Don Chisciotte della Mancia

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Don Chisciotte della Mancia La “sana follia� nel primo grande romanzo moderno

I C L AS S I C I

Miguel De Cervantes

Miguel De Cervantes

Don Chisciotte della Mancia



Collana di narrativa per ragazzi


Editor: Paola Valente Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini Impaginazione: Benedetta Boccadoro Illustrazione di copertina: Simone Gori Approfondimenti: Paola Valente Schede didattiche: A. M. Mazzucco Ufficio stampa: Francesca Vici

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Miguel De Cervantes

Don Chisciotte della Mancia

Traduzione e adattamento di Giulia Schiavi



Capitolo

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IL CAVALIERE ERRANTE

In un paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, viveva

non molto tempo fa un cavaliere di poche ricchezze. Possedeva un ronzino ossuto, un cane da caccia, e consumava la maggior parte dei suoi beni comprando il minimo per sopravvivere. Mangiava e si vestiva poveramente. Vivevano nella sua casa una governante con più di quarant’anni, una nipote giovane ed un servitore. Egli aveva circa cinquant’anni, era magro e asciutto, era solito alzarsi all’alba e gli piaceva andare a caccia. Si chiamava Alonso Quijana. Siccome trascorreva la maggior parte dell’anno senza fare niente, questo gentiluomo cominciò a leggere libri di cavalleria con tanta passione che abbandonò la gestione della casa e vendette persino parte delle sue terre per comprare tutti i libri di cavalleria che poté trovare. Il pover’uomo si appassionò tanto a queste letture che trascorreva i giorni e le notti leggendo, e poiché dormiva poco e leggeva molto gli si consumò il cervello tanto da perdere il senno. Cominciò così a credere che le battaglie, le sfide, gli incantesimi, gli amori e tutte le invenzioni che trovava nelle sue letture fossero vere. Quando perse completamente il senno ebbe la stravagante idea di farsi cavaliere errante e andare in giro per il mondo con le sue armi ed il suo cavallo in cerca di avventure, per vivere come aveva letto che vivevano i cavalieri erranti. La prima cosa che fece fu quella di cercare alcune armi che erano appartenute ai suoi avi. Le ripulì meglio che poté, ma si accorse che la sua armatura non aveva la celata ma soltanto un semplice morione. Con la sua abilità vi trovò un rimedio: fece una specie di 5


Capitolo 1

mezza celata di cartone che incastrò nel morione. Per provare se era resistente prese la spada e le assestò due colpi, ma con il primo rovinò tutto il lavoro che aveva fatto in una settimana. La rifece mettendoci dei sostegni di ferro nella parte interna, e così rimase soddisfatto della sua resistenza. Andò poi a vedere il suo ronzino, che gli sembrò un cavallo migliore del Bucefalo di Alessandro Magno. Passò quattro giorni a pensare quale nome potesse dargli poiché non vi era ragione alcuna perché il cavallo di un cavaliere così famoso non avesse un nome illustre. Dopo aver pensato a lungo, tolto, aggiunto, disfatto e rifatto nella sua mente e nella sua immaginazione, finì col chiamarlo Ronzinante, ossia il primo di tutti i ronzini del mondo. Impiegò altri otto giorni per trovare un nome per sé e finì col chiamarsi Don Chisciotte. Poi, da buon cavaliere, volle aggiungere il nome della sua patria e chiamarsi così Don Chisciotte della Mancia. Con le sue armi ripulite, il morione trasformato in celata, il suo ronzino con un nome nuovo, egli pensò che ora gli mancava soltanto una dama di cui innamorarsi, perché il cavaliere errante senza amore è come un albero senza foglie né frutti o come un corpo senz’anima. Egli diceva fra sé: “Se io, per mia buona ventura, andando in giro, mi imbatto in qualche gigante, come accade di solito ai cavalieri erranti, e lo atterro e lo vinco, sarà bene che io abbia una dolce signora a cui portarlo prigioniero e che egli si inginocchi di fronte a lei e con voce umile dica: Io sono il gigante Caraculiambro che è stato vinto in singolar tenzone dal famoso cavaliere Don Chisciotte della Mancia, il quale mi ha ordinato di presentarmi davanti alla grazia vostra perché la vostra grandezza disponga di me a suo piacimento.” Questo discorso procurò tanto piacere al nostro buon cavaliere, che divenne ancor più contento quando trovò a chi dare il titolo di signora dei suoi pensieri. In un paesino vicino al suo c’era una giovane contadina di bell’aspetto di cui un tempo egli era stato innamorato. 6


