo partiti dal suo “People have the power” per ribadire il concetto che la gente non ha il potere di confrontarsi con la politica e con le scelte culturali: quindi, “People have no power, here”. Il punto di partenza della nostra riflessione è stato, perciò, la privatizzazione del percorso culturale, la modalità con la quale non viene richiesta la partecipazione ai cittadini. Qualche tempo dopo, in occasione del concerto di Pino Daniele, abbiamo anche introdotto i concetti di critical mass e di riappropriazione dello spazio urbano. In un modo o nell’altro, però, tutte queste esperienze trovano il loro limite nella mancanza di consapevolezza politica che spesso i processi dal basso si portano dietro: il cittadino può elaborare idee, però ha difficoltà nel “metterle a sistema”. Come vedi il futuro a Molfetta?
Il futuro non è soltanto chi governerà, è anche quello che vorranno fare le persone che vivono la città. Esperienze come quelle dell’a Assessorato alla Cultura Partecipata servono a risvegliare l’interesse e la volontà di condividere e di pensare, però fanno anche emergere tutte le differenze delle modalità di fare cultura. Se poi pretendiamo chiarezza, dobbiamo anche averla: quale cultura vogliamo? A portata di tutti o elitaria? Che rispetti le leggi e le dinamiche o che sia al di sopra dei parametri e dei processi? Quello che noto è che le urgenze esplodono nel momento in cui si sente il respiro lungo della politica che sta cambiando; vorrei che queste esperienze abbiano la forza di proseguire a prescindere dall’agone politico, amministrativo e locale, per non rischiare di diventarne strumento invece che pungolo. Ci sono altre iniziative che aspettano l’assessorato? Con estrema onestà ti dico che non lo so. Il mio auspicio è che l’assessorato abbia fatto nascere i temi di un futuro confronto: probabilmente ci siamo trovati in un momento storico, politico e di vita delle singole persone in cui è difficile avere la lucidità per portare avanti quell’elaborazione politica necessaria per mantenere viva una struttura dal basso, con i suoi necessari momenti di elaborazione. È più comodo per la politica “esternalizzare” la cultura; questo non è sempre un fatto negativo ma rischia di trasformare i contenitori culturali in involucri e non in fautori del cambiamento e del progresso sociale.
C’e’ un luogo simbolico di Molfetta che ti piacerebbe veder rappresentare questa rinascita? Mi piacerebbe che l’idea di cultura ritornasse a Molfetta all’interno delle periferie, che la città diventasse un corpo unico, dal centro storico alle periferie, e che la città tornasse a interrogarsi sul perché ci siano tanti parchi abbandonati e chiusi che potrebbero essere luoghi di socialità, aggregazione, cultura. Servirebbe insomma uno shock culturale. Gruppi di opinioni e collettivi possono stimolarlo, ma sono poi le persone che vivono nei singoli quartieri a dover trovare la consapevolezza. Mi piacerebbe tanto che si ricostituissero i comitati di quartiere e che si ritornasse a parlare di cittadinanza attiva; noi, però, possiamo solo essere un pungolo per questo, non una sostituzione a quei processi. http://www.facebook.com/AssessoratoAllaCulturaPartecipataMolfetta http://peoplehavenopowerhere.blogspot.it/p/assessorato-alla-cultura-partecipata.html
CambiaMenti Per anni la politica si è declinata in maniera verticale e in un processo misto di speranza e di delega. Quella che noi chiamiamo crisi (se guardiamo all’etimo greco non vuol dire che ‘scelta’) in realtà assume i connotati di una ripresa dell’impegno: oggi che la politica assume sempre più la forma orizzontale e quella del movimentismo, le esperienze e le richieste di partecipazione riprendono il bisogno di sapere e sapersi riproporre con un progetto di vita e di città ben preciso. La vera partecipazione è data dall’intervento attivo sui processi, e questo è reso possibile innanzitutto quando vengono fornite tutte le informazioni necessarie alla situazione in cui sono coinvolte. Progetto finanziato dalla Regione Puglia nell’ambito del bando“Azioni di sistema per l’associazionismo familiare per l’anno 2009”, sul loro blog si legge “il progetto cambiaMenti è una sperimentazione collettiva di stili di vita e modelli di consumo sostenibili (sul modello del progetto “Cambieresti” -http://www.dolomitipark.it/doc_ pdf/life/a21_venezia_cambieresti.pdf- del Comune di Venezia) per dimostrare che il cambiamento è possibile e divertente!” Gli incontri hanno interessato l’area di Molfetta e Giovinazzo e si sono tenuti da settembre a febbraio coinvolgendo iniziative eterogenee (tanti i partner attorno al Comitato molfettese dell’Unione Nazionale Consumatori) sul tema della sostenibilità, con modi nuovi e creativi di riunire caratteristiche e punti di vista diversi ma con un interesse comune ai temi della sostenibilità. Vi invitiamo a seguire i risultati di questo percorso ai link: http://www.progettocambiamenti.it https://www.facebook.com/pages/cambiaMenti/147152712087261 hanno appena superato quota 500 like (e preparano novità...)
