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Pubblicazione mensile curata dall’Associazione Pietre Vive alla Salute

Alla Salute! Anno III numero 4

la voce del nostro quartiere

Autorizzazione del Tribunale di Napoli numero 33 del 23 maggio 2012

Febbraio 2014

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a pagina 2 Sentinelle di legalitĂ

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a pagina 12 e 13

a pagina 7 allasalute@pietreviveallasalute.it

Marciapiedi e strade occupate

La Canzone Napoletana e le sue Origini

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Alla Salute!

Incontriamo il Commissario Michele Spina Abbiamo incontrato il Commissario Michele Spina qualche giorno fa quando ci recammo da lui, a seguito di numerosi episodi di furti e rapine avvenuti nel nostro quartiere ai danni soprattutto di giovani, per chiedere aiuto e assistenza. Abbiamo conosciuto una persona amabile e disponibile, appassionato del proprio lavoro e molto disponibile ad ascoltare problemi e proposte. Alla vigilia dell’Incontro – Dibattito che terremmo sabato 22 febbraio all’Istituto Volpicelli sul tema: Non arrendiamoci! Diventiamo sentinelle di legalità, il dott. Spina ci ha gentilmente concesso un’intervista che ci introduce al prossimo incontro. Capo per tre anni del Commissariato di Secondigliano e per 6 anni Dirigente del Commissariato di Scampia, il Commissario Michele Spina è da meno di un anno stato nominato Primo Dirigente dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico presso l’Ufficio Centrale della Questura di Napoli. A lui è affidato tra gli altri il compito di gestire l’intero Comando delle Volanti di Polizia sul territorio di Napoli.

S ENTINELLE

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DI

reali esigenze dei cittadini del quartiere e possiamo meglio rispondere ai vostri bisogni. Questa è la nostra filosofia: adattare i nostri servizi alle necessità dei cittadini. Solo con un costante contatto con voi possiamo realizzare questo obiettivo. Incontrarvi personalmente vuol dire lavorare insieme e scambiare informazioni utili per cercare di migliorare il nostro servizio. E' veramente possibile collaborare con le Forze dell'Ordine? Io direi proprio di sì. E’ fondamentale avere fiducia nelle Istituzioni, specie nelle Forze dell’Ordine. Altrimenti è la fine e la lotta alla criminalità diventa impossibile. Perciò siamo contenti quando cittadini e associazioni ci chiedono di partecipare a questi incontri perché vogliamo contrastare la sfiducia mettendoci la faccia. Su mandato del Questore Marino, il mio principale scopo è quello di captare le esigenze dei cittadini e meritare la loro fiducia. Unendo le forze si può davvero combattere la violenza e la criminalità? E’ di tutta evidenza che solo unendo le forze si può cercare in concreto di sconfiggere la delinquenza. (continua al lato)

L EGALITÀ

Perché è importante per ogni cittadino della Salute essere presente a questo incontro del 22 febbraio?

Perché il confronto tra le Istituzioni e i cittadini consente di poter attuare la prevenzione in modo più efficiente. Perché così noi della Questura raccogliamo informazioni sulle

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E’ per questo che chiediamo l’appoggio di tutti i cittadini e le associazioni di buona volontà presenti e attive sul territorio. Un esempio ci è dato proprio dalla vostra associazione. Grazie alle segnalazioni pervenute dall’Associazione Pietre vive alla Salute, abbiamo potuto potenziare il passaggio delle volanti di Polizia attraverso le vie di Salvator Rosa, Matteo Renato Imbriani e Giacinto Gigante. Inoltre, come molti avranno potuto osservare, abbiamo cominciato a far stazionare stabilmente in piazza De Leva e piazza Canneto una volante . Il nostro quartiere è veramente così bistrattato dalla Polizia? Non credo sia così, proprio per quello che dicevo prima. Bisogna considerare che nelle sere della movida (intensa, vivace e molto movimentata vita notturna soprattutto da parte dei giovani) abbiamo il dovere di presidiare con le nostre volanti soprattutto le piazze e in genere i posti più frequentati di Napoli, dove più probabilmente, anche a causa del consumo di alcool e stupefacenti, possono crearsi risse o aggregazioni pericolose.

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SENTINELLE DI LEGALITÀ

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Cito ad esempio come zone più a rischio piazza Bellini, piazza San Domenico Maggiore, piazza Carlo III, la Riviera di Chiaia. Inoltre bisogna sapere che i delinquenti si avvisano tra di loro per telefono, per cui se vedono una volante fissa in un posto vanno a delinquere in un altro posto scoperto. Così è più funzionale stazionare un po’ di tempo in una zona e un po’ di tempo in un’altra. Garantendo nei posti più frequentati e a rischio una presenza fissa. In definitiva la nostra proposta è quella di instaurare con tutti i cittadini un dialogo continuo con noi. In prospettiva di poter realizzare questo obiettivo invito tutti i cittadini della Salute a partecipare all’incontro del prossimo 22 febbraio all’Istituto di Santa Caterina Volpicelli dove saranno presenti, per un più proficuo scambio di conoscenze e proposte anche agenti delle volanti pronti. Vi aspetto: non lasciateci soli per … non lasciarvi soli, e diventiamo insieme sentinelle di una nuova legalità. Franco Buonadonna

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L ‘ALTrA FAcciA deLL’ATTesA

“L’attesa è una suspence elementare, è un antico idioma che non sai decifrare, è un’irrequietezza misteriosa e anonima, è una curiosità dell’anima” Al modico prezzo di 10 euro all’ora e con regolare emissione di ricevuta fiscale, Giovanni Cafaro, quarantaduenne disoccupato di Salerno, ci ha finalmente sottratti all’incubo di interminabili file. Come? Semplicemente inventando il lavoro di “codarolo”! Infatti l’ingegnoso Cafaro, già responsabile marketing in un’azienda, una volta licenziato e non volendo ricorrere a strumenti poco leciti si è inventato un lavoro: fare le code per gli altri (in posta, in banca, alla asl...) per 10 euro l’ora. Presi dalla frenesia del vivere quotidiano, fatto sempre più di corse conto il tempo, quello da spendere aspettando sembra il più inutile da vivere. Eppure non c’è giorno in cui non aspettiamo qualcosa: dall’autobus alla telefonata, dal nostro turno in banca al momento in cui entriamo nello studio del dentista, dal collega che deve sostituirci a “Venezia 25” imbottigliata nel traffico, da quel piccolo gesto che ci risolleverebbe a quell’attimo di gioia in puntuale, eterno ritardo. Una vita, dunque, la nostra, sempre

ASPETTANDO GODOT di Rosaria Taglialatela sospesa tra quello che è e quello che sarà, tra realtà e aspettative. Essere in stand by oggi procura quasi sempre uno stato di parossistica ansia. Negli uffici postali non c’è fila che non scorra sospinta da comportamenti psicotici. I primi segnali di una insofferenza crescente muovono dalla gestualità. Gli occhi si spostano freneticamente dal bigliettino con il proprio numero al display e, abbandonata ogni logica matematica, si spera che dopo il numero 32 appaia il 217. Questo a con-

ferma del fatto che a un certo punto c’è sempre “quello” pronto a dare i numeri e che inizia la sua performance lanciando epiteti tutt’altro che epici conto il direttore, del quale comincia a decantarne le meretrici origini. Seppure espressa in maniera diversa, analogamente intensa è la sofferenza vissuta nella sala

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d’attesa di uno studio medico. Per ammazzare il tempo ci intratteniamo con gli astanti facendo “il gioco” del chi sta peggio. Contagiati dai sintomi altrui, inevitabilmente qualche signora uscirà convinta di avere un’ipertrofia prostatica e qual-

c h e simpatico signore di mezza età andrà via convinto di essere in menopausa. Sarà pur vero che oggi non abbiamo molto tempo da perdere, ma dove è finito il leopardiano senso dell’attesa? Possibile che l’attesa sia diventata così anoressica da non volersi più nutrire del piacere che la caratterizza?

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Il “sabato del villaggio” si è forse definitivamente perso in una settimana fatta di ansie, preoccupazioni, tensioni, continue ed affannose corse verso traguardi a volte inutili e deludenti?! La comune esperienza dell’attesa effettivamente ci rivela ogni volta lo scarto tra quello che aspettiamo e ciò che invece ci accade, ma vale la pena riscoprirla e viverla nel suo significato più romantico. Attesa è stare in silenzio ed ascoltare, è andare alla ricerca di quei segnali che ci fanno capire che domani potrebbe essere il nostro giorno migliore. Insomma, dovremmo provare a rendere sì attiva l’attesa, ma per viverla nella sua essenza. L’inutilità dell’attesa lasciamola ad Estragon e Vladimir. Spesso attendiamo che qualcosa si realizzi senza fare nulla perché ciò accada e così si smarrisce il senso della vita e l’attesa diventa qualcosa di estremamente passivo e perfino devastante. Non rimaniamo inermi, ma “Aspettando Godot” riscopriamo il senso della vita attraverso l’attesa come se quest’ultima fosse un sinonimo dell’infinito amare o dell’amare all’infinito!

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Alla Salute!

Incontriamo Bruno Sarnacchiaro, della palestra Endurance in Via Confalone Da quanti anni esiste la palestra Endurance? La palestra Endurance è stata fondata nel 1971 fondata dal compianto Maestro Beppe Panada e fin da subito divenne un piccolo grande tempio delle arti marziali. Hiroschi Shirai, capostipite del Karate in Italia, ne era un assiduo frequentatore. Negli anni ’70 mi apprestavo a laurearmi cintura nera che all’epoca veniva conseguita da pochi, in quanto gli esami erano rigidissimi e si guardava non solo alle qualità tecniche ma anche morali ed etiche del candidato. Nel 1987 sono diventato unico proprietario della palestra e ho aperto una nuova sala attrezzi e inserito nuove attività sportive ed altri generi di arti marziali, rimanendo però altamente concentrato sul karate. Aggiungo che, proprio per l’esperienza come maestro nonché per tutti i risultati agonistici ottenuti ho poi fondato la “Scuola Superiore di Karate” che negli anni ha ospitato circa 1.500 karateka. Il Maestro Gennaro Sarnacchiaro, cresciuto in queste mura fin dagli anni 70, ha ereditato l’insegnamento degli antichi maestri con i quali ha poi diffuso questa nobile arte nelle altre città e province campane. Nei vari decenni ha fatto parte della squadra agonistica e appena approdato come ricercatore al consiglio Nazionale delle Ricerche ha effettuato assieme ai suoi colleghi medici diversi studi sui benefici di questa nobile arte. Da questa palestra sono passati molti maestri che poi ne hanno aperte

ORGOGLIOSI DI ESSERCI Abbiamo aiutato tanti ragazzi a crescere molte altre sul territorio campano. Come è venuto in mente di aprire una palestra in questa zona? A quell’epoca locali idonei per praticare il karate scarseggiavano e si trovò questo locale al pian terreno in un palazzo appena costruito.

