Moderno Murattiano

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Moderno Murattiano Progettazione del sistema d’identità e di orientamento per la fruizione del museo diffuso del quartiere Murat di Bari.

Raffaele Piccolomini Romagno Giuseppe


Politecnico di Bari   Dipartimento ICAR   CdL Disegno Industriale   A.A. 2014/15 Relatore   Michele Colonna Corelatore   Lorenzo Netti Laureandi   Raffaele Piccolomini   Giuseppe Romagno Composizione testi   Greta Text (Typotheque)   Supria Sans (HDV fonts) Stampato presso   Grafica & Stampa (Altamura)   Giugno 2015


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Premessa

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1. Introduzione   Motivazione e intento   Mappatura   Interviste

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2. Quartieri   San Nicola   Murat   Madonella   Libertà-Marconi   Japigia   Picone   Poggiofranco

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3. Architetture

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4. Tassonomie

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a.  Città, immagine, percezione   Nuovi modelli   Immagine ambientale   Simbolo e significato

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5.  Immagini e immaginari   Immagini inflazionate   Sondaggio

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b.  Segno, codice, scrittura   Rappresentazione/raffigurazione   Scritture   ISOTYPE

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c. Comunicazione/interazione     Media caldi e freddi   Design generativo   Identità dinamiche   Intefacce    Wayfinding   Museo diffuso   Casi studio

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6.  Moderno Murattiano   Concept   Identità del circuito   Progettazione di "punti visivi"   Mappe e schede   Progettazione App   Web   Applicazioni

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7. Conclusioni

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Bibliografia e sitografia



Premessa

Il lavoro che segue, sembrerà per certi aspetti andare oltre i confini della progettazione grafica e rientrare in ambiti disciplinari differenti, dati gli oggetti a cui il progetto è orientato. Più che di architettura, ci si occuperà della sua immagine: verranno approfonditi e verificati i meccanismi di formazione degli immaginari legati a un territorio, il ruolo che ogni attore svolge in essi e la possibilità di agire al loro interno in un processo di formazione culturale. Come designer della comunicazione, si farà spesso riferimento a studi precedenti, effettuati da punti di vista disciplinari diversi. Verranno, infatti, parzialmente ricostruite le vicende urbanistiche della città, lontano dalle pretese di una trattazione esaustiva, piuttosto con la volontà di raccontare una storia, che ha condotto una città ad essere quella vissuta quotidianamente dai suoi abitanti.



1. Introduzione Motivazione e intento dello studio


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1.1  Motivazione e intento Cenni storici

Nel trentennio a cavallo fra gli anni ‘20 e ‘40 viene completato il borgo murattiano, segnando la sconfitta della Commissione edilizia e del suo intento di unificare lo stile architettonico della città. Sorgono in questi anni, e convivono, edifici dai più differenti riferimenti linguistici: all’eclettico dominante, che Bruno Zevi definì “barocchetto” 1, si accosta il razionalismo che il regime fascista aveva adottato come indirizzo estetico per l’edilizia pubblica; ancora, alle linee metafisiche del Dioguardi del complesso di San Ferdinando, gli stilemi manieristici dei Magazzini Mincuzzi di Forcignanò. Nel secondo dopoguerra il tessuto urbano subisce tutta la crescita del mercato dell’edilizia: sostituzione e permuta nelle aree centrali e espansione speculativa delle periferie sono i cardini della mediocre cultura del costruire nella Bari del miracolo economico. Tuttavia, scrive Mauro Scionti “al nuovo stile del moderno che modifica l’architettura e dilaga nelle periferie […], nuove leve di architetti contrappongono, tra mille difficoltà di mercato, un metodo di lavoro fondato ancora sull’innovazione, sulla qualità, sull’attenzione più alta a quel linguaggio moderno che caratterizza le opere migliori”. 2 Rispetto al piano della mediocrità, è possibile individuare punti di qualità che su di esso si sono rifiutati di giacere, elevandosi di quota a testimoniare l’esistenza di un pezzo di storia dell’edilizia controcorrente. Rispetto a questi, dice Nicola Signorile, è necessario “modificare il rapporto storico-contemporaneo e considerare certi manufatti di qualità architettonica [...] alla stregua di antiche chiese e storici castelli meritevoli di vincoli di salvaguardia [...]”. 3

1. 2. 3.

B. Zevi, Trapianto nel cuore murattiano, in Cronache di Architettura, Laterza, Roma-Bari 1979, vol. 22 M. Scionti, L’immagine della città. Architettura e urbanistica, in Storia di Bari. Il Novecento, a cura di Luigi Masella e Francesco Tateo, Laterza, Roma-Bari 1997 N. Signorile, Occhi sulla città, Laterza, Roma-Bari 2004



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Vincoli

Il Piano Urbanistico Territoriale Tematico del Paesaggio è vigente nella Regione Puglia dal 12 gennaio 2001. Sotto l’aspetto normativo il putt/p è uno strumento di pianificazione territoriale che indica aree e ambienti da sottoporre a specifica tutela. Negli ultimi anni sono state introdotte nuove disposizioni finalizzate a promuovere la salvaguardia e la valorizzazione delle risorse territoriali al fine di tutelarne l’identità storica e culturale, e rendere compatibile la qualità del paesaggio, delle sue componenti strutturanti e il suo uso sociale. Il Comune di Bari, dopo aver compiuto i “primi adempimenti”, ha adottato la Variante di Adeguamento del P.R.G. al PUTT/P (Delibera di Consiglio Comunale n. 13/2011), approvata dalla Giunta regionale con deliberazione n.1812 del 02 agosto 2011. Tale variante comprende anche le “opere di architettura moderna e contemporanea” definite dall’art.12 della L.R. Puglia 10 giugno 2008, n. 14 come “Misure a sostegno della qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio”. L’individuazione (e successiva tutela) dell’opera di architettura va letta anche con le finalità di incentivare la produzione di altre opere di qualità, da inserire coerentemente in un contesto urbano riconosciuto per le sue caratteristiche di rilievo culturale e contribuire al suo benessere. Un benessere urbano determinato dalla sintesi di molti fattori quali la qualità urbanistica e architettonica, la facilità dei rapporti sociali, l’accessibilità ai luoghi e la fruibilità dell’ambiente costruito, in modo che la presenza di ciascuno non vada a danno a quella dell’altro.

La qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio è elemento irrinunciabile dello sviluppo sostenibile volto ad assicurare eguali potenzialità di crescita del benessere tra i cittadini e a salvaguardare i diritti delle generazioni presenti e future a fruire delle risorse del territorio. {Comma 2 della l.r. Puglia 14/2008}

|← Veduta storica del Lungomare Augusto Imperatore Archivio di Stato - Bari


1. introduzione

All’Art. 12 della l.r. 14/2008, “Tutela e valorizzazione delle opere di architettura moderna e contemporanea” per architettura moderna si intende quanto realizzato nel periodo che inizia tra le due guerre, teso al rinnovamento dei caratteri, della progettazione e dei principi dell’architettura. Ne furono protagonisti quegli architetti che improntarono i loro progetti a criteri di funzionalità piuttosto che estetici. Con architettura contemporanea si fa invece riferimento a tutte quelle opere risalenti agli ultimi decenni, indicativamente dagli anni ottanta ad oggi. La difficile determinazione dell’intervallo temporale delle opere appartenenti a questa definizione dipende dal concetto di “contemporaneità” che, in architettura, è cronologicamente dinamico. Ogni opera di architettura è “contemporanea” nel momento in cui viene creata. Intento

Esistono dunque, a Bari, rari esempi di buona architettura moderna, disseminati in un campo in cui le forze agenti (economica e culturale) hanno contribuito ad isolare e a circoscrivere in un luogo di mezzo dell’immaginario della città, compreso fra quell’edilizia anonima e forse per questo senza tempo e quella che, invece, il proprio tempo ignora, in quanto impegnata nell’adozione di segni e linguaggi che possano mimetizzarla nel patrimonio identitario della città, già acquisito e interiorizzato dai suoi abitanti. È il fruitore della città, infatti, il destinatario ultimo del nostro studio. Il tentativo è quello di munirlo degli strumenti necessari a (ri)conoscere le poche e oneste testimonianze urbane di qualità, della seconda metà del Novecento.

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1. introduzione

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L’architettura contemporanea non si fa apprezzare perché il buono che è stato fatto deve essere cercato in una massa di brutta edilizia che è dominante e che dell’architettura moderna pure utilizza materiali e forme, acciaio e vetro e cemento armato, e solai e pilotis. L’antico invece è più rassicurante, con i suoi mattoni e i decori e i fregi, familiari e innocui. Ma così si schiaccia su un orizzonte unico il Romanico e il Barocco, la prospettiva di millenni, contrapposti all’oggi, un secolo appena. Meglio il vecchio che può confondersi con l’antico, piuttosto che il cemento armato che innerva il brutto del Novecento. {N. Signorile, Occhi sulla città, 2004}

|← Stadio San Nicola, Renzo Piano. Dettaglio.




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1.3 Interviste Conversazioni sul tema

A. Cucciolla Bari, 4 Giugno 2014 Chi sei? Cosa fai? Arturo Cucciolla - Architetto Ruolo dell'architettura? È talmente largo che mi scelgo io il taglio. Non esiste un ruolo dell’architettura in assoluto, tutto è relativo al momento storico preso in considerazione. Dal Secondo dopo guerra il ruolo dell’architettura in una città come Bari che diventa capoluogo di regione alla luce delle caratteristiche sue proprie, che vive il dopoguerra nell’ambito del ventennio fascista è stato oggetto di una strategia consapevole, determinata e piena di contraddizione i cui lineamenti si possono individuare. Dobbiamo tener presente una questione: Crollalanza. Protagonista della scena politica amministrativa, con un preciso progetto per Bari. Mussolini dichiarava che avrebbe voluto come nel sud un triangolo strategico formato da Bari, Palermo e Napoli, come arroccamento urbani di un meridione fondato sulla produzione agricola ma in queste città la concentrazione dei palazzi di potere militare e amministrativo. Mussolini disurbanista - primo agricolo d’Italia - ma per il meridione pensava a questi poli, invece Crollalanza da Ministro dei Lavori Pubblici intendeva fare di Bari la città vetrina delle sue idee in tema di urbanistica. In quei 20 si fa il piano di Bari vecchia a cura di Petrucci poi affossato dal Piacentini-Cazzabini ma sempre sulle idee del regime. Tutto quello che avviene nel dopoguerra è influenzato da questo e dalla questione politica amministrativa locale e nazionale di quegli anni [...]. Quali sono le architetture moderne più interessanti a Bari e meglio inserite nel contesto urbano? Il piano Piacentini - Gazzabini ha la caratteristica di consentire la demolizione nel Murattiano e consentirne la ricostruzione con 10 volte la cubatura preesistente e in questo meccanismo. Se si deve cercare la qualità si deve essere consapevoli che la si cerca in questo meccanismo. Si riconoscono all’interno di questo meccanismo le eccellenze [...] Napolitano e Vittorio Chiaia: gli americani di Bari [...], Edificio Ex Enel, quello del Monte Paschi di Siena [...] ma mi chiedo quanto non debba anche pesare sul giudizio di qualità di questi posti la orrenda caratteristica del meccanismo generale: di aver rescisso le radici di Bari. La coerenza che c’era fra l’impianto a scacchiera del Murattiano e l’elevato della sua architettura è stato cancellato, distrutto, massacrato con interventi che seguivano il mercato e la logica proprietaria. Per cui anche se si va a notare le particolarità della singola opera, fa un operazione a mio giudizio parziale. La verità è che pochissimi hanno criticato il meccanismo ed allegramente si sono gettati al saccheggio del Murattiano, poiché tutti questi interventi sono stati effettuati senza tener conto di esigenze come parcheggi e il rispetto dei cortili interni degli isolati, e congegnati per consentire deroghe al costruire piani su piani e attici arretrati. Quindi io sono molto critico sul contesto generale (culturale-politicoamministrativo) in cui si è sviluppata l’architettura fluente del secondo

dopoguerra [...]. Bisognerebbe dare un giudizio che non sia soltanto estetico-compositivo dell’architettura. Alcuni edifici sono: il traumatologico, certe opere di Favia: ufficio tecnico. Napolitano, Chiaia, Cirilli, Mangini e certamente Lopopolo. Ovviamente ogni considerazione si potrebbe effettuare prendendo in esame aree/situazioni con problematiche da risolvere. Fiera del levante, va rivista. Un altro blocco problematico quando a Bari si comincia a lavorare per altri blocchi di città: i quartieri di edilizia popolare. [...] CEP e 167 c’è una starda segnata all’interno della città e si potrebbero trovare buone applicazioni anche in posti lontani dal centro [...]. Le vediamo o dobbiamo cercarle? Sono riconosciute come tali? Secondo me questo è un problema al di fuori della cose in quanto p un sistema inserito nel territorio, insediata su un terreno in rapporto con le strade. La visibilità è il ragionamento con cui si raccordano i problemi e i si classifica.[...] Andrei concretamente ad individuare i blocchi omogenei. [...] Non ci sono città dove è più fruibile un’architettura o meno, è stata più tutelata e meno massacrata [...]. Il moderno e la memoria, dove si incontrano se si incontrano? Per me tutto fa storia e non si può selezionare tra quella pregiata e quella meno, per cui un percorso della memoria, la memoria che cos’è, è la testimonianza che rimane ma anche la capacità di saper individuare il lascito: è una questione di cultura. Io sono per mantenere la memoria. Nella dinamica che in una città che è anche demolizione, cancellare e riutilizzazione, noi del contemporaneo abbiamo delle dinamiche talmente vaste e concentrate nel tempo e sorrette da una tecnologia aggressiva che molto più che nel passato abbiamo il dovere di trattenere la mano rispetto al cancellare, perchè possiamo cancellare molto. Quindi io sono per la politica il più possibile del riuso, della riqualificazione perchè considero importanti tutta una serie di testimonianze non di eccellenza ma di modi di vivere. Esiste un’identità dell’architettura moderna barese? Se è si, quali sono i suoi tratti identificativi? Il rapporto tra le tecnologie tradizionali e il moderno non lo vedo solo come una quesito territoriale. [...] La nozione di moderno, la rivoluzione industriale hanno introdotto nuove categorie. Per esempio l’architettura delle grandi città oppure l’architettura sociale che deve entro tempio determinati garantire case e servizi [...] i tempi sono cambiati e quindi la tecnologia si adegua [...] anche il crescere della sensibilità ecologica ma anche il crescere della crisi energetica, sono cose che caratterizzano la modernità. A questo punto che cosa sia caratteristico di un luogo deve essere letta sempre relativamente al momento storico nel quale l’architettura si produce. Quello che sento molto è il fatto tematico, le caratteristiche che non sono più importanti di altri aspetto, la manutenibilità dell’architettura e per cui uno recupera certe cose tradizionali in maniera moderna. [...] PALAZZO ANDIDERO: I materiali sono tradizionali però lavorati in quel modo. Non nego la possibilità di un inserimento di un’architettura moderna in un contesto storico ma mantenendo delle regole fondamentali e libertà massime di uso diverso di materiali [...].


1. introduzione - interviste

Il futuro delle città è smart. Bari è candidata smart city: cosa si sta muovendo? cosa dovrebbe muoversi? Mi fa ridere: Uno si candida a diventare più intelligente! [...] Una città che non è capace di affermare la bellezza della storia che voglio valorizzare non deve candidarsi a queste cose [...]. Essere intelligente è avere dignità, senso di se e orgoglio [...], ha senso invece avere l’intelligenza di eliminare i parcheggi delle auto in belle piazze e gestire il problema parcheggio diversamente. Bari è pronta? I baresi? Bari deve riuscire a moltiplicare i piccolissimi spunti che possiamo leggere che vanno nella direzione giusta.