international open data day a che punto è la Puglia con gli Open Data? bari 2013 http://opendataday.it/ http://www.opencoesione.it/ di Chiara Ciociola
Visti da Sud, gli Open Data sembrano avere una forma promettente: la versione pugliese dell’International Open Data Day del 23 Febbraio 2013 si è conclusa con una progettualità ampia e multiforme. Pubbliche amministrazioni, cittadini, università e imprese IT hanno disegnato un panorama interessante. Ma cosa sono gli Open Data? E a cosa servono? Leggiamo nel progetto Open Definition di Open Knowledge Foundation la seguente frase per definire dati (e contenuti) aperti: «un contenuto o un dato si definisce aperto se è possibile utilizzarlo, ri-utilizzarlo e ridistribuirlo, soggetto, al massimo, alla
richiesta di attribuzione e condivisione allo stesso modo». In Italia l’art. 18 del “Decreto Sviluppo” (Decreto Legge n. 83/2012) ha reso obbligatorio il rilascio e la pubblicazione in forma di Open Data di alcune informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (in particolare si richiede, a partire dal 1 Gennaio 2013, la pubblicazione di tutte le informazioni concernenti la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese e l’attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati). Questo decreto ha aperto il dibattito sull’importanza degli Open Data come fondamentale strumento di trasparenza e di partecipazione civica. Sulla rete questo dibattito è stato già da tempo avviato, in forma assolutamente spontanea. La terza edizione dell’International Open Data Day – che si è svolta a Bari il 23 febbraio 2013 – è stato il contesto durante il quale presentare e discutere pubblicamente suggerimenti, indicazioni, per l’utilizzo e la
lettura dei dati. Nonostante complessità e problematiche è venuto fuori in modo chiaro che molte realtà, qui in Puglia, degli Open Data sanno già cosa farne. La giornata si è svolta in due parti. Nella tavola rotonda mattutina, ospitata nella sala cinema del Cineporto, il frizzante ritmo degli interventi ha presentato gli aspetti e gli usi possibili degli Open Data. In primis le modalità di pubblicazione e riutilizzo e le tipologie di licenze; poi l’uso commerciale e quello per l’innovazione sociale e per le pubbliche amministrazioni; non ultimi l’analisi e l’elaborazione dei dati per la ricerca e il giornalismo. Una coscienza così consapevole necessita di una risposta istituzionale forte: i portali Open Data di Regione Puglia e Comune di Bari sono online, e hanno bisogno proprio di questi stimoli per svilupparsi presto e nel migliore dei modi.
C’è bisogno di generare fame di dati, di farne capire l’importanza per una governance votata ad una coraggiosa trasparenza. Giovani start up come Visup, Qiris, QuestionCube, Parsec 3.26, semplici cittadini, giuristi e giornalisti si sono presentati come una squadra forte, innovativa e pronta all’azione a confronto con le proposte istituzionali di Regione Puglia, Comune di Bari e Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica. La sessione pomeridiana dell’incontro è stata invece un assaggio pratico degli strumenti con cui i dati possono essere rielaborati ed usati. Un hackaton ha impegnato i presenti in svariate attività: dal webscraping al refining passando per una presentazione di semplici strumenti per la visualizzazione e georeferenziazione dei dati. Ma non solo cose da geek. C’è chi l’hackaton l’ha fatto
passeggiando. Un gruppo dei presenti ha infatti partecipato al “Monithon” proposto dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica. Dopo aver selezionato dal portale ministeriale Opencoesione.it i progetti di Bari finanziati tramite fondi europei, il gruppo ha proseguito con una verifica in loco, andando a monitorare e verificare un’attività in svolgimento presso il padiglione fieristico accanto a quello del Cineporto, quello di Thehubbari. A conclusione della giornata il sentore è stato quello positivo e sorridente di poter avere presto tra le mani un prezioso e tangibile Bene Comune. La necessità di mettere di fronte alla cittadinanza questa consapevolezza è urgente e necessaria: mettiamoci al lavoro.
