Emanuela David Conati Nava
DIALOGARE PER CRESCERE
Felice ama il mare, il suono delle pietre, i profumi, la natura della sua terra. È una terra di sapienza profonda, di riti antichi grazie ai quali le donne anziane del villaggio riescono a salvare il ragazzo dal veleno potente dell’argia, il ragno della vita e della morte. Così Felice continua a vivere, a crescere e diventa un pastore, un vero pastore che ama il suo gregge e per proteggerlo è disposto a uccidere. Una storia potente, che ci parla di forti radici e umane fragilità per ricordarci come anche dal male, attraverso l’esperienza di un carcere che educhi, che guidi al rispetto per tutto ciò che vive, si possa rinascere e guardare oltre. Emanuela Nava, una delle voci più prestigiose della letteratura per ragazzi italiana, vive e lavora a Milano e ha pubblicato storie con le maggiori case editrici del settore. Con il patrocinio di
Dai 10 anni I S B N 978-88-472-2589-3
€ 9,00
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788847 225893
Emanuela Nava
Storie nate dalla collaborazione con i protagonisti del mondo sociale, per raccontare la vita agli adulti di domani
...lui preferi va restare da solo, a immagina re boschi e sentieri tra le valli
DIALOGARE PER CRESCERE
Editor: Patrizia Ceccarelli Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini Progetto grafico: Simona Dell’Orto Ufficio stampa: Salvatore Passaretta 1a Edizione 2016 Ristampa 5 4 3 2 1 0 2020 2019 2018 2017 2016 Tutti i diritti sono riservati © 2016 Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 - 60037- Monte San Vito (AN) e-mail: info@grupporaffaello.it www.grupporaffaello.it e-mail: info@raffaelloragazzi.it www.raffaelloragazzi.it Printed in Italy È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.
Emanuela Nava
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A Marco Verdone e alla rinascita dell’Isola della Gorgona. A Pinuccio Sciola, grande artista e musicista delle pietre. A Mara Lasi, che per prima mi ha svelato i segreti dell’argia partoriente. Agli amici di San Sperate e alla Sardegna tutta. Senza le Isole questa storia non sarebbe mai nata.
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Prefazione
IL SUONO DI TUTTE LE COSE
Quando un quarto di secolo fa iniziava il mio viaggio in questa minuscola isola-carcere non potevo immaginare quante cose avrei visto, conosciuto e sperimentato. Come medico veterinario ho toccato con mano tanti e diversi soggetti animali non umani. Ma ho anche incontrato molti nostri simili: liberi e reclusi. Ho poi conosciuto piante e rocce. La forza del mare e la sua mutabilità . Il potere invisibile del vento e gli aromi della macchia mediterranea. Ho visto il sole tuffarsi dietro l’isola e le berte volare a pelo d’acqua. 7
Ho visto apparire e scomparire la vita. Ho visto soffrire e gioire. Umani e non umani. Ho visto anche umani detenuti capire qualcosa in più della vita. Ho visto animali non umani, giovani e adulti, perdere la vita senza sconti sulla sofferenza. Ho visto morire i miei pazienti, “esseri senzienti” come noi, indifesi e pacifici, e mi sono chiesto il perché. Ho cercato e in parte ho trovato. Ho domandato e in parte ho ricevute risposte. Ho scoperto che in ogni cosa, piccola o grande che sia, che parli o non parli, dura o morbida, liquida o solida, è nascosto qualcosa di importante. Qualcosa che ci può far entrare in altri mondi. Addirittura qualcosa che può anche far ammalare o guarire. I saggi lo avevano capito: se una sostanza ha il potere di farci ammalare può anche farci guarire. Le strade non sono mai in un’unica direzione e la rete della vita è fatta di tanti incroci. Così come si incontrano le nostre vite con quelle degli altri esseri umani. Oppure con quelle degli altri animali non umani. O, ancora, con quelle di piante e sassi. Ma come far parlare gli esseri e gli oggetti? Ogni cosa vorrebbe dire qualcosa. 8