N. Signorile Bari, 5 Giugno 2014 Chi è e cosa fa? Nicola Signorile, vice-capo cronista della Gazzetta del Mezzogiorno e critico di architettura. Il ruolo dell’architettura, da un punto di vista sociale? L’architettura è un valore aggiunto all’edilizia. Il soddisfacimento del bisogno di dare un tetto alle persone è primordiale e primitivo; questo bisogno si realizza in una concentrazione sociale, che per la nostra esperienza è la citta, anzi la tendenza è quella ad una sempre maggiore aglomerazione urbana [...]. La coesistenza di questi fabisogni e la differenza sociale nel soddisfare il fabisogno abitativo induce una organizzazione degli spazi individuali in uno spazio collettivo, quando si crea questa necessità emerge la necessità dell’architettura. L’architettura cioè da un senso, prima ancora che una qualità, allo stare insieme di spazi abitativi. E poi quello che ne deriva: gli spazi dei servizi, gli spazi della condivisione, lo spazio pubblico e lo spazio privato. Quali sono le architetture più interessanti e le meglio inserite del contesto urbano? Parliamo di Bari e delle architetture realizzate dopo la guerra. Facciamo una premessa: la vicenda dell’architettura a Bari è stretamente condizionata dalla vicenda dell’edilizia e dal boom dell’ediliza degli anni ‘50, che è una vicenda tutta particolare, molto simile ad altre vicende italiane ma con alcune peculiarità. Io faccio partire tutto dallo sciopero del Luglio del 1962, lo sciopero degli edili: i Ragazzi del Twist; perchè in quel momento siamo all’apice del boom dell’edilizia ma anche al livello massimo della espansione di una industria dell’edilizia incapace di far fronte al problema, e quindi con scarsa professionalità, senza risorse economiche, senza una grande tradizione produttiva, [...]. Fatta questa premessa. Negli anni ‘50 avvengono due fenomeni urbani: La sostituzione edilizia nel centro Murattiano e l’espansione delle aree a sud (i quartieri di Carrassi e Picone soprattutto) in maniera irregolare, non pianificata, avventuristica; e l’espanzione pianificata in quartieri come per esempio Japigia: le prime presenze sono quelle degli impianti dell’INA Casa, poi delle case popolari e poi della 167. Diciamo che una iniziativa libera nel quartiere Iapigia non si è mai data e infatti noi abbiamo una qualità urbanistica del quartiere Iapigia ancora solida nonostante tutto. Da contrapporre per esempio al quartiere Picone o Carrassi che sono in genere la rappresentazione plastica del disordine, dell’arrembaggio, dello sfruttamento individuale delle risorse urbane. Quindi intanto ci sono queste due differenze, che incidono anche sul piano formale; poi c’è un terzo dato (che teniamo da parte) che è l’urbicidio della città vecchia, cioè l’abbandono finalizzato ad una

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successiva trasformazione della città vecchia che non era stata ancora ben definita, e che troverà un punto di svolta in una legge speciale emanata per il risanamento della città vecchia. In questo contesto cosa succede: la produzione architettonica locale è molto gelosa, gli architetti sono legati a questo sitema economico, che è un sistema economico che non rincorre la qualità ma la velocità di realizzarione, l’economia e lo scarso controllo sostanzialemente di quello che avviene sul cantiere. Quindi c’è una forte gelosia locale dei progettisti, che viene coltivata da un’impresa poco incline a chiamare architetti da fuori, a rivolgersi a professionalità esterne. Quindi le poche presenze di una professionalità non locale noi le abbaimo attarverso i lavori pubblici. L’esempio più significativo è quello di Samonà che realizza il CTO: Samonà è il progettista dell’INAIL e ha gia realizzato altre cose per l’INAIL (la sede a Venezia per esempio, oppure il CTO di Roma contemporaneo a quello di Bari) e quindi lavora a Bari perchè viene chiamato sostanzialmente da Roma. Un altro esempio di architetto non barese è Lambertucci che progetta il Palazzo Laterza, qui è importante perchè ci riallacciamo al discorso che si faceva prima sulla sostituzione del Murattiano: Palazzo Laterza è il tipico esempio di edificio realizzato su una sostituzione edilizia. Addattuto un vecchio edificio ottocentesco della vecchia maglia murattiana e sostituito; attaverso un sistema economico che non è quello dell’investimento, ma è quello della “permura”, cioè il proprietario cede al costruttore il vecchio edificio da demolire e ottiene in cambio una parte del nuovo edificio. Questo è il sistema usato generalmente del Murattiano e che induce quella povertà del rischio industriale e imprenditoriale di cui parlavamo prima [...]. A contraddire un po l’idea della committenza (ma fino ad un certo punto) è l’episodio della costruzione della sede dell’ex-SGPE (poi diventata ENEL e ora sede universitaria). Quell’edificio che fu progettato da Chiaia e da Napolitano, che Bruno Zevi definiva gli Americani di Bari, viene commissionato da una grossa azienda che è pugliese, però aperta alla scena nazionale e internazionale e quindi si rivolgono a questi giovani architetti. Li abbiamo uno dei caratteri principali dell’identità del Murattiano. Un’altro episodio significativo del dopoguerra a Bari è quelo del Villaggio del Fanciullo, e qui citiamo un altro degli architetti più importanti che è Vito Sangirardi il quale, in questo edificio, fa un esercizio di applicazione dei criteri del movimento moderno classico: i principi della composizione architettonica LeCorbusieriana ci sono tutti. La commissione arriva dall’ordine dei Padri Rogazionisti, c’è una storia complicata di questo luogo prima, era un acquartieramento militare nei pressi del Policlinico, c’erano delle baracche date per questo scopo assistenziale, poi si realizza questo edificio con i finanziamenti del piano Marshall che imponeva l’uso di materiali locali: la quantità di cemento armato è ridotta soltanto alle strutture e per i muri di Tompagno e altre risorse tecnologiche si ricorre a materiali locali. Ad esempio l’uso del tufo, perchè bisognava sostenere l’industria estrattiva locale. C’è una sorta di mediazione fra lo svilutto dei principi dell’impostazione "Lecorbusieriani" (piloties, volumi distinti, finestratura a nastro, ecc...) e poi il ricorso a materiali e tecniche locali. Per arrivare a temi più recenti, un’altra presenza straniera (perchè deriva appunto da questo sistema di committenza complesso) è lo Stadio S. Nicola affidato a Renzo Piano, poichè il sistema degli stadi è un sistema nazionale. In realtà c’è anche un imprenditore locale che partecipa a un concorso e per vincere il concorso ha bisogno di mettere in campo una firma importante [...]. Un altro esempio di architettura importante realizzata a Bari è la vicenda di Palazzo Andidero, anche qui siamo in presenza di progettisti non baresi che a Bari risiedono: Marcello Petrignani; è l’esempio di come si possa relaizzare architettura contemporanea, con un linguaggio onestamente contemporaneo, nel centro storico anzi addirittura nella palazzata sulla muraglia.


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Dobbiamo cercarli però... Si dobbiamo cercarli, dobbiamo alzare gli occhi [...], l’architettura ha bisogno di essere vista. Poi ha bisogno di essere riconosciuta. Il vedere l’architettura è un fatto culurale: noi vediamo sempre o ciò che ci aspettiamo di vedere o ciò che ci sorprende; ma in un secolo come quello che abbiamo appena attraversato (a parte l’ultimo periodo decostruttivista e post-moderno) l’imperativo non era quello barocco della sorpresa, era quello dell’abbassamento dei toni, e quindi diventa più difficile vedere un’architettura che non mostrava i muscoli. Quindi si... la vista è un organo della cultura. Il moderno e la memoria. Dove e se si incontrano? Il rapporto si chiarisce proprio nel ‘900 e a partire dalla definizione del ‘900 come come secolo breve di Hobsbawm, ma ance come secolo veloce. La città è la stratificazione di epoche diverse e noi possiamo riconoscere le architetture (c’è quella definizione antica di città come libro di pietra), la città mostra la propria età attraverso la stratificazione delle architetture, noi possimo riconoscere un castello del ‘500, un castello del 1100... e quindi possimo riconoscere dove è nata la città, come si è evoluta ecc... Il rischio che corriamo è di avere città di cui conosceremo la storia fino all 800, ma ignoreremo la storia del ‘900, perchè la mancanza di una tutela delle architetture di qualità del ‘900 espone queste stesse architetture alla scomparsa, alla demolizione per la sostituzione con nuove architetture. Ovviamente questo non è un fatto di cattiveria del secolo, dipende dalla velocità del secolo: nell’800 la cultura architettonica era acora fortemente legata al secolo precendente, è il secolo della lenta crisi e riflessione sugli statuti del Neo-classicismo [...]; nel ‘900 invece noi abbiamo la compresenza di culture architettoniche antagoniste, cioè abbaimo la permanenza di una ideologia Neo-classica ottocentesca [...] e contemporaneamente abbiamo l’invasione della cultura del movimento moderno. Questo occupa i primi 20/30 anni del secolo, poi entra subito in crisi e alla metà del secolo con il movimento organico già abbiamo una forte novità nella cultura del costruire. Con gli anni ‘60 il Movimento Organico entra in crisi e in Italia il successo della line regionale del Neo-realismo (che è un ritorno a principi del costruire che sono del secolo scorso) introduce una nuova ondata; e poi abbiamo in Decostruzionismo e il Post-Moderno. Quindi abbiamo in realtà diverse faccie del ‘900, e tutte queste faccie si sono mostrate cancellando quella precendente. Oggi ci troviamo di fronte al rischio che queste testimonianze continuino a scomparire. Perchè questo avviene? Perchè manca il riconoscimento. Perchè un’architettura sopravviva non basta che ci sia un avveduto Soprintendente ai beni architettonici (anche perchè in genere non c’è, d’altra parte c’è anche una legislazione che prima fermava a 50 anni le opere da tutelare e recentemente l’ultimo governo Berlusconi ha spostato a 70 anni [...], è neccessario un riconoscimento collettivo, a questo partecipa una diffusione della cultura della modernità nell popolazione. Naturalmente è più facile riconoscere come partimonio e come bene comune una chiesa del ‘700 che non Palazzo Andidero, perchè nel senso comune l’introduzione del moderno nella città vecchia è un vulnus, una ferita. [...] Il fatto che ci sino pochi esempi di qualità in un panorama invece deprimente, ci induce a riconoscere dei tratti caratteristici (ma non possiamo dire se questi siano stati condivisi dalla cultura del progetto). Chiaia e Napolitano avendo lavorato sulla facciata continua, courtin wall, prefabbricati ecc... sono riconoscibili per l’uso di questi caratteri della composizione architettonica, che sono stati condivisi anche da altri architetti (gli stessi Vito Sangirardi, Roberto Telesforo). Più difficile è riconoscere Cirielli, per l’uso del mattone apparecchiato in un certo modo, decorazioni... che guarda un po' alla tradizione autoriale italiana. Bari è candidata a smat-city.

Qui posso essere molto veloce. Non si è smart-city soltanto perchè si è fatta una deibera in consiglio comunale, per fortuna. Mi auguro che Bari non sia una smart-city, perchè ritengo che tutta la panna montata intorno alle smart-city nasconda in realtà la qualità fondamentali di questo movimento, e cioè mettere le città e le risorse sociali e spaziali delle città a disposizione di giganteschi e inconoscibili investimenti da parte delle multinazionali delle comunicazioni. Chè può essere legittimo, ma dobbiamo dirci che non è buono. Bari è pronta? E i baresi? Uno dei principali problemi che hanno avuto gli architetti è stata costituita dalla mediazione tra l’imprenditore e la committenza; se un architetto si permette di fare un edificio senza balconi viene immediatamente licenziato dall’impresa di costruzione, perchè l’impresa di costruzione che pensa di interpretare la volotà, il desiderio, la domanda del pubblico dice: il palazzo senza balcone non lo vendo. Provate ad immaginare il coraggio di Mangini quando ha fatto un edificio in via Garruba in cui ci sono solo logge, finestre a filo e un unico balconcino sporgente di 2 metri. Si potrebbe dire “sono le leggi del mercato”. No, non è vero, perche una volta fatto il balcone poi si fa la veranda, non è vero che l’aquirente vuole il balcone perchè poi se lo chiude subito (si poteva fare la loggia), in realtà quello che l’acquirente vuole indotto dal mercarto e da regolamenti edilizi che glielo consentono, è quello di avere una volumetria extra, una piccola stanza in più per spostare la cucina sulla veranda, ma il balcone non ha la stessa tassazione del vano. Quindi credo di aver risposto anche alla domanda se i barei sono pronti...

D. Borri Bari, 10 Ottobre 2014 Chi è e cosa fa? Sono professore di Ingegneria del Territorio al Politecnico di Bari da parecchi anni, della Scuola di Ingegneria, professore della laurea magistrale di Ingegneria Civile, e mi occupo di Ingegneria ambientale fondamentalmente, civile territoriale, questo è il mio mestiere, ormai anche di vecchia data... Il ruolo dell'architettura, da un punto di vista sociale Allora, premesso come ho detto che sono un ingegnere, quindi non una persona estremamente titolata in senso scientifico di architettura. Nell'università cerchiamo di rispettare alcune regola tra i confini dei saperi. Detto questo, penso che l'architettura abbia un ruolo fondamentalmente nella società, è una delle professioni che sono sempre esistite insieme alla legge e alla medicina, architetti, medici e avvocati [...]sono esistiti da quando c'è la storia dell'umanità. È strutturale, sono le competenze fondamentali, l'architettura definisce lo spazio di vita e a i sui specialisti, non necessariamente nel senso dell'approccio estetico ma in senso strutturale (…) come lavoro dell'allestimento degli spazi di vita. Quali sono le architetture moderne più interessanti a Bari e meglio inserite nel contesto urbano? Ce ne sono molto poche. Purtroppo la vicenda dell'architettura moderna a Bari, dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, è una vicenda diciamo malmessa, a mio giudizio... parlare di inserimento è abbastanza improprio, sono tutte male inserite. É stato soprattutto un caso di cattivo inserimento, di incomprensione della struttura urbana storica ottocentesca, l'inserimento è stato terribile... dire maldestro è poco. Si sono distrutti larghi pezzi di una straordinaria città ottocentesca accomunata da gran parte degli studi italiani e internazionali di storia dell'architettura ad esempi illustri come Lisbona e Trieste, tutto questo


1. introduzione - interviste

è stato non compreso, sostituendo pezzi di questa struttura molto interessante, espressione di una storia di comunità, di un'avventura di una classe di mercanti... non capendo fra l'altro al questione tipologica che reggeva, una questione di tipo, continuità, astrazione, invece si è pensato che fossero una serie di palazzetti […] Quando uscì il libro di Petrignani nel '72 avrebbe dovuto aprire un po gli occhi, ma il danno era stato fatto[...]. Se vogliamo esprimerci in termini che reputo insufficienti[...], direi che ci sono pochi esempi interessanti, per molti di noi il più valido è rimasto l'Ospedale Traumatologico di Samonà sull'ansa del porto... dopodiché sono arrivate queste grandi produzioni e grandi firma, in particolare Chiaia e Napolitano con un opera anch'essa, a parte vari lineamenti storici e non architettonici, sulle persone più che sulle architetture, è anch'essa una storia di cattivi inserimenti... questa è la vicenda. Negli ultimi anni emerge qualche lineamento nuovo, qualche sensibilità nuova, però ormai il danno è fatto, la città ha una periferie terribile, assimilabili alle peggiori periferie che abbiamo in Europa, la città storica ottocentesca è distrutta e quello che c'è è sostanzialmente l'architettura del Fascismo e quella della Medina Medioevale, è come se centinaia di anni si lavoro fossero stati distrutti […] Il dopo seconda guerra mondiale è a mio avviso (mi rendo conto di dare un giudizio molto forte) un disastro. A proposito di Petrignani, è stato autore di un palazzo sulla muraglia fra i più discussi... Palazzo Andidero. …. Devo ribadire cosa ho detto, è anch'esso una storia di cattivo inserimento... pessimo... la protesta che ci fu, guardata a quarant'anni di distanza è sacrosanta. C'erano delle casette a schiera di modesto interesse, per essere all'interno di una struttura medievale di grande importanza come la Medina di Bari, di proprietà della famiglia Guaccero, lui le demolì e mi dispiace dire che un progetto così maldestro venne da un docente di questa facoltà di Ingegneria […] Petrigani era un giovanissimo professore ordinario in queste stanze... [...] non riesco a dare un giudizio positivo su quell'edificio... Bari meglio guardarla con gli occhi verso l'alto? No meglio guardarla con gli occhi verso il basso, perché verso l'alto non si ha pace, perché si vedono gli edifici... è una città molto densa. Una città moto più densa come New York (circa 4 volte più densa) presenta nell'area centrale la possibilità di vedere il cielo, perché la più alta densità non corrisponde a un'organizzazione urbana maldestra. Quindi perché guardare verso l'alto? Si vedono brutte case, pochissima natura... Bisogna guardare dentro, che è l'operazione che fa Carofiglio, guardare questi caseggiati di Libertà, questi portoni, questi antri, dove c'è da un lato questa umanità in difficoltà, con condizioni di vita disastrose, ma allo steso tempo c'è una comunità con la sua vitalità, i suo codici […] Bari si descrive oggi non con i sui palazzi ma con i lavoro di scrittori perché riescono a comprendere la città, architetti e ingegneri invece no, la città e la comunità ci sono, solo le architetture che mancano. Non riescono a fornire un immagine della città? No anzi, la velano... per vederla bisogna entrare, fare un lavoro di speleologia […] se uno fa un giro per il murattiano e le grandi firme o a Poggiofranco, vede una città che non esiste... la città è quella descritta dalla Antonella Lattanzi, che parla prevalentemente di Japigia ma di fatto parla di Bari... Il moderno e la memoria, dove e se si incontrano Il moderno come sappiamo tutti ha avuto un rapporto molto problematico con la memoria: ha pensato che la memoria e le memorie fossero abbandonabili senza problemi, memoria come tradizione. Forse non tutto il moderno, ad esempio la scuola di Milano, non quella di Figini e Pollini e gli olivetti […], ma quel moderno milanese che per lungo tempo si è ritenuto meno di valore ad esempio quello dei Muzio, dei Portalupi, questa gente qua... be la memoria ce l'avevano eccome, le