Dietro ogni idea c’è una storia da raccontare, molto più importante di un power point e molto più suggestiva di un curriculum vitae. Con buona pace degli esperti in risorse umane.
SPEED DATE: DALLE SERATE PER SINGLE AGLI INCONTRI DI STARTUPPERS di Francesco Pasculli
Siete alla ricerca del partner giusto? Allora forse dovreste provare uno speed dating. No, non stiamo parlando di eccitanti chimici o medicinali afrodisiaci ma di un social game inventato negli Stati Uniti dal Rabbino Yacoov Deyo per far ammogliare ebrei single di Los Angeles e “riadattato” dai visionari californiani in modalità sempre più social ed innovativa. La tecnica è molto semplice: un numero di partecipanti ristretto, una location confortevole, una fila di tavolini ordinati ed un moderatore che conduce le danze (e i tempi). Da un lato gli uomini e dall’altro le donne, gli uni di fronte agli altri. Ogni “coppia” ha 10 minuti di tempo per conoscersi, non uno di meno non uno di più. Ogni dieci minuti si cambia partner e tavolino, fino al termine dell’intera rotazione. In modo tale che, in un paio d’ore più o meno, tutti i partecipanti possano conoscersi e magari anche scambiarsi un numero di telefono per provarci sul serio. Lo speed date in versione “new age” fu sperimentato la prima volta al Pete’s cafe di Beverly Hills, nel lontano 1998. Da allora è stato utilizzato da centinaia di agenzie in giro per tutti gli Stati Uniti e ripreso dalla celebre serie tv “Sex and the City”, facendogli acquisire una certa popolarità ed un discreto appeal anche nel resto del mondo. In rete si fa fatica a scegliere lo speed date più adatto alle proprie esigenze e nel nostro paese sono centinaia le proposte di “incontri aperti” tra bar, discoteche o
più romanticamente parchi urbani. L’elemento sociale e le modalità di coinvolgimento hanno tuttavia travalicato i confini puramente relazionali, diventando negli anni uno strumento sempre più in voga tra professionisti e job meeting. In linea con i nuovi modelli partecipativi, questo social game è stato ripensato per matchare domanda ed offerta di lavoro, soprattutto per promuovere incontri tra startupper e potenziali venture capital. Il “gioco” ha mantenuto i suoi contorni originari, brevi speech e piccole presentazioni ma con una mission del tutto nuova: permettere ad investitori coraggiosi di incontrare capitani coraggiosi, chiaramente in un modello esclusivamente business. Il successo è stato enorme perché si è capito che dietro ogni idea c’è una storia da raccontare, molto più importante di un power point e molto più suggestiva di un curriculum vitae. Con buona pace degli esperti in risorse umane. In Puglia è sbarcato nel giugno 2012 grazie ad un evento promosso da Confindustria Bari e dall’associazione dei Giovani Imprenditori. La formula in quel caso è stata ancora più business e leggermente più short (solo 2 minuti per ogni scambio). L’evento è stato dedicato a circa 50 imprenditori provenienti da categorie professionali anche molto diverse tra loro, facilitandone così la conoscenza e lo scambio di informazioni su lavoro e differenti idee d’impresa. Riproposto qualche mese dopo dalla stessa organizzazione, lo speed date ha favorito (come evidenziato dagli organizzatori) la nascita di reti professionali più fluide e leggere di quanto fatto prima, innescando al contempo nuove opportunità di business per le imprese.
