Raffaella Formenti uno scritto di
Alicia
Negrini
brano estratto dalla Tesi di Laurea “Installazioni con materiali di recupero” novembre 2005 Università Cattolica di Brescia
La trasformazione dell’oggetto Esiste una tendenza basata sull’appropriazione dell’oggetto e sulla sua elaborazione volta a creare un nuovo oggetto, completamente diverso da quello di origine. Questo tipo di operazione prevede la coincidenza tra oggetto e materia prima, si tratta di materia prima non informe e non neutrale, ma presa dalla realtà allo stato di “ready-made”, già plasmata da qualcun altro. Intervenendo su questo oggetto l’artista crea i propri manufatti, la cui realizzazione prevede l’impiego di una speciale abilità manuale, rispetto ad uno specifico materiale, che consenta di dare una nuova forma agli oggetti. E’ una sorta di riciclaggio a scopi artistici che attraversa diverse fasi: il recupero del materiale d’origine nella quantità necessaria per realizzare un progetto, l’annullamento della forma preesistente, l’elaborazione per la creazione del nuovo oggetto ed infine la creazione dell’opera d’arte attraverso l’assemblaggio dei nuovi prodotti. Il riferimento al riciclaggio non riguarda solo i passaggi che l’oggetto originario deve subire per essere trasformato, ma anche la sua natura. Esso è solitamente una cosa scartata, ormai privata della capacità iniziale di soddisfare un bisogno, divenuta dunque spazzatura, materiale fin troppo facilmente reperibile e senza costo.
Raffaella Formenti frequenta il liceo scientifico a Brescia, inizia a dipingere da autodidatta, approfondendo poi a trent’anni la passione per l’arte all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Diplomatasi nel 1989, inizia ad esporre costantemente in personali e collettive, ma è con la mostra del 1993 allo Spazio L’Aura Arte Contemporanea di Brescia che il suo lavoro subirà una notevole svolta, determinata dall’abbandono della pittura in favore di uno stile del tutto particolare. Il suo percorso artistico si delinea a partire dal tentativo di raggiungere una forma espressiva semplice, un “gesto minimo”, immediato e ricco di potenza comunicativa, inizialmente riconosciuto nell’uso dei pastelli ad olio su normali fogli A4 senza cornice. Concentra la sua attenzione su interrogativi riguardanti il supporto e i materiali, interessi che vanno al di là delle consuete questioni estetiche e formali stimolate dalla pittura.
Nell’opera del 1989 intitolata Pagina (immagine precedente) l’artista espone i disegni a pastello appesi su pannelli bianchi, essi sono suddivisi da strisce di carta per calcolatrice che riportano brani tratti da testi di estetica ricopiati a mano sui rotoli. Formenti stessa vuole dunque imporsi delle regole riferite ai metodi scolastici d’insegnamento che dedicano solo uno spazio marginale di tempo alle pratiche artistiche. La più evidente di queste norme è la scelta di un formato comune, reso quasi banale dalla sua ampia diffusione, che comporta una fondamentale rinuncia allo stupore del mezzo espressivo. All’interno dello spazio-pittura del foglio l’artista si concentra soprattutto sul colore, seguendo una tecnica molto vicina all’espressionismo astratto (Ne pas peindre au dessus de la ligne, 1991).
Nuove soluzioni espositive sono il segnale di una sua insofferenza a fare pittura su supporti tradizionali: già nel ‘90 appende al muro pannelli bianchi su cui lo spettatore può proiettare mentalmente l’immagine di alcuni piccoli disegni a pastello posizionati, l’uno di seguito all’altro, come una greca di fine pagina su un quaderno a quadretti (Proiezioni, 1990)
La pittura non riesce però a soddisfare il profondo desiderio di espressione radicato nello spirito dell’artista, che sente la necessità di superare i limiti imposti dal foglio, per essere libera di sperimentare nuove soluzioni e diverse tipologie di comunicazione. Formenti comincia allora a rappresentare questa sensazione di impedimento, presente nel suo far pittura, usufruendo di materiali insoliti, soprattutto di scatole d’imballaggio dei prodotti ortofrutticoli. Le scatole della frutta rappresentano
una presenza fisica, un ostacolo da
superare,
esse
vengono
posizionate l’una sull’altra fino a creare alte colonne che uniscono il pavimento al soffitto (come in La torre informatica, 1992 o in Le grand coupon, 2000) oppure sono
usate per costruire dei muri che, nonostante la fragilità intrinseca, trasmettono una sensazione di solida stabilità (La muraglia del voyeur,
1993).