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loro opere moderne erano in stretto rapporto con la tradizione. Ma in Italia e in genere il moderno è il segno di una rottura non la memoria... Molti hanno trascurato la tradizione e hanno fatto cose straordinarie e ci hanno insegnato molto, e quindi va bene, ma oggi molte di quelle opere non esistono più, perché abbandonare la memoria significa abbandonare le tecnologie, cioè quelle stratificate con l'ambiente per secoli... il rapporto del moderno e della memoria non può espungere il rapporto con la tecnologia... le tecnologie costruttive si sono formate in secoli in accordo alle risorse hai vincoli imposti dall'ambiente... Le opere di Le Corburier, uno dei grandi profeti dell'architettura sono... non voglio dire distrutte ma quasi non esistono più a neanche 100 anni dalla loro edificazione […] Mentre le opere di un autore che ha fatto i conti on la tradizione tipo (uno che da giovane non guardavo con molta simpatia) Marcello Piacentini, sono perfettamente conservate. Quindi il rapporto fra moderno e memoria è molto problematico, dovremmo dare dei giudizi complessi, anche ideologici, e vorrei evitare questo... Io parlerei dei moderni con le tradizioni più che con le memorie, non esiste un rapporto univoco […] spesso è stato distruttivo... Però ci ha appassionato, chi non è stato appassionato da Le Corburier? Questi grandi maestri che però erano cattivi maestri, diciamolo pure... perché erano talmente iperdotati e talmente abbaglianti che i lati discutibili non apparivano. Gli allievi quelli che visitavano e studiavano le loro opere, noi, eravamo abbagliati da questa capacità, e bisogna stare attenti a non fare eccessivo sfoggio delle proprie attività perché si diventa cattivi maestri. La città è il luogo della vita umana e sappiamo essere composta dalla stratificazione delle epoche che ha attraversato. Sostanzialmente la storia della città è scritta nelle sue architetture... La storia delle città è scritta nella storia delle sue comunità, delle sue persone, poi anche delle architetture... Fino all'Ottocento c'è un attaccamento e riconoscimento collettivo della tradizione neoclassica. Quello che è accaduto nel Novecento invece è un susseguirsi di formule differenti che andavano a sostituirsi alla precedente, non c'è una tendenza al conservare? Ne abbiamo parlato all'inizio... come negare questa problematicità del rapporto con il passato? In particolarmente nel Novecento che è stato un secolo di tecnologie molto potenti, di risorse economiche molto potenti e di sviluppo economico molto potente ovunque, e quindi questa forza (che passava sopra alle memorie e alle tradizioni) per affermarsi ha causato un distacco, una cesura nelle stratificazioni... è un nuovo strato che sembra staccato dagli strati precedenti. Il problema è che diffusamente questa stratificazione ha causato una distruzione degli alcuni strati precedenti, nel caso di Bari è così, rispetto al secolo precedente che era uno strato molto significativo. […] La stratificazione è importante, se uno pensa ad una città come Gerusalemme, dove troviamo vicino alla Grande Moschea, resti del vecchio tempio risalenti a prima del 1000 a.C. abbiamo fra i 3000 e i 3500 anni che vediamo... a Taranto e a Roma vediamo 2800 anni... ci vuole una grande conoscenza di storia sia delle comunità sia di architettura per districarsi in queste stratificazioni così impressionanti... Qual'è il rischio di perdere lo strato del Novecento, poiché è il Novecento stesso a sostituirsi a se stesso, in assenza di un riconoscimento comune? Dipende, a questo non trovo una facile risposta... Pensando a Bari mi verrebbe da dire che se molta roba che si è costruita nel secolo XX, in sostituzione dell'edilizia ottocentesca (anche quella di firma, come Chiaia e Napolitano), cessasse e venisse sostituita da altra roba meglio progettata, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista dell'architettura, dal punto di vista delle tecnologie ambientali... forse non sarebbe un gran danno. D'altra parte le architetture cambiano, le trasformazioni ci sono, la storia delle città è una storia di demolizioni


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e ricostruzioni. Parlando di Aldo Rossi, L'architettura della città è un libro illuminante su queste stratificazioni complesse che a volte creano metamorfosi... è la storia delle città, se qualcosa va male perché non funziona più si cambia. Abbiamo difficoltà a cambiare uno straordinario gioiello, come può essere la Grande Chiesa eretta da Costantino a Istanbul, a chi verrebbe in mente di cambiarla? […] Ma edilizia che non ha queste caratteristiche comunitarie, storiche, vanno cambiate quando non funzionano più […] Edifici anche fra i più emblematici, come l'Ex Palazzo dell'ENEL, sono edifici completamente sbagliati, con tenute termiche pessime... edifici come questi non possiamo pensare che vengano proiettati nel futuro... Poi se ci convinceremo che si tratta di un'opera straordinaria e lo Stato la vincolerà come un'opera da conservare per i posteri, allora la conserveremo... ma dubito che questo avverrà francamente.

Renzi vuole aumentare le zone di connessione... ma non vorrei che fosse un'altra delle sue promesse... Altro aspetto è l'efficienza, lo scambio di documenti, pratiche, per aprire un'attività, tutto molto efficiente . Bari è un esempio di disorganizzazione spaventosa, rendimento sociale e produttività della città pari a zero […]. Intelligenza delle architetture non ne parliamo... non c'è un museo... l'ambiente non ne parliamo, oggi una smart city è anche una città molto ambientale […] e Bari non lo è, abbiamo i due depuratori degli anni '60 che non sono stati mia cambiati e scaricano in mare acqua sporca... Il trasposto pubblico è quello che è […] Cosa vuol dire smart? Dobbiamo prenderci in giro e prendere in giro gli altri? Per la realizzazione di un quartiere efficiente ci vogliono dai trenta ai quarant'anni in Europa, con standard di efficienza che non sono quelli italiani, per una città ci vorrà molto di più.

Vale lo stesso per il CTO? No, lì la qualità è diversa, c'è una facciata muraria con delle aperture molto ampie, giustificata da fatto che c'è un affaccio sul mare, l'ospedale era un traumatologico/sanatorio dove la gente doveva poter stare su questo terrazzini... ma sono murature. Molte case di Chiaia e Napolitano hanno il curtain wall e hanno l'intera parete disperdente, come qui... questa roba qua è da cambiare. Ma è storicamente connotata? Non lo so, forse... […] Chiaia è stato mio professore alla cattedra di Composizione qui, e poi mio collega quindi mi dispiace dirlo... Queste tecnologie che allora venivano usate un po mele, non le potremo proiettare nel futuro, scompariranno perché spiazzare dal corso della storia, dalle comunità che le condanneranno come malfatte.

La città è pronta e i baresi? La città non è pronta affatto, bisogna capire cos'è e partire e non vuol dire mettere un cartello fuori dalla porta di un ufficio pubblico, questo significa non aver capito. Secondo me la città amministrativamente e politicamente parlando non è pronta. La sue comunità è pronta? Come sempre le comunità non sono necessariamente identiche e questa cosa che si dice che le classi amministrative sono l'immagine della comunità non mi convince […], quindi non sono sicuro che la classe politica e amministrativa impreparata significhi che anche la città è impreparata. […] Le città meridionali hanno uno strato giovanile maggiore di quelle del centro nord, e sono giovani che viaggiano di più, hanno fatto l'erasmus, hanno visto come funziona una città smart... sono certamente pronti anche a fare qualcosa ma, non possono entrare nella stanza dei bottoni […], se è una classe elitaria non lo so... secondo me anche nella comunità descritta dalla Lattanzi ci sono persone pronte nonostante si tratti di una comunità apparentemente dura, violenta, […] Smart è anche avere un rapporto interessante con la propria storia [...] Essere pronti al futuro significa essere, dal mio punto di vista, anche straordinariamente legati al passato e orgogliosi del passato... questo rapporto consente di proiettarsi verso il futuro. Lei non fa il salto verso il futuro se non ha le gambe solide poggiate per terra e i piedi ben fondati. E una comunità ha i piedi ben fondati sulla tradizione e sulla sua storia.

Tornando ad un esempio tecnologicamente meglio realizzato come il CTO... C'è un rischio nell'incapacità della comunità baresi di riconoscerlo come proprio? Potrebbe scomparire? Si è un rischio, perché quell'opera veniva vista come fatta da gente esterna,, lontana, che non ha creato un tessuto... è più a rischio delle opere di Chiaia, le opere di Chiaia e Napolitano si sono storicizzate in qualche modo, hanno un maggior radicamento sociale […]. Vedo che è più a rischio il CTO, che è un'opera più valida. Quindi c'è qualcosa del Novecento che va protetto? Certo, c'è tutto il periodo di Dioguardi, a livelli molto alti di raffinatezza […] e poco importa che sia stato fatto durante il Fascismo. Dal Secondo Dopoguerra c'è meno, perché l'economia che cresceva e la permuta di cui a Bari si sa qualcosa [...] è un cattivo esempio, e i protagonisti sono insegnanti qui alla scuola di ingegneria Bari candidata a smart city... (scuote la testa) Ma smart city di che? Non riesco proprio a comprendere... a parte le mode... Bari è in qualche modo una città importante, a parte i cattivi livelli dell'architettura del Novecento, la sua comunità è soprattutto importante... Quando le città sono così non servono queste cose.. cos vuol dire smart? Smart vuol dire intelligente [...] ma le grandi città hanno mostrato intelligenza sociale, economica, proprio in quanto sono sopravvissute alla grande campagna della storia. C'è bisogno di aprire un ufficio nel 2013 per dire smart city? Oggi noi ingegneri associamo il temine ad una città che un settore ICT molto pronunciato, scambi virtuali, collegamenti, questa è una smart city... […] Questa è nel modo un smart city: una città straordinariamente organizzata dal punto di vista sociale, una città connessa in tutti i sensi anche attraverso grandi tecnologie, grandi architetture eleganti, meglio se firmate... e Bari non ha niente di tutto ciò, se io non ho l'Android in tasca con l'abbonamento e quindi pesco il collegamento camminando, a Bari non si è collegati da nessuna parte... se lei va in Palestina a Ramallah, si è connessi ovunque, anche Kiev nonostante i problemi che sappiamo con Putin è interamente connessa […] Bari e le città italiane dal punto di vista delle connessione sono all'età della pietra, adesso

F. Moschini Bari, 22 Aprile 2015 Chi è e cosa fa? Sono professore ordinario di Storia dell’Architettura e insegno nel Politecnico di Bari dal ’88 - ho vinto il concorso nel ’84 - e mi occupo di storia dell’architettura ma da un punto di vista particolare, cioè ho sempre guardato sin da piccolo all’architettura ed i suoi rapporti all’interno del sistema complessivo delle arti, della letteratura alla cinematografia, alla fotografia, al design e all’arte soprattutto, quindi ho sempre considerato il mio magistero didattico una sorta di tentativo di far comprendere attraverso la contaminazione agli studenti la complessità e gli intrecci che ci sono e che ci devono essere tra queste diverse discipline. Non una Storia dell’architetture in senso ortodosso ma una Storia dell’architettura che guarda alla realtà dei rapporti e dei sottili nessi esistenti con l’intero sistema delle arti. Tutto questo l’ho fatto su diversi fronti sia che riguarda l’insegnamento che attraverso un lavoro parallelo editoriale scrivendo molti saggi molti cataloghi e molti libri ma sopratutto creando parallelamente una sorta di centro culturale che sia chiama AAM — in cui ho cercato di dar corpo e sostanze alle mie idee circa questi rapporti e di renderle visibili soprattutto guardando ad un pubblico non di collezionisti e di inutili


1. introduzione - interviste

amatori di questi cose ma soprattutto al pubblico degli studiosi degli studenti per far sentire il punto di vista del sottoscritto all’interno di questo sistema tessuto di rapporti reciproche affinità e di reciproche definizioni naturalmente cercando di mantenere sempre salda l’autonomia delle singole discipline ma capire il rapporto di dare e avere tra le stesse. Attualmente sono impegnato come Responsabile dell’Accademia Nazionale di San Luca a riscoprire la continuità tra la storia l’Accademia ricordo è la più antica a livello mondiale, fondata a metà del ‘500 e sempre stata protesa a mettere a valore il senso del lavoro degli artisti degli scultori dei pittori degli architetti e questo che ho cercato di fare in questi anni della conduzione sotto lo slogan del risvegliare i broccati cercare e fare in modo che l’Accademia invece di essere un luogo segregato chiuso nei confronti del mondo di reascriverle una realtà territoriale in rapporto con la città di Roma nel rapporto soprattutto col mondo come sempre stato per definizione il ruolo dell’Accademia di San Luca è stato centro propositivo e propulsivo per l’intera comunità internazionale di artisti e di architetti. Quali sono le architetture moderne più interessanti e meglio inserite nel contesto urbano della città di Bari ? Va tenuto presente che la modernità a Bari, nella Puglia in generale, a Bari soprattuto è condizionata dal retroterra storico, gli episodi degli anni ’30 di Araldo di Crollalanza con la costruzione del lungomare Nazario Sauro che da continuità a questo sguardo di Bari aldilà del mare in qualche modo segna e condiziona anche l’architettura del dopoguerra. Nella continuità tra i diversi architetti coinvolti a suo tempo da Crollalanza spiccano due figure in particolare, Calza-Bini con il suo Albergo delle Nazioni e Saverio Dioguardi con opere che si segnalano per la loro discontinuità fuori dal coro dell’idea della magnificenza civile dell’architettura. Attraverso l’opera del Barion o attraverso la Chiesa di San Ferdinando in Via Sparano, Saverio Dioguardi lancia delle frecce poetiche nei confronti della città per dire una cosa diversa rispetto il continuum storico a cui si attenevano gli autori che guardavano alla magnificenza civile. La presenza di queste modernità in qualche modo condiziona l’arrivo della modernità che a partire dagli anni ’50 si segnala attraverso una presenza straordinaria come quella di Giuseppe Samonà con il suo progetto, poi realizzato, del Centro Traumatologico. Samonà uno dei grandi dell’architettura italiana, uno dei padri della architettura italiana che con questa definizione di questa sorta di “lecorbuseriana macchina per guarire” riesce a caratterizzare e a dare il La alla attenzione e alla visione moderna dell’architettura, architettura che esibisce la propria nuda verità e vale a dire senza più figimenti, senza sguardi retorici nostalgici ma che esibisce coerentemente e correttamente il senso del proprio rapporto con il luogo, il proprio rapporto con le parti e quindi anche la macchinosità, per come si comporta l’edificio stesso. A partire dall’esperienza straordinaria di Samonà, ci sono alcune presenze che in maniera continuativa e puntiforme danno il senso di una città che guarda in maniera avveniristica altrove ma anche che guarda in avanti, proiettata verso il futuro. A questo proposito ricorderei Vito Sangirardi che fa da mediatore tra la nostalgia del passato, se penso al Villaggio del Fanciullo ma parallelamente anche al Palazzo Conte Celio Sabini, che in qualche modo cerca di coniugare la continuità e il rapporto con la storia alta precedente ma anche cerca di innestare gli elementi della modernità. Elementi della modernità che per altro Saverio Dioguardi continua ad esibire. Ci sono due progetti suoi di grattaceli, uno del ’46 e uno più tardo, in cui c’è questa voglia di Bari di guardare alle città di oltre frontiera, questo accadeva quando non c’era ancora stata la realizzazione del Pirelli, primo grattacielo italiano di Giò Ponti e Nervi a Milano, quindi questi azzardi e prefigurazione utopiche di progetti per grattacieli sono anche una scoperta straordinaria per una città come Bari, su questo si attesta tra l’altro il progetto realizzato da Vincenzo Luigi Rizzi per il palazzo Motta allo snodo di Corso Emanuele e Corso