In linea con la filosofia di Henry Ford secondo cui un affare in cui si guadagna soltanto del denaro non è un affare, lo speed date ha ottenuto un grande interesse. Sempre a Bari è stato riproposto nell’ottobre del 2012 in occasione del “Green City Energy”, una fiera di settore sulla Smart City promossa da ClickUtility con Elaborazioni. Se pur con un’altra veste è stato sperimentato come momento di confronto diretto tra associazioni del terzo settore e media locali. Il tema in quel caso era la smart mobility, mentre le idee presentate (in molti casi sperimentali) raccontavano di piccole e grandi progettazioni in ambito di mobilità urbana. Dall’altra parte un parterre d’eccezione, giornalisti di carta stampata, media online, televisioni e speaker radiofonici che potessero diventare una sorta di cassa di risonanza per le giovani idee progettuali (tutte under 35). Il successo è stato travolgente, ad alta partecipazione come hanno notato i creativi di Elaborazioni, promotori dell’iniziativa. Soprattutto grazie ad una “narrazione” proseguita per diversi giorni su testate e tv locali grazie al supporto dei giornalisti -partecipanti. Dai primi speed date organizzati al Pet’s Caffe di Beverly Hills né è passata di acqua sotto ai ponti. Eppure pur ricalibrando la propria missione in chiave professionale, nel tentativo di far incontrare storie di imprese che non si arrendono e continuano a crederci, l’idea originaria è rimasta intatta. A questo punto per gli startupper non resta che prenotarsi per il prossimo speed date e per i single provare ad incontrare l’anima gemella come in un attimo fuggente ...
Chiacchiere da caffè letterario. Meglio l’.epub o il .mobi? Awaxhome o Amazon? Gli studenti delle elementari potranno munirsi tutti di un tablet per lo studio? Calma, calma, calma. Siamo sicuri che la lettura 2.0 sia il verbo che colonizzerà il mondo? E il mondo stesso è già abbastanza avanzato (culturalmente, tecnologicamente, socialmente, problema + -ente) per tutto questo? O l’upgrade che stiamo istallando è ancora un gradino intermedio? Il mio parere nelle due seguenti testimonianze del nostro territorio, tra libri gratis e indipendenza dalle logiche di mercato.
LEGGERE OGGI: FUTURO POSTERIORE. Un asse pugliese, tra Bari e Altamura, a favore della lettura 1.5.
di Vincenzo Membola
Altamura&LibriLiberi: la libreria gratuita
Forse, prima di parlare di LibriLiberi, il progetto portato avanti da Leonardo Patella e dai suoi collaboratori, è necessaria una piccola cronistoria d’introduzione. Nel 1999, a Baltimora, Russell Wattenberg era un onesto cameriere in un locale frequentato da insegnanti. Colpito dalle lamentele di questi ultimi, comincia a raccogliere offerte e libri di seconda mano tra i clienti abituali dei suoi tavoli. Il risultato, a circa quattordici anni di distanza, è The Book Thing, un grosso capannone dove è possibile, nel week-end, portare e prendere libri a proprio piacimento. Per tutta la settimana, invece, di fronte all’entrata capeggia un grosso cassone metallico con su scritto: “book drop”. Madrid, quartiere di Chamberì, settembre 2012. Apre Libros Libres, una piccola libreria gestita dai ragazzi della ong Grupo 2013. Anche qui lo spirito è lo stesso. Diffondere e supportare lo strumento libro e la sua funzione, anche in periodo di crisi. Lo spazio è sostenuto da piccole quote associative non obbligatorie (dodici euro annuali, uno al mese!). Chi non può, contribuisce con dolci, caffè e mobili usati. L’obiettivo da raggiungere, per il sostentamento dell’attività, era di 365 sottoscrittori nel primo anno di vita. Quota raggiunta il primo di febbraio, a meno di cinque mesi dall’apertura dello spazio. Nel frattempo, ad Altamura, chiude i battenti Club Silencio, piccola libreria attiva da ben cinque anni. A fare questa scelta è stata Clara, figlia di Leonardo, che decide di convogliare le sue energie sulla libreria Zaum, l’altra realtà di cui parleremo più avanti. A questo punto Leo decide di cogliere al volo idea e missione educativa dell’iniziativa spagnola. Mantiene il locale della defunta libreria, ormai diventato simbolo e luogo di ritrovo degli amanti di libri e della lettura. Mette a disposizione il suo tempo e decide di continuare a dar linfa a questo spazio culturale. Insieme all’aiuto di alcuni amici, ecco nascere l’associazione culturale LibriLiberi.