Aver aiutato tantissimi giovani ad essere più forti dentro, ad avere maggior consapevolezza di se stessi attraverso lo sport e le arti marziali. Inoltre siamo stati premiati per la nostra attività ed i progetti svolti dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Senza dire poi dei bambini che quando ci sono stati affidati dai

Qual è la caratteristica peculiare di questa palestra? La nostra passione per le arti marziali e per il fitness è la stessa da più di 40 anni! L’aggiornamento, la competenza e la severissima selezione dei nostri istruttori è la nostra regola, unita all’attenzione dedicata ai nostri soci che si ritrovano in un clima sereno e familiare. In tanti anni di attività quale è stata la soddisfazione più grande?

genitori ci hanno regalato tantissime soddisfazioni. Quante promesse sono passate da questa palestra? Sono passate tante promesse all’interno delle nostre mura, abbiamo vinto tanto, forse tutto ciò che c’era da vincere; ma siamo convinti che non è importante soltanto vincere ma provare a far crescere tutti nel modo migliore possibile sia come atleti che come uomini e questo ci rende unici! Siamo orgogliosi di aver aiutato

Invitiamo tutti i nostri lettori a votarci!

FELI-CITY UN

PROGETTO PER LA SALUTE

VI INVITIAMO A RACCOGLIERE E COMPILARE I COUPON SUL GIORNALE MATTINO SE VOLETE POTETE CONSEGNARCELI, PRESSO LA PARROCCHIA S. MARIA DELLA SALUTE, FINO A GIOVEDÌ 20 FEBBRAIO PROVVEDEREMO NOI A INVIARLI allasalute@pietreviveallasalute.it

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molti ragazzi del quartiere che se non avessero avuto il nostro sostegno nello sport avrebbero sicuramente intrapreso strade molto pericolose. Può raccontarci qualche aneddoto o qualche personaggio "particolare”? Ci sono stati personaggi molto affettuosi e simpatici che hanno frequentato o frequentano la nostra palestra. Tutti si sentono responsabili di ciò che accade all’interno di essa e questo ci riempie di gioia perché significa che siamo tutti una famiglia. Quale era la caratteristica più bella del nostro quartiere e cosa non le piace più? La caratteristica più bella del quartiere è che convivono tante realtà e in tanti anni di attività abbiamo apprezzato la semplicità e la disponibilità dei cittadini. Come vede il futuro della sua attività e delle palestre in particolare? In questo momento molte palestre non se la passano bene in quanto la crisi ha fatto calare le iscrizioni. Aggiungerei anche che i costi di gestione sono eccessivamente alti. Oggi resistono le palestre come la nostra altamente radicata sul territorio da anni con competenze specifiche ormai riconosciute da tutti. Perché bisognerebbe iscriversi in palestra e a chi lo consiglierebbe? Lo consiglio a tutti, perché l’attività fisica é necessaria a tutte le età. Tra l’altro sul territorio cittadino gli impianti sportivi pubblici sono fatiscenti, i parchi dove praticare sport all’aperto sono pochi, difficilmente raggiungibili e aperti per poche ore al giorno. Dico però a tutti coloro che vogliono iscriversi in una palestra di farlo avendo ben chiari i propri scopi e scegliendo la palestra non solo per l’eleganza o la grandezza ma soprattutto per la preparazione e la capacità degli istruttori a far raggiungere obbiettivi reali. F. B.

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LA CANZONE NAPOLETANA E LE SUE ORIGINI

Da questo numero inizia la collaborazione con il nostro giornale di Alberto Del Grosso, Giornalista – Capo Ufficio Stampa dell’Accademia di Alta Cultura Europa 2000, che di mese in mese condurrà i lettori attraverso il percorso della canzone napoletana, che attraverso i secoli, ha fatto la sua storia sia a Napoli che in tutto il mondo ad opera di compositori, musicisti e cantanti, divenuti poi noti nomi di quella canzone che non morirà mai. Le notizie relative alle origini della canzone napoletana sono frammentarie e controverse; alcune testimonianze la fanno risalire ai tempi di Federico II di Svezia. Le “serenate”, o “mattinate”, furono cosi diffuse a Napoli che lo stesso sovrano fu costretto ad emettere, nel 1221, un decreto per proibirle a tutela del sonno dei cittadini. Jesce Sole e il Canto delle lavandaie del vomero risalgono a questo periodo. Agli Svevi successero gli Angioini (1266-1441) e si diffuse la consuetudine di inserire nelle canzoni temi, avvenimenti e scandali politici. Sotto la dominazione degli Aragonesi (1441-1501), la lingua

Anno iii numero 3 Autorizzazione del Tribunale di Napoli numero 33 del 23 maggio 2012 editore Associazione di Promozione sociale Pietre vive alla salute Legale rapp.te Franco Buonadonna

Napoletana entrò ufficialmente a Corte. Ciò promosse il fiorire della poesia popolare e del canto. Ogni festività era un’occasione per ritrovarsi e, naturalmente, per intonare canti, ballate e sonetti, solitamente accompagnati da liuto e colascione, un grosso mandolino dal suono più profondo della chitarra moderna. Con l’avvento degli Spagnoli (1501-1734), il Napoletano venne bandito dagli uffici pubblici, ciò però non impedì lo sviluppo di canti e balli popolari. Il genere più famoso fu “la villanella”, che fiorì nella seconda metà del 1500. “Le villanelle” sono motivi agresti, a più voci, improvvisati come gli stornelli. La fortuna delle”Villanelle” che si protrasse fino alla fine del 1500 fu tale da suscitare l’interesse di alcuni dei più famosi musicisti del tempo: da Giulio Caccini a Claudio Monteverdi, che le presero a modello per composizioni polifoniche. direttore responsabile Gennaro Giannattasio comitato di redazione Gennaro daniele Franco Buonadonna Lucio Buonadonna collaboratori e redattori i lettori di Alla salute! Grafico pubblicitario

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Il 1600, oltre ad essere il secolo di Masaniello, fu anche il secolo del Melodramma, delle canzoni raffinate (Fenesta ca lucive) e di quelle popolari (Michellemmà).

Nel 1700 a Napoli trionfavano canti e ballate popolari come la Tarantella, la danza che offuscò tutti gli altri generi. La palummella e lo guarracino sono così perfette da far pensare enzo Maselli sito web www.pietreviveallasalute.it e-mail allasalute@pietreviveallasalute.it

La collaborazione è libera a tutti i lettori ed è completamente gratuita, compresa quella della pro-

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che anche gli autori più famosi si dilettavano in segreto con composizioni non destinate al teatro. Dopo oltre due secoli di viceré Spagnoli si insediò a Napoli la dinastia dei Borboni. Sul finire del secolo (1799), la breve parentesi della Repubblica Partenopea si concluse con la morte di molti giacobini e l’impiccagione di Eleonora de Fonseca Pimentel. Anche questo tragico evento venne “registrato” da una canzone popolare. Jesce sole di Anonimo del 200 è una breve nenia in cui viene invocato il sorgere del nuovo giorno. L’aurora della canzone Napoletana è avvolta nell’oscurità del mito: non tutti concordano nell’indicare questo motivo come il primo conosciuto e tramandato dal popolo Napoletano, ma a me piace aprire la rubrica con questi versi luminosi e propiziatori. Di seguito la prima strofa: Jesce sole,Jesce sole, nun te fà cchiù sospirà. Siente maie che le figliole hanno tanto da prià? Alberto Del Grosso

prieta’, direzione e redazione. I lavori pubblicati riflettono il pensiero dei singoli autori i quali assumono la responsabilità di fronte alla legge. stampato presso la LiTHOGAr, cercola, Napoli Tel. 081 7748985 mail: info@lithogar.it

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“Che bella comunità che siamo”, aveva detto, in modo convinto e quasi con le lacrime agli occhi per la commozione, la sorella più giovane al termine della funzione religiosa del giorno di Natale. Ad ispirarle questa emozionata espressione molto probabilmente l’affetto e l’attenzione di cui si sentiva circondata, il ritrovarsi fra persone amiche, ma anche la magica atmosfera natalizia che in chiesa è particolarmente amplificata. La signorina, con la sua acuta sensibilità, aveva perfettamente colto il senso di unione umana e religiosa che, in quel luogo e in quel preciso momento, pervadeva tante persone diverse formandone una comunità. Uomini e donne, pur nella loro eterogeneità, uniti dal calore di un sentimento comune, quello che spinge ogni singolo essere umano a considerarsi non come una realtà a se stante e indipendente dagli altri, ma come parte di un tutto, come tassello di un mosaico assai più vasto. Mi capita spesso d’incontrare in chiesa questa amabile signorina, sempre accompagnata dalla sorella maggiore, con la quale vive in affettuosa e serena simbiosi. Entrambe non più giovani possiedono tuttavia uno spirito e una vitalità invidiabili. Benvolute da tutti, sono legatissime

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Alla Salute!

Le due faccie di una Comunità

SACRO & PROFANO di Gen na ro Gi an na ttas i o l’una all’altra, sempre gentili e sorridenti nei confronti di chiunque. Il loro modo di relazionarsi è un po’ la quintessenza della dolcezza, motivo per cui ispi-

taggio familiare. La sorella meno giovane è in realtà la più giovane, la bambina delle due. Nel senso che conserva nel suo cuore, come succede ai bambini,

rano sincera simpatia e tenerezza. Diverse per temperamento, ma assolutamente complementari fra loro, rappresentano un bellissimo esempio di armonia e d’amore fraterno. Simili per socievolezza si differenziano, però, per lo stile della comunicazione. La più giovane delle due è quella più naturalmente portata alle pubbliche relazioni, più faconda, colta, ma anche dotata di un opportuno senso della misura e di un’educazione raffinata che s’intuisce essere il prodotto di un antico re-

la capacità di emozionarsi; di stupirsi come di stupire; di entusiasmarsi; di apparire indifesa e vulnerabile; di suscitare, infine, tenerezza. E’ quella che parla di meno, quella che si affida alla guida sapiente e all’abilità diplomatica della minore. Non erano presenti, le due sorelle, alla messa vespertina dell’ultimo dell’anno. Per fortuna loro, dico. Perché forse, alla luce del contrasto che, imprevisto, si palesò, avrebbero riconsiderato quel concetto in precedenza espresso di “bella comunità di quartiere”.

Ma, intendiamoci, nulla di veramente grave e, soprattutto, di intenzionale aveva turbato la solennità del rito in celebrazione. Solo che, verso la fine della cerimonia, mentre il parroco don Franco Gravino invitava i fedeli a non festeggiare l’inizio del nuovo anno con i botti, e meno che mai con quelli più pericolosi, un nutrito e violento fuoco di batteria proveniente da piazza De Leva venne a coprire la sua voce disturbando la prosecuzione della Messa. Gli scoppi, potenti e ripetuti, durarono a lungo, contrapponendosi rumorosamente alle parole del sacerdote. L’incidente, sicuramente fortuito, stava però lì a dimostrare che nelle comunità non esistono uniformità di pensieri e di comportamenti, essendo ogni comunità paragonabile a un crogiolo ove vengono a contatto e si amalgamano elementi, esperienze e antropologie culturali diverse. La plastica e chiassosa manifestazione di queste disuguaglianze – con qualche forzatura riconducibile all’annoso e immanente contrasto tra sacro e profano – avrebbe, con tutta evidenza, disturbato alquanto la serenità delle due care sorelle provocando loro, per lo strascico che avrebbe avuto, la prima delusione del nuovo anno.