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Cavour in fondo questi due straordinari autori propongono un elemento di architettura talmente dirompente che in un qualche modo riesce a proporsi come “Fuoco urbano”. Per Fuoco urbano voglio dire che riesce a stabilire nella scheletricità dell’architettura che rinuncia a qualsiasi ridondanza che nel proprio ascetismo nella propria asciuttezza montaliana nella propria stringatezza, in fondo allude ad una capacità di costruire attraverso indicazioni di prospettive, di collimazioni visive, di vuoti, una sorta di memoria di quello che aveva fatto verso la fine del ‘580 Sisto V con l’elevazione degli obelischi di Roma quasi ad istruire dei fuochi attorno cui si sarebbero dovute attestare le cortine murarie continue delle strade. Vale a dire, prima vengono fissati i luoghi degli obelischi e attorno si costruisce l’dea stessa della forma Urbis, questo edificio ha la caratteristica di essere un elemento di costruzioni di collimazioni visive. Ma tanti edifici poi, all’interno stesso del tessuto della Bari storica, della Bari murattiana a scacchiera, in qualche modo cercando di riprendere questo tema della loro capacità di farsi Fulcri urbani, penso allo straordinario episodio di Lambertucci e di Chiarini per la sede di Laterza che per quegli anni era un elemento molto significativo pur nel suo carattere isolato e contestativo della continuità muraria della Bari murattiana, in questo ergersi come splendido episodio isolato in questo tentativo di creare una sorta di distanza tra se e tutto il resto dell’edilizia corrente, in qualche modo indica che la città andava percepita attraverso sguardi diversificati. Su questa scia e parallelamente agli episodi già citati, come non pensare a due autori di altissimo livello professionale come Chiaia e Napolitano, penso all’edificio straordinario dell’ENEL ma anche a Palazzo Borea, che sono elementi che sul fronte dell’azzardo e nella novità, anche nell’assunzione di materiali assolutamente nuovi, assolutamente dirompenti all’interno del tessuto urbano del murattiano, raccontano la propria voglia di affermazione di una diversità che tenga conto dei parametri della misura, della figura di cui ha bisogno la struttura murattiana ma che sottolinei la propria diversità attraverso il ricorso a materiali assolutamente inediti e innovativi e assolutamente dirompenti per l’immagine del continuum del tessuto murattiano. Ci sono poi episodi che in qualche modo cercano di riscattare anche elementi di ambiguità, penso in fondo all’ambientalismo pittoricista di Schettini che attorno alla Basilica di San Nicola crea una sorta di mimetismo ambientale una specie di continuum, senza farsi percepire come elemento di novità, e quasi a sottolineare una continuità storica con la tradizione dal medioevo in poi. Bene, c’è che all’interno di questa finzione estrema cerca di proporre in maniera diversa e deflagrante la propria idea di architettura ma innestandosi in maniera straordinaria, direi quasi superba. Penso all’edificio, per gran parte dovuto ad un sottile maestro, poco conosciuto e indagato, come Mauro Bufi, che è stato docente per molti anni qui al Politecnico di Bari, che con Petrignani realizza e incastona all’interno del nucleo storico un elemento straordinario come Palazzo Andidero. Attraverso questa idea questa idea del rapporto quasi di forza con le fortificazioni, con la passeggiata aerea, con la presenza del Fortino, assume su di se l’idea della venustas, della stabilitas, della firmitas attraverso le scarpe che declinano quasi a prendere una volontà di ubi consistam di possibilità di radicarsi a terra ma che nella solidità innestano il senso della propria crisi attraverso il volume che si sfalda che si apre e si rende quasi percepibile nella propria intimità, vale a dire una solidità appena appena disaggregata e indagata e resa quindi area aldilà di questo principio di firmitas che tende ad essere elemento portante dell’architettura alla ricerca della propria dimensione tettonica. Poi ci sono episodi più dirompenti come lo Stadio di Renzo Piano che porta un’idea di novità assoluta attraverso questa dissezione per cui tutti gli elementi sono accostati a costruire questa bellezza formale aldilà delle problematiche del funzionamento o meno e delle difficoltà per essere usata durante le manifestazioni sportive. Però è un episodio


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straordinario, una sorta di chiamata di invocazione verso l’alto a far percepire il radicamento a terra e il suo evolversi verso l’alto quasi a sfumarsi, quasi a diluirsi, quasi a scompaginarsi verso l’alto. Questi sono gli esempi più significativi, ricorderei anche come parziale ma straordinaria freccia poetica, sia pur effimeri ma che ancora esistono come quelli di Baldessarri all’interno della Fiera del Levante e come quello resistente di Costantino Dardi che ha saputo dare in maniera perenne il rapporto tra dimensione del grave dell’architettura e la dimensione aerea una ritrovata stabilità e solidità ad un’immagine, che proprio nel sottolineare la propria misura e la propria figura, da conto con di questo rapporto con l’elemento metrico e quindi idea della misurazione, del passo, della campata e questa condizione apparentemente effimera invece proietta oltre se stessa il senso della propria continuità nel rapporto con la storia, nel rapporto con il luogo, nel rapporto con il manufatto stesso che torna in maniera autoriflessiva a riflettere sul proprio modo di costituirsi in immagine. Esiste un'identià dell'architettura moderna barese? Se è si quali sono i suoi tratti identificativi? Come elementi di continuità nell’architettura barese, se è possibile rintracciarli, direi che basti pensare ad autori meno conosciuti meno famosi che infondo hanno costruito il tessuto connettivo della Città di Bari, sia lavorando all’interno della struttura murattiana sia all’esterno, penso allo straordinario edificio di Cirielli sull’extramurale Capruzzi che dà punto a questa sorta di condivisione di userò che si è ricavato dai progetti di cui ho parlato prima, ovvero della verticalità però ricondotta alla propria struttura osteologia, l’idea dell’architettura che tende a farsi elemento/fuoco urbano quasi a segnare dei punti particolari della città. Queste caratteristiche, che vedrei meno invece di continuità, nel ricorso dei materiali. I materiali sono un’eccezione soprattuto per Chiaia e Napolitano perché loro si sono fatti carico di portare l’idea del moderno attraverso il ricorso a materiali speciali e particolari anche poco utilizzati in architettura (…). Questi li considero professionisti che sono stati una sorta di assolo nel tessuto professionale barese e pugliese. Mentre la continuità di altri ingegneri che hanno fatto pure opere pregevoli hanno lanciato, direi anche per loro, delle frecce poetiche straordinarie che si riconoscono con la necessita di dare continuità a questa capacità di posizionarsi in maniera puntiforme ma con una aspirazione alla coralità del rimando a quelle collimazioni visive tra le parti costitutive della città e dei vari ambiti. Bari meglio guardarla con gli occhi rivolti verso l'alto? Esiste una consapevolezza nella popolazione? Mi sono già espresso su questa capacità di alcune architetture baresi direi così straordinarie nel riferirsi ad uno sviluppo oltre, appunto l’edificio Motta e altri edifici come la sede di Laterza dove questa idea della verticalità, questa ascensione di memoria gotica in fondo è l’elemento caratterizzante di molti interventi puntiformi all’interno della struttura murattiana. Per quanto riguarda la percezione a Bari, come in tutte le città del mondo, è una percezione distratta per cui sicuramente l’architettura non si può fare carico di una percezione più contemplativa più perseguita con intenti di appaesamento perché, come abbiamo visto ormai accadere in tutto il mondo, le parti che interessano sono quelle svuotate che vengono interpretate come disostruzioni dell’edificio in cui si installano a ritmo ossessivo, si insediano tutti i luoghi del merchandising. È difficile che la gente vada oltre alle capacità di utilizzo e di sfruttamento di questi luoghi preci direi che non ci dobbiamo fare illusioni, la gente guarda soltanto all’altezza che le interessa e i luoghi della vendita e quindi è inutile farci illusioni che Bari possa essere uno straordinario assolo in cui la gente sarebbe attenta. Saranno gli studenti di architettura, saranno gli amici degli studenti di architettura e di architetti che avranno la percezione un po’ più complessa e più articolata e faranno qualche sforzo per capire nella propria totalità il senso di un’opera architettonica all’interno del contesto urbano.

Il moderno e la memoria, dove si incontrano se si incontrano? È sempre molto problematico il rapporto tra la modernità e la memoria che vuol dire contesto storico. Prima di Bari bisognerebbe ricordare Venezia a cosa è stata sottoposta nel corso dell’ultimo secolo, pensiamo che per Venezia tutti i grandi maestri mondiali dell’architettura da Frank Lloyd Wright a Le Corbusier e a Louis Kahn, hanno lasciato segni indelebili che non sono mai stati realizzati. Il famoso progetto degli anni ’60 di Le Corbusier per l’ospedale di Venezia che in qualche modo, memore della tradizione architettonica veneziana, si fondava su questa idea della costruzione su palafitte lasciando la dimensione aerea del rapporto tra pieni e vuoti che è lo stesso rapporto di Palazzo Ducale e di molte architetture veneziane, non ha avuto nessun esito. Come non ha avuto esito il memorial Masieri sul Canal Grande di Wright, un’opera straordinaria memore di tutti i rapporti con l’oriente, pensiamo ai rapporti tra Bisanzio e Venezia, Wright ripropone sul Canal Grande il rapporto di questa dimensione quasi si trattasse di una sorta di architettura merlettata nel contrappone la dimensione statica, la dimensione aerea della pelle dell’edificio, in questo coinvolgendo i motivi del rapporto tra struttura e pelle dell’edificio, la texture esterna (…) anche quello non ha avuto nessun esito come non l’ha avuto lo straordinario progetto del padiglione di Venezia, alla biennale, di Louis Kahn. Il rapporto quindi è di grande antagonismo, qualcuno ci è riuscito a creare questa sorta di continuità, penso agli episodi straordinari di Udine di Gino Valle in cui alcuni cammei di modernità sono riusciti ad inserirsi perfettamente nel contesto storico, però sono molto rari e molto circostanziali. Per cui l’idea della continuità muraria e costitutiva della faccia illuminista della Bari murattiana forse sarebbe stato meno problematico. Tra la violenza prorompente delle novità inserite all’interno del borgo murattiano e il tentativo di costruire rapporti più immediati, più edulcorati, più di simpatia con l’esistente nel contesto, io preferisco l’azzardo dell’assoluta dissonanza perché infondo siamo difronte ad una struttura come quella murattiana che in una memoria neoclassica, che è una memoria neoclassica non di altissimo livello ma che da forma ad un continuum edilizio straordinario, però non siamo in una Trieste teresina costellata e sollecitata dalle presenze di architetture neoclassiche straordinarie. Qui abbiamo un tessuto più umile meno declamatorio per cui anche la sostituzione con edifici più prorompenti che in qualche modo però si assestino e si attestino come continuità rispetto ai lotti, mi sembra già una buona soglia di accettabilità. Per cui non cadrei nel moralismo di gridare allo scempio di una Bari murattiana in qualche modo fatta deflagrare sconvolta da queste presenze della modernità. Si tratta di capire se queste presenze sono volta per volta presenze legittimate dal proprio fondamento culturale, storico etico che portano incise nel proprio DNA. Architetture che si sappiano spostare, seppur millimetricamente il senso del dibattito rispetto all’evoluzione progettare della modernità e della contemporaneità.

L. Netti Bari, 12 Maggio 2015 Chi sei? Cosa fai? Architetto e docente presso il Politecnico di Bari A guardare i quartieri centrali di Bari e segnatamente il Murattiano sembra che da anni hanno smesso di diventare oggetto delle attenzioni degli architetti e del mondo universitario. C’è ancora una speranza che tornino a diventare tema per il progetto di architettura? "Il tipico fare senza progetto è il gioco, il tipico progettare senza fare è l'utopia"


1. introduzione - interviste

ha scritto Tomas Maldonado nel suo libro La speranza progettuale. Il lavoro condotto negli ultimi cinque anni nei corsi di Disegno e di Composizione architettonica al Politecnico di Bari propone il progetto come strumento di un fare consapevole e costituisce il fondamento di una ricerca con finalità didattiche destinate da una parte a formare nelle nuove generazione di tecnici (architetti e ingegneri, progettisti) la conoscenza degli strumenti e degli ambiti nei quali esercitare il proprio dominio, dall’altra a individuare occasioni di azione diretta sulla città, campo dell’indagine. Nel corso di queste attività abbiamo selezionato alcuni dei migliori esempi di edilizia costruita nel tessuto urbano della città di Bari a partire dal 1813 anno della sua fondazione, storicizzando i fenomeni e circoscrivendoli all’epoca e alle condizioni sociali, economiche, culturali e perfino allo stile di cui sono stati espressione. Quando è iniziata l’era moderna dell’architettura di Bari? Il primo secolo del Murattiano (1813/1913) si è caratterizzato per un uso diffuso e graduato della cultura architettonica classicista la cui fortuna è figlia degli Ordini architettonici nella loro declinazione rinascimentale nata con la diffusione a stampa dei manuali di architettura. Il secondo secolo (1913/2013), ha visto l’irrompere nella scena urbana di Bari del Moderno, prima nella sua forma italica dal carattere ‘novecentesco’ e poi sempre più ‘internazionale’. È questa fase più interessante e poco studiata dell’espressione architettonica di questa città che merita la nostra attenzione. Il periodo di cui è comunemente stigmatizzata l’azione mirata a sostituire gli edifici ottocenteschi con altri ‘moderni’ in cemento armato, dalle forme semplificate e prive di continuità con quell’idea di storia che procede con la testa rivolta all’indietro. Due entità in apparenza tra loro lontane, che convivono a fatica chiuse ognuna in un’identità autonoma e contrapposta. Possono trovare una composizione le differenze tra architettura ottocentesca e innesti operati nel corso del Novecento? Lo stato attuale dei luoghi ci restituisce un conflitto a tratti sopito, frutto di una coesistenza mai accettata tra Architettura classicista e Moderno Murattiano, salvo gli esiti derivanti dalla rendita fondiaria (favorevole solo ad alcuni). Mediare tra gli esiti costruttivi dei diversi linguaggi è l’obiettivo che ci è offerto dall’avvio del terzo secolo del Murattiano. Incrementare la qualità e attivare un processo di riqualificazione urbana devono diventare il futuro dei quartieri centrali della città di Bari. Si può affrontare questi solo impegni mitigando il confronto tra i due secoli, riconoscendo il contributo delle architetture moderne all’immagine urbana e aver appianato il contrasto bicentenario. Nel 2013 ci sono state le manifestazioni per ricordare il Bicentenario della fondazione del Quartiere Murat: il ‘nuovo inizio’ di Bari. Cosa dobbiamo aspettarci dalle riflessioni innescate da questo evento? Dalle premesse viste in occasione delle recenti commemorazioni, il terzo secolo del Murattiano rischia di diventare un clone del primo. Rimossa la stagione del moderno, i nuovi interventi sono relegati dietro le facciate classiciste lasciate (quasi) intatte. Un approccio vintage che definisce le qualità ed il valore di un oggetto indossato o prodotto nei secoli passati per ragioni assunte come certezze tra cui le presunte qualità superiori con cui sono stati prodotti. Oblio della modernità e il camufflage classicista non costituiscono il rimedio alle lesioni visive prodotte dalle sostituzioni edilizie operate nella seconda parte del Novecento. Consideriamo i casi in cui le diverse altezze tra edifici classicisti e moderni propongono allo sguardo le alte mura cieche di confine tra i fabbricati o la sagomatura lungo le strade: entrambi questi fenomeni determinano la comune percezione dello spazio urbano rimarcando il conflitto tra i linguaggi adottati per le costruzioni della città nei primi secoli dei quartieri centrali di Bari e in particolare nel Murattiano. Può l’ architettura del terzo secolo porsi questo problema?