Oggi, a meno di due mesi dall’avvio di questa avventura, i risultati sembrano emulare il percorso fatto nella capitale iberica. Centocinquanta soci, la nascita di una rete aggregatrice che genera innanzitutto nuovi rapporti umani. Obiettivo non da poco questo, in un momento di crisi economica che porta in primo luogo all’isolamento dei singoli individui. Come ovvio, non sono tutte rose. Le case editrici hanno risposto in maniera alterna all’appello rivolto loro. A volte rimanendo completamente sorde. Allo stesso modo, l’adesione della parte adulta della popolazione è abbastanza riluttante, differentemente dai giovani che invece partecipano con entusiasmo. Certo, questo che sto descrivendo è solo l’inizio di un lungo e tortuoso cammino. Quando chiedo a Leonardo cosa vorrebbe aver raggiunto tra un anno la risposta è chiara: un incremento dei soci e delle persone interessate, un filo diretto e duraturo col mondo della scuola e dei giovani, una interazione costante e proficua con le istituzioni al fine di sviluppare progetti culturali con al centro il libro e la lettura. Per far sì che questo diventi realtà, le acque si stanno già muovendo. Presentazioni di libri, seminari e reading sono già stati realizzati ed altri sono in programma. Pittori e scultori del territorio stanno per esporre le loro opere negli ambienti dell’associazione. Un percorso, fatto di tanti piccoli gesti quotidiani, che si snoda in un mondo (quello della cultura) spesso ritenuto ad appannaggio di pochi eletti. Il desiderio che sta alla base di tutto questo, invece, è un altro. Un accesso universale, ottenuto stimolando la responsabilità sociale ed educativa di ciascuno di noi. La conclusione di queste parole è in Via Maggio 1648, al civico 32, ad Altamura.
Libreria Zaum:
la libreria indipendente
Not another bookshop in Cardassi street? La domanda sorge spontanea, onestamente. Cosa ha spinto i ragazzi di Caratteri Mobili, dopo tre anni di lavoro, a imbarcarsi verso questa nuova avventura? Proviamo a dare una risposta ragionata. La città di Bari da anni ha una rete libraria instabile. Prima la trasformazione della “mitica” libreria Feltrinelli a dimensione umana in un comune megastore. La chiusura della Mondadori. La bandiera bianca in via Sparano di Laterza. Un commercio, con traffico legale e corretto ma anche no, concentrato sui testi universitari. La scommessa del collettivo, nominato da due anni a questa parte miglior editore pugliese, è fatta con raziocinio. Dalla loro hanno l’esperienza non solo di addetti ai
lavori, scavati da anni trascorsi nel mondo editoriale. Ma anche quella, più semplice potremmo ipotizzare, di lettori voraci. Ed è proprio questa loro seconda pelle che li ha convinti a tentare di completare l’offerta della città. Da qui la scelta di legarsi al circuito Interno 4, rete di librerie indipendenti italiane altamente specializzate su tematiche mirate (arte, controcultura, musica, viaggi, etc.). La libreria Zaum è entrata da poco nel sesto mese di vita. Sta facendo attivismo culturale, con presentazioni, reading, workshop. Il periodo iniziale le ha sorriso, anche grazie al volano delle festività natalizie. Ma continua ad essere un luogo misterioso ai più, fuori dal circuito universitario e dell’attivismo, a rigor di logica suo interlocutore più naturale. La posizione non aiuta, ma, come ci dicono dalla “regia”, dopo che la si è cercata, ci si torna. Capitolo digitale. L’ausilio della figura del libraio può risultare decisiva anche in questa fetta del mercato, dove grandi colossi e micro-editoria devono fare i conti anche con l’autoproduzione? Nonostante lo sviluppo a rilento di questo settore nel territorio italiano, piattaforme che consentano la vendita di questo tipo di produzioni in librerie fisiche esistono, funzionano e hanno ragion d’essere. Si è cominciato a farne uso anche in quel di Via Cardassi. L’ebook arriva comodamente nella casella mail del cliente. Tutto quello che ho detto finora può sembrare varcare il confine del messaggio promozionale. Ma come dicevo qualche riga sopra, questa è una scommessa e si dovrà pur puntare. La mia opinione a questo punto è manifesta. Quello che mi auguro è che questo spazio possa continuare ad esistere. Per le sue proposte “ragionate” sugli scaffali. Per il fatto che dietro non ci sia nessun incentivo, ne’ privato ne’ statale. Perché se ne sentirebbe altrimenti la mancanza, dopo che lo si è conosciuto.
di Daniele Raspanti
la neonata console indie Schiaffo morale ai big dell’intrattenimento elettronico, o flop assicurato?