Alcune
opere
iniziali denotano come per un certo periodo Formenti non abbandoni totalmente l’intervento pittorico.
In Pictabox (1994), per esempio, la scatola viene dipinta, ripetuta e incastrata all’interno di altre scatole più grandi. In un primo periodo agisce sugli imballaggi con interventi pittorici, ma dal 1995 prenderà esclusivamente il colore direttamente dalla realtà che la circonda: depliant, volantini pubblicitari, manifesti che invadono la città in cerca di un po’ d’attenzione da parte degli abitanti. Questo materiale attrae l’artista per alcune caratteristiche estetiche: la forma, il colore e le dimensioni.
“Pedalando ho visto casualmente una quantità immensa di scatole gialle fuori da un negozio di borse, per me è stato come un colpo di fulmine, allora me le sono portate via poco per volta con la bicicletta e le ho usate per realizzare una serie di lavori interessanti. Oppure mi è capitato di utilizzare delle scatole da wind-surf che erano state messe fuori da un negozio di sport…a volte è il materiale che mi propone l’idea e a volte sono io ad avere delle esigenze specifiche che mi portano ad andare a caccia di un certo tipo di imballaggio. E’ affascinante la casualità dell’incontro col materiale, per me è portarmi a casa del colore e della comunicazione.” 1 La raccolta dei materiali utili ha tutte le caratteristiche di una provocazione nei confronti dell’accanita attività commerciale, soprattutto nel momento in cui l’artista esce dai supermercati con il carrello della spesa colmo di imballaggi dei prodotti acquistati da altra gente: più gli altri consumano più l’artista può lavorare. Così Formenti prende ciò che le serve per fare arte direttamente dal luogo in cui si trova, questo le consente di viaggiare solo con la sua pistola…quella del silicone a caldo, una colla densa e molto chimica usata per assemblare i vari
frammenti raccolti. Nei primi lavori accadeva spesso che l’artista ricoprisse completamente la superficie cartacea con uno strato di colla che offuscava con la sua patina opaca la carta stampata, quasi ad impedirne la lettura; attualmente il silicone è usato solo come elemento connettivo tra le varie componenti dell’opera. Raffaella prende la carta, la strappa, la piega e la ripiega fino a
creare dei piccoli origami chiamati ironicamente “pixel” (unità di misura del colore dei monitor) che sembrano discendere dalla volontà manifestata all’inizio della carriera di chiudere i disegni a pastello all’interno di imballaggi di polistirolo che frammentavano la loro superficie suddividendola in quadratini. (“Imballo”, 1994; frammento particolare di “Disequilibrato”, 1994)
Centinaia e centinaia di scatoline, di diverse dimensioni, ma tutte identiche nella forma, vengono prodotte quasi automaticamente dalle laboriose mani dell’artista mentre vagabonda per la città a scrutare il teatro umano. I gesti consecutivi di piegatura, che spesso avvengono usando pezzi di carta sovrapposti l’un l’altro per aumentare la produttività, rendono manifesto il lavoro ignorato di persone sfruttate e sottopagate che faticano ogni giorno per produrre merci sottoposte ad una lunga serie di passaggi speculatori, prima di essere immesse sul mercato della nostra società consumistica. I pixel vogliono nascondere il contenuto di un messaggio all’interno di un contenitore, in un involucro colorato e attraente, che è fisicamente vuoto. Nemmeno il messaggio che trasporta è completamente accessibile all’osservatore, egli può disfare il pixel solo mentalmente e avverte, in mezzo a tanta comunicazione, una sorta di difficoltà a comprendere. Quando il foglio di carta diventa pixel, subisce una profonda trasformazione:
la
superficie
piana
del
depliant
viene
manipolata, strappata per essere ridotta a quadrato, piegata e resa tridimensionale, in quel preciso istante il suo scopo promozionale è annullato, diventa un oggetto componibile, usato come unità di colore, piccolo tassello dell’infinito mosaico del reale, così fragile e precario. Formenti lavora su ciò che è marginale perchè rivaluta il materiale di scarto, ma anche perché la produzione del pixel ha raggiunto un livello di automatismo tale da consentire alle mani dell’artista di continuare a lavorare anche quando il pensiero non assiste le sue azioni, sfruttando il tempo considerato perduto.