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La vicenda dei Marò italiani ci lascia notevolmente perplessi. L’atteggiamento assunto al riguardo dalle nostre autorità competenti è apparso, sin dal primo momento, troppo remissivo, direi addirittura eccessivamente improntato dal timore che possano scaturire ripercussioni negative sul piano internazionale, con particolare riguardo agli aspetti economico commerciali. Dopo le iniziali proteste e dopo blande azioni volte a tutelare l’integrità e l’immagine dei nostri due marò, non sono seguite altre decisioni più concrete per la definitiva e celere soluzione del caso. Nel frattempo i due soldati sono costretti a rimanere in India, in attesa che il Tribunale competente del luogo dia inizio al processo che, per tanti aspetti, appare quantomeno grottesco. Si tratta di due soldati che nello svolgimento del loro dovere hanno commesso un errore. E' vero, hanno sparato a dei semplici pescatori, ma con la chiara convinzione di essere oggetto dell'assalto di pirati che, in quella zona del mondo, hanno reso molto pericolosa la navigazione. Chi di noi, tra l’altro, nel corso della vita lavorativa non ha mai commesso un errore sul lavoro!!! Non sono delinquenti,

W l’Oratorio Nell’attesa di una "Piazza De Leva per tutti" (work in progress!), esprimo apprezzamento per l’iniziativa "Un Oratorio per tutti" presso la Parrocchia Santa Maria della Salute, ancorché col grosso problema di un'umidità persi-

Alla Salute!

Il caso marò: una pagina nera per l’Italia ma solo lavoratori dell’esercito, persone perbene che per guadagnarsi da vivere sono chiamati a svolgere l’ingrato compito di proteggere, anche con l’uso delle armi, le navi che percorrono de-

giamento assunto dalle nostre autorità. Allora, visto che non abbiamo la giusta forza per difenderci, almeno cerchiamo di utilizzare la forza della diplomazia. Infatti, l'Italia fa parte del-

terminate rotte dell’Oceano Indiano e tutte le persone che sulle stesse lavorano. Non ci possono essere interessi economici più forti della dignità di un popolo. E' vero, l'India ha degli affari in corso con industrie italiane, ma questo non giustifica l'atteg-

l'Europa che, quindi, avrebbe il dovere di far sentire molto di più

La Voce dei Lettori

stente, ed invito a crederci sempre e comunque per dare effettiva dignità al ns. quartiere a vantaggio di tutti, giovani e non giovani. Quando ero ragazzo, ho partecipato ad una colonia montana organizzata da Padre Speranza, oggi che non sono più un giovane voglio inco-

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il peso della sua forza internazionale a difesa dei due soldati italiani. Sopratt u t t o , trattandosi di militari di un

raggiare, come la famiglia Buccione, il cammino di questo '"Oratorio per tutti" e offrire padre Franco Gravina un contributo finanziario nella fiducia che anche altre famiglie volenterose seguano l'esempio.Cordiali saluti. Ciro Talotti

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esercito appartenente alla NATO, ritengo che questa entità dovrebbe intervenire in modo rilevante per difendere i due soldati, per costringere l'India a fare più di un passo indietro. A che serve la NATO!!! Sicuramente non solo per difendere gli interessi - economici e non - degli Stati Uniti nel mondo. I due marò, per il compito ad essi assegnato, non possono essere considerati solo militari dell’esercito italiano, ma soldati alle dipendenze di tutti i paesi civili del mondo, pronti a sacrificare se stessi per il rispetto della legalità e della sicurezza, nell’interesse non solo dell’Italia ma di tutte le nazioni che, in quella particolare zona del mondo, intrattengono rapporti commerciali, anche nell’interesse della stessa nazione indiana. Svegliati Italia! Fai sentire più alta la tua voce, coinvolgi l’Europa affinché si comprenda in tutto il mondo che il problema non riguarda solo la nostra nazione ma tutta la comunità internazionale e così pure la NATO, dal canto suo, intervenga per tutelare i diritti di due militari appartenenti, non solo alle forze armate italiane, ma al suo esercito. Cavaliere Giovanni

‘ A Luna e Mergellina Chesta sera a Mergellina mentre ‘a luna vasa ‘o mare tu t’astrigne ‘mpiette a me, e vasannemo me dice: “Comm’è bello a sta cu tt”e A sentì cheste parole doce e ardente, chesta luna malandrina vasa ‘o mare e vas’ atte. Benito Molinari

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UN INASPETTATO INVITO A CENA

Proseguendo nel mio personale percorso musicale ho avuto l’occasione di incontrare Tony Cercola il “percussartista” napoletano conosciuto ormai nel suo ambiente da quarant’anni grazie all’originalità delle sue “buatte” il quale, a fine intervista, mi ha invitato a partecipare ad una cena estremamente conviviale…Le domande sono state poche perché Tony mostra una loquacità tale da lasciare poche lacune alla conversazione ma anche una disponibilità nel trasformare una semplice intervista in una interessante chiacchierata con un sincero scambio di punti di vista. Come è stato il fuo esordio? Mio padre mi ha trasmesso il senso del ritmo: era panettiere e si divertiva a suonare la bilancia con cui lavorava. Io ero un anonimo Antonio Esposito trapiantato da Napoli alla provincia di Cercola. Ai miei tempi esistevano i complessi che suonavano pezzi di night, io andavo a curiosare durante le prove. Tutti gli strumenti li avevo visti solo in televisione e li trovavo affascinanti soprattutto la batteria ma non potevo permettermela, avevo una casa piccola e pochi soldi; inoltre il paese mi andava stretto mentre a Napoli nasceva il “Neapolitan Power” con una fucina di artisti emergenti. Io non volevo stare lontano da tutto ciò, mi costruii una piccola radio domestica e inviai la registrazioni alla RAI poi loro mi chiamarono per partecipare alla trasmissione “per voi giovani”; inoltre, portai un disco al giornalista Sandro Petrone che ne rimase colpito. Volevo diventare cantautore ma dovevo cambiare cognome; lui mi chiese da dove venivo e da lì nacque il mio nome d’arte. Il mio primo strumento furono due bonghetti di creta ai quali legai vicino due scatole di caffè. Ricordo il mio primo provino, fu una catastrofe: con un’energia quasi incontrollata arrivavo dal paese vittima di bullismo, vestito male, balbuziente;

tutti i canali ma devi essere affidato a una casa discografica che investe su d te molti soldi. Cosa consiglieresti ai

I nc ont ro co n To ny Cerc o la ero solo una “massa di ritmo non coordinato” e venivo messo alla porta. Ma la “buatta” è stata tutto per me: mi è servita come rivalsa sociale, come strumento di cultura, mi ha dato la parola e fatto crescere. Mi sono ribellato al sistema e ho vinto attraverso questo mestiere scappando da una realtà piccola e gretta dove una persona che vuole distinguersi dagli altri viene giudicata negativamente. La mia maestra è stata la vita: ho imparato a suonare guardando gli altri, facendo un passo indietro rispetto al mio temperamento aggressivo; ho avuto il coraggio di insistere, ho ascoltato e suonato con i più grandi musicisti carpendone metodie ritmiche. Cosa è cambiato negli ultimi 40 anni? È cambiato il sistema promozionale, non esiste più il lavoro di gruppo, è cambiato il modo di apprendere: prima chi ne sapeva di più insegnava agli altri (come avveniva nel “Neapolitan

Power”) oggi non c’è più un maestro perché i ragazzi non vanno ad imparare da un insegnante ma utilizzano internet. Non si tiene più conto della tradizione. Io, per esempio, amavo il rock americano ma quello non era il mio mondo, il rock non mi apparteneva ed ho iniziato un mio percorso non solo basato sul ritmo ma che produce anche melodia. Oggi c’è individualismo e la voglia di dire tutto subito con i tanti canali di divulgazione che però sono dispersivi. Oggi costa molto fare promozione e non è detto che ti accettino in

A TUTTI I NOSTRI INSERZIONISTI UN GRAZIE

DA

giovani? Esistono molti ragazzi talentuosi ed io sono favorevole al talent show come anche ai vari premi, festival e concorsi perché è un modo per mettersi in evidenza e farsi conoscere, ma ci deve essere una forte passione: un vero artista non molla, suona dovunque e le passioni si vivono nella quotidianità; ci vuole la curiosità per la vita e degli interessi. Tutto questo è racchiuso in una “pulizia interna” perché quest’arte non si fa per interesse ma per passione: quando sei su un palco ti sembra tutto “pulito” e pensi solo a dare al pubblico e questa è la forza per cui vale la pena farlo. Mi ricordo di Gegè Di Giacomo che rese la batteria uno show: uno strumento umile anche un po’ sfigato perché sta sempre dietro che diventava protagonista. Gegè era padrone della scena e oggi penso che si debba insegnare ai giovani a stare sul palco: In Italia non riusciamo a essere artisti a 360 gradi. Hai collaborato con molti artisti, quale è stata la tua esperienza? Ho lavorato con tantissimi artisti nazionali ed internazionali; con alcuni ci siamo cercati, con altri per esempio Brian Ferry è stato un caso: loro cercavano un washboard (tavoletta per Iavare i panni) che si suona nel blouse e scelsero me. Gli stranieri sono forti! Sono più curiosi e umili. continua al lato

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La Napoli che ci piace raccontare continua dalla pagina a lato

Lavorare con un artista ricco di esperienza al quale fai la tua proposta diventa uno scambio enorme! Oggi collaboro con nomi minori che mi cercano e fanno delle proposte e se mi piace e credo nel progetto ci investo. Napoli ha una cultura millenaria ed i più grandi artisti hanno avuto bisogno dell’ispirazione di Napoli per imparare. L’artista napoletano invece ha dignità e personalità, questa non è presunzione ma forza. I giovani hanno un grande talento ma devono essere più umili e talentuosi, devono ascoltare di più. Parlami del libro “Come conquistare il mondo con una buatta” delle Ediz. Anordest Dimensioni Mi ha cercato Mimmo Cavallo (cantautore) che ascoltando le mie canzoni ha capito che avevo molto da raccontare e ha fatto il mio nome ad Antonio d’Errico il quale si è interessato alla mia storia. È curioso che il libro sia stato stampato al nord mentre a Napoli hanno avuto difficoltà. Il libro parla di un ultimo che ha vinto. Nel libro, oltre alle varie testimonianze sono inseriti alcuni disegni fatti da me quando ero piccolo. Il “percussatore” invece nasce dall’esigenza di avere una melodia; come cantautore ho scritto i testi usando la mia voce come strumento onomatopeico. Il corpo e la voce sono collegati: il nostro corpo è dono prezioso e dobbiamo usarlo tutto. In questo modo creavo testi e musiche che provengono dalla tradizione avendo sempre una mia originalità: mi sono cucito addosso un sound, un genere, un carattere. In un pezzo inedito c’è sempre qualcosa da dire: il raccontare è da tutti ma riuscire a dire qualcosa attraverso la musica significa doversi spogliare da tutti i pudori. Tony anche in quest’occasione si è “spogliato” rivelandosi una persona aperta e disponibile al dialogo, un uomo semplice con un grande cuore ed una grande anima. Lucia Barbato allasalute@pietreviveallasalute.it

La camicia e lo zainetto

Questa è una storia vera. Non molto tempo fa, in una Sezione di massima sicurezza di un Carcere napoletano dove lavoravo, un detenuto di cui per molti mesi mi sono preso cura mi parlò di filosofia.