L’estate si avvicina, e per gli appassionati dell’intrattenimento elettronico è il periodo più interessante dell’anno. Tutte le fiere del settore (dal E3 di Las Vegas a Giugno al Gamescon di Colonia ad Agosto, passando per il Tokyo Games Show di Luglio) presentano le novità in campo videoludico che, con molta probabilità, vedremo sugli scaffali in tempo per Natale. Tuttavia, la vera novità dell’estate non sarà questa volta presentata dai “soliti noti” che rispondono al nome di Microsoft, Sony o Nintendo. Dobbiamo però fare un passo indietro nel tempo, esattamente all’inizio della scorsa estate. L’evoluzione delle tecnologie sta rivoluzionando il mercato degli smartphone e dei tablet. Il successo delle console “tradizionali” comincia a cedere. Sempre più utenti preferiscono divertirsi con giochi semplici e immediati, e gli “app store” dedicati ai dispositivi mobili rispondono con migliaia di applicazioni e giochi gratutiti. All’inizio dell’estate 2012, la piattaforma di progetti indipendenti Kickstarter propone quello che presto sarebbe stato uno dei più discussi fenomeni nei mesi a seguire: OUYA. L’idea alla base dell’ambizioso progetto presentato da Julie Uhrman e Yves Behar è semplice: creare una console, economica, da collegare alla TV e basata sul sistema operativo Android.
Per molti fu solo un modo per farsi pubblicità proponendo un’idea irrealizzabile da un gruppo di persone “comuni” (sia Uhrman che Behar provengono già dall’industria dei videogiochi). A supportare queste voci, c’era anche un budget da raggiungere decisamente alto: “solo” 950.000$, se si pensa che altri progetto “indie” sulla stessa piattaforma spaziano dai 200$ ai massimo 100.00$. Eppure, a poche settimana dalla chiusura dei finanziamenti sulla piattaforma, alcuni grossi investitori si interessano a quella console open-source tanto chiacchierata. Il budget viene così superato, e il tetto dei 950.000$ “sfondato” in pochi giorni fino a raggiungere quota 3 milioni di dollari (si, avete letto bene). Quella che era partita come un’idea ora vedeva avvicinarsi grandi nomi dell’industria elettronica, come Nvidia che decide di mettere a disposizione i propri chip grafici (Tegra 3, chip grafico scelto anche da Google per i suoi tablet) e il proprio know-how. Nei mesi successivi alla chiusura del progetto sulla piattaforma Kickstarter, avvenuta ad Agosto 2012, il progetto OUYA raggiunge quota 8,5 milioni di dollari, cominciando a prendere forma non solo esteticamente, ma grazie anche alla collaborazione di numerosi contributi “esterni”, anche la parte hardware e software comincia a muovere i primi passi. I mesi passano, e la console open-source continua a far parlare di se. Ma come ovviamente avviene in questi casi, si presentano anche i primi problemi e i primi “nemici”. I produttori
di console e le grandi software house non guardano di buon occhio questa piccola console. Per molti “esperti” porterebbe ad uno stallo del mercato videoludico, in quanto non apporterebbe alcuna innovazione a livello tecnologico (il chip grafico, al momento in cui scrivo l’articolo, è già “vecchio” di quasi un anno e mezzo, un’eternità nel campo tecnologico n.d.r.). Inoltre, la possibilità di installare principalmente giochi gratuiti (free-to-play) e l’apertura del sistema Android a sviluppatori indipendenti e ad hacker non spingerebbe eventuali editori a impiegare grossi capitali per lo sviluppo dei cosiddetti titoli “triple-AAA” . La console, inoltre, sta impiegando troppo tempo per uscire sul mercato: questo ritardo ha portato le sue caratteristiche tecniche migliori ad essere ormai allineate a quelle di molti tablet in commercio (e in alcuni casi, anche ad essere superate). Inoltre, la stagione estiva 2013 prevede l’arrivo dei grossi nomi del mercato videoludico: Playstation 4 e Xbox720. Il team di OUYA rimane però ancora fiducioso sull’accoglienza del mercato nei confronti della piccola console, e non è da escludere un’eventuale aggiornamento delle caratteristiche tecniche prima della sua uscita. Sareste disposti ad aspettare Giugno per avere una console da collegare alla TV e sul quale poter giocare ad Angry Birds e a Ruzzle? Ovviamente, il tutto per soli 99$.