Anche le pietre, il mare, le piante, i ragni. Anche i prigionieri e i loro direttori. Ogni cosa e ogni essere ha un suo suono. La sua specifica vibrazione. Alcuni animali hanno un suono violento che chiamiamo veleno. Io sono convinto che per guarire da questo veleno ci vogliono suoni simili. Ogni male può essere allontanato da qualcosa di simile. La medicina omeopatica, che si fonda proprio su questo principio, ha chiarito come estrarre, conoscere e utilizzare il suono nascosto in ogni cosa per curare il simile con il simile. Me lo ha insegnato, io le ho creduto e, a mia volta, l’ho trasmesso ad altre persone. Durante la lunga frequentazione di quest’isola ho cercato di curare gli animali e il luogo che li ospita. La mia professione mi dice di tutelare la salute e la vita dei miei pazienti. La medicina omeopatica sprona a riconoscere le vere cause del male e rimuovere gli ostacoli alla guarigione. Ho quindi sperimentato che non è conciliabile voler curare i propri pazienti con il vederli andare a morte. Per questo, e per altre ragioni collegate, desidero che un giorno potremo chiudere tutti quei luoghi 9
dove una sterminata massa di individui, che semplicemente chiamiamo animali, soffre per causa nostra. Sono riconoscente a Gorgona che mi ha invitato a guardare oltre. Oltre il mare. Oltre le sbarre e le gabbie. Oltre gli animali diversi da noi. Oltre i sassi che sapevano cantare e che affidarono il suono a chi aveva anche le ali. Marco Verdone
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Era un bambino quando accadde. Era andato in cerca di pietre: le pietre di basalto che suonavano e vibravano come fuoco di un vulcano. Lo faceva sempre: si sedeva all’ombra di un albero e accarezzava i sassi con la mano umida. Era stato l’uomo enorme e biondo, l’uomo bellissimo e forte a dirgli che le pietre suonavano. Ma, perché suonassero con più forza, occorreva tagliarle, inciderle, permettere ai suoni di giungere fino al cielo, dove altri suoni di luna e stelle, musica di ingranaggi celesti, restituivano l’eco. L’uomo guardava il bambino con occhi così blu e scuri, che il bambino a volte si confondeva. – È ossidiana? È granito? È una pietra serpentina? – chiedeva. 13
– È una pietra viva – rispondeva l’uomo. – Le pietre sono vive. Vuoi ascoltare anche il suono dell’acqua? E l’uomo accarezzava piano una roccia calcarea che aveva inciso con tagli che la rendevano simile a un’arpa e da quella carezza nasceva uno zampillo, uno scorrere di onde, un mormorio di conchiglie. – Le pietre sono acqua, fuoco, stelle. Le pietre sono i semi del mondo – diceva l’uomo. E allora raccoglieva piccoli sassi e li spargeva nei campi dove cresceva il grano. Lo faceva gettandoli alle spalle, senza guardare dove fossero caduti, affinché i sassi potessero generare nel buio della terra giganti e draghi. – Ancora, ancora – diceva il bambino. – Fallo ancora. E già li vedeva, i piccoli sassi, mentre germogliavano e fiorivano, e da quei fiori spuntavano teste, braccia, gambe, zampe, anche lingue di fuoco: esseri ciclopici e mostruosi capaci di costruire fortezze e torri smisurate, così come senza misura erano le loro mani. Anche l’uomo aveva mani grandissime, e dita lunghe che sfioravano le pietre come archetti di violino. Aveva un giardino davanti a casa e tra gli ulivi e gli alberi di arance aveva collocato pietre formidabili, che facevano paura solo a guardarle. – Ma una paura bella – sussurrava l’uomo al bambino. – Avvicinati. Erano enormi pietre cave: all’interno c’era un vuoto che cantava se la pietra veniva sfiorata. 14
– Sono i sarcofagi dei giganti – disse l’uomo un giorno. – Sono sepolture, ma sepolture vuote, perché i corpi non ci sono più. Sono risorti. – E dove sono andati? – chiese il bambino. – A nascere di nuovo – rispose l’uomo. – I giganti muoiono e rinascono sempre. Come le nuvole. Era alle nuvole e ai giganti che pensava quando accadde. Era alle loro mani gigantesche, che andò il suo cuore, mentre con gli occhi che si muovevano dal cielo alla terra, il bambino rovistava nei campi alla ricerca di sassi. “I sassi cambiano forma come solo i giganti e le nuvole sanno fare” ripeteva tra sé. E intanto raccoglieva le pietre e le divideva in mucchietti chiari e scuri con le venature gialle e verdi, che bagnava con la saliva per rendere brillanti. Accadde così, mentre il bambino Felice giocava da solo e immaginava di far nascere dai sassi ciclopi di ogni grandezza e colore, e forse anche fate o sirene, se i sassi fossero stati gettati nel fondo del mare. Fu morso. Fu questo che accadde. Fu morso da un’argia, il ragno della vita e della morte, così come lo chiamavano al paese, perché aveva dentro di sé il veleno di molti serpenti, ma anche la vita, per chi alla vita sapeva rinascere.
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