Questo signore parlava correntemente quattro lingue, ma eccelleva nella quinta: il napoletano. Dopo una lunga frequentazione in cui mi parlò di fatto di tutta la sua vita, un giorno interruppe improvvisamente il discorso come se fosse stato distratto da una intuizione improvvisa. Fissando un punto imprecisato del muro della cella dove ci trovavamo, alternando un italiano perfettamente corretto ad un napoletano di stile eduardiano, mi disse: “Dottò, io so che nella vita esistono due categorie di persone. Questo l’ho scoperto da solo ma di questo non me ne vanto. Ora dovete sapere che c’è chi nasce con la camicia, e sono le persone fortunate. Sono quelle che hanno una famiglia regolare, sono cresciuti con attenzione ed amore. Hanno studiato e si sono magari laureati. Hanno una moglie che li vuole bene

e hanno anche dei figli. Hanno un lavoro regolare e non hanno problemi di nessun genere. Il loro destino è morire nel loro letto con tutto l’amore che sono riusciti a dare, e per forza di cose anche a ricevere. Poi c’è un'altra categoria di persone, quelle che nascono con lo zainetto. Questi si riconoscono dalla nascita. Però bisogna saper guardare, dottò. Lo zainetto è piccolo piccolo, non lo si può vedere subito, dovete essere esperto. Ma non è difficile, bisogna cercare nei vicoli di Napoli. Questi bambini se lo portano dal giorno della nascita. Cosa c’è dentro? Ve lo spiego subito. Dentro questo zainetto c’è già tutta la loro vita. Una mamma che sta sul … marciapiede per campare, un padre sconosciuto. I nonni che ti hanno cresciuto dentro un basso dove non c’erano i mobili ed i panni venivano conservati nelle buste. La prima dose di cocaina. La prima rapina. Il riformatorio e poi il carcere. Se guardate attentamente dentro il fondo dello zainetto potete pure trovare un matrimonio e magari pure dei figli, ma non trovate il tempo per vivere tutte e due, perché il tempo dello zainetto si passa quasi sempre in carcere. Dottò penso che avete capito. Ci sono vari tipi di zainetto, dipende da quello che ci trovi dentro. Io vi ho raccontato il mio”. Poi improvvisamente, distolse lo sguardo dal muro e mi fissò dritto negli occhi.

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Mantenendo l o stesso atteggiamento pacato di sempre mi disse: “Dottò, si me posso permettere, dopo tutt’ stu tiemp’ ca ce cunuscimm io e vuie, io saccio che vuie nun site nato co’ zainetto, ma nun sit nato manco co a' cammisa.” Poi si alzò e se ne andò. Non mi rimase che fissare a mia volta le sbarre della cella, mentre sentivo che lui alle mie spalle chiedeva alle guardie di uscire per rientrare nella sua. Uscii dal carcere e mi misi a guardare i ragazzi che incontravo per strada cercando di capire se qualcuno avesse quello zainetto. Ovviamente non ci riuscii. Ma mi sembrò che la maggioranza di loro avessero le spalle lievemente incurvate

dal peso degli errori degli altri, degli adulti. Qualcuno di loro non reggerà il peso prima o poi, e si schiaccerà per terra, forse non sapendo nemmeno il perché. Paolo Ferragina

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Uno dei problemi più preoccupanti con il quale il nostro quartiere si trova costretto a fare i conti è quello dell’occupazione di suolo pubblico da parte dei privati. Un problema esistente dovunque a Napoli, ma che da noi ha raggiunto vette allarmanti essendo strettamente connesso con quello della viabilità. Non tanto di quella veicolare, pure causa di varie inconvenienze, quanto di quella pedonale. Gli abitanti della zona devono, infatti, quotidianamente sottoporsi a delle pericolose gimcane per districarsi tra le automobili indiscriminatamente parcheggiate dovunque. Esse infatti inibiscono ai passanti l’uso dei marciapiedi, l’ordinata sosta presso la fermata degli autobus di piazza De Leva, e rendono disagevole perfino il raggiungimento dei contenitori della spazzatura. A tutto questo si aggiunge l’occupazione di suolo pubblico da parte di alcuni esercizi commerciali. Una situazione diventata insostenibile e che può preludere a degli incidenti stradali. Tre sono gli snodi cruciali sotto gli occhi di tutti. Il primo, al quale abbiamo già accennato, riguarda la fermata dell’ANM di piazza De Leva. Un punto già di per sé problematico per la

sua posizione, gomito a gomito con i pesanti cassonetti dei rifiuti, ma che diventa impraticabile quando, come spesso succede, viene circondato dalle automobili parcheggiate alla rinfusa. La confusione raggiunge la sua acme il sabato sera quando il depositare i sacchetti di spazzatura da parte dei residenti diventa un percorso ad ostacoli. Transitare regolarmente per i pullmans diventa in questi casi un’incerta scommessa. La seconda doglianza ha sede di fronte, qualche metro più innanzi, dove la strada fa una curva. Lì la questione riguarda il marciapiede, che è ampio, spazioso, a misura d’uomo, sebbene sconnesso in più tratti. Un marciapiede che tuttavia non offre sicurezza ai pedoni perché spesso e volentieri risulta occupato da auto mobili in sosta. Proseguendo il cammino verso le problematiche del quartiere si arriva a piazza Canneto che sulla sinistra sfocia in via Battistello Caracciolo, terza e ultima stazione della nostra via crucis. Bella strada via Battistello Caracciolo, ampia, elegante, con vari negozi, se non fosse per quelle numerose auto in sosta in seconda fila che la deturpano. Ora, noi ci rendiamo conto che la causa di questi disagi non sono le automobili in sé, né

via Capecelatro Cara Redazione di Alla Salute!, leggo sempre volentieri il vostro giornale e vorrei approfittare per segnalare che diventa sempre più difficile passeggiare lungo il marciapiedi di via Capocelatro perché molti negozi mettono sistematicamente la propria merce sul marciapiede impedendo anche il semplice passaggio pedonale, come potete vedere nelle fote che vi ho inviato (ai lati) .E' possibile che quando porto mio figlio nel carrozzino non posso quasi mai passare? Enza

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Crescono i disagi, ma

OCCUPAZIONE DI di Gennaro

Tornare a casa la sera con la propria auto e trovare un posto per AL parcheggiare sembra sia diventata l’impresa più ardua, quasi peggio che arrivare a fine mese. I marciapiedi sono sempre più invasi dalle auto, le seconde file sono diventate un lontano ricordo visto che ormai si comincia a parcheggiare in terza. Ogni posto e ogni centimetro disponibile è buono, così che le auto sono diventate come i vestiti per le “false magre”, entrano sempre e dovunque; devono entrare sempre , a dispetto delle misure e delle taglie, cercando respiro, come quella povera gonna tra l’adipe e la cintura, tra un paletto e un parafango… Ne vanno così di mezzo le mamme con i carrozzini, i pedoni, gli anziani già instabili e insicuri tra buche, intralci e residuati vari canini.

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a che possiamo fare?

vogliamo buttare la croce addosso ai loro proprietari. Ci rendiamo conto che quello è solo l’effetto di una situazione che riguarda peraltro tutta la città e che risponde alla cronica carenza di parcheggi autorizzati. Di più, abbiamo la massima considerazione per quei lavoratori che tornando a casa di sera, e non usufruendo di un garage, sono costretti a girare a vuoto fino a quando non si libera uno straccio di posto o, in alternativa, a posizionarle in maniera irregolare. Ci mettiamo nei loro panni e li comprendiamo, ma pur condividendo le loro angustie – gli autisti indisciplinati non sono, però, tutti catalogabili in questa categoria – pensiamo che il bene comune sia più importante del bene individuale. Detto questo, cosa fare? A noi spetta solo l’obbligo di segnalare il problema, le soluzioni attengono ad altri e cioè agli amministratori della nostra bella e, per certi versi, sfortunata città. Non vorremmo che con la lentezza dei bradipi che li contraddistingue nel prendere provvedimenti qualcuno dovesse farsi male seriamente prima della prossima segnalazione. La responsabilità, in questo caso, sarebbe tutta loro, di quegli amministratori ai quali rivol-

SUOLO PUBBLICO Giannattasio

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giamo ancora una volta questo appello ad intervenire. Per evidenziare plasticamente cosa succede in queste aree “sensibili” del nostro territorio, abbiamo raccolto tre brevi testimonianze: Maria, pensionata anziana in attesa del C47 a piazza De Leva: - E’ uno schifo, oltre al fatto che il pullman passa ad ogni morte di papa devo pure attendere l’autobus in mezzo alla strada per colpa delle macchine posteggiate vicino alla fermata. Giovanna, giovane madre che da piazza Canneto scende a piazza De Leva camminando sul marciapiede: - E’ assurdo. Ogni volta che passo di qua (la curva dove c’era la pasticceria) devo scendere dal marciapiede perché è completamente occupato dalle macchine in sosta. La cosa peggiore è quando porto il carrozzino. Una volta ho rischiato di essere investita. Enzo, abitante in via Battistello Caracciolo: Qui ci lamentiamo tutti ma non facciamo mai niente. Questa è una bella strada, larga, spaziosa, ma ci sono sempre auto in seconda fila e specialmente nel primo tratto vari negozianti invadono il marciapiede con la loro merce. E’ brutto. Non se ne può più.

pessime e insostenibili condizioni sociali favoriscano spesso una L UTOMOBILE OVE LA ETTO certa forma di rilassamento culturale, sociale e civile. Ma senza volersi per questo adeguarsi o Per non parlare dei disabili. Ma, al di fuori di ogni demagogia, proviamoci rassegnarsi, chiediamoci: cosa possiamo a mettere nei panni degli automobilisti. Esau- fare? Cosa possiamo offrire come contristi dopo una giornata di lavoro, stanchi del buto di proposte e di idee perché chi ci am“giro maledetto” che per pochi metri li co- ministra possa realisticamente trovare una stringe a buttare mezz’ora di tempo, arrivati soluzione venendo incontro alle esigenze finalmente a casa, ecco che incomincia per più che legittime di automobilisti e resiloro un altro ben più impegnativo lavoro: la denti? D’altro canto, perché nel nostro ricerca di un posto per parcheggiare. E’ facile quartiere non si fa niente per eliminare o gridare all’inciviltà, ma in tutta sincerità, noi cercare in parte di attenuare questo grande che faremmo al posto loro? L’ipocrisia, per disagio? Spero che la risposta non sia: “Perchi può permettersi un box o semplicemente ché non c’è niente da fare!” perché a furia non possiede un’auto, non è essa stessa una di stringere la cinghia qualcosa potrebbe Franco Buonadonna forma di inciviltà? E’ di tutta evidenza che le scoppiare

Ma che colpa abbiamo noi?