Il cavaliere errante

Si chiamava Aldonza Lorenzo. Le cercò un nome che ricordasse quello di una principessa e gran dama, e così la chiamò Dulcinea del Toboso, nome che gli parve musicale e significativo, come tutti gli altri che aveva dato a sé e alle sue cose.

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Capitolo

2 La partenza

Terminati questi preparativi, Don Chisciotte non volle aspet-

tare più a lungo prima di mettere in pratica le sue idee, perché pensava che il mondo aspettasse le sue prodezze per vincere le ingiustizie. E così, senza dire le proprie intenzioni e senza che nessuno lo vedesse, una mattina del mese di luglio si armò ben bene, salì su Ronzinante e, messosi quello scarabocchio di celata, abbracciò lo scudo, afferrò la lancia e da una porta segreta del cortile uscì tutto allegro e soddisfatto di vedere quant’era stato facile dare inizio al suo intento. Ma non appena si trovò in cammino, un pensiero terribile lo assalì. Gli venne in mente che non era stato investito cavaliere, cosa che lo costringeva, secondo la legge della cavalleria, a non combattere con un altro cavaliere e gli proibiva di portare una qualunque insegna nello scudo finché non se la fosse guadagnata con il suo valore. Questo pensiero lo fece titubare nei suoi propositi, ma siccome la pazzia era più forte della ragione, decise di farsi investire cavaliere dal primo cavaliere che capitasse, imitando i molti che l’avevano fatto, così come aveva letto nei suoi libri. In quanto allo scudo pensò che non appena avesse potuto lo avrebbe pulito così bene da farlo diventare splendente. Con questo proposito si tranquillizzò e proseguì il suo cammino. Strada facendo, il nostro avventuriero parlava da solo: – Nessuno dubita – diceva – che in futuro, quando scriveranno la vera storia delle mie famose avventure, raccontino così: Era appena sorto il sole e gli uccellini cominciavano a cantare, quando il famoso cavaliere Don Chisciotte della Mancia salì sul suo famoso 8


La partenza

cavallo Ronzinante e cominciò a camminare per l’antica e ben nota campagna di Montiel. E aggiungeva: – O tu, saggio cronista di questa storia, non dimenticare il mio buon Ronzinante, eterno compagno di tutte le mie avventure! Poi diceva, come se veramente fosse innamorato: – O principessa Dulcinea, signora del mio cuore, perché mi hai allontanato dalla tua presenza e costretto a vivere lontano dal tuo amore? Così camminava lentamente, imitando nei suoi discorsi tutte le corbellerie che aveva letto nei libri. Camminò tutto il giorno e al calar del sole egli e il suo ronzino si trovarono stanchi e morti di fame. Don Chisciotte si guardò intorno per vedere se scorgeva qualche castello dove rifocillarsi e vide, non lontana dal sentiero, una locanda. Si affrettò e vi arrivò all’imbrunire. Poiché a Don Chisciotte tutto ciò che vedeva sembrava fosse fatto a immagine di ciò che aveva letto, la locanda gli sembrò un castello con le sue quattro torri e il ponte levatoio. Era certo che qualche nano, dall’alto di una torre, avrebbe annunciato con la tromba il suo arrivo. Si diresse verso la porta dove si trovavano due donne di quelle che la gente chiama popolane; ma a lui sembrarono due belle donzelle o due dame. Proprio in quel momento, per caso, un porcaro suonò il corno per radunare i suoi maiali; e subito Don Chisciotte, certo di aver sentito non un corno ma il segnale del nano che annunciava il suo arrivo, raggiunse la locanda molto contento e soddisfatto. Quando le donne videro arrivare un uomo così combinato, con armatura e con lancia e scudo, ebbero paura e stavano per rientrare, ma Don Chisciotte disse loro con voce affabile: – Non abbiate timore, nobili dame ed illustri donzelle, perché il mio desiderio è solo quello di servirvi. Le ragazze non capivano il suo linguaggio, e sentendosi chiamare donzelle, parola assai ridicola per la loro condizione, non poterono trattenere le risate. In quel momento uscì il locandiere, 9