“(...) tra i pendolari del metrò, le code agli sportelli, le sale d’attesa, le file alle casse, lo struscio del sabato, le ore di televisione, le chiacchiere di circostanza…accumulo la mia manualità superflua trasformandola in un “prodotto scaduto con valenza estetica da monolocale”. Visualizzo il tempo perso rendendolo prodotto per mediare con chi non accetta che si perda tempo. Sto per ore a pensare, a guardare: in mezzo alla gente che ha luoghi in cui andare, fare, essere. Cammino per ore: le mie tasche si gonfiano di scatoline. Contengono l’attesa? Forse il TRASCORRERE.”2 Il foglio, reperto urbano, si trasforma in pixel acquisendo la forma del contenitore e, assemblato ad altri pixel, diventa opera d’arte che contiene la mutevolezza del divenire. L’insieme di pixel si espande per occupare uno spazio sempre più ampio, dalla parete al pavimento, fino a diventare una vera e propria installazione. Osservando Digitale terrestre, realizzata nel 2005 all’interno dell’ex-cotonificio di Roè Vociano (Brescia) in occasione della mostra “Rifiuto Riusato ad arte”, il visitatore è attratto dagli innumerevoli pixel disposti su un’ampia porzione del pavimento, in certe zone sono disposti ordinatamente l’uno accanto all’altro, in altre porzioni sono “ammucchiati” fino a formare rilievi di tasselli colorati, a volte si uniscono per essere superficie coprente, altre
volte
lasciano
intravedere
delle
frasi
ricorrenti
(“risparmia”, “affare fatto!”, “volevi la luna?”). Il caso gioca un ruolo fondamentale perché spesso gli si affida la distribuzione ed il posizionamento dei componenti e inoltre determina, durante la realizzazione del pixel, quale parte del foglio sarà visibile allo spettatore. La forma del contenitore si
ripete ossessivamente, essa rende i contenuti sovrapponibili e archiviabili, è luogo della memoria e dell’oblio, la si ritrova ovunque si fermi lo sguardo. L’installazione ha tutto l’aspetto di una città con quartieri, strade, case e alte ciminiere . Essa comunica attraverso immagini, parole, colori e messaggi spezzati che non vengono compresi, ma percepiti solo superficialmente, come ci accade ogni giorno, camminando per le strade invase dalla pubblicità. Il digitale terrestre, grande novità della nostra epoca, cerca di farsi strada tra questa miriade di informazioni, per entrare nelle nostre case senza discrezione. La ridondanza pubblicitaria è il tema principale di un’esposizione tenutasi alla Fabio Paris ArtGallery di Brescia nel 2002, intitolata Rumori visivi. L’allestimento è costituito da numerosi imballaggi gialli incastonati da pixel e strappi di scritte pubblicitarie, sparsi sulle pareti della galleria senza un apparente ordine preciso.