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un sorriso alla salute Mi presento: sono la spazzatrice stradale Energy Compact 23-50, lavoro a Torino. Col mio autista Gianpiero ogni giorno puliamo la città . Funziono bene: ho un’ottima manutenzione. Vorrei conoscere altre colleghe: la mia vita è monotona! Scrivetemi a puli-

ziaccurata@detergo.it Ciao EnergyCompact, ti scrive una collega di Napoli dall’indirizzo perchépuliresepoisisporcadinuovo@ono.it Sono HidroJet 170, soprannominata “A cecata”, per un danno al vetro anteriore, riparato con tanto nastro isolante nero da sembrare orba. Il mio autista Ciro mi ama. Tanto che non mi usa per la banale pulizia stradale, ma mi offre altre esperienze di vita. In verità, due o tre volte all’anno eseguiamo anche il lavoro di pulizia, se no, dice «che pare brutto, e poi, se ci fosse un’ispezione…», una volta in effetti ebbi paura. Eravamo occupati in altre faccende, e s’avvicinarono due tizi sospetti. «I controllori!», pensai terrorizzata. No, erano solo due rapinatori! Meno male… Ciro, come dicevo, mi usa con creatività: a volte mi prende per portare i figli a scuola, ma solo se piove, perché Sasà, il figlio minore, non ha l’ombrello. Da quando glielo rubarono a scuola, il padre non l’ ha più ricomprato. Dice, infatti, che il figlio dovrebbe sottrarlo a qualcun altro. E, poiché Sasà non vuole farlo,

SPAZZATRICI A CONFRONTO di Sandro è un guaio. E Ciro, per evitare che il ragazzo si bagni, usa me per questa.. missione scolastica! Un’altra volta m’ha prestato al cugino Enzo, ché gli avevano rubato il motorino. L u i

senza motorino è un uomo morto. Gli serve per lavorare. Che fa? Lo scippatore! E può fare mai gli scippi a piedi? E come ho corso per lo scippo! Al massimo: 25 Km/ora!!, Enzo ha strappato la borsa ad una po-

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«Ma no, non fa nulla..» «Ma che dite? Lo meritate.» E così, per non far torto al guarFerrara dio, Ciro passa col rosso, o mi ferma in sosta vietata, o mi guida vera zoppa, incapace di insecontro senso...E se arrivano le guirci. La scippata c’ha bestemmiato i multe gliele porta, lui le fa spamorti per tre generazioni, augu- rire e non è più in debito con noi. randoci ogni disgrazia...Una Io, cara collega, un po’ t’invidio, volta, infine, ci ha fermato un perché sto stressata. Anch’ io guardio. Come sarebbe … un vorrei solo pulire strade. Ma, soguardio? Perché era maschio! A stiene Ciro, qui è un sogno ! Napoli si rispetta il sesso dei vi- Infatti, oltre ai nostri “impegni”, gili. Se femmina: guardia, se ma- quanti ostacoli: o lui s’ammala, schio: guardio. Se sono in o non c’è gasolio, o manca il detergente, o si guastano le spazgruppo misto: guardi. zole, o è scaduta l’assicurazione, Senza finale. Comunque tornando al guardio, o altro. Ciro temendo un problema s’è Così non si può lavorare, ma che preoccupato. Invece no, ci ha posso fare? Comunque, ‘ste nochiesto solo di pulirgli il giardi- tizie tienile per te, se le sente netto, per la festa di prima co- Giampiero gli viene un infarto. Ah, l’ultima cosa. munione di sua figlia. «Certo - ha detto Ciro – con pia Ha promesso Ciro: se il Napoli cere». « Grazie - ha risposto il vince lo scudetto, mi vernicia d’ guardio - anche perché viene azzurro e mi attacca le bandiere gente da fuori, e potrebbe pen- . Come sarei bella.. E a te, a prosare che siamo sporchi… io ci posito, mica l’altr’anno t’ hanno verniciata bianconera? Non tengo alla pulizia»! penso proprio.Queste cose le «Ma - ha aggiunto - come posso disobbligarmi con voi?!?... facciamo solo noi. Da voi sono Ecco… vi tolgo 4-5 multe..» vietate! Anzi, impensabili!!

I nostri lettori ci ricordano il quartiere nel secolo scorso

Come eravamo

in alto, nella foto, vicienzo ‘o giornalist’ negli anni 60

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Tour culturale nei misteri più reconditi della Napoli seicentesca Meta di una visita che vivamente consigliamo è quella presso il Complesso Museale Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco che sorge fra i dedali delle strette vie dei Tribunali della città. Lunga ed articolata la giornata che attende il visitatore che potrà, in un sol giorno, ammirare la Chiesa, l’annesso Museo e lo storico ed inimmaginabile Ipogeo. E’ noto il culto dei morti del popolo napoletano, ma che il cosiddetto “popolino” (le classi meno agiate) nonostante la povertà della sua condizione si accollasse, a n c h e , l’onere del mantenimento dei cadaveri di illustri sconosciuti, è cosa poco nota al grande pubblico. Ebbene la storia del complesso monumentale del “Purgatorio ad arco” è concentrata sulla cura e sul culto dei morti che si perpetua, ancor oggi, dopo circa otto secoli dalla sua prima manifestazione. E così fra i capolavori di Massimo Stanzione, con la sua sublime “Madonna delle anime purganti”, l’opera di Andrea Vaccaro con il “Transito di san Giuseppe”, ed il capolavoro di Luca Giordano la “Morte o Estasi di sant’Alessio” ci si aggira fra cento e cento scarabattole che custodivano teschi, omeri, tibie appartenuti chissà a chi.

Un Volo nelle Tradizioni Morti sconosciuti che la tradizione partenopea ha battezzato col nome di “anime pezzentelle”; che significa anime che “chiedono” di pregare per loro. Ma il popolo napoletano non si è mai limitato alla preghiera per far guadagnare preziose “indulgenze” alle anime dei defunti; ha fatto e fa ancor più: ancor oggi, nei giorni di apertura dell’ormai famosissimo e visitatis-

stoffa che adornano le piccole urne, riordinando le cento e cento “coroncine rosario” che i fedeli lasciano accanto alle ossa, riordinando e lucidando gli “ex voto argentei” appesi alle pareti delle umide e fredde camere sepolcrali, spazzando i pavimenti, togliendo le grandi ragnatele così da conferire, al luogo di per sé triste e buio, un aspetto quasi “familiare” che possa invitare alla preghiera e, cosa più

simo Ipogeo numerosi “popolani” giungono lì da ogni dove e si prendono cura dei “defunti”. Come ? Pulendo e lucidando i teschi, spolverando le ossa, curando l’accensione dei lumini, il cambio dell’acqua dei fiori nei piccoli boccali di rame, sostituendo le lampadine fulminate, spolverando i fiori di

stupefacente, al colloquio. E si! avete capito bene, al colloquio. Infatti proprio durante la visita nell’Ipogeo si assiste, di solito, ad uno dei tanti “colloqui privati” di una vecchia popolana con il “suo” teschio. Si udranno bisbigliare parole e pensieri per noi poco comprensibili, e pregando si vedrà sfiorare amorevolmente il già lucido teschio, quasi una dolce carezza a quel defunto sconosciuto cui impetrare, forse, una grazia, una guarigione, un miracolo o forse, anche, i “numeri a lotto”. Perché le anime “pezzentelle” pare che spesso siano in grado di suggerire terni e quaterne a coloro che si prendono cura delle loro ossa. Ma qui ci addentriamo

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nel paganesimo e nel fanatismo puro e…l’argomento non ci riguarda. La visita culturale che si propone potrà proseguire con l’ingresso nella maestosa basilica gotica trecentesca di S.Chiara laddove, assieme con le tombe dei re Angioini e Borbone è custodita la venerata tomba del vicebrigadiere dei Carabinieri, Medaglia d’Oro al V.M., Salvo D’acquisto fucilato all’età di ventitré anni dal fuoco nazista. Un momento di preghiera per onorare il giovane carabiniere sarà d’obbligo. Il tour potrà concludersi con la visita ad uno dei monumenti più ammirati, in assoluto, fra tutti quelli pur meritevoli di attenzione di cui è particolarmente ricca la storia della città. Silenzio, stupore, ammirazione e meraviglia carpiranno tutti innanzi all’opera prodigiosa ed ineguagliabile del “Cristo velato”, nel museo e cappella privata “Sansevero” , nel cuore del cuore della Napoli monumentale. Fu il genio del principe ed alchimista Raimondo di Sangro ad incaricare l’artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, perché realizzasse “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”. Impresa mai più eguagliata, dal 1753, nemmeno dal sublime Canova che è il massimo, fra i massimi, della scultura mondiale. Giuseppe Lenzi

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La Famiglia Oltre i Confini Biologici L’adozione di un bambino o una bambina é senza dubbio un atto d’amore sublime; é accogliere come un figlio proprio chi, per svariate ragioni, non ha piú i propri genitori naturali. E’ un gesto di apertura della coppia o della famiglia che rivela una grande maturitá affettiva e un sentimento di donazione non comune. Per una serie complessa di situazioni, che si vengono a creare sia a livello psicologico, sia a livello personale e sociale, i genitori adottivi, nella magioranza dei casi, sperimentano un processo di arricchimento e crescita spirituale che ripaga sicuramente il gesto oblativo compiuto. Come per la nascita di un figlio biologico si parla di paternitá e maternitá responsabile, tanto piú vale questa responsabilitá al momento di decidere di adottare un bambino o una bambina. Purtroppo, non sempre le motivazioni della decisione dell’adozione sono ispirate dai migliori sentimenti; un poco per ignoranza e superficialitá che porta a confondere amore con sentimentalismo e amor proprio con generosità; un poco per l’influenza sociale e culturale che spinge le persone a colmare dei vuoti; un poco ancora per la tendenza o presunzione di volere a tutti i costi quello che si desidera. Per dare un quadro della complessitá delle situazioni cercheró di raggruppare i potenziali genitori adottivi in differenti tipologie in base alle motivazioni piú o meno esplicite e alle esigenze che manifestano. Una tipología classica é quella che viene definita dei “bambini su misura”, tipica di quelle persone che cercano di adottare dei bambini solo se corrispondono a determinate caratteristiche. In questi casi é evidente che la motivazione si inclina piú verso l’egoismo che cerca una compensazione che verso l’amore oblativo. Per una strana contraddizione, in questa categoria selettiva entrano anche quelle persone che decidono di adottare

L’ADOZIONE di Raffaele Orefice quei bambini che nessuno vuole per le caratteristiche specifiche come malatie genetiche o deformazioni fisiche, peró é ovvio che in questi casi la selezione é dettada da un amore piú grande e non dall’egoismo. Ci sono genitori che accettano i bambini che gli consegnano le istituzioni dedícate e questo servizio senza sceglierli previamente, considerando il figlio adottivo alla stessa maniera del figlio biologico che uno non sceglie.

Ci sono anche coppie che decidono di adottare bambini dopo la perdita di un figlio biologico o semplicemente per dare un senso alla propria esistenza. Ci sono persone omosessuali che, nella impossibilitá di avere figli da una relazione naturale, desiderano adottare bambini per sentirsi una coppia a tutti gli effetti e riversare su di loro quella’amore di cui si sentono portatori. Ci sono anche casi estremi, e tristemente sempre piú frequenti, di

Ci sono famiglie che hanno giá dei figli biologici e decidono di aprire e ampliare lo spazio della loro famiglia a persone piú bisognose, sia nella forma dell’affido familiare sia nella forma dell’adozione permanente. Ci sono persone che per motivi biologici non possono avere figli e decidono di adottare bambini per dare pienezza alla loro vita di coppia e donare amore a persone che altrimenti resterebbero relegate in orfanotrofi o istituti tristemente disumani. Ci sono quelli che, dopo aver tentato tutte le vie per avere figli biologici, decidono di adottare un bambino o una bambina per scacciare lo spettro di un futuro di solitudine, e spesso si convertono in padri e madri possessivi e iperprotettivi.

persone che pretendono di “comprare” i figli o di farli nascere in un utero “preso in affitto”. Una veritá importante che bisogna ricordare é che l’adozione NON É UN DIRITTO, É UN PRIVILEGIO che la societá, mediante apposite leggi concede a persone che rispondono a determinate caratteristiche. Non sono i soldi, né l’etá, ne tantomeno il prestigio sociale o il potere politico che determinano la preferenza di un’adozione, quanto piuttosto il bene dei bambini, soprattutto dal punto di vista dell’integrazione affettiva. Solamente in funzione della prioritá del bambino acquistano rilevanza l’etá, la cultura, le condizioni economiche e sociali delle persone che richiedono l’adozione.