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Oggi abbiamo acquisito la consapevolezza dell’impossibilità di espandere le città in modo indiscriminato anche grazie alle politiche contrarie al consumo di suolo. Esiste quindi la possibilità di ricominciare a costruire ‘dentro la città’, di riconsiderare le potenzialità edificatorie dei quartieri centrali. Il Murattiano, ancora il centro nevralgico della città e sede delle sue principali istituzioni e infrastrutture, può diventare un campo di sperimentazione e offrirsi alla cura delle sue “lesioni visive” ottimizzando gli spazi a disposizione e, allo stesso tempo, offrendo rimedi innovativi ai suoi problemi irrisolti. Quali potrebbero essere le strategie di questa rinascita? Possiamo immaginare di riempire i vuoti e le fratture interpellando figure diverse che non siano architetti? Certo non si può operare con artifici del tutto grafici, non possono essere delegate le soluzioni all’estro di qualche street artist. Il cicatrene per la città è l’architettura, nessun unguento può rimediare le lesioni apportate alla sua immagine. Nessuna azione ‘superficiale’ è in grado di incidere nel corpo e quindi nella percezione dello spazio urbano quanto il progetto di architettura che proponendosi con un nuovo linguaggio sono sicuro riuscirebbe a produrre nuove forme e servizi ponendo in risalto il mix e la stratificazione fisica e sociale per farle divenire un punto di forza dell’intero quartiere. Quindi cosa si prospetta per il futuro del Murattiano? La ricostruzione su nuovi fondamenti teorici e operativi e la riqualificazione della qualità visiva di un quartiere consolidato e in gran parte costruito, dovrà essere l’impegno per il terzo secolo del murattiano. Di riflesso si otterrebbe un rinnovamento anche dell’immagine della città e il vecchio contrasto, tra architettura classicista e moderna, non sarà più percepito come una perdita identitaria ma diventerà una risorsa della città, un’icona di Bari 3.0.



2. Quartieri Analisi storica e morfologica generale




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Non ci sarà tuttavia nessun inizio di attuazione: l’attenzione della cittadinanza e i fondi necessari vennero dirottati altrove, a causa degli eventi bellici che di lì a poco sarebbero sfociati nel Secondo Conflitto Mondiale. Danni bellici

Il processo di degradazione della città vecchia subì un’ulteriore spinta in seguito ai danni riportati fra il ‘43 e il ‘45, a causa di un bombardamento tedesco che distrusse alcune case a nord della Cattedrale e dell’esplosione della nave mercantile americana Henderson.

La legge speciale

Le condizioni di sovraffollamento raggiunsero in quel periodo il livello più alto. Benché la teoria del Diradamento fosse scientificamente e culturalmente superata, il Piano Petrucci resta giuridicamente valido fino alla revisione del ‘64, che lo adatterà alle più valide e moderne teorie del Risanamento Conservativo2. Fino a tale revisione la Commissione Speciale dovette disciplinare un fenomeno che altrove (nel Murattiano) assunse proporzioni enormi: quello della sostituzione edilizia. L’abbattimento di interi edifici, spesso in precarie condizioni statiche, al fine di sostituirli con altri più moderni, comodi e igienici, risultava essere la soluzione più conveniente ai proprietari e non alla città, alle sue ragioni storiche e culturali, al valore che poteva trarre da una condizione di integrità e coerenza. Più logica e rispettosa, ma meno conveniente, era la soluzione del restauro, che la Soprintendenza cercò in tutti i modi di favorire e talvolta si propose di finanziare. Ma in situazioni limite, dove il restauro non è più possibile, quali alternative si presentano? Da un lato vi sono ancora le teorie di Giovannoni, dall’altro la possibilità di riedificare o proporre un inserimento. Con quale linguaggio?

È opportuno che ogni epoca possa lasciare nei tessuti urbani una traccia autentica di architettura attuale; di qui l’importanza e la delicatezza di realizzare un “oggetto”, che consegneremo al tempo, ai futuri abitanti della città. Occorrono scelte urbanistiche, destinazioni coerenti, architetture valide: una sfida, un impegno, una responsabilità. {L. Passarelli, Edificio per abitazioni e uffici a Bari, 1979}

2.

Il p.r.g. del '52 di Piacentini e Calza-Bini, pose infatti la sua attenzione sulle questioni legate al quartiere Murattiano, interessandosi poco e nulla alla città vecchia, e confermando sostanzialmente le scelte del precedente Piano Petrucci.


2. quartieri

Popolazione

La riduzione della popolazione della Città Vecchia (San Nicola) è imputabile alla caratterizzazione del patrimonio edilizio ma anche alle caratteristiche sociali della zona. La mancanza di interventi di ristrutturazione o riassetto urbanistico non ha attirato nella zona una popolazione diversa dai residenti tradizionali, pertanto il tessuto sociale è rimasto invariato negli anni. La zona è caratterizzata dalla presenza massiccia di famiglie numerose con problemi di marginalità sociale nonchè da un grande numero di persone dall'età avanzata. Il sostentamento delle famiglie è basato su occupazioni nel settore industriale e delle costruzioni.

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32

Sopraelevazioni

Alla fine della guerra molti edifici risultavano ancora incompleti, bloccati nella loro realizzazione al primo piano e in alcuni casi al solo pianterreno. Dietro questo fenomeno vi erano alcune facoltà concesse dagli statuti murattiani e il mancato adempimento ad alcuni dei vincoli imposti. Art. 9:  “I concessionari dopo la stipola delle cautele dovranno fare gli ammanimenti di materiali, e dopo due mesi al più tardi dovranno intraprendere la edificazione; in caso opposto sarà di diritto risoluto in contratto, il suolo sarà ceduto ad altri, e il primo concessionario manchevole sarà tenuto a sborsare per multa l’intero importo del canone di cinque anni a favore del Comune”. Art. 10:  “Fra un anno dopo i due suddetti mesi dovrà essere terminato il pianterreno, e per tutto il 1816 al più tardi dovrà trovar compìto il primo piano superiore, ciò si intende di semplice fabbrica rustica. In ciascun di questi due casi di inadempimento il Comune proseguirà egli la edificazione in danno del Censuario, il quale sarà inoltre multato dell’importo di dieci anni di canone a favore del Comune”. Art. 11:  “I piani superiori al primo saranno costruiti in quel corso di tempo che piacerà agli edificanti” Le prime forme di attività edilizia che nel dopoguerra si ebbero, furono dunque le sopraelevazioni, la saturazione delle aree con fabbriche avviate, e con pianterreni e primi piani predisposti ad ulteriori sviluppi in altezza. In seguito si è provveduto alla riedificazione delle strutture non idonee. La casa-tipo murattiana completa era costituita dal pianterreno e due piani superiori, ognuno di altezza non superiore a 5 m; le strutture quindi avevano un'altezza totale massima di 15 m, la larghezza media delle strade di 13 m e il loro rapporto vicino ad 1, contro quello massimo di 1.5 concesso dagli statuti murattiani. Le strutture incomplete (alte fino a un massimo di 9 m circa) risultavano le più convenienti, offrendo circa 10,5 m di rialzo: 3 piani di 3 m circa ognuno. Scrive Domenico Di Bari: “Pur essendo la parte sopraelevata maggiore di quella preesistente, nessun esempio valido fu conseguito su piano architettonico. La notevole differenza di altezza fra i piani nuovi e vecchi, e l’assenza di ogni partito decorativo sulle nuove murature e quella delle mensole dei nuovi balconi, costruiti con solette di cemento armato a sbalzo, portarono sempre a soluzioni di facciate non amalgamate, malgrado, o forse proprio per questo, l’evidente sforzo di discostarsi il meno possibile dall’impostazione tradizionale del prospetto ottocentesco.”3

3.

D. Di Bari, La città fuori legge, Ecumenica Editrice, Bari 2000


2. quartieri

Le sopraelevazioni di edifici terminati non solo portarono a risultati estetici peggiori, ma si caratterizzarono per il mancato rispetto delle norme, causa della realizzazione di due piani di rialzo invece di uno. Un lungo dibattito (avviato dai tecnici e seguito da proprietari e opinione pubblica) seguì questo fenomeno, portando a varie proposte di modifica delle normative con l’intento di aumentare il rapporto massimo fra larghezza delle strade e altezza delle facciate, adattandola alla reale situazione della città. Un’apposita commissione incaricata di analizzare le proposte e le conseguenze che la modifica della norma avrebbe avuto sulla città, bocciò quest’ultima in una dettagliata relazione. La proposta quindi cadde, ma gli aumenti in altezza si ebbero ugualmente per “tolleranza parametrica”, consentendo agli edifici di superare, in alcuni casi, persino il parametro incrementato descritto nella bocciata modifica alla norma. Sostituzione e permuta

Il Piano Piacentini–Calza Bini venne approvato nel ‘54, quando, affiancato dal miglioramento delle condizioni economiche e dal conseguente aumento della domanda di abitazioni, innescò un boom dell’edilizia che sarebbe durato 15 anni. Vennero rapidamente approvati i progetti di lottizzazione e molti progetti edilizi esistenti; nel murattiano si assiste alla riduzione delle sopraelevazioni a vantaggio di un nuovo fenomeno: la sostituzione. Elemento chiave del periodo felice che il mercato dell’edilizia stava vivendo, era la permuta. Erano soprattutto le neonate imprese edilizie a servirsene, quelle che spesso mancavano del capitale necessario ad operazioni di diverso tipo. Il proprietario di un dato suolo o edificio preesistente (come accadeva nel murattiano), lo cedeva al costruttore e si edificava. Una parte del nuovo edificio (precedentemente pattuita) tornava al proprietario e la restante parte doveva essere sufficiente al costruttore per coprire tutte le spese ed assicurare un adeguato introito. Un sistema vantaggioso per entrambe le parti, in cui tutto era garantito.

Abbattuto un vecchio edificio ottocentesco della vecchia maglia murattiana e sostituito; attraverso un sistema economico che non è quello dell’investimento, ma è quello della “permuta”, cioè il proprietario cede al costruttore il vecchio edificio da demolire e ottiene in cambio una parte del nuovo edificio. {N. Signorile, intervista del 04/06/2014}

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2. quartieri

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1. San Nicola

5. Japigia

Esplosione nave Handerson

Elmo da guerra peuceta

2. Murat

6. Picone

Ludovico Quaroni e Gioacchino Murat

Cartina e alluvione storica

3. Madonella

7. Poggiofranco

Piazza Madonnella e edifici razionalisti

Pianificazione quartiere

del lungomare

con dettaglio del Nicolaus Hotel

4. LiberĂ - Marconi Il faro e Guglielmo Marconi






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3. architetture

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|← Veduta storica di Via Venezia da Molo San Nicola Archivio di Stato - Bari

↑ Progetti esecutivi Archivio di Stato - Bari ↖ Foto storica di Via Venezia Archivio di Stato - Bari


3. architetture

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� Book progettuale per concorso d’idee per la realizzazione di Palazzo Andidero Archivio di Stato - Bari


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3. architetture

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|← ← Articoli di giornale dell’epoca Archivio digitale della Gazzetta del Mezzogiorno






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3. architetture

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↑ Variante di progetto, Archivio di Stato - Bari →| Foto storica Archivio di Stato - Bari



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3. architetture

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Sul progetto presentato dal Sig. Borea, si esprime parere contrario perchè l'abitazione del portiere e i servizi igienici non hanno areazione sufficiente dalle chiostrine. {Ufficio Igiene del Comune di Bari}

|← Varianti di progetto Archivio di Stato - Bari

↑ Documento storico dell’ufficio tecnico Archivio di Stato - Bari

↑ Foto storiche Archivio di Stato - Bari






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3. architetture

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|← ← Articoli di giornale dell’epoca Archivio digitale della Gazzetta del Mezzogiorno




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3. architetture

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↑ Schizzo progettuale




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3. architetture

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3. architetture

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3. architetture

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3. architetture

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↑ Foto storica Archivio di Stato - Bari


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3. architetture

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↖ Articolo di giornale dell’epoca Archivio digitale della Gazzetta del Mezzogiorno |← Foto storiche — Bari, Archivio di Stato - Bari







3. architetture

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↑ Documento originale su carta intestata, Archivio di Stato - Bari →| Disegno originale, Archivio di Stato - Bari




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3. architetture

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3. architetture

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3. architetture

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↑ Disegno originale Archivio di Stato - Bari



3. architetture

Le poche presenze di professionalità non locale noi le abbiamo attraverso i lavori pubblici. L’esempio più significativo è quello di Samonà che realizza il CTO: Samonà è il progettista dell’INAIL [...] lavora a Bari perchè viene chiamato sostanzialmente da Roma. {Nicola Signorile, intervista}

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3. architetture

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3. architetture

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3. architetture

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|← Foto liberamente estratte da “La nuova edilizia a Bari: oltre il cerchio di ferro”, volume IV, a cura di Livia Semerari - Bari ← Foto e provini storici Archivio di Stato - Bari


3. architetture

↑ Documenti storici Archivio di Stato - Bari

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→| Tavola compositiva del rivestimento esterno Archivio di Stato - Bari






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3. architetture

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3. architetture

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3. architetture

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3. architetture

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3. architetture

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4. Tassonomie Confronti e classificazioni


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Comparazione quartieri

San Nicola

Rapporto tra superficie dei quartieri e numero di architetture moderne

0,35 Km² superficie quadrata

1 numero di architetture

Libertà-Marconi

Japigia

2,84 Km² 5,67 Km²

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4. tassonomie

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Murat

Madonnella

0,56 Km²

0,65 Km²

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Picone

Poggiofranco

2,43 Km²

2,47 Km²

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4. tassonomie

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4. tassonomie

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a.  Città , immagine, percezione Nuovi modelli, immagine ambientale, simboli e memorie


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a.1  Nuovi modelli Postmoderno

Con il termine postmodernismo si indica un clima socio-culturale diffusosi a partire dalla seconda metà del ‘900, all’interno del quale operano movimenti, orientamenti e tendenze eterogenee, accomunate da una volontà di superamento (più o meno conflittuale) di quella concezione scientista e razionalistica della società e della sua organizzazione, che era tipica del movimento moderno. A partire dagli anni ‘70 del Novecento si assiste allo scadere del modello di città come organismo razionale atto al soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze della società. Le cause sono certamente da ricercare nelle deformazioni che, i regimi totalitari e il modello capitalista, hanno apportato all’originale disegno modernista, allineando la fiducia nella tecnologia, nella standardizzazione, nella logica organizzazione umana in ruoli (originariamente orientati alla democratizzazione del benessere), ad interessi egemonici e speculativi. Si comprende quindi come la critica postmoderna si estenda oltre i manifesti, i programmi e l’operato del modernismo, andando a fondo e scardinandone la matrice ideologica.


a. città, immagine, percezione

Esperienza urbana

Il postmodernismo è per l’appunto un clima: perdita di punti di riferimento, di fiducia nel progresso socioeconomico e nella tecnologia, allentamento dei ruoli che ogni individuo assume nell’impianto sociale, modificano nel complesso l’esperienza urbana che la gente vive ogni giorno nelle proprie città. Soprattutto le metropoli, diventano teatro di questi cambiamenti, a causa di una più elevata e diffusa incertezza nei programmi di vita, e alla specializzazione e frammentazione degli spazi. È possibile parlare di esperienza di vita diffusa, con una progressiva perdita di punti di riferimento nei rapporti con il territorio e la loro conseguente continua ricerca e individuazione. Ma è anche necessario parlare di esperienza di vita individualizzata, poiché ogni nuovo sistema non può più avere nessuna valenza collettiva. Il clima di incertezza e difficoltà di pianificazione, e di una maggiore libertà carente di rifermenti, celano il rischio della concentrazione sul presente: esaltazione dell’oggi, dell’immediato e disinteresse tanto per le prospettive del futuro, quanto per la continuità con la storia personale e collettiva.