I colori vivaci e le porzioni d’immagini esposte alla vista attirano l’osservatore e suscitano il desiderio inesaudibile di scoprire il contenuto di ogni particolare. Segnali stradali e reti da cantiere sono i materiali protagonisti dell’installazione realizzata nel 2003 per “Arte da Brescia” a Palazzo Bonoris. La rete arancione con cui Formenti ricopre pareti e crea corridoi è un elemento particolarmente
significativo: la si vede sempre più spesso per le strade ed è il simbolo dell’inevitabile metamorfosi dell’ambiente che ci circonda. Le pareti diventano bacheche a cui sono affissi annunci di lavoro ad indicare un vivere solo apparentemente protetto da ogni rischio, quando invece manca la tutela
di
necessità
fondamentali
come il lavoro. L’artista allestisce un’impalcatura che rende lo spazio della galleria un luogo di transito obbligato,
con
una
doppia
rete
di protezione ai lati, rendendo lo spettatore protagonista di un vero e proprio transito “in rete”. Nei titoli delle sue opere la rete e il mondo dell’informatica sono spesso citati
ironicamente: pixel gialli sovrapposti l’un l’altro e incollati rappresentano Files di transito, mentre altre scatoline riempite di origami e posizionate ordinatamente a formare un
quadrato diventano un Archivio di files temporanei. Una serie di giocose e variopinte creazioni si riferiscono alla pubblicità virtuale, quella che spesso riempie le nostre caselle di posta elettronica (Erogatore SPAM, 1999). L’ironia continua con i Cookie realizzati con la tecnica del thermoinserto, cioè l’inserimento e l’incollaggio di elementi cartacei all’interno di “tasche” realizzate tagliando orizzontalmente il rivestimento di un supporto, in questo caso un vassoio di cartone dorato (Cookie vitaminico, Cookie cartoon). Il mondo virtuale prende forma concreta e imponente con Motore di ricerca, installazione esposta nel 2001 presso l’Abbazia di S. Zeno a
Pisa. Sembra che la colonna sia il meccanismo principale di ricerca delle informazioni, rappresentate dai listelli di carta di scarto meccanicamente trinciata. La distesa di sacchetti di carta potrebbe essere la grande quantità di siti che
raccolgono le informazioni da proporre all’utente. Egli dovrà imparare a selezionare i dati veramente interessanti immersi in quel mare di messaggi indifferenziati forniti dal motore di ricerca, altrimenti rischierà di naufragare. Una simile distesa di sacchetti è usata anche nel Motore di ricerca presentato alla galleria Miralli di Viterbo nel 2002 e nell’installazione del 2005 per la mostra “Zig Zag tra Bus e Spam”.
Nel 2001 Raffaella Formenti presenta un’altra interpretazione del motore di ricerca: un lungo nastro adesivo mollemente arrotolato e appeso al muro per mezzo di un sostegno, esposto nel 2001 per mostra “Doppio Triangolo” alla Galleria Fasciati di Chur in Svizzera. L’idea di meccanismo è ancora presente, ma questa volta si tratta di un oggetto, non un
ambiente, un ingranaggio capace di catturare informazioni e porzioni di immagini rese visibili grazie alla trasparenza del materiale. Quando Formenti agisce sulla carta con lo strappo, usando la colla o il nastro adesivo, lascia dei segni bianchi di carattere pittorico sulla pagina, sul manifesto o sulla scatola, essi suggeriscono l’idea di una lettura distratta e superficiale, causata dal bombardamento dell’informazione. Non usa mai le forbici perché sono uno strumento troppo preciso, il taglio della lama impedisce l’accesso di quella misteriosa casualità, parte integrante ed imprevedibile dell’opera.
“Io amo strappare. Strappare affreschi quotidiani. Parole. Immagini. Materiali. Luoghi. Sovrapporli: affastellarli o al contrario liberarli da ogni rumore che impedisca la lettura. Strappo scatole e carta alle cose da buttare e le sovrappongo a se stesse in un nuovo racconto […]”3
Lo strappo è una sorta di trasgressione al comando “tagliare lungo la linea tratteggiata” stampato sulla superficie patinata di molti coupon e che, nel 2000, ispira l’allestimento della mostra alla galleria Koniarka a Trnava, in Slovacchia, le cui pareti vengono interamente percorse da un tratteggio di
immagini strappate su scotch trasformando l’intero ambiente in un gigantesco ed improbabile coupon. Infine Motore di ricerca: navigare a vista, esposto la prima volta nel 2002 alla Galleria Peccolo di Livorno, mostra il web come una sorta di “rete-cattura-informazioni” appesa alla parete: essa si apre davanti agli occhi dello spettatore che, osservando i contenuti cartacei dell’opera, la percorre con lo sguardo tentando di captare i significati, ma allo stesso tempo è consapevole di non riuscire ad acquisirli tutti.
L’insieme di queste opere, o parti di esse, va a comporre un’installazione molto significativa, che ogni giorno stimola la creatività di Raffaella Formenti, un’opera immensa che cresce con lei giorno per giorno: la sua casa. Scatole su scatole, alte torri appoggiate ai muri in cemento formano altri muri di cartone che impediscono pixel
il
colorati
passaggio. riempiono
Molti scatole
e tubi di plexiglas, compongono opere o quadri appesi ai muri. Cataste di giornali lacerati, riviste e volantini pubblicitari invadono tavoli e pavimenti, in attesa di acquisire una nuova forma. Questo ambiente presenta forti analogie con i Merz di Schwitters in cui le reliquie di un universo privato vengono immesse in
una
struttura
geometrica
di
impianto ancora cubista. Schwitters, così come Formenti, non considera l’oggetto nella sua integrità, ma nel
suo
essere
entrambi
vincono
frammentario, la
resistenza
opposta dall’integrità oggettuale frazionandola attraverso un processo di adattamento della forma.