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É in base a questi principi che le persone sensate considerano negativa l’adozione di bambini da parte di coppie single o omosessuali in quanto verrebbero meno quelle condizioni indispensabili per lo sviluppo armonioso della personalitá dei minori. Non si tratta di un discriminazione faziosa rispetto a quello che oggi si definise come “orientamento sessuale” di una persona, quanto piuttosto di assicurare l’equilibrio psico affetivo dei bambini adottati privilegiando il loro DIRITTO a una vita normale senza strumentalizzarli ad altri interessi. La Chiesa, da parte sua, riconosce il DIRITTO dei BAMBINI ad avere una vita serena, e si appoggia all’insegnamento di tutte le scienze pedagogiche e psicologiche, le quali evidenziano l’importanza delle figure paterna e materna per un equilibrato sviluppo della personalitá infantile. Tristemente, questi principi, affermati nelle leggi e nelle dichiarazioni di intenti, vengono disattesi quando la complessitá della burocrazia rende lento e difficile il processo di adozione tanto da scoraggiare molte persone; per non parlare di situazioni di corruzione in vari paesi del mondo dove il sacrosanto diritto ad avere una famiglia si trasforma in un negozio criminale per gente senza scupoli. In aggiunta a tutto questo, le lobby omosessuali, sempre piú organizzate e invasive nei mezzi di comunicazione, tentano di affermare il loro “diritto” all’adozione facendolo passare come un diritto umano fondamentale. Per concludere, mi permetto di suggerire di fare tutti gli sforzi per formare famiglie aperte, disponibili ad accogliere nel loro seno bambini in difficoltá, sia nella forma dell’affido familiare temporaneo, sia nella forma dell’adozione permaente. Le famiglie aperte alla vita e alla solidarietá sono la premessa di una societá piú giusta e solidale e allo stesso tempo un segno profetico del regno dei cieli in questa terra.

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Aumentano le chiusure degli esercizi commerciali Il Vomero è una delle aree commercialmente più attive del Comune di Napoli, ma negli ultimi anni ha fatto registrare segni di forte crisi. Il numero di attività commerciali che hanno chiuso o si sono trasferite a causa dei costi elevati di gestione è aumentato col passare del tempo. Per esemplificare: nella galleria Vanvitelli numerosi locali sono vuoti mentre nel tratto di via Scarlatti tra piazza Vanvitelli e via Morghen, poche centinaia di metri di strada, una decina di attività sono chiuse da tempo. Gli ultimi casi risalgono a pochi giorni fa, quando il negozio d’abbigliamento “il Bagaglino”, in attività dal 1932 in via Scarlatti, ha abbassato la saracinesca mentre il cinema Arcobaleno, dopo circa 60 anni, ha interrotto le proiezioni domenica 26 gennaio. Conseguente alla chiusura delle attività commerciali è stata la desertificazione delle strade secondarie ed un drastico calo dei livelli occupazionali. Passando ad un’analisi più approfondita del fenomeno bisogna premettere che da un lato, naturalmente, c’è la crisi economica che colpisce, contemporaneamente, il potere d’acquisto dei consumatori e gli stessi commercianti. Dall’altro dobbiamo considerare che il Vomero era, e oggi non lo è più, un fondamentale punto di riferimento commerciale anche per chi veniva dalla provincia. Ci troviamo, infatti, al cospetto di un grande problema di viabi-

chiuso. Il Vomero è pian piano diventato un quartiere come gli altri, non c’è più l’artigianato, non c’è più la cultura, scomparse anche molte librerie. Si è persa la possibilità di un rilancio di siti che potevano rappresentare anche degli attrattori per il turismo, come San Martino e la villa Floridiana con il museo Duca di Martina. La presenza di due enormi mercati all’aperto, che per altro non risultano dotati delle normali infrastrutture richieste dalla legge, come servizi igienici, pompe d’acqua, cassonetti a scomparsa ed idonei parcheggi a servizio esclusivo, favorisce nei fatti l’ambulantato e le attività commerciali non a posto fisso, che presentano costi di gestione nettamente inferiori, potendo effettuare le vendite a prezzi decisamente concorrenziali, spesso anche senza rispettare le normative fiscali. Per quanto riguarda i luoghi di aggregazione al Vomero siamo passati da otto ad appena due sale cinematografiche presenti sull’intero territorio del quartiere. Di esse, l’Arcobaleno era in attività dagli anni ‘50, quando si chiamava Stadio per la vicinanza del Collana. Se gli enti locali fossero intervenuti prima, magari con la creazione di un tavolo di concertazione operativo, forse le cose sarebbero andate diversamente. Personalmente ho promosso una petizione per chiedere la riapertura della sala, petizione che ha superato in pochi giorni le mille adesioni. continua a pagina 18

LA CRISI DEL COMMERCIO lità perché se è vero che il Vomero è uno dei quartieri meglio serviti della città dal trasporto su ferro, soprattutto dopo la recente apertura della stazione di

quartiere anche da fuori città e che ora devono fare i conti con i prezzi stellari dei pochi parcheggi privati. Inoltre negli ultimi tempi si è registrata una

piazza Garibaldi della Linea 1, è anche vero che l’adozione di alcuni recenti provvedimenti di pedonalizzazione non accompagnati dalla contestuale creazione di infrastrutture, come parcheggi pubblici, ha contribuito ad allontanare i potenziali consumatori che raggiungevano il

vera e propria trasformazione del tessuto commerciale con la presenza di molti marchi nazionali ed internazionali che però non garantiscono certo i livelli occupazionali in zona, anche considerando il gran numero di attività commerciali, perlopiù a conduzione familiare, che hanno

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LA CRISI DEL COMMERCIO continua da pagina 17 In verità non mi aspettavo un successo cosi elevato. Avevo originariamente pensato ad un massimo di 500 adesioni. Questo successo è un’ulteriore dimostrazione della reazione dei napoletani di fronte all’inerzia delle istituzioni. L’Arcobaleno è difatti uno dei luoghi più rappresentativi della storia personale di tanti abitanti della zona, anziani che lo ricordano agli albori e giovani che affollavano le sale del cinema ogni giorno. Quando luoghi così chiudono la reazione è immediata e corale. Una situazione analoga si presentò quando l’Acacia rimase chiuso per circa un anno, paventandosi anche per quel cinema-teatro una possibile chiusura, poi fortunatamente rientrata. Eppure basterebbe poco per cercare di arginare questa vera e propria ecatombe di esercizi storici. In Regione esiste una proposta di legge per valorizzare gli esercizi e le botteghe storiche della Campania che allineerebbe la nostra regione ad altre regioni italiane, dove tale normativa è presente da lustri. E’ stata presentata nell’aprile del 2012 ma ancora oggi, dopo quasi due anni, non è stata ancora calendarizzata per l’approvazione in aula. Una legge del genere ha salvato tanti esercizi commerciali storici in altre regioni italiane in quanto, tra l’altro, oltre ad obbligare il proprietario a non modificare la destinazione d’uso originaria, permette l’accesso a contributi e sgravi fiscali, che di certo aiutano tali esercizi in periodi difficili come quello attuale. Gennaro Capodanno Presidente Comitato Valori Collinari allasalute@pietreviveallasalute.it

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i F ’ Ginepro

a uppoSta d ra “Duttò, ma state sempre raggiungere a tutti i costi uno nervoso?” status-symbol si scontra con Questa domanda che mi è quello che è la personalità del stata posta mi dà la possibisoggetto che potrebbe non lità di fare il punto su una pasopportare, non essere in tologia spesso abusata, ma grado di sostenere la lotta sicuramente diffusa. Proceper cui sviluppa la sintomadiamo con ordine. L'ansia è tologia ansiosa che può sfouno stato della mente, in cui ciare nella depressione. E’ il soggetto è consapevole di ovvio, allora che ansia e destare male ed è caratterizzato pressione sono collegate. da una sensazione di paura, più o meno intensa e duratura, che può essere connessa o meno a uno stimolo specifico immediatamente individuabile interno o esterno al soggetto: in altre parole è una mancata risposta di adattamento dell'organismo a una qualunque determinata e soggettiva fonte di stress per l'individuo stesso. Potremmo anche dire che l’ansia è una complessa combinazione di emozioni negative che includono paura, apprensione e preocOggi sicuramente si assiste cupazione, ed è spesso acad un connubio quasi imprecompagnata da sensazioni scindibile tra le due entità, fisiche come palpitazioni, doanche se la depressione è silori al petto e/o respiro corto, curamente più antica. Infatti nausea, tremore interno. le prime diagnosi di depresNaturalmente può esistere da sione risalgono ai tempi di sola oppure può essere assoIppocrate. Egli, infatti, deciata ad altri problemi mescrisse la condizione di medici. I segni sono comunque lanconia come una malattia dovuti ad un'iperattività del distinta con particolari sinsistema nervoso autonomo e tomi mentali e fisici e caratin generale della classica riterizzò tutte le "paure e sposta del sistema simpatico scoraggiamenti, che durano di tipo "combatti o fuggi". a lungo" come sintomatici di Mi spiego meglio. Una comessa. Questa descrizione è siponente ansiosa è fisiologica mile al concetto, tuttavia più e ci serve per prepararci alampio, che si attribuisce alla l’imprevisto: quando questa depressione oggigiorno, a cui eccede, si stabilisce la patolosono stati inclusi un raggrupgia ansiosa. pamento di sintomi di triL’ansia è sicuramente una stezza, sconforto e patologia di cui si parla scoraggiamento, spesso molto oggi nella società del paura, rabbia, delusioni e osbenessere dove frustrazioni, sessioni. Oggi è accertato che mancanza di gratificazioni, l’umore depresso, lo stato sentirsi pedina di un sistema, mentale del malinconico, degiocano la loro importanza. termina una ridotta funzioIn un certo senso, potremmo nalità del sistema dire che la necessità di priimmunitario per cui il sogmeggiare, di fare carriera, di www.pietreviveallasalute.it

getto è più vulnerabile a malattie anche serie. Come è vero e attuale l’assioma “gente allegra il ciel l’aiuta”! Torniamo all’ansia e al rapporto con la depressione. Come si fa la diagnosi e come si cura. Per la diagnosi dell’ansia e della depressione non ci sono esami specifici; spesso il medico è costretto a prescriverli o per escludere altre patologie di cui ansia e depressione possono essere sintomi (vedi tiroide, vasculopatie dell’anziano etc.) ma in genere si prescrivono per tranquillizzare il paziente: la loro negatività viene sfruttata per consolidare il rapporto empatico e di fiducia tra medico e paziente. In genere basta una corretta e precisa anamnesi ed una attenta osservazione del paziente: l’ansia e la depressione presentano una varietà di forme che permettono la diagnosi: ansia generalizzata, disturbo del tono dell’umore, disturbo ossessivo compulsivo etc. Soprattutto il modo con cui il paziente racconta i sintomi è poi illuminante per il medico attento! Per quanto riguarda il trattamento sfatiamo un mito: i farmaci sono indispensabili solo in determinate situazioni di intensità del disturbo, spesso basta una chiacchierata, basta saper costruire un ambiente sereno e rassicurante per rimette re in carreggiata il soggetto. Il farmaco, ben usato, ben dosato e per un periodo di tempo limitato – spesso! – aiuta nel controllo dei sintomi accessori come insonnia, astenia, mancanza di attenzione e così via. Soprattutto sapersi creare delle alternative: ciascuno di noi può correre ai ripari! Alla prossima. Ginepro