SteadyCam
Korine Ashley Benson James Franco Selena Gomez Vanessa Hudgens Rachel
SPRING BREAKERS di Elsa Gelsa
Ho scoperto Spring Breakers qualche tempo fa, quando le foto delle quattro protagoniste (seminude in spiaggia), campeggiavano sulle riviste femminili in quanto testimonial di una delle più note marche di scarpe made in USA. Vi do un indizio, solo uno. Comincia per N.
In realtà Spring Breakers è un film, anzi IL film, quello di cui tutti parlano, il sogno proibito delle nuove generazioni e l’atroce incubo dei loro genitori. L’apoteosi dello scandalo. Potremmo descrivere questo film dicendo solo che il regista è Harmony Korine, ma rischierei di privarvi di alcune delizie che fanno da contorno e senza le quali non saremmo capaci di apprezzarne l’attualità e la perfezione. Anche questa volta monsieur Korine non poteva esimersi dal trattare, in maniera piuttosto discutibile, l’universo giovanile, l’uso e l’abuso di droghe e alcol e gli esiti inaspettati a cui possono condurre.
Ma partiamo dal principio: che cos’è uno Spring Break?
È una settimana di vacanza, concessa agli studenti nella prima metà di marzo. Miami, Cancun e Acapulco sono solo alcuni dei luoghi in cui vengono consumate sempre più spesso quantità indefinite di droga, alcol (fino ai limiti del coma etilico) e qualsivoglia perversione sessuale. Per rappresentare compiutamente il livello di perdizione che lo Spring Break porta con sé, Harmony Korine ha pensato bene di scegliere un cast di “stelline” che fino a poco tempo fa aveva un posto speciale nel cuore di numerosi adolescenti. Selena Gomez e Vanessa Hudgens sono due giovani attrici cresciute nella scuderia Disney. Sulla sanità mentale di Vanessa Hudgens avevamo già alcuni dubbi, ora più che mai diventati certezze. Sono lontani i tempi in cui le foto in topless, rigorosamente autoprodotte, facevano il giro del mondo, andando a riempire di sicuro l’archivio di qualche cyber-pedofilo. Ora Vanessa è pronta a regalarci un’interpretazione sensazionale, conturbante e ai limiti dell’osceno.
Attendiamo.
Selena Gomez è l’acqua santa sempre e comunque, sia in versione privata (sembra infatti che se ne vada in giro sfoggiando un anello con il quale pretenderebbe di preservare la sua verginità), che in versione cinematografica (sarà infatti l’unica a cercare di riportare le sue amiche sulla retta via). Di lei non si hanno ancora foto in topless e la cosa risulta alquanto deludente, dato che questa sembra la sorte a cui vengono condannate quasi tutte le reclute femminili della casa di produzione californiana.
Attendiamo.
SteadyCam Ashley Benson e Rachel Korine sono, invece, le “meno famose”. La prima è conosciuta per essere una delle protagoniste della serie tv Pretty Little Liars. La seconda è anche conosciuta come “non recito nei film di Harmony Korine solo perchè è mio marito”. Si certo. Attendiamo. In conclusione, ecco quali sono altri elementi per i quali potrebbe valere la pena andare a vedere Spring Breakers al cinema: - un occhio di riguardo per la versatilità di James Franco che, smessi i panni del pappone con i denti d’argento e le treccine al posto dei capelli, si è calato nella parte di un mago, diventando l’idolo dei bambini; - le musiche di Skrillex, Gucci Mane e Cliff Martinez che cito solo per dovere di cronaca; - i passamontagna indossati durante le rapine che, oltre a fare scena, rimandano inevitabilmente alle Pussy Riot e alla questione legata all’indipendenza femminile; - cocktail, costumi da bagno, feste in spiaggia in odore di Mtv culture e di un universo pop al degrado, alterato da modelli sempre nuovi e sempre peggiori dei precedenti;
Lo scandalo non è la cifra con cui guardare questo film, ne sono certa. Il film è l’estremizzazione dell’universo giovanile attuale, un prodotto del nostro tempo, assuefatto a piaceri inconsistenti ed effimeri che diventano, tristemente, l’unico modo di sentirsi vivi o perlomeno di sentirsi parte di qualcosa.
Meditate gente.
International Open Data Day Bari
Leggere oggi: futuro posteriore OUYA: la neonata console indie
Korine, Franco, Gomez, Hudgens: Spring Breakers
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