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a.2  Immagine ambientale L’immagine ambientale è il quadro mentale generalizzato del mondo fisco esterno che ogni individuo porta con sé. Quest’immagine è il prodotto sia della sensazione immediata, che della memoria di esperienze passate e viene usata per interpretare le informazioni e per guidare gli atti. Il bisogno di riconoscere e strutturare ciò che ci sta intorno è così vivo, e ha origini così profonde nel passato, da conferire a quest’immagine larga importanza pratica ed emotiva per l’individuo. Leggibilità

“Chiarezza apparente o leggibilità di un paesaggio urbano. Con questo termine indichiamo la facilità con cui le sue parti possono venire riconosciute e possono venire organizzate in un sistema coerente. Come questa pagina stampata, se è leggibile, può venire visivamente afferrata come un’interrelazionato sistema di simboli riconoscibili, così sarà leggibile quella città in cui quartieri, riferimenti, o percorsi risultino chiaramente identificabili e siano facilmente raggruppabili in un sistema unitario.” 1

È chiaro che il disegno urbano non ha a che fare con la forma in se stessa, ma con la forma come è vista e usata dagli uomini. {K. Lynch, L'immagine della città, 1960}

Strutturazione dell'immagine

Figurabilità

L’immagine ambientale si compone di tre elementi: Identità: Identificazione di un oggetto, la sua distinzione da altre cose, il riconoscimento come un’entità separabile. Struttura: Relazione spaziale schematica dell’oggetto con l’osservatore e con altri oggetti. Significato: Quello che ogni oggetto ha per l’osservatore, sia esso pratico o emotivo. Il significato è esso steso una relazione, ma ben diverso da quella spaziale o schematica. 2 Le componenti di identità e struttura sono quelle inerenti alle qualità fisica dell’immagine, direttamente collegate “Qualità che conferisce ad un oggetto fisico un’elevata probabilità di evocare in ogni osservatore un’immagine vigorosa. Essa consiste in quella forma, colore o disposizione che facilitano la formazione di immagini ambientali vividamente individuate, potentemente strutturate, altamente funzionali.” 3 1. 2. 3.

K. Lynch, L'immagine della città, Marsilio, Venezia 2010 ivi. ivi.


a. città, immagine, percezione

Estendere e approfondire la nostra percezione dell’ambiente significa proseguire un lungo processo di sviluppo biologico e culturale che è andato dai sensi di contatto ai sensi staccati, e dai sensi staccati alla comunicazione simbolica. La nostra tesi è che noi possiamo ora sviluppare la nostra immagine dell’ambiente sia attraverso l’alterazione della forma fisica esterna sia attraverso un processo interiore di conoscenza. {K. Lynch, L'immagine della città, 1964}

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a. città, immagine, percezione

a.3  Simbolo e significato Simbolismo urbano

La città non è solo un complesso organizzativo territoriale di strutture specializzate: “è anche un complesso di simboli sedimentati ne corso della storia. Questi simboli si esprimono tanto nelle strutture fisiche (le strade, le piazze, i monumenti) quanto nei modi di vita, nelle cerimonie, nei rituali della vita urbana, quanto, ancora, nelle immagini e nei discorsi che parlano della città.” 8 Ne fanno anche parte stemmi, guide turistiche, sino alle operazione di marketing e branding territoriale utilizzate al fine di promuovere la città, per i turisti, gli operatori economici, e gli abitanti stessi. Le strutture simboliche urbane sono sempre in profonda relazione con l’esperienza di fruizione che gli abitanti fanno della città: in un processo reciproco i simboli condizionano la vita sociale, contribuendo alla formazione dell’identità di singoli o gruppi di individui; contemporaneamente gli individui stessi (titolari di una propria identità) hanno la possibilità di aderire, rifiutare e alterare le strutture simboliche dello spazio urbano.

L'individuazione di un'area naturale e culturale non si esaurisce nelle caratteristiche esterne, ma rimanda necessariamente ai meccanismi di rappresentazione, agli atteggiamenti di appartenenza e rifiuto, ai sentimenti di identità e di estraneità, alla mappa della città che sta nella testa dei suoi abitanti {R. Park}

8.

A. Mela, Sociologia della città, Carocci editore, Roma 2006

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Identità

“Per ogni soggetto che opera in un sistema sociale, l'identità è il risultato di un continuo confronto con gli altri, che porta il soggetto a costruire una rappresentazione di se stesso, della propria unità personale, della distinzione del proprio io da quello degli altri, del ruolo svolto nella società e della posizione occupata nelle gerarchie sociali.” 9 Nella costruzione dell'identità di ogni individuo, svolge un ruolo primario il contesto territoriale di appartenenza: ogni regione, città, quartiere, porta infatti con sé, un pacchetto di caratteri e attributi inconsciamente interiorizzati dall'individuo fin dall'infanzia, in un processo che culmina con lo sviluppo di un senso di appartenenza verso quel territorio.

Costruzione del simbolismo

Analogamente, in un processo inverso e complementare, avviene che l'operato degli abitanti di una data città influenzi la connotazione simbolica della stessa, contribuendo all'identificazione della sua atmosfera, della sua singolarità e, in sostanza, della sua identità. “Questi ultimi [gli abitanti], poi, non si limitano a ricevere passivamente un patrimonio simbolico ereditato dalla tradizione, modellando su di esso la propria identità, ma, al contrario, se ne appropriano attivamente, interpretandolo, modificandolo e, in determinate circostanze, rifiutandolo del tutto o in parte.” 10 Nel 1984, Suttles, parlando di immagini della città (in riferimento soprattutto alle città e alle comunità americane), studia il loro percorso di formazione, individuando “tre fonti storicamente sedimentate nell'immagine urbana” 11: i riferimenti ai padri fondatori delle comunità, ai leaders che li hanno seguiti e infine al “complesso di manufatti [...] che vengono identificati con la città e sono oggetto di un processo di museizzazione”, nel senso letterario del termine, in quanto vengono conservati nei musei locali, oppure in senso figurativo, in quanto sono oggetto di speciali politiche di tutela e conservazione.” 12

In antropologia la tradizione è l'insieme degli usi e costumi, e dei valori collegati che ogni generazione, dopo aver appreso, conservato, modificato dalla precedente, trasmette alle generazioni successive. {Wikipedia}

9. 10. 11. 12.

ivi. ivi. ivi. ivi.


a. città, immagine, percezione

L'aura della città

Scrive Merleau-Ponty: “noi non percepiamo quasi nessun oggetto, come non vediamo gli occhi di un viso familiare, ma il suo sguardo e la sua espressione.”13 Allo stesso modo l'identità di una città non è circoscrivibile (ad esempio) ai soli edifici di cui si compone: un simbolismo urbano radicato, si manifesta piuttosto in un carattere generale, in un clima diffuso, che distingue quella città da qualunque altra. Un fenomeno inquadrabile nel concetto di aura che Walter Benjamin introduce, in rapporto all'opera d'arte, non 1936: “la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova.” 14

I media

Nella sintesi dell'identità di una città e nel suo processo di strutturazione simbolica, elevata è l'influenza dei media e di qualunque altro canale di fruizione delle immagini con le quali quella città si è deciso di rappresentare. Televisione, cinema, servizi internet portano con loro, in questo senso, un rischio: quello di fornire immagini eccessivamente stereotipate dei luogo di cui stanno parlando, scegliendo, fra un ventaglio più o meno ampio, “immagini da cartolina” 15 che poco o nulla rispecchiano la città reale. Il risultato potrebbe essere, ad esempio, il tradire le aspettative di un turista e, per gli abitanti, un ristagno di simboli inflazionati e un stallo nel loro processo di formazione.

13. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 1945 14. W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Feltrinelli, Milano 1936 15. A. Mela, Sociologia della città, Carocci editore, Roma 2006

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5.  Immagini e immaginari Due indagini visive baresi


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In questo capitolo verranno riportate due “indagini visive” sulla città di Bari, il cui scopo è quello di meglio comprendere, sulla base delle ricerche precedentemente effettuate, lo “stato dell’arte” dell’immagine (o delle immagini) di questa città. Nella consapevolezza di quanto il livello fisico sia solo uno dei tasselli necessari all’identificazione dell’aura di una città, restringiamo volutamente il nostro campo d’azione a quest’ultimo e a quel pacchetto di significati che, dice Lynch, costituiscono la risposta, la reazione del fruitore di un ambiente, allo stimolo visivo che questo gli fornisce.


5. immagini e immaginari

5.1  Immagini inflazionate Azione e reazione dei media

La prima di queste indagini tratterà il ruolo che i media hanno nella formazione dell’immagine di Bari: verrà riproposta una panoramica delle immagini alle quali in canali di comunicazione fanno ricorso con più frequenza, di fronte alla necessità di parlare della città. La ricerca verrà divisa in tre sezioni: web, social e cinema. Per quanto nella sezione social vengano trattati contenuti comunque derivanti da servizi internet, al pari della sezione web, abbiamo ritenuto necessario effettuare questa distinzione. Il motivo risiede nella particolare rilevanza attribuita, appunto, alla social-sfera. Se in altri contesti assistiamo transizioni unidirezionali in cui le immagini sono prodotte, selezionate e somministrate al fruitore, l’ambiente social ci pone di fronte a meccaniche differenti: ogni utente è non solo destinatario ma anche potenziale produttore, mittente e certamente nodo di reindirizzamento di contenuti. Data la mole di contenuti rintracciabile (e non) su questo argomento e la conseguente difficoltà di analisi statistiche, quest’indagine si soffermerà ad un livello qualitativo: riporteremo i contenuti più frequentemente rintracciati sul web (ad esempio seguendo linee di ricerca comuni su Google o analizzando la sitografia ufficiale della città), gli scorci più ricorrenti nelle inquadrature dei film a Bari ambientati1 e, come sopra detto, le immagini di Bari più scelte e postate dagli utenti sui social network.

Nella sintesi dell’identità di una città e nel suo processo di strutturazione simbolica, elevata è l’influenza dei media e di qualunque altro canale di fruizione delle immagini, con le quali quella città si è deciso di rappresentare.

1.

Alcuni di questi contenuti fanno riferimento al lavoro di ricerca “La città al margine”, condotto presso Politecnico di Bari, dal prof. Sergio Bisciglia, nell’ambito del suo corso di Sociologia dell’architettura.

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5.1.1 Web Google Ricerca immagini “Bari”


5. immagini e immaginari

Google Ricerca immagini “Bari”> “Cosa vedere”

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Panoramio: foto e luoghi suggeriti


5. immagini e immaginari

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Google Street View: foto e viste suggerite


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http://www.comune.bari.it  [header variabile]


5. immagini e immaginari

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Pagina di Wikipedia: Bari


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Bari su flickr


5. immagini e immaginari

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5.1.3 Cinema “Quello strano desiderio”, Enzo Milioni 1980


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“La Riffa”, Francesco Laudadio 1991


5. immagini e immaginari

“La Capa Gira�, Alessandro Piva 1999

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5. immagini e immaginari

“Mio Cognato�, Alessandro Piva 2003

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“Il passato è una terra straniera”, Daniele Vicari 2008


5. immagini e immaginari

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5. immagini e immaginari

Alcune considerazioni

Il risultato immediatamente visibile, in tutte le categorie della ricerca, è un forte legame della città con il mare: elementi quali il lungomare fascista, con i suoi lampioni e panchine o le barche nel porto vecchio con il Teatro Margherita sullo sfondo, si presentano con ridondanza tanto nelle foto sui social network quanto nelle inquadrature cinematografiche. Guardando il quartiere Murat, si riscontra una caduta d’interesse negli ambienti del cinema: nonostante la relativa vicinanza al mare, nessuna delle strade del quartiere gode di un affaccio diretto, rendendolo inadatto a ricreare, nella scena da girare, l’aura di Bari che si vuole e si deve trasmettere. Maggior interesse è mostrato invece sul web e sui social, dove l’accento sembra porsi su alcuni riconoscibili personaggi architettonici come Palazzo Mincuzzi e, ai margini del quartiere, attraverso via Principe Amedeo, il Teatro Petruzzelli. Altro scenario d’interesse è certamente il cuore antico della città. Bari Vecchia è, prima che spazio fisico, atmosfera e per certi aspetti mood. L’attenzione di un osservatore sembra qui soffermarsi (a differenza del quartiere murattiano) tanto su elementi di riconosciuto interesse, come l’architettura religiosa, la Muraglia e le piazze, quanto su scorci anonimi dall’eguale valenza comunicativa. Infine troviamo l’ultima architettura moderna che sembra incontrare l’interesse degli osservatori, in ogni categoria analizzata: lo Stadio San Nicola, la cui mole e geometria caratteristica, si sono elevate a simbolo della fede calcistica della città e motivo di vanto per tutti i suoi abitanti.

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5.2 Sondaggio Ambiente, architetture e significati

Com’è possibile osservare nel capitolo 4. Tassonomie, il quartiere Murat si distingue dagli altri per il più elevato numero di architetture moderne di qualità, in rapporto alla superficie: 19,5 rispetto alla media di tutti i quartieri pari a 4,4. In seguito a queste considerazioni si è deciso di pianificare la seconda indagine visiva, e di intenderla come un focus su questo quartiere e sull’immagine che di esso i fruitori della città detengono. Lo strumento scelto per questa indagine è quello del questionario visivo, effettuato su un campione di circa 180 persone raggiunte in rete. Di seguito verrà riportato il questionario somministrato e i relativi risultati ottenuti.


5. immagini e immaginari

Prima fase

Nella prima parte del questionario, sono state sottoposte le immagini di sei edifici di Bari, fotografati in modo che risultino isolati dal proprio contesto. Le immagini sono state scelte per l’affinità di ogni edificio ad un dato stile architettonico: due edifici neoclassici, due edifici moderni di qualità (fra quelli oggetto di questo studio) e due edifici moderni di non qualità. In un primo momento si è chiesta una valutazione generale su ogni edificio e successivamente di indicare in quale quartiere di Bari ogni edificio è collocato. Lo scopo della domanda (e dell’isolamento visivo dell’edificio) è quello di verificare la presenza di uno stile architettonico predominante in determinati quartieri.

Seconda fase

Nella seconda fase del questionario, sono state sottoposte scene urbane riprese dal piano strada, con lo scopo di fornire punti di vista il più possibile naturali, vicini a quelli di fruizione quotidiana della città. Gli scorci scelti riportano tutti i possibili accostamenti di stili (neoclassico e moderno) di cui il quartiere murattiano si caratterizza. Si è chiesto agli intervistati di indicare, per ogni scena, un valore da uno a cinque, su tre scale che riportano ai loro estremi le definizioni di storica–moderna, gradevole–sgradevole, ordinata/armoniosa–disordinata/ caotica. Lo scopo di questa fase è quello di capire come questi accostamenti vengno percepiti dagli abitanti, quali rapporti gli stili instaurano fra loro e come l’immagine della città ne è influenzata.

Analisi dei risultati

I dati ottenuti dal questionario (riportati in seguito) rivelano come il il gusto degli intervistati si discosti poco da uno stile all'altro. Un dato più rilevante, in linea con le nostre aspettative, è invece la ricorrente attribuzione dei due edifici neoclassici al quartiere murattiano e quella, meno frequente, di due edifici moderni (di qualità e non) al quartiere Poggiofranco. Solo Palazzo Miceli di Chiaia e Napolitano, fra gli edifici moderni, è stato ricondotto al suo giusto quartiere, probabilmente in conseguenza della sua elevata figurabilità, che lo isola dal contesto rendendolo più riconoscibile. Altro dato derivabile è la frammentazione di attribuzioni di tutti gli edifici moderni fra i vari quartieri. Rispetto alla seconda fase è possibile riscontrare scarti limitati fra i valori attribuiti alle scene: i due edifici moderni in analisi (di Chiaia e Napolitano il primo, di Lambertucci il secondo), mostrano di rapportarsi diversamente con il contesto, aumentandone rispettivamente il disordine visivo e l'armonia, la percezione di modernità e antichità. Di nuovo un edificio di Chiaia e Napolitano, più figurabile, tende ad isolarsi e a porsi in dissonanza con il quartiere, rispetto a quello di Lambertucci, forse meno visibile, certamente come meglio integrato.