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Salve Lucia, anch’io desidero chiederti un consiglio su questioni condominiali. Sono proprietario di un appartamento, sito in un edificio in condominio, di cui fa parte anche un vano cantina confinante con il cortile condo miniale. Ho deciso di usare questo vano cantina come box per la mia auto ed ho, dunque, aperto una porta nel muro comune. Gli altri condomini mi hanno chiesto di provvedere immediatamente alla chiusura della porta ma io credo di non aver arrecato nessun danno e di non dare fastidio a nessuno con quell’in gresso. Il cortile condominiale viene utilizzato in modo uguale a prima senza alcun tipo di intralcio. L’unica differenza è la presenza di questa porta in corrispondenza della mia cantina. Secondo te gli altri condomini hanno ragione? Dovrei ripristinare il muro così com’era o posso stare tranquillo e continuare ad usarlo come box auto? Grazie. Gabriele Caro Gabriele, per come mi hai esposto la situazione e se, come mi hai spiegato, non hai arrecato danno a nessuno dei condomini, ritengo, in linea generale, che tu possa continuare a godere del box auto da te creato. In effetti, l’art. 1102 c.c., dettato in materia di comunione ordinaria ma applicabile anche al condominio in forza del richiamo operato nell’art. 1139 c.c., prevede la possibilità per il condomino di apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca

Febbraio 2014

Lega lmente L’avvocato risponde

CONDOMINIO & BOX AUTO agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro

cantina di tua proprietà e questo senza nulla togliere agli

diritto. Nel tuo caso hai apportato delle modifiche per un uso più intenso e proficuo del vano

altri condomini che potranno continuare ad utilizzare il cortile condominiale senza essere in alcun modo compromessi

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nel loro diritto. Da come mi hai spiegato, dunque, il cortile condominiale non è stato minimamente intaccato da questa variazione da te apportata, ma continua ad essere soggetto all’uso che se ne faceva prima e quindi l’atteggiamento degli altri condomini mi sembra un po’ limitante. A conforto della tua posizione, inoltre, si è pronunciata anche la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 6483 del 2012 ha ritenuto che l’aperura di una porta ad opera di un condomino nel muro comune di un edificio condominiale, poiché non altera l’entità materiale del bene né modifica la sua destinazione, integra una modificazione consentita a norma dell’art. 1102 c.c. Bisognerebbe capire bene cosa lamentano gli altri condomini con riguardo alla variazione da te effettuata, che danno ritengono tu abbia arrecato con l’apertura della porta e che motivazioni adducono a riguardo. In ogni caso, io farei loro presente la totale irrilevanza dell’apertura della porta ai fini dell’utilizzo del cortile condominiale e farei loro notare che il cortile condominiale può essere utilizzato da tutti indistintamente così come avveniva prima e senza alcuna differenza. Ora che sai che quello che hai fatto, coi dovuti requisiti sia chiaro, è permesso dalla legge, potrai opporre più resistenza e far presente che in quello che hai fatto non c’è nulla di vietato. Ti ricordo solo che il mio consiglio vale solo laddove effettivamente tu non abbia arrecato danni o disagi agli altri condomini. Spero di esserti stata d’aiuto.Saluti. Avv. P. Lucia Iuppariello allasalute@pietrevivealla-


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Tutti conoscono la Transilvania non fosse altro che per un personaggio, in parte storico in parte leggendario, reso famoso da Bram Stocker: un tale Dracula, il principe dei vampiri. Al di là delle fantasie letterarie sembra accertato che la leggenda, tuttora viva fra i boschi e le montagne rumene, sia stata originata dalla figura di un nobile Valacco, Vlad Tepes III che ebbe una parte importante nella resistenza all’invasione turca nel corso della parte centrale del XV secolo. Visitando quei luoghi, però, ci si rende conto che, fra alte ed aspre montagne spesso coperte da densi strati di nebbia che si fondono con le basse nubi invernali, non deve essere stato difficile immaginare qualcosa di simile ai vampiri…che comunque a me non è capitato di incontrare, anzi. Proprio per questo ho voluto introdurre il viaggio di questo mese con un riferimento un po’ “oscuro” in grado di sottolineare la differenza con la realtà luminosa e piacevolissima di Sibiu, il centro più importante dal punto di vista storico ed amministrativo della regione. Situato nel cuore della Romania, il distretto di Sibiu presenta tracce di insediamenti umani risalenti all’età della pietra (Racovita, Selimbar,Turnisor e Ocna Sibiului) sui quali si sono

Gennaio 2014

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si Viaggiare!

R OMANIA , SIBIU di Guido Izzo stratificati insediamenti significativi dell’età del bronzo e via via Daci, Romani ed ancora Sassoni. Quest’ultima colonizzazione ha fortemente influenzato sia l’architettura che la lingua della regione al punto che

sia degli abitanti quanto nella cura degli edifici e dei musei, compatibilmente con le condizioni economiche del paese. Una cura anche delle memorie storiche, che purtroppo non sempre noi abbiamo, di cui

la stessa può definirsi quasi bilingue, favorendo scambi economici e culturali con le aree vicine così che oggi possiamo ammirare stili architettonici ricchi di elementi romani fusi con influenze bizantine, ortodosse e ungheresi. Decisamente molto interessanti. In tutta la parte antica della città si respira un’ aria quasi ancora mitteleuropea, riconoscibile nella compostezza e nella corte-

forse uno degli esempi più illuminanti è rappresentato dall’area museale aperta dell’Astra. Niente a che vedere con polverosi musei, nessuna opera di artisti famosi, ma un grande parco attraversato da un lento corso d’acqua intorno al quale sono state edificate case ed opifici in legno e paglia che illustrano il sistema di vita di un passato a volte lontano a volte ancora vicinissimo specialmente nelle

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zone rurali ove i cambiamenti degli stili di vita non sono stati frenetici ed inquietanti come nelle città più industrializzate. L’astra viene definito il museo dei tesori umani e intorno agli edifici ricostruiti vengono mostrate le attività di tessitura e di artigianato tradizionali che in tal modo non vengono dimenticate ed in qualche modo continuano a vivere ed a rinnovarsi. Come sempre quando scrivo mi rendo conto che lo spazio a disposizione sembra non bastare mai per tutto quanto sarebbe bello raccontare facendo nascere la necessità di scegliere nel suggerire esperienze e quindi, se vi recherete a Sibiu, ritengo dobbiate necessariamente recarvi alle terme di Ocna Sibiului ed al lago di Balea. Le prime si trovano nelle immediate vicinanze della città e costituiscono uno scenario particolarissimo di laghetti fangosi ricchi di proprietà curative delle malattie della pelle oltre ad offrire la possibilità di una nuotata a cielo aperto in acqua piacevolmente calda in tutti i periodi dell’anno. Il lago di Balea è invece un piccolo specchio d’acqua color zaffiro incastonato fra picchi montani ad oltre 2000 metri di quota. La foto che vi allego è stata scattata in luglio e le sponde erano ricoperte di neve…forse perenni, come il piacere di viaggiare.

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-Giovanna, Giovanna… vieni un momento qua- Iovanka interruppe il suo chattare al telefonino e si alzò di malavoglia dalla sedia in cucina. Era la quarta volta in mezz’ora che la signora Marisa la chiamava. Il televisore non si accendeva, il telefono troppo lontano dalla poltrona, il riscaldamento troppo forte. -Giovanna, chiudi la tenda: il sole scolora il divano.- A nulla valeva la considerazione che il divano aveva cinquanta anni e che in febbraio era difficile immaginare una tale potenza solare. Iovanka accostò le tende. Giovanna, non chiuderle del tutto, un po’ di luce deve sempre passare, altrimenti rimaniamo al buio.- il cellulare di Iovanka tornò a squillare. – Ma è mai possibile che sta sempre al telefono?- sbuffò la signora Marisa. - Io la pago profumatamente e lei sta tutto il giorno senza fare niente! - Erano le giornaliere rimostranze che faceva ai figli che, inutilmente, la supplicavano

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Alla Salute!

Il racconto di Febbraio

La SerIaL KILLer & IL LatIn Lover di Lucio Buonadonna

a lasciare perdere, a chiudere un occhio. – Mamma, fai la brava: la casa è sempre pulita, non come quando c’era Natasha, che non lavava mai bene. Ti piace come cucina, a differenza di Verushka, che non sapeva fare il ragù. E’ una donna onesta non come Katarina, che rubava sulla spesa. Ti tratta con rispetto e non come Irina, che ti urlava improperi. Ma cosa pretendi di più?L’elenco si arricchiva di anno in anno: di una tale Annita, che non si lavava abbastanza i piedi, di Maruska, che era sorda e non accorreva ai suoi richiami notturni, di Olga, che beveva di nascosto il vino, di Veruska, troppo disponibile a donare le sue grazie ai fornitori della zona. - Che c’entra? - rispondeva Marisa - Io faccio tutto da sola, non ho bisogno di niente, sono autosufficiente. E voi mi costringete

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a pagare una che sta tutto il pomeriggio al cellulare. Se deve rimanere deve lavorare, e il suo lavoro è stare a mia disposizione. Sempre. - Insistevano i figli che lo schiavismo era stato abrogato da secoli, anche in America, che esistono leggi per le quali la riduzione in schiavitù era un vero e proprio reato, che figura avrebbe fatto nel quartiere se, alla sua età, la avessero trascinata in manette in prigione? Ma nulla aveva il potere di far recedere dalle proprie convinzioni la signora Marisa. - Giovanna… Giovanna! – Iovanka sbuffò fortissimo, probabilmente imprecò sottovoce in bulgaro, e tornò in soggiorno. Marisa si rifiutava di imparare i nomi sloveni delle badanti e li traduceva a modo suo. Con non poca ironia Maruska era diventata Maruzzella ed era un don-

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none di 1 metro e 80, pesante un quintale, Veruska era diventata Carmela, donna di facili costumi, residente nella strada dove Marisa abitava da bambina e Iovanka per assonanza, era diventata Giovanna. -Giovanna, guarda là- fece cenno Marisa. Dall’ appartamento del palazzo di fronte, distante una decina di metri, si sentiva il vocione dell’avvocato Russo, che fino a pochi anni prima rimbombava nelle aule del Tribunale di Napoli, dire: - Sonia, Sonia vieni un po’ qui, guarda che cosa ti ho preparato!- Apparve in cucina una bella donna non ancora cinquantenne. – Avvocato, cosa avete combinato! Avete sporcato tutta la casa mentre ero fuori a fare la spesa! Ed ora mi tocca ripulire tutto!- Che brutta fine ha fatto Luigi… la moglie lo trattava come un re e ora fa lo sguattero di quella zoccola!- disse, con il consueto garbo, la signora Marisa. continua a pagina 22