“Schwitters è stato sicuramente uno dei miei grandi amori, guardando la mia casa non si può non pensare ai suoi lavori […] Tendo ad accumulare, è come se volessi togliere il fiato
nello stesso modo in cui a volte sentiamo che ci manca un po’ il respiro davanti alla quantità frastornante di messaggi che portano via lo spazio per un pensiero individuale…è come se fosse sempre il tuo pensiero in risposta a qualcosa che ti giunge da fuori e non la possibilità di un tuo pensiero tout-court…come se fossimo costretti a reagire a qualcosa di esterno.”4
L’opera di Formenti non è autobiografica come quella dell’illustre antesignano, essa non conserva frammenti di vita, perché scatole e depliant non sono mai stati cari né a lei né a nessun altro; crea invece qualcosa che, come significato, si avvicina a l’Allevamento di polvere sulla superficie del grande vetro di Duchamp, la polvere è di per sé inutile ed insignificante, ma essa trattiene il tempo e i segni del suo
passaggio.5 Nulla è da buttare, non appena una mostra finisce, tutto il materiale usato per le installazioni ritorna a casa e alimenta questo organismo mutevole, in perpetua crescita perchè rielaborato continuamente dall’artista che ogni giorno prende, strappa, piega e incolla, materiali vecchi e nuovi, riutilizza lavori del passato per crearne di altri, a cui infonde un inedito potere espressivo. Tra le montagne di carta si nasconde un computer, molto caro all’artista che
apprezza la possibilità di accorciare, almeno virtualmente, le distanze tra le nazioni, condividendo informazioni con il mondo intero, all’interno di una dimensione in cui tutto è “a portata di mouse”. Il metodo di lavoro adottato da Raffaella Formenti, che dona
nuova vita allo scarto, le permette di essere in costante contatto col mondo e con i suoi cambiamenti, imponendo la fisicità dell’accumulo presente in ogni azione quotidiana, ma anche nella rete elettronica. Le sue colorate installazioni dal titolo ironico sono frivole e divertenti soltanto in apparenza, infatti esse rivolgono uno sguardo profondamente critico ai meccanismi del sistema economico che, servendosi di una
pubblicità invasiva e ridondante, producono nuovi bisogni e nuove merci per soddisfarli. Viene così attivato un circolo vizioso che ha come obiettivo il denaro e come conseguenza lo spreco, e dunque il rifiuto. E’ paradossale pensare che la società stessa ci induca a voler avere sempre di più, e risulta difficile ammettere che alcune azioni, considerate frutto di
una volontà personale, siano invece “pilotate” da qualcuno o da qualcosa che ci induce ad un’inevitabile omologazione. Vivendo in un mondo che non produce più per consumare, ma consuma per produrre, Formenti preleva gli involucri seducenti, studiati per attirare il consumatore all’acquisto, si appropria del linguaggio pubblicitario e lo ripropone allo spettatore, affinché prenda coscienza delle mistificazioni in cui è coinvolto. Alicia Negrini - novembre 2005
NOTE: 1
Raffaella Formenti, conversazione con Alicia Negrini
2
Raffaella Formenti, testo critico di LONGARI Elisabetta, 1998
3
Raffaella Formenti, testi di DI SCALZO Claudio, TOSATTI Bianca e ZANCHETTI Giorgio, Milano,
Edizioni Dativo, 2002, p.18 4
Raffaella Formenti, conversazione con Alicia Negrini
5
Raffaella Formenti, testo critico di LONGARI Elisabetta, 1998
tratto da Tesi di Laurea di Alicia Negrini - Installazioni con materiali di recupero - novembre 2005 Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Scienze e tecnologia delle Arti e dello Spettacolo Relatore: prof. Francesco Tedeschi Correlatore: prof. Elena Di Raddo
Raffaella Formenti raffo.nita@tin.it http://www.travagliare.com/web2004/exibitions.htm