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b.  Segno, codice, scrittura La rappresentazione


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b.1 Rappresentazione/raffigurazione Riduzione

Ogni rappresentazione, è un semplificazione. Essa consiste nella schematizzazione di un oggetto o un evento relativamente ad un metodo, una formula, e sopratutto rispetto a delle scelte: in quanto riduzione essa è necessariamente veicolata da un livello di perdita accettabile, la distanza che si disposti a tollerare fra il fenomeno reale (con la su infinita complessità, godibilità e diversità interpretativa) e il suo corrispondente costrutto rappresentativo. “L'espressione di origine latina, che costituiscono la terminologia in questo ambito, sembrano mettere l'accento su un'idea temporale, iterativa, “rappresentare”, “re-presentare”. Qualcosa (che era presente prima) viene presentata di nuovo. […] Le lingue germaniche […], con il termine darstellen [Da (qui) -r-stellen (mettere)], dicono invece che rappresentare vuol dire mettere là, davanti agli occhi. Comunque si tratta di un compiere un atto, un gesto, che dell'oggetto fa un comunicato.” 1

Livello di iconicità

Un'efficace classificazione dei differenti tipi di rappresentazione, di deve agli studi che Abram Moles condusse nell'ambito della scuola di Ulm, negli anni '60. Sulla base di studi tassonomici, egli individuerà dodici categorie di rappresentazione, ordinate lungo un asse che vede agli antipodi i massimi valori di figuratività e astrazione; lungo quest'asse e avvicinandoci man mano agli estremi, si assiste rispettivamente: a una maggiore verosimiglianza e immediatezza interpretativa, e a una crescente livello di arbitrarietà e rispondenza a schemi normati. Escludendo le categorie di rappresentazione (più vicine al polo figurativo) che non consentono riduzioni bidimensionali, la scala si riduce a sette categorie, che Anceschi così definisce:

L’attività e l’operazione di rappresentare con figure, segni e simboli sensibili, o con processi vari, anche non materiali, oggetti o aspetti della realtà, fatti e valori astratti, e quanto viene così rappresentato. {Treccani}

1.

G. Anceschi, L'oggetto della Raffigurazione, Etas, Milano 1992





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Isotype O. Neurath e G. Arnrz

L’International System Of Typographic Picture Education è un sistema di visualizzazione studiato da Otto Neurath, sociologo e filosofo fondatore del Circolo di Vienna; fu sviluppato in una prima fase per spiegare e illustrare trattati sociali ed economici. Assieme a Marie Reindmeister nel ruolo di “transformer” e Gerd Arntz, artista e illustratore tedesco, misero appunto un “linguaggio visivo” capace di superare le barriere culturali e linguistiche di ogni paese. I princìpi del sistema sono semplici ma fondamentali, per la miglior rappresentazione dei dati quantitativi. Per ogni categoria da rappresentare viene creato un un segno semplice, riconoscibile e immediato senza l’aiuto di parole-stampella. Lo stesso segno riprodotto in modo proporzionale alla quantità rappresenta il dato quantistico. Anche la tavolozza cromatica è limitata a sette colori: blu, verde, giallo, bianco, rosso, marrone e nero. Ancora oggi l’isotype è fonte di ispirazione di numerosi sistemi di rappresentazione, dalle infografiche di quotidiani e giornali, alle riviste economiche, dall’editoria finanziaria, all’orientamento di grandi e piccole infrastrutture e alla segnaletica stradale.

I segni devono essere chiari per se stessi, senza l’aiuto di parole: devono essere, appunto, segni parlanti (sprechende Bilder) […], questi sostantivi figurali e mnemonici, sono indipendenti dai confini linguistici. Sono in partenza internazionali. {O. Neurath}




c. Comunicazione/interazione Media, identità generative, giochi semiotici


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In questa sezione strumenti verranno riportati contenuti eterogenei, inerenti, per certi aspetti, a tematiche e discipline differenti. Si è ritenuto di introdurli per un necessario approfondimento di concetti, metodi e possibilità , propedeutico all'attività progettuale descritta nel capitolo successivo e ad una piÚ completa comprensione della stessa.


c. comunicazione/interazione

c.1  Media caldi e freddi Il mediaum è il messaggio

I media sono estensioni di noi stessi prodotte dall'introduzione di nuove tecnologie nella quotidianità. Con l'espressione “il medium è il messaggio” si vuol indicare come, sul piano pratico, il messaggio/ significato (o l'effetto) di ognuno di essi, si concretizza nelle nuove proporzioni, dimensioni e sotto certi aspetti possibilità, che introducono nella società. È significativo l'esempio dei mezzi di trasposto. “La ferrovia non ha introdotto nella società né il movimento, né il trasporto, né la ruota, né la strada, ma ha accelerato e allargato le proporzioni di funzione umane già esistenti creando città di tipo totalmente nuovo e nuove forme di lavoro e di svago.” 1

Le conseguenze di ogni medium, cioè di ogni estensione di noi stessi, derivano dalle nuove proposizioni, introdotte nelle nostre questioni questionali personali, da ognuna di tali estensioni o da ogni nuova tecnologia. {M. McLuhan, Capire i media, 1964}

Coesione

Rispetto alla società in cui agiscono, i media si identificano come materie prime o risorse economiche. Una società che fonda il suo sistema economico su poche risorse tede a risultare instabile, ma sul piano psico-sociale quelle merci tenderanno ad assumere un ruolo di coesione sociale. Analogamente, gruppi sociali che su pochi medium fanno affidamento (la tradizione orale nelle civiltà tribali, o la stampa in quelle occidentali metropolitane) tenderanno ad identificarsi in questi. Tanto le risorse economiche che i media “identificano l'inconfondibile aroma culturale di ogni società”.

1.  M. McLuhan, Capire i media. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1964

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Partecipazione

“È caldo il medium che estende un unico senso fino ad un'alta definizione […], stato di abbondanza di dati”2. La distinzione fra media caldi e freddi, in sostanza, è basata sul grado di partecipazione, il livello di contributo al completamento che essi richiedono al destinatario, “una conferenza meno di un seminario, un libro meno di un discorso.”3 La società occidentale contemporanea alfabetizzata si differenzia dalle civiltà tribali per la più elevata saturazione dati generata dal medium stampa, rispetto al discorso orale.4 Una cura mediante media caldi si rende in alcuni casi preferibile, per il livello di coinvolgimento emotivo ed empatica che essi prevedono.

Il cubismo, mostrando in due dimensioni l'interno e l'esterno, la cima e il fondo, il davanti e il dietro, eccetera, rinuncia all'illusione della prospettiva a favore dell'immediata consapevolezza sensoria del tutto. Cogliendo in un unico istante la consapevolezza totale, ha improvvisamente annunciato che il medium è il messaggio. {M. McLuhan, Capire i media, 1964}

2. ivi. 3. ivi. 4.  McLuhan scrive Understanding Media negli anni '60, il periodo d'oro dello sviluppo delle tecnologie elettroniche. Tema centrale della trattazione sono gli effetti di “raffreddamento sociale” e ritorno ad una civiltà tribale che queste tecnologie comportano, in quanto vettori di media freddi.


c. comunicazione/interazione

c.2  Design generativo Generativo è un appellativo che identifica una metodologia progettuale che sostituisce, come centro dell'azione del designer, la progettazione di sistemi/prodotti finiti con la progettazione (o meglio pianificazione) di processi atti alla generazione questi ultimi. Processo e parametro

Cardine della progettazione generativa è quindi il processo. Esso consiste nella successione di fasi, regole, input e output che elaborano i dati conducendo ad un risultato. I parametri sono le variabili che l'utente (non necessariamente il designer stesso) usa per controllare, gestire e filtrare i risultati. Aspetto caratterizzante della progettazione generativa, è la possibilità si introdurre variabili aleatorie. La perdita del controllo totale sulla forma finale da parte del progettista, il suo accettare un'incertezza nell'esito (per quanto da egli stesso circoscritta) segna un evidente distacco con la precedente tradizione del design.

Algoritmo

Nonostante il design generativo non sia necessariamente vincolato a determinati contesti scientifico tecnologici, il concetto di algoritmo presenta significative analogie: sequenza ordinata e finita di passi (operazioni o istruzioni) elementari che conduce ad un ben definito risultato in un tempo finito.

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c.3  Identità dinamiche A partire dal secondo dopoguerra si assiste ad una crescita economica senza pari a alla diffusione, in America e di riflesso anche in Europa, di una cultura dell'immagine totalizzante e onnipresente. Assecondata dallo sviluppo delle scienze del marketing, l'immagine aziendale diventa, prima nelle grandi e poi nelle piccole compagnie, un'esigenza imprescindibile: identificare-comunicare, dal produttore al consumatore. In Europa, ad Ulm e nell'ambito della Scuola Svizzera, viene raccolta l'eredità del funzionalismo della Bauhaus, in un approccio scientifico che conduce i designer ad esiti formai di fredda efficacia. La corporate identity sviluppata per Lufthansa nel 1962 resta oggi un valido esempio. Nasce l'International Style, un linguaggio internazionale la cui volontà d'efficacia verrà deformata dalle logiche espansionistiche del capitalismo. Variabilità

Scrive Anceschi: “La costanza percettiva è l'obbiettivo principale del progettista” 5, evidenziando tuttavia come già negli anni '60 alcuni designer avviino progetti di identità flessibili. Nel 1963 Karl Gerstner si interroga sulle possibilità introdotte dai computer e ipotizza per la prima volta l'introduzione di variabilità e caso nella progettazione.6 Sarà solo a partire dagli anni '80, tuttavia, che la progettazione di identità variabili divenne di uso comune, spinta dall'elevata segmentazione dei prodotti e certamente dal diffondersi degli hypermedia: tempo, movimento, variabilità erano ormai dimensioni con cui il designer non poteva non confrontarsi. Questo modello progettuale, tuttavia, lasciando al designer in controllo formale su tutte le applicazioni, non si pose mai in antitesi con la precedente tradizione del modernismo, ma in continuità con essa.

Un logotipo dinamico è fondamentale per distinguersi nella massa di identità visive che circondano l'uomo contemporaneo. {S. Heller, Bruce Mau, in Eye magazine, n° 38, Inverno 2000}

5.  G. Anceschi, Monogrammi e Figure, La casa Usher, Firenze 1988 6.  K. Gerstner esponeva con il gruppo Arte cinetica e programmata.


c. comunicazione/interazione

Identità generative

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Punto di svolta fu invece, nel 1993, il progetto di Bruce Mau per l'identità del NAi (Netherland Architecture Institute). Nella volontà di comunicare tutta l'eterogeneità delle attività dell'istituto, il designer abbandona del tutto la progettazione di un forma, concentrandosi invece sul processo: il logo del NAi, composto con caratteri senza grazie, veniva proiettato su una superficie, fotografato da varie angolazioni e poi colorato digitalmente. “Il risultato è un programma di identità completamente cinetico che riflette appieno la complessità del programma del NAi”.7 In linea quindi con gli sviluppi del design generativo, la progettazione di identità tende ad abbracciare un approccio svincolato dalla forma fatta e interessato alla forma nel suo farsi. L'identità di enti, istituzioni, luoghi necessita di comunicare tutta l'eterogeneità di cui si costituiscono e di aggiornarsi nel tempo restando uguale a se stessa. Come detto nel capitolo precedente, il designer pianifica un processo all'interno del quale, determinati parametri, convergono a generare la forma finita.

Ogni cosa dovrebbe avere una saca capacità di adattarsi all'oggi. Mostrandosi cangiante, assecondando le necessità mutevoli di un tempo dalle temperature molto variabili: il nostro. {B. Finesi, cit. in S. Caprioli e P. Corraini, Manuale di immagine non cordinata, Corraini, Mantova 2008}

Attualmente i più interessanti progetti di identità variabile sono limitati quasi esclusivamente a musei, istituti, centri culturali. Questi, infatti, tendono oggi a presentarsi, a differenza delle aziende private, sempre meno come scatole chiuse e più come nodi di incontro e scambio, tanto fra le discipline, quanto fra gli operatori: pubblico, utenti, artisti e designer.

7.  B. Mau, brucemaudesign.com


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Utente

E proprio nei concetti di scambio e partecipazione, la progettazione di identità ha trovato oggi ulteriori evoluzioni. Scrivono Chiappini e Cioffi: “Se il designer stabilisce le regole, chi sono i giocatori?”.8 Se i meccanismi di comunicazione di matrice modernista prevedono infatti dinamiche comunicative unidirezionali, il design generativo apre la strada ad un coinvolgimento messo passivo del destinatario, fino a renderlo co-progettista partecipe. Questo meccanismo, già esplorato in ambito artistico dalle esperienze di arte relazionale, necessitano dell'azione dell'utente ai fini del completamento del progetto, e della sua acquisizione di senso. È possibile parlare di nuova generazione del design relazionale, in cui non solo la forma finale perde di centralità, ma l'attenzione progettuale è interamente rivolta agli utenti, al contesto e l'effetto generale che il progetto ha su questi.

Favorire una relazione interattiva tra emittenti e fruitori, secondo un modello radicalmente opposto a quello gerarchico dell'immagine coordinata. {E. Bonini Lessing, La corporate spezzata. Per una critica dei sistemi informativi e identitari nella metropoli, dottorato di ricerca in Scienze del design, Università IUAV Venezia, 2008}

8.  C. Chiappini, A. Cioffi, Identità cinetiche. Alcune case history di sistemi variabili, in Progetto Grafico n° 9, Dicembre 2006



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ui/nui

È ciò che si frappone tra un dispositivo e un utentem consentendo e facilitando, se progettata bene, l’interazione fra i due. Il suo ruolo è definito e studiato dal designer che crea l’interfaccia affinché sia facile di facile utilizzo e che possa portare l’utente a raggiungere gli obiettivi che si è preposto. Il raggiungimento dello scopo è garantito da alcuni accorgimenti che abbattono la possibilità di errore o di non comprensione come l’utilizzo di elementi di uso comune e standardizzati, la possibilità di rivedere le proprie azioni ed essere sempre in grado di adattarsi dinamicamente alle sollecitazioni esterne. Il concetto di Natural User Interface viene introdotto per classificare quelle interfacce invisibili, oppure lo diventano con successive interazioni, ai suoi utenti. L’utente durante l’esperienza effettua movimenti, azioni e gesti attraverso operazioni rese naturali mirate a controllare ed elaborare informazioni.

Quando hai qualche problema con gli oggetti —fosse per capire se tirare o spingere una porta o le stravaganze dei moderni computer e dell'industria dell'elettronica— non è colpa tua. Non rimproverare te stesso: rimprovera il progettista. {D.Norman, La caffettiera del Masochista, 1997}


c. comunicazione/interazione

c.5 Wayfinding Il termine fu utilizzato per la prima volta nel 1967 da K. Lynch in “The Image of the city” e tradotto letteralmente “trovare la strada”, quindi parliamo di città, luoghi abitati e progettati per abitare, dove si ha bisogno di muoversi. Nel 1992 Romedi Passani e Paul Arthur estendono il concetto di Wayfinding aldilà della semplice disposizione di segnali, insegne e indicazioni. Le informazioni nello spazio hanno diverse forme: Istruzione (cartelli indicatori) e inviti all’interpretazione (varco che suggerisce l’entrata). La prima è una comunicazione esplicita mentre la seconda stimola la scelta e a compiere l’azione scegliendo quella ipotesi. Il Wayfinding è dunque il modo in cui è organizzato lo spazio costruito per aiutare e indirizzare il nostro orientamento.

Il wayfindig è un istruzione d’uso dal basso, è la risposta alla domanda prima che venga posta. {S. Zingale, intervista a cura di Linda Melzani}

Interazione dialogante

Il wayfinding inteso solo come agglomerato di oggetti (segni e indicazioni) non può risolvere da solo il problema inquinato ci ritroveremmo a risolvere con oggetti problemi legati ad oggetti, oltre che porterebbe all’accumulo di rumore informativo. Pertanto è indispensabile dare agli oggetti quella capacità di invitare all’interpretazione, di indirizzare alla scelta e a guidare verso la soluzione. Questo gioco semiotico è fatto da un utente che si sforza di interpretare e il progettista che deve concepire oggetti come inviti all’azione. Interazione sta in questo: non in un dialogo cieco ma in uno scambio di battute, non in un parlare e ascoltare ma in un domandare e rispondere.