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L a S erIaL K ILLer & IL L atIn L over

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Iovanka assentì con forza, senza avere il coraggio di esprimere quello che in realtà pensava. Che fortuna aveva avuto Sonia. Oltre ad avere un mensile di novecento euro, l’avvocato Russo le dava quanto chiedeva per fare la spesa. Tra le amiche giravano tante voci… Di sicuro, andavano insieme a ritirare la pensione per poi andare al Vomero a fare shopping. I figli dell’avvocato si erano accorti in ritardo della situazione ed il conto in banca si era assottigliato. Gli ultimi dieci anni avevano cambiato le abitudini di una intera società e le relative aspettative di vita. Per gli uomini rimasti vedovi in tarda età e con una certa disponibilità economica, la presenza di una donna in casa, aveva esercitato un effetto benefico, quasi miracolistico. Tanti anziani erano rifioriti alla vita con una badante e non necessariamente bella o giovane. Bastava la semplice presenza femminile a riscaldare la vita. L’avvocato Russo che, alla morte della moglie, aveva persino desiderato di farla finita, sembrava vivere una seconda giovinezza. Anche se non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, tantomeno ai figli, si rendeva conto che il primo pensiero al risveglio e l’ultimo prima di addormentarsi erano dedicati a Sonia. Nessuno poteva comprendere l’affetto che lei provava per lui: e chissà che un giorno o l’altro si sarebbe concretizzato in ben altro! Le aveva insegnato a cucinare il ragù, a giocare a scopa e a fare il tifo per il Napoli. La domenica quando andava a

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pranzo dai figli provava insofferenza a non portarla con sé, ma era troppo presto: forse col tempo i figli avrebbero accettato e capito la situazione. Non potevano essere gelosi di Sonia o malpensanti se la poverina aveva frequentemente necessità di danaro per mantenere i suoi figli in Ucraina. Lui capiva le difficoltà di quelle povere donne costrette dalla vita a lasciare la propria famiglia e andare all’estero a fare le badanti. Lui non era come la signora Marisa, sua dirimpettaia che assillava e strepitava tutto il giorno contro le malcapitate. Era l’ultima domenica di carnevale e come da anni l’avvocato era a pranzo dai figli. Per lui quello era il giorno della tortura: la lasagna della nuora era un disastro. Niente polpettine, poca ricotta, ragù anemico, ma soprattutto niente cannella! Il tocco segreto, magico della più antica tradizione napoletana non piaceva alla nuora. Ma non poteva far nulla. Quando era viva Anna, era lei che cucinava con maestria. Ora doveva accontentarsi… Ma quanta nostalgia! Verso le sedici, nell’intervallo della partita, tra un dolce e il caffè, uno squillo interruppe la conversazione. – E’ il tuo cellulare papà! . L’avvocato rispose Pronto, chi è?- Dopo qualche istante, il suo volto si accese di un rosso fiammante, si alzò di scatto, prese il cappotto e uscì di casa salutando frettolosamente tutti. Alle diciotto tutto il caseggiato di ‘parco Maria’ assisteva ad una scena che avrebbe animato per

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giorni le chiacchiere del quartiere. Sonia caricava le sue valigie su un tassì imprecando ad alta voce, mentre l’avvocato Russo la guardava, dietro le tende della finestra, ammutolito da una valanga di sentimenti: rabbia, delusione, gelosia, ma soprattutto senso dell’abbandono. La voce femminile al telefono non aveva detto una bugia:- Mentre sei fuori casa, Sonia se la spassa a casa tua, nel tuo letto con l’amante! Sei fesso e cornuto! In tutto il parco si erano sentite le urla dell’avvocato. Le suppliche di Sonia si erano trasformate prima in pianto poi, vista la fermezza dell’avvocato, in insulti e minacce. L’arrivo del figlio, richiamato dai vicini preoccupati dalla piega degli eventi, sedò gli animi e risolse la situazione: licenziamento in tronco e liquidazione immediata. Qualche giorno dopo l’avvocato ricevette una telefonata: - Buongiorno Luigi, sono Marisa, come stai?Rimase stupito. Marisa era amica di sua moglie, e non la sentiva da tempo. - Bene grazie, e tu? Ho saputo che sei in gran forma, hai fatto fuori un’altra badante …- Proprio di questo volevo parlarti, ho visto che ieri Iovanka è venuta da te ...- Si, mi ha proposto di lavorare per me, visto che tu l’hai licenziata. - rispose con un certo imbarazzo l’avvocato. - Ora che ti dirò il motivo, capirai. Quando ieri dalla finestra mi era sembrato di riconoscerla seduta nel tuo salotto, ho capito che

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qualcosa non andava. Allora stamattina, mentre era in bagno, ho preso il suo cellulare e guarda la sorpresa: ho scoperto che ti aveva chiamato- - E’ vero, mi ha chiamato ieri per l’appuntamento- Non solo…Ti aveva chiamato anche domenica pomeriggio!- No, ti assicuro è impossibile, io domenica non ho ricevu… come in un lampo tutto fu chiaro. Chi poteva avvantaggiarsi di informarlo di Sonia? Se lo era chiesto in quei giorni e non sapeva darsi una risposta. Era stata Iovanka! – E io per questo l’ho licenziata! Ti volevo solo avvertire….- . – Mamma mia che stavo facendo…- pensò Luigi. – Ora ti devo salutare Luigi, ho la lasagna nel forno, ho paura che si bruci!-La lasagna?-Prima che finisca la cottura voglio spolverarla con un po’ di parmigiano e…-E…?- la interruppe Luigi. - …e cannella. Io la metto sempre, altrimenti che lasagna è!- riprese Marisa. Dall’altro lato della linea sopraggiunse solo un sospiro carico di desiderio, voluttà, ingordigia. Dopo qualche mese dall’invito a pranzo, strappato col solo silenzio da Luigi, e innumerevoli manicaretti e due diverse badanti, Marisa e Luigi, davanti ad un piccolo gruppo di parenti, celebravano la loro unione. Per carità, nel nuovo appartamento avrebbero vissuto in stanze separate, ma rimaneva la prospettiva di una vecchiaia non più in solitudine e un'unica badante scelta accuratamente dalla stessa Marisa: brutta, ma efficiente. Altrimenti… avanti un’altra!

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Le Strade della Salute

all’ammirazione dei visitaScopriamo, innanzitutto, Spieghiamo l’origine del nostro quartiere tori. l’identità del toponimo: La sua fattura, di gusto chiadall’Enciclopedia Italiana e ramente rinascimentale, si ridalla Treccani apprendiamo velò molto affine alle più trattarsi di uno storiografo del celebri opere scolpite sull'Arco Dodicesimo Secolo, nato e del quartiere poterono ammirare il lavoro vissuto nell’Italia meridionale, probabil- di recupero della guglia e la sua degna si- Trionfale di Alfonso d’Aragona ed alle tante statue della Vergine in varie pose cumente in Sicilia e non in Francia come fu stemazione urbana. stodite nel Museo Civico di Castel Nuovo. erroneamente creduto. Fu autore di una HiValutazioni storico-artistiche hanno portato storia o Liber de Regno Siciliae della sead attribuire l’opera, databile intorno al conda metà del secolo XII, dove si narra 1470, a Domenico Gagini, uno dei grandi delle congiure e degli intrighi dei Baroni e interpreti della statuaria nella Napoli aradella Corte durante il regno di Guglielmo I gonese. e della reggenza della regina Margherita Quanto alla sua provenienza il dibattito è durante la minorità di Guglielmo II e dell’ ancora aperto: s’ipotizza dal quattrocenteEpistula ad Petrum Panormitane Ecclesie sco Palazzo Sanseverino, dietro la cui facThesaurarium nella quale si paventano i ciata si edificò la Chiesa del Gesù Nuovo, pericoli derivanti per la nobiltà normanna trasferita, poi, nei secoli successivi, in un dal matrimonio di Costanza d'Altavilla con qualche convento fuori porta sulla verde Enrico VI di Svevia. collina, magari da quello stesso Padre Pepe Per i notevoli pregi stilistici dei suoi scritti, gesuita, propugnatore dell’Obelisco della il Falcando fu additato come il "Tacito del Vergine nella piazza del Gesù, che nel 1743 Medioevo". fondava il Conservatorio della Concezione In Via Ugo Falcando, al limite col quartiere per rimarcare il culto mariano dell’ImmaMaterdei, il viandante meno frettoloso e più colata. attento, ma anche il fedele più devoto, getFrancesco Conte terà certamente uno sguardo compiaciuto alla stele barocca con Madonna innalzando allo stesso tempo una muta preghiera alla IL CANTUCCIO Vergine. Si ergeva, la stele, abbandonata ed NAPOLETANO esposta alle intemperie, nel cortile dell’ex di Francesco Scollo Conservatorio della Concezione in Via Amato da Montecassino, ignorata da tutti, AMMESURAMMECE adorata e venerata solo dal custode dello Dopo un attento e paziente lavoro per ristabile al quale aveva libero accesso. Nel durre al minimo i danni subiti dall’opera ‘A PALLA gennaio del 2003 l’accorato appello di un nel corso del tempo, fu deciso dalle autoNcopp’a sta terra intero quartiere, portavoce il compianto rità competenti di esporre sul basamento also’ poche ‘e piedistalle dottor Luigi Cirillo, amante e cultore del l’aperto una copia della statua allo scopo di e poche so’ chille ca ce ponno saglì bello e dell’antico, per la salvaguardia del- prevenire ulteriori, prevedibili, deteriorae tutte ll’ate che cercano d’’o fa l’opera e la sua visibilità da inserire nel più menti. Una seconda copia fu destinata alla s’illudono e se continuano a fruscià. vasto disegno di riqualificazione urbana Parrocchia di Materdei mentre l’opera oridella zona, era recepito dalle autorità com- ginale, che nel frattempo era stata esamipetenti. Fra i vari progetti di fattibilità fu nata con estrema attenzione, risultando, con L’umanità si divide in tre categorie: scelto quello che privilegiava gli spazi li- gran sorpresa degli esperti, ben più antica quelli de propri limiti coscienti beri da barriere architettoniche con la sola di quanto ci si aspettava, fu trasferita al Maquei pochi che realmente valgono installazione di panchine ed essenze arbo- schio Angioino, presso la Cappella Palae tanti altri che poi s’illudono. ree. A giugno 2004, finalmente, gli abitanti tina, nella quale è ora esposta ‘O guaio è ca chille ca nun vanno niente s’’o penzano e stanno sempe miezo pe forza vonno stà ncopp’’o piedistallo (mentre ca stessero meglio int’a na stalla)

la Guglia di Ugo Falcando

Meglio sarria si ognuno ‘e nuie s’ammesurasse sempe ‘a palla soia levanno ‘a miezo ogne forma ‘e presunzione vestennese ‘e realtà e no d’illusione. allasalute@pietreviveallasalute.it

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