Capitolo 2

uomo grasso e molto pacifico, il quale, osservando quella figura così comica, con armi così scompagnate, cominciò a ridere. Ma vedendo che Don Chisciotte cominciava ad offendersi, decise di parlargli cortesemente: – Se Lei, signor cavaliere, desidera mangiare, in questa locanda troverà di tutto in abbondanza. Don Chisciotte, di fronte alla gentilezza del locandiere, che a lui sembrava fosse il signore del castello, rispose: – Per me, signore, qualsiasi piatto sarà sufficiente, perché le mie armi sono il mio bagaglio, le dure rocce sono il mio letto e il combattimento è il mio riposo. Poi ordinò al locandiere di avere molta cura del suo cavallo, perché era il migliore del mondo. Il locandiere lo guardò, ma non gli sembrò di così tanto valore come Don Chisciotte diceva. Sistemò il cavallo e tornò a vedere che cosa desiderava il suo cliente. Le donzelle, che già si erano riconciliate con lui, lo stavano aiutando a togliere l’armatura, ma non riuscivano a sfilargli la celata che era legata con dei lacci verdi, e poiché non era possibile districarne i nodi bisognava tagliarli. Ma egli non lo consentì e rimase tutta la sera con la celata addosso. Siccome immaginava che le donne che lo aiutavano fossero dame importanti di quel castello, disse loro con molta grazia, imitando i versi dei suoi libri: – Mai cavaliere fu così onorato, come lo fu Don Chisciotte quando lasciò il suo villaggio. Principesse badavano a lui, donzelle al suo ronzino. – Ronzinante, signore mie, è il nome del mio cavallo, e Don Chisciotte della Mancia il mio. Il valore del mio braccio rivelerà il desiderio che ho di servirvi. Le ragazze, che non erano abituate a questo modo di parlare, non dicevano una parola; gli chiesero solo se voleva mangiare qualcosa. 10


La partenza

Siccome era venerdì, in tutta la locanda c’era solo qualche porzione di baccalà, che in quella regione chiamano salacca. Gli domandarono se voleva mangiare salacchini poiché non c’era altro pesce da mangiare. – Se sono molti i pesci piccoli – rispose Don Chisciotte – potranno far le veci di un pesce grande. Gli apparecchiarono la tavola vicino alla porta perché era più fresco, e il locandiere gli portò una porzione di baccalà mal cotto e del pane nero. Vederlo mangiare era motivo di grandi risate perché, avendo addosso la celata, non poteva portare niente alla bocca con le sue mani e così una delle donne doveva aiutarlo. Ma dargli da bere non sarebbe stato possibile se il locandiere non avesse fatto un foro a una canna e non gliene avesse messa un’estremità in bocca; dall’altra gli versava il vino. E tutto questo egli lo sopportava con pazienza, pur di non tagliare i lacci della celata. In quel momento arrivò alla locanda un guardiano di porci che suonò quattro o cinque volte la sua zampogna di canne. Ciò finì di convincere Don Chisciotte che si trovava in un famoso castello, che lo servivano con la musica, che i salacchini erano trote, che le donne erano principesse e che il locandiere era il signore del castello. E così gli sembrò che tutto il suo progetto andasse bene. Ma ciò che più lo preoccupava era il non sentirsi investito cavaliere, e gli sembrava di non poter iniziare legittimamente un’avventura senza aver prima ricevuto l’ordine della cavalleria.

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