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Orientamento/ cognizione

L’orientarsi presuppone la conoscenza dello spazio e la cognizione è essere in grado di riconoscere e calcolare ciò che ti circonda. Avere cognizione dello spazio vuol dire avere in mente cos’è e com è l’ambiente in cui ci si trova. Questo attribuzione di senso avviene sulla base di esperienze passate in luoghi simili pertanto il nostro abitare i luoghi è un modo per sentirci sempre in un luogo famigliare. “Quando entriamo in un luogo pubblico che non conosciamo, […] in una stazione ferroviaria, di quello spazio abbiamo già una qualche cognizione spaziale: sappiamo, ad esempio, che la biglietteria si troverà fra l’entrata e i binari, […]. Lo sappiamo per l’esperienza passata, perché abbiamo visto altri luoghi simili alla nostra stazione e quindi procediamo per somiglianza.” 9

L’abitare è essere ovunque a casa propria. {U. La Pietra, Attrezzature urbane per la collettività}

9.  S. Zingale, estratto dell'intervista a cura di Linda Melzani


c. comunicazione/interazione - casi studio

c.6  Museo diffuso Esordi

Georges Henri Revière e Hugues de Varine sono due museologi considerati gli ideatori di questa forma di museizzazione particolare che ha tre profonde e chiare differenze dai musei tradizionali. La triade del museo tradizionale è: immobile, collezione, pubblico quella dell'ecomuseo - territorio, patrimonio, comunità. Si tratta quindi di un nuovo modo di pensare ad un museo, che esce dal luogo chiuso e si riappropria del territorio, reinstaurando un legame forse perso o non particolarmente saldo. Non si limita a raccontare e a custodire una collezione, ma abbraccia il patrimonio storico-artistico-architettonico-paesaggistico di un intero territorio. Infine, non ha un pubblico ma tutti lo sono: la comunità intera svolge un ruolo partecipativo e propositivo durante il processo. “L’Ecomuseo vuole essere uno specchio nel quale la comunità locale ritrova la sua identità e la mostra agli altri [...] un patto con il quale la comunità si prende cura di un territorio”

Appartenenza

Il rapporto della comunità con il territorio determina il senso di appartenenza ed è ciò che definisce l'identità della comunità stessa. Pertanto, territorio e comunità, sono elementi fondamentali dell'ecomuseo (museo diffuso), tanto da far scatenare un rapporto di dipendenza l'uno dall'altro, ciascuno è la forza dell'altro. È proprio l'appartenenza e il senso d'identità il motore alla base di qualsiasi azione di valorizzazione del territorio. Partendo dal basso si riesce a creare una sinergia particolare con la comunità che sente propria questa azione di promozione e valorizzazione del territorio.

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La carta di Catania

In Italia non si ha ancora leggi che regolano queste forme di riappropriazione del territorio, ma nel 2007, durante un l'Incontro Nazionale Verso un Coordinamento Nazionale degli Ecomusei: un processo da condividere tenutosi a Catania, è stato elaborato un documento anche detto La Carta degli ecomusei in cui furono espressi i principi fondanti del museo diffuso, e tra i primi firmatari anche uno dei fautori, Huhues De Varine.

L’Ecomuseo è una azione portata avanti da una comunità, a partire dal suo patrimonio, per il suo sviluppo. L’ecomuseo è quindi un progetto sociale, poi ha un contenuto culturale. {S. Buroni, Piccolo dialogo con Hugues de Varine}






c. comunicazione/interazione - casi studio

Vai Giusto Sistema di segnaletica analogico, progettato seguente principio scalabilità che fornisce informazioni per visitare la città. L'approccio di scala viene fuori in corso, mostrando le informazioni passo passo durante il percorso alla scoperta della città, ed è sempre orientato al punto di vista dell'utente. Kit Audace Composto da hardware open source e il software fornito dal Comune permette di creare nuovi servizi. Il kit include manuale e servizio di assistenza. Il tutto basa su una comunità adhoc che funge da facilitatore per condividere i dati. Ulysses Una mappa una tradizionale della città dotata di un chip RFID (RadioFrequency IDentification). Il chip è collegato con la piattaforma Ursus e con un l’account personale. Ogni utente possessore di questa mappa passando in prossimità del lettori, che sono sparsi in tutta la città, registrerà tutte le attività giornaliere sul proprio profilo personale. Gli utenti possono personalizzare la loro esperienza in città e nel frattempo a livello organizzativo si potrà avere un quadro completo delle attività che si stanno svolgendo in tutta la città e poter provvedere a gestire con più accuratezza le situazioni di sovraffollamento e difficoltà. Bikeolana È un servizio bikesharing-aumentata che suggerisce e informa l'utente sul dove andare e cosa visitare. Un apposito display applicato alla struttura bikesharing mostra eventi, luoghi e punti di riferimento all'interno della città. Anche questo sistema dialoga in maniera continua con il cervello che che è Ursus.

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6.  Moderno murattiano Progettazione del sistema d’identità e di orientamento per la fruizione del museo diffuso del quartiere Murat di Bari.


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6.1 Concept La ricerca riportata nei capitoli

di comunicare l'esistenza e il valore

precedenti, evidenzia un gap fra la

di queste opere, di farle rientrare

reale storia e condizione attuale

nell'immaginario collettivo, di

dell'architettura di Bari e l'immagine

riconoscere loro un ruolo nella storia

che di essa i fruitori detengono e i

della città.

canali di comunicazione trasmettono. Il fenomeno si accentua nel quartiere

Nella volontà di trattare questi edifici

Murat, dove il più alto numero di

come patrimonio della comunità e di

architetture moderne si scontra con

condurre essa stessa ad assumere un

un percezione fortemente dominata

atteggiamento di tutela e promozione,

dallo stile neoclassico.

abbiamo orientato questo studio alla

Si delinea quindi, in questo quartiere

progettazione di un museo diffuso.

piuttosto che altrove, la necessità


6. moderno murattiano

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6.2  Identità del circuito Lo sviluppo di un'identità per il museo diffuso, parte quindi dalla volontà di coinvolgere la comunità e tutti i fruitori al suo sviluppo e di trattare gli stessi non come pubblico passivo, ma come attori partecipi. Il progetto si articola in due fasi: la prima è della dell'esperienza diretta, compiuta all'interno del quartiere da ogni fruitore, che nel percorrerlo (ri)conosce un patrimonio che gli è proprio; la seconda fase è quella della partecipazione in cui ogni fruitore condivide la propria esperienza e la mette a disposizione di un progetto collettivo.

ESPERIENZA

PARTECIPAZIONE

s. f. [dal lat. experientia, der. di

Il fatto di prendere parte ad una

experiri: v. esperire].

qualsiasi forma di attività, sia

Conoscenza diretta, personalmente

semplicemente con la propria

acquisita con l'osservazione, l'uso o la

adesione, con un interessamento

pratica.

diretto, sia recando un effettivo

Contenuto di conoscenza umana

contributo al compimento dell'attività.

considerato dal punto di vista delle

{Treccani}

modificazioni psicologiche e culturali che esso determina nello sviluppo spirituale di una persona.




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6. moderno murattiano

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AN AMERICAN VERNACULAR

GOTHAM


6. moderno murattiano

Gotham by Tobias Frere-Jones, 2000

Gotham è una font sans serif che trae

otto persi (da Thin a Ultra), quattro

ispirazione dalla tradizione tipografica

varianti in larghetta (Regular, Narrow,

delle metropoli americane del '900.

Extra-Narrow e Condensed).

Indipendentemente dal supporto e dal

Un sans serif efficiente e versatile che

materiale usato (vernice, intonaco,

non tradisce mai la tradizione, anzi, la

metallo, insegne al neon...), il lettering

rievoca.

urbano si caratterizza di un struttura di base asciutta, un disegno semplice

Nel 2008, i caratteri del Gotham

e, in generale, di un look handmade.

vengono scelti per la campagna presidenziale di Barack Obama: per un

Nel 2000, Tobias Frere-Jones,

lettering fresco, che guarda e rispetta

reinterpreta i caratteri di New York

la storia dell'America, annunciandone

e progetta un carattere costituito da

un cambiamento.

319






324

6.3  Progettazione di "punti visivi" La necessità di rendere gli edifici

1.  Si è scelto di dedicare l'area

L'area centrale del punto visivo,

oggetto del circuito, più figurabili,

centrale, contemporanemente alla

ha anche lo scopo di identificare il

conduce alla pianificazione di undici

riconoscibilità del circuito e alla sua

circuito: il sistema d'orientamento

punti visivi: essi costituiscono dei

fruizione.

è il risultato di un processo analogo

punti preferenziali per l'osservazione

La base è ancora la griglia murattiana,

a quello dell'identità e conduce a

degli edifici.

allineata alle strade reali del quartiere

risultati riconoscibili e accomunabili.

e posizionata in modo che l'edificio Si è scelto di dare ad essi una forma

in ogni punto visivo, all'interno della

circolare, tale da rendersi facilmente

mappa, coincida con il centro del

individuabili nel rumore urbano e da

punto visivo.

indurre l'osservatore ad entrarvi ed

Dall'edificio (al centro del cerchio)

assumere una posizione centrale.

si allontanano tre strisce dai colori differenti, avvicinandosi agli edifici,

Ogni punto è strutturato in due aree:

precedenti e successivi, in percorsi

1. Area centrale,

strutturati per Cronologia, Autori,

identità e orientamento

Vicinanza.

2. Area esterna,

—Questo sistema di orientamento

etichetta e riferimenti

verrà affiancato a strumenti illustrati successivamente—
























6. moderno murattiano

6.7 Applicazioni

347






352












7. Conclusioni


364

Troppo spesso ci siamo imbattuti in giudizi personali troppo forti nei confronti di un certo tipo di architettura, spesso guidati dal gusto personale o dall'incapacità di comprenderne il valore. Il lavoro presenta una doppia occasione: da un lato applicativa di metodologie progettuali e comunicative avanzate, dall'altro quella di incentivare la scoperta di quello che ci circonda e che ci appartiene, di quello che ci sembra vicino ed invece è già lontano e necessita di maggiore tutela. Questo studio (ci auguriamo) ha fatto del rapporto con le persone la sua ragion d'essere, il denominatore comune alle sue parti di racconto, ascolto e proposta: all'esigenza di valorizzare un patrimonio collettivo, abbiamo dato risposta ponendo la collettività stessa al centro di un azione progettuale di valorizzazione.


La ricostruzione su nuovi fondamenti teorici e operativi e la riqualificazione della qualità visiva di un quartiere consolidato e in gran parte costruito, dovrà essere l’impegno per il terzo secolo del murattiano. Di riflesso si otterrebbe un rinnovamento anche dell’immagine della città e il vecchio contrasto, tra architettura classicista e moderna, non sarà più percepito come una perdita identitaria ma diventerà una risorsa della città, un’icona di Bari 3.0 {L. Netti}




Bibliografia e sitografia AA.VV., Bari moderna 1790 1990, Storia di città n.51, Milano, Electa, 1991 AA.VV., n. 43 - giugno 2010 newbasic, Milano, editore del Verri, 2010 AA.VV., Costruire il moderno, Bauer R., Ruedi Bauer Intégral, Suisse, Lars Müller Publishers, 2010 Benjamin W., L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 2014 Bubbico M., Matera, Segni, immagini, relazioni e verifiche, Matera, Antezza, 2011 Cairo A., L'arte funzionale. Infografica e visualizzazione delle informazioni, Torino, Pearson, 2013 Caprioli S., Corraini P., Manuale di immagine non coordinata, Corraini, Mantova, 2005 Di Bari D., La città fuori legge, Bari, Ecumenica, 2000

Bari: vicende urbanistiche del centro storico 1867-1967, Bari, Dedalo, 1968

Falcinelli R., Guardare, pensare, progettare, Viterbo, Stampa Alternativa & Graffiti, 2011 Farrauto L., Tedi di Dottorato di Ricerca, 2012 Frutiger A., Segni e Simboli, Viterbo, Stampa Alternativa & Graffiti, 2011 Guida F.E., La grafica e la (ri)scoperta del genius loci, Progetto grafico n°17, Milano, Aiap, 2010 Kanizsa G., Grammatica del vedere, Bologna, Il Mulino, 1997 Lupton E., Phillips J. C., Graphic design the new basic, New York, Princeton Architectural Press, 2008 Lupton E., Thining with type, New York, Princeton Architectural Press, 2010 Lynch K., L’immagine della città, Venezia, Marsilio, 2011 Maeda J.A., Le leggi della semplicità, MIlano, Mondadori, 2006 McLuan M., Gli strumenti del comunicare, Milano, Il saggiatore, 2008 Mela A., Sociologia della città, Roma, Carocci, 2006 Merleau-Ponty M., Fenomenologia della percezione, Milano, Bompiani, 1945 Munari B., Design e comunicazione visiva, Bari-Roma, Laterza, 2007

Fantasia, Bari-Roma, Laterza, 2005

Parker S., Teoria di esperienza urbana, Bologna, Il Mulino, 2006 Perondi L., Sinsemie, Viterbo, Stampa Alternativa & Graffiti, 2012 Petrignani M., Bari, il borgo murattiano, Bari, Dedalo, 1981 Petrignani M., Porsia F., La città nella storia d’Italia BARI, Bari-Roma, Laterza, 1988 Secolo C., Tesi di Laure Magistrale, 2011 Semerari L., Mele F., Fregasso B., La nuova edilizia a Bari, Bari, Adda, 2010 Signorile N., Occhi sulla Città, Bari-Roma, Laterza, 2005

Atlante 900. Per la tutela dell'architettura contemporanea a Bari, Bari-Roma, Laterza, 2009

Sorbero A. M., Antropologia della città, Roma, Carocci, 1992 Zingale S., Testi di Didattica


https://occhisullacultura.wordpress.com https://dondialetto.it http://www.seum.it/22-blog/identita-visiva/22-marcho.html http://gerdarntz.org/isotype http://www.designplayground.it/2014/03/city-branding-e-bologna/ https://www.melbourne.vic.gov.au/ABOUTMELBOURNE/MELBOURNEPROFILE/Pages/CorporateIdentity.aspx http://www.hailtothehypnotoad.com https://www.epflalumni.ch/print-your-individual-logo/ http://www.enigmaprod.ch/en/projects/generative-identity-for-the-epfls-alumni/ https://www.pixellogo.com/es/design-style/beautiful-branding-epfl-alumni http://www.lukew.com/ff/entry.asp?1514 http://www.irb-paris.eu/



Grazie a... Il Prof. Michele Colonna, per averci dedicato il suo prezioso tempo, i suoi utili consigli e non aver mai fatto mancare suggerimenti culinari sulla città di Altamura. Il Prof. Lorenzo Netti per le sue mai noiose lezioni di Disegno e per averci liberamente concesso di utilizzare il termine MODERNO MURATTIANO da lui coniato. Il Prof. Nino Perrone, per averci spalleggiato e dato conforto con la pacata approvazione. Il Prof. Moschini, Francesco Maggiore, il Prof. Borri, il Prof. Cucciolla e Nicola Signorile, per aver risposto alle nostre domande e partecipato con il loro contributo al nostro lavoro. Il Prof. Sergio Bisciglia, per aver messo a nostra disposizione le sue competenze. Lo staff dell'archivio di Stato di Bari per averci supportato nella ricerca. I nostri compagni di corso, i pranzi spartani, le uscite serali e i caffè fugaci. Il nocino, le scorzette, le tette delle monache, la focaccia, Pein Assutt, Una Nicchia di Sapori e il Caffè Ronchi Striccoli.

R. Francesca, musa ispiratrice di questa splendida avventura, fonte di immensa dolcezza e comprensione nella vita di tutti i giorni. La mia famiglia, che forse non ha mai compreso il perché di questa mia scelta: devo a loro la forza e la grinta nei momenti di stanchezza. Gli amici di sempre, la Municipale Balcanica, i colleghi di Università per avermi voluto bene sin dall’inizio e a tutti i clienti che pazientemente hanno atteso questo momento solo per la smania di vedere i propri lavori terminati: Sono tutto vostro!

G. La mia famiglia, per essere stata il punto fermo di questo percorso. Le Sbarre, il locale di Via Trieste e tutti i miei amici, senza i quali non mi sarei concesso (forse) le necessarie distrazioni. Te, per essere rimasta al mio fianco, con comprensione e fiducia.



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